MARY GENTLE ASH Una storia segreta (Ash, a Secret History, 1999) A Richard Evans
Dottor Pierce Ratcliff, ASH, LA VECCH...
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MARY GENTLE ASH Una storia segreta (Ash, a Secret History, 1999) A Richard Evans
Dottor Pierce Ratcliff, ASH, LA VECCHIA STORIA DELLA BORGOGNA. JJJJJJ University Press, 2001. Rarissimo. Si accettano offerte di acquisto serie. L'edizione originale di (Ash: la vecchia storia della Borgogna, del dr. Pierce Ratcliff) venne ritirata dall'editore poco prima della pubblicazione. Tutte le copie stampate vennero distrutte. Quelle spedite come anteprima vennero restituite e mandate al macero. Parte di quel materiale venne pubblicato nell'ottobre del 2005 nella collana TATTICHE MEDIEVALI, LOGISTICA E COMANDANTI, Volume 3: Borgogna, senza le note a piè di pagina e il commento finale. Si pensa che la British Library abbia una copia dell'originale con un facsimile della corrispondenza tra l'editore e lo scrittore, ma sia il libro che i documenti non sono disponibili per la consultazione.
NOTA: Questo estratto dell'Antiquarian Media Monthly, Vol. 2, No. 7, luglio 2006, è originale ed è stato trovato incollato sul frontespizio bianco di questa copia. ASH La vecchia storia della Borgogna Pierce Ratcliff Ph.D. JJJJJJJ UNIVERSITY PRESS LONDRA NEW YORK
INTRODUZIONE Non ho intenzione di scusarmi per aver tradotto nuovamente questi documenti, unico contatto con la vita di una donna straordinaria chiamata Ash (1457 - 1477), perché ritengo che fosse un'opera necessaria. Nell'edizione di Charles Mallory Maximillian del 1890 intitolata: 'Ash: vita di un capitano mercenario del Medio Evo, è l'autore stesso ad ammettere di aver omesso gli episodi più scabrosi della vita della condottiera. La stessa operazione di taglio venne compiuta nel 1939 da Vaughan Davies quando scrisse Ash: una biografia del quindicesimo secolo. I documenti riguardanti la vita di Ash necessitavano di una traduzione moderna che narrasse senza alcuna remora di tipo morale la gioia, ma anche la brutalità del periodo medievale, e io credo di essere riuscito nell'intento. Le donne si sono sempre accompagnate agli eserciti. Gli esempi sono troppo numerosi per citarli tutti. Nell'anno 1476 erano passate solo due generazioni da quando Giovanna d'Arco aveva guidato le forze del Delfino di Francia e possiamo immaginare che i mercenari dell'unità nella quale era nata Ash le avessero raccontato le imprese della Pulzella d'Orléans. Comunque il fatto di trovare una donna di origini contadine al comando di un'unità mercenaria senza l'appoggio di uno stato o della chiesa è un fatto unico 1 . In questa Europa della seconda metà del quindicesimo secolo si verificava l'incontro tra la gloria della vita medievale e l'esplosione culturale del Rinascimento. Negli stati italiani, in Francia, in Borgogna, in Spagna, in Germania e in Inghilterra tra le case reali, le guerre erano all'ordine del giorno, mentre l'Europa stessa nella sua interezza era minacciata dal pericolo che arrivava dall'est: l'impero turco. È un periodo di eserciti in crescita e di compagnie mercenarie destinate a sparire con l'avvento dell'Età Moderna. Ci sono molti punti oscuri nella vita di Ash. La data e il luogo di nascita sono due di questi. Molti documenti del quindicesimo e sedicesimo secolo vengono spacciati come Vite di Ash, ma di questi parlerò più avanti insieme alle nuove scoperte che ho compiuto nel corso delle mie ricerche. I primi frammenti in latino del Codice di Winchester, un documento monastico scritto intorno all'anno 1495, parlano delle sue prime esperienze da bambina e compongono la prima parte della mia traduzione. A ogni personaggio storico viene inevitabilmente affibbiato un bagaglio 1
Non del tutto, come vedremo.
di leggende, aneddoti e vicende romantiche che vanno ad aggiungersi alla verità storica della sua vita. Quanto segue è la parte più 'leggera' della vita di Ash, ma non deve essere presa come pura verità storica. Ho scritto delle note a piè di pagina riguardo questo periodo della vita di Ash, ma il lettore più serio è libero di non prestarvi attenzione. All'inizio del nostro millennio, con i sofisticati metodi di ricerca che abbiamo a disposizione, è molto più facile per me eliminare le false 'leggende' intorno ad Ash, più di quanto avessero potuto fare Charles Maximillian o Vaughan Davies. Ho scoperto il personaggio storico celato dietro le leggende - e la vera Ash è molto più stupefacente di quella descritta nei miti. Pierce Ratcliff, dottore (Studi di Guerra), 2001
NOTA: Aggiunta alla copia trovata nella British Library: appunti a matita scritti su un foglio di carta libero:
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra) Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street, London W14 OAB, U. K. Fax: JJJJJJ E-mail: JJJJJJ Tel: JJJJJJJ Anna Longman Editor JJJJJUniversity Press JJJJJJJJJ JJJJJJJ JJJJJJJJ 29 settembre 2000
Copia della corrispondenza Originale intrattenuta tra il dott. Ratcliff e il suo editor trovata tra le pagine del testo. Che siano state inserite seguendo l'ordine di pubblicazione
Egregia Ms Longman, Le invio con piacere, firmato come mi era stato richiesto, il contratto del libro. Ho allegato alla presente una brutta copia della traduzione dei documenti che trattano i primi anni della vita di Ash: il Codice di Winchester. Come capirà dalla lettura di tali documenti è in quelle pagine che vengono gettati i semi della vicenda che seguirà. Questa è la mia grande occasione! Suppongo che il sogno di ogni storico sia quello di fare una scoperta che lo renda famoso e io penso di esserci riuscito portando alla luce nuovi dettagli sulla vita di una donna davvero notevole: Ash. Così facendo sono anche convinto di aver scoperto delle notizie su un periodo della storia dell'Europa medievale poco conosciuto - anzi, sarebbe più giusto dire dimenticato - ma molto significativo.
La mia teoria ha cominciato a prendere forma mentre stavo raccogliendo documenti sulla vita di Ash per la mia tesi di dottorato e sono stato in grado di consolidarla con la scoperta dei documenti denominati 'Fraxinus.' Tali documenti facevano parte della collezione di antichità custodita nello Snowshill Manor, nel Gloucestershire. Prima di morire, Charles Wade, un cugino dell'ultimo proprietario della tenuta, aveva ricevuto in dono un baule germanico del sedicesimo secolo. Nel 1952 Snowshill finì nelle mani della sovrintendenza alle Belle Arti e quando aprirono il baule vi trovarono il documento. Credo che sia rimasto là dentro dal quindicesimo secolo (il meccanismo d'apertura era in acciaio e ricopriva l'intera lunghezza del coperchio del baule!) senza mai essere stato letto. Charles Wade non sospettava neanche della sua esistenza. Essendo scritto in francese medievale e latino, Wade non lo tradusse; anche se era consapevole dell'importanza di quel testo, egli era uno di quei 'collezionisti' di stampo vittoriano più interessati a possedere che a decifrare. La casa è piena di orologi, armature giapponesi, spadoni della Germania medievale, porcellane, etc, etc! Tuttavia sono sicuro che qualcuno avesse messo gli occhi su quei documenti molto prima di me. Sulla prima pagina dopo il frontespizio c'era un'annotazione in latino - fraxinus me fecit: 'Fui fatto da Ash' (Non so se lei lo sa, ma il nome latino di Ash è fraxinus.) Credo che si tratti di una nota del diciottesimo secolo. Già da una prima e rapida lettura mi resi conto che si trattava di un documento mai scoperto prima. Un serie di memorie scritte, o più probabilmente dettate, da Ash in persona poco prima di morire nel 1477(?). Non ci impiegai molto a capire che quello scritto colmava i numerosi vuoti presenti nella storia della condottiera medievale.
(Si può supporre che sia stata proprio la scoperta del 'Fraxinus' a indurre la sua casa editrice a voler pubblicare una nuova edizione della vita di Ash.) Le descrizioni presenti nel 'Fraxinus' forse possono sembrare molto colorite, ma non bisogna dimenticare che le esagerazioni, le leggende, i miti, per non parlare dei pregiudizi e della partigianeria del cronista, hanno sempre contaminato tutti gli scritti medievali. Ma le assicuro che sotto i rifiuti c'è oro puro. Vedrà. La storia è una rete dalle maglie molto larghe attraverso le quali dei fatti possono sgusciare nel limbo senza problemi. Con il materiale che ho scoperto spero di riuscire a riportare alla luce quei fatti che non si sposano con la nostra idea di passato, ma che sono inequivocabilmente accaduti. Tutto ciò ci porterà a riconsiderare in maniera radicale la storia del Nord Europa e sarà meglio che gli storici ci si abituino! In attesa di un suo riscontro voglia gradire i miei più distinti saluti,
Pierce Ratcliff
PROLOGO C. AD 1465-1467[?] 'La mia anima è per mezzo di leoni'2 I Erano gli sfregi a renderla bellissima. Nessuno si era preso il disturbo di darle un nome fino all'età di due anni e lei aveva vagato per i fuochi da campo, giocando per terra, scroccando il cibo qua e là, poppando dai seni delle prostitute sentendosi chiamare Cucciolo-sporco, Grugno-sozzo e Culo-cenerino. Quando i suoi capelli cambiarono di colore passando dal castano chiaro a un biondo quasi bianco fu quel 'cenerino' che la colpì di più, per cui decise di farsi chiamare Ash3 . All'età di otto anni due mercenari la violentarono. Ash non era vergine. Tutti i bambini del campo scoprivano le differenze tra i corpi dei maschi e quelli delle femmine nascosti sotto le puzzolenti coperte di pecora che usavano per dormire e anche lei aveva il suo amico particolare. Sebbene i due mercenari avessero poco più di otto anni erano considerati degli adulti. Uno di essi era ubriaco. Dopo lo stupro, Ash cominciò a piangere. Uno dei due ragazzini, quello sobrio, riscaldò la punta del coltello in un fuoco da campo e le praticò un taglio sullo zigomo rischiando di mozzarle un orecchio. La bambina non smise di piangere e il ragazzino le inflisse un secondo sfregio parallelo al primo. Ash riuscì a liberarsi e scappò via con il sangue che le colava lungo una guancia. La ragazzina, che pur avendo cominciato l'addestramento con la spada non era ancora abbastanza forte da poter sostenere uno scontro, era tuttavia sufficientemente cresciuta per prendere una balestra (lasciata incautamente carica dentro uno dei carri che costituivano la difesa perimetrale del campo) e piantare un quadrello a bruciapelo nel corpo del primo stupratore. 2
Salmi 57:4. Culo-cenerino è la traduzione del termine inglese:'Ashy-arse'. Il nome della protagonista di queste vicende è Ash, che, come spiegato nella nota precedente ha due traduzioni: frassino e cenere (N.d.T.). 3
Il terzo sfregio, quello che le segnava l'altra guancia, non fu provocato da un atto di puro sadismo, ma dal tentativo del secondo ragazzino di ucciderla. Sapeva di non poter ricaricare la balestra da sola, ma decise che non sarebbe scappata. Saltò sul corpo del primo mercenario e piantò il coltello che usava per mangiare nella coscia dell'assalitore, recidendogli l'arteria femorale. Il ragazzino morì dissanguato nel giro di qualche minuto. Ricordo al lettore che la piccola Ash aveva cominciato il suo addestramento militare. La morte era all'ordine del giorno in un campo mercenario, ma il fatto che una bambina di otto anni avesse ucciso due suoi coetanei inquietò parecchie persone. Il primo vero ricordo di Ash risale al giorno del suo processo. Aveva piovuto per tutta la notte. Il sole si levò nel cielo facendo evaporare l'acqua depositatasi a terra e sui rami, e illuminando le tende, i calderoni, i carri, le capre, le lavandaie, le prostitute, i capitani, gli stalloni e le bandiere, esaltandone i colori. Ash fissò la lunga bandiera a forma di coda sulla quale erano impresse la croce e la bestia, annusando la brezza fresca che le carezzava il volto. Un uomo robusto con il volto incorniciato dalla barba si chinò di fronte a lei. Ash era una bambina piuttosto minuta, vide i suoi grossi occhi, la folta chioma di lunghi capelli quasi bianchi e il volto segnato dagli sfregi, che le rammentavano le pitture di guerra dei barbari dell'Est, riflessi sul piastrone indossato dal capitano. Annusò l'aria e sentì l'odore dei fuochi da campo, dello sterco di cavallo e del sudore dei soldati. La brezza fresca le fece rizzare i peli sulle braccia. Improvvisamente ebbe l'impressione di osservare la scena dall'esterno, come se una parte di lei fosse uscita dal suo corpo. Vide un grosso uomo inginocchiato di fronte a una bambinetta scalza dallo sguardo spaventato con indosso un panciotto fuori misura, che portava con sé un coltello da caccia modificato per somigliare a una daga. Quella fu la prima volta in cui si rese conto di essere bellissima. In quel momento provò anche una grande frustrazione perché non sapeva cosa farsene di quella bellezza. «I tuoi genitori sono vivi?» le chiese il capitano. «Non lo so. Mio padre potrebbe essere uno di loro.» Indicò i mercenari del campo intenti alla manutenzione delle armi. «E nessuna delle donne
dice di essere mia madre.» Un uomo più magro si acquattò a fianco del capitano. «Uno dei morti è stato abbastanza stupido da lasciare una balestra carica» esordì in tono tranquillo. «Per quanto riguarda la bambina, ho chiesto alle lavandaie. Non è vergine, ma non è neanche una prostituta.» «Se è abbastanza grande per uccidere» sentenziò il capitano, torvo in volto «allora vuol dire che lo è anche per essere punita. Frustatela.» «Mi chiamo Ash» replicò lei a voce bassa, ma chiara. «Mi hanno fatto del male e li ho uccisi. Se qualcun altro cercherà di farmi del male lo ucciderò. Ucciderò anche te.» Ricevette le frustate che le spettavano più un extra per l'insubordinazione. Non pianse. Dopo qualche tempo un balestriere le diede un giustacuore imbottito e Ash cominciò ad addestrarsi con impegno nell'uso delle armi. La bambina fece finta per uno o due mesi che il balestriere fosse suo padre, finché non divenne chiaro che la gentilezza di quell'uomo era stata frutto di un impulso temporaneo. Nel corso del nono anno di vita di Ash si sparse nel campo la voce che un Leone era nato da una Vergine. II La piccola Ash era intenta ad applaudire i mimi insieme agli altri bambini del campo. Era seduta a terra con la schiena appoggiata a un albero spoglio e alcune pellicce sotto il sedere per proteggersi dal freddo. Gli sfregi non stavano guarendo bene e spiccavano rossi contro il pallore della pelle. Il fiato si condensava in grosse nuvole ogni volta che urlava. Il Grande Wyrm (un uomo con il volto celato da un teschio di cavallo e la schiena coperta da una pelle marrone chiaro sempre di cavallo) entrò rampando sul palco. La coda del cavallo, che era stata lasciata attaccata alla pelle, frustò la gelida aria del pomeriggio. Il Cavaliere della Desolazione (interpretato da uno dei sergenti della compagnia con indosso la sua armatura migliore) compì un largo affondo con la lancia. «Uccidilo» urlò Crow, una ragazzina della compagnia. «Piantagliela nel sedere!» sbraitò Ash. I bambini intorno a lei cominciarono a ridere rumorosamente pronunciando frasi colme di scherno. Richard, un ragazzino dai capelli neri con una macchia color porto sul viso, sussurrò: «Deve morire. Ho sentito dire dal capitano che il Leone è nato.»
La frase interruppe il torrente di volgarità che stava uscendo dalla bocca di Ash. «Dov'è nato? Quando gliel'hai sentito dire, Richard?» «A metà mattina, quando ho portato l'acqua alla sua tenda» rispose orgoglioso il ragazzino. Anche se non lo era veramente, Richard aveva provato a farle notare il suo status di paggio, ma Ash lo ignorò, appoggiò il naso sui pugni chiusi e soffiò sulle dita gelate. Il Wyrm e il sergente duellavano con ardore per non sentire il freddo. Ash si alzò in piedi e si sfregò con vigore le natiche intorpidite. «Dove vai, Ashy?» le chiese il ragazzino. «Vado a prendere l'acqua» gli rispose Ash, in tono altezzoso. «Non puoi venire con me.» «Dai, fammi venire!» «Non sei abbastanza grande» sentenziò Ash, quindi si fece strada tra la piccola folla di bambini, capre e cani. Le nuvole erano basse e avevano lo stesso colore del peltro. Dal fiume si stava levando una nebbia biancastra. Se avesse nevicato, la temperatura si sarebbe alzata. Ash si incamminò silenziosamente verso le case abbandonate (un tempo dovevano essere state parte di una fattoria) che gli ufficiali della compagnia avevano scelto come quartiere generale. I soldati avevano eretto le loro tende da campo davanti agli edifici e passavano gran parte delle giornate intorno ai fuochi con il viso rivolto alla fiamma e la schiena al gelo. La ragazzina passò alle loro spalle senza farsi notare. Aggirò la fattoria, sentì che gli ufficiali stavano per uscire e si acquattò dietro un barile dal cui bordo spuntava un blocco di acqua piovana gelata alto più di una spanna. «... e andateci a piedi» finì di dire il capitano, quindi, accompagnato dal prete e da due tenenti che, come Ash aveva sentito dire, si vantavano di avere origini nobili, cominciò ad attraversare il cortile. Il capitano indossava l'armatura completa. Il piastrone gli proteggeva il tronco e le spalle, le piastre e i guanti gli avvolgevano le braccia e le mani, mentre gli schinieri gli coprivano le gambe e gli stivali. Portava il suo armet4 sotto il braccio. La luce dell'inverno conferiva al metallo dell'armatura un colore biancastro. Forse è per questo che la chiamano l'armatura bianca, pensò Ash. L'unico altro colore che spiccava sul bianco era il rosso della barba e del fodero in cuoio. Ash si inginocchiò appoggiando le dita contro le doghe gelate del barile. 4
Elmo aderente al volto.
Il clangore metallico delle armature echeggiava nell'aria ricordandole il rumore di un carro cucina che si ribalta. Voleva una di quelle armature, anche lei voleva camminare sentendosi invulnerabile, portando sulle spalle il peso di tutta la ricchezza rappresentata da uno di quegli oggetti. E fu proprio quel desiderio più che la curiosità a spingerla ad andare dietro agli ufficiali. Si mise a correre in preda a una sorta di meraviglia. Il cielo si ingiallì. Qualche sporadico fiocco di neve cominciò a fluttuare nell'aria posandosi sui suoi capelli, ma la bambina non ci fece caso. Aveva le orecchie e il naso arrossati, mentre le dita delle mani e dei piedi cominciavano ad assumere un colorito bluastro e porpora. Il fatto non la preoccupò, perché ci era abituata. Aveva imparato a sopportare il freddo e non si prese neanche il disturbo di chiudere la giubba. I quattro uomini continuavano a camminare senza dire una parola. Ash approfittò del fatto che il capitano si fosse fermato per un attimo a parlare con le guardie per superarli senza farsi notare. Si chiese come mai gli ufficiali non avessero preso i cavalli e quando li vide arrivare in cima alla salita che portava al limitare del bosco capì il motivo di tale scelta. Il terreno era coperto di grossi cespugli, felci, rovi e strati e strati di detriti che avrebbero fermato anche un cavallo da guerra. I tre ufficiali si fermarono e infilarono l'elmo tenendo alta la ventaglia5 . Il cappellano, l'unico dei quattro privo di corazza, si fece da parte. Uno dei due luogotenenti estrasse la spada, ma il capitano scosse la testa e un attimo dopo il suono di una lama che veniva rinfoderata echeggiò nell'aria. Il bosco era silenzioso. I tre ufficiali si girarono verso il cappellano dal volto arrossato. Il religioso indossava un cappello da guerra6 imbottito di velluto. Ash si avvicinò ulteriormente. Il cappellano si inoltrò nel bosco con passo sicuro. Ash non aveva prestato molta attenzione alla valle. Il fiume era pulito e la fattoria era abbandonata, non c'era posto migliore per far svernare la compagnia. Cos'altro avrebbe dovuto sapere? Le foreste spoglie che ricoprivano le colline non offrivano nessun tipo di distrazione. Quale altro motivo l'avrebbe potuta spingere ad abbandonare il calore dei fuochi da campo se non la caccia? 5
La celata degli elmi medievali (N.d.T.). Un elmetto d'acciaio a tesa larga identico al 'Tommy' che gli Inglesi portavano durante la prima guerra mondiale. 6
Qual era il motivo che aveva spinto quei quattro uomini ad andare fin lassù? Ash rifletté per qualche minuto, quindi decise che ci doveva essere un sentiero. Sia i rovi che le felci non erano cresciuti abbastanza per nasconderla il che faceva supporre che quel bosco fosse stato battuto fino a poche stagioni prima. Gli ufficiali camminavano imperterriti tra i rovi. «Sangue di Dio!» imprecò il più basso dei due tenenti, per poi zittirsi nell'attimo stesso in cui gli altri tre si giravano per fissarlo. Ash passò sotto dei rovi spessi come il suo polso. Era piccola e veloce e se solo avesse conosciuto la loro meta li avrebbe potuti precedere facilmente. Quel pensiero la indusse a spostarsi su un lato, strisciare sul ventre lungo il corso di un ruscello gelato e spuntare un centinaio di passi davanti all'uomo che conduceva il gruppo. I rami degli alberi formavano una sorta di cupola che impediva alla neve di passare. Le foglie morte, i rovi rinsecchiti e i giunchi sul bordo del torrente avevano un colorito marrone. Ash scorse un felceto davanti a sé, si alzò e - proprio come aveva previsto - vide che gli alberi si erano diradati. In mezzo alla radura si ergeva una cappella ammantata di neve. Ash non aveva alcuna conoscenza degli stili architettonici, ma anche se fosse stata un'esperta in materia in quel caso avrebbe avuto il suo bel da fare nel riconoscere lo stile della costruzione. C'erano solo un paio di muri coperti di muschio e rovi. I contorni delle finestre sembravano due buchi grigi. Sul terreno c'erano dei mucchi di macerie coperti di neve. Uno sprazzo di verde attirò l'attenzione di Ash. Sotto il sottile strato di neve i detriti erano avvolti dall'edera. La vegetazione stava crescendo anche ai piedi delle mura. Due grossi cespugli di agrifoglio avevano messo radici nel punto in cui il piano dell'altare toccava la parete. I rami carichi di bacche rosse pendevano verso il terreno schiacciati dal peso della neve. Sentì un clangore metallico alle sue spalle. Un pettirosso e uno scricciolo fuggirono da sotto l'agrifoglio spaventati dal rumore. Gli uomini alle sue spalle cominciarono a cantare. Dovevano trovarsi a una quindicina di passi di distanza da lei. Ash corse acquattata tra i cumuli di detriti e si andò a nascondere sotto i rami più bassi dell'agrifoglio. L'interno del cespuglio era caldo e asciutto. Le foglie secche le scricchiolavano fra le mani mentre strisciava sotto i rami neri che sorreggevano
il baldacchino di foglie verdi, i cui contorni taglienti le strapparono la giubba di lana in più punti. Diede un'occhiata tra le foglie. La neve cadeva copiosa. Il piccolo prete prese a cantare con voce da tenore. Era una lingua che Ash non conosceva. I due tenenti camminavano a fatica cantando a loro volta. La bambina pensò che sarebbe stato molto meglio per loro se si fossero tolti l'elmo. Il capitano emerse dal limitare del bosco. Ash lo vide armeggiare con le cinghie e i ganci dei guanti e dell'elmo e dopo che li ebbe sfilati lo osservò avanzare a testa scoperta attraverso la radura, lasciando che la neve si posasse sulla barba e i capelli. Il capitano prese a cantare a sua volta, 'Confidate in Dio, signori, non lasciatevi abbattere da nulla; In quest'ora buia il Sole torna; così potremo salutare il Giorno.' Aveva una voce potente, ma non molto intonata. Quell'uomo doveva farsi sentire in mezzo al frastuono della battaglia. Il silenzio del bosco venne infranto e Ash cominciò improvvisamente a piangere. Il prete si avvicinò al cespuglio nel quale Ash si era nascosta e la bambina si immobilizzò, con le lacrime che si asciugavano sulle guance sfregiate. Due sono le cose da fare per non lasciarsi scoprire quando si è nascosti: immobilizzarsi del tutto e pensare di essere un coniglio, un topo, una felce, un albero o qualsiasi altra componente del paesaggio. Ash premette la bocca contro il bavero della giubba per evitare che le nuvolette di fiato condensato tradissero la sua presenza. Il religioso, che a dispetto del freddo aveva gli occhi lucidi e la fronte imperlata di sudore, posò un oggetto sull'altare e disse: «Rendiamo grazie.» Ash non riuscì a vedere di cosa si trattasse, ma l'odore faceva , pensare a un pezzo di carne. «Guardate!» urlò improvvisamente il tenente più alto. Ash rischiò di schizzare fuori da sotto l'altare per lo spavento. Una cascata di neve si riversò su di lei da un ramo. Mi hanno scoperta, pensò sbattendo le palpebre. Girò la testa verso la radura, ma si accorse che nessuno stava guardando nella sua direzione. Gli occhi degli uomini erano fissi sull'altare. I tre cavalieri si inginocchiarono accompagnati dal clangore metallico delle armature. Il capitano abbandonò le braccia lungo i fianchi. L'elmo gli scivolò dalla mano, cadde sul terreno gelato e rotolò poco distante facendo
sussultare nuovamente Ash. Anche il prete si tolse l'elmo e si inginocchiò con grazia sorprendente. La neve turbinava veloce nel cielo bianco coprendo tutto il paesaggio circostante. Un grosso animale scese sbuffando dall'altare della cappella. Ash sentì il fiato caldo e umido della bestia che le carezzava il volto. Una grossa zampa toccò terra. Ash fissò il pelo giallo e ispido e i lunghi artigli ricurvi posti all'estremità dell'arto. La gobba del leone le passò davanti al viso e i fianchi le oscurarono la vista della radura e degli uomini. La bestia scese fluidamente dall'altare, alzò la testa con uno scatto e trangugiò l'offerta. Un ruggito basso e gorgogliante risuonò nell'aria. Ash si urinò addosso dalla paura. Fissava la scena con gli occhi sbarrati chiedendosi come mai nessuno di quei tre cavalieri avesse ancora estratto la spada per affrontare la bestia. Il leone cominciò a girare la testa. Ash rimase in ginocchio, paralizzata. La fiera infilò il muso nel cespuglio. La bambina vide un paio di occhi gialli e luminosi che la fissavano, sentì il fiato puzzolente e rischiò di vomitare. Il leone emise uno sbuffo e arretrò di qualche centimetro dalle foglie pungenti dell'agrifoglio. Arricciò le labbra, infilò nuovamente il muso nel cespuglio, la estrasse senza alcuno sforzo tenendola delicatamente tra gli incisivi superiori e inferiori, quindi la lasciò cadere sul terreno roccioso ricoperto di neve ed emise un ruggito assordante. Ash era troppo spaventata per muoversi, si strinse la testa tra le braccia e cominciò a piangere. La bestia le leccò una guancia con la lingua ruvida e spessa quanto una sua gamba. Ash smise di piangere. Il volto le faceva male. Si inginocchiò lentamente. Il leone rimase immobile. La bambina fissò gli occhi gialli, il muso e i denti bianchi. La lingua le leccò l'altra guancia. Gli sfregi pulsavano dolorosamente e Ash li toccò con le dita intirizzite dal freddo. L'aria fu pervasa dal canto di un pettirosso. Pur essendo troppo piccola per avere quel genere di consapevolezza, Ash era sicura di provare sensazioni contrastanti. Una parte di lei, quella della bambina cresciuta in un campo di mercenari, abituata ai predatori e alla caccia, le suggerì di rimanere immobile come una statua. Non mi ha ancora colpita con gli artigli, pensò. Sono troppo vicina per scappare. Devo spaventarlo. L'altra parte di lei, quella meno familiare, era al colmo
della gioia. Non riusciva a ricordare le parole o la lingua usata dal religioso, quindi decise di cantare l'inno intonato dal capitano. 'Confidate in Dio, signori, non lasciatevi abbattere da nulla; In quest'ora buia il Sole torna; così potremo salutare il Giorno. Marciamo decisi per vincere le Tue battaglie e il nemico è in rotta! Oh, la sua Luce ci porta una gioia e un conforto Che nessuno può distruggere: Oh, la sua Luce ci porta gioia e conforto.' Ash terminò e il silenzio calò nuovamente sulla radura. Non aveva la possibilità di capire la differenza tra la voce roca e sgraziata degli uomini e la purezza della sua. Non sapeva cogliere le differenze tra la voce incrinata dalla maturità del capitano e il suo modo di intonare le parole, frutto di tante cantate intorno ai fuochi da campo. Mentre la sua giovane anima cantava, la sua mente, che ricordava ancora una caccia al leopardo vicino a Urbino, nella quale la fiera, messa alle strette, aveva sventrato uno dei cani con una zampata riversandone le viscere sull'erba, ripeteva 'no, no' in tono lamentoso. La grossa testa del leone si chinò in avanti strofinandole la criniera sul viso e lei ebbe l'impressione di annegare in un mare di pelo. Il leone la fissò ancora per un attimo negli occhi, quindi la superò con un balzo. Nel tempo che Ash impiegò per girarsi a osservarla, la bestia si stava già facendo strada nel sottobosco per poi sparire del tutto qualche istante più tardi. Ash rimase ad ascoltare i rumori sempre più distanti del leone che si allontanava nel bosco. Il clangore delle armature la riportò alla realtà. Ash, che sedeva a gambe aperte nella neve, si trovò faccia a faccia con le ginocchiere della corazza e la ghiera d'argento del fodero del capitano. «Non ha detto nulla» si lamentò la bambina. «Il Leone nato da una Vergine è una bestia» commentò il religioso. «Un animale. Non riesco a capire, Lord capitano. Tutti sanno che la bambina non è vergine, tuttavia, Egli non le ha fatto alcun male.» Il capitano la fissò torvo in volto e lei si spaventò. «Forse si trattava di una visione» disse, senza rivolgersi direttamente ad Ash. «La bambina rappresenta la nostra povera patria che attende di essere salvata dall'alito del Leone. L'asprezza dell'inverno e il suo volto sfregiato
rappresentano la stessa cosa. Non ho le conoscenze per interpretare bene questi segni. Potrebbero anche non significare nulla.» Il prete si rimise l'elmo. «Quello che abbiamo visto in questo luogo, mio signore, è solo per noi. Suggerisco di ritirarci in preghiera in cerca di consiglio.» «Sono d'accordo.» Il capitano si chinò, prese il suo elmo e lo pulì dalla neve. Il sole fece capolino da uno squarcio tra le nubi, illuminando i capelli e la barba rossa dell'ufficiale che sembrarono prendere fuoco. Fece qualche passo quindi si girò e aggiunse: «Qualcuno prenda la mocciosa.» III Ash scoprì molto presto come usare la sua bellezza infantile enfatizzata dagli sfregi. All'età di nove anni aveva una massa di riccioli bianchi che le scendevano fino ai fianchi. I capelli, che lavava una volta al mese, erano tanto unti da brillare, ma nessuno dei mercenari ci faceva caso. Ash non mostrava mai le orecchie e imparò a vestirsi con un farsetto e dei calzoni stretti al ginocchio, coperti spesso da una giubba da uomo. Quegli abiti fuori misura la facevano sembrare più vecchia. Uno degli artiglieri le dava sempre del cibo o delle monete di rame, quindi la faceva piegare in avanti contro un traino per cannoni, le sbottonava i pantaloni e la sodomizzava. «Non c'è bisogno che tu stia così attento» si lamentava Ash. «Non rimarrò incinta. Non ho ancora perso sangue.» «Non ti è neanche spuntato l'uccello, se è per questo» rispondeva l'artigliere. «Quindi, finché non avrò trovato un ragazzino carino, ti tocca.» Una volta le diede un pezzo di maglia metallica. Ash mendicò del filo dal sarto della compagnia e ottenne dal conciatore un avanzo di cuoio che fissò alla maglia metallica. Si era fabbricata una gorgiera 7 e la indossò nel corso di ogni schermaglia, razzia di bestiame, caccia ai banditi nella quale imparò il suo mestiere: quello del guerriero. Ash pregava per la guerra con lo stesso ardore di una novizia chiusa in convento che pregava per essere la sposa prescelta dal Cristo Verde. Guillaume Arnisout era uno degli artiglieri della compagnia e non la toccò mai con un dito. Le insegnò a scrivere il suo nome nell'alfabeto ver7
Un tipo di protezione per la gola (N.d.T.).
de: una linea verticale con cinque tagli orizzontali ('tanti quanti le dita di una mano') che spuntavano sul lato destro della linea ('la parte dove tieni la spada'). Non le insegnò a leggere perché neanche lui era capace, ma le insegnò a contare. Ash pensava che fosse del tutto normale, perché gli artiglieri dovevano saper quanta polvere mettere nei cannoni, ma questo succedeva prima di conoscere veramente quella categoria di uomini. Guillaume le mostrò il frassino e le insegnò come costruire degli archi con quel legno ('hai bisogno di rami più lunghi rispetto a quelli che ti servono per fare un arco di tasso'). Dopo che ebbero tolto l'assedio alla città di Dinant e prima di tornare a casa, Guillaume la portò al mattatoio. Era agosto e il sole splendeva alto nel cielo illuminando i biancospini che crescevano lungo il limitare dei pascoli. La brezza era fresca. Si trovavano sottovento e il lezzo e i rumori del campo non li raggiunsero. Ash era in groppa alla vacca e Guillaume camminava al suo fianco. Lei fissò il suo accompagnatore che si puntellava a ogni passo con un lungo bastone nero. Ash non era ancora nata quando una lancia aveva fracassato il ginocchio di quell'uomo costringendolo a dedicarsi alle artiglierie da assedio. «Guillaume...» «Sì?» «Avrei potuta portarla io. Non era necessario che venissi anche tu.» «Sì?» Ash guardò davanti a sé e vide i campanili della chiesa che si stagliavano oltre le creste degli alberi tra nuvole di fumo blu. Raggiunsero il limitare del tratto di terreno privo di vegetazione che circondava la palizzata del villaggio e il vento prese a spirare in senso contrario. Il lezzo del mattatoio era soffocante e nauseabondo. «Sangue di Cristo!» bestemmiò Ash. Una mano forte le strinse la tibia. La bambina abbassò lo sguardo in direzione dell'artigliere con gli occhi umidi di lacrime. «Ascolta,» esordì Guillaume, indicando davanti a sé «quello è il posto dove siamo diretti. Adesso scendi dalla vacca e guidala tu.» Ash saltò giù dalla schiena del bovino, atterrò barcollando, ma riuscì a rimanere in piedi. Saltellò intorno alla vacca che continuava ad avanzare con passo ciondolante, quindi corse nuovamente dall'uomo. «Guillaume.» Gli strinse la manica color ruggine del farsetto. L'uomo non portava i polsini perché quello al momento era l'unico abito che pos-
sedeva. «A te piacciono i ragazzini, vero?» «Ah!» L'artigliere la fissò con gli occhi scuri. Portava i capelli lunghi fino alle spalle, ma la corona era calva. Si radeva spesso con la daga, di solito gli stessi giorni in cui l'affilava, ma era un evento rarissimo vedere una scalfittura su quelle guance scure e coriacee. «Se mi piacciono i ragazzini, signorina? Me lo chiedi perché non riesci a farmi fare quello che vuoi come con gli altri? Secondo te questo succede perché mi piacciono i ragazzini?» «La maggior parte degli altri fanno tutto quello che voglio quando recito.» La tirò per i capelli. «A me piaci come sei.» Ash spinse i capelli oltre le orecchie e cominciò a prendere a calci i ciuffi d'erba che crescevano lungo il bordo della strada. «Io sono bellissima. Non sono una donna, ma sono bellissima. Guardami i capelli, devo avere sangue elfico. Guarda i miei capelli, non ti importa...» canticchiò tra sé e sé per qualche minuto, quindi alzò nuovamente lo sguardo. «Guillaume...» L'artigliere camminava con passo deciso aiutandosi con il bastone che, una volta giunto in prossimità dei cancelli del villaggio, usò per salutare le guardie. Ash notò che i soldati avevano in dotazione delle lance e indossavano il giustacuore invece della corazza. Prese la corda che pendeva dal collo della vacca. Erano sei mesi che la bestia non rimaneva incinta. I soldati avevano provato a farla ingravidare da diversi tori, ma non era successo nulla: una volta macellata la carne sarebbe stata piuttosto dura, ma il cuoio sarebbe stato ottimo per le scarpe. E anche per i cinturoni delle spade, pensò Ash continuando a camminare. L'odore del villaggio diveniva sempre più forte. Sarà un altro di quei posti dove mi insultano per gli sfregi e fanno il segno delle corna ogni volta che passo? si chiese. «Ash!» La vacca si era spostata verso il bordo della strada e aveva cominciato a brucare contenta. Ash tirò con tutta la forza che aveva in corpo. La vacca alzò la testa ed emise uno sbuffo seguito da un muggito. Lunghi filamenti di saliva le colavano dalla bocca. Ash la guidò verso i cancelli del villaggio. Fissò le guardie ai cancelli passando le dita sull'arma che portava al fianco. Aveva nove anni, ma ne dimostrava sette e la daga lunga una cinquantina di centimetri era quasi una spada per lei. Si era procurata un fodero e un laccio per legarlo alla cintura. Se li era guadagnati. Rubava il cibo,
ma non le armi. Gli altri mercenari - recentemente anche lei aveva cominciato a considerarsi tale - vedevano quel fatto come un vezzo interessante e peculiare dal quale cercavano di trarre il maggior vantaggio possibile. Era appena passata l'alba e c'era poca gente per le strade. Quel fatto dispiacque molto ad Ash, che voleva farsi ammirare da tutti. «Mi hanno fatto entrare armata» si vantò. «Non ho dovuto consegnare la daga!» «Sei segnata come appartenente alla compagnia» rispose Guillaume che a sua volta portava il coltellaccio alla cintura. Ash sospettava che l'uomo portasse una giacca più grossa per conformarsi all'immagine che ogni abitante del villaggio aveva dei mercenari: vestiti sporchi e armi linde. Certo quell'uomo faceva anche altre cose che sicuramente gli abitanti del villaggio si aspettavano da un tipo così. Per esempio barava a carte, ma male, perché Ash lo scopriva sempre. La bambina camminava a testa alta. Fissò una coppia di perdigiorno seduta sotto il cespuglio sospeso che fungeva da insegna per una taverna. «Se non dovessi trascinare questa vecchia vacca marcia e sterile» si lamentò con l'artigliere che camminava di fronte a lei «sembrerei veramente un mercenario.» Guillaume Arnisout rise piano e continuò a camminare senza girarsi a guardarla. Tormentò la povera vacca finché non giunse di fronte ai cancelli del mattatoio. L'odore del sangue e degli escrementi era così forte da risultare quasi tangibile. Cominciò a lacrimare e sentì un groppo alla gola. Consegnò la vacca al macellaio fermo davanti ai cancelli e cominciò a tossire. «Guarda qua, Ash!» la chiamò una voce. Ash si girò e qualcosa di caldo e umido la centrò in faccia e al petto. La sorpresa la fece sussultare. Aprì la bocca e un attimo dopo cominciò a tossire e a sputare mentre parte della massa che l'aveva colpita cominciava a colare dalle spalle sul petto. Si stropicciò gli occhi brucianti con il dorso delle mani. Continuava a tossire e a piangere. Le lacrime le schiarirono la vista. Il sangue caldo e viscoso che le imbrattava il vestito, le aveva ridotto i capelli a una massa informe e appiccicosa. Anche le mani erano lorde di sangue. Una materia gialla le incrostava le pieghe dell'abito. Allungò una mano e toccò la massa che le si era fermata sul collo. Il pezzo di carne cadde davanti ai suoi piedi nudi. Era caldo, ma andava raffreddandosi rapidamente. Dei tubicini rossi e rosa scivolarono a terra.
Ash si allontanò. La massa era così grossa che lei non sarebbe riuscita a sollevarla neanche se avesse usato entrambe le mani. Smise di piangere. Fece un gesto che non le era del tutto nuovo. Un gesto che forse aveva fatto poco prima o poco dopo di piantare il quadrello nel corpo del suo violentatore. Si passò il dorso della mano sul mento. Il sangue rappreso le tirava la pelle. Si liberò del groppo alla gola e delle lacrime agli occhi. Fissò Guillaume e il macellaio che tenevano in mano i cesti vuoti. «È stata una stupidaggine» si infuriò la bambina. «È sangue impuro.» «Vieni» le ingiunse Arnisout indicando un punto di fronte a lui. L'artigliere era in piedi a fianco di un telaio usato per scuoiare le bestie. Una catena e un verricello erano attaccati a dei tronchi grossi come quelli usati per costruire le macchine da assedio. Dalle catene pendevano dei ganci sospesi sopra i canaletti di scolo scavati nel terreno. Ash uscì dalla pozza formata dalle interiora di porco e si avvicinò a Guillaume. Il sangue le aveva appiccicato i vestiti addosso e stava cominciando ad abituarsi al lezzo che ammorbava l'aria del mattatoio. «Prendi la spada» ordinò l'artigliere. Ash ubbidì. Era senza i guanti e l'elsa della daga rivestita di cuoio era diventata scivolosa. «Taglia» le disse Guillaume, calmo, indicando la vacca ancora viva appesa alla struttura. «Squartala.» Ash non era una santa, ma la cosa non le piaceva. «Fallo» le ordinò l'artigliere. Ash tentò un affondo, ma sentì che la spada era diventata improvvisamente pesante. La vacca roteò gli occhi e prese a lamentarsi freneticamente. Le contorsioni la fecero ondeggiare a destra e sinistra. Un rivolo di sterco le colò lungo i fianchi. «Non posso farlo» protestò Ash. «Non mi ha fatto nulla di male!» «Fallo!» Ash girò la lama con un gesto goffo e la spinse in avanti scaricando contro l'elsa tutto il peso del corpo come le avevano insegnato. La punta aprì la pancia della bestia che cominciò a muggire dal dolore. Un fiotto di sangue fuoriuscì dal taglio. Il sudore impediva ad Ash di stringere con forza l'arma e la daga scivolò fuori dalla ferita superficiale. La bambina fissò l'animale che era otto volte più grosso di lei, afferrò la
spada con entrambe le mani e compì un secondo tentativo lacerando un fianco della bestia. «Sei morta» la rimproverò Guillaume. Ash sentiva le lacrime che le salivano agli occhi. Si avvicinò ulteriormente al corpo caldo e ansimante, alzò la daga sopra la testa con entrambe le mani e la calò verso il basso. La lama trapassò la pelle e i muscoli penetrando nella cavità addominale. Ash impresse una torsione e cominciò a tirare verso il basso. Ebbe l'impressione di lacerare un tessuto. Una valanga di tubi rosa fumanti si riversarono sul terreno intorno ai suoi piedi. Ash continuò a scendere finché la lama non si incastrò in una costola. Cominciò a tirare, ma la carne sembrava richiudersi sulla lama. «Torci la spada. Usa il piede se è necessario!» le consigliò Guillaume. Ash appoggiò un ginocchio contro il collo della vacca premendolo contro un palo della struttura. Impresse una violenta torsione alla lama e riuscì a liberarla dall'osso. I lamenti della vacca echeggiavano nell'aria. Strinse nuovamente la spada con entrambe le mani e la abbatté sulla gola del bovino urlando. L'osso aveva intaccato la lama e lei si accorse dell'irregolarità perché l'arma fu percorsa da un tremito nello stesso istante in cui il fendente giungeva a segno. Prima che il sangue schizzasse fuori dal taglio colpendola in piena faccia ebbe modo di vedere uno spaccato di pelle, muscoli e arterie. Caldo. Il sangue è caldo, pensò, soddisfatta. «Adesso piangi!» Guillaume la girò e le diede un ceffone che avrebbe fatto male anche a un adulto. Ash scoppiò in lacrime, stupefatta. Pianse per circa un minuto quindi singhiozzò: «Non sono abbastanza grande per andare in prima linea!» «Non quest'anno.» «Sono troppo piccola!» «Queste sono lacrime di coccodrillo» la riprese Guillaume. «Ti ringrazio» aggiunse in tono grave, mentre dava una moneta di rame al macellaio. «Puoi ucciderla. Vieni, signorina. Torniamo al campo.» «La spada è sporca» disse Ash. Improvvisamente si sedette a gambe incrociate in mezzo alla pozza di sangue ed escrementi e scoppiò nuovamente a piangere. Cercò di riprendere fiato, ma riuscì solo a tossire. Il petto era scosso da violenti tremori. I capelli impastati di sangue le ricadevano sulle guance umide di pianto. Il moccio le colava dal naso. «Ah!» Guillaume la sollevò in piedi prendendola per la collottola. «Meglio. Adesso basta. Guarda là.»
Indicò un punto all'altro lato del cortile. Ash si tolse i vestiti e li gettò nell'acqua gelida della fontana, quindi cominciò a lavarsi. Il sole mattutino era caldo. Guillaume rimase a osservarla in piedi a braccia conserte. Ash continuò a pulirsi tenendo la spada a portata di mano e senza perdere di vista gli uomini che lavoravano al mattatoio. Pulì la spada per ultima, quindi chiese del grasso per evitare che la lama si arrugginisse. Quando ebbe terminato la manutenzione dell'arma i vestiti non erano più fradici, ma solo umidi. I capelli le pendevano sul viso simili a tante code di topo. «Torniamo al campo» disse l'artigliere. Ash uscì dal villaggio in compagnia di Guillaume e non le venne neanche in mente di provare a farsi adottare da una delle famiglie che abitavano nella cittadina. Guillaume la fissò negli occhi arrossati dal pianto. Il sole evidenziava lo sporco annidato tra le pieghe della pelle. «Se questo è stato facile» le disse «pensa che quella era una bestia e non un uomo. Non poteva minacciarti o implorare pietà e, cosa più importante, non stava cercando di ucciderti.» «Lo so» replicò Ash. «Ho già ucciso un uomo.» All'età di dieci anni rischiò di morire, ma non sul campo di battaglia. IV La prima luce del giorno prese a rischiarare il cielo e Ash si sporse oltre il parapetto della torre campanaria. Era ancora troppo buio per vedere il terreno che si trovava una dozzina di metri sotto di lei. Un cavallo nitrì. Un attimo dopo giunse la risposta dal centinaio di cavalli che formavano lo schieramento. Il canto di un'allodola echeggiò nell'aria del mattino. La vallata attraversata dal fiume cominciava a emergere dall'oscurità. Il caldo aumentava rapidamente. Ash indossava una maglia rubata a un uomo. Il puzzo del vecchio proprietario ne impregnava ancora il tessuto. La maglia le arrivava fino alle ginocchia e lei aveva usato la cintura della spada per stringerla all'altezza della vita. Il tessuto le proteggeva il collo, le braccia e gran parte delle gambe. Si strusciò le mani sulla pelle. Presto avrebbe fatto molto caldo. La luce continuava a farsi strada da est e le ombre si ritiravano a ovest. Ash colse un bagliore a due miglia di distanza.
Uno. Cinquanta. Mille? Il sole brillava sugli elmi, le corazze, le lance, i martelli e sulle punte delle frecce. «Si sono schierati e avanzano! Hanno il sole alle spalle!» Cominciò a saltare da un piede all'altro. «Perché il capitano non ci lascia combattere?» «Non voglio» disse Richard, un ragazzino dai capelli scuri che in quel periodo rivestiva l'incarico di suo amichetto particolare. Ash lo fissò stupefatta. «Hai paura?» Schizzò dall'altra parte della torre e si sporse per osservare i carri in cerchio della compagnia. Le lavandaie, le prostitute e le cuoche stavano fissando le catene che tenevano uniti i carri. La maggior parte di loro erano armate di lance e alabarde. Si sporse ulteriormente, ma non riuscì a vedere Guillaume. Il sole si levava rapido nel cielo. Ash si sforzò di vedere quello che stava succedendo sul pendio che portava alla riva del fiume. Qualche cavallo, i loro cavalieri con indosso le divise colorate, una bandiera con le insegne della compagnia e i soldati che marciavano armi alla mano. «Perché avanzano così piano?» domandò Richard. «Il nemico gli sarà addosso prima che siano pronti!» Ash si era irrobustita parecchio nel corso degli ultimi sei mesi, ma continuava a dimostrare non più di otto anni. La denutrizione giocava un ruolo fondamentale in questo ritardo. Cinse le spalle del ragazzino con un braccio. «Ci sono dei problemi. Non possono muoversi velocemente. Guarda.» Il terreno intorno al fiume era coperto da una fitta distesa di grano e papaveri che rallentava notevolmente la marcia dei soldati. Poco lontano dai fanti c'erano i cavalieri immersi in una distesa di papaveri. Richard si strinse ad Ash, pallido in volto. «Moriranno?» «Non tutti. Sempre che arrivi qualcuno ad aiutarli quando inizia la battaglia. Il capitano avrà pagato degli uomini, se ci è riuscito. Oh.» Ash sentì un crampo allo stomaco, infilò una mano tra le gambe, la ritrasse e vide che la punta delle dita era sporca di sangue. «Dolce Cristo Verde!» Ash strofinò le dita sulla maglia guardandosi intorno per essere sicura che nessuno l'avesse sentita imprecare. Erano soli. «Sei ferita?» chiese Richard, arretrando di un passo. «Oh. No» rispose Ash, molto più stupita di quanto dava a vedere. «Sono diventata donna. Le donne del campo mi avevano avvertita che prima o poi sarebbe successo.» Richard si dimenticò dei soldati e sorrise, dolce. «È la prima volta, vero? Sono contento per te, Ashy! Avrai un bambino?»
«Non adesso...» Ash fece ridere l'amichetto per distrarlo dalle sue paure, dopodiché si girò per tornare a fissare i campi che si stendevano ai piedi della torre. Il sole stava facendo evaporare la rugiada. «Guarda...» A circa un chilometro e mezzo di distanza da loro c'era il nemico. Gli uomini della Serena Sposa del Mare scendevano lungo il pendio inondato dalla luce del sole. Le bandiere rosse, blu, giallo e oro sventolavano qua e là sopra gli elmi. Si tolsero la baviera e la ventaglia dall'elmo per via del caldo 8 , ma erano ancora troppo lontani per distinguere i volti o le V rovesciate che coprivano la bocca e il mento. «Sono troppi, Ashy!» piagnucolò Richard. Lo schieramento della Serena Sposa del Mare si divise in tre parti. Un primo contingente piuttosto nutrito formò l'avanguardia. Dietro di esso si trovava il grosso dello schieramento dal quale spuntavano i vessilli, mentre la retroguardia era formata da un manipolo di uomini armati di alabarde e lance. Le prime file avanzavano lente. Il sole si rifletteva sugli elmi e sulle armi dei ronconieri. Ash sapeva che i ronconi9 erano usati anche dai contadini, ma non riusciva a immaginare come. Quelle armi servivano per disarcionare i cavalieri e spaccare le armature. Dietro i roncolieri c'erano i soldati armati di asce che davano l'impressione di essere un gruppo di contadini diretto a far legna... E gli arcieri. Tanti. Quasi troppi. «Tre battaglie.» Ash indicò, tenendo Richard per le spalle. Il ragazzino tremava. «Guarda, Dickon. Il primo schieramento. C'è una fila di roncolieri, una di arcieri, una di fanti, un'altra fila di arcieri, un'altra fila di roncolieri e ancora altri arcieri.» Una voce roca risuonò lontana. «Incoccare! Tirare!» Ash si grattò. Improvvisamente le era tutto chiaro e per la prima volta riuscì a dar voce a quello che nella sua testa si era sempre presentato come uno schema. Cominciò a parlare rapidamente. Era così eccitata che il ragazzino non 8
Parti dell'armatura che proteggevano il mento e la parte bassa del volto, composte da una serie di piastre metalliche articolate imbottite di velluto o di stracci che risultavano calde da indossare. 9 Roncone: arma in asta con lama variamente configurata ma sempre caratterizzata da un robusto uncino tagliente su entrambe le curve, l'interna e l'esterna (N.d.T.).
riusciva a seguirla. «I loro arcieri sono protetti dai fanti! Possono tirarci addosso una salva di frecce ogni sei battiti del cuore e noi non possiamo farci niente. Tuttavia dobbiamo provarci e finiremo tra le braccia dei roncolieri e dei fanti. Poi gli arcieri prenderanno le spade o si sposteranno sui fianchi per continuare a bersagliarci. Ecco perché li hanno posizionati in quel modo. Cosa possiamo fare?» «Se sei in svantaggio numerico non puoi impegnare il nemico separatamente. Forma un cuneo con la punta rivolta verso il nemico in modo che i tuoi arcieri possano tirare senza il rischio di colpire i compagni davanti a loro. Quando i loro fanti attaccheranno saranno costretti ad affrontare i fianchi del tuo schieramento. A quel punto usa la tua fanteria pesante per spezzare le loro fila.» Ash comprese alla perfezione la strategia. Non era la prima volta che le succedeva. Spesso si era sdraiata sull'erba dietro la tenda del capitano e lo aveva ascoltato esporre le sue tattiche agli ufficiali. Ci pensò sopra e disse: «Come possiamo farlo? Non abbiamo abbastanza uomini!» «Ashy» piagnucolò Richard. «Cosa abbiamo?» protestò Ash. «Gli uomini del grande duca sono pochi! E quelli che formano la milizia cittadina sanno appena da che parte si regge una spada. Due compagnie di riserva e noi.» «Ash!» strillò il ragazzino ad alta voce. «Ashy!» «Allora non radunare gli uomini perché diventerebbero facile bersaglio per gli arcieri nemici. Il nemico è fuori tiro. Devi muoverti veloce e attaccarlo.» Piantò le dita dei piedi negli interstizi tra i blocchi di pietra della torre senza guardare le bandiere che si avvicinavano. «Sono troppi!» «Smettila, Ashy. Smettila! Con chi stai parlando?» «Allora ti devi arrendere e implorare una pace.» «Non dirlo a me! Io non posso fare niente! Niente!» «Dirti cosa? Con chi stai parlando?» strillò Richard. Passarono diversi secondi nei quali non successe nulla, poi la compagnia di mercenari e le truppe del grande duca cominciarono a correre infrangendosi contro le linee nemiche. Le aste delle bandiere si piegarono in avanti e i petali dei papaveri strappati dagli steli si levarono in aria formando una nuvola rossa. Il clangore metallico delle armi e delle corazze, le voci roche degli ufficiali che urlavano gli ordini, il suono di una cornamusa e il battito degli zoccoli dei cavalli si levarono dal campo di battaglia.
«Hai detto 'Ti ho sentito!'» Ash fissò il volto rosso e bianco di Richard. «L'hai detto. Ti ho sentita. Chi era?» Lo schieramento del grande duca si infranse e gli uomini formarono dei piccoli gruppetti intorno alle bandiere e agli stendardi. Ora non avevano nessuna possibilità di formare un cuneo. Il grosso delle truppe della Serenissima Sposa del Mare cominciò ad avanzare e l'aria venne pervasa dal sibilo delle frecce. «Ma qualcuno ha detto...» Un'esplosione frantumò una grossa sezione del parapetto. Ash venne investita da una pioggia di schegge. Sentì il sangue che le colava dal labbro. Si toccò il naso con le dita tremanti e urlò dal dolore. Un boato fece tremare il cielo ripercuotendosi in tutto il corpo di Ash, che si toccò le tempie. Le fischiavano le orecchie, lacrime di terrore solcavano le guance del piccolo Richard che strillava terrorizzato, ma lei non riusciva a sentirlo. Un lato del parapetto crollò. Ash rischiò di cadere nel vuoto, ma riuscì a buttarsi carponi nel momento stesso in cui un grosso blocco di pietra volava via. Un attimo dopo un secondo boato fece tremare l'aria. L'esplosione fu tanto violenta che lei riuscì a sentirla malgrado la prima l'avesse quasi assordata. Il ragazzino stava in piedi di fronte ad Ash con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le gambe tremanti. Sul davanti dei pantaloni era comparsa una larga macchia di urina. Richard si sedette. Ash lo fissò, ma nei suoi occhi non c'era disprezzo: a volte, rimanere fermi sul posto e farsi la pipì addosso è l'unica reazione sensata. «Usano i mortai! Buttati a terra!» Sperò di essere riuscita a urlare. Prese il ragazzino per un braccio e cominciò a trascinarlo verso i gradini della scala. Le schegge di pietra le graffiavano le ginocchia ed era accecata dalla luce del sole. Si lasciò cadere all'interno della torre battendo la testa contro la parete delle scale. Richard le diede un calcio in bocca senza volerlo. Ash scese le scale a rotta di collo imprecando ad alta voce. Uscì dalla torre e andò a ripararsi nel cerchio dei carri. Non sentiva più il boato delle artiglierie. Si girò e vide che la torre del monastero era stata ridotta a un cumulo di macerie dal quale si levava una densa nuvola di polvere che stava oscurando il sole. Quarantacinque minuti più tardi i carri vennero catturati dal nemico.
Ash corse al fiume. Il campo di battaglia era costellato di corpi. L'odore era così forte da far ondeggiare l'aria. Si premette la manica della maglia sulla bocca e sul naso e cercò di non calpestare i visi dei morti. I contadini stavano spogliando i cadaveri dei loro averi. Ash si nascose tra le spighe di grano tinte di rosso. Si era scottata il naso e le guance sotto il caldo sole estivo e ora sentiva che anche i polpacci cominciavano ad arrossarsi malgrado fossero protetti dai pantaloni. Si alzò in piedi e si infilò il cappello di paglia. Il lezzo di escrementi la fece vomitare ma lei se ne rese appena conto. «Bartolomeo! Bartolomeo!» pianse un ferito, quindi cominciò a implorare l'uomo che trascinava il carretto per raccogliere i corpi, ma questi passò oltre scuotendo la testa. Non c'era nessun segno di Richard o degli altri. I raccolti erano bruciati per più di un chilometro. I corvi banchettavano con i corpi infilando i becchi negli interstizi delle armature. Sul campo non c'erano più tracce di bombarde o armature in buono stato. Dovevano essere state portate via o razziate. Ash corse al campo. Vide Richard in compagnia delle lavandaie. Il ragazzino la intravide a sua volta e corse via. Ash rallentò, si girò e tirò violentemente il vestito di uno degli artiglieri e, senza realizzare quanto fosse assordata, urlò: «Dov'è Guillaume Arnisout?» «È stato buttato nella buca della calce.» «Cosa?» L'uomo scrollò le spalle. «È morto e l'hanno sepolto nella calce.» Ash non seppe cosa dire. «No,» si intromise un secondo uomo che si trovava vicino a un fuoco «l'hanno fatto prigioniero.» «Ma va, aveva un foro grosso così nello stomaco» disse un terzo uomo allargando le mani. «Ma non sono stati gli uomini della Serenissima, deve essere stato uno degli uomini del duca a cui doveva dei soldi.» Ash si allontanò dal fuoco. Non importa dove venisse eretto, ma il campo rimaneva sempre lo stesso. Si diresse verso uno di quei punti del campo che frequentava di meno: il centro. Ora era pieno di stranieri in armi. Finalmente vide un volto noto. Era uno degli aiutanti di campo del capitano. Lo conosceva di vista, ma non di nome. Gli artiglieri lo chiamavano lo scendiletto e Ash era abba-
stanza grande per capire come mai si fosse guadagnato quell'appellativo. L'ufficiale biondo indossava una cotta verde bordata d'oro sopra l'armatura e sembrava infastidito. «Guillaume Arnisout?» si passò una mano tra i capelli folti e mossi. «È tuo padre?» «Sì» mentì Ash, senza esitare. Era una cosa che aveva imparato a fare da tempo. «Lo voglio! Dov'è?» L'ufficiale consultò una lista. «Arnisout. Eccola qua. È stato fatto prigioniero. I capitani si stanno parlando. Immagino che ci scambieremo i prigionieri tra poche ore.» Ash lo ringraziò cercando di essere il più gentile possibile, quindi tornò al limitare del campo e attese. Scese la sera. Il puzzo dolciastro dei cadaveri ammorbava l'aria. Guillaume non era ancora tornato. Nel campo avevano cominciato a circolare le voci più disparate. C'era chi sosteneva che fosse morto per le ferite e chi diceva che avesse contratto la peste nel campo del nemico. Altri erano convinti che fosse passato dalla parte della Serenissima con il grado di comandante delle artiglierie per il doppio della paga. Infine qualcuno era convinto che fosse scappato con una nobildonna e si fosse nascosto in una tenuta in Navarra. (Ash passò alcune settimane a sperare che fosse andata veramente così, ma dopo sei mesi perse ogni illusione.) Al tramonto i prigionieri camminavano confusi tra le tende del campo. Non erano abituati a muoversi disarmati. Gli ultimi sprazzi di sole indoravano il sangue e i papaveri. L'aria era calda. Ash si abituò in fretta al puzzo dei cadaveri in decomposizione. Richard sgattaiolò vicino ad Ash che si stava facendo medicare le caviglie da una delle lavandaie. «Quando lo sapremo?» chiese Richard, fissandola in cagnesco. «Cosa ci faranno?» «A noi?» Ash aveva ancora le orecchie che fischiavano. «Facciamo parte del bottino» borbottò una lavandaia. «Forse ci venderanno a qualche bordello.» «Sono troppo giovane!» protestò Ash. «No.» «Sei un demonio!» urlò il ragazzino. «I demoni ti hanno detto come farci perdere! Tu senti le voci dei demoni! Finirai sul rogo!» «Richard!» Il bambino corse via. «Porca miseria! È troppo carino» commentò improvvisamente la lavan-
daia, maligna. Tirò giù del tutto i pantaloni di Ash. «Non vorrei essere in lui o in te. Hai un bel visino, ma ti bruceranno se senti le voci?» Ash piegò la testa all'indietro per fissare il firmamento. Non era euforica come le capitava di solito dopo un grande sforzo. Aveva mal di stomaco, le ginocchia sbucciate, si era strappata un'unghia di un piede e sentiva tutti i muscoli indolenziti. «Non delle voci. Una voce.» Spinse con un piede la tazza di terracotta piena d'olio. «Forse era il dolce Cristo o un santo.» «E una come te sente le voci dei santi?» ringhiò incredula la donna. «Sgualdrinella!» Ash si passò il dorso della mano sul naso. «Forse è stata una visione. Guillaume ne ha avuta una. Ha visto il Morto Benedetto combattere al nostro fianco a Dinant.» La lavandaia si girò per andarsene. «Spero che i soldati della Serenissima ti guardino bene e ti facciano scopare dagli uomini che svuotano i pozzi neri!» Ash prese la scodella con un gesto rapido e si preparò a lanciarla. «Puttana sifilitica!» Una mano sembrò apparire dal nulla e strinse la sua. Ash emise un umiliante grido di dolore e lasciò cadere la scodella. «Donna,» ringhiò il soldato della Serenissima «va' al centro del campo. Ci stiamo spartendo il bottino. Sbrigati! Anche tu, piccolo mostro sfregiato!» La lavandaia corse via ridendo seguita dal soldato. «Senti delle voci, piccola?» le chiese improvvisamente una donna a fianco del carro. Aveva il volto tondo e pallido come la Luna. Il cappello che le fasciava la testa era tanto stretto da non lasciare vedere i capelli. Il corpo voluminoso era avvolto in una tunica grigia stretta in vita da una cintura dalla quale pendeva la Croce di Rovi. Ash si pulì nuovamente il naso piagnucolando. Un sottile filamento di moccio chiaro le pendeva tra la narice e la manica. «Non lo so! Cosa vuol dire che 'sento le voci'?» La donna dal volto pallido la fissò con sguardo avido. «Gli uomini della Serenissima non parlano di altro. Credo che stiano cercando proprio te.» «Cercano me?» Ash ebbe l'impressione che qualcuno le avesse stretto il costato. Una mano bianca e sudaticcia la prese per la mascella e le girò il volto.
Ash cercò di liberarsi dalla presa, ma non ci riuscì. La donna la studiò attentamente. «Se si tratta veramente di un messaggio del Cristo Verde, essi vorranno sfruttare la tua capacità a loro vantaggio. Se è un demone ti esorcizzeranno, ma potresti aspettare fino al mattino, perché per la maggior parte sono già ubriachi, a quest'ora.» Ash ignorò la stretta della donna e la paura. «Sei una suora?» «Sì, appartengo all'ordine delle Sorelle di Santa Herlaine. Il nostro convento è vicino a Milano10 . Non è molto lontano da qua.» La donna la lasciò andare. Il tono di voce era duro. Ash pensò che la donna non dovesse essere nata da quelle parti. Come tutti i mercenari anche lei aveva imparato le basi di tutte le lingue che aveva sentito parlare. «Hai bisogno di mangiare, piccola. Quanti anni hai?» le chiese la suora. «Nove. Dieci. Undici.» Ash si passò una manica sul mento. «Non lo so. Ricordo il grande uragano. Ho dieci anni. Forse nove.» Gli occhi della donna si illuminarono. «Sei una bambina e denutrita, per 10
Le prove suggeriscono che non si tratti di uno dei contratti che la compagnia dei Griffin dorati ha stipulato con i duchi di Borgogna. La battaglia descritta in queste pagine non può essere né quella di Dinant (1925 agosto 1466) né quella di Brustem (28 ottobre 1467). Io penso che si tratti della battaglia di Molinella (Italia, 1467) svoltasi nel corso della guerra tra il duca Francesco Sforza di Milano e le truppe della Serenissima Repubblica di Venezia guidate da Bartolomeo Colleoni, al quale è stato erroneamente accreditato il merito di essere stato il primo a impiegare l'artiglieria in battaglia. I dati sulla battaglia sono piuttosto oscuri a causa del commento cinico di Niccolò Machiavelli, che qualche anno dopo argomentò sulle 'guerre senza spargimenti di sangue' dei mercenari italiani sostenendo che a Molinella ci fu solo un morto a causa di una caduta da cavallo. Fonti più attendibili affermano che ci furono seicento morti. Il codice di Winchester venne scritto intorno all'AD 1495, circa vent'anni dopo la battaglia e diciannove anni dopo la redazione degli scritti più importanti riguardanti la vita di Ash (redatti tra il 1476 e il 1477). Alcuni dettagli della battaglia descritti in queste pagine fanno pensare all'ultimo scontro della Guerra delle Rose, la battaglia di Stoke (1487). Forse questa biografia venne scritta da un soldato inglese che si fece monaco e si ritirò nel convento di Winchester e narrò quello che aveva visto nella battaglia di Stoke piuttosto che in quella di Molinella.
giunta. Nessuno si è mai preso cura di te, giusto? Forse è stato allora che i demoni sono riusciti a entrare. Questo campo non è adatto a una bambina.» Le lacrime le bruciavano gli occhi. «È casa mia! Non ho i demoni!» La donna le prese il volto tra le mani. «Sono Sorella Ygraine. Dimmi la verità. Chi è che ti parla?» «Niente e nessuno, Soeur! C'eravamo solo io e Richard.» Sentì un brivido gelato che dal collo le scendeva fino alle spalle. Le parole di una preghiera al Cristo Verde le morirono in bocca. Cominciò ad ascoltare. Il respiro roco della suora. Lo scoppiettio del fuoco. Il nitrito di un cavallo. Le canzoni e le urla degli ubriachi. Non sentì nessuna voce compassionevole che le parlava nella mente. Nel centro del campo scoppiò un trambusto e Ash sussultò. Dei soldati passarono di corsa vicino a loro diretti verso il punto in cui si era radunata una piccola folla. In un carro nelle vicinanze un ferito chiamava la madre urlando. Il sole era scomparso quasi del tutto. Le scintille che si levavano dai fuochi da campo cominciarono a balenare nel cielo. Le fiamme erano altissime e rischiavano di bruciare le tende. «Stanno saccheggiando il campo» disse la suora. «Siamo prigionieri. Cosa ci succederà ora?» chiese Ash ad alta voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Licenziosità, ubriachezza e libertinaggio...» Ash si tappò le orecchie con le mani, ma la voce proseguì: «... la notte dopo la battaglia i comandanti non possono controllare i propri uomini. È in notti come questa che una persona può essere uccisa anche solo per divertimento.» Sorella Ygraine posò le mani sulle spalle di Ash, che tolse le sue dalle orecchie. Il borbottio che proveniva dallo stomaco le fece capire che aveva fame e che non mangiava ormai da dodici ore. La suora continuò a fissarla come se nessuna voce avesse parlato. «Io...» Ash esitò. In quel momento nella sua mente non c'erano né voci né silenzio, solo un grande potenziale per parlare. Era come avere un dente che non è ancora spuntato del tutto, ma che spinge all'interno della gengiva. Il pensiero di quanto la sua anima potesse sentirsi sola nel suo corpo le provocò molta tristezza e provò una grande paura. «Non sento nessuna voce» balbettò improvvisamente. «Non sento niente. Niente! Ho mentito a Richard perché pensavo che sarei diventata famosa. Volevo solo farmi notare!»
La donna si girò e cominciò ad allontanarsi a grandi passi tra i fuochi da campo e gli ubriachi. «Portami al sicuro. Non lasciare che mi facciano del male, ti prego!» urlò Ash a squarciagola.
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra) Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street, London W14 OAB, U. K. Fax:JJJJJJJ E-mail:JJJJJJJ Tel:JJJJJJ
Anna Longman Editore JJJJUniversity Press JJJJJJJJ JJJJJJ JJJJJJJ 9 ottobre 2000
Copia della corrispondenza originale intratteunuta tra il dott. Ratcleff e il suo editore trovata ta le pagine del testo. Che siano state inserite seguendo l'ordine di pubblicazione?
Carissima Anna, È stato bello poterti finalmente incontrare di persona. Penso che svolgere il lavoro di editing sezione per sezione con te sia senza dubbio la cosa più saggia da fare, considerando il volume di materiale a disposizione, la data di pubblicazione proposta (il 2001) e il fatto che sto affinando la traduzione. Appena avrò stabilito un'adeguata connessione in rete potrò spedirti direttamente le pagine. Sono felice che tu sia rimasta soddisfatta del lavoro che ho svolto fino a questo momento. È ovvio che posso tagliare sulle note a piè di pagina. È gentile da parte tua ammirare la mia 'tecnica di distacco letterario' in riferimento al cattolicesimo del quindicesimo secolo, quando uso termini come il 'Cristo Verde' e la 'Croce di Rovi'. Questa è una delle tecniche che uso per impedire al lettore di imporre i suoi preconcetti sulla vita medievale. È una traduzione diretta dal Latino volgare del Medio Evo e dalle
prime fonti mitriache. Non dovremmo preoccuparci più di tanto perché questa parte è chiaramente legata alle leggende che circolano sulla fanciullezza di Ash (il leone sovrannaturale e via discorrendo). Gli eroi sono sempre circondati da un alone di leggenda e devo dire che tale alone diventa molto più ampio quando si tratta di una donna. Forse il Codice di Winchester vuole farci riflettere sulla scarsa cultura di Ash da bambina. A un'età che variava tra gli otto e i dieci anni, Ash conosceva solo i campi, i boschi, le tende, le armature, le lavandaie, i cani, i soldati, le spade, i santi e i leoni. La compagnia mercenaria. I nomi di colline, fiumi e città non avevano alcuna importanza per lei. Come poteva sapere che anno fosse? Per lei le date non significavano nulla.
Tutto ciò cambia nella prossima sezione: la vita di Ash scritta da del Guiz. Proprio come il curatore dell'edizione del 1939, Vaughan Davies, io mi sto servendo della versione originale in tedesco della vita di Ash ad opera di del Guiz, pubblicata nel 1516. (A causa delle natura rivoluzionaria degli scritti, il testo venne ritirato immediatamente e pubblicato, epurato, nel 1518.) Eccettuati alcuni errori di stampa, questa copia è in linea con le rimanenti edizioni del 1516 della Vita (le copie sono custodite nella British Library, al Metropolitan Museum of Art, al Kunsthistorisches Museum di Vienna e al Glasgow Museum). Oggi, io ho un gran vantaggio nei confronti di Vaughan Davies che pubblicava nel 1939: posso essere esplicito. Ho fatto ricorso allo slang specialmente nei dialoghi per meglio rappresentare le differenze sociali del periodo. Inoltre i soldati di quell'epoca erano notoriamente sboccati. Quando Davies traduce letteralmente: 'per le ossa di Cristo', tale imprecazione non ha alcun effetto sul lettore di oggi. Per questo motivo mi sono avvalso del gergo moderno e temo che Ash pronuncerà
un gran numero di parolacce. Per quanto riguarda la tua obiezione sul fatto di far ricorso a diverse fonti, la mia intenzione non è quella di seguire il metodo di Charles Mallory Maximillian. Sebbene ammiri moltissimo la sua edizione del 1890 della vita di Ash, nella quale egli tradusse i vari codici e documenti in latino, lasciando che fossero gli autori di tali scritti a narrare lo svolgersi delle vicende, io penso che non si possa chiedere tanto al lettore moderno. Intendo seguire il metodo di ricerca biografica di Vaughan Davies e spingere i vari autori a creare una versione coerente della vita di Ash. È ovvio che le differenze tra i testi dovranno essere appianate ricorrendo ad adeguate disquisizioni accademiche. Comprendo che troverai sorprendente parte del nuovo materiale che ho trovato, ma ricorda che si tratta di quello che la gente di quel tempo pensava gli stesse accadendo. E se terrai a mente le più grandi alterazioni al nostro modo di vedere la storia una volta che avremo pubblicato Ash: la storia perduta della Borgogna, forse ti renderai conto che non bisogna mai sottovalutare nulla. Con affetto, Pierce
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra) Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street, London W14 OAB, U. K. Fax:JJJJJJ E-mail:JJJJJJ Tel:JJJJJJJ
Anna Longman Editore JJJJUniversity Press JJJJJJ JJJJJ JJJJJJ 15 ottobre 2000
lettera precedente di A. Longoman è mancante?
Carissima Anna, Sebbene le mie conclusioni sconvolgeranno completamente le loro, mi sento molto fortunato per il fatto di poter rintracciare passo dopo passo la vita accademica di quei due studiosi. Quando ero a scuola, Ash: una biografia, era considerato un testo fondamentale! Ma il mio amore per quel personaggio è molto più antico. Lo ammetto, risale ad: Ash: la vita di un capitano mercenario donna nel Medio Evo, di Charles Mallory Maximillian. Prendi, per esempio, come Mallory tratta la Borgogna medievale, regno unico per il periodo in cui è sorto. Sebbene i più grandi riferimenti alla vita di Ash compaiano in testi germanici, le sue gesta sono spesso accomunate a quelle dei potenti regnanti borgognoni. Eccoti la descrizione completa di CMM scritta nel 1890: La storia di Ash in un certo qual modo è la storia di quella che potremmo definire la Borgogna
'perduta'. Tra tutti i regni dell'Europa Occidentale la Borgogna - questo fulgido sogno di cavalleria - è quello che durò meno a lungo, ma la sua fiaccola arse con maggior intensità rispetto a quella degli altri regni. Sotto i suoi quattro duchi e il governo nominale del re di Francia, la Borgogna divenne l'ultimo e più grande regno del Medio Evo, consapevole, già al momento della sua nascita, di rifarsi a un'altra epoca. Il culto arturiano del duca Carlo è, per quanto strano possa sembrare a noi abitanti di questo mondo fumoso e industriale, un tentativo di risvegliare i più alti ideali della cavalleria in quella terra di cavalieri in armatura, principesse che abitavano castelli da favola, donne di incredibile bellezza e compitezza. Sebbene anche la Borgogna fosse corrotta, i suoi regnanti pensavano che il quindicesimo secolo fosse molto distante dagli ideali dell'Era Classica dell'Oro, e che solo una rivalsa delle virtù di coraggio, onore, pietà e rispetto potesse restituire una certa integrità morale al loro tempo. Pur non avendo previsto l'invenzione della stampa, la scoperta del Nuovo Mondo e il Rinascimento, fatti e scoperte che sarebbero avvenute solo nel corso degli ultimi vent'anni del loro secolo, la Borgogna riuscì in qualche modo a prendervi parte. Questa, allora, è la Borgogna che svanisce dalla memoria e dalla storia nel gennaio del 1477. Ash, una Giovanna d'Arco borgognona, muore in uno scontro. Il duca coraggioso viene ucciso dai suoi arcinemici di sempre, gli Svizzeri, sul campo di battaglia di Nancy e vi giace due o tre giorni prima che sia possibile riconoscere il suo corpo, perché i fanti l'avevano spogliato dei suoi abiti e così, come ci spiega Commine, ci vollero tre giorni prima che il re di Francia potesse tirare un gran sospiro di sollievo e disporre delle terre dei nobili borgognoni. Fu allora che la Borgogna scomparve.
Tuttavia, se si studiano le prove, è chiaro che la Borgogna non scomparve del tutto. Simile a un torrente che si tuffa tra le profondità della terra, il sangue di Carlo l'Intrepido scorre attraverso la storia dell'Europa diventando Asburgo per matrimonio, fondendosi con l'impero Austro-Ungarico che - pur essendo un gigante che sta invecchiando - sopravvive ancora ai nostri giorni. Quello che possiamo dire è che ricordiamo la Borgogna come una terra perduta e dorata. Perché? Che cosa stiamo ricordando? Charles Mallory Maximillian (ed.), Ash: vita di un capitano mercenario del Medio Evo, J Dent & Sons, 1890; ristampe 1892, 1893, 1896, 1905. Ovviamente CMM è uno studioso minore pieno di romanticismo vittoriano e il mio lavoro non dipende dalle sue traduzioni. Ironia della sorte, anche se è più inaccurata, la sua storia è molto più piacevole da leggere rispetto alle storie a sfondo sociologico che la seguirono. Io voglio provare a sintetizzare storia e accuratezza sociologica con il lirismo di CMM. Spero che sia possibile farlo. Ciò che egli sostiene è del tutto fittizio certo l'insieme di contee e ducati che componevano l'antica Borgogna 'svanì dalla storia', per così dire (non prima che Ash avesse combattuto nelle battaglie più importanti.) È vero comunque che ben poco venne scritto sulla Borgogna dopo il suo collasso nell'anno 1477. Ma è stato il lirismo nostalgico per la 'Borgogna perduta' di CMM, una sorta di interstizio magico nella storia, ad affascinarmi. Rileggerlo, Anna, mi ha fatto capire che avevo trovato ciò che era 'perduto' e mi ha fatto intuire esattamente ciò che implica tale scoperta. Troverai in allegato alla presente la traduzione completa della
Prima Parte dell'opera di del Guiz: Fortuna Imperatrix Mundi. Una precisazione: sebbene la maggior parte del manoscritto che ho trovato, Fraxinus, copra gli eventi degli ultimi mesi del 1476, sono in grado di usare parte di tali documenti per gettare luce su alcuni eventi descritti nei testi già esistenti, a partire dal momento in cui il del Guiz comincia a descrivere la vita adulta di Ash a partire dal giugno di quell'anno. Scoprirai che vi sono delle sorprese anche in queste 'vecchie carte' che possono eludere CMM e Vaughan Davies! Comprendo che tu debba presentarti alla riunione con i tuoi capi con tutte le informazioni possibili riguardo la 'nuova teoria storica' che ho evinto dal Fraxinus. Per diverse ragioni tecniche temo di non poter rivelare i dettagli. Con affetto, Pierce
PARTE PRIMA 16 GIUGNO AD 1476 [?] - 1 LUGLIO AD 1476 Fortuna Imperane Mundi11 I «Giù le ventaglie, signori!» ordinò Ash. Il clangore metallico delle visiere che si abbassavano echeggiò lungo tutta la fila di cavalieri. Robert Anselm finì di agganciare il guardacollo e la baviera. «Il nostro signore non ci ha detto di attaccarli, capo...» Ash indicò con un dito e disse: «E chi se ne frega! È una buona occasione e non dobbiamo lasciarcela scappare!» Eccettuata Ash, Anselm era l'unico cavaliere che avesse un'armatura completa. Gli altri ottantuno indossavano elmi, piastroni, armature di scarsa qualità o i brigantini, giubbe a cui erano state applicate delle piastre metalliche. L'unica sezione d'armatura di ottima qualità indossata da tutti quei mercenari erano le protezioni per le gambe, perché erano le più esposte agli attacchi. «In formazione.» Ash sentì che il suo tono di voce era ovattato a causa dei capelli che aveva raccolto in una treccia per poi ripiegarla contro l'imbottitura dell'elmo. Non aveva un timbro profondo come quello di Anselm. La sua voce acuta si levava al di sopra del fragore della battaglia e solo il rombo dei cannoni poteva coprirla. Gli uomini di Ash sentivano sempre gli ordini del loro comandante. Ash sistemò a sua volta la baviera e il guardacollo lasciando la ventaglia alzata per poter vedere meglio. I cavalieri si affollavano intorno a lei simili a una massa ribollente. Gli zoccoli dei cavalli avevano ormai rivoltato il terreno della collinetta sulla quale si trovavano. I suoi uomini, la sua compagnia: in sella a castrati di buona qualità. Ai piedi del pendio si ergeva una gigantesca città fatta di tende e carri. All'interno dell'insediamento c'erano trentamila uomini, donne e animali: l'esercito borgognone. Giravano voci certe sul fatto che il campo fosse abbastanza esteso da ospitare due mercati... 11
'La dea Fortuna è l'imperatrice di questo mondo.'
La vastità dell'accampamento rendeva quasi impossibile scorgere le mura della città assediata. Neuss, una cittadina che sorgeva sulle rive del Reno, grande un decimo dell'installazione militare che la attorniava, resisteva precariamente all'interno del suo fossato e dei cancelli ormai ridotti a macerie. Alle sue spalle si innalzavano le verdi colline della valle del Reno. Ash abbassò leggermente la ventaglia per ripararsi dal sole. Un gruppo di una cinquantina circa di cavalieri si muoveva tra il campo borgognone, Neuss e il loro campo imperiale che, in teoria, era stato eretto per salvare la cittadina. Ash riuscì a scorgere la croce di sant'Andrea, due braccia rosse che si incrociavano diagonalmente, spiccare sulle divise dei soldati borgognoni. Robert Anselm fece girare il baio e prese con la mano libera lo stendardo della compagnia: il Leone Azzurro in campo dorato12 . «E se fosse un'imboscata, capo?» Nel profondo dello stomaco di Ash ribollivano paura e attesa. Godluc, il 12
Vale la pena notare il termine usato dall'Angelotti nel suo manoscritto quando si riferisce allo stendardo da battaglia: oro, un leone azzurro che passa guardingo (un leone blu che cammina a sinistra del punto in cui lo si vede con una zampa sollevata) è inusuale. Di solito in araldica la fiera che passa guardinga non è il leone, ma il leopardo. Io penso che Ash pensasse a se stessa come a un leone per motivi religiosi. Lo stendardo riprodotto nel manoscritto dell'Angelotti, uno stendardo affusolato a coda di rondine lungo due metri, riporta il simbolo del comandante della compagnia e una versione del grido di battaglia 'Frango regna!': 'Distruggo i regni!' - come anche i simboli delle diverse campagne in Germania, Italia, Inghilterra e Svizzera. Sulla bandiera personale di Ash, un rettangolo con impresso il suo simbolo, un leone azzurro affronté, (un leone azzurro con il volto rivolto verso chi guarda in campo oro) dovrebbe essere riprodotta solo la testa del felino (solo quella e basta). Il termine più corretto sarebbe un leopardo azzurro in campo oro. È chiaro che la divisa della compagnia è dorata con il simbolo del leone. Questa combinazione di blu e oro è caratteristica dell'est della Francia e della Lorena, ma anche della Francia in generale, dell'Inghilterra, dell'Italia e della Scandinavia, in contrasto con i motivi neri e oro tipici della Germania. Non sono riuscito a trovare nessun riferimento all'Oro o a un leopardo con il muso azzurro, né a un leopardo azzurro, se non nelle vicende di Ash.
grosso castrato grigio che cavalcava, si mosse come per rispondere alle sensazioni della padrona. Come le succedeva sempre nel caso ci fosse il rischio di un'imboscata, ebbe l'impressione che il tempo passasse più veloce e sentì la necessità di prendere una decisione. «No, non si tratta di un trucco. Sono troppo fiduciosi. Cinquanta uomini a cavallo - quella è solo una scorta. Pensano di essere al sicuro. Pensano che non li attaccheremo perché non abbiamo più fatto nulla dall'ultima visita dell'imperatore Federico tre settimane fa.» Calò la mano guantata sul pomello della sella e si girò verso Anselm sogghignando. «Dimmi quello che non vedi, Anselm.» «Non vedo fanteria, balestrieri, archibugi e non vedo arcieri - non ci sono gli arcieri!» Ash non riusciva a smettere di sghignazzare. «Vedo che hai capito. Quando mai ci è capitato uno scontro di cavalleria puro e semplice, solo cavalieri contro cavalieri, in una guerra?» «Senza il rischio di essere sbalzati dalla sella da una freccia?» Corrugò la fronte. «Sei sicura?» «Se non rimaniamo qua con le mani in mano possiamo beccarli allo scoperto. Sono troppo lontani per tornare al loro campo. Andiamo.» Anselm annuì, compiacente. Ash socchiuse gli occhi e inclinò la testa verso il cielo. L'armatura era bollente e Godluc sudava copiosamente sotto la bardatura blu. Il mondo puzzava di cavallo, sterco, lubrificante per armature e dalla città di Neuss, dove erano ormai sei settimane che mangiavano topi e gatti, si levava un fetore insopportabile. «Finirò cotta viva se non mi tolgo questo affare in fretta, andiamo!» Abbassò il braccio. Robert Anselm fece scattare in avanti il cavallo e alzò lo stendardo. Ash spronò Godluc oltre la selva di lance sollevate e si pose alla testa dei suoi uomini, con il suo luogotenente che trottava qualche passo dietro di lei. Premette i fianchi del cavallo facendolo passare dal trotto al piccolo galoppo. Il cambio di velocità le provocò un fremito in tutto il corpo e fece sferragliare le giunture dell'armatura di fabbricazione milanese. Il vento penetrò nella celata lasciandola senza fiato per qualche secondo. Gli zoccoli ferrati dei cavalli facevano tremare il suolo sollevando grosse zolle di terra. L'intensità del rumore divenne intollerabile. I suoi uomini acquistarono velocità e scesero giù dal pendio continuando a galoppare a rotta di collo per la pianura. Dolce Cristo, pensò Ash, fa che non mi sia
sbagliata! Pregò perché nessuno dei cavalli inciampasse nella tana di un coniglio. Vide gli stendardi dei nemici. Che il diavolo mi prenda, pensò, quello non è uno qualunque. Si tratta del duca Carlo di Borgogna in persona! Il sole brillava sulle armature dei cavalieri borgognoni e sulle punte delle lance. Ash non aveva più tempo per pensare alla tattica. Avrebbero dovuto cavarsela con l'addestramento che avevano fatto durante la stagione morta. Lanciò una rapida occhiata a destra e a sinistra per guardare i cavalieri che la stavano raggiungendo. Gli elmi le impedivano di riconoscere Euen Huw, Jocelyn Van Mander o Thomas Rochester, gli uomini al comando delle lance13 che formavano la compagnia. Ormai c'era solo una selva di lance abbassate in posizione d'attacco. Abbassò la sua lancia. Aveva il guanto umido di sudore. I sussulti decisi del cavallo la scossero violentemente malgrado avesse una sella dallo schienale alto. Lo schiocco della bardatura e il clangore metallico dell'armatura del cavallo l'assordarono, ma poteva ancora sentire gli odori e il sapore metallico della sua armatura simile a quello del sangue. Lanciò Godluc al galoppo e tutto sembrò rallentare. «Cinquanta uomini a cavallo con corazza completa. Io ne ho ottantuno con corazza media.» «Come è armato il nemico?» «Lance, mazze, spade. Non ci sono archi o balestre.» «Carica il nemico prima che venga raggiunto dai rinforzi.» «Cosa diavolo pensi che stia facendo?» urlò allegramente Ash, rivolgendosi alla voce nella sua testa. «Avanti! Per il Leone! Per il Leone!» Alzò il braccio libero e diede l'ordine di caricare. «Un leone!» sbraitò Robert Anselm, che si trovava a mezza lunghezza di distanza da lei, alzando l'asta della bandiera sopra la testa. Metà dei cavalieri l'avevano superata e avevano perso quasi del tutto la formazione. Era troppo tardi per cercare di ricompattare i ranghi. Che vadano pure, pensò, così impareranno a non stare con la bandiera! Passò le redini intorno al pomello della sella e chiuse la ventaglia dell'elmo con un gesto automatico della mano, riducendo il proprio campo visivo a una fessura. Le bandiere borgognone sussultarono violentemente. 13
Per lancia si intende un gruppo di combattimento capeggiato da un cavaliere o da un uomo d'arme assistito da più gregrari a cavallo o a piedi (N.d.T.).
«Ci hanno visti!» Non le fu immediatamente chiaro quello che voleva fare il nemico. Si stava raggruppando intorno a un uomo? Scappava? Stava per lanciarsi al galoppo verso il loro campo? Tutte e tre le cose contemporaneamente? Qualche attimo dopo quattro cavalieri borgognoni si riunirono e si lanciarono al galoppo verso di lei. L'interno dell'armatura di Ash era madido di sudore e la luce del sole contro il cielo azzurro l'accecava. Quei quattro uomini, pensò, stanno galoppando verso di me su dei cavalli che pesano tre quarti di tonnellata l'uno, protetti dall'armatura, brandendo lance con delle punte lunghe quanto la mia mano. Quando mi colpiranno a quella velocità penetreranno l'armatura e la mia carne come se fossero un foglio di carta. Ebbe una fugace visione della punta di una lancia che le trapassava la testa. Uno dei quattro cavalieri borgognoni abbassò la lancia sistemandola nell'alloggiamento dell'armatura. L'elmo era decorato da una vistosa piuma bianca di struzzo e la feritoia della ventaglia era così stretta da impedire la vista degli occhi. La punta della lancia era diretta contro di lei. Ash cadde preda di un sinistro senso d'esaltazione. Spostò il peso sulla sella. Godluc rispose immediatamente al segnale scartando bruscamente a destra, mentre lei abbassava la lancia. La punta penetrò il collo dello stallone grigio del primo cavaliere. L'impatto fu talmente violento da strapparle l'arma di mano. Il cavallo ferito crollò sulle zampe anteriori catapultando il cavaliere sotto gli zoccoli di Godluc, che, essendo un cavallo da guerra, non incespicò e continuò per la sua strada come se non fosse successo niente. Ash afferrò la mazza e la calò violentemente sull'elmo del secondo cavaliere. Sentì il metallo che si crepava e cedeva. Qualcosa urtò Godluc e Ash raschiò il fianco a terra. L'erba calda stava facendo scivolare più di un cavallo. Spostò il peso di lato per non finire schiacciata, afferrò la mano di Robert Anselm che nel frattempo era giunto in suo soccorso e riuscì a raddrizzare il cavallo. I due schieramenti combattevano freneticamente. Tranne i Tedeschi comandati da Anhelt, che cavalcavano ai margini della mischia piantando le lance qua e là come se stessero partecipando a una caccia al cinghiale, e Josse che aveva afferrato un cavaliere borgognone per il piastrone e cercava di piantare la daga in uno dei varchi dell'armatura, alla fine della prima carica quasi tutti avevano abbandonato le lance. Ormai regnava la confusione più totale. Un uomo giaceva faccia a terra. Qualcuno ferito all'arteria
femorale. Ash con l'armatura sporca di sangue che roteava selvaggiamente la mazza, il laccio di quest'ultima che si spezzava e l'arma che le schizzava via dalla mano compiendo una parabola nel cielo azzurro. Ash sfoderò la spada e colpì il volto del suo avversario con il pomello in un unico e fluido movimento. L'impatto le fece tremare il braccio. Cambiò direzione alla lama con una rotazione del polso e la calò sul gomito protetto ottenendo lo stesso risultato di prima. Il cavaliere alzò la mazza e Ash piantò la lama nell'interstizio apertosi tra le piastre dell'armatura. Tre cavalli si aprirono la strada nella mischia. Ash si guardò intorno e vide la sua bandiera. Maledizione, pensò, se non sono io la prima a stare vicina allo stendardo come posso pretendere che lo facciano gli altri? A circa un centinaio di metri di distanza dal punto dello scontro sventolava la bandiera con le insegne del duca. «Il comandante del nemico è a portata di mano» disse. «Allora neutralizzalo.» «Per il leone! Per il Leone!» Ash si drizzò sulle staffe e indicò con la spada. «Catturate il duca! Catturate il duca!» Qualcosa la colpì alle spalle facendole sbattere il viso sul collo di Godluc. Il cavallo scartò di lato e si impennò, ma Ash era troppo impegnata a rimanere in sella per cercare di capire cosa o chi fosse finito sotto gli zoccoli. Qualcuno urlò degli ordini in francese e in fiammingo. Ash vide il suo stendardo che si inclinava di lato e cominciò a bestemmiare; un attimo dopo la bandiera del duca fu scossa da un violento fremito e crollò al suolo. Un cavaliere le corse incontro con la spada puntata contro il volto e Ash si acquattò velocemente. Una trentina tra cavalli e uomini con le divise borgognone cominciarono a correre verso il loro campo. Sono passati solo pochi minuti, pensò Ash. Degli uomini uscirono di corsa dal campo nemico e dopo qualche attimo Ash vide che erano fanti appartenenti ai contingenti di Filippo di Poitiers e Ferry de Cuisance, arcieri della Piccardia e dell'Hainault. «Cinquecento arcieri, veterani.» «Se non hai un numero di arcieri sufficienti per contrastarli allora ritirati.» «Non ne ho in questo momento. 'Fanculo!» Agitò il braccio per indicare ai suoi uomini di ritirarsi. «Indietro!» Due degli uomini di Euen Huw, che facevano parte di quello che a essere gentili si sarebbe potuto definire un deprecabile manipolo di bastardi,
stavano per scendere dai cavalli per derubare i feriti. Ash vide Euen in persona che colpiva un cavaliere con la daga. «Vuoi diventare carne per le balestre?» Si sporse dalla sella e fece alzare il Gallese. «Via, ritiriamoci - adesso!» Euen non aveva avuto il tempo di terminare ciò che aveva iniziato. Il cavaliere si dibatteva e gridava, perdendo sangue da sotto la ventaglia. Ash si drizzò sulla sella, lo finì calpestandolo con il cavallo, quindi si avvicinò a Robert Anselm e gridò: «Torniamo al campo - veloci!» Lo stendardo con impresso sopra il simbolo del leone cominciò a ritirarsi. Un uomo che indossava una giubba con il leone azzurro cucito sopra si tolse da sotto il suo cavallo morto. Era Thomas Rochester, un cavaliere inglese. Ash si mantenne immobile sulla sella premendo le ginocchia contro la pancia di Godluc e aiutò il suo uomo a salire in groppa dietro di lei. I cavalli rimasti senza padrone vagavano senza meta per la piana di fronte alla città di Neuss. «Attenta agli arcieri, capo!» urlò l'uomo alle sue spalle. «Andiamo via!» Ash cavalcava lentamente tra i corpi per contare le sue perdite, quelle del nemico e per vedere se erano riusciti a uccidere il duca, ma non scorse né il cadavere del nobile né quelli dei suoi uomini. «Capo!» protestò Thomas Rochester. Il primo arciere della Piccardia superò un cespuglio che secondo la valutazione di Ash era a circa duecento metri di distanza dal punto in cui si trovava lei in quel momento. «Capo!» Thomas doveva essere spaventato. Non voleva neanche rallentare per prendersi un cavallo. Tutte quelle bestie che vagavano libere senza padrone rappresentavano una piccola fortuna su quattro zampe. E gli arcieri? «Va bene...» Ash si girò e cominciò a tornare verso il campo. Seguì il letto quasi asciutto dell'Erft e si inerpicò lungo il pendio. Si avvicinò al campo imperiale, che sembrava la copia carbone di quello burgundo, sforzandosi di mantenere un'andatura tranquilla. «Ti sei guadagnato una bella dose di biada» disse, dando una pacca sul collo protetto del cavallo. Il castrato alzò la testa. Aveva gli zoccoli e i lati della bocca sporchi di sangue. Alcuni uomini con le insegne del Leone Azzurro riprodotte sulle divise uscirono dal campo armati di archi. Ash attraversò il varco tra i carri.
«Eccoci arrivati, Thomas» fermò il cavallo per permettere all'uomo di scendere. «Perdi un altro cavallo e la prossima volta te la fai a piedi...» «Certo, capo!» le assicurò Thomas Rochester sogghignando. Gli uomini della compagnia di Ash si radunarono intorno al loro capitano e a Robert Anselm urlando domande. «È difficile che quei maledetti borgognoni ci seguano fin qui. Basta. Piantatela.» Il sole era cocente. Ash allontanò Godluc dalla folla e slacciò i cinghietti che le chiudevano i guanti, quindi inclinò la testa all'indietro, aprì la fibbia che le chiudeva l'elmo, lo sfilò e lo piantò sul pomello della sella. L'aria era fresca. Sentiva la gola secca. Si raddrizzò e si trovò faccia a faccia con la Sua Graziosissima Maestà Imperiale Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, che la fissava dalla sella del suo stallone da guerra preferito. Ash lanciò una rapida occhiata intorno a sé e notò che il monarca era andato da lei con tutto il suo codazzo di lacchè: un manipolo di cavalieri tutti divise colorate e piume di struzzo sugli elmi. Le armature che indossavano non avevano neanche una tacca, segno evidente che non erano mai state impiegate in battaglia. Dietro il gruppo scorse un uomo che indossava una cotta di maglia. Sebbene fosse bendato, sulle sue labbra aleggiava un sorriso cinico. Sembrava provenire dal Crepuscolo Eterno14 . Il sudore imperlava le tempie e le guance di Ash impastandole i capelli. Sentiva la pelle calda e arrossata. Si allontanò dai suoi uomini avvicinandosi con calma all'imperatore. «Maestà.» «Cosa ci fai in questa parte del mio campo, capitano?» sussurrò l'imperatore in tono secco. «Manovre, Vostra Maestà Imperiale.» «Di fronte al campo dei Burgundi?» «Dovevo insegnare ai miei uomini ad avanzare e ritirarsi seguendo lo stendardo, Vostra Maestà Imperiale.» «E siete incappati nella scorta del duca.» «Pensavamo che stessero per compiere una scorreria contro Neuss, Vostra Maestà Imperiale.» «E li avete attaccati.» 14
Un riferimento tratto dal 'Fraxinus' nel quale si parla di un non meglio identificato ciclo o leggenda medievale. Ne parla anche il testo di del Guiz, ma è del tutto assente nei manoscritti dell'Angelotti e negli 'Pseudo Godfrey'.
«Siamo pagati per farlo, Vostra Maestà Imperiale. Dopotutto siamo i vostri mercenari.» L'uomo vestito come un abitante del meridione cercò di soffocare una scoreggia ma non ebbe molto successo. Seguì un silenzio imbarazzante. «Chiedo scusa, Vostra Maestà Imperiale. Vento.» «Sì...» Ash fissò con i suoi occhi dal colore indefinibile il piccolo uomo dai capelli ben acconciati. L'imperatore Federico non indossava un'armatura, ma era molto probabile che sotto il panciotto di velluto fosse nascosta una cotta di anelli metallici. «D'altronde non siamo venuti qua da Colonia per proteggere Neuss, Vostra Maestà Imperiale?» chiese Ash, in tono mite. L'imperatore fece girare bruscamente il cavallo e galoppò verso il centro del campo seguito dagli altri cavalieri. «Merda!» imprecò Ash ad alta voce. «Avrei potuto farcela questa volta.» «A far cosa, capo?» le chiese Robert Anselm che la raggiunse tenendo l'elmo appoggiato a un fianco. Ash lanciò uno sguardo di sottecchi all'uomo al suo fianco. Robert Anselm aveva il doppio dei suoi anni e si era sempre dimostrato un ufficiale capace e pieno d'esperienza. Allungò una mano dietro la testa e sfilò la molletta che le tratteneva i capelli. La folta chioma quasi bianca si sciolse scendendo fino ai fianchi. Fu allora che notò il sangue all'altezza della protezione del gomito e sui capelli. «A ficcarmi nella merda fino al collo o ad andare dove voglio. Sai cosa voglio ottenere quest'anno.» «Delle terre» borbottò Anselm. «Non vuoi che ci diano la solita paga da mercenari. Vuoi delle terre e dei possedimenti.» «Esatto» sospirò Ash. «Sono stufa di conquistare castelli e tesori per gli altri. Sono stufa di giungere alla fine della stagione di guerra e non avere altro che i soldi per poter svernare.» L'ufficiale sorrise. «Non tutte le compagnie possono permetterselo.» «Lo so, ma io sono brava.» Ash rise della sua immodestia, imitata da Robert Anselm. «Voglio un luogo in cui tornare, Robert» continuò, moderando i toni. «Voglio della terra. La mia terra. Ecco a cosa serve tutto ciò, tu ottieni della terra combattendo, la puoi ereditare, te la possono regalare, ma dopo ti puoi stabilire da qualche parte. Come hanno fatto gli Sforza a Milano.» Sorrise, cinica. «Dagli tempo e denaro e Jack il Contadino diventa Sir John Di-Nobili-Natali. Lo voglio anch'io.» Robert scrollò le spalle. «E pensi che Federico stia facendo la stessa co-
sa? Potrebbe anche impazzire. Non saprei.» «Neanch'io.» Ora che era tutto più calmo si tolse anche i guanti, si passò una mano sul volto e si girò a guardare gli uomini della sua compagnia che smontavano da cavallo. «Abbiamo un bel gruppo di ragazzi.» «Sono cinque anni che assumo soldati per conto tuo. Ti ho mai portato degli incapaci?» Ash sapeva che si trattava di un rimprovero scherzoso, ma aveva notato che nell'atto di replicare l'ufficiale aveva distolto lo sguardo e aveva cominciato a sudare. Che voglia più denaro? si chiese Ash. No, non Robert. Cosa gli succede, allora? «Quella non è stata una battaglia» aggiunse Ash, cercando di comprendere cosa accadeva. «È stato un torneo!» Anselm infilò le dita tozze tra la gorgiera e la striscia di cuoio annerita dal sudore che portava intorno alla gola. «Una giostra, forse15 . Quelli hanno perso dei cavalieri.» «Sei o sette» confermò Ash. «L'hai sentito?» Robert Anselm deglutì e riuscì finalmente a guardarla. Ash si preoccupò. «Laggiù ho colpito un uomo in faccia con l'elsa della spada» si sfogò, scrollando le spalle. «Aveva la ventaglia alta. Gli ho portato via metà della faccia con la crociera. L'ho accecato. Non è caduto e ho visto uno dei suoi compagni che andava in suo soccorso. Ma ha urlato quando l'ho colpito. Avresti dovuto sentirlo, Ash. In quel momento si è reso conto che sarebbe stato rovinato per tutta la vita. Lo sapeva.» Robert Anselm era un uomo dalle spalle larghe. Il sole si rifletteva sulla sua armatura e i capelli corti avevano assunto delle sfumature rossicce a causa del caldo e del sudore. Ash cercò di riconoscere la solita espressione di Robert Anselm che le era familiare quanto quella del suo stesso volto. «Robert...» «Non sono i morti a preoccuparmi. Sono quelli che dovranno convivere con ciò che io ho fatto loro.» Anselm scosse la testa e accennò un sorriso. «Ah, dolce Cristo! Non farci caso, ragazza. Sono i postumi della battaglia. Faccio questo mestiere da prima che tu nascessi.» Quella non era una spacconata, ma un dato di fatto. Ash annuì rinfrancata. «Dovresti parlare con un prete. Va' da Godfrey. Dopo vieni a parlare 15
Una giostra è uno scontro tra cavalieri. Le armi sono smussate e lo scopo ultimo non è uccidere l'avversario, ma dimostrare la propria abilità marziale. Il torneo è composto da diversi tipi di giostra.
con me. Stasera. Dov'è Florian?» Robert Anselm sembrava meno turbato. «Nella tenda del chirurgo.» Ash annuì. «Bene. Voglio parlare con i comandanti di lancia che oggi erano con noi. Fai l'appello. Vado nella mia tenda. Muoviti!» Cavalcò in mezzo ai suoi uomini che scendevano da cavallo urlando tra di loro e al suo indirizzo. I paggi correvano ad afferrare le redini, mentre i cavalieri cominciavano a parlare fra di loro della battaglia. Ash diede una violenta pacca sul piastrone di un soldato, disse qualcosa di osceno a uno dei suoi capitani, Paul di Conti, il savoiardo, ridendo di gusto alle urla d'approvazione degli altri uomini, quindi smontò e si incamminò su per la salita che portava alla tenda del chirurgo. «Philibert, portami dei vestiti puliti!» urlò al suo paggio che corse immediatamente al padiglione. «E mandami Rickard. Ho bisogno di togliermi l'armatura. Florian!» Il paggio si affrettò ulteriormente e Ash abbassò la testa per entrare nel padiglione del chirurgo. L'interno della tenda puzzava di sangue, vomito, spezie ed erbe. Un telo separava gli alloggi del chirurgo dal resto dell'ambiente. Il terreno era coperto da uno spesso strato di segatura. La tenda era praticamente vuota. «Cosa? Ah, sei tu.» Un uomo alto con i capelli biondi tagliati male e il volto sporco la guardò sorridendo. «Guarda qua. Spalla uscita dalla sede. Affascinante.» «Come stai, Ned?» Ash ignorò Florian de Lacey, il chirurgo, concentrandosi sul ferito. Si chiamava Edward Aston, un vecchio cavaliere, un profugo delle guerre reali dei rosbifs 16 che ormai era stato assunto come mercenario nella compagnia. La sua armatura, che giaceva su un cumulo di paglia, era composta da pezzi di diversa provenienza: il piastrone veniva da Milano e le protezioni per le braccia erano di fattura gotico-germanica. La luce del sole che filtrava nella tenda gli illuminava la testa quasi del tutto calva e il ciuffo di capelli bianchi. Gli avevano tolto il giustacuore e i lividi sulla spalla diventavano sempre più neri con il passare dei secondi. Sul volto era impressa un'espressione di dolore e disgusto. La giuntura della spalla aveva un'angolazione del tutto innaturale. «Un maledetto martello. Uno di quei fottuti cani bastardi di borgognoni 16
'Rosbif o 'roast-beef: nomignolo usato nel continente europeo per indicare gli inglesi, visto che allora tutti pensavano che essi non mangiassero nient'altro.
mi è arrivato alle spalle mentre finivo un suo compagno. Ha ferito anche il mio cavallo.» Sir Edward Aston aveva portato al suo seguito un balestriere, un arciere dotato di un ottimo arco lungo, due bravi soldati, un sergente decisamente bravo e un paggio ubriacone. «Il tuo sergente, Wrattan, si occuperà del cavallo e prenderà il comando della tua lancia. Riposati.» «Avrò sempre la mia parte, vero?» «Ci puoi scommettere.» Ash osservò Florian de Lacey che serrava con entrambe le mani il polso dell'uomo. «Adesso devi dire: 'Christus vincit, Christus regnit, Christus imperad'» gli ordinò Florian. «Christus vincit, Christus regnit, Christus imperad» ripeté l'uomo ad alta voce. «Pater et Filius et Spiritus Sanctus.» «Resisti.» Florian piantò un ginocchio contro le costole di Edward Aston e tirò con tutta la forza che aveva in corpo. «Cristo!» Il chirurgo mollò la presa. «Ecco fatto. Adesso la spalla è tornata a posto.» «Perché non mi hai detto che mi avrebbe fatto male, stupido sodomita?» «Vuoi dirmi che non lo sapevi? Taci e fammi finire l'incantesimo.» Il chirurgo biondo aggrottò la fronte, rifletté per qualche secondo quindi si inclinò in avanti. «Mala, magubula, mala, magubula!» Il vecchio cavaliere grugnì qualcosa e arcuò le spesse sopracciglia canute annuendo brevemente. Ash fissò le forti dita di Florian che si chiudevano intorno alla spalla dell'uomo costringendola a una temporanea immobilità. «Non ti preoccupare, Ned,» lo rassicurò Ash «non ti perderai molti scontri. Federico-il-nostro-glorioso-condottiero ci ha impiegato diciassette giorni di marcia per coprire le ventiquattro miglia da Colonia a qui. Non si può dire che stia cercando la gloria a tutti i costi.» «Presto mi pagheranno per non combattere! Sono vecchio. La prossima volta mi rivedrai nella mia fottuta tomba.» «Va' all'inferno» disse Ash. «La prossima volta che ti rivedrò sarai in sella al tuo cavallo. Esattamente tra...» «Tra una settimana» terminò Florian pulendosi le mani, macchiando il panciotto di lana rossa, i lacci dello stesso colore e la maglia bianca. «Finito, lui era l'ultimo, prima ho messo a posto una frattura a un braccio.» Il chirurgo la fissò in cagnesco. «Perché non mi fai mai avere delle ferite
interessanti? E suppongo che non ti sia presa il disturbo di raccogliere un cadavere per i miei studi di anatomia.» «Non mi appartenevano» rispose Ash, cercando di rimanere seria nel vedere l'espressione di Florian. Il chirurgo scrollò le spalle. «Come faccio a studiare le ferite mortali se non me ne porti mai una?» «Fottuto vampiro!» borbottò Ned Aston tra sé e sé. «Siamo stati fortunati» sottolineò Ash. «Chi si è fratturato un braccio?» «Bartolomeo St. John. Uno degli uomini di Van Mander, il Fiammingo. Guarirà.» «Nessuno storpio? Nessun morto? Nessuna epidemia di peste? Il Cristo Verde mi ama!» esultò Ash. «Faccio chiamare il tuo sergente, Ned.» «Posso andarmene da solo. Non sono ancora morto.» Il massiccio cavaliere inglese uscì dalla tenda lanciando un'occhiata carica di disgusto a Florian de Lacey che, come Ash gli aveva sempre visto fare da quando lo conosceva, rimase del tutto impassibile. Ash si rivolse al chirurgo continuando a osservare Ned Aston che si allontanava. «Non ti avevo mai sentito usare un incantesimo per una lussazione o una frattura prima di oggi.» «No... quello l'ho dimenticato. Ho usato la formula per il farcino.» «Farcino?» «È una malattia dei cavalli17 .» «Una malattia dei...!» Ash si sforzò per evitare di scoppiare a ridere. «Non farci caso, Florian. Voglio che ti cambi. Devo parlarti. Adesso.» Fuori dalla tenda il sole picchiava come un martello. Il caldo era soffocante. Ash socchiuse gli occhi per osservare il suo padiglione sopra il quale lo stendardo del Leone Azzurro penzolava floscio nell'aria immota di mezzogiorno. Florian de Lacey le offrì la borraccia di cuoio. «Cosa è successo?» Stranamente la borraccia conteneva acqua insaporita con un velo di vino18 . Ash si bagnò la testa, incurante degli schizzi sull'armatura, poi bevve avidamente. «L'imperatore» spiegò tra un sorso e l'altro. «L'ho compromesso. Non potremo più stare qua - dicendo ai Burgundi che possono andarsene a casa perché Neuss è una città libera e Herman di Hesse è nostro amico. Guerra.» 17
Forse si tratta della morva. In questo periodo l'acqua veniva bevuta solo quando era allungata con un po' di alcol che serviva a prevenire le infezioni. 18
«Compromesso? Non si può mai dire una cosa simile con Federico.» I lineamenti fini e pallidi di Florian si piegarono in una smorfia di disgusto sotto lo strato di sporco che li ricopriva. «Si dice che hai quasi catturato il duca dei Burgundi. È vero?» «Ci sono andata dannatamente vicina!» «Federico dovrebbe esserne contento.» «Ma forse non lo è. Qui si tratta di politica, non di guerra. Ah, merda, chi lo sa?» Ash finì l'ultimo sorso d'acqua. Quando staccò la borraccia dalle labbra vide Rickard, il suo secondo paggio, uscire dalla sua tenda e correre verso di lei. «Capo!» Il quattordicenne si arrestò davanti ad Ash. «Un messaggio. L'imperatore vuole che tu vada nella sua tenda. Adesso!» «Ha spiegato perché?» «Il tizio mi ha detto che devi andare e basta, capo!» Ash buttò i guanti dentro l'elmo e se lo mise sotto il braccio. «Va bene. Raduna i comandanti, Rickard. Veloce. Andiamo, mastro chirurgo. No.» Si fermò. «Devi cambiarti, Florian.» Il chirurgo sembrò divertito. «Pensi che io sia l'unico a doverlo fare?» Ash diede un'occhiata alla sua armatura. Il sangue rappreso aveva assunto un colorito marrone scuro. «Non posso cambiarla in tempo. Rickard, portami un secchio d'acqua.» Qualche minuto dopo l'armatura era stata lavata dalla testa ai piedi e sebbene la cascata d'acqua le avesse bagnato anche il giustacuore, la sensazione di freschezza datale dall'acqua era più che benvenuta. Ash strizzò la lunga chioma tra le mani, la gettò dietro le spalle e si diresse a grandi passi verso il centro del suo campo, seguita dal suo scudiero. «O ti nomina cavaliere» ringhiò Robert Anselm nel vederla arrivare «o ti becchi una punizione di proporzioni bibliche. Guardali!» «Va bene, va bene, sono qua per vedere qualcosa...» Un nutrito gruppo di persone attendeva fuori dai quattro padiglioni che componevano la tenda dell'imperatore. Ash si unì a loro. Erano tutti nobili. I giovani portavano dei giustacuore a V che andavano molto di moda. Alcuni erano calvi, altri avevano i capelli lunghi. Tutti indossavano almeno il piastrone della corazza. Gli uomini più vecchi sudavano dentro gli abiti da cerimonia. Nel quadrato d'erba davanti alle tende dell'imperatore non c'erano cavalli, vacche, donne, bambini con il sedere nudo che giocavano e soldati ubriachi. Nessuno osava infrangere il confine sancito dallo stendardo giallo e nero con l'aquila a due teste. Tuttavia anche quell'area puzzava
di sterco di cavallo e rifiuti seccati al sole. I suoi ufficiali arrivarono. Il sole le aveva asciugato la corazza e il giustacuore sottostante e ora il caldo si era fatto nuovamente soffocante. Almeno avessi avuto il tempo di cambiarmi, pensò Ash. Ti convocano sempre in fretta e furia e poi ti fanno aspettare. Un uomo tozzo e barbuto di circa trent'anni, con indosso una tunica marrone che sventolava intorno ai piedi scalzi, li raggiunse a grandi passi. «Scusami, capitano.» «Sei in ritardo, Godfrey. Sei licenziato. Mi troverò un altro prete.» «Certo. Come se crescessimo sugli alberi, figliola.» Il prete della compagnia aggiustò la croce. Aveva il torace ampio e delle rughe profonde intorno agli occhi a causa di tutti gli anni passati all'aria aperta. A giudicare dall'espressione neutra del religioso nessuno avrebbe mai sospettato che Godfrey Maximillian conoscesse Ash da tantissimo tempo e meglio di chiunque altro al mondo. Ash ricambiò l'occhiata del religioso e cominciò a tamburellare, impaziente, le unghie contro l'elmo che portava sotto il braccio. «Allora, cosa ti hanno detto i tuoi 'contatti'? Cosa ha in mente Federico?» Il prete ridacchiò. «Dimmi se c'è mai stato qualcuno negli ultimi trentadue anni in grado di dire cosa passi nella testa di quell'uomo!» «Va bene, va bene. Domanda stupida.» Ash riprese a fissare i nobili radunati intorno alla tenda e alcuni la salutarono. Ci fu un movimento all'interno del padiglione. «Ho sentito dire che in questo momento là dentro ci sono sei o sette cavalieri dell'impero molto influenti che gli stanno chiedendo come mai Ash attacca sempre senza ricevere ordini al riguardo» aggiunse Godfrey Maximillian. «Se non avessi attaccato si lamenterebbero dei mercenari che vengono pagati per combattere e non lo fanno» ribatté Ash sotto voce, annuendo all'indirizzo di Jacobo Rossano, un Italiano al comando di un'altra unità mercenaria al soldo dell'imperatore. «Chi vorrebbe fare il capitano mercenario?» «Tu, Madonna» disse Antonio Angelotti, il mastro artigliere italiano della compagnia. I riccioli curatissimi e la faccia sempre sbarbata lo facevano notare ovunque. «Era una domanda retorica!» rispose Ash, fissandolo in cagnesco. «Tu sai cos'è una compagnia mercenaria, Angelotti?»
Florian de Lacey arrivò prima che l'artigliere potesse rispondere. Si era cambiato come Ash gli aveva ordinato. «Una compagnia mercenaria? Hmm?» esordì Florian, intromettendosi nel discorso. «Una truppa di leali psicopatici con l'abilità di sconfiggere qualsiasi altro psicopatico arrivi loro a tiro?» Ash arcuò le sopracciglia. «Cinque anni e non hai ancora capito che cosa significa essere un soldato!» Il chirurgo rise. «Dubito che lo capirò mai.» «Te lo dico io che cos'è una compagnia mercenaria» disse Ash punzecchiando Florian con un dito. «Una compagnia mercenaria è una macchina immensa che ingurgita pane, latte, carne, vino, cordami e abiti da una parte ed espelle merda, abiti sporchi, sterco di cavallo, oggetti a pezzi, armi danneggiate e vomito di ubriaco dall'altra. Il fatto che di tanto in tanto gli capiti di combattere è solo un caso.» Si fermò per riprendere fiato e abbassare la voce. Lasciò vagare lo sguardo sulla piccola folla davanti a lei riconoscendo le livree, i nobili, gli amici e i potenziali nemici. Nessuno era ancora uscito dalla tenda dell'imperatore. «È un baratro senza fondo che io devo cercare di colmare ogni giorno spalandogli dentro gli approvvigionamenti: una compagnia si trova sempre a due pasti dallo scioglimento. E i soldi? Non dimentichiamoci dei soldi. E quando combattono ci sono i feriti da curare. E quelli non fanno niente di utile mentre guariscono! E quando stanno bene non sono altro che un branco di bestie indisciplinate che danno problemi ai contadini. Argghhh!» «È il prezzo che devi pagare per farti seguire da ottocento uomini» le fece notare Florian. «Non mi seguono. Mi permettono di guidarli. Sono due cose completamente diverse.» «Andrà tutto bene, Ash» la rassicurò Florian, tranquillo. «Il nostro stimato imperatore non vorrà privare il suo esercito di un cospicuo contingente mercenario.» «Spero che tu abbia ragione.» «No, mio signore,» disse una voce qualche metro dietro di lei «il capitano Ash non è ancora arrivato. L'ho vista: una creatura mascolina. Proprio così, ha lo stesso fisico di un uomo. Era in compagnia di una ragazzina di strada quando l'ho vista nel lato nord ovest del nostro campo. Doveva far parte del 'bagaglio' del suo contingente e la stava carezzando in maniera disgustosa! La ragazzina si ritraeva ogni volta che veniva toccata. Ecco chi
è il vostro 'comandante donna.'» Ash aprì la bocca per replicare, ma dopo aver visto Florian che arcuava le sopracciglia, non si girò per correggere lo sconosciuto e si avvicinò a uno dei capitani più anziani. Gottfried di Innsbruck inclinò la testa in segno di saluto. «Bella schermaglia.» «Speravo di ricevere rinforzi dalla città.» Ash scrollò le spalle. «Ma credo che Hermann di Hesse non uscirà per attaccare.» «Perché dovrebbe farlo?» domandò il cavaliere imperiale senza distogliere lo sguardo dall'ingresso del padiglione. «Ha resistito otto mesi senza il nostro aiuto, quando io non gli avrei dato otto giorni. Chi l'avrebbe mai detto: una piccola città libera che sfida i Burgundi.» «Una piccola città libera che si è ribellata contro il suo 'giusto governatore', l'arcivescovo Ruprecht» rispose Ash con mal celato scetticismo. Gottfried rise di gusto. «L'arcivescovo Ruprecht è un uomo del duca Carlo, Burgundo fino all'osso. Ecco perché i Burgundi lo vogliono rimettere alla guida di Neuss. Suvvia, capitano Ash, potrebbe anche piacerti Ruprecht era il candidato preferito alla carica di arcivescovo per il padre di questo duca. Sai quale regalo mandò Ruprecht al duca Filippo di Borgogna dopo aver ricevuto l'incarico? Un leone! Un leone in carne e ossa!» «Non era azzurro, però» li interruppe una voce tenorile. «Dicono che il duca Carlo dorma con gli occhi aperti come un leone.» Ash si girò di scatto per vedere chi aveva parlato. Non ci siamo già visti da qualche parte? pensò. Le accadeva spesso di riconoscere un cavaliere germanico che aveva partecipato ad altre campagne. Lo degnò di uno sguardo superficiale: un ragazzo molto giovane, doveva avere più o meno la sua età. Aveva le gambe lunghe e indossava un'armatura leggermente fuori misura che forse avrebbe riempito del tutto tra un anno o due. Portava un elmo gotico che gli nascondeva gran parte del volto anche con la ventaglia alzata. Indossava un farsetto e dei pantaloni infilati in un paio di stivali da cavallerizzo verdi e bianchi con gli speroni. Il piastrone gotico dal disegno aggraziato era un pezzo d'armatura molto costoso per un uomo che non aveva partecipato a nessuno scontro. Era accompagnato da due o tre armati che indossavano una divisa verde. Mecklenburg? Scharnscott? pensò Ash, cercando di ricordare i colori delle varie casate. «Ho sentito dire» replicò in tono incurante «che dorme su una sedia di
legno con l'armatura indosso nel caso lo volessero cogliere di sorpresa. Cosa che qualcuno di noi vorrebbe fare più degli altri...» L'espressione del cavaliere divenne gelida. «Una puttana vestita da uomo» sentenziò. «Un giorno, capitano, dovrai dirci cosa te ne fai del batacchio.» Robert Anselm, Angelotti e un'altra mezza dozzina di ufficiali si avvicinarono. Ci siamo... pensò rassegnata. Ash si guardò deliberatamente in mezzo alle gambe. «Mi serve per appenderci un paio di guanti di riserva. Credo che anche voi facciate lo stesso.» «Fica rotta!» «Davvero?» Ash fissò deliberatamente la protuberanza in mezzo alle gambe dell'uomo. «Non mi sembra che lo sia, comunque sembra che voi lo sappiate meglio di me.» Ogni uomo che estraeva un'arma nelle vicinanze della tenda dell'imperatore veniva ucciso immediatamente dalle guardie e nessuno si sorprese nel vedere che il giovane cavaliere teneva la mano ben distante dalla spada. Ash rimase stupita di fronte al sorriso d'apprezzamento che comparve sulle labbra del giovane. Il sorriso di una persona dotata di una buona dose di auto ironia. Il giovane nobile si girò e prese a parlare con i suoi amici come se Ash non gli avesse mai rivolto la parola, indicando con il guanto le colline coperte di pini a est. «A domani, allora! Andremo a caccia. C'è un cinghiale maschio che arriva al garrese della mia cavalla baia.» «Non era il caso che ti facessi un altro nemico» le borbottò Godfrey all'orecchio. Il calore o la tensione l'avevano fatto impallidire. «È impossibile farsi amico uno stronzo. Succede così tutte le volte» spiegò Ash, sghignazzando. «È uno dei tanti signorotti. Noi siamo soldati. Io ho fatto incidere 'Deus Vult' sulla mia spada - lui 'Puntare la parte affilata contro il nemico'. 19 » I suoi ufficiali scoppiarono a ridere. Uno sbuffo di vento agitò la bandiera imperiale e per un secondo la luce del sole filtrò attraverso il tessuto giallo e nero. Il profumo della carne arrostita si levava dalle tende che de19
Nel testo originale questo è un gioco di parole intraducibile basato sul contrasto tra due parole germaniche e un oscuro dialetto fiammingo ormai sparito. Ho attuato una sostituzione per cercare di conferire lo stesso significato del testo originale. 'Deus Vult' significa 'Sia fatta la volontà di Dio'.
limitavano il campo. Il suono del flauto che proveniva dalla tenda di Federico non copriva quella della voce stonata che cantava. «Io e voi abbiamo lavorato per tutto questo. Ecco come funziona il mondo. Sempre su e giù senza mai riposarsi.» Fissò i componenti della sua scorta. Erano tutti soldati sui vent'anni. Tra i suoi ufficiali riconosceva solo i volti familiari di Angelotti, Florian, Godfrey e Robert Anselm, mentre gli altri proponevano il solito guazzabuglio di caratteri: lo scettico, il pio, il ruffiano e il competente, ed erano tutti nuovi. Avevano cominciato la campagna da tre mesi e Ash ormai conosceva tutti i suoi uomini per nome. Due guardie con la divisa gialla e nera uscirono dalla tenda. «E speriamo che sia finita per pranzo.» Ash si toccò i capelli. Il sole li aveva asciugati. Girò la testa rischiando di far impigliare la sua folta chioma tra le piastre dell'armatura. «E...» Ash si diede una rapida occhiata intorno e vide che Florian de Lacey era scomparso. «Cristo! Dov'è Florian? È andato di nuovo a pisciare?» Lo squillo delle trombe zittì la piccola folla radunata nello spiazzo. Un attimo dopo sei tra i nobili più influenti del regno e l'imperatore uscirono dalla tenda. Ash assunse un portamento marziale. Rivide lo straniero del meridione che pur essendo bendato camminava alle spalle del monarca con passo sicuro, evitando accuratamente i picchetti e i tiranti della tenda. «Capitano Ash» esordì l'imperatore Federico. Ash si inginocchiò cautamente di fronte al vecchio regnante. «In questo sedicesimo giorno di giugno, dell'anno del Nostro Signore 1476 20 » continuò l'imperatore «è nostro piacere premiarti per il valore di20
Questa parte della vicenda è raccontata in modo accurato tranne che per un particolare. La schermaglia durante l'assedio di Neuss ebbe luogo il 16 giugno 1475 e non nel 1476. Comunque questo tipo di errore si trova spesso nei documenti di quel periodo. Secondo il calendario giuliano, in uso allora in diverse parti d'Europa, capodanno è datato all'inizio della Pasqua, nel giorno di Nostra Signora (25 Marzo) o a Natale (25 dicembre); dopo l'anno 1583, il calendario gregoriano datò nuovamente l'inizio di questi anni al 1 gennaio. L'unica cosa che posso consigliare al lettore è di consultare il commento nella 'Prefazione e Note' della prima edizione del libro di Charles Mallory Maximillian(1890): 'La versione germanica della vita di Ash narra eventi tanto stupefacenti, da sembrare poco plausibili. Comunque, è indiscutibile che le gesta di Ash
mostrato sul campo contro il nostro nemico, il nobile duca di Borgogna. Tuttavia ho pensato a lungo cosa potrebbe far piacere a un mercenario al nostro servizio.» «Denaro» dichiarò una voce pragmatica alle spalle di Ash, che non ebbe il coraggio di voltarsi per zittire Angelotti con un'occhiataccia. La pelle agli angoli degli occhi di Federico si raggrinzì in maniera impercettibile. Il piccolo uomo che adesso indossava un abito blu e azzurro giunse le mani inanellate e abbassò gli occhi per fissarla. «Non ho oro da donare» disse Federico. «E neanche possedimenti perché non sarebbe decoroso offrirli a una donna che non ha un uomo a difenderla.» Ash alzò la testa, stupefatta. «Vi sembro una donna che ha bisogno di essere difesa?» chiese, dimenticandosi dell'etichetta. Cercò di ricacciarsi in gola le parole nel momento stesso in cui le pronunciava, ma non ci riuscì. La voce dell'imperatore coprì la sua: «Né posso nominarti cavaliere perché sei una donna. Comunque ti premierà con dei possedimenti, anche se di seconda mano. Ash, tu sposerai il nobile qui presente: ho promesso a sua madre, che è mia cugina di quarto grado, che gli avrei combinato un matrimonio e così ho fatto. Questa è la tua sposa, Lord Fernando del Guiz.» L'imperatore indicò un giovane. Ash seguì la mano e vide solo il cavaliere con il quale aveva avuto il battibecco pochi attimi prima. L'imperatore sorrise con aria incoraggiante. Ash rimase senza fiato e da quello che poteva vedere, malgrado l'elmo gli nascondesse buona parte del volto, anche il giovane era impallidito. «Sposarmi!» Ash aveva lo sguardo fisso. «Con quello?» «Non sei contenta, capitano?» Dolce Cristo! pensò Ash. Sono nel mezzo del campo di Sua Grazia l'imperatore del Sacro Romano Impero, Federico HI, il secondo sovrano più potente di tutta la cristianità, e mi trovo sotto gli occhi dei suoi vassalli più potenti. Non posso rifiutare. Ma un matrimonio! Non ho mai neanche pensato al matrimonio! Era consapevole degli sguardi di tutti quei potenti. Le sue mani appoggiate sulla coscia erano callose. Il pomello della spada batteva contro il piastrone dell'armatura e solo allora si rese conto che stava tremando. sono descritte in maniera accurata da fonti storiche degne della massima fiducia. 'Quindi, possiamo perdonare l'errore di datazione insito in questi documenti.'
Dannazione, ragazza! pensò. Ti sei dimenticata per l'ennesima volta di essere una donna. Loro non lo fanno mai. Adesso si tratta di dire sì o no. Fece la cosa che le permise di allontanare la paura e l'umiliazione. Ash alzò la testa fissando il monarca, perfettamente consapevole del quadro che rappresentava: una ragazza dallo sguardo impavido e fiero con le guance sfregiate e i capelli argentei che le scendevano fino alla vita simili a un mantello. «Non posso dire nulla, Vostra Maestà Imperiale. Un tale riconoscimento, una tale generosità e un tale onore - vanno al di là di qualsiasi cosa mi aspettassi e mi meritassi.» «Alzati.» Federico la prese per mano. Ash sapeva che il monarca si era accorto del sottile strato di sudore che le imperlava il palmo ed ebbe l'impressione che sulle sue labbra fosse apparso un lievissimo accenno di sorriso. L'imperatore allungò la mano libera con un gesto carico d'autorità, prese quella molto curata del giovane e la posò su quella di Ash. «Che nessuno osi dire il contrario, essi saranno marito e moglie!» Ash rimase assordata dall'applauso e dalle ovazioni dei lacchè. Continuò a stringere la mano sudata quanto la sua del giovane nobile e si girò a fissare i suoi ufficiali. Che cavolo faccio, adesso? si chiese. II Una pioggia torrenziale cadeva su Colonia. Le gargoyle e le grondaie del palazzo imperiale incanalavano l'acqua per poi farla cadere nei cortili. Le gocce tamburellavano rumorosamente contro i vetri delle finestre producendo un rumore simile al fuoco di una fila di archibugi21 . I capitelli color marrone delle colonne brillavano ogni qualvolta uno sprazzo di luce filtrava attraverso la spessa coltre di nubi. Dentro una stanza, Ash si trovava faccia a faccia con la sua futura suocera. «Tutto-ciò-è-bellissimo...» protestò Ash «... ma io devo tornare alla mia compagnia! Ieri mi hanno scortato fuori da Neuss così velocemente che non ho avuto modo di parlare con i miei ufficiali!» «Devi vestirti da donna per il tuo matrimonio» replicò secca Costanza del Guiz, incespicando sull'ultima parola. 21
Uno dei primi esempi di armi da fuoco portatili che risalgono al quattordicesimo secolo.
«Con tutto il rispetto dovuto, mia signora - io ho sotto contratto circa ottocento tra uomini e donne giù a Neuss che hanno l'abitudine di essere pagati! Devo tornare indietro e spiegare loro i vantaggi di questo matrimonio.» «Sì, sì...» Costanza del Guiz era una bella donna, ma non era robusta come il figlio. Indossava un abito lungo di velluto rosa che le copriva il petto poco prosperoso per poi allargarsi vistosamente sui fianchi. Portava una sottogonna di broccato rosso e argento. Rubini e smeraldi le ornavano sia il cerchietto che portava sulla testa sia la cintura dalla quale pendevano, assicurati a una catena, un mazzo di chiavi e un borsellino. «La mia sarta non può lavorare se continui a muoverti. Stai ferma, ti prego» la implorò Costanza. Il cerchietto imbottito pesava sulla testa di Ash come un piccolo animale. «Possiamo fare più tardi. Adesso devo andare dai miei soldati!» «Dolce bambina mia, come ti aspetti che possa organizzare un matrimonio con una sola settimana d'anticipo? Federico! Potrei ucciderti!» Costanza del Guiz gratificò Ash di uno sguardo colmo di rimprovero. Ash aveva notato il modo in cui aveva pronunciato il nome dell'imperatore. «E tu non sei di nessun aiuto, bambina. Prima volevi sposarti con l'armatura...» Ash abbassò la testa per osservare la sarta che armeggiava con aghi e spilli intorno ai lembi del vestito. «Questo è il vestito, giusto?» «È una sottoveste nei colori del vostro stendardo.» La donna, che doveva essere sulla cinquantina, portò le dita alle labbra tremanti. Stava per piangere. «Ho impiegato tutto il pomeriggio per convincervi a togliervi il farsetto e i pantaloni!» Qualcuno bussò alla porta e la cameriera fece entrare un uomo tozzo con il volto incorniciato da una folta barba. Ash si girò verso padre Godfrey Maximillian, fece per muoversi, ma la fine sottoveste di lino che giaceva abbandonata intorno alle caviglie la fece inciampare. «Cazzo!» La sarta, le due apprendiste della sarta, due cameriere e la futura suocera, smisero di parlare e la fissarono. Costanza del Guiz arrossì. Ash si fece piccola e cominciò a guardare fuori dalla finestra chiaramente a disagio, decidendo al tempo stesso che non sarebbe stata la prima a riprendere a parlare. «Fiat lux, mia signora. Capitano.» L'acqua gocciolava dal cappuccio di Godfrey Maximillian. Lo abbassò con calma, fece il segno della croce all'effigie del Cristo Verde custodita in una nicchia ricavata nella parete,
quindi sorrise ai presenti. «Sia lode all'Albero.» «Ci sono anche Florian e Roberto?» gli chiese Ash. Anselm aveva lavorato molto in Italia insieme ad Antonio Angelotti e c'erano ancora dei vecchi membri della compagnia che non usavano il suo nome inglese, Robert. Tra tutti gli ufficiali era lui quello con il quale era più ansiosa di parlare. «Florian sembra sparito nel nulla, non riesco a trovarlo. Robert si sta occupando della compagnia in tua vece.» E tu dove sei stato? Ti aspettavo otto ore fa, pensò Ash, torva. Potevi almeno pulirti e presentarti con un aspetto decente! Sto cercando di convincere questa donna che non sono uno scherzo della natura e tu ti presenti sporco di fango come un prete di campagna! Godfrey, che aveva visto l'espressione di disappunto sul volto di Ash, si girò verso Costanza del Guiz e disse: «Mi dispiace dovermi presentare in questo stato, mia signora. Ho cavalcato fin qua da Neuss perché gli uomini del capitano Ash hanno bisogno di alcuni consigli per risolvere delle questioni di una certa urgenza.» «Oh.» La nobildonna rimase genuinamente sorpresa. «Hanno bisogno di lei? Pensavo che fosse solo un simbolo. Ho sempre creduto che una banda di soldati funzionasse meglio quando non ci sono donne in circolazione.» Ash aprì la bocca, ma la giovane cameriera le calò una veletta sul volto. Il prete scosse inavvertitamente il mantello infangato sui rotoli di stoffa della sarta. «I soldati non si fanno comandare da un simbolo, mia signora. Un simbolo non può radunare intorno a sé una compagnia di quasi mille uomini che nel corso di tre anni è diventata la più richiesta dai nobili germanici.» Costanza del Guiz fissò Ash, attonita. «Padre, non mi starete dicendo che lei effettivamente...» «Comando una compagnia mercenaria» terminò Ash. «Ed è per questo che ho bisogno di tornare indietro. Non siamo mai stati pagati con un matrimonio. Li conosco bene. A loro non piacerà. Quelli vogliono solo denaro sonante.» «Comandante di un'unità mercenaria» ripeté Costanza, come se stesse pensando ad altro, quindi si girò verso Ash e il profilo delle sue labbra, solitamente molto dolce, si indurì. «Cosa passa per la testa di Federico? Mi aveva promesso un buon matrimonio per mio figlio!» «A me ha promesso delle terre» replicò Ash, cupa. Godfrey rise.
«Ci sono già state delle donne che hanno guidato gli eserciti in battaglia» sbottò Costanza. «Quella prostituta asessuata di Margherita d'Angiò si è giocata il trono d'Inghilterra che apparteneva al suo povero marito. Non ti permetterò di fare lo stesso con mio figlio. Sarai anche rozza e maleducata, forse i tuoi genitori erano contadini, ma non sei malvagia. Posso insegnarti le buone maniere. Dopo che avrai sposato mio figlio, farò in modo che la gente si dimentichi molto in fretta chi eri.» «Stron... Stupidaggini!» Ash alzò le braccia in risposta allo strattone della sarta. Una delle cameriere le infilò l'abito e cominciò ad abbottonarlo. La sarta le mise la cintura. «Faccio meno fatica a infilarmi l'armatura» borbottò Ash. «Lady Ash sarà una compagna perfetta per vostro figlio Fernando, ne sono certo» disse Godfrey, impassibile. «Proverbi, capitolo quattordici, versetto uno: la donna savia edifica la sua casa: ma la stolta la sovverte con le sue mani22 .'» Qualcosa nel tono della citazione fece in modo che Ash fulminasse il prete con un'occhiataccia. Anche Costanza del Guiz fissò il prete. «Un momento, Padre. Mi state dicendo che questa ragazza è anche la proprietaria della compagnia?» «Proprio così. I suoi uomini sono sotto contratto.» «Quindi suppongo che sia benestante?» Ash premette un polso contro la bocca per non scoppiare a ridere. «Benestante quando ci riesco!» disse allegra. «Quei bastardi devono essere pagati. Voglio dire, quegli uomini devono essere pagati... oh, merda. Non ci riuscirò mai!» «Conosco Ash fin da bambina, mia signora» esordì Godfrey in tono astuto «e vi posso assicurare che è perfettamente in grado di passare dalla vita del campo a quella della corte senza alcun problema.» Grazie! pensò Ash, lanciando un'occhiata colma d'ironia in direzione del prete, che fece finta di niente. «Ma è il mio unico figlio.» Costanza portò le dita alla labbra. «Certo, Padre. Chiedo scusa, devo organizzare un matrimonio in un batter d'occhio... e le sue origini... il fatto che non abbia famiglia...» Costanza del Guiz si tamponò l'angolo di un occhio con il velo ricorrendo a un gesto studiato ad arte, quindi si girò ad osservare Ash che lottava 22
Sebbene si tratti di una traduzione postuma, circa 135 anni dopo la stesura dei testi su Ash, io ho scelto la Versione della Bibbia autorizzata da Re Giacomo (1611) in quanto più accessibile al lettore moderno.
con il vestito e si rilassò lasciando che un sorriso sincero le affiorasse sulle labbra. «Nessuno di noi si aspettava una decisione simile da parte dell'imperatore, ma penso che ci riusciremo. I tuoi uomini aumenteranno il prestigio di mio figlio e tu puoi diventare molto carina, piccola mia. Lascia che ti vesta in maniera appropriata e nasconda quelle cicatrici con della biacca di piombo. Vorrei che ti presentassi davanti alla corte come l'orgoglio della famiglia del Guiz e non come la vergogna.» Costanza aggrottò la fronte. «Specialmente se verrà anche zia Jeanne di Borgogna, cosa che dovrebbe fare, anche se siamo in guerra con loro. La famiglia del padre di Fernando ha sempre pensato di avere tutti i diritti di entrare in casa mia e criticarmi. Li incontreremo tra poco.» «No.» Ash scosse la testa. «Devo tornare a Neuss. Oggi.» «No! Non finché non ti avrò vestita e preparata per il matrimonio.» «Ascolta...» Ash separò i piedi e piantò i pugni sui fianchi. Le cuciture all'altezza delle spalle gemettero in maniera allarmante per poi cedere un attimo dopo. L'abito azzurrò le scivolò fino alla cintura, che si inclinò. Il cerchietto che portava tra i capelli scivolò pericolosamente rischiando di cadere. Ash sbuffò per spostare la veletta che le era caduta sul volto. «Bambina mia...» disse Costanza, triste. «Sembri un sacco di grano chiuso con lo spago.» «Allora ridatemi i miei pantaloni e il farsetto.» «Non puoi sposarti vestita da uomo!» Ash sghignazzò e disse: «Dillo a Fernando. Non mi importa nulla se vuole vestirsi da...» «Oh!» Godfrey Maximillian incrociò le mani sul ventre, studiò per un attimo il suo capitano e, decisione poco saggia da parte sua, decise di dire ciò che pensava. «Non mi ero mai accorto che sembri più bassa quando indossi un vestito.» «Sono più alta su un maledetto campo di battaglia!» Ash gettò via il cerchietto e il velo, sussultando quando gli aghi le strapparono i capelli. Ignorò le proteste della sarta. «Non puoi andartene!»la implorò Costanza del Guiz. «Davvero?» Ash attraversò la stanza a grandi passi con la sottoveste che sventolava sopra le ciabatte. Prese il mantello bagnato del prete e se lo avvolse intorno alle spalle. «Andiamo via, Godfrey. Abbiamo un altro ca-
vallo della compagnia?» «No. Ho solo il mio.» «Perfetto. Lo cavalcheremo in due. Sono veramente molto dispiaciuta, lady Costanza.» Ash esitò e gratificò la donna minuta di un sorriso rassicurante, rimanendo stupita di se stessa. «Devo andare dai miei uomini, ma tornerò. Devo. Vostro figlio è un regalo dell'imperatore Federico, non posso non sposarlo!» Ci fu qualche discussione al cancello nord ovest di Colonia: una donna che cavalcava a capo scoperto accompagnata solo da un prete? Ash diede dei soldi alle guardie apostrofandole con un frasario da soldato e alla fine riuscì a uscire spacciandosi per una prostituta con il suo pappone. «Mi dici cosa ti preoccupa?» chiese a Godfrey, un'ora dopo. «No. A meno che non diventi necessario.» Le condizioni della strada fecero durare il viaggio due giorni e non uno. Ash ribolliva di rabbia. Il primo giorno di viaggio aveva stremato il cavallo e lei dovette comprarne uno nella fattoria dove erano stati ospitati. Ripresero il viaggio sotto la pioggia battente e dopo qualche ora avvertirono nell'aria il puzzo di un campo militare: ormai erano vicini a Neuss. «Non ti chiedi come mai» chiese Ash sghignazzando «conosco cento e trentasette parole per definire le malattie dei cavalli? È ora di combinare qualcosa di meglio. Svegliamoci!» Godfrey fermò il cavallo e attese. «Cosa ne pensi della vita che le donne conducono al castello?» «Dico che un giorno e mezzo di quella vita è fin troppo per me.» Ash smise di prestare attenzione al suo cavallo, che ne approfittò per rallentare. Il vento cambiò direzione e lei alzò gli occhi per fissare le nuvole che cominciavano a diradarsi. «Sono abituata alla gente che si gira ogni volta che entro in una stanza. Ma questa volta ero insieme a Costanza. Ci guardavano entrambe, è vero, ma non per lo stesso motivo!» Socchiuse gli occhi divertita. «Sono abituata a persone che si aspettano ordini da me, Godfrey. Al campo senti dire: 'Cosa facciamo adesso, Ash?' A Colonia dicono: 'Chi è quello strano essere?'» «Sei sempre stata una ragazzaccia autoritaria» le fece notare Godfrey. «E se ci pensi bene sei sempre stata piuttosto strana.» «Ed è per la mia stranezza che mi hai sottratta alle grinfie delle suore, giusto?»
Il religioso si carezzò il pizzo e le fece l'occhiolino. «Mi piace avere una donna strana.» «Bella cosa da dire per un prete casto!» «Se vuoi un miracolo per te e la tua compagnia è meglio tu che preghi e rimanga casta.» «Certo che ho bisogno di un miracolo. Finché non sono arrivata a Colonia pensavo che l'imperatore mi avesse fatto uno scherzo.» Ash premette i talloni contro i fianchi del cavallo che riprese a muoversi. La pioggia cominciò a diminuire. «Andrai fino in fondo a questa storia, Ash?» «Certo. Costanza indossava degli abiti che costavano più di quello che ho guadagnato nelle ultime due campagne.» «E se la compagnia avesse qualcosa in contrario?» «Andranno a quel paese perché non gli lascerò prendere dei prigionieri per chiedere il riscatto. Esulteranno quando sapranno che si tratta di un matrimonio ricco. Avremo della terra. Tu sei l'unico che ha qualcosa in contrario, Godfrey, e non mi dici perché.» La sorprendente autorità della donna e il riserbo preoccupato del prete si confrontarono nei loro sguardi per qualche secondo. «Solo se è necessario» ripeté il prete. «Alle volte sei un vero tormento divino, Godfrey.» Ash si tolse il cappuccio. «Adesso vediamo se riusciamo a radunare i comandanti delle lance nello stesso luogo e tutti insieme.» Erano in vista del lato sud est del campo imperiale. I carri incatenati tra loro a formare il fortino fumavano a causa dell'acqua che evaporava, e lungo le fiancate metalliche dei carri da guerra cominciavano a comparire le prime tracce di ruggine23 . All'interno del perimetro difensivo Ash scorse un arcobaleno di colori formato dagli stendardi che colavano acqua. I tetti conici delle tende si erano infossati, i pali inumiditi e le corde tese gocciolavano. Ci vollero cinque minuti abbondanti prima che le guardie si facessero sentire. 23
Questi bizzarri veicoli sono molto somiglianti ai 'carri da guerra' trainati da cavalli usati dagli Ussiti nel 1420, cinquant'anni prima dei fatti narrati in queste pagine. I soldati dell'Europa dell'Est sembra che li abbiano usati come piattaforme mobili per i primi pezzi d'artiglieria. Comunque i carri 'dalle fiancate in metallo' descritti dal del Guiz sono inesistenti anche perché nel caso fossero stati costruiti veramente sarebbe stato necessario un tiro di cavalli spropositato per muoverli.
Euen Huw superò il cancello con una gallina sotto il braccio, si fermò e la fissò stupefatto. «Capo? Hai un bel vestito, lo sai?» Ash guardò fissa davanti a sé con aria rassegnata mentre il cavallo avanzava nel passaggio tra i carri e le tende. Antonio Angelotti la raggiunse di corsa qualche secondo dopo con le mani ingiallite dal fosforo. «Non ti avevo mai vista con un vestito così bello, capo. Stai bene. Ti sei persa tutto il trambusto!» Il bel volto dell'artigliere si illuminò. «Araldi che venivano dal campo burgundo. Araldi che partivano dal campo imperiale. Proposte e tutto il resto.» «Proposte?» «Certo. Sua Maestà Federico dice al duca Carlo di levare l'assedio e arretrare di trenta, trentacinque chilometri, dopodiché anche noi arretreremo della stessa distanza in tre giorni.» «E il duca Carlo sta ancora ridendo, giusto?» Angelotti scosse la testa. «Si dice che accetterà. L'imperatore e la Borgogna firmeranno un trattato di pace.» «Merda» imprecò Ash con il tono di una persona che fino a pochi minuti prima sapeva esattamente come dar da mangiare a ottocento persone tra soldati svitati, donne e bambini per i prossimi tre mesi e ora doveva escogitare qualcosa di diverso, e anche in fretta. «Dolce Cristo. Pace. Ecco finito il nostro assedio estivo.» Angelotti si mise a camminare a fianco del cavallo. «E il tuo matrimonio, Madonna? L'imperatore non era serio, vero?» «Cavoli se lo era!» Continuarono ad attraversare il campo e dopo dieci minuti arrivarono davanti ai ripari a forma di A e all'area riservata ai cavalli che si trovava all'angolo nord ovest dell'insediamento. La gonna le si era appiccata alle gambe a causa dell'umidità e da azzurra era diventata blu scuro e il mantello di Godfrey si era inzuppato a tal punto che le era ricaduto oltre le spalle mettendo in evidenza l'abito lungo e la camicia. La sua compagnia era separata dal resto del campo imperiale da una palizzata provvisoria. La cosa non era piaciuta al quartiermastro del campo finché Ash non gli aveva spiegato che solo tenendo i suoi uomini confinati all'interno della palizzata avrebbe impedito loro di rubare qualsiasi cosa non fosse stata inchiodata a terra. Lo stendardo bagnato del Leone Azzurro spiccava sul cancello. La guardia, un lanciere di Ned Aston, alzò gli occhi e fece un inchino perfetto.
«Bel vestito capo!» «Vaffanculo!» Pochi minuti dopo Anselm, Angelotti e Godfrey erano a rapporto nella tenda di Ash. Mancavano gli ufficiali di grado inferiore e Florian de Lacey. «Sono fuori a borbottare tra di loro. Li farò entrare quando avremo da dire qualcosa.» Robert si tolse il cappuccio. «Dicci in quale bel casino ci troviamo.» «Nessun casino, questa è un'occasione coi fiocchi!» Geraint ab Morgan entrò nella tenda interrompendola. «Salve, capo.» Geraint, uno dei nuovi sergenti degli arcieri, era un uomo dalle spalle larghe con i capelli castano chiaro tagliati a spazzola, dritti come gli aculei di un porcospino. Aveva gli occhi perennemente iniettati di sangue. Mentre entrava Ash notò che i bottoni che collegavano la parte posteriore del farsetto a quella dei pantaloni erano aperti. La maglia spuntava dall'apertura mettendo in evidenza le mutande strappate dalle quali faceva capolino la fenditura delle natiche. Consapevole di essere giunta inattesa, Ash non disse nulla, ma fulminò il sergente con un'occhiata che lo indusse a spostare lo sguardo sulle armi appese alle aste del tetto per evitare che assorbissero troppa umidità dal terreno. «Rapporto giornaliero» ordinò Ash, secca. Geraint si grattò una natica. «I ragazzi sono rimasti nei carri per due giorni a pulire le armi per non prendere la pioggia. Jacobo Rossano ha cercato di truffare due Fiamminghi e questi gli hanno detto di andare al diavolo. Lui non si è offeso. Henri de Treville è stato arrestato dalla polizia militare perché era ubriaco e ha cercato di bruciare il cuoco.» «Non mi stai dicendo che ha cercato di dare fuoco al carro del cuoco, vero?» chiese Ash. «Vuoi dire che ha cercato di bruciare il cuoco.» «Qualcuno ha detto che gli assediati di Neuss mangiano meglio di noi» disse Florian de Lacey mentre entrava sporco di fango fino alle ginocchia. «Si dice che i topi siano una delizia in confronto a quello che cucina Wat Rodway...» «Dio ci manda la carne e il diavolo i cuochi inglesi» commentò Angelotti ridendo. «Ne ho abbastanza dei tuoi proverbi milanesi!» Ash si diede uno schiaffo sulla fronte. «Bene. Nessuno è riuscito a truffare i nostri. Almeno per il momento. Altro?»
Robert Anselm si fece avanti ansioso di parlare. «Sigismondo del Tirolo si ritira, dice che Federico non combatterà affatto contro i Burgundi. Tra il duca Carlo e Sigismondo non corre buon sangue da quando Sigismondo perse Héricourt nel '74. I suoi uomini hanno litigato con gli arcieri di Goffredo di Innsbruck. Oratio Farinetti e Henri Jacque si sono scontrati e il chirurgo si è preso due morti dalla mischia.» «Non credo ci sia stato nessuno scontro con il nemico, giusto?» Ash si diede un secondo schiaffo sulla fronte con fare più teatrale. «No, no, che stupida - non abbiamo bisogno di un nemico. Nessun esercito feudale ne ha bisogno. Cristo mi preservi dalla nobiltà faziosa!» Un raggio di sole penetrò nella tenda. L'acqua che non era ancora evaporata prese a luccicare. Ash vide gli uomini con le divise blu e gialle che uscivano dai ripari per accendere i fuochi, spillare la birra dai barili e rovesciare i tamburi al contrario al fine di usarli come tavolo per giocare a carte. Le voci cominciarono a echeggiare ovunque. «Giusto. Robert, Geraint, fate uscire i ragazzi e dite ai comandanti delle lance di dividerli in due squadre, i rossi contro i blu, dopo portateli fuori dal recinto dei carri e fateli giocare a calcio.» «Calcio? Quel fottuto gioco inglese?» Florian la fissò in cagnesco. «Lo sai che provoca più feriti di una schermaglia?» Ash annuì. «Ci ho pensato... Rickard! Rickard! Dov'è quel ragazzo?» Lo scudiero entrò di corsa nella tenda. Aveva quattordici anni, i capelli neri e le sopracciglia folte. Era molto consapevole della sua bellezza e aveva più di un problema a tenere a freno i suoi istinti. «Corri dalla polizia militare e di' loro che i rumori che sentiranno al di fuori del fortino non sono una zuffa, ma un gioco.» «Sì, mia signora!» Robert Anselm si grattò la testa pelata. «Non aspetteranno ancora per molto, Ash. Negli ultimi due giorni i capi delle lance non hanno fatto altro che venire da me quasi ogni ora.» «Lo so. Quando avranno esaurito le loro energie» continuò Ash «falli radunare. Devo parlare a tutti, non solo agli ufficiali. Vai!» «Spero che tu abbia qualcosa di convincente da dire loro!» «Abbi fede.» Anselm uscì insieme a Geraint e rimasero solo il chirurgo, il prete e il paggio. «Quando esci, Rickard, mandami Philibert. Deve aiutarmi a vestirmi.» Ash fissò il suo paggio anziano uscire dalla tenda.
«Rickard sta diventando troppo vecchio» disse con fare assente, rivolgendosi a de Lacey. «Devo promuoverlo a scudiero e trovarmi un altro paggio di dieci anni.» Un bagliore le illuminò gli occhi. «Questo è un problema che non hai, Florian. Sono costretta ad avere dei paggi che non siano ancora entrati nel periodo della pubertà, altrimenti le puttane ricominciano a spettegolare. 'Non è un vero capitano, se la fa con i suoi ufficiali e quelli la lasciano andare in giro in armatura! ' Che vadano all'inferno!» Rise. «Comunque il piccolo Rickard è diventato fin troppo carino per i miei gusti. Mai scoparsi un sottoposto!» Florian de Lacey si accomodò su una sedia di legno, posò le mani sulle cosce e la gratificò di uno sguardo sardonico. «L'intrepido capitano mercenario che fa gli occhi dolci a un giovane innocente - a parte il fatto che non ricordo l'ultima volta in cui sei andata a letto con qualcuno, Rickard si è passato metà delle prostitute del campo ed è venuto da me perché si è beccato le piattole.» «Davvero?» Ash scrollò le spalle. «Beh... non posso portarmi a letto nessuno della compagnia perché verrei accusata di favoritismi. E tutti quelli che non sono soldati mi dicono: 'Sei una donna e fai cosa?'» Florian si alzò e diede un'occhiata fuori dalla tenda facendo ondeggiare lentamente la coppa di vino che teneva in mano. Non era un uomo molto alto: aveva le spalle curve come i ragazzini che crescono più rapidamente dei loro coetanei e non imparano a farsi valere. «E adesso ti sposi.» «Yippee!» esultò Ash. «Non cambierà nulla, solo che avremo delle entrate dalle terre. Fernando del Guiz può stare nel castello e io mi occuperò dell'esercito. Può trovarsi qualche bambinetto carino e io sarò felicissima di guardare dall'altra parte. Il matrimonio? Nessun problema.» Florian continuò a fissarla con uno sguardo colmo d'ironia. «A giudicare da quello che hai detto, vedo che non hai fatto molta attenzione a quanto sta succedendo.» «So che il tuo matrimonio è stato difficile.» «Oh.» Il chirurgo scrollò le spalle. «Esther preferì Joseph a me, capita spesso che le donne preferiscano i figli ai mariti. Almeno non mi ha ignorato per un altro uomo...» Ash cercò di slacciare il corpetto, ma non ci riuscì e si girò per farsi aiutare da Godfrey. «Florian, c'è ancora una cosa che voglio sapere prima di uscire a parlare ai ragazzi» disse Ash, mentre il prete armeggiava con i lacci. «Come mai sei sparito ultimamente? Mi sono girata ed eri scomparso. Cosa significa Fernando del Guiz per te?»
«Ah!» Florian cominciò a passeggiare visibilmente irritato lungo il perimetro della tenda, quindi fissò Ash dritta negli occhi e disse: «È mio fratello.» «Tuo cosa?» disse Ash, strabuzzando gli occhi. Sentì che Godfrey aveva smesso di armeggiare con i lacci. «Fratello?» «Fratellastro, per essere più precisi. Abbiamo lo stesso padre.» Ash si accorse che la parte alta del vestito era stata slacciata e scrollò le spalle per farlo scivolare via. Il prete si dedicò a slacciare la sottoveste. «Hai un fratello nobile?» «Beh, lo sapevamo tutti che Florian è un aristocratico.» Godfrey esitò. «Vero?» Andò al tavolino da campo e si versò una coppa di vino. «Pensavo che lo sapessi, Ash.» «Ho sempre pensato che appartenessi alla casata burgunda e non a quella imperiale, Florian.» «Esatto. Vengo da Digione in Borgogna. Quando mia madre morì, mio padre sposò una nobile di Colonia.» Il chirurgo biondo scrollò le spalle. «Fernando è molto più giovane di me, ma è pur sempre il mio fratellastro.» «Cristo Verde in cima all'Albero!» esclamò Ash. «Per le Corna del Toro!» «Florian non è l'unico uomo della compagnia sotto falso nome. Siamo pieni di criminali, debitori e fuggiaschi.» le fece notare Godfrey, quindi, dopo essersi reso contro che Ash non avrebbe bevuto il vino, svuotò la coppa in un solo sorso dopodiché l'allontanò dalle labbra disgustato. «Quel cantiniere ci ha venduto altra immondizia. Ash, io penso che Florian voglia stare lontano dalla sua famiglia perché nessuna famiglia aristocratica tollererebbe la presenza di un chirurgo militare tra di loro - non è così, Florian?» Il chirurgo sorrise, tornò a sedersi e mise i piedi sul tavolo di Ash. «Proprio così! Tutti e due i rami della famiglia del Guiz sia quello burgundo che quello germanico, avrebbero un infarto se sapessero che sono un dottore. Preferirebbero sapere che sono morto in un canale chissà dove. Inoltre, gli altri medici non sono d'accordo con i miei metodi di ricerca.» «Un cadavere di troppo sparito da Padova24 , suppongo» azzardò Ash, recuperando un po' di contegno. «Da quanto tempo ci conosciamo?» «Cinque anni?» chiese Florian. «E me lo dici solo adesso?» «Pensavo lo sapessi» Florian distolse lo sguardo e si grattò uno stinco 24
Al tempo Padova era sede di una famosissima università di medicina.
con la mano sporca. «Pensavo che conoscessi tutti i miei segreti.» Ash lasciò scivolare a terra il vestito e uscì dal mucchio di seta e broccato che si era formato ai suoi piedi. La camicia era abbastanza fine dà lasciare intravedere il profilo del seno pieno e i capezzoli. Florian le sorrise, momentaneamente distratto dalla vista. «Ecco quello che chiamo un bel paio di tette. Buon Dio, donna! Come fai a tenere tutta quella roba sotto il giustacuore? Un giorno devi permettermi di guardarle meglio...» Ash si tolse la camicia e rimase nuda davanti al chirurgo con le mani sui fianchi. «Sì, certo - il tuo interesse è puramente professionale. Me l'hanno detto tutte le ragazze del campo!» Florian sbirciò maliziosamente con la coda dell'occhio. «Fidati. Sono un dottore.» Godfrey non rise. Stava guardando fuori dalla tenda. «Sta arrivando il piccolo Philibert. Non trovi che sia tutto molto ridicolo, Florian? Potresti provare a parlare con tuo fratello. Non pensi che questa sia un'ottima occasione per una riunione familiare?» «No» rispose Florian, serio. «Puoi riconciliarti con la tua famiglia - benedite quelli che vi perseguitano: benediteli e non malediteli25 . Inoltre potresti suggerire a tuo fratello di non sposare Ash.» «Non posso. L'ho riconosciuto solo dai simboli della nostra casata. Non l'ho più incontrato da quando eravamo bambini e intendo continuare a non incrociarlo.» La voce era leggermente tesa. Ash fissava i due uomini dimenticandosi del tutto di essere nuda. «Non dovete essere contrari a questo matrimonio, ragazzi. È un evento che apre nuovi orizzonti per la compagnia. Potremo avere un posto dove tornare in inverno, e dei profitti.» Lo sguardo di Florian era inchiodato sul volto del prete. «Ascoltala, padre Godfrey. Ha ragione.» «Ma non deve sposare Fernando del Guiz!» La voce del prete che si alzava di un'ottava ricordò ad Ash quella di un giovane diacono che aveva incontrato al convento di santa Herlaine otto anni prima. «Non deve!» «Perché no?» «Già, perché no?» chiese anche Ash. «Vieni, Phili, prendimi un farsetto e i pantaloni. Quello verde con le striature argento dovrebbe andare bene. Perché no, Godfrey?» 25
Romani 12: 14.
«Ho aspettato, ma tu no. Davvero non ti ricordi del suo nome? Non ricordi il suo volto?» Godfrey era un uomo robusto, non solo grasso, e indipendentemente dal fatto di essere anche un prete era in grado di incutere il timore reverenziale tipico delle persone di grossa taglia, ma in quel momento sembrava indifeso. Si girò verso Florian punzecchiandolo ripetutamente con un dito. «Ash non può sposare tuo fratello perché l'ha già incontrato!» «Sono sicuro che il nostro spietato condottiero ha incontrato diversi nobili idioti.» Florian cominciò a pulirsi le unghie. «Fernando non sarà il primo né il peggiore.» Godfrey si fece da parte per lasciare passare il paggio. Ash si mise la maglia, quindi si sedette su un baule e infilò il farsetto di lana verde e i pantaloni. Allungò le braccia e il ragazzino le infilò le maniche abbottonandole alle spalle. «Vai a vedere la partita, Phili, e torna a dirmi quando hanno finito.» Gli scompigliò i capelli. Appena il ragazzino uscì, Ash cominciò a chiudere i lacci del farsetto. «Avanti, Godfrey, parla, cosa ti turba? Hai ragione, ho già visto quel volto. Tu come fai a conoscerlo?» Godfrey Maximillian distolse lo sguardo. «La scorsa estate ha vinto il torneo di Colonia. Te lo ricordi, figliola? Ne ha disarcionati quindici e non è mai dovuto scendere da cavallo per combattere. L'imperatore gli ha regalato uno stallone baio. Ho riconosciuto i simboli della sua casata e il nome.» Ash lo prese per una spalla e lo fece girare. «Va bene» disse in tono piatto. «E il resto? Cosa c'è di tanto speciale in lui, Godfrey? Dove l'ho già incontrato?» «Sette anni fa.» Godfrey riprese fiato. «A Genova.» Ash provò una fitta allo stomaco e si dimenticò che la compagnia la stava aspettando. Ecco perché ero così euforica in questi ultimi due giorni, pensò. Divento così quando non voglio vedere qualcosa. Spesso mi capita di non sapere quello che faccio. Forse è per questo che mi sono lasciata portare a Colonia. Le immagini di quanto era successo sette anni prima le tornarono in mente, frammentarie. Le succedeva sempre così ogni volta che ricordava l'accaduto. Lo sciabordio del mare contro il molo di un magazzino. La luce della lanterna che si rifletteva sul selciato bagnato. Le spalle di un uomo che si stagliavano contro la luce. La corsa al campo del Grifone d'Oro, la sua vecchia compagnia, tossendo. Il fatto di provare troppa vergogna per
adirarsi apertamente. «Oh. Già. È così?» disse Ash in tono piatto. Guardò fuori dalla tenda. «Allora sarebbe quel del Guiz? È successo molto tempo fa.» «Ho fatto in modo di sapere il suo nome dopo il fatto.» «Davvero?» chiese lei in tono malizioso. «Ti è sempre piaciuto indagare, vero, Godfrey? Anche allora.» Vide con la coda dell'occhio che Florian de Lacey, ora Florian del Guiz, suo potenziale cognato, si era alzato in piedi e si era tolto un ciuffo di capelli biondi dagli occhi. «Cosa è successo, ragazza?» «Non te l'ho mai raccontato? Successe prima che ti unissi a noi. Pensavo di avertelo detto da ubriaca.» Gli lanciò un'occhiata interrogativa e Florian scosse la testa. Ash si alzò dal baule e si avvicinò all'entrata della tenda. Il sole cominciava ad asciugare la tela bagnata. Allungò una mano e scosse uno dei tiranti per vedere che non avesse mollato. Il muggito di una vacca si levò dai recinti di Henri Brant. L'aria era pervasa dal puzzo di sterco. Le tende e gli altri ripari, delle strutture a forma di A formate da un telo teso tra le aste incrociate delle alabarde, erano stranamente vuote. Tese un orecchio per ascoltare i suoni della partita di calcio, ma non udì nulla. «Bene» disse. «Bene.» Si girò e guardò i due uomini. Godfrey giocherellava nervosamente con il cordone della tonaca. Malgrado fosse invecchiato era ancora possibile vedere i lineamenti del giovane rubicondo che era stato allora. Ash si infuriò. «Fai sparire quella faccia da pecorella innocente! Non ti ho mai visto tanto felice. Ti piaceva che mi punissero, così poi potevi confortarmi! Eri triste quando non succedeva nulla, vero?» «Ash!» La rabbia diminuì, allontanando il pensiero che il mondo fosse pieno solo di falsità, malizia e persecutori. «Scusa, Godfrey, mi dispiace!» Il volto del prete si rilassò leggermente. «Cosa ti ha fatto mio fratello?» chiese Florian. Ash tornò al baule, si sedette e infilò gli stivali senza guardare il chirurgo. Vide l'ombra di una nuvola delinearsi contro la tela della tenda. «Vino» ordinò. «Eccolo qua.» Una mano sporca con una coppa stretta tra le dita entrò nel campo visivo di Ash: era quella di Florian.
Ash la prese e osservò la luce che si infrangeva sulla superficie rossastra del vino. «Sai qual è il problema di questa storia? Che nessuno può ascoltarla senza scoppiare a ridere.» Florian si acquattò di fronte a lei in modo da poterla guardare in faccia. «Sai che non gli somigli affatto, altrimenti non ti avrei mai fatto entrare nella mia compagnia.» «Mi avresti preso lo stesso.» Florian posò una mano a terra per sostenersi, incurante della segatura e del fango, e sfoderò un sorriso colmo d'affetto che mise in evidenza lo sporco annidato tra le rughe intorno agli occhi. «Altrimenti come potresti permetterti i servigi di un dottore che ha studiato a Salerno. A meno che tu non riesca a trovarne un altro che abbia il pallino di sezionare i morti in battaglia per capire come funziona il corpo. Dovrebbe essercene uno in ogni compagnia mercenaria! Inoltre dove avresti trovato un'altra persona abbastanza sensibile da capire quando ti comporti come un'idiota? E lo sei. Non conosco il mio fratellastro, ma cosa può aver mai fatto...?» Florian si alzò con un movimento repentino e cominciò a massaggiarsi le gambe indolenzite sporcandosi i pantaloni di fango. Spazzò via uno o due dei pezzi più grossi e la fissò di sottecchi. «Ti ha stuprata?» «No. Ma vorrei che l'avesse fatto.» Ash allungò una mano e sciolse la treccia che le aveva fatto una delle cameriere di Costanza. Adesso sono lontana da là, pensò per darsi coraggio. Gli uccelli che sento sono corvi, non gabbiani. Questo è il presente. È estate e fa caldo anche quando piove. Provo una tale vergogna. «Avevo dodici anni, Godfrey mi aveva portata via dal convento di Santa Herlaine un anno prima, successe prima che diventassi l'apprendista di un armaiolo milanese e mi unissi alla compagnia del Grifone d'Oro.» Nella sua mente echeggiò il rumore del mare. «Allora mi vestivo da donna solo quando uscivo dal campo.» Allungò una mano e prese la spada. Aveva passato il cinturone intorno al fodero. Posò la mano sul pomello dell'arma e la sensazione che ne ricavò servì a confortarla. Il cuoio che foderava l'elsa si era tagliato. Doveva sostituirlo. «C'era una taverna, a Genova. Quel ragazzo era là in compagnia di amici e mi chiese di sedermi al tavolo. Doveva essere estate perché c'era luce fino a tardi. Aveva gli occhi verdi e un volto non particolarmente bello, ma quella fu la prima volta che guardai un uomo e mi sentii il sangue ribollire.
Pensavo di piacergli.» Ogni volta che ricordava quel fatto le sembrava di osservare l'accaduto da una grande distanza, ma doveva sforzarsi ben poco per ricordare il sudore, la paura e la sua voce che li implorava di lasciarla andare. Si era divincolata dalle loro mani e loro le avevano pizzicato i seni lasciandole dei lividi che non aveva mai avuto il coraggio di mostrare a nessun medico. «Pensavo di essere in gamba, Florian. Avevo cominciato l'addestramento con la spada e il capitano mi aveva preso come suo paggio. Credevo di essere la migliore.» Non riusciva ad alzare la testa. «Lui era di qualche anno più vecchio di me ed era ovvio che fosse il figlio di un cavaliere. Feci di tutto per farmi piacere. C'era del vino, ma non ne bevvi neanche un sorso perché mi sentivo ubriaca al solo pensiero che lui potesse volermi. Non resistevo all'idea di toccarlo. Quando uscimmo, pensai che saremmo andati nei suoi appartamenti. Mi portò dietro la locanda, vicino a un magazzino e mi disse 'Sdraiati.' A me non importava nulla del luogo. Là o da qualsiasi altra parte andava bene lo stesso.» Avvertì nuovamente la sensazione del selciato contro la schiena e le natiche e si rivide allargare le gambe. «Rimase in piedi sopra di me e si sbottonò i pantaloni. Non avevo la minima idea di quello che stava per farmi. Credevo che stesse per sdraiarsi su di me quando tirò fuori il suo affare e mi pisciò addosso.» Si strofinò le mani sul volto. «Mi disse che ero una ragazzina che si comportava come un uomo e mi pisciò addosso. I suoi amici lo raggiunsero per godersi la scena e cominciarono a ridere.» Scattò in piedi. La spada cadde a terra. Raggiunse velocemente l'entrata della tenda, guardò fuori, quindi tornò a girarsi verso i due uomini. «Volevo morire. Mi tenne ferma mentre i suoi amici facevano lo stesso. Sul vestito. Sulla faccia. Quel sapore... pensai che era veleno e che sarei morta.» Godfrey allungò una mano per confortarla, ma lei arretrò senza neanche rendersene conto. «Quello che non capisco è come mai lasciai che accadesse.» La voce di Ash era carica di angoscia. «Sapevo difendermi e anche se erano più forti e più numerosi di me sapevo come si scappa.» Si passò una mano su una guancia. «Vidi un uomo che passava là vicino e urlai per cercare di farmi aiutare, ma mi ignorò.
Sapeva cosa stava succedendo e non fece nulla. Si mise a ridere anche lui. Non posso neanche arrabbiarmi. Non mi hanno fatto del male.» Non riusciva più a guardare i due uomini, Godfrey che ricordava ancora quella ragazzina bagnata, puzzolente e in lacrime e Florian, con il quale i rapporti non sarebbero stati più gli stessi dopo quello che aveva scoperto. «Cristo,» imprecò Ash «se quello era Fernando del Guiz non deve ricordarsi di nulla, altrimenti avrebbe detto qualcosa. Mi è sembrato diverso. Avrà ancora i suoi amici? Pensate che qualcuno di loro possa ricordare?» Le mani forti di Godfrey le serrarono le spalle senza dire nulla, ma Ash sapeva che il prete stava lanciando un appello muto a Florian. Ash si strofinò le guance arrossate. «Merda.» Ho passato gli ultimi cinque anni a uccidere uomini in guerra, pensò, e adesso mi comporto come una novizia. «Scopri se il tuo fratellastro sa qualcosa, Florian» sussurrò Godfrey. «Parlagli. È comunque tuo fratello. Pagalo, se è necessario!» Florian si avvicinò ad Ash. «Non posso provare a persuaderlo. Sono stato ripudiato.» «Cosa?» fu l'unica cosa che Ash, ancora tremante a causa della rievocazione, riuscì a replicare. Vide l'uomo di fronte a lei che allungava una mano e sentì Godfrey che stringeva la presa sulle sue spalle. Le lunghe dita di Florian le aprirono la mano, quindi il chirurgo si slacciò la maglia e infilò la mano di Ash nella scollatura. Le dita della condottiera si chiusero attorno al seno di una donna. Non era possibile sbagliarsi. Lo guardò in volto. Il chirurgo sporco, pragmatico, impassibile che in quel momento le stringeva la mano con forza era una donna. «Cosa sta succedendo?» chiese Godfrey. «Sei una donna?» Ash fissò Florian. Godfrey rimase a bocca aperta. «Perché non me l'hai detto?» urlò Ash. «Dovevo saperlo, Cristo! Avresti potuto mettere tutta la compagnia in pericolo!» Il paggio Philibert infilò la testa nella tenda e Ash allontanò la mano. Il ragazzino li fissò tutti e tre. «Ash!» Ha capito che siamo tesi, pensò Ash. No, è troppo preso da quello che mi deve dire per accorgersene. «Non stanno giocando a calcio» strillò il paggio. «Nessuno. Non vogliono! Si sono riuniti e dicono che non faranno nulla finché non esci a parlare!»
«Arrivo» borbottò Ash. Lanciò un'occhiata a Florian e Godfrey. «Va' a dire loro che sto arrivando. Veloce.» Philibert corse via. «Non aspetteranno ancora a lungo. Non adesso. Florian - no - come ti chiami?» «Floria.» «Floria...» «Non capisco» disse Godfrey, visibilmente confuso. La donna richiuse la maglia. «Mi chiamo Floria del Guiz. Non sono il fratellastro di Fernando. Lui non ha fratelli. Sono la sorellastra. Solo spacciandomi per un uomo sono riuscita a imparare la professione di chirurgo e la mia famiglia, sia il ramo burgundo sia quello legato alla famiglia imperiale, non ha nessuna intenzione di rivedermi.» Il prete la fissò attonito. «Sei una donna!» «Ecco perché ti tengo nel mio libro paga, Godfrey» borbottò Ash. «Il tuo acume. La tua intelligenza. La rapidità con la quale arrivi subito al cuore dei fatti.» Diede un'occhiata alla candela segna tempo che ardeva sul tavolino da campo. «È quasi l'Ora Nona 26 . Godfrey, esci e di' una messa da campo. Ho bisogno di tempo. Sbrigati!» Il prete fece per uscire e Ash lo afferrò per manica dell'abito. «Non nominare Florian. Floria, voglio dire. Fammi guadagnare abbastanza tempo per organizzarmi.» Godfrey la fissò per un lungo istante, annuì, quindi uscì dalla tenda. 26
All'interno del testo la giornata viene divisa facendo riferimento al sistema in vigore nei monasteri. L'Ora Nona è il sesto ufficio, o servizio del giorno, ed equivale alle tre del pomeriggio. In un monastero la giornata è divisa in: Vigilia mezzanotte (spesso anche oltre) Mattutino 3 Capitolo sorgere del sole (di solito alle 6 del Ora Terza mattino) Ora Sesta 9 - 10,30 Ora Nona mezzogiorno Vespri 15 Completorium tramonto 21 (Il lettore attento dovrebbe notare che tutto ciò viene oltremodo complicato dall'abitudine medievale di dividere le ore del giorno e della notte in dodici segmenti di ora, il che significa che in inverno una 'ora' di oscurità è più lunga di 'un'ora' di luce, e vice versa in estate.)
«Merda...» imprecò Ash. «Quando devo partire?» le chiese Floria del Guiz. Ash si premette con forza l'attaccatura del naso e chiuse gli occhi. «Sono già fortunata se non perdo metà della compagnia.» Aprì gli occhi e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Hai dormito nella mia tenda. Ti ho vista vomitare ubriaca. Ti ho vista pisciare!» «No. Hai solo avuto l'impressione che lo facessi. Mi comporto così da quando ho tredici anni.» Floria teneva in mano una coppa di vino. «A Salerno non insegnano agli Ebrei, Libici e alle donne. È da allora che mi vesto da uomo. Padova. Costantinopoli, Iberia. Faccio il dottore militare perché negli eserciti a nessuno importa chi sei. Tu e questi uomini... Cinque anni! Non avevo mai passato tanto tempo nella stessa unità.» Ash sporse la testa fuori dalla tenda. «Philibert! Rickard!» sbraitò. «Venite! Non posso prendere decisioni affrettate, Florian. Floria.» «Continua con Florian. È molto più sicuro per me.» Il tono mesto della donna fece quasi sparire la sensazione di stupore di Ash, che la fissò. «Sono una donna e il mondo si inchina al mio passaggio. Perché non dovrebbe succedere lo stesso con te?» «Sei una mercenaria. Una contadina. Una bestia da traino. Non hai una famiglia ricca e influente alle spalle. Io sono una del Guiz. Rappresento una minaccia perché sono la più vecchia e potrei ereditare almeno i possedimenti in Borgogna... Alla fine, si riduce tutto a una questione di ricchezze.» «Forse non ti bruceranno» azzardò Ash, incerta. «Forse ti chiuderanno in una stanza e ti picchieranno.» «Non riesco a farmi picchiare senza problemi come fai tu» disse Floria arcuando un sopracciglio. «Sei così sicura che ti tollereranno. Questa idea del matrimonio non è una pensata di Federico. Qualcuno deve averglielo suggerito.» «Merda. Il matrimonio.» Ash sollevò la spada da terra. «A Colonia ho sentito dire che l'imperatore ha nominato cavaliere Gustav Schongauer. Ti ricordi di lui e dei suoi compari due anni fa a Hérincourt? 27 » «Schongauer? Cavaliere?» Floria, distratta dalla notizia, la fissò torva in volto. «Erano solo un manipolo di banditi! Ha passato metà dell'autunno a distruggere le fattorie del Tirolo! Come ha fatto Federico a nominarlo ca27
Hérincourt era un piccolo castello che sorgeva sul confine della Borgogna messo sotto assedio dagli Svizzeri; la campagna terminò con una battaglia che si svolse il 13 novembre 1474.
valiere?» «Perché l'autorità legittima o illegittima non esiste. Esiste solo l'autorità, e basta.» Ash fissò il chirurgo tenendo la spada tra le mani. «Se puoi controllare un gran numero di soldati allora hai autorità e verrai conosciuto e onorato da quelli che controllano il tutto. Lo stesso vale per me. Solo che non ci sarà nessun re o nobile che mi farà cavaliere.» «La cavalleria è un gioco per i ragazzini! Ma dove andremo a finire se un assassino stupratore può diventare un Grafi» Ash fece un cenno della mano. «Già, tu sei nobile... Come pensi che nascano altri nobili? Gli altri Graf hanno paura di lui. Anche l'imperatore è spaventato e per questo l'ha fatto diventare uno di loro. Se dovesse diventare un problema gli altri nobili si coalizzeranno contro di lui e lo uccideranno. È stata una mossa per mantenere determinati equilibri.» Prese la coppa di vino dalle mani di Florian, la svuotò di un fiato e cominciò a sentirsi più leggera. «Sono le leggi della cavalleria» disse Ash, fissando il fondo della coppa. «Non importa nulla quanto sei generoso, virtuoso o brutale. Se non hai la forza a sostenerti sarai trattato con disprezzo, ma se invece sei forte, allora tutti verranno da te piuttosto che da qualcun altro. E il potere deriva dalla tua abilità nel convincere i soldati a combattere per te. Sì, li devi pagare, ma c'è dell'altro, devi dare loro titoli, terre e combinare dei buoni matrimoni. Io non posso farlo, ma ne ho bisogno. Questo matrimonio...» Ash arrossì improvvisamente. Scrutò il volto di Floria, valutando ciò di cui era venuta a conoscenza e i segreti del passato che nessuna di loro due aveva mai tradito. Floria era sempre il Florian con il quale aveva parlato fino a notte fonda più di una volta. «A meno che tu non desideri farlo ti prego di non andartene, Florian.» Sorrise. «Solo perché sei un ottimo chirurgo. E... ci conosciamo da troppo tempo. Ho sempre avuto fiducia in te come mio veterinario personale. Non posso cambiare idea adesso» «Rimarrò» disse la donna, un poco scossa. «Come sistemerai la faccenda?» «Non chiedermelo. Escogiterò qualcosa... Dolce Cristo, non posso sposare quell'uomo!» Le voci all'esterno cominciarono ad aumentare di volume. «Cosa gli dirai?» «Non lo so, ma non aspetteranno ancora. Muoviamoci!» Philibert e Rickard l'aiutarono a spogliarsi dopodiché cominciarono a in-
filarle i pezzi dell'armatura chiudendo le cinghie, stringendo i lacci con movimenti rapidi e precisi dettati dalla pratica. «Devo parlare loro» aggiunse Ash, in tono cinico. «Dopotutto c'è un buon motivo se l'imperatore del Sacro Romano Impero mi chiama 'capitano.' Posso camminare in mezzo a un esercito di uomini armati senza che nessuno mi dia una pacca sul sedere.» «E?» la stuzzicò Florian del Guiz. «'E' cosa?» Ash buttò i guanti dentro l'elmo e lo mise sottobraccio. «Sarò anche una donna, Ash, ma ti conosco da cinque anni. Devi parlare con loro perché conti su di loro - e?» «E... io sono il motivo per il quale non tornano a fare i conciatori, i pastori, i preti o le brave mogliettine. Quindi è meglio che io non li faccia morire di fame.» «Proprio così, ragazza» commentò Florian sorridendo. Ash stava per uscire quando si girò e disse: «Questo è un matrimonio voluto dall'imperatore, Florian. Sono finita se non mi sposo e che io sia dannata se non lo farò.» III Ash raggiunse lo spiazzo dove era stato piantato il vessillo della compagnia, saltò sopra il cassone di un carro e guardò la folla di persone seduta sulle balle di fieno, sui barili o in piedi. Tutti la stavano fissando. «Lasciatemi ricapitolare» esordì con voce chiara e decisa in modo che tutti potessero sentirla. «Due giorni fa abbiamo combattuto una schermaglia contro gli uomini del duca. È stata una mia iniziativa, non si trattava di un ordine dei nostri datori di lavoro. Un atto sconsiderato, è vero, ma siamo soldati e dobbiamo comportarci così. A volte.» La voce le si incrinò provocando le risate di alcuni uomini vicino ai barili di birra: Jan-Jacob, Gustav e Pieter, Fiamminghi appartenenti al gruppo di Paul di Conti. «Al nostro datore di lavoro rimanevano solo due cose da fare. Poteva rompere il contratto e noi saremmo andati dritti dal suo avversario, il duca Carlo di Borgogna.» «Visto che stanno per firmare la pace forse dovremmo chiedere al duca Carlo se ci vuole. Quello è sempre in guerra contro qualcuno, gridò Thomas Rochester.» «Forse non è ancora il momento.» Ash fece una pausa. «Forse ci con-
viene aspettare uno o due giorni finché si sarà dimenticato che l'abbiamo quasi ucciso!» Un soldato scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli uomini di Van Mander. Era un buon segno, perché questi ultimi erano riconosciuti da tutti come dei veri duri, quindi molto rispettati. «Ne parleremo dopo» continuò Ash. «A noi non importa nulla di chi sarà il vescovo di Neuss, così se Federico ci dice che dobbiamo togliere le tende, noi ubbidiamo. Questa era la prima possibilità, ma non è andata così. Secondo - avrebbe potuto darci del denaro.» «Sììì!» esultarono due donne arciere (che, solo quando erano fuori portata d'orecchio, venivano chiamate le 'donne di Geraint.') Ash, che sentiva il cuore battere all'impazzata, posò una mano sull'elsa della spada. «Beh, come tutti voi saprete, non ci ha dato il denaro.» Un coro di fischi di disapprovazione si levò dai soldati. In fondo alla calca gli arcieri, i balestrieri, gli archibugieri e gli alabardieri cominciarono a spingere per avvicinarsi. «Devo dire una cosa a quelli che hanno preso parte alla schermaglia: bravi. È stato fantastico. Fantastico.» Fece una pausa a effetto. «Non ho mai visto uno scontro vinto da un gruppo di soldati che abbiano fatto così tanti errori in una volta sola!» Ci fu una risata generale e Ash alzò la voce per indicare i singoli casi. «Euen Huw, non devi mai scendere da cavallo per spogliare i corpi. Tu, Paul di Conti, non dovresti cominciare le cariche da lontano per poi arrivare sul nemico con il cavallo sfinito! Sono sorpresa che tu non sia dovuto scendere da cavallo e correre. Per quanto riguarda il fatto di seguire gli ordini del vostro comandante!» Lasciò calare il brusio. «Vi devo ricordare di tenere sempre d'occhio il nostro fottuto stendardo...» Si schiarì la gola. «È vero, dovresti tenerlo d'occhio!» urlò Robert Anselm per aiutarla. Ci fu una seconda risata generale e Ash si rese conto che il momento di crisi era passato o quanto meno rinviato. «Quindi è necessario che tutti noi ci esercitiamo parecchio nelle tattiche per le schermaglie.» Ash si girò per guardarsi alle spalle. «Quello che avete fatto è stato stupefacente. Potrete raccontarlo ai vostri nipoti. Non era guerra. Non si vedono mai dei cavalieri che caricano altri cavalieri, perché ci sono sempre i fottuti arcieri nelle vicinanze! Ah, già, mi dimenticavo anche degli archibugieri.» Degli sghignazzi si levarono dal gruppo degli archibugieri. «Cosa sarebbe una battaglia senza il suono allegro del fuoco
di copertura degli archibugi? Niente!» Un uomo dai capelli rossi, uno degli uomini di Aston, urlò: «Prendi una fottuta ascia!» I fanti cominciarono a intonare una rumorosa cantilena e gli artiglieri risposero per le rime. Ash fece un cenno con il capo ad Antonio Angelotti, che tranquillizzò immediatamente i suoi uomini. «Qualsiasi cosa sia stata, era comunque fantastica. Purtroppo non ci ha fatto guadagnare niente. La prossima volta che avremo la possibilità di piantare una lancia nel culo di Carlo di Borgogna, tornerò al campo e chiederò di essere pagata in anticipo.» Una voce si levò dal fondo. «'Fanculo Federico d'Asburgo!» «Magari!» Tutti scoppiarono a ridere. La brezza le spinse alcune ciocche di capelli sul viso. Ash annusò l'aria pervasa dall'odore di ottocento uomini sudati radunati in uno spazio ristretto, di sterco di cavallo e fumo. Erano tranquilli all'interno del campo, e nessuno aveva ragione di temere un attacco. Solo pochi mercenari portavano l'elmo e le alabarde erano impilate a dozzine dentro una tenda. I bambini correvano intorno alla folla cercando un varco per ascoltare. La maggior parte degli uomini e delle donne che non combattevano, le prostitute, le lavandaie e i cuochi, si erano seduti sui carri al bordo del campo per sentire. Eccettuati i soliti individui che giocavano sempre a dadi oppure dormivano ubriachi fradici dentro una tenda, Ash poteva dire di aver radunato tutta la compagnia. Il vedere tutti quei volti conosciuti la indusse a pensare che i suoi uomini la stavano ascoltando perché volevano sapere cosa fare. Sapeva che la stragrande maggioranza di quelle persone era dalla sua parte, ma lei si sentiva responsabile per tutti. Comunque, se a loro non piaceva quello che stava per proporre, potevano andare in un'altra compagnia. Tutti attendevano che Ash riprendesse a parlare. La sua pausa era durata troppo a lungo e il nervosismo cominciava a serpeggiare tra la compagnia. «Molti di voi sono con me da quando tre anni fa fondai la compagnia. Altri da quando andavo a reclutare uomini per il Grifone d'Oro e la Compagnia del Cinghiale. Guardatevi. Siete un mucchio di pazzi bastardi la cui unica prospettiva è quella di affrontare un altro mucchio di pazzi bastardi come voi! Dovete essere pazzi per seguirmi - ma se lo farete» disse, aumentando il tono di voce «ne uscirete sempre vivi, pagati e con una cavolo di reputazione.»
Alzò un braccio prima che il brusio della folla aumentasse di volume. «E questa volta verremo pagati. Anche se lo faranno con un matrimonio! Suppongo che ci sia una prima volta per tutto.» Fissò gli ufficiali raggruppati sotto di lei che parlottavano tra loro. «Negli ultimi giorni ho valutato diverse possibilità. È il mio lavoro, ma è anche il vostro futuro. Ci siamo sempre riuniti per discutere quali contratti accettare e quali no. Quindi adesso discuteremo anche di questo matrimonio.» Le parole le sgorgavano fluide dalla bocca. Non aveva mai avuto problemi a parlare con i suoi uomini. Ma questa volta dietro tanta fluidità c'era qualcosa che non andava. Ash si rese conto che aveva stretto i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Cosa posso dire? pensò. Che dobbiamo farlo, ma io non posso? «E dopo che ne avremo discusso» proseguì Ash «allora metteremo la proposta ai voti.» «Ai voti?» urlò Geraint ab Morgan. «Stai parlando di un voto vero e proprio?» «Democrazia significa fare quello che ti dice il capo!» urlò qualcuno. «Sì, un vero voto. Perché se accettiamo, allora la compagnia avrà delle terre e dei guadagni. Ma se non accettiamo l'unica scusa che l'imperatore Federico potrà accettare sarà che la mia compagnia non vuole!» Ash non lasciò loro il tempo di pensare e continuò: «Siete stati con me e con altre compagnie mercenarie che non sono durate una stagione, figuriamoci degli anni. Ho sempre fatto in modo di coprirvi le spalle.» Il sole fece capolino da dietro le nuvole. La luce si rifletté sul piastrone della corazza di Ash e la donna sembrò avvolta da un alone divino. Quel fenomeno giungeva così a proposito che Ash lanciò uno sguardo a Godfrey, che si trovava ai piedi del carro stringendo la Croce di Rovi tra le mani. Il religioso alzò gli occhi al cielo e sorrise con fare assente, lanciando al tempo stesso una rapida occhiata alla figura splendente che si trovava sotto lo stendardo del Leone Azzurro. Un vero miracolo in miniatura. Ash rimase in silenzio ancora per qualche secondo affinché tutti notassero quanto era successo e riflettessero sul segno. Me lo posso permettere, pensò rivolgendosi al cielo, quindi vuol dire che sono buona. Sei dalla mia parte: davvero... «Se sposo quell'uomo» continuò Ash «potremo avere un luogo dove tornare in inverno. Avremo dei raccolti, del legname e della lana da vendere.
Potremo smettere di accettare dei contratti suicidi solo per poterci equipaggiare alla fine di ogni stagione.» «E cosa succederà se qualcuno ci offrirà un contratto per combattere contro l'Imperatore?» domandò un uomo con i capelli sporchi che indossava una giubba verde. «Sa che siamo mercenari.» Una donna arciere si fece strada a gomitate. «Ma adesso siamo al suo servizio e non sarà lo stesso quando avrai sposato uno dei suoi feudatari.» Alzò la testa per guardare meglio Ash. «Lui si aspetta che tu giuri lealtà al Sacro Romano Impero, vero, capitano?» «Se mi avessero chiesto con chi avrei voluto combattere» urlò un archibugiere «mi sarei unito a un esercito feudale.» «Troppo tardi per i rimpianti» ringhiò Geraint ab Morgan. «È stata fatta un'offerta. Io voto per le proprietà e per non mandare al diavolo l'imperatore.» «Io penso che potremo continuare a gestirci come al solito» cercò di rassicurarli Ash. Dalla folla si levò un brusio di disapprovazione. L'arciere, che indossava una giubba marrone imbottita, un farsetto rosso e le protezioni per le ginocchia, si girò verso i commilitoni. «Non volete proprio darle una possibilità, vero, stronzi? Tu ti sposerai, capitano Ash.» Ash la riconobbe, era una donna con i capelli lunghi e un nome strano: Ludmilla Rostovnaya. Portava una manovella per balestre appesa alla cintura. Uno dei balestrieri genovesi, pensò Ash, mentre si appoggiava a una sponda del carro. Perché sto cercando di persuaderli a seguirmi? continuò a pensare. Non posso farlo. Cosa può importare loro di una piccola tenuta bavarese? Geraint ab Morgan si fece strada fino alla prima fila. Ash vide il suo sergente degli arcieri fissare Florian e il prete come se stesse chiedendo loro perché non intervenivano. «Capo,» urlò Geraint «è dannatamente chiaro che qualcuno ci ha ficcato in questo guaio perché non gli piacciono i mercenari. Ricordi cosa è successo agli Italiani dopo Héricourt?28 Non possiamo inimicarci Federico. Devi farlo, capitano.» «Non può!» gli urlò Ludmilla. La compagnia cominciava ad agitarsi 28
Il 24 dicembre 1474 diciotto mercenari italiani che avevano combattuto per i Burgundi ed erano stati fatti prigionieri dagli Svizzeri vennero bruciati vivi a Basilea.
perché non tutti riuscivano a seguire la discussione tra i due. La voce della donna si levò sopra il brusio. «Se lei sposa quell'uomo tutto ciò che le appartiene diventa proprietà del marito. Non succede il contrario! Se lo sposa questa compagnia diventerà una proprietà della famiglia del Guiz! E i del Guiz appartengono all'imperatore, che in questo modo avrà a disposizione una compagnia mercenaria senza dover tirare fuori neanche un quattrino!» Dalle prime file partì un rapido passaparola per informare quelli più indietro, che non avevano potuto sentire tutto. Ash fissò Ludmilla. La presenza di una donna nei momenti di crisi le aveva sempre dato un senso di sicurezza, ma adesso era una donna che la stava indicando con il braccio teso. «Ci hai pensato a questo particolare, capo?» Tutto ciò che le appartiene diventa proprietà del marito... Fernando è un vassallo di Federico, rifletté Ash, quindi diventeremmo proprietà di un feudatario. Cristo, questo peggiora le cose! Perché non ci ho pensato prima? Perché continui a pensare come un uomo, si disse. Ash non riusciva a parlare. Avrebbe voluto sedersi per non guardare tutti i suoi uomini in volto, ma l'armatura la costringeva a mantenere una postura eretta. Il brusio cessò. Solo i bambini che correvano e giocavano intorno alla folla infrangevano il silenzio. Ash lasciò vagare lo sguardo tra i suoi uomini. Ne vide uno che la fissava tenendo un pezzo di carne vicino alla bocca e un altro che lasciava colare a terra il vino da una borraccia. Gli uomini si erano radunati intorno agli ufficiali per chiedere chiarimenti. «No» ammise Ash. «Non ci avevo pensato.» «Quel ragazzo non ti lascerà comandare» le rammentò Robert Anselm. «Se ti sposi con Fernando del Guiz ti perdiamo.» «Merda!» disse un soldato. «Non può sposarlo!» «Ma se fotti l'imperatore lui poi fotte te.» Geraint socchiuse gli occhi che sembrarono sparire tra le pieghe degli zigomi e fissò Ash. «Ci sono altri che possono assoldarci» cercò di giustificarsi Ash. «Sì, certo, sono tutti cugini di secondo grado o qualcosa di simile.» Geraint sputò a terra. «Tutti noi conosciamo i principi della cristianità. Incesto è il loro secondo nome. Finiremo con l'essere assoldati da degli stronzi che si fanno chiamare 'nobili' solo perché un lord qualsiasi un giorno si è scopato la loro madre. Possiamo dimenticarci di essere pagati in oro!» «Possiamo sempre dividerci e andare in altre compagnie» disse un sol-
dato. «Sì e finire tra le mani di un coglione che ci farà crepare tutti quanti!» urlò Pieter Tyrrel. «Ash sa quello che fa quando combatte!» «Peccato che non sappia fare nient'altro!» Ash girò la testa e cominciò a guardarsi intorno con noncuranza in cerca della polizia militare e per vedere le espressioni sui volti dei cuochi, delle lavandaie e delle prostitute. Udì il nitrito di un cavallo. Il cielo venne attraversato da una nube di storni che andavano in cerca di un tratto di terreno umido per cibarsi dei vermi. «Non vogliono perderti» la rassicurò Godfrey Maximillian in tono tranquillo. «Perché li ho portati in battaglia con me e ho sempre vinto.» Aveva la bocca secca. «Ma questa volta ho perso.» «È un gioco diverso. Adesso devi indossare la gonnella.» «Nove decimi di loro» borbottò Florian/Floria «non possono mandare avanti la compagnia come fai tu. Il decimo che pensa di poterlo fare si sbaglia. Lascia che parlino tra di loro e se ne ricorderanno.» Ash si irrigidì e annuì. «Vi lascio tempo fino a Complina29 . Ascolterò la vostra decisione dopo la messa serale di Padre Godfrey.» Scese dal carro e si allontanò insieme a Florian. Ash notò che il chirurgo camminava come un uomo, ondeggiando le spalle e non i fianchi. Aveva sempre il viso così sporco che nessuno faceva caso se avesse la barba fatta. La donna non disse nulla e Ash gliene fu grata. Ash si fermò a controllare il fieno e l'avena che erano stati dati ai cavalli. Gli stallieri raccoglievano anche le erbe per la cucina di Wat Rodway e quelle mediche per Florian. Controllò anche che le tinozze per l'acqua e per la sabbia disposte tra le tende fossero piene. Gli incendi divampavano più facilmente in estate. Imprecò contro una sarta che stava lavorando su un carro alla luce di una candela e la costrinse a prendere una lampada, quindi si recò dall'armaiolo per controllare come procedevano i lavori di riparazione delle alabarde, delle frecce, l'affilatura delle spade e la ribattitura delle corazze ammaccate. Florian le posò una mano sulla spalla. «Basta, capo, smettila di renderti fastidiosa!» «Hai ragione.» Ash lasciò cadere una fila di anelli metallici, fece un cenno d'assenso all'armaiolo e uscì. Fissò il cielo buio. «Non penso che quegli stupidi ne sappiano molto più di me di politica. Perché lascio deci29
Le nove di sera secondo l'orario monastico.
dere a loro?» «Perché tu non puoi. O non vuoi. O non hai il coraggio di farlo.» «Grazie!» Ash attraversò lo spiazzo centrale del campo facendosi strada tra gli uomini e le donne seduti a terra, mentre le ultime frasi dei Vespri echeggiavano nell'aria. Raggiunse lo stendardo e si girò verso i suoi uomini. «Allora,» esordì «cosa avete deciso?» Geraint ab Morgan si alzò in piedi, apparentemente intimidito dall'attenzione che i suoi commilitoni stavano concentrando su di lui in quel momento. Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. L'ufficiale si trovava nel cono d'ombra di due lanterne e lei non riuscì a scorgere l'espressione del suo viso. «Abbiamo contato i voti» disse Geraint. «È fatta, Ash. È troppo rischioso rifiutare l'offerta dell'imperatore. Vogliamo che ti sposi.» «Cosa?» «Abbiamo fiducia in te, capo.» L'uomo si grattò le natiche con un gesto automatico. «Sappiamo che troverai una scappatoia prima del matrimonio. Spetta solo a te, capo. Trova un modo di uscirne prima che abbiano terminato i preparativi per il matrimonio. Non possiamo permettere che ti prendano, capitano!» Ash fissò l'intera compagnia riunita davanti a lei. «Andate all'inferno tutti quanti!» Così dicendo si allontanò infuriata. Se lo sposo, si becca la compagnia. Era sdraiata sul suo letto da campo con un braccio sotto la testa, intenta a fissare il soffitto della tenda. Le ombre danzavano all'unisono con la brezza notturna. Un odore dolce copriva quello del suo sudore. Vide che qualcuno aveva legato dei mazzi di camomilla ed erbe mediche tra le armi appese a uno dei pali della tenda. Le teneva lassù perché era fondamentale che gli attrezzi del suo mestiere, come tutto il resto dell'equipaggiamento, rimanessero il più possibile fuori dal fango. Se lo sposo, rifletté, mi unisco a un ragazzo che potrebbe non ricordarsi di avermi trattata peggio di una prostituta del porto. Spostò le spalle dal cuscino al materasso di lana nella speranza che fosse un po' meno duro, ma non servì a molto. L'aria era calda e umida. Sganciò i fermagli metallici che univano le maniche al farsetto, le sfilò e provò una
sensazione di sollievo. Cristo Santo! Ci sono dentro fino al collo e rischio di affondare ancora di più! Aveva appeso l'armatura al suo sostegno e ora l'osservava riflettere la luce della lampada. Cominciò a massaggiare i punti indolenziti dalle cinghie e dalle chiusure. Doveva esserci della ruggine tra le piastre dell'armatura, ma la luce era troppo fioca per riuscire a vederla. Doveva dire a Phili di raschiarla con la sabbia e poi portarla dall'armaiolo per la manutenzione. Se avesse permesso alla ruggine di attecchire l'armaiolo sarebbe montato su tutte le furie. Si massaggiò i muscoli delle cosce. Erano ancora indolenziti dalla cavalcata di ritorno. Le pareti in tela della tenda ondeggiavano mosse dal vento. Le ricordavano un gigantesco animale che respirasse. Di tanto in tanto sentiva delle voci provenire dall'esterno. Erano le guardie: circa una mezza dozzina di uomini armati di balestre che tenevano dei mastini al guinzaglio. Il loro compito era impedire a un eventuale commando burgundo di entrare nel campo e uccidere il comandante mercenario. Si tolse gli stivali e li lasciò cadere a terra. Mosse le dita dei piedi e stirò le caviglie per rilassarsi, quindi allentò i lacci del colletto. A volte era molto consapevole del suo corpo. Avvertiva i muscoli tesi dalla fatica, le ossa, le dimensioni del suo petto, delle braccia e delle gambe. Estrasse il coltello, lo girò verso la luce e passò il bordo di un'unghia sul filo per controllare che non si fosse intaccato. Alcuni coltelli si adattavano a una mano come se fossero stati costruiti su misura. «Mi stanno derubando legalmente. Cosa posso fare?» borbottò ad alta voce, in tono cinico. «Non è un problema di natura tattica» le rispose la voce che albergava in lei. «No, vero?» Infilò il coltello nel fodero, slacciò la cintura, arcuò i fianchi e la sfilò con un unico movimento. «Dimmi tutto!» La fiammella della lampada ondeggiò. Ash si puntellò su un gomito. Qualcuno era entrato nella tenda e ora attendeva al di là del drappo che divideva il letto dal resto dell'ambiente. Durante l'estate lei metteva sempre delle tavole di legno sul pavimento della tenda perché l'umidità lo faceva scricchiolare ogniqualvolta veniva calpestato e, se i ragazzi dormivano e le guardie erano lontane, il rumore l'avrebbe svegliata permettendole di non farsi cogliere di sorpresa.
«Sono io» rispose una voce pragmatica dall'altra parte del drappo. Ash tornò a sdraiarsi e Robert Anselm entrò nella zona notte. Lei si girò e lo fissò. «Ti hanno mandato perché pensano che tu abbia qualche probabilità in più di persuadermi?» «Gli altri mi hanno mandato perché ci sono meno probabilità che tu mi stacchi la testa.» Si abbandonò pesantemente su uno dei due massicci bauli di fattura germanica che lei teneva vicino al letto. Entrambi avevano una serratura che prendeva tutto il coperchio ed erano incatenati al palo più grosso della tenda. «Chi sono 'gli altri', esattamente?» «Godfrey, Florian, Antonio. Ce la siamo giocata a carte e ho perso.» «Non è vero.» Ash tornò a sdraiarsi sulla schiena. «Non è vero, stronzo!» Robert Anselm rise. La testa pelata gli metteva in risalto gli occhi e le orecchie. La maglia macchiata spuntava da sotto il farsetto e cominciava a intravedersi un inizio di pancetta. L'ufficiale aveva un odore dolciastro, un misto di sudore, aria aperta e fumo. Il volto era incorniciato da una peluria ispida. Di solito tutti si soffermavano a osservare la testa pelata e le spalle massicce, ma nessuno notava mai le lunghe ciglia simili a quelle di una ragazza. Cominciò a massaggiarle le spalle e Ash arcuò la schiena chiudendo gli occhi per qualche secondo. Robert Anselm fece scivolare le mani sul petto e lei li riaprì. «Non ti piace se ti tocco qui, vero?» Una domanda retorica. «Ma questo ti piace.» Tornò a spostare le mani sulle spalle. «Ho imparato da te che è meglio non andare a letto con i propri ufficiali. Mi ricordo ancora il casino di quell'estate.» «Perché non ti fai scrivere da qualche parte: Non so nulla e posso sbagliare?» «Non posso sbagliare, c'è sempre qualcuno che potrebbe trarne vantaggio.» «Lo so.» Le premette i pollici sulle vertebre e un attimo dopo lo schiocco secco di un muscolo che tornava a posto echeggiò nella tenda. «Stai bene?» le chiese, smettendo di massaggiarla. «Tu cosa dici?» «Nelle ultime due ore sono venute da me più di centocinquanta persone chiedendomi di poter parlare con te. Baldina, Harry, Euen, Tobias, Tho-
mas, Pieter. La gente di Matilda, Anna, Ludmilla...» «Joscelyn van Mander?» «Non è venuto nessuno dei ragazzi di van Mander.» «Perfetto!» Ash si tirò su a sedere. Robert Anselm alzò le mani. «Joscelyn pensa che il fatto di aver reclutato tredici uomini gli dia più voce in capitolo di me in questa faccenda! So che avremo dei guai. Potrei pagare quello che gli devo e spedirlo da Jacobo Rossano in modo che diventi un suo problema. Bene, bene.» Alzò entrambe le mani con i palmi rivolti in avanti, consapevole di fingere. «Va tutto bene. Va tutto bene!» Ash sapeva bene che la compagnia era una sorta di gigantesco macchinario. Gente che si affrettava intorno ai carri del cuoco, la solita zuppa che bolliva nei calderoni. Gli uomini sempre pronti in caso d'incendio. Quelli che portavano i cavalli a brucare sulle sponde dell'Erft. Gli uomini che si esercitavano con le armi. Altri che giacevano con le prostitute che avevano in comune. Uomini che si facevano cucire i vestiti dalle mogli (che un tempo erano state prostitute). Le lanterne, i fuochi da campo, i versi di un animale ucciso per gioco. Il cielo, le stelle e tutto il resto. «Sono brava sul campo di battaglia, ma non so nulla di politica.» Lo fissò negli occhi. «Pensavo che li avrei battuti sul loro stesso terreno. Non so come ho fatto a essere così stupida.» Anselm le arruffò i capelli con un gesto goffo. «'Fanculo.» «Sì, 'fanculo a tutti quanti.» Le sentinelle fermarono due persone, fecero pronunciare loro la parola d'ordine giornaliera, quindi li lasciarono passare. Ash li sentì parlare. Pur non sapendo il loro nome, sapeva che si erano lavati di mala voglia, avevano mangiato, avevano fatto affilare le spade, avevano indossato la maglia e un qualche tipo di protezione e avevano cucito il Leone Azzurro sui loro tabarri. C'erano uomini simili anche nell'accampamento di Federico III, ma non sarebbero mai stati come i suoi. Per quanto fossero mercenari, Ash era il collante che li univa. Ash si alzò in piedi. «Ascolta, voglio parlarti... della famiglia del Guiz. Dopo mi dirai cosa posso fare, perché io non ne ho la minima idea.» Quattro giorni più tardi, mentre sia Carlo di Borgogna detto l'Intrepido che le truppe dell'imperatore Federico III si allontanavano da Neuss ponendo fine all'assedio 30 , Ash si trovava nella cattedrale di Colonia. 30
L'edizione della vita di Ash scritta dal del Guiz e stampata dal
La luce del sole penetrava attraverso le vetrate colorate screziando i volti del migliaio di persone riunite tra le navate. Intorno ai basamenti delle snelle colonne che si protendevano verso l'alto, dando l'impressione di essere troppo esili per sorreggere il soffitto, si era accalcato un nutrito gruppo di nobili che indossavano abiti eleganti e corazze lucidate, sfoggiando preziosi e armi ingioiellate. L'imperatore aveva voluto che la sua corte fosse presente al gran completo per celebrare l'evento. «Sta tardando.» Ash deglutì. «Non ci posso credere. Mi ha piantata!» «Non può essere. Non sei così fortunata» sibilò Anselm. «Fa qualcosa, Ash!» «Cosa? Dimmelo tu! È da quattro giorni che cerchiamo una soluzione e non siamo venuti a capo di niente. Come puoi pensare che ci riusciamo adesso?» Quanti minuti mancavano al momento in cui la sua compagnia sarebbe passata dalle sue mani a quelle del marito? L'unica cosa che poteva fare per evitare che accadesse era uscire dal quel luogo da sola. Adesso. Di fronte a tutta la corte dell'imperatore. E hanno ragione, pensò Ash. Metà delle famiglie reali della Cristianità sono sposate con l'altra metà e io non otterrei più un contratto finché le acque non si fossero calmate. Il che vuol dire non lavorare almeno per un anno. Non ho abbastanza denaro per sfamare tutti i miei uomini per un periodo così lungo. Problemi, sempre problemi. Robert Anselm fissò Padre Godfrey Maximillian. «Potremmo intonare una preghiera per ricevere una grazia, Padre.» Il religioso annuì. «Non che abbia molta importanza, adesso, ma hai scoperto chi mi ha messa in questo pasticcio?» chiese Ash. «Sigismondo del Tirolo» rispose Godfrey, tranquillo. «Dannazione. Sigismondo? Cosa gli - quell'uomo ha la memoria lunga. L'ha fatto perché abbiamo combattuto contro di lui a Héricourt?» Godfrey inclinò il capo. «Sigismondo del Tirolo è troppo ricco e l'imperatore non si può permettere il lusso di offenderlo rifiutando un suo consiglio. Mi hanno detto che a Sigismondo non piacciono 'le unità mercenarie con più di cinquanta lance'. Sembra che le trovi una minaccia alla purezza della guerra.» Gutemberg, fa datare la fine dell'assedio di Neuss al 27 giugno 1476, ma ovviamente si tratta del 27 giugno 1475. Comunque, tutte le altre fonti datano il matrimonio quattro giorni dopo, il 1 luglio 1476.
«Purezza della guerra? Ah, quella esiste solo nei suoi sogni del cavolo.» Il prete sorrise sornione. «Se ben ricordo gli hai dato una bella lezione.» «Ero pagata per farlo. Cristo. È ingiusto procurarmi tanti guai per quello.» Ash si girò per guardare cosa stava succedendo alle sue spalle. Il fondo della cattedrale era affollato dai mercanti di Colonia che, pur sfoggiando i loro abiti migliori, non potevano competere con le divise dei suoi ufficiali, mentre il gruppo di mercenari disarmati abbigliati in maniera del tutto anonima non attirava certo l'attenzione. Nessuno di loro faceva battutacce o rideva come succedeva quando qualcuno del campo si sposava. A parte il fatto di non voler mettere a rischio il loro futuro, Ash si rese conto che i suoi uomini si comportavano in quel modo perché ora la vedevano come una donna, in una città durante un periodo di pace, e non come il comandante mercenario dal quale si erano fatti guidare più di una volta sul campo di battaglia, incuranti del suo sesso. «Cristo» ringhiò Ash, sussurrando. «Vorrei essere nata uomo! Sarei stata più alta di qualche centimetro e avrei potuto pisciare in piedi - e non sarei rimasta invischiata in tutto questo letame!» Robert Anselm trattenne a stento una risata. Ash cercò Florian per ricevere il suo solito parere scettico, ma il chirurgo non era tra loro: la donna sotto mentite spoglie era sparita da quattro giorni. Si era mescolata alla massa di uomini che smontavano il campo vicino a Neuss (mentre non l'aveva fatto quando avevano piantato il campo vicino a Colonia, dove, come aveva fatto notare più di un mercenario, c'era da fare del lavoro pesante.) «E» aggiunse Ash «potrei indurre Federico a far celebrare questo matrimonio il giorno di san Simeone...31 Forse potremmo cavarcela con una promessa fatta a priori? Qualcuno che sale sull'altare e dice che eravamo sposi promessi fin da bambini.» «Chi ha voglia di alzarsi e procurarsi un sacco di guai per questa donna?» domandò Anselm. «Io no.» «Io non lo chiederei se...» Ash vide il Vescovo di Colonia che si avvicinava a loro e si interruppe immediatamente. «Vostra Grazia.» «La nostra mesta e gentile sposa.» Il minuto vescovo Stephen allungò le 31
Simeone Salus (morto circa nel 590), è il santo associato ai paria, ed è considerato in particolare il protettore delle prostitute. Il suo giorno è il 1 luglio.
dita, sfiorò lo stendardo tenuto da Robert Anselm e si piegò in avanti per leggere la scritta ricamata sotto il Leone. «Cos'è?» «Geremia, cinquantuno-venti» spiegò Godfrey. «'Un martello sei stata per me, uno strumento di guerra; con te martellavo i popoli, con te annientavo i regni'» borbottò Robert Anselm. «È una sorta di motto, Vostra Grazia.» «Come lo trovo appropriato e pio.» «Cosa sarebbe pio?» sussurrò la voce secca di un nuovo arrivato. Il vescovo fece un inchino. «Vostra Maestà Imperiale.» Federico d'Asburgo avanzava zoppicando tra la folla che si era aperta per lasciarlo passare. Ash notò che si appoggiava a un bastone. Il monarca fissò padre Godfrey come se lo notasse per la prima volta. «E tu? Cosa ci fa un uomo di pace in una compagnia di guerrieri? Non va bene. 'Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli si prostri portando verghe d'argento, disperdi i popoli che amano la guerra'32 .» Godfrey Maximillian si tolse il cappuccio e affrontò, sempre mantenendo il dovuto rispetto, l'imperatore. «Ma, Vostra Maestà, i Proverbi centoquarantaquattro-uno?» Dalla gola dell'imperatore sgorgò una risatina secca. «'Sia benedetta dal Signore la mia forza, che insegna alle mie mani a guerreggiare e alle mia dita a combattere.' Ah, allora abbiamo un prete istruito.» «In quanto prete istruito» disse Ash «forse potresti chiedere a Sua Maestà quanto tempo dobbiamo aspettare ancora lo sposo, prima di poter tornare tutti a casa?» «Aspetta» rispose tranquillo Federico. Nessuno seppe più cosa dire. Ash avrebbe cominciato a camminare avanti e indietro se solo lo strascico del vestito glielo avesse permesso. Sopra l'altare splendevano le statue dei Nove Ordini di Angeli: Serafini, Cherubini e i Troni, che erano i più vicini a Dio. Seguivano i Domini, i Poteri e le Virtù, poi i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli. Il Principato di Colonia era scolpito con le ali spiegate e un sorriso ambiguo, intento a stringere tra le mani una rappresentazione della corona di Federico. A che gioco stava giocando Fernando del Guiz? Possibile che non si presentasse? È un cavaliere, dopotutto, pensò Ash. Forse non vorrà sposare una contadina soldato. Cristo, spero che sia proprio così. Sull'altare di sinistra uno scultore dotato di un certo senso dell'umorismo 32
Salmi 68: 30.
aveva riprodotto il Principe di Questo Mondo nell'atto di offrire una rosa alla figura nuda della Lussuria. Rospi e serpenti pendevano abbarbicati ai lembi del mantello 33 . Ash osservò la figura della Lussuria. In quel momento nella cattedrale erano presenti molte donne in pietra e solo cinque in carne e ossa. Lei e le sue quattro damigelle: Ludmilla (che si era fatta prestare l'abito da festa di una delle sarte), Bianche, Isobel ed Eleanor. Conosceva le ultime tre fin da bambine, quando si prostituivano insieme nella compagnia del Grifone D'Oro. Ash provò una sorta di soddisfazione nel vedere che molti nobili di Colonia si erano innervositi nel riconoscere Bianche, Isobel ed Eleanor. Se proprio devo andare fino in fondo a questa dannata cerimonia, allora lo farò a modo mio! Ash vide l'imperatore che cominciava a conversare con il vescovo. Entrambi passeggiavano come se fossero in un salone del palazzo imperiale e non in un luogo sacro. «Fernando è in ritardo. Non viene!» Si sentì pervadere da un'ondata di gioia e sollievo. «Beh, vuol dire che lui non è nostro nemico... È stato l'arciduca Sigismondo a combinare tutto questo. Sigismondo voleva che mi battessi nel campo della politica, dove non so cosa fare, invece che su quello di battaglia dove so il fatto mio.» «Donna, tu hai fatto di tutto per farti dare delle terre da Federico» le ricordò Godfrey, in tono tanto scettico da somigliare a quello di Florian. «Quell'uomo ha semplicemente sfruttato a suo vantaggio il tuo peccato di avidità.» «Non si tratta di un peccato, ma di stupidità.» Ash si trattenne dal guardarsi intorno. «Comunque sta andando tutto per il meglio.» «Sì... anzi, no. È arrivata della gente, fuori.» «Merda» sibilò Ash, lasciando allibite le prime due file di convitati. Era in piedi rigida come una statua abbigliata da sposa. I capelli le scendevano fino alle ginocchia. Sulla testa spiccava un cerchietto metallico adornato con una ghirlanda di margherite di campo. Il velo che le copriva il volto era così fine da lasciar vedere chiaramente le cicatrici sulle guance. Si udì il suono dei tamburi e dei corni. Ash sentì lo stomaco che le si chiudeva. Fernando del Guiz e il suo codazzo composto da giovani appartenenti alla nobiltà germanica, con indosso degli abiti che costavano più di quello che lei aveva guadagnato nei sei anni di battaglie, si affrettarono a 33
Quella statua non esiste più, ma è possibile vederne una simile a Friburgo. L'opera risale all'anno 1280, circa.
raggiungere il crocefisso. L'imperatore Federico HI si accomodò nel posto a lui riservato con il suo seguito. Ash scorse il volto impassibile di Sigismondo del Tirolo. Quell'uomo non voleva darle la soddisfazione di sorridere di fronte alla sua disfatta. La luce che entrava dalle alte finestre illuminava la figura di una statua in marmo nero posta sull'altare 34 , raffigurante una donna che cavalcava un toro. Ash alzò lo sguardo disperata e fissò l'enigmatico sorriso della statua e il vestito ricamato in oro che la ricopriva, mentre i chierichetti entravano nel coro portando delle candele di cera verde. Sapeva che al suo fianco c'era qualcuno. Lanciò una rapida occhiata alla sua destra e vide il giovane Fernando del Guiz intento a fissare l'altare. Era pettinato e non portava nessun tipo di copricapo. Per la prima volta poté guardarlo in faccia. Deve avere al massimo uno o due anni più di me. Pensavo che fosse più vecchio di me, si disse. Ora ricordo... Non era il volto dall'incarnato pallido, con la fronte spavalda e le lentiggini sul naso dritto, né i folti capelli biondi tagliati all'altezza delle spalle a piacerle. Ash osservò le spalle e il corpo robusto, quasi da adulto. Proprio così. Proprio così... Si scoprì a pensare di volergli arruffare i capelli. Avvertì il suo profumo. Allora ero una bambina, ma adesso... pensò. Ash si trovò a fantasticare che avrebbe voluto slacciargli il farsetto di velluto, che non aveva ormai più bisogno di imbottiture alle spalle, calarglielo fino alla vita, quindi sbottonargli i pantaloni... Lo squadrò per bene, soffermandosi sul cavallo e sulle cosce robuste. Dolce Cristo che sei morto per salvarci! pensò. Questo mi fa bollire il sangue come quando avevo dodici anni. «Signora Ash!» Qualcuno le fece una domanda. «Sì» rispose lei, con fare assente. La luce le illuminò il volto. Fernando del Guiz le aveva alzato il velo. L'uomo aveva gli occhi verdi, scuri come il mare. «Ora siete marito e moglie» dichiarò il Vescovo di Colonia. Fernando del Guiz cominciò a parlare e Ash si accorse che il suo alito 34
Una traduzione letterale dal Germanico. Non è mai esistito un altare simile a Colonia.
puzzava di vino. «Avrei preferito sposare il mio cavallo» disse, in modo che tutti potessero sentire. «Ma il tuo cavallo non ti avrebbe voluto» borbottò Robert Anselm. Qualcuno sussultò, altri risero e uno dei presenti si trattenne dallo scoppiare a ridere come un ossesso. Ash pensò che doveva essere Joscelyn van Mander che si trovava in fondo alla cattedrale. Ash fissava il volto del giovane non sapendo se piangere, ridere o colpire qualcosa, alla ricerca di un'avvisaglia del sorriso complice del quale l'aveva gratifica a Neuss. Niente. Non si rese neanche conto di aver drizzato le spalle e di aver assunto lo sguardo che usava nel suo campo. «Non parlarmi mai più così.» «Adesso sei mia moglie e ti parlo come voglio. Se la cosa non ti piace ti picchierà. È meglio se diventi docile!» Ash si trattenne a stento dal ridere. «Davvero?» Fernando del Guiz le passò un dito guantato sul mento e poi sul collo, quindi lo ritrasse e fece il gesto di annusarlo. «Mi sembra di sentire odore di... di... di piscio. Sì, proprio così. Piscio...» «Del Guiz» lo ammonì l'imperatore. Fernando si girò e si avviò verso l'imperatore e Costanza del Guiz che piangeva (le dame di corte erano entrate nella cattedrale solo ora che la cerimonia era finita), ma nessuno si degnò di guardare la sposa che veniva lasciata sola. «No» disse Ash, trattenendo Robert Anselm per un braccio. Lanciò anche una rapida occhiata al prete. «No. È tutto a posto.» «Tutto a posto? Non lascerai che ti tratti in questo modo?» Il suo luogotenente voleva andare da Fernando del Guiz e prenderlo a pugni. «So quello che devo fare. Ho capito tutto!» Ash rafforzò la stretta intorno al braccio di Robert. Gli uomini della compagnia avevano cominciato a borbottare tra di loro. «Sarò una sposa infelice» disse Ash, tranquilla. «Ma potrei diventare una vedova molto felice.» I due uomini sussultarono. Fu una scena quasi comica. Ash continuava a osservarli. Robert Anselm fece un cenno col capo, soddisfatto, e sulle labbra di Godfrey Maximillian era apparso un sorriso gelido. «Le vedove ereditano gli averi del marito» ricordò loro Ash. «È vero...» Robert Anselm annuì. «Meglio non dirlo a Florian. Quel-
l'uomo è suo fratello.» «Allora le... lui non deve sapere nulla.» Ash non guardò Godfrey. «Non sarà il primo pupillo della nobiltà germanica a morire a causa di una caduta da cavallo.» Ash si fermò un attimo dimenticandosi dei suoi compagni e di quello che aveva detto per cercare Fernando, che in quel momento stava confortando la madre. Il solo fatto di vedere quel corpo la eccitava. Non sarà facile, pensò. Non sarà per niente facile. «Signore. Signori.» Ash controllò che le sue damigelle stessero tenendo lo strascico e posò le dita sul braccio di Godfrey. «Non ci nasconderemo negli angoli. Adesso andremo a ringraziare le persone che hanno partecipato al mio matrimonio.» Aveva lo stomaco chiuso. Sapeva bene la figura che stava facendo: la giovane sposa con i capelli biondi sciolti e la veletta alzata. Non sapeva di essere impallidita e che le strisce rosse degli sfregi spiccavano ben visibili sulla pelle delle guance. Prima salutò gli ufficiali perché con loro si sentiva più a suo agio. Scambiò qualche parola, scherzò e strinse delle mani. Qualcuno la fissò con sguardo compassionevole. Ash non poteva fare a meno di continuare a fissare con ansia la folla in cerca di Fernando del Guiz. Lo vide parlare con Joscelyn van Mander sotto una finestra. Il cono di luce lo investiva in pieno dandogli un'aria angelica. Van Mander le dava le spalle. «Non ci ha impiegato molto» commentò Ash. «Ora il contratto di van Mander e dei suoi ragazzi appartiene a del Guiz» le rammentò Anselm, scrollando le spalle. Sentì un sussurro alle sue spalle e avvertì lo strascico che cadeva tirandole indietro il collo. Si girò lanciando un'occhiataccia a Bianche e Isobel. Le due donne stavano fissando il piccolo uomo del meridione che Ash aveva già visto a Neuss, con un'espressione sul volto che; era un misto di paura e meraviglia. «Viene dalle terre Sotto Penitenza!» sussurrò la piccola Eleanor a Bianche. Per Ash era del tutto chiaro il motivo per il quale l'uomo portava un pezzo di stoffa nera intorno al collo, pronto all'uso. «Oh, Cristo Verde, sono poco più che demoni giù in Africa - togliamoci di qua.» Ash attraversò la navata salutando i nobili minori delle città libere. Non è da me, pensò Ash, parlare educatamente e amabilmente. Questo non è il mio mondo. Parlare con l'ambasciatore della Savoia e di Milano e vedere
che sono stupiti di scoprire che una hic mulier 35 può indossare degli abiti da donna, parlare come loro, e che non ha la coda a punta e le corna. Cosa sto facendo. Cosa sto facendo? «Mia signora» disse qualcuno alle sue spalle. Ash sorrise e si congedò dall'ambasciatore di Milano, un individuo noioso e visibilmente spaventato da una donna che aveva ucciso più di un uomo in battaglia e si girò. La persona che le aveva rivolto la parola era l'abitante del sud. Aveva i capelli molto chiari e la pelle del volto bruciata dal sole. Indossava una cotta di maglia sopra una corta tunica bianca e dei pantaloni borchiati dello stesso colore. Sebbene fosse disarmato era vestito come un guerriero e questo aiutò Ash a sentirsi più a suo agio. Le pupille dell'uomo erano ridotte a due spilli a causa della luce che penetrava dalle finestre. «Arrivate da Tunisi?» azzardò, cercando di parlare una versione rozza della lingua dell'uomo. «Da Cartagine» confermò questi, chiamando la città con il nome gotico36 . «Ma solo adesso comincio ad abituarmi alla luce.» «Sono - merda.» Ash si interruppe rapidamente. Alle spalle del Cartaginese c'era un uomo robusto che Ash giudicò alto più di due metri. A una prima occhiata era sembrato una statua di granito rosso con un ovoide privo di lineamenti al posto della testa. Ma le statue non si muovono. Si accorse di essere arrossita e avvertì la presenza di Robert Anselm e Godfrey Maximillian alle sue spalle. «Non avevo mai visto uno di questi tanto da vicino!» disse Ash. «I nostri golem? 37 » 35
Termine latino per indicare una donna mascolina. Il testo è incerto in questo punto. Charles Mallory Maximillian parla di 'Visigoti', i 'nobili Goti'. Tuttavia qui si entra nel campo delle leggende medievali. Io penso che i 'Visigoti' siano stati menzionati e che tale menzione debba essere considerata attentamente. 37 Io preferisco questo termine a quello di Vaughan Davies, 'robot', o a quello usato da Charles Mallory Maximillian, 'uomo di terracotta'. Questa presenza quasi sovrannaturale è chiaramente uno dei particolari leggendari che si trovano nella storia di Ash, e non devono essere presi sul serio, se non per il fatto che riflettono il rammarico provato dagli uomini del Medio Evo per aver perso tutte le vestigia dell'Età dell'Oro romana. 36
Schioccò le dita e la creatura fece un passo avanti entrando nel fascio di luce multicolore che filtrava dalla finestra. L'uomo fissava Ash e i suoi compagni con lo sguardo divertito di chi era abituato a vedere le reazioni di stupore alla vista del golem. Le giunture del collo, delle spalle, dei gomiti, delle ginocchia, delle caviglie erano fatte di ottone. Le dita somigliavano per fattura e capacità di movimenti ai guanti per le armature costruiti in Germania. Aveva un odore amarognolo - fango? Doveva pesare molto perché l'andatura era lenta e a ogni passo un tonfo sordo echeggiava contro le pareti della cattedrale. «Posso toccarlo?» «Se lo desiderate, signora.» Ash allungò una mano e posò i polpastrelli sul petto del golem. La pietra era fredda. Fece scivolare le dita tracciando il contorno dei pettorali. La testa della creatura si inclinò verso il basso. Sull'ovoide privo di lineamenti, cominciarono ad aprirsi due buchi. Ash si aspettava di vedere il bianco dell'occhio e il colore delle pupille. Le palpebre finirono di dischiudersi rivelando due occhi pieni di granelli di sabbia rossa turbinante. «Da bere» ordinò il Cartaginese. Il braccio si sollevò senza rumore porgendo un coppa d'oro alla persona che l'aveva richiesta. Il Cartaginese bevve e la restituì. «Sì, signora, ci è permesso portare i nostri golem servitori con noi. Sebbene ci sia stata più di una discussione sul permettere loro di entrare in una vostra 'chiesa'.» L'ultima parola era stata pronunciata con un alone di sarcasmo. «Somiglia a un demone» disse Ash, continuando a fissare il golem. Stava immaginando una di quelle braccia che si levava per colpire. Dato il peso del braccio, l'impatto avrebbe avuto un effetto devastante. «Non lo è. Ma voi siete la sposa!» Le prese la mano e gliela baciò. Aveva le labbra secche. «Asturio, signora» si presentò l'uomo, ricorrendo alla sua lingua natale. «Asturio Lebrija, ambasciatore della Cittadella alla corte dell'Imperatore. Questi Tedeschi! Non so quanto riuscirò ancora a sopportarli! Voi siete una donna bellissima, signora. Una guerriera. Perché vi hanno fatta sposare con quel ragazzino?» «Perché siete qui, ambasciatore?» chiese Ash, stizzita. «Sono stato mandato da un personaggio molto potente. Ah, adesso capisco.» Asturio Lebrija si grattò i capelli tagliati corti come facevano tutti i Nordafricani che dovevano indossare l'elmo. «Qui voi siete la benvenuta
quanto lo sono io.» «Già, quanto una scoreggia in un bagno pubblico» Lebrija tossì. «Ambasciatore, io penso che l'imperatore abbia paura del giorno in cui la vostra gente smetterà di combattere i Turchi e diventerà un problema per questa parte d'Europa.» Ash vide Godfrey che si spostava per parlare con uno degli aiutanti di Lebrija e Robert Anselm che continuava a fissare il golem con gli occhi sbarrati. «O forse perché invidiano le paratie idrauliche di Cartagine, l'acqua calda che scorre sotto il pavimento e tutte le vestigia dell'Età dell'Oro.» «Le fogne, le batterie, le triremi, l'abaco...» Asturio faceva vagare lo sguardo qua e là. «Oh, noi siamo la Roma rinata. Temete le nostre potenti legioni!» «La vostra cavalleria pesante non è malvagia...» Ash si passava una mano sul mento e sulla bocca, ma non riusciva a trattenersi dal sorridere. «Oops, ma voi siete un ambasciatore e non mi sono espressa in maniera molto diplomatica.» «Ho già incontrato donne guerriere. Ma credo che d'ora in poi vi incontrerò a corte piuttosto che sul campo di battaglia.» Ash sorrise. «Quindi questa luce del nord è troppo forte per voi, ambasciatore Asturio, vero?» «È difficile da paragonare alla luce del Crepuscolo Eterno, ve lo garantisco.» «Vedi di venire qui e in fretta, Asturio. Dammi una mano con questi fottuti Tedeschi» gli ordinò la voce di un uomo più vecchio, interrompendolo. Ash sbatté le palpebre sorpresa, rendendosi conto quasi immediatamente che l'uomo aveva parlato in Visigoto e che solo lei e i suoi uomini l'avevano capito. Lanciò un'occhiataccia a Isobel, Bianche, Euen Huw e Paul di Conti, che si calmarono immediatamente. Si girò nuovamente verso l'ambasciatore che la salutò con un vistoso inchino, quindi si unì al suo superiore, seguito dal golem. «La loro cavalleria pesante non è malvagia» le borbottò Robert Anselm in un orecchio. «Per non parlare delle loro fottute navi! Sono dieci anni che non fanno altro che prepararsi alla guerra.» «Lo so. Secondo me tra breve ci sarà un'altra guerra tra i Turchi e i Visigoti per il controllo del Mediterraneo, con scontri tra soldati indisciplinati e cavalleria leggera senza alcun risultato da nessuna delle due parti. Forse potrebbe esserci del lavoro per noi, laggiù.»
«Non per 'noi'» le fece notare Anselm, in tono disgustato. «Per Fernando del Guiz.» «Non per molto.» Un attimo dopo la voce di Federico d'Asburgo echeggiò tra le navate. «Fuori!» urlò l'imperatore. Il vociare dei vari gruppetti ancora presenti nella cattedrale cessò all'istante. Ash si incamminò verso l'uscita, ma qualcuno le pestò lo strascico facendola arrestare bruscamente. Si girò e vide Ludmilla che si buttava lo strascico su un braccio borbottando qualcosa. Ash sghignazzò rivolta alla Grande Isobel e raggiunse Anselm, che stava facendosi largo tra la folla per unirsi a Godfrey. Una volta raggiunto il prete, che si trovava in prima fila, videro due soldati che piegavano le braccia di Asturio Lebrija dietro la schiena costringendolo a inginocchiarsi sul pavimento, e Sigismondo del Tiralo che appoggiava un roncone alla gola del secondo ambasciatore facendolo inginocchiare a sua volta e premendogli un ginocchio contro la schiena. Il golem era immobile come le statue dei santi nelle nicchie. «Daniel de Quesada» sibilò Federico d'Asburgo. La voce dell'imperatore era ancora venata dal tremore tipico di una persona che, poco abituata a cedere all'ira, cerca di riguadagnare il controllo. «Posso anche sentirvi dire che la vostra gente ha fornito alla nostra tantissime nozioni di medicina, matematica e architettura, ma non lascerò che ci definiate barbari proprio qui nella nostra cattedrale più antica.» «Lebrija non ha detto...» Federico d'Asburgo interruppe l'ambasciatore più anziano. «Chiamare il mio amico Luigi di Francia 'ragno' e sentirmi descrivere come 'un vecchio avido!'» Ash lanciò un'occhiata a Federico, al suo codazzo di nobili visibilmente agitati e agli ambasciatori visigoti. Era molto più probabile che Asturio Lebrija si fosse momentaneamente dimenticato della lingua in cui stava parlando, piuttosto che il vecchio e chiaramente più esperto ambasciatore avesse deciso di insultare deliberatamente l'imperatore del Sacro Romano Impero. «Qualcuno vuole creare un bel po' di confusione, e deliberatamente. Chi può essere?» chiese Ash, rivolgendosi a Godfrey. Il prete aggrottò la fronte. «Penso che sia Federico. Non vuole che gli venga chiesto di prestare aiuto militare ai Visigoti del Nord Africa 38 . Ma 38
Secondo la storia che noi conosciamo le tribù di Visigoti germanici
non vuole che l'ambasciatore senta il suo rifiuto, perché non vuole che quest'ultimo immagini che lui non ha truppe da inviare perché è troppo debole. È molto più facile prendere tempo servendosi della scusa di un 'insulto'.» Ash voleva dire qualcosa per aiutare Asturio Lebrija, il cui volto arrossiva mentre le due guardie lo sollevavano, ma non le venne in mente niente di intelligente. «Non vi farò decapitare» sbottò l'imperatore, indispettito. «Verrete rispediti a casa, e dite alla Cittadella che la prossima volta dovrà mandare degli ambasciatori civili!» Ash lanciò un'occhiata intorno a sé senza neanche rendersi conto che tutta la sua postura era cambiata. Improvvisamente era in stato di allerta e aveva bilanciato il peso del corpo in modo da essere pronta a colpire in qualsiasi momento, un comportamento del tutto inusuale per una donna in abito da sposa. Il golem era immobile alle spalle dei due ambasciatori. Se quello dovesse muoversi... pensò Ash, mentre le sue dita si chiudevano in prossimità del fianco come se stessero stringendo l'elsa della spada. Fernando del Guiz, che fino a quel momento aveva osservato tutta la scena appoggiato contro una colonna, si drizzò. Ash lo guardò. È proprio come tutti i giovani cavalieri germanici, pensò tra sé, ma questo è una miniera d'oro. La luce del sole gli illuminò il volto mentre lui si girava per sghignazzare alla battuta di uno dei suoi scudieri. Ash ebbe una fugace visione che sembrò riscaldare l'atmosfera fredda della cattedrale. Vide un giovane forte che indossava un'armatura dal disegno aggraziato con la naturalezza di chi aveva fatto mesi e mesi di vita da campo e gioiva come lei a ogni battaglia. Perché mi disprezzi quando siamo così uguali? Dovresti capirmi più di qualsiasi altra donna che avresti potuto sposare! «Lasciate che sia io a scortare gli ambasciatori, Vostra Maestà Imperiale» disse Fernando del Guiz. «Ho appena acquisito delle nuove truppe che hanno bisogno di un po' di disciplina. Vi prego di affidarmi questo compito e concedermi la vostra fiducia.» Qualche decimo di secondo dopo Ash ripeté mentalmente 'nuove truppe' e si rese conto che il marito parlava della sua compagnia. Scambiò un'occhiata torva con Robert Anselm e Godfrey Maximillian, che ricambiarono con lo stesso sguardo. non si stabilirono mai nel Nord Africa. Anzi, nel 711 successe il contrario con l'invasione araba della Spagna visigota.
«Sarà il tuo regalo di nozze, del Guiz» concordò Federico d'Asburgo, assumendo un'espressione velatamente sardonica. «Sarà anche la luna di miele per te e la tua sposa.» Raccolse lo strascico lungo più di due metri con l'aiuto dei paggi e, senza voltarsi, disse: «Vescovo Stephen.» «Sì, Vostra Maestà Imperiale?» «Esorcizzate questa cosa» ordinò indicando il golem. «E quando avrete finito ordinate ai carpentieri di ridurla in ghiaia a martellate!» «Certo, Vostra Maestà Imperiale.» «Barbari!» esclamò, incredulo, Daniel de Quesada. «Siete solo dei barbari!» Asturio Lebrija alzò la testa a fatica e disse: «Non mi ero sbagliato, Daniel: questi maledetti Franchi39 sono dei bambini che giocano a distruggere tutto ciò che capita loro tra le mani! Asburgo, voi non avete idea del valore di...» I cavalieri che lo tenevano fermo gli fecero sbattere la faccia contro il pavimento. Il tonfo echeggiò sulle pareti e il soffitto della cattedrale. Ash fece un passo avanti per avvicinarsi, ma inciampò in un lembo del vestito e afferrò il braccio di Godfrey per non cadere. «Lord del Guiz,» disse l'imperatore «scortate questi uomini al porto più vicino e assicuratevi che salgano su una nave diretta a Cartagine. Voglio che vivano per portare in patria la loro sventura.» «Vostra Maestà.» Fernando si inchinò. «Avrete bisogno di prendere il comando delle vostre nuove truppe. Non tutte, però. Non tutte. Questi uomini,» Federico d'Asburgo indicò con un movimento impercettibile del dito gli ufficiali e i soldati di Ash che affollavano il fondo della cattedrale, «ora vi appartengono per diritto feudale, Mio Lord. Ed essendo la nostra persona vostro signore feudale, appartengono anche a noi. Prenderete solo una parte dei vostri nuovi soldati, e gli altri rimarranno con noi per espletare alcuni compiti alla loro portata: l'ordine non è stato ristabilito del tutto a Neuss e la città non è ancora sicura.» Ash aprì la bocca, ma Robert Anselm le assestò una gomitata tra le costole senza farsi notare. «Non può farlo!» sibilò Ash. «Certo che può. Adesso taci, ragazza.» Ash era tra Godfrey e Anselm, il vestito cominciava a darle fastidio e sentiva le ascelle fradice di sudore. I cavalieri, i lord, i mercanti, i vescovi, 39
Un termine usato in questo testo per definire gli abitanti del Nord Europa.
i preti che facevano parte della corte imperiale si accodarono a Federico d'Asburgo che usciva dalla cattedrale e il loro vociare si levò fino ai santi nelle nicchie e al soffitto della chiesa. «Non può dividerci in questo modo!» La mano di Godfrey le strinse il gomito. «Non muoverti mai, se non puoi fare nulla. Ascoltami bene, figliola! Se ti metti a protestare adesso tutti vedranno quanto poco conti. Aspetta. Aspetta il momento propizio.» La corte degnò la sposa e il gruppo di soldati della stessa attenzione che riservavano ai santi della cattedrale: quasi nessuna. «Non posso lasciarla!» Ash parlò con un tono di voce che poteva essere udito solo da Anselm e dal prete. «Ho creato questa compagnia dal nulla. Se aspetto, cominceranno a disertare o si abitueranno a essere comandati da del Guiz.» «Lasciali andare. È un loro diritto» la blandì Godfrey, mite. «Forse, non vorranno più fare i guerrieri.» Ash e Robert Anselm scossero la testa all'unisono. «Li conosco.» Ash si passò una mano su una guancia. «Sono a centinaia di leghe dal cazzo di fattoria o città dove sono nati e non sanno fare altro che combattere. Sono la mia gente, Godfrey.» «Adesso sono i soldati di del Guiz. Non hai pensato che questa potrebbe essere la soluzione migliore per loro, figliola?» Questa volta fu Robert Anselm a dissentire. «Conosco questi giovani cavalieri che poggiano il culo su un cavallo da guerra per la prima volta! Sono dei sacchi pieni di piscio e vento che non sanno trattenersi in battaglia e non si curano dei loro uomini! Quello non è altro che uno dei tanti eroici disastri che vanno in giro su due gambe. Abbiamo tempo, capitano. È meglio che andiamo via da Colonia.» Anselm fissò Fernando del Guiz che si allontanava lungo la navata in compagnia di Joscelyn van Mander senza girarsi a guardare la sua sposa. «Vedremo quanto ti piacerà la strada, ragazzino di città.» Merda, pensò Ash. Non ho più la mia compagnia. La stanno smembrando, io sono sposata a una persona che mi possiede e non ho alcun modo di imparare i giochi di corte per far cambiare idea all'imperatore, perché devo scortare un paio di ambasciatori in disgrazia Cristo solo sa dove... Ash lanciò un'occhiata all'ala ovest40 della cattedrale, che si trovava oltre 40
Proprio come successe con la navata, anche questa parte venne lasciata incompleta fino al diciannovesimo secolo.
le porte. «Qual è il porto imperiale più vicino a noi?» «Genova» disse Godfrey Maximillian.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduto della Borgogna, (Ratcliff, 2001), British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce
#5 (Pierce Ratcliff) Ash: documenti storici 02/11/00 ore 20,55 Longman@
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Mi dispiace disturbarti fuori dall'orario di lavoro, ma 'devo' parlarti riguardo la traduzione di questi documenti. Ho un ricordo molto bello di quando studiai Ash a scuola e devo dire che la tua traduzione mette in luce una delle caratteristiche che già allora mi avevano entusiasmato: Ash è un vero soldato. Sa combattere e, pur essendo analfabeta, possiede un carattere molto complesso. Mi piace quella donna! Continuo a pensare che una traduzione dei documenti inediti che tu hai scoperto, unita a una revisione delle traduzioni precedenti, sia una delle migliori idee commerciali degli ultimi tempi. Sai bene che, sebbene tu non mi abbia ragguagliata a fondo sul tuo lavoro, ti sto sostenendo con tutte le mie forze. Comunque. Queste fonti... Posso capire gli strani errori di datazione e le leggende medievali. Dopo tutto era questo il modo in cui quella gente 'percepiva' ciò che accadeva loro. Quello che abbiamo tra le mani è la prospettiva di una tua nuova teoria sulla storia dell'Europa, è materiale di ottima qualità! - Ma proprio per questo motivo ogni discrepanza con la storia fino a oggi conosciuta deve essere comprovata con un lavoro di documentazione inattaccabile. A condizione che le leggende vengano riferite come tali, verrà fuori un ottimo libro di storia. *Ma*... *golem*???!!! Nell'Europa medievale?! Cosa devo aspettarmi la prossima volta - zombie e non morti?! Questa è fantasia. AIUTO! — Anna
————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna
#1 (Anna Longman) Ash: documenti storici 03/11/00 ore 18,30 Format dell'indirizzo Ratcliffe@ e altri dettagli cancellati
Ecco cosa succede a comunicare tramite e-mail, si dimentica di consultarla! Mi dispiace 'moltissimo' di non averti risposto ieri. Veniamo ai 'golem'. Mi sto attenendo alla traduzione di Charles Mallory Maximillian (ho aggiunto un po' dei dati del FRAXINUS). Nel 1890 Mallory parla degli 'uomini di terracotta' che somigliano molto ai servitori magici creati dal leggendario Rabbino di Praga (non dobbiamo dimenticare che la traduzione venne fatta nel pieno del revival occultistico che imperversava nei salotti vittoriani dell'Europa fin de siècle). Nel 1930 Vaughan Davies si riferisce ai golem chiamandoli 'robot', un termine piuttosto inusuale per quei tempi. Io avevo intenzione di usare il termine 'golem' in questa terza edizione, a meno che tu non pensi che sia poco storico. So che vuoi rendere questo libro accessibile a tutte le fasce di lettori. Comunque, dal punto di vista storico credo che questi 'golem' o 'uomini di terracotta' siano nati da un misto tra una realtà storica, l'alto livello tecnologico raggiunto dagli Arabi nel Medio Evo, e storie di vario genere. Sarai sicuramente al corrente che gli Arabi non erano solamente ingegneri abilissimi, ma avevano costruito fontane, orologi, automi e tantissimi altri meccanismi molto sofisticati. È ormai assodato che al tempo di alJazari esistevano ottimi mezzi di traino, cambi a segmenti ed epicicli e pompe. Sia le riproduzioni animate del moto della volta celeste che quelle del corpo umano erano alimentate dall'acqua. Sebbene nessuna di queste creazioni potesse spostarsi nello spazio, molti viaggiatori europei di quel periodo riferirono di 'modelli' mobili di uomini, cavalli e uccelli canterini. Le mie ricerche mi hanno portato alla conclusione che all'interno dell'opera di del Guiz siano confluite le storie dei viaggiatori e le leggende ebraiche sul golem. Infatti non c'è nessuna prova storica dell'esistenza di tali creature magiche.
Se ci fosse stato un 'uomo di terracotta' o un 'servitore' di qualche tipo, immagino che potesse essere una sorta di veicolo spinto dal vento come i sofisticati carri dell'epoca, ma allora ci sarebbero volute ruote, strade ben pavimentate e un conducente umano come per tutti i carri, e sicuramente non avrebbe assolutamente potuto essere impiegato al coperto. Tu potresti obiettare, giustamente, che parlando dei golem si estenderebbe fin troppo una speculazione storica senza alcuna giustificazione. Non è mai stato scoperto nulla di simile. È una licenza del cronista. Mi piacciono i miei 'golem' perché li ritengo parte delle leggende che fanno da corollario alla vita di Ash e spero che tu me li voglia far tenere. Comunque, non intendo porre troppa enfasi sugli aspetti 'leggendari' della vicenda a discapito delle verità storiche contenute nel testo di del Guiz. Non ho problemi a eliminare i golem nel caso non risultassero confacenti al taglio del libro. — Pierce Ratcliff —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: — Pierce
#6 (Pierce Ratcliff) Ash: documenti storici 03/11/00 ore 23,55 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
Non saprei riconoscere un cambio a segmenti neanche se mi mordesse! Ma sono d'accordo con te quando sostieni che questi 'golem' sono il frutto di qualche leggenda medievale basata su un qualche tipo di realtà. Ogni studio sulla storia delle donne, degli afro-americani o della classe operaia ti fa subito capire quanto tutti questi argomenti siano strettamente legati alla storia convenzionale: perché la storia dell'ingegneria dovrebbe essere tanto diversa? Ritengo che sia meglio lasciare fuori le leggende per evitare confusione con i fatti realmente accaduti. Oggi una delle mie assistenti ha sollevato alcune riserve riguardo i 'Visigoti.' Come facevano a essere ancora in circolazione nel 1476, considerato che erano una tribù germanica scomparsa con la caduta dell'Impero Roma-
no d'Occidente? L'altra domanda sono io a porla: non ho fatto studi classici, ma se ben ricordo Cartagine non venne 'fatta sparire dalla faccia della terra' ai tempi dei Romani? Il tuo manoscritto parla come se al tempo fosse ancora esistente, ma non fa alcuna menzione della cultura araba nel Nord Africa. Si chiarirà tutto, vero? Presto? TI PREGO?! — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: — Pierce
#3 (Anna Longman) Ash: una teoria 04/11/00 ore 09,02 Format dell'indirizzo Ratcliff@ e altri dettagli ancellati
Non sapevo che gli editori lavorassero così tanto. Spero che tu non stia lavorando troppo duramente. Mi chiedi qualcosa riguardo la mia teoria - molto bene. Molto probabilmente non possiamo continuare il nostro rapporto lavorativo senza che prima ti abbia chiarito alcuni punti. Sopportami ancora per qualche tempo, così potrò darti le informazioni necessarie. L'arrivo di quel personaggio che nel testo è chiamato l'ambasciatore dei 'Goti' rappresenta effettivamente un problema, che, tuttavia, credo di aver risolto e, come tu hai intuito, si tratta del fattore chiave nel mio processo di rilettura della storia dell'Europa. Mentre per la presenza dell'ambasciatore alla corte di Federico ho trovato dei riferimenti sia nelle CRONACHE DELLA BORGOGNA che nella corrispondenza tra Filippo de Commines e Luigi XI di Francia, ho trovato molto arduo scoprire da dove saltassero fuori questi 'Goti' (o, visto che preferisco la traduzione di Charles Mallory Maximillian, che trovo più accurata, 'Visigoti': i 'nobili Goti'). La tua collaboratrice sbaglia nell'affermare che le tribù barbariche della Germania 'scomparvero' visto che vennero assorbite nel gigantesco calderone etnico che era l'Europa dopo la caduta dell'Impero Romano. In Italia, per esempio, troviamo gli Ostrogoti; i Burgundi nella valle del Reno e i
Visigoti in Iberia (Spagna). Essi continuarono a regnare su questi territori in alcuni casi anche per secoli. Tuttavia, Maximillian azzarda l'ipotesi che gli ambasciatori siano Spagnoli. Questa sua affermazione non mi ha mai soddisfatto. La giustificazione logica addotta da CMM è che, a partire dall'ottavo secolo, la Spagna è divisa tra un'aristocrazia gotica di stampo cavalleresco e le dinastie arabiche approdate sulla penisola iberica con l'invasione del 711. Le casate minori, sia quelle arabe che quelle gotiche, governavano su una grande massa di contadini iberici e mori. Quindi, Maximillian dice: «Visto che esistevano dei 'Visigoti' in circolazione fino al tardo quindicesimo secolo, è probabile che ci fossero anche delle voci riguardo al fatto che sia i Visigoti cristiani che i 'Saraceni infedeli' (musulmani) fossero in possesso di alcune macchine e di parte della tecnologia dell'Impero Romano.» Gli ultimi Musulmani vennero cacciati del tutto dalla Spagna con la 'Reconquista' (1488 - 1492) , quindici anni dopo la morte di Ash. Quindi, è lecito supporre che l'ambasciatore visigoto alla corte dell'imperatore Federico provenisse dalla penisola iberica. Comunque, io stesso trovai molto curioso che i testi sulla vita di Ash dicessero chiaramente che i due diplomatici arrivavano da una città che si trovava sulle coste del Nord Africa. (Ancor più stupefacente perché quelle zone non appartenevano agli Arabi!) Vaughan Davies, l'autore della seconda storia della vita di Ash (1939), basa la SUA teoria sul fatto che i testi si riferiscono agli abitanti del Nord Europa come 'Franchi' trattando i Visigoti come se fossero i cavalieri saraceni delle leggende arturiane - i 'Saraceni' nascono da un'idea tutta europea della cultura araba mista ai racconti fatti dai Crociati tornati dalla Terra Santa. Non penso che Vaughan Davies abbia fatto qualche studio per risolvere il problema. Adesso passiamo all'altro problema: Cartagine. Cartagine venne fondata dai Fenici e, come tu mi hai fatto notare, venne rasa al suolo dai Romani che in seguito costruirono un'altra città nello stesso luogo. Il fatto più interessante è che, dopo che l'ultimo Imperatore romano venne deposto nell'anno 476, furono i Vandali a impossessarsi dei territori romani del Nord Africa e i Vandali, proprio come i Visigoti, erano una tribù germanica. Quella che prese possesso delle regioni in questione era una piccola elite militare che, guidata dal suo primo re, Genserico, voleva godere dei frutti del grande regno africano. Sebbene i Vandali continuassero a restare in
qualche modo 'germanizzati', Genserico portò con sé una casta sacerdotale ariana che fece diventare il Latino lingua ufficiale e fece erigere dei bagni pubblici simili a quelli dei Romani. La Cartagine vandalica tornò a essere il grande porto di un tempo: Genserico non controllava solo il Mediterraneo, ma, a un certo punto del suo regno, saccheggiò Roma. Come puoi vedere una specie di 'Tunisia gotica' è effettivamente esistita. L'ultimo re, Gelimero (un usurpatore), perse l'Africa vandalica contro i Bizantini nel volgere di tre mesi nell'anno 530 (si dice che in seguito si fosse ritirato in uno dei grandi possedimenti donatigli dai Bizantini). I Bizantini cristiani vennero cacciati dai regni berberi circostanti e dall'Islam (più che altro per l'uso militare del cammello) nel 630. Da quell'anno in poi tutte le tracce della cultura gotica vennero fatte sparire da quell'area dell'Africa, tanto che non ci sono più neanche dei richiami nella lingua. Secondo te, dove è possibile che sia sopravvissuta la cultura goticogermanica dopo il 630? In Spagna, vicino al Nord Africa, 'con i Visigoti.' Come ti renderai conto dopo la pubblicazione del mio Ash, tutto il campo di ricerca sulla storia del Nord Europa dovrà essere rivisto. In breve: intendo dimostrare che fino al tardo quindicesimo secolo sulle coste dell'Africa del Nord c'era ancora un insediamento di Visigoti. Che il loro 'ristabilirsi' ebbe luogo molto dopo il Nord Africa vandalico, dopo la fine del Primo Medio Evo e che il loro periodo di massimo fulgore militare fu il 1400. Intendo provare che nell'anno 1476 c'era un insediamento medievale popolato dai sopravvissuti delle tribù Vandale che non avevano 'golem' né 'crepuscoli'. Penso che l'Africa del Nord sia stata oggetto di un'incursione dei discendenti iberici dei Visigoti provenienti dalle 'taifa' (confini/misti) spagnole. Sono arrivato a tali conclusioni dopo la lettura delle descrizioni trovate nei testi. Nel Fraxinus l'insediamento è chiamato 'Cartagine' perché molto probabilmente doveva sorgere nei pressi del sito dell'antica Cartagine. Io credo che questo insediamento gotico, influenzato dalla cultura araba (ci sono moltissimi termini militari usati dagli Arabi nei manoscritti dell'Angelotti e di del Guiz) abbia prodotto qualcosa di unico. E io non credo che la controversia verta sull'esistenza o meno di questo luogo, quanto (potremmo dire) su quello che fece tale cultura e sul contributo fornito alla cultura europea come la viviamo oggi. Forse ci sarà una prefazione o una postfazione, che spiegherà tutte le
implicazione insite nei documenti su Ash, ma non l'ho terminata. Mi dispiace di essere così vago riguardo tali implicazioni, Anna, ma non voglio che qualcuno le pubblichi prima di me. Ci sono dei giorni in cui non posso proprio credere che nessun altro abbia letto il 'Fraxinus' prima di me e il mio incubo è aprire il GUARDIAN e scoprire che qualcun altro ha fatto una nuova traduzione. Al momento non ho voglia di mettere in rete la mia teoria perché chiunque potrebbe scaricarla. Infatti, finché non avrò tradotto e corretto tutto, nonché scritto la postfazione alla prima stesura, sono piuttosto riluttante a discutere di questioni editoriali. Abbi pazienza, ti prego. Dobbiamo lavorare a compartimenti stagni, altrimenti mi rideranno tutti in faccia e sarò espulso dal mondo accademico. Per il momento ti trasmetto un altra parte della traduzione: la seconda parte della VITA, scritta da del Guiz. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#12 (Pierce Ratcliff) Ash: una teoria 03/11/00 ore 14,19 Longman@
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— Pierce Passino i Vandali, ma non riesco a trovare 'nessuna' indicazione nei miei libri di storia europea o araba sui Visigoti, abitanti del Nord Africa. Sei SICURO di non esserti sbagliato? Devo essere onesta e dirti che non abbiamo bisogno di nessuna controversia sull'attendibilità di questo libro. 'Per favore', dammi altri dati entro oggi, se possibile! ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#19 (Anne longman) Ash: una teoria 04/11/00 ore 18,37 Ratcliff@
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Anna — Anch'io, inizialmente, nutrivo i tuoi stessi dubbi. Anche i Vandali erano scomparsi del tutto dalla Tunisia islamica da nove secoli. In un primo momento ho pensato che il problema fosse nel modo di pensare medievale. Lascia che ti spieghi. Per loro la storia non era una progressione, una sequenza di fatti che si susseguivano in un ordine particolare. Gli artisti del Cinquecento che fecero luce sulle imprese dei Crociati fecero indossare ai loro soldati del milleduecento degli abiti del millecinquecento. Nello scrivere 'La morte di Artù' (1460) Thomas Mallory mise addosso ai suoi cavalieri le stesse armature indossate dai soldati nella Guerra delle Rose e li fece parlare come si parlava nel 146 0. La storia è 'adesso'. La storia è il prototipo morale del momento presente. Il 'momento presente' dei documenti su Ash è il 1470. In un primo momento ho creduto che i 'Visigoti' di cui si parlava in questo testo fossero i Turchi. Ora, possiamo facilmente immaginare quanto fossero 'terrorizzati' i regni europei quando il vasto impero di Osmanli (la Turchia per te!) assediò e prese Costantinopoli (1453), la 'più cristiana tra le città'. Per loro quel fatto rappresentò la fine del mondo. Fino al momento in cui i Turchi Ottomani non vennero respinti alle porte di Vienna (1600), l'Europa visse per duecento anni un periodo di terrore. Tutti temevano l'invasione da est. Fu la loro Guerra Fredda. La prima cosa che pensai fu che i cronisti di Ash (solo perchè era un famosissimo capo mercenario) 'dovevano' averla fatta partecipare a qualche battaglia contro i Turchi. Temendo l'impero turco essi ne nascosero l'identità sotto il nome di 'Visigoti' Come ben saprai, dovrò revisionare anche queste fonti. Pierce Ratcliff, Ph. D. ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#14 (Pierce Ratcliff) Ash: 05/11/00 ore 08,43 Longman@
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Non ho la minima idea di come spiegherò al direttore editoriale, per non parlare delle vendite e del marketing, che i Visigoti sono i Turchi e che tutta la storia che ci hanno insegnato è un cumulo di menzogne! —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#20 (Anne Longman) Ash: 05/11/00 ore 09,18 Ratcliff@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
No, no, NON sono Turchi! Ho solo pensato che potessero esserlo. Mi SBAGLIAVO! La mia teoria pone un enclave visigoto sulle coste del Nord Africa nel corso del quindicesimo secolo. La mia opinione è che le prove di questo fatto siano state occultate sotto il tappeto accademico. È già successo con molti altri fatti storici. Gli eventi e le persone non solo sono deliberatamente cancellati dalla storia, come succedeva con lo stalinismo, ma sembra che vengano dimenticati del tutto quando i tempi sono contro di loro. La stessa Ash scomparve durante il periodo patriarcale e in anni più 'illuminati' venne fatta apparire come un 'simbolo', mai coinvolta negli scontri. Ma questo accadde anche con Giovanna d'Arco, Jeanne de Montfort, Eleonora d'Aquitania e centinaia di altre donne la cui bassa estrazione sociale le costringeva nel dimenticatoio per diversi anni. Sono sempre stato affascinato dal PROCESSO che fa accadere tutto ciò - vedi la mia tesi - e dai DETTAGLI che vengono cancellati. Se non fosse stato per Charles Mallory Maximillian e il suo Ash (che mi venne donato da una mia bisnonna che a sua volta probabilmente lo ricevette come premio a scuola) non avrei mai passato vent'anni ad esplorare la storia
'scomparsa'. E ora l'ho trovato. Ho trovato un pezzo di storia 'scomparsa' abbastanza attendibile da darmi una reputazione. Devo tutto al 'Fraxinus'. Più lo studio più penso che la sua provenienza dalla famiglia Wade (il baule dove l'ho trovato si suppone provenga da un monastero andaluso) sia attendibile. La Spagna medievale è complessa, lontana e affascinante; e se ci sono stati dei Visigoti superstiti - mischiati nei vari rami della classe dirigente di origine romano barbarica che al tempo governava la penisola iberica - io mi aspetto di trovarne le prove tra le pagine di questo semisconosciuto manoscritto medievale. Ovviamente nei manoscritti su Ash ci sono degli errori e delle esagerazioni, ma contengono molte verità storiche. È possibile che ci fosse almeno un città visigota sulle coste del Nord Africa e che esercitasse un'egemonia militare di un certo peso! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#18 (Pierce Ratcliff) Ash: una teoria 05/11/00 ore 16,21 Longman@
Pierce —
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Ottimo. FORSE. Come è possibile che fatti di una tale importanza siano SCOMPARSI dalla storia??? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#21 (Anne Longman) Ash: 06/11/00 ore 04,30 Ratcliff@
Anne —
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Mi scuso per la risposta telefonica. Avevo lasciato il commutatore di questa linea sul fax. Voglio solo rassicurarti. È FACILE sparire dalla storia. È successo con la BORGOGNA. Nel 1476 era lo stato più ricco, culturalmente avanzato e meglio organizzato dal punto di vista militare di tutta l'Europa e Charles Mallory Maximillian ha avuto ragione nello scrivere, quando nel gennaio del 1477 il loro duca venne ucciso, NON VENNE SCRITTO PIÙ NULLA SULLA BORGOGNA. Non è del tutto vero, ma anche per le persone più acculturate, i protagonisti della storia del nord ovest dell'Europa dopo la caduta dell'Impero Romano sono la Germania e la Francia, mentre Borgogna è solo il nome di un vino. Capisci? Sto cercando di dirti che: ci volle quasi una generazione per far scomparire del tutto la Borgogna. Maria, l'unica figlia di Carlo, sposò Massimiliano d'Austria dando origine agli Asburgo austro-ungarici, casata che regnò fino alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ma il punto è un altro. Se non sai che la Borgogna è stato uno degli stati più potenti dell'Europa e che il suo regno è durato per quasi cinquecento anni, beh, se non lo sai, non lo potrai mai imparare. È come se tutta la nazione fosse stata DIMENTICATA nel momento stesso in cui Carlo l'Intrepido morì sul campo di battaglia di Nancy. Nessuno ha mai fornito una spiegazione soddisfacente per tale scomparsa! Ci sono alcune cose che gli storici non citano. Io penso sia accaduto qualcosa di simile con l'insediamento dei 'Visigoti'. È mattino presto, sto straparlando e tu potresti pensare che io sia un idiota. Ti prego di scusarmi. Sono esausto. Ho prenotato un posto su un aereo che parte da Heathrow e ho solo un'ora per fare i bagagli, avevo appena chiamato il taxi quando ho deciso di controllare la segreteria telefonica e ho trovato il tuo messaggio. Anna, è successa la cosa più pazzesca che potresti pensare! La mia collega, il Dottor Isobel Napier-Grant, mi ha telefonato. È la responsabile di una serie di scavi archeologici fuori Tunisi - il GUARDIAN ha pubblicato
diversi articoli sulle sue ultime scoperte - e ha trovato un reperto che potrebbe essere uno degli 'uomini di terracotta' descritti da del Guiz! Lei pensa 'che potrebbe essere' un manufatto tecnologico 'mobile'!!! - di epoca medievale o post romana. O forse si tratta di una sciocchezza e basta, qualche strana invenzione dell'epoca vittoriana che è rimasta sotto terra per un centinaio d'anni. Tunisi si trova vicina alle rovine della Cartagine descritta dai Romani. È arrivato il taxi. Se questa cosa funziona ti spedirò un'altra parte della traduzione. Telefono appena torno dalla Tunisia. Anna, se i golem sono esistiti veramente, cos'altro può essere vero?
PARTE SECONDA 1 LUGLIO - 22 LUGLIO 1476 Nam sub axe legismus, Hecuba regina41 I La chiatta galleggiava sulle acque del Reno. Ash inclinò la testa all'indietro e slacciò la fibbia dell'elmo. «Che ora è?» «Il tramonto» le rispose Philibert. L'inizio della mia prima notte di matrimonio, pensò Ash. Si tolse l'armatura aiutata dai suoi due paggi, quindi fece un sospiro e stirò le braccia. L'armatura non era pesante appena indossata e dopo dieci minuti continuava a non pesare nulla, ma ogni volta che veniva tolta sembrava di piombo. Il trasporto sulle chiatte presentava molti problemi: duecento uomini della compagnia del Leone selezionati da Fernando del Guiz, che aveva cominciato subito a esercitare il suo diritto matrimoniale, per scortare gli ambasciatori visigoti da Colonia, attraverso i cantoni svizzeri e i passi alpini fino a Genova. Quindi bisognava organizzare duecento uomini, l'equipaggiamento, i cavalli e nominare un vice comandante da lasciare alla guida del resto della compagnia; in questo caso lei aveva nominato Angelotti e Geraint ab Morgan. Ash udì un lamento soffocato seguito dal tonfo di qualcosa di pesante che cadeva sul ponte: uno dei suoi uomini aveva ucciso l'ultimo manzo. Sentì il rumore dei passi, lo sciacquio dell'acqua usata per pulire il ponte dal sangue che non era colato nei recipienti e il rumore del coltello da macellaio che scuoiava la bestia. «Cosa vuoi da mangiare, capo?» gli chiese Rickard, ballonzolando da un piede all'altro, chiaramente impaziente di tornare sul ponte per unirsi al resto della compagnia: uomini che giocavano e bevevano e prostitute che 41
'Poiché sotto i mozzi ['Asse' della Rota Fortuna] è scritto, 'Ecate Regina' -un'interessante citazione dell'autore del manoscritto dell'Angelotti, secondo il quale nel 'tremendo esempio' medievale della Caduta dei Re, la regina Ecuba di Troia è stata sostituita da Ecate, la potente e a volte malvagia dea degli Inferi, della notte e della luna. È curioso notare che il termine 'Ecuba' in Greco viene tradotto con 'Ecabe'.
se la spassavano per tutta la notte godendosi la lenta discesa lungo il fiume. «Pane e vino.» Ash fece un gesto brusco. «Li prenderà Phili. Ti farò chiamare se ho bisogno di qualcosa.» Philibert le diede un piatto e Ash cominciò a passeggiare avanti e indietro per la piccola cabina masticando pane e bevendo vino con la fronte corrugata, muovendosi - in ricordo di Costanza nella sua solare Colonia non come una donna, ma come un ragazzo dalle gambe lunghe. «Avevo indetto un incontro con gli ufficiali! Dove diavolo sono?» «Il mio signore, Fernando, ha detto che si terrà domani mattina.» «Oh, davvero?» Ash sorrise torva per qualche secondo, poi tornò seria. «Ha detto: 'non stanotte', e ha fatto commenti pesanti sulla prima notte di nozze, giusto?» «No, capo.» Phili sembrava dispiaciuto. «Sono stati i suoi amici. Matthias e Otto. Matthias mi ha dato dei confetti poi mi ha chiesto cosa facesse il capitano-puttana. Non gli ho detto nulla. Posso mentire la prossima volta?» «Menti quanto vuoi, se ti va.» Ash sorrise con fare cospiratorio nel vedere il ghigno compiaciuto che compariva sulle labbra del ragazzino. «Lo stesso vale anche per Otto, lo scudiero di Fernando. Fa in modo che stia sempre sulla corda, bambino mio.» Cosa fa il capitano-puttana...? pensò. Già, cosa faccio? La vedova, ecco cosa faccio. Mi confesso e faccio penitenza come tutte le vedove. «Cristo!» Ash si buttò sul letto della cabina. Il fasciame della chiatta gemeva sommessamente. L'aria notturna rinfrescata dall'acqua del fiume conferiva alla cabina dal tetto telato un'atmosfera piacevole. Una parte della sua mente registrava il gemito delle gomene, i cavalli che battevano gli zoccoli, un uomo che chiedeva del vino e un altro che pregava santa Caterina, e gran parte dei rumori provocati dai duecento uomini a bordo delle chiatte che stavano risalendo il fiume per allontanarsi da Colonia. «Cazzo!» «Capo?» Philibert alzò gli occhi dal piastrone che stava sabbiando. «È già abbastanza brutto senza!» Senza che gli uomini abbiano chiaro da chi debbano prendere ordini: da me o da lui, concluse fra sé; quindi, tornando a parlare ad alta voce disse: «Non ci fare caso.» Ash si tolse il pantaloni e il farsetto lentamente, senza neanche rendersi
conto che il suo scudiero la stava aiutando. Uno scoppio di risa sul ponte infranse il silenzio e Ash sussultò senza accorgersene. Una mano le tirò un lembo della maglia che le scendeva oltre le ginocchia. «Vuoi che accenda le lanterne, capo?» Phili si sfregò gli occhi con le nocche. «Sì.» Ash osservò il paggio che appendeva le lanterne ai ganci. Un attimo dopo una luce giallastra inondò la cabina piena di cuscini di seta, pellicce, un letto incassato su un lato e un drappo di tela con i colori della famiglia del Guiz, il giallo, l'oro e il nero e quelli degli Asburgo, il giallo e il nero. I bauli da viaggio di Fernando erano aperti, parte del contenuto era sparpagliato per la cabina. Ash fece un inventario mentale di tutto quello che vedeva: capi di vestiario di vario tipo, una borsa, un corno per calzare le scarpe, uno spillone da capelli, della cera rossa, filo da calzolaio, una sacca, un cappuccio di velluto rivestito di seta, una cavezza di cuoio dorato, un rotolo di pergamena, un coltello da tavola con il manico in avorio... «Vuoi che ti canti qualcosa, capo?» Ash diede una leggera pacca sul sedere di Philibert. «Certo.» Il ragazzino si tolse il cappuccio, chiuse gli occhi e cominciò a cantare: «Il tordo cantava dal fuoco, 'La regina, la regina è il mio flagello'» «Non quella.» Ash si sedette sul bordo del letto. «E comunque non comincia così, quella strofa è verso la fine. Ma va bene lo stesso. Sei stanco. Va' a dormire.» Il ragazzino la fissò. «Io e Rickard vogliamo dormire con te come sempre.» Ash non aveva più dormito da sola da quando aveva tredici anni. «No, vai a dormire con gli altri scudieri.» Il ragazzino corse fuori. Le parole di una canzone molto più esplicita e sconcia di quella che Philibert aveva cercato di intonare per lei la raggiunsero per poi svanire quando il pesante drappo che fungeva da porta tornò a chiudersi. Probabilmente il piccolo sa anche questa, pensò Ash, ma è da stamattina che mi cammina intorno trattandomi come se fossi un vetro veneziano. Sentì dei passi sul ponte e riconobbe a chi appartenevano. Ebbe un fremito e si sdraiò sul letto.
Fernando del Guiz spostò il drappo berciando qualcosa alle sue spalle e Matthias, uno dei suoi ben poco nobili amici, come li definiva Ash, scoppiò a ridere. Fece ricadere il drappo alle sue spalle, chiuse gli occhi e dondolò a ritmo con la nave. Ash rimase sdraiata sul letto. Nessuno toccò il drappo. Nessuno scudiero, paggio o giovane cavaliere germanico pieno di boria? pensò lei. Niente scherzi in uso tra l'aristocrazia? Non li vuoi, vero? Non ti va di mostrare le lenzuola prive del sangue di una vergine? Non vuoi sentire dire che tua moglie è una puttana. «Fernando...» Il cavaliere si sbottonò il farsetto senza maniche e lo fece cadere con uno scrollone delle spalle. Fernando sorrise. «Devi chiamarmi 'marito'.» Il sudore gli impastava i capelli biondi sulla fronte. Armeggiò con i lacci ai fianchi e si tolse la maglia con un gesto brusco, strappandola. Sebbene non avesse ancora un fisico da adulto Ash pensò che fosse veramente grosso. Il petto era quello di un uomo e i muscoli delle cosce erano induriti da ore e ore passate in sella. Tirò fuori il membro eretto tenendolo con una mano senza preoccuparsi di calarsi i pantaloni e usò l'altra mano per issarsi sul letto. La luce della lanterna conferiva alla pelle di Fernando un colorito dorato. Lei inalò l'odore di maschio e di maglie di lino lasciate ad asciugare all'aperto. Ash tirò su i lembi della maglia. Fernando le posò una mano sulla vagina, le sollevò i fianchi con l'altra e la penetrò con un movimento goffo. Ash, che era già pronta a quel momento da quando l'aveva sentito camminare sul ponte, lo accolse ed ebbe un fremito come se fosse in preda alla febbre. Il volto di Fernando del Guiz era a pochissimi centimetri dal suo. «Baldracca...» le sussurrò quando si accorse che lei era pronta a riceverlo. Le passò un pollice sulle guance sfregiate, su una vecchia cicatrice alla base del collo e sul livido nerastro provocatole da un colpo sul piastrone durante una scaramuccia fuori Neuss. «Hai il corpo di un uomo» borbottò con voce impastata. Le crollò addosso rendendole difficile respirare. Ash piantò le dita nelle spalle del marito sentendo il contrasto tra la pelle morbida e la durezza dei muscoli sottostanti: velluto sopra l'acciaio. Poi abbandonò la testa sul cuscino ed emise un gemito gutturale. Fernando diede due o tre spinte. Ash sentì i muscoli della vagina che si
rilassavano ulteriormente per meglio accogliere il membro del marito. L'uomo sussultò un paio di volte come un coniglio ferito a morte e il suo seme caldo si riversò tra le cosce di lei, dopodiché le crollò addosso. Ash avvertì il forte odore di birra che appestava il fiato dell'uomo. Il membro le scivolò fuori dalla vagina, molle. «Sei ubriaco!» gli disse Ash. «No, ma vorrei esserlo.» La fissò con uno sguardo annebbiato. «Ho mantenuto fede ai miei doveri. Fatto, signora moglie. Adesso sei mia, la nostra unione è segnata dal sangue.» «Non credo» lo interruppe Ash, secca. Fernando del Guiz cambiò espressione, ma lei non riuscì a capire cosa provasse in quel momento. Arroganza? Repulsione? Confusione? Un desiderio semplice ed egoistico di non essere su quella barca in compagnia di quella donna problematica che somigliava a un uomo? Se fosse stato uno dei miei uomini avrei capito subito cosa gli passa per la testa. Cosa mi succede? si chiese Ash. Fernando abbassò lo sguardo e vide che sulle lenzuola c'era solo una macchia di sperma. «Tu sei stata con altri uomini. Speravo che fosse solo una voce incontrollata e che tu non fossi stata una puttana, come la moglie del re di Francia. Ma tu non sei vergine.» Ash si spostò per guardarlo in faccia. «Ho perso la mia verginità all'età di sei anni» lo informò in tono piatto e leggermente sarcastico. «Avevo otto anni quando mi violentarono per la prima volta, dopodiché mi guadagnai da vivere prostituendomi.» Non vide alcuna comprensione nello sguardo del marito. «Non sei mai stato con una ragazzina?» Fernando arrossì. «No!» «Mai con una bambina di nove o dieci anni? Saresti sorpreso di scoprire quanti uomini lo fanno. Anche se, a dire il vero, molti di voi non si preoccupano se hanno a che fare con una donna, una bambina, un uomo o una pecora, basta infilarlo in un posto caldo e umido.» «Angeli e Ministri di Grazia!» sbottò Fernando. «Taci!» Ash avvertì qualcosa che fendeva l'aria e alzò istintivamente il braccio deviando il pugno di lui, che tuttavia la sfiorò su una guancia facendole scattare la testa indietro. «Taci, taci, taci...» «Va bene!» Ash si allontanò da lui con gli occhi umidi di lacrime. Si allontanò da quella pelle vellutata e dai quei muscoli d'acciaio che tanto avrebbe voluto
toccare e abbracciare. «Come hai potuto farlo?» le chiese con il tono amareggiato di una persona tutta privilegi feudali e potere. «Con molta facilità» rispose Ash con il tono pragmatico, acerbo e venato di umorismo nero di un comandante. «Ho preferito passare la mia vita da puttana piuttosto che diventare la vergine che tu vorresti io fossi. Quando capirai il motivo di questa scelta, allora avremo qualcosa di cui parlare.» «Parlare? Con una donna?» Avrebbe anche potuto perdonarlo se avesse usato 'con te', ma il modo in cui aveva pronunciato la parola 'donna' le aveva fatto arricciare un angolo della bocca. «Ti dimentichi chi sono» gli ricordò con un tono privo di umorismo. «Io sono Ash. Io sono il Leone Azzurro.» «Lo eri.» Ash scosse la testa. «Fottimi, allora. Questa è la nostra prima notte di nozze.» Pensò di averlo conquistato, arrivò al punto di giurare a se stessa che Fernando stava per scoppiare a ridere, che stava per rivedere quel ghigno complice che aveva già visto a Neuss, ma lui si abbandonò sul letto, si coprì gli occhi con un braccio e cominciò a esclamare: «Christus Imperator! Perché mi hanno fatto unire a costei?» Ash sedeva a gambe incrociate, del tutto inconsapevole della sua nudità finché i suoi occhi non ricaddero sul ventre piatto, le cosce robuste e il sesso del marito e sentì l'eccitazione crescere in lei. Cambiò posizione e posò una mano sulla vagina per cercare di calmare i bollori. «Sei una fottuta contadina puttana!» esclamò lui. «Una cagna in calore! Ho avuto ragione fin dalla prima volta che ti ho incontrata.» «Oh, dannazione...» Ash arrossì, portò le dita alle guance e si accorse che anche le orecchie le si erano scaldate. «Non farci caso» si scusò in tutta fretta. Fernando afferrò la coperta e si avvolse dentro di essa senza togliere il braccio dagli occhi. Ash si strinse le caviglie per impedire alle mani di allungarsi e toccare quella pelle vellutata. Il marito cominciò a russare. Era scivolato subito in un sonno profondo. Ash attese ancora qualche attimo, quindi strinse il medaglione con l'effigie di san Giorgio su una faccia e la runa del suo nome sull'altra. Aveva l'impressione che il suo corpo urlasse. Non dormiva.
Sì, molto probabilmente lo farò uccidere, pensò. Non è molto diverso che uccidere sul campo di battaglia, continuò tra sé e sé. Non mi piace. Voglio solo scoparmelo. Molte ore dopo, molte più di quelle che potevano essere contate con una candela segna tempo, Ash vide della luce bordare il drappo che fungeva da porta. L'alba stava cominciando a illuminare la valle del Reno e il convoglio di chiatte. Cosa faccio? si chiese. Allungò una mano verso la cintura che aveva lasciato sopra il farsetto e i pantaloni e afferrò l'elsa del coltello. Passò il pollice sul pomello sferico, quindi estrasse dal fodero qualche centimetro di lama grigia e affilata. Fernando dormiva. Non aveva pensato di portarsi un paggio, uno scudiero o una guardia. Non c'era nessuno in grado di dare l'allarme, tanto meno di difenderlo. C'era qualcosa nell'ignoranza del marito, forse dovuta alla sua incapacità di arrivare a pensare che una donna potesse uccidere un cavaliere feudale, e nella sua facilità ad addormentarsi come se fossero una coppia qualunque, che la colpì profondamente. Cristo Verde, non ha mai pensato di essere ucciso da una prostituta? si chiese Ash. Si girò, estrasse del tutto la daga e ne saggiò il filo con il pollice. Era abbastanza affilata perché solo posandogliela sulla gola gli potesse lacerare il primo strato di pelle senza intaccare la carne. Dovrei pensare, si disse, che è stata la sua arroganza a ucciderlo, e farla finita. Un'occasione simile potrebbe non capitare mai più. No, non riuscirei ad andarmene. Nuda e coperta di sangue: sarebbe fin troppo facile capire chi è stato. No. Non è il momento. So molto bene che una volta fatto, a fait accompli come direbbe Godfrey, i miei ragazzi butterebbero il corpo nel fiume e direbbero a chiunque li interrogasse, imperatore incluso, che si è trattato di un incidente di navigazione. Ho ancora qualche remora a farlo. Solo Cristo e la sua pietà sanno perché non voglio ucciderlo. «Neanche ti conosco» sussurrò. Fernando del Guiz continuava a dormire con il volto scoperto e vulnerabile. Nessun confronto: nessun compromesso. Compromesso. Cristo, ma non sono io quella che ha passato metà della sua vita in cerca di compromessi
per fare in modo che ottocento persone potessero lavorare insieme? Non è necessario che mi dimentichi di avere un cervello solo perché sono in un letto. Allora? Siamo una compagnia che è stata divisa: gli altri sono a Colonia. Se uccidessi Federico qualcuno avrebbe da obiettare - c'è sempre qualcuno che ha da ridire su qualcosa: per esempio, se fosse per van Mander ci sarebbe una seconda divisione e lui e i suoi uomini seguirebbero mio marito. A lui piace del Guiz perché gli piace essere comandato da un uomo che oltre a essere un nobile è anche un cavaliere. A Van Mander non piacciono le donne neanche quando combattono bene come me. È meglio aspettare fino a quando non avremo mollato gli ambasciatori a Genova e saremo tornati a Colonia. Genova. Merda. «Perché l'hai fatto?» gli sussurrò, sdraiandosi al suo fianco. Fernando del Guiz si girò nel sonno e le diede le spalle. «Sei uno come Joscelyn, convinto che per quanto possa io fare bene, non sarà mai abbastanza perché sono una donna? Perché l'unica cosa che non posso fare è diventare uomo? O forse solo perché non sono una nobildonna? Una di voi?» Il respiro basso di Fernando del Guiz riempiva la cabina. Dopo qualche secondo il nobile si girò premendosi contro di lei che rimase immobile sotto il corpo muscoloso e sudato del marito. Ash gli spostò una ciocca di capelli dagli occhi con la mano libera. Non riuscivo a ricordare il suo volto, pensò, ma adesso sì. Il pensiero la stupì non poco, inducendola ad aprire gli occhi. «Ho ucciso i miei due primi uomini quando avevo otto anni» gli sussurrò per non svegliarlo. «A che età hai ucciso il tuo primo uomo? A quali battaglie hai preso parte?» Non posso uccidere un uomo che dorme, pensò. Non... Le mancarono le parole. Godfrey o Anselm avrebbero detto pique, ma entrambi gli uomini erano su altre chiatte e avevano trovato delle occupazioni che li avrebbero tenuti il più distante possibile dalla chiatta di testa, specialmente durante la prima notte di matrimonio. Ho bisogno di riflettere, si disse Ash. Devo parlarne con loro. Comunque, non posso dividere la compagnia, qualunque cosa farò è meglio che aspetti di tornare in Germania.
Ash tolse un secondo ciuffo di capelli dalla fronte del marito. Fernando del Guiz si agitò nel sonno. Il letto era così stretto che i corpi entravano in contatto per forza. Ash cominciò a baciarlo alla base del collo avvertendo il profumo della sua pelle. Le vertebre gli spuntavano tra le spalle. Fernando del Guiz emise un forte sospiro, si girò, l'afferrò per i fianchi e la trasse contro di lui. Ash premette il seno, il ventre e le cosce contro il corpo dell'uomo, provocandogli un'erezione. Fernando fece scivolare una mano fino alla vagina e cominciò ad accarezzarla. La luce dell'alba illuminava il bel volto del cavaliere. È così giovane, pensò Ash. Il marito la penetrò prima ancora che lei potesse rendersene conto, rimase fermo per qualche istante tenendola stretta tra le braccia dopodiché cominciò a ondeggiare i fianchi provocandole un orgasmo dolce, ma piacevolissimo. Fernando le posò la testa contro la spalla e lei avvertì il solletico delle ciglia sulla pelle. Le carezzò più volte la schiena. Era un tocco caldo e cauto che possedeva una venatura erotica, ma al tempo stesso gentile. È il primo uomo della mia età che mi tocca con gentilezza, pensò Ash, e quando aprì gli occhi si scoprì a sorridergli. Fernando cominciò a spingere con maggiore vigore, venne e tornò a sprofondare nel sonno. «Cosa?» chiese lei, dopo aver sentito il marito borbottare qualcosa. Fernando ripeté la frase e tornò a dormire. «Mi hanno fatto sposare con il cucciolo di un leone» pensò di aver sentito Ash. Delle lacrime di umiliazione brillavano sotto le ciglia dell'uomo. Ash si svegliò qualche ora dopo, sola nel letto. Quindici giorni e quindici notti solitarie più tardi, il giorno di san Swithum 42 , arrivarono a una decina di chilometri dalla città di Genova. II Ash alzò la ventaglia dell'elmo con un pollice. Il sole si era appena levato sopra l'orizzonte e l'aria era ancora fresca. Intorno a lei gli uomini avanzavano a piedi o a cavallo. Il vento le portò l'eco di una canzone. Era la voce di un pastore e non avrebbe cantato se il posto non fosse stato sicuro e tranquillo. 42
Festeggiato il 15 luglio; questo è il riferimento per la data di arrivo della compagnia fuori dalla città di Genova.
Robert Anselm la raggiunse dal fondo della colonna tenendo l'elmo sotto il braccio. Il sole del meridione gli aveva arrossato la testa calva. Uno degli uomini, un ronconiere, lanciò un fischio e intonò Bei capelli, bei capelli, sarai mai mia? nel momento stesso in cui passava Anselm, che lo superò senza farci caso. Ash sentì le labbra che si contraevano in un sorriso: il primo dopo giorni. «Tutto a posto?» «Ho trovato quattro stronzi addormentati in uno dei carri, stamattina. Erano ubriachi fradici. Non si sono presi neanche il disturbo di andare a dormire da qualche altra parte.» Anselm socchiuse gli occhi per proteggersi dal sole. «Ho detto al prete di impartire loro una punizione.» «E i furti?» «Ci sono state altre lamentale. Tre: Euen Huw, Thomas Rochester e Geraint ab Morgan prima che lasciassimo Colonia.» «Se Geraint ha ricevuto delle lamentele al riguardo prima che lasciassimo Colonia, come mai non ha preso provvedimenti?» Ash fissò il suo secondo. «Come se la sta cavando Geraint Morgan?» Anselm scrollò le spalle. «Per Geraint è già difficile rigare dritto da solo, figurati se deve comandare gli altri.» «Lo sapevamo quando l'abbiamo preso, giusto?» Ash vide la foschia che si addensava e aggrottò la fronte. «Euen Huw ha garantito per lui...» «So che venne sbattuto fuori dall'esercito di re Enrico dopo Tewkesbury. Era al comando di un'unità d'arcieri e venne trovato ubriaco durante lo scontro. Tornò alla sua famiglia che commerciava lana, ma non riuscì ad abituarsi a quella vita e finì per fare il mercenario.» «Non l'abbiamo preso solo perché era un vecchio Lancaster, Roberto. Deve fare la sua parte come tutti.» «Geraint non è un Lancaster. Ha combattuto per il conte di Salisbury a Ludlow a fianco degli York nel cinquantanove» aggiunse Anselm, non troppo fiducioso che il suo capo fosse a conoscenza delle guerre dinastiche tra i rosbif. «Cristo Verde, ha cominciato giovane!» «Non è il solo...» «Sì, sì» Ash avvicinò il suo cavallo a quello di Roberto. «Geraint è un figlio di puttana, ubriacone e violento...» «È un arciere» disse Anselm, come se le caratteristiche citate da Ash
fossero sottintese in quella definizione. «... e peggio ancora, è amico di Euen Huw» continuò Ash. «Sul campo di battaglia non ha pari, ma o si dà una mossa o se ne va. Dannazione. Beh, almeno l'ho lasciato al comando con Angelotti... Allora, Roberto, il ladro?» Robert Anselm alzò gli occhi al cielo, quindi tornò a fissarla. «L'ho beccato, capitano. È Luke Saddler.» Ash si ricordava di lui: un ragazzino che non aveva ancora quattordici anni e vagava per il campo quasi sempre ubriaco con la candela al naso. Era evitato dagli altri paggi e Philibert le aveva raccontato storie di braccia piegate dietro la schiena e mani che toccavano in mezzo alle gambe degli altri ragazzini. «Lo conosco. È il paggio di Aston. Cosa ha preso?» «Borse, coltelli, la sella di qualcuno, Cristo Santo» sottolineò Anselm. «Quella ha cercato di venderla. Va avanti e indietro dal magazzino, così mi dice Brant; ma più che altro si accanisce con l'equipaggiamento personale dei ragazzi.» «Questa volta tagliagli le orecchie, Roberto.» Anselm assunse un'espressione torva. «Tu, io, Aston, il prete... non possiamo impedirgli di rubare. Quindi...» Indicò la colonna di uomini sudati che marciava dietro di loro scambiandosi invettive. «Dobbiamo agire. Altrimenti lo faranno loro per noi e probabilmente lo sodomizzeranno: è un ragazzino carino.» Frustrata, Ash ricordò il giorno in cui aveva convocato Luke Saddler nella sua tenda per vedere se il peso del comando potesse avere effetto su di lui. Il ragazzino, tetro in volto, puzzava di vino e ridacchiava come un idiota. «Perché me ne hai parlato?» sbottò Ash, infastidita dalla sensazione di aver sbagliato tutto. «Luke Saddler non è un mio problema, adesso. Mio marito è il problema.» «Come se te ne importasse qualcosa!» Ash guardò la brigantina43 che indossava, non meno calda del piastrone, e Robert Anselm rise. «Come se volessi che fosse del Guiz a preoccuparsi di questa gente...» 43
Forma di armatura corazzata a protezione del torso in uso nella fanteria dal secolo XIV all'inizio del XVII, composto da una struttura di lamelle sovrapposte 'a tegole', disposte in fasce verticali e fissate in file parallele a un supporto di pelle o tela imbottita (N.d.T.).
aggiunse. «Stai impazzendo a stargli dietro, ragazza.» Ash guardò davanti a sé distinguendo appena le figure di Joscelyn van Mander e Paul di Conti che cavalcavano con Fernando, e sospirò senza rendersene conto. L'aria del mattino era pervasa dall'odore del timo che cresceva sul ciglio della strada e veniva schiacciato sotto le ruote dei carri. Fernando del Guiz cavalcava davanti ai carri. Era circondato da un gruppo di giovani e servitori che facevano parte del suo seguito e rideva. Al suo fianco c'erano un trombettiere e un cavaliere che reggeva lo stendardo della famiglia del Guiz. Il simbolo della compagnia di Ash si trovava qualche centinaio di metri più indietro, coperto da uno strato di polvere biancastra sollevata dai carri. «Dolce Cristo, sarà lunga tornare a Colonia.» Ash si aggiustò sulla sella per assecondare i movimenti del cavallo che ormai aveva soprannominato Bastardo. È agitato perché sente l'odore del mare, pensò. Genova e la costa sono a quattro o cinque chilometri da qui, dovremmo arrivare molto prima di mezzogiorno. La foschia umida schiacciava a terra la polvere sollevata da un gruppo di cavalieri e da diverse lance a piedi a che avanzavano verso di loro. «Chi è? Non riesco a riconoscerlo» disse, indicando. Robert Anselm affiancò la sua cavalcatura a quella di Ash e socchiuse gli occhi per mettere meglio a fuoco i carri con gli scudi attaccati alle fiancate e carichi di uomini armati di balestra e archibugi. «Anzi no» si contraddisse Ash, prima ancora che Robert potesse rispondere. «È Agnes. O uno dei suoi uomini. No, no, è l'Agnello in persona.» «Lo vado a prendere.» Anselm premette i talloni contro i fianchi del suo cavallo, che si lanciò in un trotto sostenuto tra le file dei carri. Malgrado la foschia faceva troppo caldo per indossare l'armatura. Ash cavalcava indossando una brigantina blu rivestita di velluto le cui borchie dorate brillavano insieme all'elsa della spada al suo fianco. Robert Anselm tornò indietro con il nuovo arrivato e lei spostò il peso all'indietro per fare rallentare il cavallo. Lanciò un'occhiata al marito, ma lui non se ne accorse. «Salve, donna-uomo!» «Salve, Agnes» rispose Ash. «Fa abbastanza caldo per te?» L'uomo dai capelli radi indicò con un gesto della mano l'armatura completa, l'elmo infilato sul pomello della sella e il martello da guerra assicurato alla cintura. «Ci sono stati dei problemi con le Gilde giù a Marsiglia e lungo la costa. Sai com'è fatta Genova, mura possenti, abitanti con la puz-
za sotto il naso e dozzine di fazioni che combattono l'una contro l'altra per far eleggere il rispettivo Doge. Ho staccato io stesso la testa a Farinetti durante una schermaglia la scorsa settimana.» Inclinò la mano e imitò il colpo. Il volto scarno era bruciato da anni di campagne in Italia. Sulla sopravveste spiccava il disegno di un agnello dalla cui testa partivano dei raggi di luce, sotto il quale, ricamata con il filo nero, c'era la scritta 'Agnus Dei'.44 «Noi siamo stati a Neuss. Ho guidato una carica di cavalleria contro il duca Carlo di Borgogna.» Ash scrollò le spalle come per dire: 'nulla di speciale'. «Ma il duca è ancora vivo. Così vanno le cose in guerra.» L'Agnello sogghignò mostrando i denti rotti e giallastri. «Eccoci qua, allora» continuò con un marcato accento italiano del nord. «Perché non ci sono spie qui intorno? Mi avete visto quando ormai vi ero addosso! Dove diavolo erano gli esploratori?» «Mi hanno detto che non erano necessari» rispose Ash, ironica. «Questo è un regno pacifico pieno di mercanti e pellegrini che prosperano sotto la protezione dell'imperatore. Non lo sapevi?» L'Agnello (Ash si era dimenticata quale fosse il suo vero nome) socchiuse le palpebre e fissò l'apice della colonna. «Chi è il cucciolo?» «Quello che mi sta facendo lavorare» rispose Ash, senza guardare Anselm. «Oh. Giusto. È uno di quei datori di lavoro.» Agnus Dei scrollò le spalle, gesto piuttosto complicato da fare in armatura, quindi tornò a concentrarsi su di lei. «Che iella nera, sto andando a Napoli per imbarcarmi. Vieni anche tu.» «No, non posso rompere il contratto. Inoltre, gran parte dei ragazzi sono ancora a Colonia sotto il comando di Angelotti e Geraint ab Morgan.» Una smorfia di dispiacere apparve per un attimo sulle labbra dell'Agnello. «Ah, capisco. Com'era il passo del Brennero? Ho dovuto aspettare tre giorni per far scendere i carri dei mercanti fino a Genova.» «Ha nevicato, ma era sgombro. Dimmi tu se deve nevicare nel mezzo di luglio, Cristo - scusami Agnello. Voglio dire, siamo a metà luglio. Odio attraversare le Alpi. Fortunatamente non ci è caduto addosso niente, questa volta. Ti ricordi la valanga del settantadue?» Ash continuò a parlare del più e del meno consapevole degli sguardi rabbiosi che Anselm le lanciava in tralice mentre cavalcava al suo fianco. Di tanto in tanto lasciava vagare gli occhi verso la testa della colonna dove 44
L'Agnello di Dio.
si trovava Fernando. Il marito cavalcava senza l'elmo e il sole faceva splendere l'abito di seta. Il suono delle voci e il cigolio dei carri echeggiava monotono intorno a lei. Qualcuno si mise a suonare un piffero. «Ci incontreremo di nuovo sul campo, Madonna. E Dio voglia che siamo dalla stessa parte!» disse Agnello, per porre fine alla conversazione. «Dio lo voglia» rispose Ash, ridendo. L'Agnello si diresse a sud est dove, forse, erano schierate le sue truppe. «Non gli hai detto che il nostro 'attuale datore di lavoro' è anche tuo marito» le fece notare Robert Anselm. «No, non l'ho fatto.» Un uomo tarchiato con i capelli scuri raggiunse Anselm, si guardò bene intorno e disse: «Dobbiamo essere vicini a Genova, capo!» «Credo» rispose Ash a Euen Huw. «Lo porto a caccia con me.» Il pollice del Gallese carezzò l'elsa della daga. «Molte persone muoiono per un incidente di caccia. Succede continuamente.» «Siamo un convoglio di duecento uomini e venti carri. Avremo spaventato la selvaggina per chilometri. Non ci crederà. Mi dispiace, Euen.» «Allora domani gli sello io il cavallo. Un pezzo di filo metallico intorno allo zoccolo, sotto il garretto e... capo, si continua!» Lo sguardo calcolatore di Ash fissò il marito per valutare quali ufficiali stavano cavalcando con lui e i suoi scudieri e quali erano invece dalla sua parte. I primi giorni di viaggio erano stati penosi, poi si erano presentati problemi in numero sufficiente a tenere occupati tutti, ma ora la situazione si era stabilizzata. Non puoi prendertela con loro, pensò Ash. Qualsiasi cosa mi chiedono, lui mi contraddice con i suoi ordini. Ma una compagnia divisa non può combattere. Ci farebbero a pezzi come un gregge di pecore. Un uomo con il volto simile a una patata e un ciuffo di capelli che spuntava da sotto il bordo dell'elmo fece affiancare il suo cavallo a quello di Ash. «Butta giù da cavallo quello stronzetto, Ash» esordì sir Edward Aston. «Se continua a farci avanzare senza esploratori rischiamo qualche brutta sorpresa, e il nostro collo. E ogni volta che ci fermiamo per accamparci non fa addestrare i soldati.» «E se continua a spendere quelle cifre per vino e cibo ogni volta che ci fermiamo in città, finiremo nei guai» la incalzò Henri Brant, un uomo di mezza età dal fisico tarchiato. «Ma lo conosce il valore del denaro, quello?
Quando saremo tornati non avrò il coraggio di farmi vedere alle Gilde. Negli ultimi quindici giorni ha speso più di quello che ho messo da parte per l'autunno!» «Hai ragione, Ned. Lo so, Henri.» Ash spostò il peso sulla sella e il suo cavallo morse il roano di Aston sulla spalla. Ash assestò un pugno in mezzo alle orecchie di Bastardo e si lanciò al galoppo. L'aria le rinfrescò il volto. Giunta vicina al carro nel quale erano tenuti i prigionieri rallentò. Le grosse ruote rivestite di metallo facevano ondeggiare vistosamente il mezzo e i due ambasciatori che erano stati buttati sul fondo del cassone legati mani e piedi rotolavano sulle tavole seguendo gli scossoni. «È stato mio marito a ordinare che fossero trattati così?» Un uomo a cavallo armato di balestra sputò di lato. «Sì» rispose senza guardarla. «Liberali.» «Non posso» rispose il soldato. Qual è la prima regola, ragazza? si rammentò Ash. Mai dare un ordine se sai che non verrà eseguito. «Liberali quando Fernando ti manderà l'ordine» disse Ash, dando un secondo pugno al suo cavallo che stava cercando di dare una spallata a quello del balestriere. «Cosa che farà» aggiunse. Un lampo maligno le balenò negli occhi per un attimo. «Tu hai bisogno di una bella galoppata per calmarti. Ahi!» Ash lanciò il cavallo prima al trotto poi al galoppo, passando tra i carri incurante dei colpi di tosse e delle bestemmie che i soldati le lanciavano contro per il polverone che stava sollevando. Scorse una dozzina di pennacchi alla testa della colonna. Il cavallo di Fernando trotterellava davanti a tutti con la testa alta e le redini pericolosamente molli. Ash notò che il marito aveva dato l'elmo al suo scudiero, Otto e la lancia a Matthias che non era né un cavaliere né uno scudiero. Una coda di volpe pendeva attaccata all'asta dello stendardo. Appena vide il marito ebbe un tuffo al cuore. Era il ritratto di un cavaliere. Cavalcava con destrezza e a testa scoperta. Il piastrone dell'armatura gotica era di ottima fattura. L'umidità si era condensata in goccioline sul metallo, sul bordo dei guanti e sui capelli biondi. Non sono mai stata così sventata, pensò Ash, con un pizzico d'invidia. Ha sempre avuto tutto questo fin da quando è nato. Non ci ha mai neanche pensato. «Mio signore.» Il marito girò la testa, il volto era coperto da una sottile
peluria biondiccia, quindi tornò a rivolgersi a Matthias discorrendo con lui della lunga spada da cavaliere che portava appesa al fianco del suo cavallo. L'animale scalpitò scocciato, il gruppo si allargò per qualche secondo poi tornò compatto. Gli scudieri che circondavano Fernando sembravano riluttanti all'idea di farla passare. Ash allentò leggermente la presa intorno alle redini di Bastardo, che morse immediatamente il fianco di uno dei cavalli che aveva vicino. «Merda!» Il giovane cavaliere tirò le redini e la bestia cominciò a muoversi in cerchio. Ash si infilò nell'apertura e si mise a fianco del marito. «È arrivato un messaggero. Ci sono stati guai a Marsiglia.» «Siamo a leghe di distanza da quella città.» Fernando cavalcava reggendo una borraccia piena di vino con entrambe le mani. Distese le braccia, inclinò la borraccia e un fiotto di vino lo centrò in bocca. Il nobile tossì e il vino color paglia si riversò sul piastrone. «Hai vinto, Matthias!» Fernando lanciò via la borraccia semi piena che scoppiò appena toccata terra, dopodiché tirò una manciata di monete. Otto e un altro paggio lo affiancarono immediatamente e gli sfilarono il piastrone. Il nobile, che continuava a tenere le protezioni per le braccia, estrasse la daga e tagliò i lacci che chiudevano il giustacuore bagnato, lo tolse e lo gettò via. «Otto! Fa troppo caldo per l'armatura. Fai montare il mio padiglione. Mi cambio.» Fernando del Guiz cavalcava solo con la maglia di seta che ricadeva sulla calzamaglia, la quale metteva in evidenza il profilo del membro. Una volta sceso da cavallo tutto sarebbe tornato a posto. Ash si assestò sulla sella. Avrebbe voluto mettergli una mano in mezzo alle gambe. Il trombettiere si fermò, portò lo strumento alla bocca e ne fece uscire uno squillo. «Ci fermiamo?» disse Ash, sussultando. Il sorriso di Fernando venne imitato dagli ufficiali di Ash che cavalcavano al suo fianco, dai paggi e dai suoi amici nobili. «Io mi fermo. I carri si fermano. Tu puoi fare quello che vuoi, mia signora moglie.» «Vuoi dar da bere e da mangiare agli ambasciatori mentre sostiamo?» «No.» Fernando fermò il cavallo. Ash rimase in sella a Bastardo guardandosi intorno. La foschia mattutina si era diradata del tutto rivelando un terreno giallastro e arido dal quale
spuntavano dei cespugli che difficilmente sarebbero stati scambiati per alberi. Un terreno rialzato a duecento metri da una strada larga. Un paradiso per gli esploratori e per i fanti. Anche dei banditi a cavallo avrebbero potuto attaccarli in quel punto. Godfrey la raggiunse in groppa al suo cavallo. «Quanto manca a Genova?» La polvere si era depositata tra le rughe sul volto del prete e gli aveva imbiancato la barba dando ad Ash un'idea di che aspetto avrebbe avuto l'amico una volta raggiunti i sessant'anni. «Sette chilometri? Quindici? Quattro?» Ash si diede un pugno sulla coscia. «Sono cieca! Mi ha vietato di mandare gli esploratori e di pagare delle guide locali: ha preso questo itinerario segnato per i pellegrini che si recano in Terra Santa e pensa che sia tutto quello di cui abbiamo bisogno! È un nobile! Un cavaliere! Nessuno può tendergli un'imboscata! E se quelli che abbiamo incontrato non fossero stati gli uomini dell'Agnello? Se fossero stati banditi?» Godfrey scosse la testa sorridendo. «Va bene, va bene, è vero,» riprese Ash «è difficile intravedere la differenza tra l'Agnello e un bandito! Ma, cosa vuoi, sono fatti così questi mercenari italiani.» «Una calunnia infondata, forse.» Godfrey tossì, bevve e passò la borraccia ad Ash. «Ci accampiamo due ore dopo che siamo partiti?» «Il mio signore vuole cambiarsi d'abito.» «Un'altra volta? Avresti dovuto buttarlo fuori bordo quando eravamo sul Reno, prima ancora che attraversassimo i cantoni, per non parlare delle Alpi.» «Non è un pensiero molto cristiano da parte tua, Godfrey.» «Matteo dieci, trentaquattro!» 45 «Non penso che Nostro Signore intendesse quello che stai pensando...» Ash portò la borraccia alle labbra e bevve una sorsata. La birra era calda, ma servì lo stesso a rinfrescarle un po' la bocca. «Non adesso, Godfrey. Non è ancora arrivato il momento di chiedere ai miei uomini di schierarsi. Si creerebbe solo un gran caos. Dobbiamo continuare così almeno finché non saremo tornati da questo stupido viaggio.» Il prete annuì lentamente. «Salgo sulla cima della prossima collina per vedere la situazione» disse Ash. «Quell'uomo cammina nella nebbia in più di un senso. Godfrey, mo45
Matteo 10: 34 'Non pensate che io sia venuto a mettere pace in terra: io non sono venuto a mettervi la pace, bensì la spada.'
stra un po' di carità cristiana ad Asturio Lebrjia e al suo compagno. Non penso che il mio caro marito abbia dato loro da mangiare stamattina.» Godfrey si allontanò. Jan-Jacob Clovet e Pieter Tyrrel raggiunsero Ash mentre Bastardo trotterellava di malavoglia su per la collina. I due Fiamminghi sembravano quasi identici e puzzavano di vino stantio e sperma. Ash pensò che entrambi gli uomini dovevano essersela spassata con una prostituta, forse la stessa, fino all'alba. «Capo,» esordì Jan-Jacob «fa qualcosa con quel figlio di puttana.» «Tutto a tempo debito. Se muovete un dito senza un mio ordine vi inchiodo le palle su un asse.» Normalmente i due Fiamminghi avrebbero riso della battuta, ma questa volta no. «Quando?» insisté Jan-Jacob. «Gli altri dicono che non lo ucciderai perché sei cotta. E dicono che non potevano aspettarsi altro da una donna» aggiunse Pieter. Ash sapeva che se avesse chiesto i nomi degli altri avrebbe ricevuto delle risposte evasive e si limitò a sospirare. «Ascoltate, ragazzi... abbiamo mai rotto un contratto?» «No!» risposero i due all'unisono. «Beh, non si può dire lo stesso per le altre compagnie mercenarie. Noi veniamo sempre pagati perché non rompiamo mai un contratto per passare dall'altra parte. La legge è l'unica cosa che abbiamo. Ho firmato un contratto quando ho sposato Fernando e questa è una delle ragioni per le quali non è facile.» Spronò Bastardo verso la cima dell'altura. «Sarebbe bello sperare che Dio lo facesse per me» disse, meditabonda. «Ci sono giovani nobili avvinazzati che cadono da cavallo e muoiono ogni giorno, perché non potrebbe succedere anche a lui?» «Balestra?» suggerì Pieter, battendo una mano sulla custodia che teneva appesa alla sella. «No!» «Scopa bene?» «Jan-Jacob, almeno per una volta nella tua vita potresti smettere di pensare con quello che hai in mezzo alle gambe, diavolo!» La brezza finì di diradare gli ultimi scampoli di foschia nel momento stesso in cui raggiunsero la cima della collina. Il sole splendeva sulle alture che circondavano la città di Genova e sulle onde del Mediterraneo. Da quel punto si vedevano chiaramente la costa e il mare.
E una flotta che costellava la baia. Non erano mercantili. Navi da guerra. Vele bianche e insegne nere, pensò Ash, là sotto c'è mezza flotta da guerra visigota! Il vento portò il sapore del sale, mentre lei rimase immobile per alcuni secondi che sembrarono dilatarsi all'infinito. Le prue taglienti come un coltello delle triremi fendevano la superficie argentea del mare. Il loro numero era imprecisato, ma Ash valutò a occhio e croce che poteva oscillare da dieci a trenta navi. In mezzo ai vascelli c'erano circa cinquanta o sessanta quinqueremi e vicino alla spiaggia i mezzi da sbarco dal pescaggio ridotto sparivano dalla sua vista oltre le mura di Genova, circondati da piccoli arcobaleni formati dalla luce del sole che attraversava gli spruzzi d'acqua sollevati dalle pale che fungevano da sistema propulsivo46 . Ash vide il fumo nero che si levava dai tetti dei magazzini del porto e vide diversi uomini correre lungo le strade tortuose della città. «Truppe che sbarcano, numero imprecisato, una flotta d'assalto e nessun vascello alleato a contrastarla; il mio contingente ammonta a duecento uomini.» «Ritirati o arrenditi» le rispose la voce nella sua testa. Ash continuava a fissare la costa a bocca aperta, quasi ignorando il consiglio. «L'Agnello sta per finire in bocca al nemico!» Jan-Jacob indicò, atterrito, lo stendardo bianco di Agnus Dei, qualche chilometro più avanti di loro. Ash fece un rapido calcolo mentale degli uomini che stavano scappando. «Vado a dare l'allarme» disse Pieter, che stava trattenendo a stento la cavalla. «Aspetta» gli ordinò Ash. «Ascoltatemi bene. Jan-Jacob, fa disporre gli arcieri a cavallo. Di' ad Anselm che li voglio in formazione e armati sotto 46
Questa è un'altra intrusione delle leggende medievali all'interno del testo. Oltre alla precedente inclusione del nome 'Cartagine', io sospetto che questo sia solo un oscuro ricordo, preservato in qualche dimenticato manoscritto monastico, della potenza marinara di Cartagine prima che i Romani ne distruggessero la flotta nella battaglia navale di Milazzo (263 A.C.) grazie, soprattutto, all'uso dei ponti per l'arrembaggio chiamati: 'corvi'. Non è strano che un cronista medievale abbia inserito tale anacronismo.
il suo comando! Pieter, di' a Henri Brant che devono abbandonare tutti i carri e che i passeggeri devono ricevere un'arma e scappare. Ignorate qualsiasi ordine proveniente da del Guiz e la sua cricca - adesso vado a parlare a Fernando.» Galoppò giù dalla collina in direzione del suo stendardo. Vide Rickard in mezzo agli altri uomini e gli urlò di andare a chiamare Godfrey e gli ambasciatori stranieri, dopodiché si diresse a rotta di collo verso il punto in cui stavano erigendo il padiglione di Fernando, che nel frattempo sedeva sul cavallo parlando allegramente con il suo seguito. «Fernando!» «Cosa?» Il nobile si girò sulla sella. Le labbra si piegarono in una smorfia colma d'arroganza e Ash si rese conto che il marito non era un uomo avventato, come aveva pensato fino a quel momento, bensì crudele. Saltò giù dalla sella e gli afferrò le redini del cavallo in modo che fosse costretto a prenderla in considerazione. «Cosa vuoi?» Si grattò in mezzo alle gambe. «Non vedi che aspetto di vestirmi.» «Ho bisogno del tuo aiuto.» Ash fece un respiro profondo. «Siamo stati ingannati. La flotta visigota non sta navigando verso il Cairo contro i Turchi. È qui.» «Qui?» Fernando la fissò meravigliato. «Ho contato almeno venti triremi e sessanta fottute quinqueremi! E mezzi da sbarco.» «Visigoti?» Il volto di Fernando assunse un'espressione innocente e divertita. «La flotta! I loro cannoni! L'esercito! È a una lega da qui su quella strada!» Fernando rimase a bocca aperta. «Cosa diavolo ci fanno i Visigoti qui?» «Bruciano Genova.» «Bruciano...» «Genova! È un contingente d'invasione. Non ho mai visto tante navi in un posto solo.» Ash staccò un grumo di terra dalle labbra. «Agnello è finito loro in bocca. Stanno combattendo.» «Combattono?» «Sì, Ferdie, combattono» disse Matthias parlando in un dialetto del sud della Germania. «Ricordi. L'addestramento, i tornei, le guerre? Qualcosa di simile.» «Guerra» ripeté Fernando.
Il giovane amico di del Guiz finse di guardarlo in cagnesco. «Se la cosa non ti disturba, mi sono addestrato più di te! Sei sempre stato pigro come un cinghiale...» «Mio Lord, marito,» lo interruppe Ash «devi venire a vedere. Andiamo!» Ash montò in sella a Bastardo e lo spronò senza pietà al galoppo, ma il cavallo la disarcionò a metà collina costringendola a terminare l'ultimo tratto di corsa. Raggiunse la cima qualche attimo dopo sudata e ansante. Ash si girò aspettandosi di trovare Fernando alle sue spalle, ma il marito arrivò qualche minuto dopo con l'armatura indossata alla bell'e meglio e la maglia che faceva capolino tra le piastre delle protezioni per le braccia. «Allora? Dove...» La voce gli si strozzò in gola. Le pendici della collina erano costellate da una folla di uomini in corsa. Otto, Matthias, Joscelyn van Mander, Ned Aston e Robert Anselm li raggiunsero un attimo dopo sollevando un nuvolone di polvere e terra e rimasero ammutoliti. Da Genova si levavano delle alte colonne di fumo nero. «Visigoti» dissero all'unisono Fernando del Guiz e Joscelyn van Mander. «Potevano attaccare noi o i Turchi. Alla fine hanno deciso di prendersela con noi» commentò Robert Anselm. «Ascoltate» disse Ash. «Una dozzina di uomini a cavallo possono muoversi più velocemente di questa compagnia. Fernando, Mio Lord marito, torna dall'imperatore per fargli sapere cosa sta succedendo! Prendi de Quesada e Lebrija con te come ostaggi! Tu puoi farcela in pochi giorni se cavalchi senza sosta.» Il nobile fissò gli stendardi che si avvicinavano. Alle sue spalle gli uomini del Leone Azzurro formavano una massa di elmetti, bandiere e punte di lance che sembrava ondeggiare per il calore dell'aria calda. «Perché non vai tu, capitano!» Ritta in sella su quella collina polverosa, sudata e con l'odore di cavallo che gli impregnava gli abiti, Ash ebbe l'impressione di aver stretto in pugno l'elsa della sua spada: era una sensazione di controllo che non aveva più provato da quando era partita da Colonia. «Tu non sei un contadino o un mercenario come me» spiegò Ash. «Sei un nobile. L'imperatore ti darà ascolto.» «Ha ragione, mio signore» incalzò Anselm, cercando di mostrarsi il più servile possibile. Roberto non fissò Ash negli occhi, ma lei sapeva bene quello che stava pensando il suo braccio destro perché ormai lo conosceva
da anni: non lasciare che a questo ragazzino venga in mente di comandare una carica del tipo 'gloria o morte' contro quelli! «Ci sono sessanta quinquiremi...» disse Van Mander, stupefatto. «Trentamila uomini.» Fernando fissò Ash. «Porterò la notizia a mio cugino l'imperatore!» declamò, come se nessuno avesse parlato e l'idea fosse stata sua. «Tu combatterai questi bastardi per me! È un ordine.» Sei mio! pensò Ash, esultante e fissò Joscelyn van Mander che aveva sentito l'ordine. Fecero girare i cavalli e cominciarono a scendere giù dalla collina. Il calore faceva sudare i fianchi delle bestie. La luce del sole dava fastidio ad Ash. Indicò a Godfrey Maximillian i due ambasciatori visigoti che avanzavano incespicando al suo fianco. «Trova loro un cavallo e incatenali ai polsi. Vai!» Ash diede una pacca sul collo di Bastardo. Non riusciva a smettere di ridacchiare. Il castrato girò la testa e le morse una delle protezioni delle caviglie. «Va bene, ti piace la gente, perché allora non vai d'accordo con gli altri cavalli? Uno di questi giorni finisci in padella. Stai fermo.» Un oggetto duro le rimbalzò tra le spalle facendo risuonare una delle piastre metalliche all'interno del brigantino. Ash imprecò. La freccia cadde a terra. Fece girare il cavallo con le ginocchia. In cima alla collina c'era una fila di soldati a cavallo con le divise nere. Arcieri. «Fermi!» urlò a Henri Brant e ai suoi uomini che stavano mettendo i carri in cerchio per formare una fortificazione. «Lasciate perdere. Prendete tutto quello che può essere caricato sui cavalli e filate.» Si diresse verso il punto in cui Anselm stava organizzando lo schieramento di arcieri a cavallo con Jan-Jacob e Pieter al comando delle due ali. Piantò le ginocchia con violenza nei fianchi di Bastardo e desiderò con tutta se stessa di essere in sella a Godluc. Quello stronzo di Fernando, pensò. 'Non portiamo i cavalli da guerra!' ha detto. 'Viaggiamo in pace!' Si rese conto di aver afferrato la spada, ma non avrebbe saputo dire da quanto. Le mani erano protette solo da un paio di guanti di cuoio. Si sentiva troppo vulnerabile e il pensiero delle lame seghettate dei Visigoti le fece chiudere lo stomaco. Lanciò un'occhiata alla dozzina di giovani cavalieri germanici che galoppavano verso l'entroterra come se avessero il diavolo
alle calcagna, quindi tornò a concentrarsi sul nemico. Diversi manipoli di soldati erano raggruppati intorno agli stendardi e si avvicinavano lentamente. Il sole si rifletteva su circa un migliaio di lance. Galoppò indietro fino allo stendardo del Leone Azzurro trovando Rickard che portava il suo stendardo personale. Raggiunse Robert Anselm e disse: «Sono a circa un paio di chilometri da qua! Henri, dovete cancellare le tracce dei cavalli e sparire. Quando raggiungerete la curva che si trova a un paio di chilometri da qui uscite dalla strada e salite sulle colline. Vi copriremo le spalle.» Ash fece girare Bastardo e tornò alla linea di difesa; circa un centinaio di uomini a cavallo e altrettanti sulle ali con gli archi. «Ho sempre detto che voi bastardi avreste fatto di tutto per vino, donne e canzoni e il vostro vino si sta ritirando verso il bosco alle nostre spalle! Tra un minuto lo seguiremo anche noi, ma prima faremo capire a questi bastardi del sud che non devono seguirci. L'abbiamo già fatto e lo rifaremo!» «Ash!» urlarono gli uomini in coro. «Gli arcieri su quella altura, muovetevi! Ricordate: non arretriamo finché lo stendardo non arretra, poi ci ritiriamo veloci! E se sono abbastanza stupidi da seguirci nella foresta riceveranno tutto ciò che meritano. Arrivano! «Incoccare! Tirare!» sbraitò Euen Huw. Il sibilo di una freccia fendette l'aria seguito un attimo dopo da altre duecento. Ash vide un cavaliere visigoto allargare le braccia e cadere dalla sella con un quadrello nel petto. Un gruppo di soldati armati di lance cominciò ad arretrare. «Mantenete le posizioni» urlò Anselm. Ash vide un altro gruppo di cavalieri visigoti armati di archi corti. «Circa sessanta uomini che possono tirare da cavallo» borbottò. «Se si radunano caricali con la cavalleria. Se scappano, ritirati.» «Chiaro» borbottò Ash. Segnalò al suo stendardo di arretrare e alla compagnia di montare a cavallo. Dopo circa un chilometro a passo di marcia si accorse che il nemico non li stava seguendo. «Non mi piace per niente» commentò. «C'è qualcosa di strano» Robert Anselm si fermò. «Mi aspettavo che quei bastardi ci attaccassero.» «Sono in inferiorità numerica. Li avremmo fatti a pezzi.» «Questo non ha mai impedito ai Visigoti di farsi ammazzare. Sono un branco di stupidi indisciplinati.»
«Lo so, ma oggi non si comportano come tali.» Ash abbassò leggermente la visiera dell'elmo per riparare gli occhi dalla luce del sole. «Grazie a Dio il mio maritino mi ha dato ascolto. Per un attimo ho avuto paura che ci ordinasse di caricare.» Vide le insegne dei Visigoti stagliarsi contro il cielo in lontananza. Sembravano, ma la distanza poteva trarre in inganno, sormontate da un'aquila dorata. Un movimento sotto una di quelle insegne attirò la sua attenzione. Visto da quella distanza poteva sembrare un uomo dal fisico snello, ma svettava di una testa buona sopra il gruppo di comandanti. Il sole risplendeva sulla pelle color ocra e rame. Ash osservò il golem che si allontanava verso sud est. Il passo non era più veloce di quello di un uomo, ma inesorabile. Non c'era roccia o pendio che potesse farlo rallentare. Quell'essere era più lento di un cavallo, ma non aveva bisogno di riposarsi o mangiare. Poteva viaggiare sia di notte che di giorno divorando più di un centinaio di chilometri in ventiquattro ore. «Merda» imprecò. «Stanno mandando dei messaggeri. Vuol dire che sono sbarcati anche in altri punti.» Anselm le toccò una spalla e le indicò un secondo golem che si dirigeva verso nord ovest lungo la costa. «Nessuno era preparato!» Ash si sistemò sulla sella. «Non hanno solo ingannato la nostra rete di spie, Robert. L'hanno fatta anche alle banche, ai preti e ai principi... Che Dio ci aiuti. Non volevano combattere i Turchi. Non hanno mai voluto farlo...» «Vogliono noi» borbottò Robert Anselm girando il cavallo. «Questa è una cazzo d'invasione.» III Ash raggiunse la colonna quando ormai la testa stava sparendo oltre le pendici della collina. Le ruote dei carri avevano smosso la terra e i carri abbandonati indicavano il punto in cui erano usciti dalla strada. Ash socchiuse gli occhi e si guardò alle spalle. L'aria era sempre più calda. Era probabile che un fiume scorresse lungo quel fondo valle, ma adesso doveva essere in secca. Robert Anselm, Euen Huw, Joscelyn van Mander, il suo paggio e Henri Brant si erano radunati sotto lo stendardo.
Ash batté un pugno sulla sella. «Se stanno bruciando Genova vuol dire che sono pronti a dichiarare guerra alla Savoia, alla Francia, alle città stato italiane e... all'imperatore... santo Cristo Verde!» «È impossibile!» replicò van Mander, torvo. «Sta succedendo. Joscelyn, voglio che tu prenda i tuoi uomini e formi un'avanguardia. Euen, tu ti occuperai degli arcieri. Robert, tu comanderai i fanti. I cavalli ce la faranno a stare al passo, Henri?» Il cuoco, che indossava un'armatura fuori misura, annuì entusiasta. «Abbiamo visto quello che c'è dietro di noi. Terranno il passo!» «Va bene, muoviamoci.» Ash si rese conto di quanto la brezza fosse stata forte mentre era sulla piana solo quando raggiunsero una valle laterale, dove il silenzio che aleggiava tra i pini era interrotto solo dall'occasionale clangore metallico delle corazze, dal battito degli zoccoli o dal borbottio degli uomini che avanzavano tra i pini illuminati dal sole. I fianchi delle alture che formavano la valle erano molto boscosi e le pendici erano ricoperte da un fitto strato di rovi. In quel momento Ash capì che cosa c'era che non la convinceva. Merda, pensò, ecco perché non ci hanno attaccati: ci hanno spinti in un'imboscata! Nel momento stesso in cui aprì la bocca per urlare, una salva di frecce oscurò l'aria. Alcuni dardi si conficcarono nel corpo di un uomo di van Mander. Per un secondo sembrò che non fosse successo niente, poi, quando l'eco del sibilo delle frecce si spense un uomo lanciò un urlo. Ci fu un altro lampo metallico e i dardi si conficcarono nei corpi dei cavalli e degli uomini. I cavalli nitrirono imbizzarriti e la testa della colonna divenne un caos di uomini che scendevano dalle loro bestie per cercare di calmarle. Ash perse il controllo di Bastardo che sgroppò e ricadde su una radice di pino con sei frecce dal piumaggio nero che gli spuntavano dal collo e dal petto, rompendosi una zampa posteriore. Ash scivolò dalla sella di lato per evitare di essere schiacciata. La rapida occhiata che riuscì a lanciare intorno a sé malgrado stesse cadendo le permise di scorgere i nemici che scagliavano frecce dalle falde della collina. Un'ennesima salva di dardi si abbatté sulla retroguardia comandata da Ned Aston falciando un gran numero di uomini e cavalli. Ash colpì violentemente il tronco di un albero e sentì le piastre della brigantina scricchiolare. Un uomo, che reggeva il suo stendardo in mano, l'aiutò ad alzarsi. Il suo cavallo continuava a nitrire dal dolore. Ash gli si avvicinò e gli ta-
gliò la vena del collo. La valle era piena di cavalli imbizzarriti e spaventati. Una cavalla corse verso la pianura, ma venne abbattuta da una freccia. Ogni uscita era bloccata. Ash si nascose a ridosso di un pino resinoso guardandosi intorno colma di disperazione. Più di una dozzina di uomini si rotolavano a terra, gli altri cercavano di guidare i cavalli verso un riparo inesistente. Le frecce dalle punte rinforzate penetravano le carni e spuntavano dai carichi buttati frettolosamente sulle schiene dei muli. La strada davanti a loro era bloccata. Sei uomini di van Mander cercavano di trascinare il loro capo al riparo nel letto secco del fiume. Ma quei pochi centimetri di terra non potevano schermarli da dardi muniti di punte affilate come rasoi. La Grande Isobel stava tirando le redini di un mulo quando spalancò le braccia e crollò seduta a cassetta. Un'asta di legno spessa quanto il pollice di un uomo le aveva trapassato la guancia per spuntare da dietro il cranio. Vomito e sangue imbrattarono il corpetto della donna. Ash abbassò la ventaglia. Ragazza, pensò fredda e pragmatica, non sei così speciale da non poter finire a pezzi in una stupida imboscata in mezzo a delle colline senza nome. Non possiamo usare gli arcieri, non possiamo contrattaccare. È come tirare a un pesce in un barile, siamo morti. No, non ancora. Era così semplice che non ebbe bisogno di ricorrere all'aiuto nella sua testa. Afferrò il braccio dell'uomo che reggeva lo stendardo. L'idea era ormai completa, chiara e semplice. «Tu, tu e tu; venite con me, adesso!» Corse così veloce che distanziò gli scudieri. Sentì il sibilo dell'ennesima salva di frecce e si acquattò dietro un mulo. «Tirate fuori le torce!» urlò, rivolta a Henri Brant. L'uomo la guardava a bocca aperta. «Prendi quelle cazzo di torce, adesso! Trova Pieter!» Rickard condusse da lei Pieter Tyrrel e i tre si acquattarono dietro un mulo. Il ragazzino reggeva lo stendardo con le mani protette dai guanti di un'armatura. L'aria puzzava di sterco, sangue e resina. «Prendi queste, Pieter.» Ash infilò la mano nel suo zaino per prendere la pietra focaia e l'acciarino indicando al tempo stesso a Henri Brant le torce con un cenno del mento. L'uomo capì immediatamente, estrasse il coltello e recise la corda che legava il fascio. «Prendi queste e sei uomini. Cavalca su per la valle come se avessi il diavolo alle calcagna - cerca di farla sem-
brare una fuga. Raggiungi la cima delle colline e dai fuoco ai pini trascinando le torce dietro i cavalli. Appena avrai appiccato l'incendio taglia verso nord ovest. Se non riusciamo a incontrarci, allora aspettaci al Brennero. Tutto chiaro?» «Il fuoco? Cristo, capo, vuoi dare fuoco alla foresta?» «Sì! Vai!» Sfregò l'acciarino contro la pietra focaia dando vita a una fiammella. «Fatto!» Pieter Tyrrel si girò e, continuando a rimanere acquattato, urlò una mezza dozzina di nomi. Ash si inerpicò su per il pendio. Un freccia visigota si piantò nell'albero creando una pioggia di schegge. Lei si acquattò e vide che alcuni frammenti di legno si erano conficcati nella stoffa della brigantina. Le suole degli stivali da cavallerizza scivolavano sul tappeto di aghi di pino che ricopriva il terreno. Si lasciò cadere a fianco di Robert Anselm che aveva trovato riparo dietro un pino semiabbattuto. «Prepara i ragazzi per l'attacco. Andiamo quando do l'ordine.» «Quello è un cacchio di pendio! Ci faranno a pezzi!» Ash si diede un'occhiata intorno e vide i suoi uomini che indossavano solamente i brigantini e gli stivali da cavallerizzo sopra le protezioni per le gambe. Erano tutti armati di lance e quelle armi sarebbero state praticamente inutili in mezzo agli alberi. I soldati si girarono a fissarla. Ash socchiuse gli occhi e prese a guardare le pendici che partivano dal letto del fiume asciutto. Non possono correre su per quel pendio, pensò, è troppo ripido. Dovrebbero usare una mano per tenere l'arma e l'altra per puntellarsi a terra, senza contare che ci sono pochissimi alberi per ripararsi. Gli uomini sarebbero esausti prima ancora di ricevere la copertura da qua sotto. «Attaccherete sotto la copertura degli archi e degli archibugi. Quegli stronzi saranno troppo impegnati per vedervi arrivare!» Era una menzogna e lo sapeva. «Aspetta il mio segnale, Robert.» Ash sfoderò la spada e cominciò a correre in terreno aperto con il fodero che le batteva contro la gamba. Qualcuno lanciò un grido da in cima alla valle. Una nuvola di polvere si sollevò da terra e Ash inciampò in una freccia che si era piantata a terra fino alle piume, ma riuscì a ripararsi lo stesso dietro una fila di muli. «Va bene!» Ash scivolò a fianco di Euen Huw, il capitano degli arcieri. «Olio, stracci e marmitte. Cercate di usare le frecce incendiarie.» «Non abbiamo portato le frecce adatte!» urlò Henri Brant. Ash rimase
sorpresa di trovarlo ancora al suo fianco. «Non ci aspettavamo un assedio, quindi non le abbiamo portate.» Ash calò il braccio sulle spalle dell'uomo. «Non importa! Fate del vostro meglio. Con un po' di fortuna non ne avremo bisogno. Come stai a munizioni, Euen?» «Poche palle per gli archibugi, ma ho molte frecce e quadrelle. Non possiamo stare qua, capo. Ci faranno a pezzi!» Un uomo con indosso la divisa del Leone Azzurro corse giù dal pendio urlando e giunto sul letto del fiume scivolò. Una dozzina di frecce lo colpirono alle gambe facendolo crollare a terra. Si girò e un attimo dopo cominciò a contorcersi urlando: una freccia gli aveva trapassato il volto. «Continuate a tirare! Il più veloce che potete. Fate faticare quei bastardi lassù!» Afferrò Euen Huw per un braccio. «Resistete ancora per cinque minuti e siate pronti a montare a cavallo appena vi do il segnale.» Ash mise una mano sulla daga con l'intenzione di finire il moribondo sul letto del fiume. Una figura con la testa coperta da un cappuccio la superò di corsa. Perché porta il cappuccio? si domandò Ash, che si trovava a metà strada tra i suoi uomini e gli alberi. In quel momento riconobbe la falcata. Merda, è Florian! Lanciò un'occhiata alle sue spalle e vide il chirurgo che posava il braccio dell'uomo sulle sue spalle trascinandolo dietro un tronco d'albero sul quale si abbatté una pioggia di frecce. Avanti, Pieter! Ancora due minuti e dovrò attaccare, altrimenti ci massacreranno qui dove ci troviamo. Sentì la gola che raschiava. Una vampata di fuoco si levò nel cielo. Ash tossì, si asciugò gli occhi che lacrimavano e guardò la cima dell'altura. Una colonna di fumo nero si levava tra gli alberi e un attimo dopo le fiamme avvamparono con un boato tra i rami, le foglie morte a terra e il sottobosco. Vide per un attimo un uomo che puntava l'arco ricurvo e una nuvola di frecce nere che oscurava il cielo. Le fiamme distrussero in pochi istanti la linea di alberi in cima all'altura, da dove cominciarono a sentirsi i nitriti terrorizzati dei cavalli. Grazie a Dio, pensò, non devo mandare i miei uomini su per quel pendio. «Andiamo!» La sua voce si levò imperiosa e acuta sopra i lamenti dei muli, le urla dei feriti e gli ultimi colpi degli archibugi.
Prese il portatore dello stendardo per un braccio e lo spinse verso l'uscita della valle. «Monta a cavallo! Vai! Veloce!» Nella valle regnava il caos più totale: uomini che correvano ai cavalli, il tonfo delle frecce, le urla di Ash, il nitrito dei cavalli e dei muli, Robert Anselm che ordinava ai suoi uomini di raggrupparsi intorno allo stendardo, Euen Huw che riversava un fiume di bestemmie in gallese e italiano contro i suoi arcieri, padre Maximillian che tirava i muli da carico. Su uno di essi c'era il corpo di Henri Brant con due frecce piantate tra le costole sotto il braccio destro. Un urlo distrasse Ash. Due uomini con la divisa nera uscirono allo scoperto lanciandosi alla carica verso di lei. «Tirate!» urlò Ash e un attimo dopo una dozzina di frecce trapassarono i corpi dei due Visigoti. Uno crollò a terra morto all'istante. L'altro scivolò sulla schiena rompendosi una gamba e morì un attimo dopo. Philibert le portò un cavallo, Ash ne afferrò le redini, balzò in sella e lo spronò verso l'uscita della valle, consapevole che anche i portatori degli stendardi stavano correndo ai loro cavalli. Gli arcieri a cavallo la superarono al galoppo incitati da Euen, una ventina di questi portavano dei feriti o dei morti di traverso sulla sella. Un attimo dopo passarono altri uomini. Le donne, Floria del Guiz e Godfrey trascinavano i muli sui quali avevano sistemato i feriti, incuranti delle masserizie che cadevano a terra. «Cosa diavolo ci fai qua?» urlò Ash, rivolta a Florian. «Pensavo che fossi rimasto a Colonia.» Il chirurgo, che teneva un braccio sulla schiena di un ferito in groppa a un mulo, le sorrise. «Ci deve essere sempre qualcuno a tenerti d'occhio!» Il grosso del suo contingente, circa centocinquanta uomini, la superò urlando; Ash rallentò per aspettare il porta bandiera e un'altra mezza dozzina di cavalieri. Il fumo denso le faceva lacrimare gli occhi. Si asciugò il volto con il guanto. La cima dell'altura era un inferno. Le fiamme lambivano ormai le cime dei pini che erano cresciuti altissimi per ricevere meglio la luce del sole. Un uomo in fiamme sbucò dalla foresta, crollò a terra e scivolò lungo il pendio fermandosi a pochi metri da Ash. La pelle annerita e bruciata ribolliva. Alle spalle di Ash il fondo valle era costellato di cadaveri, carri distrutti ed equipaggiamenti abbandonati. Il caldo le imperlò il volto di sudore e lei si asciugò nuovamente usando il dorso del guanto.
«VIA!» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il cavallo compì un giro su se stesso, quindi si lanciò nella scia dei duecento uomini che fuggivano lungo il corso del fiume in secca. C'era puzzo di fumo ovunque. Un cervo balzò fuori dal limitare del bosco e attraversò di corsa lo schieramento di arcieri a cavallo, mentre l'aria sopra gli alberi era lacerata dalle grida dei gufi, delle poiane e dei gheppi. Ash tossì. La vista cominciava a schiarirsi. A un centinaio di metri da lei il terreno prendeva a salire. Un debole vento dal nord le rinfrescò il viso. Il fuoco consumava la foresta alle sue spalle. Raggiunse Robert Anselm ed Euen Huw che continuavano a incitare i loro uomini a scappare. «Continuiamo a seguire il letto del fiume» urlò esultante Ash, malgrado il frastuono dei cavalli lanciati al galoppo. «Non dobbiamo fermarci per nessun motivo al mondo. Se il vento cambia siamo fottuti tutti quanti.» Anselm indicò con il pollice il pendio di fronte a loro e il corpo di un uomo. «Non siamo stati i primi a passare di qua. Sembra che tuo marito abbia avuto la stessa idea.» In quel cadavere c'era qualcosa che spinse Ash a controllare. Si sporse in fuori per guardare tra gli zoccoli e vide il corpo di un uomo appoggiato contro un pino. Dalla posizione in cui si trovava era chiaro che si era rotto la schiena. Il volto era ridotto a un grumo informe di sangue rappreso, quindi era impossibile stabilire il colore della pelle o dei capelli. Riconobbe un simbolo sui vestiti che fino a poche ore prima dovevano essere stati bianchi. «È Asturio Lebrija.» Ash tornò dritta per stabilizzare il cavallo che era ormai quasi allo stremo. «Forse il giovane del Guiz non ce l'ha fatta.» La voce di Anselm era venata da un sinistro compiacimento. «Può darsi che ci siano pattuglie di Visigoti ovunque. Non vorranno far sapere subito che è in corso un'invasione.» Il roano che montava scartò nel sentire lo scoppiettio delle fiamme. Ash lo fermò e si lasciò superare dagli ultimi due uomini di van Mander. I cavalli scivolavano sugli aghi secchi che ricoprivano il terreno e l'aria puzzava di pece e resina. Ce l'ho fatta! Li ho tirati fuori e non posso abbandonarli adesso! Possono ancora beccarci prima che raggiungiamo le montagne. Possiamo trovare i passi chiusi anche in questa stagione e se questo cacchio di
vento cambia finiamo tutti fritti. «Continuate in questa direzione e fa' in modo che nessuno si impantani! Fa' in modo che continuino a salire sulle colline. Voglio che ci togliamo dalla linea del fuoco in fretta.» Robert Anselm si allontanò ancor prima che lei avesse finito di parlare. Ash guardò il fondo valle. Tutto sembrava perdere di drammaticità da quel punto di vista: le spirali di fumo nero che si alzavano a solleticare il cielo e il balenare discontinuo delle fiamme. Il fuoco avrebbe distrutto tutta la vegetazione delle colline. Ormai era inarrestabile e Ash ne era pienamente conscia. L'incendio avrebbe distrutto gli uliveti e le vigne. Molte famiglie di contadini avrebbero maledetto il suo nome insieme ai cacciatori, ai pastori e a tutte le persone che traevano di che vivere da quella valle... Aveva il corpo indolenzito. La brigantina e gli stivali puzzavano di sangue di cavallo. Cercò di vedere se dalla costa erano partiti altri golem. Le aquile di metallo brillavano in lontananza, mentre il fumo che si levava da Genova nascondeva il resto del paesaggio. Un arciere a cavallo la superò. Aveva il sangue che gli colava dal polso. Era l'ultimo dei suoi uomini. «Jan-Jacob!» Ash lo raggiunse, afferrò il cavallo per le redini e l'uomo crollò contro il collo della bestia. Ash raggiunse la retroguardia della colonna tenendosi bassa per evitare i rami dei pini. Alle sue spalle il Nord Africa aveva cominciato l'invasione dell'Europa. IV Sette giorni dopo Ash si trovava sullo spiazzo di fronte al padiglione dell'imperatore, circondata dalle guardie. Alle sue spalle, distanziati di un paio di metri, c'erano i suoi ufficiali, il mastro artigliere, il chirurgo e il prete. Le bandiere imperiali garrivano al vento. L'odore di resina di pino che si levava dalle gradinate costruite nei pressi del padiglione di Federico la fece rabbrividire. Il clangore del metallo contro il metallo risuonò oltre le barriere dietro le quali si svolgeva il torneo. Anche se gli scontri di quel genere erano sufficienti a storpiare a vita un uomo, venivano relegati nella categoria dei giochi. Lasciò vagare lo sguardo sugli uomini che formavano il seguito dell'imperatore. Molti nobili germanici, alcuni rappresentanti della Lega di Co-
stanza, qualche Francese e dei Burgundi, ma non c'erano ambasciatori di Milano, della Savoia o di uno dei regni a sud delle Alpi. Non c'era neanche Fernando del Guiz. «Quella seduta di spalle sulla sinistra è Costanza, la mia matrigna» la informò Floria del Guiz con un sussurro. Ash spostò lo sguardo sui posti riservati alle donne e vide Costanza del Guiz, ma non il figlio. La donna sedeva da sola. «Perfetto. Facciamola finita. Voglio scambiare due parole con quella donna...» Le spade si incrociarono nuovamente e Ash provò un brivido colmo d'aspettativa che le chiuse lo stomaco. Il vento lambiva il suo volto e costeggiava le colline verdeggianti per poi calare verso le bianche mura di Colonia che racchiudevano i tetti blu delle case e i campanili delle chiese. C'erano dei cavalli sulla strada e in lontananza scorgeva dei contadini con il capo coperto da cappelli di paglia a tesa larga che abbattevano dei castagni per costruire recinti. Quante possibilità avrebbero avuto quegli uomini di falciare il grano quell'anno? Ash tornò a concentrasi sulla figura di Federico d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero che ascoltava uno dei suoi consiglieri. Terminato il rapporto l'imperatore aggrottò la fronte. «Avresti dovuto sconfiggerli, Ash!» La voce dell'imperatore era abbastanza alta perché potessero sentirla tutti i presenti. «Erano solo truppe di schiavi provenienti dalla terra della pietra e del crepuscolo!» «Ma...» «Come fai a definirti condottiero mercenario se non sei in grado di sconfiggere degli esploratori?» «Ma...!» «Avevo un'opinione migliore di te. Ma non è mai saggio fidarsi di una donna! Ne risponderà tuo marito!» «Ma... Oh, 'fanculo! Voi pensate che vi abbia fatto fare una brutta figura.» Ash incrociò le braccia e fissò l'imperatore dritto negli occhi. Poteva sentire Robert Anselm che si agitava dietro di lei senza bisogno di girarsi a guardarlo. Anche il volto di Joscelyn van Mander si era rabbuiato, ma poteva essere un'espressione dovuta al dolore alla gamba. «Perdonatemi se non sono impressionata. Ho appena ricevuto un rapporto sulle perdite che ho subito. Ho quattordici feriti nell'ospedale della città. Due hanno subito mutilazioni tanto gravi che dovrò metterli a riposo. Sono morti dieci dei miei uomini. Ned Aston è ferito gravemente.» Si fermò,
rendendosi conto che stava uscendo dal seminato. «Sono stata sui campi di battaglia fin da bambina e questa non è una guerra qualunque. Non è neanche brutta come le altre. È...» «Tutte scuse!» sbottò Federico. «No.» Ash fece un passo avanti e le guardie del corpo dell'imperatore si misero in allerta. «I Visigoti non hanno mai combattuto così!» Indicò i capitani di Federico. «Chiedete a chiunque abbia combattuto nel sud. Io credo che avessero degli squadroni di cavalleria che pattugliavano la costa e l'entroterra per circa quaranta o cinquanta chilometri. Ci hanno fatto passare. Hanno fatto passare anche l'Agnello. In questo modo impediscono alle notizie di uscire! Hanno anticipato tutte le nostre mosse. Non è il loro solito modo di combattere, sono troppo disciplinati per essere delle truppe composte di schiavi e contadini!» Ash posò la mano sinistra sul fodero. «Ho sentito notizie provenienti dal monastero del Gottardo. Si pensa che i Visigoti abbiano un nuovo generale, ma nessuno sa nulla. Nel sud regna il caos più completo! Ci abbiamo impiegato sette giorni per tornare. Sono già arrivati i messaggeri? C'è qualche notizia da oltre le Alpi?» L'imperatore Federico alzò la coppa di vino e la ignorò. Il monarca sedeva sul suo scranno dorato in mezzo a un manipolo di uomini con indosso abiti di velluto decorati con inserti di pelliccia e donne in lunghe tuniche di broccato. I più distanti continuavano a fissare il torneo con sguardi colmi d'avidità, i più vicini non staccavano gli occhi dall'imperatore, pronti a ridere o ad aggrottare la fronte a seconda dell'umore di Federico. Il padiglione imperiale era sormontato da una riproduzione di una grossa aquila nera: il simbolo araldico dell'imperatore. «Come possono tenere un cazzo di torneo con un cacchio d'esercito alla porta? Cristo!» borbottò Robert Anselm, sfruttando il brusio che si levava tra i servitori impegnati a lavorare sotto il padiglione. «Pensano di essere al sicuro finché i Visigoti non avranno superato le Alpi.» Florian del Guiz tornò dal giro che aveva fatto tra i nobili e le posò una mano sulla spalla. «Non ho visto Fernando e nessuno ne vuole parlare. Sono tutti muti come tombe.» «Merda!» Ash lanciò un'occhiata di sottecchi alla sorella di Fernando e notò che anche lei aveva le lentiggini sul viso, solo che i lineamenti del suo volto avevano perso la freschezza della gioventù. Se in questa compagnia c'è qualcuno che somiglia a una donna travestita da uomo, pensò Ash,
quello è proprio Angelotti e non Florian. Antonio è troppo bello per essere vero. «Puoi trovare qualcuno che mi possa dire se mio marito è tornato a Colonia?» domandò Ash, rivolgendosi a Godfrey Maximillian. Il prete spinse in fuori le labbra. «Non sono riuscito a trovare nessuno che abbia parlato con lui dopo che ha lasciato il rifugio sul passo del San Bernardo insieme ai suoi uomini.» «Cosa diavolo sta facendo? Non ditemelo: ha incontrato un'altra pattuglia di Visigoti e ha avuto la grande idea di sconfiggere l'esercito invasore da solo...» «Che impeto» borbottò Anselm, d'accordo. «Non è morto. Non sono così fortunata. Beh, almeno ho ottenuto di nuovo il comando.» «'De facto'47 » bofonchiò Godfrey. Ash spostò il peso da una gamba all'altra. Il fatto che stessero servendo da mangiare e da bere era studiato apposta per farla aspettare in piedi. Forse Federico stava pensando a quale punizione infliggerle per la sconfitta subita. «Stiamo giocando e basta!» «Cristo Santo, Madonna,» borbottò Angelotti «ma questo uomo sa cosa sta succedendo?» «Vostra Maestà Imperiale!» Ash attese che Federico si degnasse di fissarla. «I Visigoti hanno mandato dei messaggeri. Ho visto degli uomini di terracotta dirigersi a ovest verso Marsiglia e a sud est verso Firenze. Avrei mandato degli uomini a bloccarli se non fossi caduta nell'imboscata. Pensate veramente che gli invasori si limiteranno a conquistare Genova, Marsiglia e la Savoia?» L'imperatore sbatté le palpebre colpito da tanta rudezza. «È vero, lady del Guiz, ho ricevuto ben poche notizie dal sud da quando è stato chiuso il passo del Gottardo. Anche i miei banchieri non sanno dirmi molto. Lo stesso vale per i miei vescovi. Tu penserai che non hanno i loro informatori... Ma tu? Come hai potuto tornare e dirmi così poco?» La indicò con un dito. «Saresti dovuta rimanere e osservare per più tempo!» «Se l'avessi fatto ora potreste raggiungermi solo con le preghiere!» Ash valutò di essere a un passo dall'arresto, ma i suoi pensieri tornavano sempre a Pieter Tyrrel in una stanza dell'ospizio di Colonia con dieci luigi d'oro e il mignolo, l'anulare e il medio della mano sinistra amputati. A Philibert, scomparso una notte sul Gottardo, a Ned Aston che era morto e a 47
Latino: 'di fatto', contrapposto a de jure, 'per diritto di legge'.
Isobel, della quale non restava neanche il corpo per farle un funerale. Aspettò il momento giusto e riprese a parlare con cautela. «Vostra Maestà, oggi mi sono recata dal vescovo.» Osservò l'espressione interrogativa apparsa sul volto di Federico. «Chiedete ai vostri avvocati e ai preti, Vostra Maestà. Mio marito mi ha abbandonata senza consumare il matrimonio.» Floria represse un grugnito. L'imperatore si rivolse a Floria del Guiz. «È vero, mastro chirurgo?» «Vero come il fatto che esisto e mi trovo di fronte a voi, Vostra Maestà» rispose immediatamente Floria, senza, almeno apparentemente, provare disagio. «Quindi ho chiesto che il matrimonio venga annullato» incalzò Ash. «Non sono più legata da nessun obbligo feudale, Vostra Maestà Imperiale. E il contratto che avevo stipulato con voi è rescisso dal momento in cui le truppe borgognone si sono ritirate da Neuss.» Il vescovo Stefano si inclinò di lato e sussurrò qualcosa nell'orecchio dell'imperatore. Ash osservò i lineamenti di Federico che si indurivano. «Beh» disse Ash, con la sicurezza di un capitano con ottocento uomini da poter schierare in campo. «Fatemi un'offerta e io la sottoporrò ai miei uomini. Penso che la Compagnia del Leone. E con paghe ottime.» «Mer-da...» sussurrò Anselm. Sapeva di aver appena commesso una bravata. Giochi politici, cavalcate estenuanti e cibo pessimo, le battaglie e le morti inutili dell'ultimo mese non potevano essere ripagate parlando come un servitore maleducato, ma almeno si era sfogata. Antonio Angelotti rise. Van Mander le diede una pacca sul piastrone. Ash ignorò le attenzioni dei due uomini continuando a concentrarsi su Federico per godersi la vista dell'imperatore preso alla sprovvista. Sentì il sospiro di Godfrey Maximillian e sorrise raggiante, all'indirizzo dell'imperatore. Non ebbe il coraggio di aggiungere: 'Voi vi dimenticate che non vi apparteniamo. Siamo mercenari', ma lasciò che il concetto permeasse di sé l'espressione del suo viso. «Cristo Verde» borbottò il prete. «Non ti basta avere Sigismondo del Tiralo come nemico, adesso vuoi anche l'imperatore!» Ash chiuse le mani guantate intorno alle protezioni dei gomiti. «Non otterremo più nessun contratto dai Tedeschi, lo sai bene anche tu. Ho detto a Geraint di cominciare a smontare il campo. Andremo in Francia. Non rimarremo senza lavoro di questi tempi.»
Il tono brutale e incurante della sua voce era dovuto in parte al dolore per i morti e gli storpi e in parte alla gioia selvaggia e viscerale che provava per il semplice fatto di essere ancora viva. Prese il prete a braccetto. «Suvvia, Godfrey. È il nostro lavoro, ricordi?» «Sarà il nostro lavoro se non ti rinchiudono in una segreta di Colonia...» Godfrey Maximillian si interruppe improvvisamente. Un gruppo di preti si fece strada tra la folla e in mezzo al gruppo di religiosi, Ash scorse una testa pelata che le fece provare una sensazione molto spiacevole... Gli uomini cominciarono a spingersi, il capitano delle guardie del corpo di Federico urlò una minaccia che servì a creare uno spazio di fronte all'imperatore. Sei preti provenienti dal rifugio sul passo del San Bernardo si inchinarono davanti al monarca. «Quello è Quesada» disse Ash, aggrottando la fronte. «L'ambasciatore visigoto.» «Cosa ci fa qui?» Godfrey sembrava stranamente agitato. «Solo Cristo lo sa. Se lui è qui, dov'è Fernando? A che gioco sta giocando mio marito? Daniel de Quesada... Ecco la testa di un uomo che sta per tornare a casa in un cesto.» Controllò automaticamente la posizione dei suoi uomini: Anselm, van Mander e Angelotti indossavano l'armatura ed erano armati, Rickard reggeva lo stendardo, Floria e Godfrey erano disarmati. «È proprio conciato male... cosa diavolo gli sarà successo?» L'ambasciatore era in ginocchio di fronte a Federico d'Asburgo e i suoi principi. La testa pelata e le guance erano macchiate di sangue rappreso e qualcuno gli aveva strappato la barba con violenza. Il suo sguardo vagava qua e là e quando si posò su di lei sembrò non riconoscerla. Ash si inquietò. Non è una guerra qualunque. Non è neanche brutta come le altre - cos'è, allora? pensò, frustrata. Perché sono preoccupata? Mi sono tirata fuori da questi intrighi politici. Siamo conciati male, ma la compagnia ha già subito perdite in passato; ce la caveremo anche questa volta. Ho vinto. Si tratta solo di affari come al solito; qual è il problema? Ash era in piedi sotto il sole cocente, al limitare dell'ombra prodotta dal padiglione del torneo. Il rumore delle lance spezzate e le ovazioni della folla echeggiarono nell'aria. Una folata di vento portò con sé l'odore della pioggia in avvicinamento. Il Visigoto girò la testa e cominciò a squadrare i cortigiani. Ash vide il sudore imperlargli il capo e quando parlò si espresse con il tono febbrile ed eccitato di un uomo che si aspetta di morire entro pochi minuti.
«Uccidetemi!» invitò de Quesada, rivolgendosi all'imperatore. «Perché non farlo? Ho portato a termine la mia missione.» Parlava in un tedesco fluido. «Noi eravamo la menzogna che serviva a tenervi occupati. Il signore, il califfo-re Teodorico ha mandato altri ambasciatori alle corti di Savoia, Genova, Firenze, Venezia, Basilea e Parigi dando a tutti le stesse istruzioni.» «Cos'è successo a mio marito?» chiese Ash nel suo cartaginese colloquiale. «Quando ti sei separato da Fernando del Guiz?» Ash poté leggere sul volto dell'imperatore quanto fosse stata imperdonabile e irrilevante la sua interruzione, e si mise in allerta, pronta a subire l'ira del monarca o ad ascoltare la risposta di Daniel de Quesada. «Mastro del Guiz ha deciso di liberarmi nel momento in cui ha giurato fedeltà al nostro califfo-re Teodorico» rispose de Quesada, tranquillo. «Fernando? Lui, che giura di essere leale a...?» Ash lo fissò attonita. «Al Califfo dei Visigoti!» Ash, che in quel momento non sapeva se ridere o piangere, udì Robert Anselm alle sue spalle che scoppiava a ridere di gusto. De Quesada parlava fissando l'imperatore, pronunciando ogni parola con malizia. «Incontrammo una divisione del nostro esercito a sud del passo del Gottardo. Erano dodici uomini contro mille duecento. A del Guiz venne permesso di restare in vita con il pieno possesso del suo titolo e delle sue ricchezze, a patto che giurasse fedeltà a noi.» «Non l'avrebbe mai fatto!» protestò Ash. «Voglio dire, non l'avrebbe...» Non riusciva più a trovare le parole. «È un cavaliere. Sono falsità. Voci. È una tattica del nemico.» Né l'ambasciatore né l'imperatore le diedero ascolto. «Tu non hai nessun diritto di concedere delle ricchezze che sono mie, Visigoto!» Federico d'Asburgo si girò sullo scranno. «Mettete sotto sequestro tutti i beni e le ricchezze della famiglia del giovane» ringhiò «per tradimento.» Uno dei preti che avevano portato fin lì l'ambasciatore si schiarì la gola. «Abbiamo trovato questo uomo, Quesada, che vagava sperduto nella neve, Vostra Maestà Imperiale. Non riusciva a dire nessun altro nome se non il vostro. Pensavamo di compiere un atto di carità nel portarlo qui. Perdonate il nostro errore.» «Se hanno incontrato i Visigoti, come mai vagava nella neve?» borbottò Ash rivolgendosi a Godfrey.
Il prete allargò le braccia e scrollò le spalle. «Dio solo lo sa, figliola!» «Bene, allora fammi sapere appena ti dirà qualcosa!» Le labbra dell'imperatore si piegarono in una smorfia di disgusto nei confronti di Daniel de Quesada. «È ovvio che quest'uomo è pazzo. Cosa può saperne di del Guiz? Siamo stati precipitosi - il sequestro è revocato. Sta solo farneticando: sono menzogne costruite ad arte. Padri, vi prego di tenerlo confinato nel convento del vostro ordine in città. Esorcizzatelo, fate uscire il demonio da lui. Vediamo come va a finire questa guerra: egli sarà il nostro prigioniero, non il loro ambasciatore.» «Non è una guerra!» urlò Daniel de Quesada. «Se solo voi sapeste vi arrendereste adesso, non si tratterà di qualche schermaglia! Perderete il conto dei morti! In questo momento le città italiane stanno imparando la lezione...» Una delle guardie del corpo dell'imperatore si mise alle spalle di de Quesada e gli posò la lama di una daga vecchia e intaccata, ma ancora validissima, contro la gola. «Sapete cosa state affrontando?» farfugliò l'ambasciatore. «Vent'anni! Vent'anni di preparativi!» L'imperatore Federico rise. «Bene, bene, bene, non abbiamo niente contro di voi. Le vostre battaglie contro i mercenari non sono più affar mio.» Gratificò Ash con un sorrisetto secco, ripagandola con gli interessi di quanto gli aveva detto poco prima. «Voi vi definite 'Sacro Romano Impero'» continuò de Quesada. «Ma in realtà non siete neanche l'ombra dello Scranno Vuoto48 . Per quanto riguarda le città italiane le abbiamo depredate per l'oro e nient'altro. Perché dovremmo voler sottomettere i contadini tra Basilea, Colonia, Parigi e Granada? Se avessimo voluto degli schiavi, la flotta turca a Cipro sarebbe già in fiamme.» Federico d'Asburgo fece cenno ai nobili di calmarsi. «Ricorda che sei circondato da stranieri, per non dire nemici. Forse ti comporti così perché sei un pazzo?» «Non vogliamo il vostro Sacro Romano Impero» disse de Quesada scrollando le spalle. «Ma lo prenderemo. Prenderemo tutto ciò che si trova tra noi e la più grande delle ricchezze.» Gli occhi dell'ambasciatore si posarono sugli ospiti burgundi. Ash pensò 48
Il contesto mi porta a sospettare che l'ambasciatore si riferisse alla città di Roma, forse al trono papale, lo scranno di Pietro? Si tratta di un riferimento oscuro.
che stessero ancora festeggiando la pace di Neuss. Quesada si concentrò sul volto di un uomo che lei conosceva bene: Olivier de la Marche, il capitano delle guardie del duca Carlo di Borgogna. «Prima prenderemo tutto ciò che si trova tra di noi e il ducato di Borgogna» sussurrò de Quesada. «Poi prenderemo la Borgogna stessa.» Il più ricco di tutti i principati d'Europa. Ash ricordava che qualcuno una volta le aveva detto quella frase. Fece vagare lo sguardo dall'ambasciatore visigoto alla rappresentanza del duca di Borgogna, nella quale riconobbe più di un volto. Olivier de la Marche, un uomo robusto che indossava una divisa rossa e blu, rise di gusto con la sua voce abituata a farsi sentire sopra il trambusto infernale della battaglia. Una serie di risatine si levarono dagli uomini tutti armature lucidate, vestiti lussuosi, spade con pomelli d'oro, volti sbarbati e fiduciosi come a voler rendere tangibile la forza dei veri cavalieri, che affiancavano il capitano. Ash provò un momentaneo impulso di simpatia nei confronti di Daniel de Quesada. «Il mio duca ha recentemente conquistato la Lorena 49 » lo blandì Olivier de la Marche, in tono amabile. «Per non parlare delle sconfitte inflitte al nostro re di Francia.» Molto diplomaticamente evitò di guardare Federico d'Asburgo e menzionare Neuss. «Il nostro esercito è invidiato in tutta la cristianità. Metteteci alla prova, signore. Metteteci alla prova. Vi prometto un caldo benvenuto.» «E io vi prometto un saluto gelido.» Gli occhi di Daniel de Quesada erano lucidi. Ash mise la mano sulla spada senza neanche rendersene conto. Tutto il corpo di quell'uomo sembrava comunicare qualcosa di sbagliato, come se avesse abbandonato ogni sorta di freno inibitorio. Solo i fanatici e gli assassini si comportavano in quel modo. Ash lanciò una rapida occhiata al padiglione del torneo, al simbolo dell'imperatore, alle guardie, ai suoi ufficiali... Daniel de Quesada urlò. Aveva spalancato del tutto la bocca e le corde vocali gli sporgevano dal collo. L'urlo coprì le ovazioni della folla finché non ebbe ridotto tutti al silenzio. Ash sentì Godfrey che afferrava la croce che portava sul petto e avvertì i capelli che le si rizzavano alla base della nuca come mossi da una ventata gelida. Quesada continuava a urlare in preda a una rabbia incontrollata. Silenzio. L'ambasciatore visigoto abbassò la testa fissando la folla davanti a sé 49
Nel 1475.
con occhi infuocati e iniettati di sangue. Le guance avevano ripreso a sanguinare. «Conquisteremo la Cristianità» sussurrò, adirato. «Prenderemo le vostre città. Tutte. E prenderemo anche te, Borgogna, anche te... ora che tutto è cominciato ho il permesso di mostrarvi un segno.» Qualcosa indusse Ash ad alzare lo sguardo. Un attimo dopo si rese conto che stava seguendo gli occhi dell'ambasciatore visigoto, che fissavano il cielo con sguardo estatico. Daniel de Quesada teneva lo sguardo fisso sul sole di mezzogiorno. «Merda!» Gli occhi di Ash si colmarono di lacrime e si sfregò il viso con una mano per asciugarli. Non vedeva più nulla: era cieca. «Cristo!» urlò. Altre urla echeggiarono per il campo. Si strofinò gli occhi freneticamente. Non riusciva a vedere nulla... nulla... Ash rimase immobile per un attimo, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani. Oscurità. Il nulla. Premette con maggiore forza. Sentì le pupille che si muovevano contro il tessuto del guanto. Tolse le mani. Oscurità. Il nulla. Sentì del bagnato: lacrime o sangue? Non sentiva dolore... Qualcuno la urtò violentemente e lei afferrò un braccio: qualcuno urlava e lei non riusciva a distinguere le parole, poi: «Il sole! Il sole!» Ash era inginocchiata, senza guanti, con le mani premute contro il terreno secco. Un corpo era appoggiato contro il suo e lei si aggrappò a quell'individuo in cerca di sicurezza. «Il sole... è sparito» sussurrò una vocina che Ash impiegò qualche attimo prima di attribuire a Robert Anselm. Alzò la testa. Incominciò a intravedere qualcosa. Erano delle luci deboli. Dei puntini distanti che si stagliavano all'orizzonte. Abbassò gli occhi e riuscì a distinguere il contorno delle mani. Alzò nuovamente lo sguardo e vide delle costellazioni a lei sconosciute. Tutto era immerso nell'oscurità. «Ha fatto sparire il sole» sussurrò Ash.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduta della Borgogna (Ratcliff, 2001), British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#19 (Pierce Ratcliff) Ash: 06/11/00 ore 10,10 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
HA FATTO SPARIRE IL *SOLE*??? E tu dove sei? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#19 (Pierce Ratcliff) Ash: 06/11/00 ore 10,10 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
Sono confinato in una stanza di un hotel a Tunisi. Uno dei giovani assistenti di Isobel Napier-Grant mi sta spiegando come scaricare e spedire email attraverso le linee telefoniche della Tunisia e ti assicuro che, come potrai immaginare, non è facile come sembra. Il camion si recherà al sito solo stanotte con il favore delle tenebre. Gli archeologi diventano dei veri fanatici quando si tratta di sicurezza, ma se Isobel ha veramente trovato quello che dice non mi sento di biasimarla. Quando mi disse che sarebbe venuta fin qua, io speravo che potesse trovare delle prove per sostenere la mia tesi ma, mai e poi mai mi sarei aspettato QUESTO! 'Ha fatto sparire il sole'. Certo. Da quello che ho scoperto, tra il 1475 e il 1476 non c'è stata nessuna eclisse visibile. L'unica a cui riesco a pensare è quella del 25 febbraio 1476, a Pskov, ma siamo in Russia! Comunque, è
molto probabile che i cronisti l'abbiano usata come una sorta di licenza poetica per rendere il tutto più drammatico. Anch'io ho fatto lo stesso. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#20 (Pierce Ratcliff) Ash: sfondo storico della vicenda 06/11/00 ore 18,44 Longman@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
INSOMMA!!! Ho controllato, Pierce. Le uniche guerre che si sono svolte tra il 1476 e il 1477, sono legate al tentativo del duca Carlo l'Intrepido di Borgogna di conquistare la Lorena e di unire il suo 'Regno Intermedio' all'Europa. Poi c'è la sua sconfitta a opera degli Svizzeri a Nancy e la sua morte. Ci sono state le solite guerre tra le città stato italiane, ma non c'è *niente* che riguardi il Nord Africa! E non dirmi che questa è una concezione eurocentrica della storia! Non trovi che un'invasione dell'Italia e della Svizzera sarebbe un fatto un po' troppo ECLATANTE per farlo passare inosservato? *Te lo ripeto, Pierce, COS'È QUESTA STORIA DELL' INVASIONE VISIGOTA???!!! * — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#23 (Anna Longman) Ash: 06/11/00 ore 19,07 Longman@
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Ti avevo detto che quanto contenuto nel FRAXINUS avrebbe ridimensionato la storia come oggi la conosciamo. Molto bene: È mia intenzione dimostrare che un insediamento visigoto del Nord Africa in un certo momento della storia (AD 1475 - AD 1477) invase militarmente il sud dell'Europa. Sosterrò anche che l'interesse per quella incursione si perse nel panico suscitato dalla morte in battaglia di Carlo l'Intrepido (1477). Credo che bisognasse aspettarselo. Non trovi che questo fatto sia stato ignorato a causa dello strapotere di una classe accademica di storici bianchi e maschi, che non poteva concepire che il dominio dell'Europa Occidentale fosse stato messo in pericolo dall'Africa? E che una cultura fatta di meticci potesse provarsi militarmente superiore alla Cristianità Occidentale di origine Caucasica? — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#23 (Anne Longman) Ash: sfondo storico della vicenda 06/11/00 ore 19,36 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
Il problema continua a essere che il testo cita un'invasione dell'Europa Occidentale nel 1476, quando neanche i Turchi RIUSCIRONO MAI A INVADERE L'EUROPA!!! So quello che mi risponderai: secondo la tua teoria, Ash ha combattuto contro i Visigoti dell'Africa del Nord. PERCHÉ QUESTO FATTO NON È MENZIONATO NEI MIEI LIBRI DI STORIA? — Anna ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#24 (Anne Longman) Visigoti 07/11/00 ore 17,234 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Sono nel sito! Il dottor Napier-Grant mi sta gentilmente permettendo di usare il suo PC satellitare. Ho così tanto da dire che non posso aspettare di raggiungere un telefono, senza contare che le linee telefoniche di quaggiù sono tremende. Isobel (scusa, è il dottor N-G, nel caso lo avessi dimenticato) Isobel mi dice che posso farti qualche anticipazione, ma non vuole che trapeli nulla, perché se qualcun altro dovesse leggere questo messaggio si troverebbe con tutti gli archeologi tra qui e il polo nord davanti al sito. Per non parlare di quelli che stanno già ronzando qua intorno da qualche giorno. So che non dovrei dirlo, ma si tratta di qualcosa di caldo e fumante e gli unici momenti in cui possiamo sopportarlo è quando siamo fuori dagli scavi - dei quali, ovviamente, *non* ti dirò l'ubicazione!! Ti basti sapere che si trovano molto vicini alla costa settentrionale di questa regione della Tunisia. (Vedo delle montagne a sud che mi fanno pensare al ghiaccio, al freddo e a luoghi in cui non devi stare sotto una tenda dall'una fino alle cinque del pomeriggio!) So che sentire tutto questo ti darà fastidio, ma non posso dirti quello che ti piacerebbe ascoltare e se non parlo scoppio. Isobel mi ha detto che visto che stiamo per pubblicare il libro *posso* riferirti qualcosa. Isobel è una donna fantastica. Ci conosciamo dai tempi di Oxford e lei è l'ultima persona che ritengo possa eccitarsi quando non è il caso. Basta guardare il taglio di capelli corto e le scarpe che porta. (No, non l'abbiamo mai fatto. Io volevo. Ma Isobel non è certo una che capisce al volo.) Da quando sono arrivato qui, ventiquattro ore fa, l'ho vista andare avanti e indietro per il sito come una scolaretta! *Potremmo* trovarci di fronte ad altri diari di Hitler, ma non credo. Cosa abbiamo trovato? (No, 'trovato' è inesatto, visto che è tutta opera di Isobel e del suo fantastico team.) I golem. Sono proprio come li descrive il testo. 'I golem messaggeri'. Uno è integro, l'altro a pezzi. Ti ricordi quando ti parlavo dell'alto grado di specializzazione raggiunto dall'ingegneria araba nel Medio Evo? Le fontane musi-
cali, gli uccelli meccanici che battevano le ali e tutti quegli oggetti di svago dell'epoca post-romana? Molto bene: I manoscritti sulla vita di Ash si riferiscono agli 'uomini di terracotta', 'robot', 'golem', come a riproduzioni meccaniche dell'uomo. È ovvio che si tratta di una stupidaggine bella e buona. Prova a immaginare qualcuno che costruisce un robot nel quindicesimo secolo! Al limite si poteva pensare a oggetti di carattere ornamentale, forse. *Solo* forse. Voglio dire, se puoi costruire un uccello metallico in grado di cantare che, come spiegano tutti i trattati di ingegneria romana, funzionava idraulicamente o pneumaticamente, ma non chiedermi altro perché non sono un ingegnere, allora, suppongo che sia possibile costruire un modello metallico di un uomo. Ruggero Bacone fece qualcosa di simile con la sua Testa d'Ottone. Non riesco a capire perché qualcuno dovesse prendersi tale disturbo. Questo era quanto pensavo fino a ventiquattro ore fa. Allora andavo di fretta: dovevo prendere un aereo per Tunisi ed essere scarrozzato su una stramaledetta jeep fino al 'campo' degli archeologi e farmi condurre sul sito a piedi da Isobel. Ci sono soldati a guardia del campo con tanto di kalashnikov e jeep, ma non sembrano molto allerta. Penso che sia un dono del governo per tenere lontani i curiosi. Credo che a Isobel vada bene così. Una visita dei militari al sito è l'ultima cosa che vogliamo. Potrebbero distruggere degli oggetti che hanno più di cinquecento anni. Sì, per Isobel risalgono a cinquecento anni fa. È sicura che siano rimasti sepolti per tanto tempo e credo che sia una teoria più che attendibile. Non mi trovo di fronte alla stramberia di epoca vittoriana che credevo di trovare. Questi sono i 'golem messaggeri' citati nei testi su Ash: riproduzioni a grandezza naturale in pietra di un uomo (Isobel sostiene che quello integro è fatto di marmo italiano) complete di articolazioni del ginocchio, delle spalle, delle braccia, delle mani, dei gomiti e delle anche. Del secondo sono rimaste solo le giunture metalliche. *Sono i golem*! Confesso di non riuscire a comprendere tutto ciò che si dicono Isobel e il suo team: per essere più preciso, non comprendo i dettagli tecnici. C'è un *gran* chiasso per cercare di capire se essi appartengono alla cultura araba medievale o a quella europea. Il marmo è italiano, ma la pietra di Carrara venne largamente esportata in tutta la Cristianità, come ho cercato di far notare. Ho dato a Isobel la mia copia della traduzione sottolineando che la cultura 'visigota' di cui faccio menzione nel testo *non* è solo goticoiberica, ma piuttosto un misto di cultura visigota, spagnola e araba. Sono arrivato a questo punto, ma non ti ho riferito la scoperta più impor-
tante. Tu sarai sicuramente seduta a Londra intenta a leggere questo messaggio pensando: 'E allora? Avevano degli uomini meccanici e degli uccelli meccanici, cosa importa?' Isobel mi ha permesso di esaminare con molta cautela il golem rimasto integro. Quello che ti dirò ora non deve trapelare finché lei non pubblicherà le sue scoperte. Ci sono resti di tessuto tra le giunture metalliche. E non è tutto. Ci sono resti di tessuto *sotto* i piedi! La pietra che costituisce la pianta del piede e il calcagno è consumata come se questo golem fosse stato in grado di camminare. Camminare. Come un uomo, come te e me, un uomo meccanico di pietra e ottone che *cammina*. Ciò che ho toccato, toccato, Anna!, corrisponde a quello che nei testi su Ash viene descritto come l'uomo di terracotta dei Visigoti. Sono *veri*. Devo lasciare il PC a Isobel perché ne ha urgente bisogno. Ti contatterò prima possibile. Ti invio l'altra parte della traduzione allegata a questo file. Non affossare il mio libro!! Potremmo avere tra le mani più di quanto chiunque possa pensare. *Quali* Visigoti? HA! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#28 (Pierce Ratcliff) Ash: progetti relativi ai media 07/11/00 ore 18,17 Longman@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
— Pierce Voglio parlare con il dottor Napier-Grant e persuaderla che voi due dovete lavorare in tandem a partire da ORA. Il mio Media Director, Jonathan Stanley, è *molto* favorevole a una collaborazione tra te e il dottor Napier-Grant. Sembra una di quelle inglesi eccentriche che di tanto in tanto
appaiono sul piccolo schermo. Intravedo la possibilità di una serie televisiva per lei, poi c'è la tua traduzione di 'Ash', senza parlare di quello che potreste fare insieme - che ne dici di un diario della spedizione? Pensi di poter scrivere il testo per un documentario sulla spedizione? Le possibilità sono *infinite*! Sono certo che si possa raggiungere un accordo. Di solito non dico queste cose ai miei autori accademici, ma ti consiglio di *trovarti un agente*! Hai bisogno di qualcuno che sappia trattare per i diritti sui film e le trasmissioni televisive, per non parlare dei diritti sulla traduzione del libro. È vero che abbiamo un testo che per metà si basa su leggende medievali e per metà su fatti storici (l'eclissi!) e che sono stupita dal fatto che un evento della portata di un'invasione sia stato omesso dai libri di storia. Come si MUOVEVANO i golem? Ma non vedo niente di tutto ciò come una barriera al successo editoriale. Parla con il dottor Napier-Grant dell'idea di un progetto in comune e rispondi appena puoi! Con affetto, Anna.
PARTE TERZA 22 LUGLIO - 10 AGOSTO AD 1476 'Come un Uomo Dovrebbe Armarsi'50 I Quaranta torce ardevano al vento sotto un cielo nero come l'inchiostro malgrado fosse pieno giorno. La folla di persone si aprì di fronte ad Ash mentre raggiungeva al galoppo il centro del campo eretto fuori dalle mura di Colonia. Arrestò bruscamente Godluc tirando le redini. Il silenzio regnava supremo, interrotto solo dallo schiocco delle bandiere che garrivano al vento. Le fiamme delle torce illuminavano i volti pallidi dei mercenari. «Geraint! Euen! Thomas!» I suoi ufficiali la raggiunsero immediatamente, pronti a ripetere le sue parole a beneficio dei soldati che si erano radunati dietro di loro. Dalla folla cominciarono a levarsi diverse domande. «Ascoltate,» disse Ash, con voce ferma «non avete nulla da temere.» In circostanze normali in quel momento il cielo avrebbe dovuto essere azzurro come in una comune giornata di metà luglio, e non un vuoto buio. Il sole era scomparso. «Io sono qua. Godfrey è qua ed è un prete. Non siete dannati e non siete in pericolo. Se lo fossimo io sarei già scappata!» La folla, un mare di volti impauriti, non pose nessuna domanda. La luce delle torce tremava sugli elmi, sulle armi e sulle armature che fasciavano i corpi. «Forse stiamo subendo lo stesso destino delle Terre Sotto Penitenza,» continuò Ash «ma Angelotti è stato a Cartagine e sa cos'è il Crepuscolo eterno. Vi posso assicurare che laggiù se la cavano benissimo e voi non permetterete a un mucchio di teste fasciate di dare fastidio al Leone!» Non ci furono ovazioni, ma qualcuno cominciò a borbottare parolacce e nessuno pronunciò la parola 'diserzione': almeno cominciavano a reagire. «Perfetto» disse in tono frettoloso. «Ci muoviamo. Leviamo le tende. 50
Titolo di un trattato molto popolare nel 1450 che contiene le istruzioni su come un uomo dovrebbe indossare un'armatura quando non combatte a cavallo: 'Come un uomo debba essere adeguatamente armato quando combatte a piedi.'
Avete già smontato un campo di notte e sapete come si fa. Voglio che tutto sia pronto e caricato per partire ai Vespri51 .» Malgrado la scarsa luce, Ash riuscì a scorgere la mano che si alzava dalla folla. Si inclinò in avanti per capire chi fosse. Era Henri Brant che usava Rickard come sostegno. «Henri?» «Perché ce ne andiamo? E dove?» Il giovane paggio di Ash dovette ripetere la domanda ad alta voce perché la voce dell'uomo, ancora molto indebolito dalle ferite, era troppo fioca. «Adesso ve lo dico.» Tornò a sedersi sulla sella controllando la folla davanti a sé, prendendo nota di chi stava sgattaiolando, di chi stava cominciando a fare i bagagli e dei volti familiari che mancavano. «Tutti voi sapete che mio marito è Fernando del Guiz. Beh, sembra che sia passato dalla parte del nemico.» «Davvero?» urlò un soldato. Ash, che ricordava ancora bene Costanza che veniva fatta allontanare dal trambusto scoppiato al torneo e che esitava a dire alla nuora di origini contadine che i nobili sapevano dove fosse suo marito, alzò la voce per farsi sentire da tutti. «Sì, è vero. «Per una ragione che non mi è ancora chiara» continuò, malgrado il vociare suscitato dalla conferma «Fernando del Guiz ha giurato fedeltà al Califfo dei Visigoti.» Lasciò che i suoi uomini si sfogassero, quindi riprese a parlare. «I suoi possedimenti si trovano nel sud in Bavaria, in un posto chiamato Guizburg. Beh, non sono più suoi. L'imperatore li ha messi sotto sequestro. Tuttavia continuano a rimanere i miei possedimenti. I nostri. Ecco dove andremo. Andremo a sud a prenderci quello che ci spetta, dopodiché affronteremo questa oscurità al sicuro dietro le mura del nostro castello!» Nei dieci minuti che seguirono l'aria risuonò di domande urlate, di liti personali trascinate nella discussione e della voce di Ash che urlava a squarciagola, riuscendo finalmente a ristabilire l'ordine. «Cristo, ragazza» le borbottò Robert Anselm in un orecchio sporgendosi dalla sella. «Se smontiamo il campo ci sarà un bel casino.» «È vero, sarà un bel caos» concordò Ash, torva. «Ma o facciamo così o rischiamo che gli uomini comincino a fuggire diventando dei profughi. C'è il rischio che la compagnia si sfasci. Fernando non c'entra nulla, sto solo cercando di dare loro qualcosa da fare. Qualcosa, non importa cosa!» 51
Le sei del pomeriggio.
L'oscurità che la sovrastava non aveva nessuna intenzione di cedere il passo all'alba o al crepuscolo. «Fare qualcosa» sentenziò Ash «è sempre meglio che non fare niente. Anche se questa fosse la fine del mondo... Io sto tenendo la mia gente unita.» II Il rintocco delle campane di Guizburg raggiunse Ash coprendo momentaneamente il suono intermittente dei cannoni. Quattro rintocchi. Quattro ore dopo quello che avrebbe dovuto essere stato un mezzogiorno. «Non è un'eclisse» commentò Antonio Angelotti senza alzare la testa, rimanendo seduto all'altro capo di un tavolino da campo. «Comunque, Madonna, un'eclissi dura al massimo qualche ora. Non dodici giorni.» Sul ripiano c'erano le tavole delle efemeridi e dei fogli pieni di calcoli. Ash posò un gomito sul tavolo e appoggiò il mento sulla mano. Godfrey Maximillian camminava su e giù per la stanza facendo scricchiolare le tavole del pavimento. La luce delle candele ebbe un sussulto. Ash guardò fuori dalla finestra sperando di avvertire una folata di vento, il freddo umido dell'alba, il canto interminabile degli uccelli e, soprattutto, la sensazione di freschezza, di inizio che dava il sole nascente. Niente. Solo oscurità. La testa di Joscelyn van Mander fece capolino tra le due guardie che sorvegliavano la porta. «Non vogliono ascoltare l'araldo, capitano, e continuano a sparare! La guarnigione non ha neanche il coraggio di ammettere che tuo marito è dentro il mastio.» Antonio Angelotti si inclinò all'indietro sollevando parzialmente la sedia. «Si vede che conoscono il proverbio, Madonna: 'un castello che parla e una donna che ascolta verranno entrambi conquistati.'» «Hanno issato lo stendardo della sua casata e le insegne dei Visigoti. È la dentro» fece notare Ash. «Mandate un araldo ogni ora e continuate a rispondere al fuoco! Joscelyn, voglio entrare e in fretta.» Mentre van Mander usciva, Ash aggiunse: «È sempre meglio stare qua fuori. Finché conteniamo del Guiz, che è un traditore, l'imperatore è contento. Inoltre abbiamo la possibilità di mettere alla prova l'esercito visigoto...» Si alzò e si avvicinò con passo deciso alla finestra. Le schegge dei colpi di cannone avevano scrostato l'intonaco vicino al davanzale mettendo a nudo il muro sottostante. Lo ripareremo facilmente, pensò Ash toccando la
pietra. «Angeli, non è possibile che tu abbia sbagliato i calcoli.» «No, perché nulla di quanto è successo coincide con le descrizioni del fenomeno.» Angelotti grattò il colletto della maglia dimenticandosi che teneva in mano la penna e macchiando la stoffa. Il mastro artigliere italiano guardò infastidito le dita sporche d'inchiostro. «Non c'è stata penombra, nessun raffreddamento graduale del disco solare, nessun segno di nervosismo da parte delle bestie. Solo una repentina scomparsa della luce.» Angelotti portava degli occhiali per leggere e mentre socchiudeva gli occhi, Ash notò le rughe tra le sopracciglia. Ecco come sarà il suo volto tra dieci anni, pensò lei, quando la pelle non sarà più tesa e i suoi capelli biondo grano saranno diventati grigi. «E Jan mi ha detto che prima che succedesse i cavalli erano tranquilli» concluse. «Una volta il sole si oscurò, quando ero in Italia.» disse Robert Anselm, entrando nella stanza dopo aver salito gli ultimi gradini con passo pesante. «La sua luce si indebolì, ma i cavalli avevano cominciato ad agitarsi quattro ore prima» terminò, togliendosi il cappuccio. Ash allargò le braccia. «Cos'altro può essere se non un'eclisse?» «Il regno dei cieli è in tumulto...» sentenziò Godfrey Maximillian senza smettere di camminare nervosamente su e giù per la stanza. Tra le mani stringeva un libro dalla copertina rossa e blu: Ash avrebbe potuto leggere il titolo se solo avesse avuto il tempo di mettere insieme le singole sillabe. Il prete si fermò vicino a una candela, aprì la copertina e cominciò a sfogliare le pagine rapidamente. Ash provò ammirazione, ma anche disprezzo per quell'uomo che aveva passato gran parte della sua vita a imparare a leggere. «E allora? Edward Conte di Marzo vide tre soli sul campo di Mortimer's Cross prima della battaglia. Rappresentavano la Trinità.» Robert Anselm esitò come suo solito nel sentire nominare lo York che sedeva sul trono d'Inghilterra in quel periodo. «Tutti sanno che a sud regna un crepuscolo eterno e nessuno ci può fare niente. Lo stesso vale per quanto sta succedendo qui. Ora dobbiamo combattere una guerra!» Angelotti si tolse gli occhiali. La montatura di osso aveva lasciato dei segni rossi sul naso. «Non posso distruggere quelle mura in mezza giornata.» La sua voce perse d'impeto nel pronunciare l'ultima parola. Ash si sporse dalla finestra e avvertì una strana tensione nell'aria. Il calore di quel crepuscolo eterno stava diminuendo, doveva essere tardo pomeriggio. La città immersa nell'oscurità era praticamente invisibile. Le fiam-
me dei fuochi che ardevano nella piazza del mercato balenavano contro le mura della casa. Ash non alzò gli occhi al cielo per fissare quel mare buio e impenetrabile, ma rivolse la sua attenzione al mastio. I falò ai piedi della fortezza proiettavano le ombre dei suoi uomini contro le pietre delle mura. Le finestre allungate sembravano gli occhi dell'oscurità. Le imponenti mura del mastio si innalzavano dalla cima di un'altura rocciosa perdendosi poi nell'oscurità. La strada che portava al cancello principale correva a ridosso di uno dei muri dai quali i difensori avevano riversato di tutto addosso ai suoi uomini. Ash non si era aspettata che disponessero di una simile potenza di fuoco. Fernando era là dentro. Asserragliato in qualche stanza tra quelle mura. Riusciva a immaginare le arcate, i pavimenti in legno dei piani inferiori sui quali i soldati avevano disteso le coperte per dormire, i cavalieri e gli ufficiali al quarto piano; forse Fernando era nel salone con le armi a portata di mano, circondato da mercanti, amici e cani... Siamo a meno di un miglio di distanza, ma a lui non importa niente di me, pensò. Perché? Perché l'hai fatto? Cosa ti ha spinto ad agire in questo modo? «Non voglio che il castello sia danneggiato al punto da non poterlo difendere quando saremo dentro» ammonì Ash. Tutti gli uomini che si trovavano nelle strade intorno al mastio avevano il simbolo del Leone Azzurro cucito sulla schiena delle giubbe. La maggior parte delle persone disarmate: bambini, prostitute e altre donne, avevano preso dei pezzi di stoffa azzurra e li avevano attaccati ai vestiti. Non c'era traccia dei cittadini che si erano rinchiusi nelle chiese a cantare. Il campanile che si trovava all'altro lato della piazza batté il quarto. Desiderava ardentemente di poter vedere della luce, era come se avesse sete di luce. «Pensavo che potesse finire con l'alba» disse. «Un'alba. Una qualsiasi.» Angelotti spostò il foglio sul quale aveva disegnato i simboli di Mercurio e Marte; erano calcoli balistici. «Questa è nuova.» L'artigliere si stirò. La sua bellezza e la sua forza facevano venire in mente ad Ash un leone. La giubba imbottita che indossava si stava scucendo all'altezza delle spalle. Il petto e le maniche della maglia erano costellati di piccoli buchi dai contorni anneriti causati dalle scintille dei cannoni. Robert Anselm si appoggiò sulla spalla del mastro artigliere, studiò gli appunti dopodiché cominciò a discutere a bassa voce con l'Italiano batten-
do più volte il pugno sul tavolo. Ash osservò Robert e provò un'improvvisa sensazione di fragilità: lui e Angelotti erano uomini molto forti e robusti e adesso che avevano alzato le voci, le loro parole echeggiavano contro le pareti della stanza. Sentiva che ogni volta che si confrontava con loro, una parte di lei tornava a essere la quattordicenne con indosso il suo primo piastrone decente che cercava Anselm tra i fuochi da campo dopo la battaglia di Tewkesbury e gli chiedeva di trovargli degli uomini per formare una compagnia. Glielo aveva chiesto al buio perché non avrebbe potuto sopportare un rifiuto in pieno giorno. Aveva quindi passato diverse ore a chiedersi se quel cenno gentile del capo era stato dettato dall'ubriachezza o dalla cortesia. Poi, un'ora prima dell'alba, Anselm si era presentato con una cinquantina di uomini infreddoliti, ma ben equipaggiati. Ash aveva fatto scrivere immediatamente i loro nomi sul libro paga da Godfrey e aveva zittito le loro incertezze e i commenti ironici con il cibo che aveva fatto preparare da Wat Rodway. I rapporti che si intrecciano tra i comandanti e gli ufficiali sono come la tela di un ragno. «Perché cazzo non torna il sole...?» Ash si sporse ulteriormente dalla finestra. Le bombarde e i trabocchetti di Angelotti avevano appena scalfito le mura della fortezza. Il fumo la fece tossire e si allontanò dal davanzale. «Gli esploratori sono tornati» disse Robert Anselm in tono laconico. «Colonia è in fiamme. L'incendio è incontrollabile. Dicono che sia colpa della peste. La corte è sparita. Ho ricevuto circa una trentina di rapporti diversi su quello che sta facendo Federico d'Asburgo. Gli uomini di Euen hanno trovato un paio di viandanti provenienti da Berna. Nessuno dei passi delle Alpi è agibile, per via dei Visigoti come per il brutto tempo.» Godfrey Maximillian smise di passeggiare e alzò gli occhi dal libro. «Gli uomini trovati da Euen facevano parte di una processione che da Berna voleva raggiungere il santuario dell'abbazia di Santa Walburga. Guardate le loro schiene. Quelle lacerazioni sono dovute alla frusta. Si flagellavano nella speranza di far tornare il sole.» L'unica cosa che rendeva simili Robert Anselm e Godfrey Maximillian era forse il tono di voce. Ash sentiva che negli ultimi tempi riusciva a giudicare con maggiore consapevolezza la mascolinità di un uomo. Prima di sposarsi aveva passato un lungo periodo di astinenza dal sesso e forse era stato proprio il giacere con il marito ad acuire la sua sensibilità a un punto che lei non avrebbe mai pensato raggiungibile. Ora poteva percepire delle differenze che erano dovute più alla fisicità che ai pregiudizi.
«Vado di nuovo da Quesada» disse Ash, rivolgendosi ad Anselm, quindi, mentre il suo luogotenente scendeva le scale con passo deciso, si girò verso Godfrey e chiese: «Se non è un'eclisse allora quale genere di miracolo oscuro potrebbe essere?» Il prete si fermò vicino al tavolo come se avesse trovato dei punti in comune tra gli appunti astrologici di Angelotti e le sue letture bibliche. «Non si sono viste stelle cadenti e la luna non è diventata rosso sangue. Escludo categoricamente che sia stato il fumo del Pozzo Infernale a oscurare il sole. Non si tratta della fine del mondo, il giorno in cui il sole si oscurerà, perché un terzo dell'astro non è andato in frantumi, né sono apparsi i Cavalieri dell'Apocalisse o sono stati infranti i Sigilli 52 .» «No, so anch'io che non sono le tribolazioni prima del Giorno del Giudizio,» insisté Ash «ma se fosse una punizione, un giudizio, un miracolo malvagio?» «Un giudizio? Per cosa? I principi della Cristianità sono malvagi, ma non più delle generazioni che li hanno preceduti. La gente comune è venale, debole, facilona e penitente, niente è cambiato. Le nazioni53 sono in subbuglio, ma non abbiamo mai vissuto nell'Età dell'Oro.» Le spesse dita del prete seguivano i contorni delle lettere maiuscole miniate e delle immagini dei santi circondate da piccoli santuari illuminati. «Non lo so.» «Allora è meglio che cominci a pregare per ottenere una risposta!» «Va bene.» Chiuse il libro tenendo il segno con un dito. «Come posso esserti utile se non ti porto l'aiuto di Dio? Tutto quello che posso fare è 52
Apocalisse 6: 12: 'Poi vidi, quando egli ebbe aperto il sesto suggello: ed ecco che si fece un gran tremuoto, e il sole divenne nero, come un sacco di perlo; e la luna divenne tutta come sangue.' Apocalisse 9: 2: 'Ed egli aperse il pozzo dell'abisso e di quel pozzo salì un fumo somigliante a un fumo di una gran fornace ardente: e' l sole e l'aria scurò per lo fumo del pozzo.' Apocalisse 8: 12: 'Poi sarà il quarto Angelo, e la terza parte del sole fu percossa, e la terza parte della luna e la terza parte delle stelle: sì che la parte loro scurò: e la terza parte del giorno non luceva né la notte simigliamente.' Matteo 24: 29: 'Hor, subito dopo l'afflition di quei giorni, il sole scurerà e la luna non darà il suo splendore, e le stelle caderanno dal cielo e le potenze de' cieli saranno scrollate.' 53 Luca 21: 25: 'Poi appresso, vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle: ed in terra, angoscia delle genti con ismarrimento: rimbombando il mare, e '1 fiotto.'
cercare di carpirlo dai Vangeli e il più delle volte mi sbaglio.» «Ti hanno ordinato prete e questo è più che sufficiente per me. Lo sai.» Ash aveva parlato in tono crudele. «Prega affinché ci venga concessa la grazia.» «Va bene.» Qualcuno urlò delle minacce al piano inferiore e dei passi echeggiarono sulle scale. Ash si guardò intorno e andò a sedersi su una sedia da campo. Lo stendardo del Leone Azzurro campeggiava alle sue spalle. Aveva lasciato l'elmo, i guanti e il fodero con la spada sul tavolo di fronte a lei. Il prete pregava in un angolo il Cristo Verde davanti una piccola pala d'altare, mentre il mastro artigliere faceva i calcoli per la polvere dei cannoni. Era tutto studiato alla perfezione. Ash sentì Floria del Guiz che faceva entrare Daniel de Quesada nella stanza, ma alzò gli occhi solo dopo una trentina di secondi dal loro arrivo. «Sappiate, capitano, che interpreto questo assedio come un'aggressione all'esercito del Califfo-Re» esordì de Quesada. Era la prima volta che parlava in maniera razionale da giorni. Ash attese che l'eco della voce si spegnesse nel silenzio. Le spesse mura dell'abitazione attutivano il rombo dei cannoni. Si rivolse quindi all'ambasciatore. «Voglio che il rappresentante del Califfo sappia che Fernando del Guiz è mio marito» gli rammentò in tono mite «e che tutte le sue proprietà sono state poste sotto sequestro e che io sto agendo nel tentativo di recuperare ciò che mi appartiene, visto che mio marito ne è stato privato dall'imperatore Federico in persona.» Daniel de Quesada aveva le guance coperte di croste e lo sguardo vacuo. «Quindi» riprese l'ambasciatore, con un certo sforzo «voi state assediando il castello di proprietà di vostro marito, che ora è un suddito del Califfo-Re Teodorico, solo perché egli si è asserragliato tra quelle mura e non perché volete aggredire la mia gente, giusto?» «Perché dovrei avercela con voi? Queste sono le mie terre.» Ash si sporse in avanti e intrecciò le mani sul tavolo. «Sono un mercenario. Il mondo è impazzito e io voglio che la mia compagnia sia al sicuro all'interno di solide mura di pietra. Dopo penserò da chi farmi assoldare.» Malgrado Floria avesse somministrato a de Quesada degli oppiacei per calmarlo e in quel momento gli tenesse una mano sul braccio, l'ambasciatore era ancora preda di un nervosismo febbrile. I pantaloni e il farsetto che
gli avevano dato, come anche il cappello, non gli si confacevano. «Non possiamo perdere» disse de Quesada. «Ho l'abitudine di trovarmi sempre dalla parte del vincitore.» La risposta era abbastanza ambigua da lasciare adito a sottintesi. «Ti farò scortare dalla tua gente, ambasciatore» disse Ash, ricorrendo a un tono più informale. «Pensavo di essere un prigioniero!» «Non sono Federico né un suo suddito.» Ash lo congedò con un cenno del capo. «Aspetta un attimo, Florian. Voglio chiederti un paio di cose.» Daniel de Quesada si guardò intorno, attraversò lo sconnesso pavimento di legno come se stesse camminando sul ponte di una nave che beccheggiava vistosamente, esitò qualche attimo quando passò di fronte alla porta, quindi si accomodò all'angolo opposto della stanza. Ash si alzò in piedi e servì del vino a Floria. «Quanto è pazzo, quello?» chiese al chirurgo, ricorrendo all'inglese, un idioma che molto probabilmente il diplomatico visigoto non conosceva. «Cosa gli posso chiedere riguardo l'oscurità?» «Non lo so!» Il chirurgo si sedette con una natica sul tavolo, lasciando penzolare una gamba nel vuoto. «Forse sono abituati a vedere i loro ambasciatori tornare in questo stato, visto che li mandano in giro ad annunciare portenti divini. Forse è ancora sano, ma non posso prometterti che rimarrà tale se cominci a fargli domande.» «Devo sapere.» Fece cenno all'ambasciatore di avvicinarsi e questi ubbidì. «Volevo solo chiederti ancora una cosa, mastro ambasciatore. Vorrei sapere quando torneremo a vedere la luce.» «La luce?» «Quando il sole tornerà a sorgere? Quando questa oscurità avrà fine?» «Il sole...» Daniel de Quesada rabbrividì e non si girò a guardare la finestra. «C'è la nebbia?» «Come faccio a saperlo? È nero come il tuo cappello là fuori!» Ash sospirò. È ovvio che mi devo scordare delle risposte sensate da costui, pensò. «No, mastro ambasciatore. È buio. Non c'è la nebbia» terminò ad alta voce. De Quesada si cinse il petto con le braccia. Qualcosa nell'espressione della sua bocca fece rabbrividire Ash: un adulto nel pieno possesso delle sue facoltà mentali non aveva quell'aspetto. «Ci siamo separati. Quasi in cima - c'era la nebbia. Io salivo.» Il cartaginese dell'ambasciatore era appena comprensibile. «Su, su, su. Una strada tortuosa. La neve. Il ghiaccio. Sono salito per un'eternità, alla fine striscia-
vo. Poi arrivò un grande vento e il cielo divenne porpora. Porpora e tutti i picchi erano così alti... Montagne. Io mi trascinavo. C'era solo l'aria. Le rocce mi facevano sanguinare le mani...» «Sta parlando del passo del Gottardo. È là che l'hanno trovato i monaci» disse Ash, ricordando con dolore il cielo azzurro e l'aria tanto fresca da fare male ai polmoni. Floria appoggiò una mano sul braccio dell'uomo. «Torniamo in infermeria, ambasciatore.» Daniel de Quesada fissò Ash. «Poi venne - la nebbia.» Mosse le mani come se volesse aprire una tenda. «Era sgombro un mese fa quando l'abbiamo attraversato con Fernando. C'era ancora neve sulle rocce, ma la strada era pulita. So dove devono averti trovato, ambasciatore. Sono stata anch'io in quel punto. È uno strapiombo alto più di duemila metri ai piedi del quale è possibile vedere l'Italia.» Il cigolio dei carri, i cavalli stanchi per la salita, il fiato condensato dei soldati, e lei, Ash, con il freddo che le penetrava dalle suole degli stivali, intenta a osservare la parete rocciosa che precipitava a capofitto verso i piedi della montagna. Le era sembrato sciocco definire parete il versante sud del passo, le montagne che si ergevano intorno a esso per chilometri e chilometri formavano una sorta di semicerchio. Per non parlare dello strapiombo di più di due chilometri. Rocce acuminate, muschio, ghiaccio e tanto di quel vuoto che la sola vista faceva vacillare la mente. «Se uno dovesse cadere da lassù toccherebbe il terreno solo ai piedi della montagna» terminò tranquilla. «Giù dritto!» esclamò de Quesada. I suoi occhi ebbero un guizzo di vitalità. «Mi sono trovato a fissare la strada sotto di me che serpeggiava lungo la parete. E il lago alla base della montagna? Da quella distanza non era più grosso di un'unghia delle mie dita.» Ash ricordava bene la paura che aveva provato durante tutta la lunga e interminabile discesa dal passo e come, una volta terminata, avessero scoperto che il lago non era in pianura, ma si trovava incastonato tra i primi contrafforti delle Alpi. «La nebbia scomparve e io guardai in basso.» Nella stanza era calato un silenzio di tomba. Dopo un minuto, Ash si rese conto che non avrebbero più saputo nulla da de Quesada, il quale conti-
nuava a fissare con sguardo vacuo le ombre contro le pareti. «Sapevo che c'erano persone che si bendavano gli occhi per non impazzire quando attraversavano i passi alpini54 ,» disse Angelotti, mentre Floria consegnava de Quesada nelle mani di un suo aiutante, «ma non credevo che ne avrei mai visto uno.» «Penso che ora tu l'abbia visto» commentò Ash, cinica, fissando de Quesada con sguardo torvo. «Beh, tirarlo fuori dal casino di Colonia nella speranza che ci potesse essere di qualche aiuto non è stata una delle mie idee migliori. Speravo che mi servisse a negoziare con del Guiz una volta arrivati qua.» «Quello se lo sono portato via le fate» le fece notare Floria. «Secondo il mio parere medico non è l'uomo più adatto a ricoprire l'incarico di araldo.» «Non me ne frega niente se è rincoglionito» ringhiò Ash. «Voglio delle risposte. Quest'oscurità non mi piace per niente.» «Sai dirmi a chi piace?» le domandò Floria, in tono retorico. «Vuoi sapere quanti uomini hanno avuto attacchi di mal di pancia da codardia, ultimamente?» «No. Perché credi che li tenga occupati con un assedio? Sono abituati a scavare le gallerie per le mine e a sparare con i cannoni, per loro sono attività rassicuranti, conosciute... Ecco perché ho mandato degli uomini di casa in casa a sequestrare delle provviste - se devono proprio saccheggiare questa città è meglio che lo facciano in maniera organizzata.» Il cinismo insito in quell'ultima frase fece sorridere il chirurgo e Ash sapeva che sarebbe stato così. C'era così poca differenza tra Floria e 'Florian', anche nella galanteria con la quale la donna si offriva di versarle del vino. «Non è diverso da un attacco notturno» continuò Ash, rifiutando il vino «che, come anche il buon Dio sa, è maledettamente complicato, ma possibile. Voglio che quel castello venga aperto dal tradimento e non da una nostra irruzione. A proposito,» l'agitazione dovuta al fallimento con Quesada la spingeva ad agire «vieni a dare un'occhiata a questo. Angelotti!» Lasciarono la stanza in compagnia dell'artigliere e prima di uscire Ash lanciò un'ultima occhiata alle spalle curve di Godfrey intento a pregare. Una volta usciti dalla casa rimasero fermi per qualche istante per abituare gli occhi all'oscurità che ammantava le strade. Il fabbro della città era stato preso dagli armaioli della compagnia, un gruppo di uomini sudati, dalle mani perennemente sporche, con i capelli 54
Un fatto ampiamente documentato in tutte le cronache di viaggiatori del quindicesimo secolo che hanno attraversato i passi delle Alpi.
dritti, che indossavano sempre un grembiule di cuoio senza maglia ed erano mezzi sordi a causa del rumore dei martelli. Fecero tranquillamente strada ad Ash, al chirurgo e alla sua scorta, una mezza dozzina di uomini e cani. Lei sapeva bene che essi consideravano tutti i comandanti meschini. L'ultimo progetto era il benvenuto poiché era inusuale. «Una trancia lunga tre metri?» chiese Floria, studiando le grosse maniglie di ferro. «Vanno bene le lame?» Il capo fabbro, Dickon Stour, terminava sempre le frasi con una venatura dubbiosa, anche quando non parlava nella sua lingua nativa, l'inglese. «Sopporteranno la pressione e taglieranno il ferro?» «E queste sono le scale» disse Ash. Indicò un massiccio palo di legno costellato di pioli, in cima al quale erano stati inseriti dei ganci metallici. «Sto per mandare degli uomini con la corazza rivestita di panni neri a tagliare le sbarre del cancello posteriore dall'interno. Direi di notte, ma...» scrollò le spalle e sghignazzò. «Guerrieri invisibili...» «Tu sei pazza. Quelli sono pazzi. Voglio parlarti!» Floria indicò silenziosamente la strada. Ash strinse le mani, diede delle pacche sulle spalle agli uomini e uscì con la scorta. Angelotti si mise a parlare di metallurgia. Ash trovò il chirurgo poco distante dalla forgia intento a fissare il castello che si ergeva sull'altura. Floria camminava con passo veloce. «Lo farai veramente?» «L'abbiamo già fatto. Due anni fa, a - dov'era?» Ash rifletté. «Da qualche parte nel sud della Francia?» «Quello là dentro è mio fratello.» La voce della donna aveva un che di mascolino, un registro roco che non abbandonava mai, poco importava se in quel momento il comandante della scorta potesse sentirla o no. «D'accordo, non lo vedo da quando aveva dieci anni. Va bene, era un marmocchio imprudente e ora è una merda di uomo, ma il sangue è sempre sangue. È la mia famiglia.» «Famiglia. Già. Dimmi quanto mi curo della famiglia.» «Cosa?» esordì Floria. «Cosa? Darò ordine di prenderlo prigioniero e non ucciderlo? Lo lascerò scappare affinché torni con degli uomini per riprendersi ciò che ritiene suo? Lo farò uccidere? Cosa?» «Tutto quello che hai detto.» «Mi sembra tutto irreale.» Già, continuò Ash tra sé, mi sembra irreale credere che quando avevo il suo corpo dentro di me qualcuno poteva pian-
targli una freccia in gola, aprirgli lo stomacò con un roncone o che, sotto mio ordine, ponesse fine alla sua esistenza con un colpo di daga. «Dannazione ragazza, non puoi andare avanti ignorando quanto è successo! Te lo sei scopato. È tuo marito. Siete carne della stessa carne agli occhi di Dio.» «È strano sentire una persona che non crede in Dio parlare in questo modo.» Ash poteva vedere l'espressione agitata del chirurgo. «Florian, non andrò a denunciarti al vescovo. I soldati o credono ciecamente o non lo fanno, e nella compagnia ce ne sono di tutti e due i tipi.» La donna continuava a camminare ondeggiando le spalle come se fosse un maschio e fece un gesto irritato quando uno dei cannoni d'assedio di Angelotti sparò un colpo. «Sei sposata!» «Avremo abbastanza tempo per decidere cosa fare di Fernando e della sua guarnigione quando l'avremo stanato dal castello.» Ash scosse la testa come se in qualche maniera volesse allontanare l'oscurità opprimente e innaturale che le attanagliava la mente. Raggiunsero nuovamente la casa che usava come comando e Ash disse ai soldati di dare un braciere e del cibo ai suoi uomini sulle strade, quindi salì le scale seguita da Floria e giunta in cima alla rampa si trovò nel mezzo della piccola folla che nel frattempo si era radunata nella stanza. «Zitti.» Tutti ubbidirono. C'erano Joscelyn van Mander, il cui volto rosso spiccava sotto l'elmo lucido, due dei suoi uomini, Robert Anselm, Godfrey, che aveva smesso di pregare, Daniel de Quesada e un nuovo arrivato che indossava un tunica bianca, dei pantaloni e un usbergo di maglia metallica. Non portava armi. Era un Visigoto e sulle spalle c'erano i segni del suo grado. Ash ricordava bene il significato di quei simboli dalle campagne in Iberia: era un Qa'id, un ufficiale posto al comando di circa un migliaio di uomini. Equivaleva più o meno a uno dei suoi ufficiali superiori. «Allora?» disse lei, sedendosi dietro il tavolo. Rickard comparve quasi magicamente e le versò una coppa di vino molto annacquato. Ash si mise a parlare nel dialetto che aveva imparato dai soldati tunisini senza neanche rendersene conto: per lei ormai era naturale chiamare 'arquebusier' un archibugiere quando era in Francia, e der Axst o lanza l'alabarda se stava parlando con un tedesco o con Angelotti. «Cosa vuoi, Qa'id?» «Capitano.» Il Visigoto si toccò la fronte con le dita. «Ho incontrato il mio connazionale de Quesada e la vostra scorta lungo la strada. Egli ha
deciso di tornare con me e parlarvi. Io vi porto delle notizie.» Il soldato visigoto, poco più alto di Rickard, aveva gli occhi azzurri e in lui c'era qualcosa di familiare. «Il cognome della tua famiglia è Lebrija, giusto?» domandò Ash. «Sì» rispose l'ufficiale, stupito. «Dimmi. Quali notizie mi porti?» «Verranno anche altri messaggeri appartenenti al tuo popolo.» Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. «Sì,» confermò l'ufficiale «li ho incontrati. Stavo andando per la mia strada quando è arrivato Joscelyn.» «Tu potresti avere l'onore di dirmelo» disse Ash, rivolgendosi al qa'id. Odiava ricevere delle notizie, impreparata. Odiava non essere riuscita a ottenere quei preziosi minuti di anticipo che avrebbe avuto se Robert fosse stato il primo a parlarle. Visto che Joscelyn van Mander sembrava molto preoccupato, Ash decise di tornare a parlare in tedesco. «Cosa è successo?» «Federico d'Asburgo è sceso a patti.» «Merda» borbottò Floria e quella fu l'unica voce che si levò nel silenzio. «Cosa significa, capitano?» chiese van Mander. «Penso voglia dire che il Sacro Romano Impero si è arreso.» Ash intrecciò le dita davanti a sé. «E cosa dice il tuo messaggero, mastro Anselm?» «Federico si è arreso e tutto ciò che si trova tra il mare e il Reno è a disposizione dei Visigoti. Hanno bruciato Venezia. Le chiese, le case, i magazzini, le navi, i ponti sui canali, la basilica di san Marco, il palazzo dei Dogi, tutto. Milioni e milioni di ducati ridotti in cenere.» Il silenzio divenne palpabile: i mercenari erano stupefatti dall'entità della perdita e i due Visigoti mostravano la fiducia silenziosa che veniva associata a una forza in grado di portare una distruzione simile. Federico d'Asburgo deve aver sentito quello che è successo a Venezia, pensò Ash, stupefatta. Nella sua mente echeggiava la voce acuta del monarca del Sacro Romano Impero che diceva: «Ho deciso di non rischiare le Germanie.» Il suo sguardo tornò a posarsi frettolosamente sul soldato visigoto, il cugino di Asturio Lebrija, e comprese quanto stava succedendo. L'impero si è arreso e noi ci troviamo dalla parte sbagliata della barricata, pensò. Era l'incubo di ogni mercenario. «Suppongo» disse «che un distaccamento dell'esercito visigoto stia venendo qua per aiutare Fernando, giusto?» I suoi piani dovevano essere modificati. Non si trattava più di mettersi al
sicuro dietro le mura del castello. Ora la sua compagnia si trovava a metà strada tra l'esercito visigoto e i cavalieri e i cannoni di Fernando del Guiz dentro il castello. «Certo» confermò Daniel de Quesada. «Noi aiutiamo sempre i nostri alleati.» «Certo» fece eco il fratello o cugino di Lebrija. Quesada non gli ha ancora detto nulla della morte del suo parente, pensò Ash, o forse non sa nulla neanche lui. Decise di stare zitta per evitare di finire in altri guai. «Sarei molto contenta di parlare con il vostro capitano quando arriverà» affermò Ash. Diede un'occhiata di sguincio ai suoi capitani e vide che traevano conforto dalla sua tranquillità. «Il nostro comandante arriverà qua entro domani» disse il soldato visigoto. «È molto ansioso di parlare con voi. La famosa Ash. Ecco perché sta venendo.» Sole scomparso o no, pensò Ash, non perderò tempo a domandarmi cosa fare. Qualunque cosa stia succedendo, succede adesso. Quindi, sole scomparso o no, Giorno del Giudizio o no - tutto ciò non ha nulla a che fare con me - se sto con la mia compagnia, saremo abbastanza forti da superare anche questa prova. La filosofia non è un mio problema. «Bene» disse. «Sarà meglio che incontri il vostro comandante e apra delle trattative.» Rickard le presentò Bertrand, un probabile fratellastro di Philibert. Era un ragazzino di tredici anni un po' troppo grassottello per la sua età. Insieme, aiutarono Ash a indossare l'armatura e misero a Godluc la bardatura migliore. I ragazzini avevano gli occhi cerchiati. Non dormivano da troppo tempo. Si erano svegliati un'ora prima dell'alba, anche se ormai erano giorni che Guizburg non veniva rischiarata dalla luce del sole. «Da quello che ho sentito» disse Godfrey Maximillian «il nome del loro capitano corrisponde a quello del suo grado. Lei viene chiamata Faris55 . 55
Questa dovrebbe essere una traduzione errata da parte di del Guiz del termine Saraceno. In arabo, Faris significa 'cavaliere', ma indica il cavaliere come titolo nobiliare e non il comandante dell'esercito. Comunque ho scelto di usare faris come valida alternativa al manoscritto dell'Angelotti, nel quale veniva usato il termine musulmano al-sayyid, 'condottiero' o 'capo', poiché il termine già esiste nella storia dell'Europa vedi Rodrigo de Vivar: 'El Cid'.
Significa capitano-generale, comandante supremo dell'esercito o qualcosa di simile.» «'Lei viene chiamata?' Sono guidati da una donna?» In quel momento Ash ricordò Asturio Lebrija che le diceva di aver già visto una donna guerriero sottolineando la frase con quel senso dell'umorismo che sembrava del tutto assente nel cugino, Sancho (Godfrey aveva scoperto il suo nome). «Ed è qua? Il capo di tutta questa dannata invasione?» «È sulla strada per Innsbruck.» «Merda...» Godfrey si avvicinò alla porta. «Carracci, il capo vuole sentire quello che hai da dire» chiamò, sporgendosi nella stanza attigua. Un uomo con capelli di un biondo intensissimo e le guance rosse entrò nella stanza e fece un inchino. Aveva ridotto al minimo il suo equipaggiamento da fante per poter camminare più velocemente. «Sono stato nella tenda del loro comandante! È una donna, capo. È una donna che comanda il loro esercito; e sai come hanno fatto a farla diventare così brava? Ha una di quelle Teste di Ottone. È quella che pensa per lei durante le battaglie. Dicono che lei è in grado di sentirne la voce! La sente parlare!» «È ovvio che la senta parlare, visto che è una Testa di Ottone56 !» «No, capo. Non la porta con sé. La sente nella sua testa, come quando Dio parla con un prete.» Ash fissò il soldato. «È come se ci fosse la voce di un santo che le dicesse come combattere. Ecco perché una donna è riuscita a batterci.» Carracci smise di parlare improvvisamente, scrollò le spalle e sorrise, mesto. «Oops, scusami, capo!» La sente come se fosse la voce di un santo. Ash fu percorsa da un brivido gelido e sentì lo stomaco che si chiudeva. Era conscia di avere lo sguardo perso nel vuoto. Si inumidì le labbra. «Niente, niente...» Era ovvio che Carracci non aveva sentito la diceria sul fatto che lei udisse le voci dei santi. Era una storia messa in giro dai soldati che erano con lei da parecchi anni. Sente la voce dei santi questa Faris? O forse pensa che sia un pettegolezzo utile? Finire bruciata come strega non è il modo per... 56
Francis Roger Bacon (c. 1241 - 1292) fu uno dei primi scienziati nonché l'inventore europeo della polvere da sparo. Era molto popolare perché si supponeva fosse un mago e si diceva che avesse inventato delle teste meccaniche in grado di parlare, che vennero poi distrutte.
«Grazie, Carracci» aggiunse, in tono assente. «Unisciti alla scorta. Partiremo tra cinque minuti.» Mentre il soldato usciva, Ash si girò verso Godfrey. È difficile sentirsi vulnerabile quando si è dentro un'armatura. Cercò di dimenticare le parole del soldato e cominciò a camminare per la stanza sentendo che la fiducia le tornava a ogni passo. Si fermò un attimo a guardare dalla finestra i fuochi che illuminavano Guizburg. «Penso che tu abbia ragione, Godfrey. Credo che ci offriranno un contratto.» «Ho parlato con diversi viaggiatori che venivano dai monasteri su questo versante delle Alpi. Come ti ho detto, è impossibile fare una stima esatta del loro numero, ma c'è almeno un altro esercito che sta combattendo in Iberia.» «Dicono che sente le voci. Non lo trovi bizzarro?» «È una diceria che può tornare utile.» «Non lo sapevo!» «I santi sono una cosa» disse Godfrey. «Dire che una voce miracolosa sgorga dalla gola di una macchina è un'altra. Potrebbero pensare che lei è un demone. Forse lo è veramente.» «Già.» «Ash...» «Non abbiamo tempo per preoccuparci di questa storia, giusto?» Si voltò verso Godfrey fulminandolo con una occhiataccia. «Giusto?» Il prete la fissò calmo, ma non annuì. «Se i Visigoti ci fanno un'offerta dobbiamo decidere in fretta» disse Ash. «Fernando e i suoi uomini non aspettano altro che poterci prendere tra il martello e l'incudine. A quel punto abbasserebbero il ponte levatoio e noi saremmo presi nel mezzo. Yippeee» disse torva, quindi sorrise al prete. «Non pensi che a Fernando verrebbe un bel mal di pancia se fossimo dalla sua stessa parte? Noi siamo mercenari, lui rimane un traditore e io continuo a considerare quel castello mio.» «Non contare i tuoi castelli prima di uno scontro.» «Sembra un proverbio, non pensi?» Ash assunse un'aria più seria. «Siamo tra il martello e l'incudine. Speriamo che i Visigoti trovino più vantaggioso ingaggiarci piuttosto che farci sparire. Altrimenti avrei fatto meglio a decidere di andare via. Quello che ci sarà tra poco rischia di diventare un incontro molto breve e sanguinoso.» La grossa mano del prete si posò sulla sua spalla sinistra. «Mi hanno det-
to che il sangue è scorso a fiumi quando hanno combattuto contro le Gilde vicino al lago di Lucerna. È probabile che i comandanti visigoti vogliano ingaggiare qualsiasi contingente mercenario che incontrano, specialmente quelli che hanno una buona conoscenza del territorio.» «Così possono schierarci in prima linea e farci morire al posto dei loro uomini. So come vanno le cose.» Si muoveva con cautela. Era molto facile farsi male quando si indossava un'armatura. Fissò Godfrey. «È notevole come ci si abitua alle cose. Una settimana, dieci giorni... La domanda che uno si pone è: 'Cos'altro sparirà dopo il sole? Cosa può succedere ancora?'» Ash si inginocchiò con movimenti impacciati. «Benedicimi. Vorrei essere nella Grazia di Dio in questo momento.» La voce profonda del prete intonò una benedizione. «Vieni con me» disse lei, nel momento stesso in cui Godfrey finiva, quindi si alzò e scese le scale seguita dal prete. Ash montò a cavallo e si mise in marcia lungo le strade della città seguita dagli ufficiali e dalla scorta. Fermò Godluc per far passare una processione che bloccava la strada. C'erano uomini e donne, mercanti e artigiani, che piangevano con le vesti strappate e i volti coperti di cenere. Dei ragazzini camminavano a piedi nudi reggendo sulle spalle insanguinate un'immagine della Vergine attorniata dalle candele. I preti della città li flagellavano con le fruste. Ash si tolse l'elmo e attese che la processione di penitenti fosse passata. «Andiamo!» ordinò, appena le fu possibile farsi sentire. Uscirono dai cancelli di Guizburg illuminati dai falò e incrociarono alcuni dei suoi uomini che tornavano dalle foreste con un carico di rami di pino che avrebbero usato per fare delle torce. Vide che gli aghi erano ricoperti da uno strato argenteo. Gelo. A luglio. Le pale del mulino immerse parzialmente nel guado erano immobili. Ash vide delle vacche che pascolavano senza sapere se qualcuno sarebbe andato a mungerle. Il cinguettio incerto dei passeri echeggiava dall'alto dei tetti. Neanche loro sapevano se era il caso di dormire o continuare a delimitare il territorio con il loro richiamo. L'atmosfera era opprimente e prima ancora di scorgere le migliaia di fiaccole che ardevano a fondo valle e le aquile di metallo, Ash era già immersa in un bagno di sudore. «Non ho mai combattuto contro i Visigoti, come sono?» chiese Joscelyn van Mander. Nei suoi occhi aleggiava lo sguardo di chi voleva essere rassicurato. Ash appoggiò la lancia contro l'avambraccio. La coda di volpe che fun-
geva da pennacchio sul suo elmo penzolava inerte. Godluc agitava la coda intrecciata con foglie di quercia e dei campanelli. «Angelotti?» L'artigliere si fece avanti. Sull'armatura spiccava un medaglione con l'effigie di santa Barbara. «Quando ero con il Lord-Amir Cilderico ponemmo fine a una ribellione. Io avevo il comando degli archibugieri inglesi. I Visigoti sono predoni. Karr wa farr. attacchi ripetuti e ritirate. Mordi e fuggi, taglia le linee di rifornimento del nemico, rendi impossibili i guadi, metti sotto assedio una città per uno, due o tre anni, poi conquistala con un assalto violento. Non ho mai sentito che si fossero impegnati in battaglie campali. Hanno cambiato tattica.» «Mi sembra ovvio» rispose van Mander, il cui fiato puzzava di birra. Ash si girò sulla sella per controllare la colonna. Oltre il suo stato maggiore, aveva portato Euen Huw e i suoi uomini; Jan-Jacob Clovet e trenta arcieri, dieci uomini della banda di van Mander e Henri Brant che, pur essendo ancora in via di guarigione, aveva ricevuto il compito di organizzare il piccolo corteo di persone disarmate che reggevano le torce. «Avresti dovuto lasciare che aprissi una breccia nel mastio di Guizburg con le mie bombarde. Sarebbe stato molto più difficile stanarci da là dentro» disse Angelotti. «Cerca di non vederlo come una pila di macerie qualunque, ma come la nostra pila di macerie. Mi piacerebbe prenderlo integro!» Ash cavalcava tranquilla, lungo la strada fiancheggiata da campi ben coltivati e recinti per il bestiame. I suoi esploratori le avevano fatto dei rapporti dettagliati sulla disposizione dei Visigoti. Una cosa è essere informati della presenza di una divisione composta da circa otto o novemila uomini più i carri accampati lungo la strada per Innsbruck, un'altra cosa è vedere centomila torce, sentire i nitriti dei cavalli impastoiati, le urla delle guardie, le tende e i carri sistemati lungo il perimetro del campo per proteggerlo; ovvero, un esercito vero e proprio. Ash raggiunse l'incrocio previsto per l'incontro e fermò il cavallo. Il suo seguito indossava l'armatura completa e le cavalcature erano state bardate di tutto punto. I balestrieri tenevano le armi fuori dalle custodie e le quadrelle a portata di mano. «Siamo arrivati» disse, cercando di vedere qualcosa nell'oscurità. Un cavaliere che portava un pennacchio bianco uscì dall'accampamento visigoto. Ash riconobbe quasi subito l'armatura di fattura milanese e i capelli neri che spuntavano da sotto l'elmo. «È Agnes!» «Sporco bastardo! C'era da scommetterci che l'Agnello si sarebbe fatto
ingaggiare» ringhiò Robert Anselm. «Deve aver firmato il contratto nel mezzo di una cazzo di battaglia.» Ash scosse la testa. «Non trovi che siano stupendi, questi mercenari italiani?» Si incontrarono alla luce delle torce. L'Agnello sollevò lentamente la visiera dell'elmo. «Ti sei preparata a una rapida ritirata, giusto?» «A meno che l'intero esercito visigoto non decida di attaccarci, vorremmo riuscire a tornare dentro i cancelli della città.» Ash infilò la lancia nel suo alloggiamento sulla sella per avere le mani libere. «Non penso che il tuo capo voglia toglierci Guizburg, sempre che non voglia sedersi di fronte a un piccolo castello bavarese per le prossime dodici settimane.» «Forse» rispose l'Agnello, ambiguo. «Di' al tuo capo che non siamo molto ansiosi di entrare nel suo campo, ma se vuole venire fin qui, siamo più che disposti a negoziare.» «Queste erano le parole che volevo sentire.» L'Agnello girò il cavallo, alzò la lancia e fece cadere a terra il pennacchio bianco. Un nutrito manipolo di soldati a cavallo, una quarantina circa, uscì dal campo. Erano ancora troppo lontani e il buio era troppo denso per permettere di distinguere il tipo d'armamento. «Quanti soldi ti hanno dato in più per venire da me?» «Quanti bastano. Ma mi hanno detto che tu tratti bene gli ostaggi.» Una smorfia galante apparve sulle labbra del mercenario: le convinzioni religiosi di Agnus Dei non si estendevano solo al celibato. Ash rispose al sorriso pensando a Daniel de Quesada e Sancho Lebrija trattenuti a Guizburg fino al suo ritorno. «A parte Milano, nessuna delle altre città stato italiane ha resistito» aggiunse Agnello, ignorando l'improvvisa fiumana di imprecazioni che scaturì dalla bocca di Angelotti «e in Svizzera solo Berna non è ancora caduta in mano loro.» «Hanno fottuto gli Svizzeri?» domando Ash, stupita. «Le loro linee di rifornimento scendono fino al Mediterraneo al punto da poter approvvigionare un'armata simile sul campo e permetterle di continuare a spingersi a nord e tenere i territori conquistati?» Era molto scorretto cercare di carpire informazioni in quel modo, visto che le sue fonti le avevano riferito le stesse cose. Ash si concentrò sui soldati che si avvicinavano. «Penso che vent'anni di preparativi siano serviti a qualcosa, Madonna Ash» le borbottò Agnello.
«Vent'anni! Mi riesce difficile immaginare dei preparativi tanto lunghi. Hanno cominciato nell'anno in cui sono nata.» Aveva fatto capire apposta la sua età. Agnello aveva da poco superato i trent'anni. Così giovane e così famosa, pensò Ash. Meglio non essere troppo fiduciosi, concluse, continuando a osservare i cavalieri che risalivano la china. Una folata di vento spazzò i campi facendo ondeggiare i pini lontani. Ash aveva l'impressione di essere in sella a un cavallo focoso difficile da domare e di riuscire a tenerlo a bada, era una sensazione quasi fisica, piacevole. «Dolce Cristo,» mormorò, quasi rivolta a se stessa «è l'Armageddon. Tutto cambia. La Cristianità viene rivoltata come un guanto. Chi sarà il contadino adesso?» «O il mercante, o il lord?» Agnello tirò le redini. «Questo è l'unico affare a cui vale la pena di partecipare, mia cara.» «Davvero? So solo combattere.» I due si fissarono e per un momento si capirono molto chiaramente. «Combatti fino a trent'anni poi muori, così ti ordino» continuò Ash. «Rimani in comando fino a che non sarai vecchio, quaranta o più anni, poi muori. È il gioco dei principi» concluse, indicando Guizburg con la mano guantata. «Mmm?» L'Agnello si girò sulla sella per guardarla meglio. «Ho sentito, cara, che metà dei tuoi problemi sono dovuti al fatto che vuoi delle terre e un titolo. Per quanto mi riguarda...» Sospirò con un certo disprezzo. «Ho investito i guadagni delle due ultime campagne nella lana inglese.» «Investito?» «E sono anche padrone di una tintoria a Bruges. È molto comodo.» Ash si rese conto di essere rimasta a bocca aperta e la chiuse. «Chi ha bisogno della terra?» concluse Agnus Dei. «Uh... capisco.» Ash riportò l'attenzione sui Visigoti. «È due settimane che stai con loro. Come sono?» Il mercenario italiano toccò il simbolo dell'Agnello che portava sulla divisa. «Hai la possibilità di scegliere, Madonna? Chieditelo e dopo saprai se la mia risposta è importante.» «Quella è brava.» Ash osservò la processione illuminata dalle torce che si approssimava. Ora erano abbastanza vicini da cominciare a distinguere l'avanguardia: quattro uomini in sella a dei muli che tenevano in grembo degli oggetti ottagonali. C'era qualcosa che non andava nelle dimensioni delle teste e dei corpi e dopo qualche metro ancora, Ash si rese conto che erano dei nani intenti a suonare dei tamburi. Il suono fece abbassare le orecchie di Godluc.
«Ci ha presi a calci in culo a Genova» disse Ash, di getto. «Tu credi a quella storia della macchina di ottone? L'hai vista?» «No. I suoi uomini dicono che la testa di ottone, che loro definiscono 'il suo golem di pietra', non si trova qui, ma a Cartagine.» «Non può usarlo per ricevere informazioni sul campo nel corso di una battaglia. Cosa usa? Messaggi? Staffette a cavallo? Piccioni viaggiatori? No, non funziona.» «Ma i suoi uomini sostengono che lei la sente nel momento stesso in cui la testa parla nella Cittadella, a Cartagine.» Fece una pausa. «Non lo so Madonna. Dicono che è una donna, quindi può essere così brava solo se sente le voci.» Il commento finale di Agnello risultò piuttosto caustico. Ash lo ignorò. Era troppo impegnata a capire come potesse svolgersi la comunicazione tra il generale visigoto e i suoi capi che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza, e in tempo reale. «Un golem di pietra...» disse Ash, centellinando le parole. «Sentire la voce di Nostro Signore è una cosa, ma sentire la voce di una macchina...» «Probabilmente sono solo dicerie» sbottò l'Agnello. «La metà delle cose che loro dicono di avere in Nord Africa non esistono, sono solo manoscritti e ricordi dei loro nonni. Questa donna è nuova e comanda l'esercito. È ovvio che ci siano un sacco di storie ridicole su di lei. Va sempre a finire così.» L'Agnello era indubbiamente nervoso. Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm, Geraint ab Morgan e Angelotti: tutti i suoi ufficiali erano allerta. Poteva essere un negoziato come un'imboscata, ma dovevano andare fino in fondo per scoprirlo. Spostò lo sguardo sul prete che stava osservando il corteo di torce che si avvicinava. «Prega per noi» gli ordinò. Il religioso afferrò la croce e cominciò a salmodiare a bassa voce. Ash vide spuntare altre torce in mezzo al corteo ormai sempre più vicino. C'erano anche degli uomini a piedi. Robert Anselm pronunciò uno scongiuro. I portatori delle torce erano fatti di terracotta e ottone. La luce delle fiamme danzava sulla superficie rossa e ocra dei golem. «Carino» ammise Ash. «Anch'io userei tutto quello che ho a disposizione per impressionare un potenziale nemico.» I cavalieri visigoti avanzavano in mezzo a due schiere di golem. Le loro cavalcature, bestie basse e robuste nelle cui vene scorreva il sangue del deserto, avevano i finimenti di cuoio dorato. Le staffe, gli anelli e i morsi
erano stati lucidati. Le bestie avevano un odore speziato, diverso da quello dei cavalli da guerra europei. Godluc cominciò ad agitarsi e Ash afferrò saldamente le redini. Ci devono essere delle cavalle là in mezzo, pensò. Le ombre davano fastidio al cavallo di Godfrey e Ash fece cenno a un arciere di smontare e tenerlo per le briglie in modo che il prete potesse continuare a pregare indisturbato. Dietro i cavalieri visigoti giunsero lo stendardo nero e l'aquila dorata. Il cavallo del porta bandiera era bardato pesantemente. Ash sorrise. Aveva portato lo stendardo in più di una battaglia e aveva capito cosa intendeva dire la sua voce interna quando definiva la bandiera come un magnete che attira il fuoco. Un poeta con indosso tanto di armatura recitava dei versi che lei non riuscì a comprendere, ma la sua presenza non la stupì perché aveva già visto quel genere di artisti portati al seguito delle truppe a Tunisi: era un cantador e aveva il compito di tenere alto il morale. «Che gran casino. Mi chiedo se non stiano cercando di impressionarci» Ash sedeva sulla sella con le gambe dritte mantenendo il baricentro poco sotto i fianchi. Fece un movimento impercettibile per bloccare Godluc. I Visigoti si fermarono accompagnati dal clangore metallico delle armi... Ash prese a studiarli con attenzione. Portavano una divisa bianca sotto la quale si intravedeva un usbergo di anelli metallici calato sopra un'armatura imbottita. La testa era protetta da un elmo aperto sul viso. I Visigoti cominciarono a parlare tra di loro e alcuni indicarono apertamente i mercenari europei. «No» disse Ash ad alta voce in modo che tutti potessero sentirla. «Non ci hanno impressionati. Inoltre non ci sono capre in queste montagne. Né maschi né femmine.» Qualcuno rise, altri bestemmiarono, altri ancora si agitarono nel sentire quelle parole. Geraint ab Morgan si batté una mano sulla coscia. Un cavaliere visigoto che si trovava sotto lo stendardo parlò agli uomini che aveva di fianco quindi cominciò ad avanzare. Ash fece un cenno e Euen Huw portò la tromba alla bocca traendone tre note chiare. Ash avanzava seguita dai suoi sei ufficiali: Anselm, Geraint e Joscelyn van Mander indossavano la loro armatura di fabbricazione milanese tirata a lucido; Angelotti aveva il piastrone milanese e le protezioni per le gambe gotiche; Godfrey, che continuava a pregare con gli occhi chiusi, indossava la sua tonaca migliore e Floria del Guiz, che non somigliava certo a una donna, ma con sommo rammarico di Ash, neanche a un soldato portava una brigantina e un elmo da arciere.
«Io sono Ash» si presentò, dopo che l'eco della tromba si fu spento. «Agnus Dei mi ha detto che sei interessata a metterci sotto contratto.» Ash non riusciva a distinguere il volto del comandante visigoto. La donna indossava elmo e schinieri. Il piastrone, una sorta di giubba fatta di piastre metalliche sulla quale spiccavano un centinaio di teste di chiodi dorate a forma di fiore, era ricoperto di velluto. Sotto di esso c'era una maglia di anelli metallici che scendeva a protezione delle cosce. Ash suppose che il semicerchio metallico vicino alla gola fosse una specie di gorgiera e notò anche l'elsa trilobata della spada, le ghiere dorate del fodero della spada e della daga, il cinturone decorato con inserti in oro e il mantello a scacchi bianchi e blu bordato di vaio57 . Compì un rapido calcolo dell'ammontare in denaro dell'abbigliamento del comandante visigoto e rimase stupita. Malgrado la situazione, era contenta di trovarsi di fronte a un'altra donna che, come lei, comandava dei soldati e proveniva da una nazione abbastanza lontana da non rappresentare un concorrente. «Saresti disposta a combattere contro i Burgundi?» La donna parlava tedesco con un marcato accento cartaginese. Era chiaro che volesse farsi capire anche dagli uomini di Ash che non parlavano la sua lingua. «Combattere contro i Burgundi? Non per scelta. Sono dei duri, quelli. Veri bastardi.» Ash scrollò le spalle. «Non rischio la mia compagnia se non ho un buon motivo.» «Tu sei 'Ash'. La jund 58 » La donna fece avanzare ulteriormente il cavallo entrando nel cono di luce proiettato dalle torce al seguito di Ash. Indossava un elmo con il paranaso e le protezioni per le guance. Una sciarpa nera le copriva gran parte del volto. Ash poteva scorgere ben pochi dettagli di quel volto, ma quello che vide fu sufficiente a farle capire che la donna di fronte a lei era giovane. Mio Dio! pensò. Non è più vecchia di me! Quel fatto servì a spiegare in parte il nervosismo di Agnello: un malizioso desiderio di vedere quelle due stranezze al femminile, come sicuramente le considerava, che si incontravano. Ash rassicurò immediatamente il comandante visigoto. «Faris» disse Ash. «Generale. Fai un'offerta. Ho cercato di combattere sempre dalla parte dei Burgundi quando ne ho avuto la possibilità, ma, comunque, possiamo tenere loro testa.» «Un mio alleato è in quella città.» 57
Schiena e pancia della pelliccia dello scoiattolo europeo. Termine arabo per indicare un mercenario che combatte per denaro o per ottenere delle terre. 58
«È mio marito e credo che questo mi dia il diritto di accampare alcune pretese.» «Devi togliere l'assedio. Fa parte del contratto.» «Ah, ah. Corriamo un po' troppo. Prima devo consultare i miei uomini.» C'era qualcosa che la disturbava nella voce del generale visigoto. Si sarebbe avvicinata volentieri per guardarla meglio, ma la luce che balenava sulle punte delle frecce incoccate con noncuranza negli archi dei Visigoti e la vista dei suoi uomini che tenevano le lance in mano piuttosto che nell'apposito alloggiamento della sella, la indussero a rimanere ferma. Le armi avevano una vita propria, una loro tensione; Ash sapeva bene quanti cavalieri visigoti la stessero tenendo d'occhio in quel momento, valutando al tempo stesso l'esatta distanza di tiro. Poteva sentire quella connessione invisibile. «Quando rivedremo il sole, Faris?» chiese, al solo scopo di guadagnare uno o due minuti. «Quando lo riterremo opportuno» rispose la giovane donna di fronte a lei, calma. Ash aveva l'impressione che fosse una menzogna: lei ne aveva dette parecchie in pubblico e ormai aveva imparato a riconoscerle. Allora non lo sai neanche tu, vero? pensò. Il Califfo di Cartagine non dice tutto al suo generale. Gli uomini di terracotta che reggevano le torce avevano formato un semicerchio intorno al generale. «Qual è la tua offerta?» «Sessantamila ducati per tutta la durata della guerra.» Sessantamila Le sembrò di udire Robert Anselm che pensava: Se quella stronza ha soldi da buttare non ti mettere a discutere! Ash aprì il cinghiette dell'elmo e se lo sfilò per prendere altro tempo e far capire ai suoi uomini di rimanere tranquilli o almeno di non fare nulla finché i Visigoti non avessero lasciato capire chiaramente che stavano per attaccare. Agnello si sfilò un guanto. Ash lasciò che la chioma sudata per la lunga permanenza sotto l'elmo le scendesse lungo le spalle. Dopo un lungo istante di esitazione, il generale visigoto sfilò a sua volta l'elmo e si tolse la sciarpa. Uno dei cavalieri visigoti imprecò violentemente. Il suo cavallo si impennò e andò a urtare violentemente l'uomo al suo fianco. L'improvviso coro di urla costrinse Ash ad aumentare la presa intorno alle redini di Go-
dluc. Godfrey Maximillian aprì gli occhi. «Gesù Cristo!» esclamò il prete. La giovane faris fece avanzare il cavallo di un passo e rimase a fissare Ash. Le ombre provocate dalle torce danzavano sulla cascata di capelli quasi bianchi che le scendevano lungo le spalle. Le sopracciglia scure, fini e definite incombevano sugli occhi scuri. Ma fu la bocca che fece sussultare Ash. Ho visto quella bocca centinaia e centinaia di volte nello specchio, pensò. La donna di fronte a lei aveva il suo stesso fisico robusto e snello e, anche se lei non ci aveva ancora fatto caso, sedeva in sella come lei. Tornò a fissare il viso della Visigota. Non era sfregiato. Se avesse visto anche le cicatrici si sarebbe buttata giù dalla sella e avrebbe premuto il volto a terra pregando il Cristo affinché la salvasse dalla follia, dai demoni e da qualsiasi creatura fosse sbucata dal Pozzo infernale. Ma le guance della donna era integre. Il volto del generale visigoto era privo d'espressione. Ecco l'aspetto che avrei senza gli sfregi, pensò Ash, proprio mentre sia i cavalieri europei che quelli nord africani si avvicinavano per guardare meglio. Niente sfregi, continuò a pensare. Ma, per il resto, siamo uguali come due gocce d'acqua, siamo gemelle. III La faris alzò un braccio e disse qualcosa in tono secco, ma parlò troppo velocemente e Ash non capì nulla. «Ti manderò uno dei miei qa'id con un contratto!» aggiunse il generale visigoto. Fece girare il cavallo con un movimento del corpo e si lanciò al galoppo verso il campo, imitata un attimo dopo dal suo seguito che si allontanò in mezzo al rullo dei tamburi e al clangore metallico delle armi e delle corazze. «Torniamo in città» ordinò Ash, roca. In quanti l'avranno vista? pensò. Qualche uomo vicino a me che ha avuto una trentina di secondi per scorgere un volto nel buio. Le voci cominceranno a girare molto presto. «Andiamo.» Nei cinque giorni che seguirono l'incontro, Ash parlò almeno con due o
tre persone alla volta. Sempre. Godfrey le portò il contratto stilato dai Visigoti affinché lo controllasse e firmasse. Era scritto in ottimo latino. Firmò mentre riprendeva Gustav e i suoi fanti per aver tentato un ultimo assalto al castello di Guizburg, contando al tempo stesso le nuove cavalcature e i sacchi d'avena insieme a Henri Brant e ascoltando le lamentele degli archibugieri per la polvere da sparo che scarseggiava e quelle di Florian - Floria - riguardo i feriti che guarivano e quelli che peggioravano. Entro mezzanotte aveva consultato ogni unità della sua compagnia e tutti gli uomini avevano accettato i termini del contratto. «Ci muoviamo stanotte» annunciò Ash. Tale decisione era dettata in parte dal fatto che almeno di notte c'era un po' di luce, visto che l'ultimo quarto di luna era ancora visibile nel cielo, e in parte perché agli uomini non piaceva cavalcare sotto la cappa di buio innaturale che oscurava il cielo durante il giorno. Inoltre, secondo Ash, era molto più sicuro dormire durante il giorno e muoversi di notte. Spostare un campo di ottocento uomini più i carri era già abbastanza duro sotto il sole. Non rimase mai sola, neanche per un secondo. Si avvolse in un velo impenetrabile di autorità. Nessuno fece domande. Ash aveva l'impressione di essere una sonnambula. Si risvegliò da quello stato di apparente dormiveglia cinque giorni dopo sentendosi del tutto esausta. Ash si svegliò di scatto. Si era appisolata con la fronte premuta contro il collo della cavalla. Era perfettamente cosciente che la stava strigliando e che aveva appena parlato, ma cosa aveva detto? Alzò la testa e vide Rickard. Il ragazzo aveva un'aria molto stanca. Lady la toccò con il naso umido sbuffando. Ash si raddrizzò e carezzò i fianchi snelli e caldi della bestia. La cavalla emise un nitrito compiaciuto e premette con delicatezza la spalla contro Ash. La segatura sparsa a terra puzzava di sterco. Ash abbassò gli occhi. Gli stivali alti da cavallerizza erano legati alla gonna del farsetto per tenerli su ed erano sporchi di fango e letame fino alle ginocchia. «La vita gloriosa di un mercenario. Se avessi voluto passare la mia vita immersa nello sterco avrei scelto di fare la contadina. Almeno non devi spostare la fattoria ogni giorno di trenta chilometri. Perché sono finita nello sterco fino al culo?»
«Non lo so, capo.» Era la tipica osservazione retorica che poteva essere scambiata come un'espressione di arguzia; ma sembrava che Rickard fosse stato colto alla sprovvista. Era ovvio che fino a pochi istanti prima non stavano parlando di quello. «Arriverà qua tra una quindicina di giorni» concluse il paggio. Il suo corpo era stanco, escoriato e caldo. Le lanterne proiettavano la luce sulle pareti di tela della stalla e sulla mangiatoia piena d'avena di Lady. Era una luce dolce e piacevole, in quelle prime ore del mattino. Ma se me ne vado, pensò. Non vedrò spuntare l'alba. Ash sentì la voce dei soldati e l'uggiolio dei cani. Non aveva attraversato il campo senza scorta. Non sono così fuori dalla Grazia di Dio, allora. Aveva avuto l'impressione di essere tornata in quel momento da un lungo viaggio. «Quindici giorni» ripeté. Il bel ragazzino la stava fissando. La maglia era sempre più della sua misura e il volto, ormai più scarno e simile a quello di un uomo, aveva ormai perso la paciosità dell'infanzia. Ash gli sorrise in maniera rassicurante. «Bene, ascolta, Rickard, finisci di addestrare Bertrand. Fallo diventare un bravo paggio e dopo chiederò a Roberto di prenderti come scudiero. È arrivato il momento di cominciare l'addestramento.» Il ragazzino non disse nulla, ma il suo volto si illuminò. Ash cominciò a rendersi conto dei suoi muscoli che si rilassavano come succedeva alla fine di ogni sforzo fisico, del calore dell'abito imbottito che indossava sotto la brigantina e della sonnolenza che non serviva solo a far crescere il desiderio sessuale. Improvvisamente le sovvenne un ricordo chiaro e nitido, quasi palpabile: il profilo dei fianchi e delle spalle di Fernando del Guiz, la sua pelle calda sotto le dita e l'ondeggiare del suo pene eretto dentro di lei. «Merda!» Rickard sussultò. «Mastro Angelotti vuole parlarti» disse. Lady premette il muso contro Ash e lei glielo accarezzò senza neanche rendersene conto. «Dov'è?» «Fuori.» «Lo ricevo subito. Di' a tutti che per la prossima ora sono occupata.» Aveva viaggiato per cinque giorni in quella sorta di stato catatonico. Era passata vicino a ripide pareti rocciose spruzzate di neve. Non aveva idea di dove si stavano dirigendo. Giorni di boscaglie fredde, erica, erbe alpine e sassi che rotolavano negli strapiombi. Giorni illuminati solo dalla luce
della luna che si rifletteva sui laghi, sulle strade tortuose, sui torrenti. Ora, se ci fosse stato il sole lei avrebbe potuto guardare lontano e vedere i campi e i piccoli castelli che sorgevano in cima alle colline. L'oscurità era tale che non si vedeva quasi nulla. «Capo» la salutò Antonio Angelotti, interrompendo una discussione con le sue guardie del corpo. L'artigliere indossava un voluminoso mantello di lana rossa, un capo di vestiario che solitamente non si usava in pieno agosto. Lo scricchiolio che Ash sentiva sotto gli stivali non era erba secca, ma ghiaccio. Il cerchio difensivo di carri interno e quello esterno erano pieni di armi tenute al riparo dietro a dei pavesi grossi come le porte di una chiesa. I falò ardevano nel centro del campo dove gli uomini si riunivano per dormire e, dietro suo ordine, anche qualche metro oltre il perimetro difensivo esterno, per illuminare la campagna circostante e impedire che i fuochi da campo disegnassero le ombre dei suoi uomini offrendo un bersaglio a eventuali arcieri o archibugieri di passaggio. Sapeva che il campo visigoto distava un paio di chilometri dal loro perché vedeva il bagliore dei fuochi e sentiva l'eco delle canzoni intonate dai soldati in preda al vino o all'ardore marziale. «Andiamo.» Attraversò la zona riservata agli artiglieri parlando solo di argomenti strettamente legati alla loro professione, ma quando Ash e l'uomo incredibilmente bello che camminava al suo fianco entrarono nella sua tenda, lei seppe che il suo silenzio su quello che era successo qualche giorno prima stava per finire. «Rickard, rintraccia padre Godfrey e Florian e falli venire qui.» Si chinò ed entrò nella tenda, attese che gli occhi si abituassero alla penombra, quindi si sedette sul baule nel quale era contenuta abbastanza polvere da sparo da spedire all'inferno lei e gli artiglieri fermi fuori dalla tenda. «Cosa mi dovevi dire?» Angelotti si appoggiò contro il bordo del suo tavolo da campo e un foglio di carta coperto di calcoli scivolò a terra. Riesce sempre a essere aggraziato in ogni situazione, pensò Ash, ma non riesce a non sembrare imbarazzato. «Allora io sono una bastarda Africana, invece di essere una bastarda delle Fiandre, dell'Inghilterra o della Borgogna» esordì Ash, tranquilla. «Ha qualche importanza per te?» L'artigliere scrollò appena le spalle. «Dipende solo da quale famiglia nobile arrivi la nostra Faris e quanto loro possano trovare imbarazzante la
tua esistenza. No, in ogni caso sei una bastarda di cui la tua famiglia dovrebbe essere orgogliosa. Cosa importa?» «Org...?» si interruppe Ash, ansimando. Le bruciava il petto. Scivolò lungo un lato del baule e una volta toccata terra cominciò a ridere a crepapelle al punto di far cigolare le lamelle della brigantina con il movimento delle costole. «Oh, Angelo! Niente meno. 'Orgogliosi'. Che complimento! Tu... no, niente.» Si asciugò gli occhi dalle lacrime e tornò a sedersi sul baule. «Tu sai molte cose sui Visigoti, vero, mastro artigliere?» «Ho imparato la matematica nel Nord Africa.» Sembrava che Angelotti le stesse studiando l'espressione del viso. «Quanto tempo hai passato laggiù?» L'artigliere socchiuse le palpebre. Angelotti aveva il volto simile a quello delle icone bizantine. La luce delle candele e i giochi d'ombra davano l'impressione che la giovinezza si fosse posata su quei lineamenti come una pellicola bianca sulla superficie di una piuma. «Fui preso all'età di dodici anni.» Aprì gli occhi. «I Turchi mi tolsero da una galera vicino a Napoli, ma la loro nave da guerra venne catturata dai Visigoti. Ho passato tre anni a Cartagine.» Ash non aveva il coraggio di chiedere più di quanto Angelotti fosse disposto a dire. In quel momento le aveva confidato più notizie sul suo passato di quanto avesse fatto da quando si conoscevano. Si chiese se al momento della sua cattura non avesse maledetto il fatto di essere tanto bello. «L'ho imparata a letto» disse Angelotti, tranquillo, facendole capire che sapeva quello che le stava passando per la testa. «Con uno dei loro amir59 . Uno dei magi, uno scienziato. Lord-amir Cilderico. Fu lui a insegnarmi la balistica, la navigazione e l'astrologia.» Ash era abituata a vedere Angelotti sempre lindo e pulito, un vero e proprio miracolo visto il fango e la polvere presenti in ogni campo, e, soprattutto, molto riservato. Quanto ha bisogno di farmi parlare per dirmi queste cose, pensò Ash. «Roberto potrebbe avere ragione, questo potrebbe essere il loro crepuscolo che si... espande» disse lei, parlando in fretta. «Godfrey lo definirebbe un contagio infernale.» 59
'Amir' o 'emir': termine arabo che indica 'lord' o 'signore'. Non sono riuscito a trovare nessun elemento che li accomuni ai magi della Persia (uomini sacri o maghi) nel testo dell'Angelotti, quindi la parola scienziato venne aggiunta da qualcun altro.
«No, anche lui rispetta gli amir tanto quanto me.» «Cos'è che vuoi dirmi?» Angelotti si tolse il mantello e lo lasciò cadere sul tavolo. «I miei artiglieri sono in subbuglio. Non gli va che tu abbia tolto l'assedio a Guizburg. Dicono che l'hai fatto perché del Guiz è tuo marito e perché non sei più nelle grazie della dea Fortuna.» «O Fortuna!» rise Ash. «Volubile come una donna. È questo che dicono, giusto? Andrò a parlare loro. Pagali di più. So perché sono inquieti. Avevano scavato una galleria fin quasi ai cancelli del castello. So che non aspettavano altro che mandarlo in pezzi...!» «Ecco perché si sentono truffati.» Angelotti sembrava estremamente sollevato. «Per me va bene se parli con i miei uomini... perfetto.» «C'è dell'altro?» «La tua voce è quella che sente anche lei?» Dicono che un colpo non molto forte ma assestato nel posto giusto sia in grado di rompere un vaso di porcellana e Ash ebbe l'impressione di sentire il corpo che si crepava velocemente. Scattò in piedi. «Vuoi sapere se il mio santo è solo un'invenzione? Se il Leone è una diceria? Se parlo con un demone? Dicono che sento la voce di una macchina come lei? Non lo so.» Ash riprese fiato e allentò la presa intorno all'elsa della spada. Aveva stretto la mano al punto di farsi sbiancare le nocche. «Può fare veramente quello che dicono? È veramente in grado di ascoltare la voce di un marchingegno che si trova dall'altra parte del mare? Tu sei stato là, parla!» «Poterebbe essere una voce. Una menzogna.» «Non lo so!» Ash aprì la mano lentamente. In subbuglio o meno, gli artiglieri stavano festeggiando un santo oscuro60 e qualcuno aveva intonato una canzone molto volgare che parlava di un toro scambiato per una vacca. Ash si rese conto che il toro della canzone era chiamato Fernando e sollevò un sopracciglio. Forse non hanno così voglia di andarsene, pensò. «Gli uomini del faris stanno costruendo delle torri di osservazione lungo tutta la strada» disse Angelotti ad alta voce per cercare di coprire il coro dei suoi uomini. «Stanno inchiodando questa nazione.» Ash si chiese da che parte stesse60
Secondo i miei calcoli era il 9 agosto, la festa dedicata a re Osward di Northumbria. nato nel 605 circa, morto nel 642 a Masefeth. San Osward pregò per le anime dei caduti in battaglia con lui. Il culto di questo santo soldato era piuttosto popolare nella Germania del sud e in Italia.
ro loro ed ebbe un momento di panico, ma le paure scomparvero appena le tornarono alla mente i ricordi degli ultimi giorni. «Io credo che vogliano incoronare il loro viceré ad Aachen.» 61 «Il tempo è brutto. Mi hai detto che dovevano stabilirsi in un punto più vicino e avevi ragione, Madonna.» Ash udì il latrato dei cani e il benvenuto caloroso delle guardie. Un attimo dopo Godfrey Maximillian entrò nella tenda togliendosi la giubba di pecora, seguito a ruota da Floria. Il chirurgo fece un cenno e Bertrand creò spazio nella tenda, vi posò un braciere e aggiunse altri carboni ardenti, dopodiché, ubbidendo a un cenno di Angelotti, cominciò a servire birra e pane vecchio di due giorni muovendosi goffamente tra i presenti. Terminata l'operazione uscì dalla tenda. «Odio le brutte prediche.» Godfrey si sedette su un altro baule. «Stavo leggendo l'Esodo, capitolo dieci, verso ventidue, quando Mosé oscura il cielo dell'Egitto. Qualcuno che conosceva il passo salta su e mi chiede come mai in Egitto durò tre giorni e qua la cosa va avanti da tre settimane.» Il prete bevve e si asciugò la barba. Ash valutò la distanza tra il braciere e i vari bauli e otri pieni di polvere da sparo. Deve essere quella giusta, pensò. Non aveva molta fiducia nella scarsa attenzione con la quale Angelotti trattava gli esplosivi. Floria si scaldò le mani sul braciere. «Roberto sta per arrivare.» Ash si rese conto che era un incontro combinato senza il suo consenso. E scommetto che hanno aspettato cinque giorni per farlo. Diede un morso al suo pezzo di pane e prese a masticare, pensierosa. La voce di Anselm risuonò fuori dalla tenda e un attimo dopo anche l'ufficiale era all'interno. «Non posso restare, devo andare a dare il cambio alle guardie per stanotte - o per oggi.» Vide Ash e si tolse il cappello di velluto. La luce della candela brillava sulla testa pelata e sul simbolo del Leone cucito sul cappello. «Sei tornata, allora.» Il fatto bizzarro fu che nessuno lo riprese per quello che aveva detto. Tutti si girarono a fissarla. «Dov'è Agnus?» chiese improvvisamente Ash. «Dov'è l'Agnello?» «È accampato un paio di chilometri a nord est rispetto a noi, con cinquanta lance.» Robert Anselm spostò il fodero della sua spada e si mise a fianco di Floria. Si muoverebbe in maniera del tutto diversa, pensò im61
II luogo in cui veniva incoronato ogni imperatore del Sacro Romano Impero dai tempi di Ottone il grande.
provvisamente Ash, se sapesse che Florian non è un uomo. «Agnello lo sapeva» ringhiò Ash. «Bastardo! Deve averlo saputo dal primo momento in cui l'ha vista. E mi ha lasciata andare senza avvertirmi!» «Lo stesso vale per il loro generale» le fece notare Godfrey. «E quella non l'ha ancora impiccato?» «Mi hanno detto che ha dichiarato di non essersi mai reso conto di quanto vi somigliaste. Sembra che la faris gli creda.» «Merda.» Ash si sedette sul bordo del tavolino a fianco di Angelotti. «Gli mando Rickard con un messaggio di sfida.» «Non tutti sanno quello che ha fatto, ammesso che l'abbia fatto apposta. Il suo è un peccato d'omissione e basta.» Godfrey si leccò il burro dalla punta delle dita continuando a fissarla. «Non è necessario.» «Lo devo sfidare comunque» borbottò Ash. Incrociò le braccia. «Sentite. Quella non è il mio doppio etereo né io sono il suo demone. Sono solo lo scarto di qualche famiglia di amir. Solo Cristo sa quante volte la compagnia del Grifone d'Oro ha combattuto sull'altra sponda del Mediterraneo vent'anni fa. Sarò una sua cugina bastarda di secondo grado o qualcosa di simile.» Alzò la testa e vide Angelotti e Anselm che si scambiavano un'occhiata che non riuscì a interpretare. Floria armeggiava intorno alle braci con un attizzatoio e Godfrey beveva. «C'è qualcosa che dovremmo dirle.» Godfrey si pulì la bocca con la mano e fissò i presenti. «Riguardo la nostra completa fiducia nelle sue capacità di capitano.» «Allora parla, diavolo di un prete» bofonchiò Robert Anselm. La tenda fu pervasa da un silenzio carico d'aspettativa. Nel frattempo gli uomini fuori dalla tenda cantarono le ultime due strofe della canzone nella quale il toro veniva preso dalla vacca. Ash si accorse dell'occhiata di Anselm e, non sapendo se arrabbiarsi o scoppiare a ridere, cominciò a sogghignare nel vedere che anche Robert si trovava nella sua stessa situazione. «Non ho sentito nulla» disse Ash, allegra. Angelotti alzò gli occhi dal tavolino. «Tutto a posto, Madonna. Ho scritto tutto nel caso te ne dimenticassi!» Godfrey Maximillian sparpagliò briciole per tutta la tenda. «Voglio creare una nuova compagnia» annunciò Ash, mettendo fine allo scherzo, e rimase stupita quando Floria, che fino a quel momento era rima-
sta zitta, disse: «Va bene, se non hai fiducia in noi.» Ash vide il risultato dei suoi cinque giorni di 'assenza' nell'espressione di Floria. «Mi fido di voi.» «Speravo che lo dicessi.» Ash la punzecchiò con un dito. «Tu, Godfrey e Angelotti verrete con me.» «Dove?» domandò Florian. Ash prese a tamburellare con le dita sul fodero. «Il generale visigoto non può incoronare il suo viceré ad Aachen, troppo lontana. Stiamo dirigendoci a ovest. Ha intenzione di raggiungere la città più vicina, ovvero, Basilea.» «Una mossa saggia!» commentò Godfrey, eccitato. «Conferma il suo controllo sulla Lega e sul sud della Germania. Aachen può anche aspettare. Scusami. Continua, figliola.» «Sto per andare a Basilea. Vi spiegherò il motivo tra un minuto. Robert, ti affido il comando temporaneo della compagnia. Voglio che tu costruisca un campo fortificato cinque chilometri fuori della città. Scegli il lato ovest. Puoi far erigere il mio padiglione e tirare fuori i tavoli, i tappeti e l'argenteria, nel caso avessimo visite.» Anselm aggrottò la fronte. «Siamo abituati al fatto che ti assenti per discutere i termini di un contratto. Ma questo l'abbiamo già firmato.» «Lo so. Lo so. Non ho intenzione di cambiarlo.» «Non ci siamo mai comportati in questo modo prima.» «Adesso sì.» Ash allargò le braccia, si alzò, scrutò velocemente i volti dei presenti soffermandosi qualche secondo di più su Floria. Ci sono molte storie in questa tenda, pensò. E non tutte sono note. Accantonò il problema. L'avrebbe risolto in un altro momento. «Voglio parlare con il generale.» Ash esitò. Quindi riprese a parlare rivolgendosi singolarmente a ognuno dei suoi uomini. «Godfrey, voglio che tu parli con i tuoi contatti nei monasteri. Florian, parla con i medici visigoti. Angelotti, tu conosci la matematica e i loro artiglieri, va' e ubriacati con loro. Voglio sapere tutto di quella donna! Voglio sapere cosa mangia a colazione, cosa ci fa il suo esercito in Europa, a quale famiglia appartiene e se veramente sente le voci. Voglio anche sapere se ha idea di quello che è successo al sole.» Fuori, la luna che tramontava annunciava l'arrivo di un altro giorno privo di luce. «Roberto. Mentre sarò tra le mura di Basilea» disse Ash «me la dovrò
vedere con la stessa minaccia che c'è qua fuori.» Mentre entrava nella città di Basilea, Ash riusciva solo a pensare che il faris aveva il suo stesso volto. Sono orfana, non c'è nessuno al mondo che mi assomigli, ma io e lei siamo due gocce d'acqua. Le devo parlare. Vorrei che ci fosse la luce! Le urla dei soldati e il tonfo degli zoccoli dei cavalli da guerra echeggiavano nelle vie di Basilea. I cittadini si spostavano frettolosamente per mettersi al coperto. Dalle finestre più di una persona la ricoprì di insulti. Puttana, stronza e traditrice erano tra i più comuni. «Nessuno ama i mercenari» disse Ash, fingendosi dispiaciuta. Rickard rise di gusto, mentre i suoi uomini presero a pavoneggiarsi. Su molte porte era stata inchiodata una croce. Le chiese erano piene e Ash incrociò più di una processione di uomini che si flagellavano. Il palazzo del comune era chiuso, ma sul tetto del piccolo palazzo delle corporazioni sventolavano le bandiere nere. Ash riuscì a salire la stretta rampa di scale malgrado l'armatura. Le armi le erano d'impaccio. Mano a mano che si avvicinavano alla stanza in cima alla rampa il rumore delle voci diventava sempre più forte: un misto di tedesco svizzero, fiammingo, italiano e latino del Nord Africa. Il consiglio d'occupazione del faris: questo voleva dire che lei doveva trovarsi nelle vicinanze. «Prendi.» Ash passò l'elmo umido di sudore a Rickard. La stanza in cui entrarono era simile a tante altre in cui era stata. Le finestre erano incastonate nella pietra del muro e i loro vetri ovali permettevano di vedere la strada sottostante e le case a quattro piani dall'altra parte del vicolo bagnate dalla pioggia. Dei puntini bianchi cadevano nel raggio di luce delle lanterne nelle case di fronte e delle torce che illuminavano i soldati in strada. I ripidi tetti spioventi si stagliavano contro il cielo nero. La stanza puzzava a causa di un centinaio di candele di sego. Guardò la candela segna tempo e vide che era passato mezzogiorno. «Ash» tirò fuori un pezzo di cuoio sul quale era impresso il suo simbolo. «Condottiero del faris.» Le due guardie la fecero passare. Ash si sedette al tavolo e gli uomini della scorta si fermarono alle sue spalle. Era tranquilla per quanto riguardava il suo campo. Sapeva che Robert Anselm era in grado di trattare con Joscelyn van Mander e Paul di Conti, che avrebbe dato retta agli ufficiali che comandavano le unità minori e, se fosse stato necessario, sarebbe stato
in grado di guidare la compagnia all'attacco. Una rapida occhiata le permise di prendere nota dei presenti alla riunione: c'erano gli Europei e i Visigoti, ma non il faris. «Dobbiamo organizzare l'incoronazione. Mi rivolgo a tutti voi per la procedura» disse un Visigoto che Ash riconobbe come un amir. Un Visigoto in borghese cominciò a leggere con attenzione un manoscritto europeo. «Appena l'arcivescovo avrà posto la corona sulla testa del re, allora questi dovrà offrire la sua spada a Dio posandola sull'altare... Il duca più meritevole tra i presenti alla cerimonia... dovrà presentarla sguainata al re... 62 » Non è quello che volevo fare, pensò Ash. Come faccio a parlare al loro generale? Si grattò la nuca, poi si fermò perché non voleva attirare l'attenzione sul pezzo di cuoio della gorgiera morsicato dai topi. «Perché dovremmo incoronare il nostro viceré con una cerimonia pagana?» domandò un qa'id. «Neanche i loro re e i loro imperatori riescono a ottenere la lealtà dei propri sudditi, quindi, non vedo perché dovremmo attenerci ai loro usi.» Uno degli individui che si trovava al fondo del tavolo, un uomo con i capelli biondi tagliati corti alla maniera dei soldati visigoti alzò la testa e Ash si trovò faccia a faccia con Fernando del Guiz. «Ah, niente di personale, del Guiz» aggiunse lo stesso ufficiale. «Sarai anche un traditore, ma, dopotutto, sei il nostro traditore!» Un'ondata di umorismo macabro attraversò la tavolata, ma l'amir riportò immediatamente l'ordine senza riuscire a fare a meno di lanciare un'occhiata interrogativa a Fernando. Fernando del Guiz sorrise. La sua espressione era aperta, generosa e palesemente complice con l'ufficiale visigoto: come se anche Fernando si stesse divertendo per lo scherzo ai suoi danni. Era la stessa espressione che aveva fuori dalla tenda dell'imperatore a Neuss. Ash vide che il marito aveva la fronte imperlata di sudore. Non era certo un simbolo di forza di carattere. Tutt'altro. «Cazzo!» urlò Ash. «'E il re sarà...'» Un uomo dai capelli bianchi che indossava una tonaca 62
È una procedura simile a quella illustrata nel manoscritto 'Sull'ordinazione di un Cavaliere' del quindicesimo secolo, intitolato 'Il modo e la forma di incoronazione dei re e delle regine in Inghilterra.'
dello stesso colore dei capelli ornata con degli anelli metallici intorno al colletto, alzò gli occhi dal manoscritto che stava leggendo. «Scusatemi, frau?» «Cazzo!» Ash balzò in avanti posando una mano sul tavolo. Fernando del Guiz la fissava freddo e impassibile. Indossava un usbergo sopra una tunica bianca con i gradi di qa'id sulle spalle. In quel momento le sue labbra diventarono bianche. Ash lo fissò negli occhi ed ebbe l'impressione di ricevere un pugno nelle costole. «Sei solo un fottuto traditore!» La lama della spada era già uscita dal fodero e i muscoli si erano contratti, prima ancora di riuscire a formulare un pensiero cosciente. Sentì il corpo che si preparava ad assorbire l'impatto della punta che penetrava nel volto scoperto di del Guiz. Nel corso di tutta la sua vita Ash aveva sempre pensato che la forza bruta alle volte potesse risolvere dei problemi per i quali pensare era tempo sprecato. Un attimo prima che estraesse la spada, Agnus Dei, che si trovava dietro l'amir, scrollò le spalle come per dire: 'Donne!' «Risolvi le tue questioni private in un altro momento, Madonna!» aggiunse ad alta voce. Ash lanciò un'occhiata alla sua scorta. I sei uomini continuavano a rimanere impassibili in volto, ma pronti a ritirarsi. Solo Rickard si stava mordendo le unghie, atterrito dal silenzio. Fernando del Guiz la fissava privo d'espressione. Si sentiva al sicuro e protetto dai suoi nuovi alleati. «E sia» disse Ash, sedendosi. Tutti i presenti allentarono la stretta intorno all'elsa delle spade. «Risolverò le mie questioni private più tardi. Questo vale anche per te, Agnello.» «Forse i mercenari non dovrebbero prendere parte a questo incontro, condottieri» fece notare il Lord-amir, secco. «Credo proprio di no.» Ash posò le mani sul bordo del tavolo di quercia. «Ho bisogno di parlare con il faris.» «Lei è nel municipio.» Era la fine di ogni bega tra mercenari e Ash l'apprezzò. Si alzò in piedi e gratificò Agnus Dei di un sorriso. Anche il mercenario italiano si stava alzando per abbandonare la sala insieme ai suoi uomini. Ash si strinse nel mantello per ripararsi dal nevischio. «Tutti i mercenari in strada...» Quella frase avrebbe indotto Agnello a combattere o a ridere. L'uomo aggrottò la fronte. «Quanto ti paga, Madonna?» «Più di te. Qualunque sia la cifra, scommetto che è più alta di quella che
passa a te.» «Hai più lance» affermò Agnello, tranquillo, mentre si infilava i guanti. Ash mise l'elmo, si diresse nel punto in cui Rickard teneva le redini di Godluc e montò velocemente in sella. I ferri di un cavallo da guerra scivolavano sulla strada pavimentata tanto quanto i suoi stivali. Il fatto di essere tornata calma in maniera così repentina la disorientava. «Antonio Angelotti te l'ha detto?» la chiamò Agnello. «Hanno bruciato anche Milano. L'hanno rasa al suolo.» L'odore del pelo umido di cavallo pervadeva l'aria. «Tu non vieni da Milano, Agnello?» «I mercenari non hanno patria, Madonna, lo sai anche tu.» «Alcuni di noi ci provano, ad averne una.» Ripensò alle mura frantumate di Guizburg e al mastio che era ancora intatto. È in quella piccola stanza e vorrei che fosse morto, si disse. «Chi ha lasciato che le 'gemelle' si incontrassero senza avvertire nessuna delle due?» gli chiese. Agnello rise, cinico. «Pensi che sarei ancora vivo se il faris pensasse che è colpa mia?» «Ma c'è anche Fernando.» Il mercenario italiano la gratificò di uno sguardo che sembrava dirle: 'Ma non capisci proprio nulla, bambina mia.' «E se ti pagassi per uccidere mio marito?» chiese improvvisamente Ash. «Sono un soldato, non un assassino.!» «Ho sempre saputo che avevi dei principi, Agnello, se solo sapessi dove trovarli!» Così dicendo, Ash scoppiò a ridere, continuando a tenere d'occhio il mercenario perché l'espressione del suo volto dava chiaramente a intendere che lo scherzo non gli era piaciuto. «Comunque, sta per diventare il braccio destro del faris.» Agnus Dei si toccò il simbolo sul vestito e l'espressione del suo volto si ammorbidì. «Sarà Dio a giudicarlo, Madonna. Pensi di essere il suo unico nemico dopo il tradimento che ha compiuto? Il Giudizio Divino calerà su di lui.» «Mi piacerebbe arrivare prima» sentenziò Ash, sogghignando, mentre fissava Agnus Dei e i suoi uomini che salivano a cavallo. Il rumore degli zoccoli e delle voci echeggiava contro i muri delle case. Brutta strada per combattere, pensò Ash, quindi affondò il mento nella gorgiera e borbottò, giusto a scopo informativo e per la prima volta da Genova: «Sei cavalieri contro sette armati di martelli da guerra, spade e asce. Terreno pessimo.» Si fermò e abbassò la ventaglia dell'elmo per nascondere il volto, girò il
cavallo e lo spronò al galoppo lungo quel vicolo scivoloso, seguita immediatamente dai suoi uomini. Le urla di Agnello furono coperte dal tonfo degli zoccoli sul porfido. No! Non ho detto nulla! Non voglio sentire! Era preda di una paura irrazionale e non voleva capirne il motivo. È solo il santo che sentivo fin da bambina: perché... Non voglio sentire la mia voce. Fece rallentare Godluc e guidò la sua scorta lungo un dedalo di stradine scarsamente illuminate. Il campanile suonò le due di pomeriggio. «So dove trovare il chirurgo» disse a Thomas Rochester. L'uomo annuì e si mise in testa al gruppo insieme a un altro. Due balestrieri le si affiancarono e gli ultimi due chiusero il gruppo. Il selciato della strada lasciò il posto al fango ghiacciato. Le case su ambo i lati del vicolo avevano le finestre oscurate dalle tende, dietro le quali era possibile intravedere il bagliore fioco delle lanterne. Una macchia nera attraversò il suo campo visivo e Godluc ne seguì la traiettoria con la testa. Sono pipistrelli, comprese Ash. Sono usciti dai loro nidi a caccia di insetti. Qualcosa scricchiolò sotto gli zoccoli del cavallo. Un tappeto di insetti morti ricoperto da un sottilissimo strato di ghiaccio ammantava la strada. C'erano centinaia di migliaia di api, vespe e calabroni. Godluc continuò ad avanzare schiacciando corpi e ali. «Là.» Ash indicò una casa di tre piani con una fila di finestre sporgenti. Rochester annusò l'aria. La ventaglia nascondeva gran parte del volto del piccolo inglese, ma quando cominciò a studiare la casa, Ash fu sicura che sulle labbra dell'uomo fosse apparso un sorrisetto compiaciuto. Le finestre erano illuminate da un centinaio di lanterne, qualcuno cantava e qualcun altro suonava il liuto con grande arte. Nel centro della strada c'erano tre o quattro uomini con il mal di stomaco. I bordelli facevano sempre buoni affari durante le crisi. «Aspettatemi qui.» Ash scese di sella. La luce della casa si rifletté sull'armatura. «E quando dico qui, intendo in questo stesso punto. Quando torno non voglio scoprire che qualcuno di voi è sparito durante la mia assenza!» «No, capo!» Rochester sogghignò. I due buttafuori la videro arrivare e la lasciarono passare. Non c'era niente di nuovo in un cavaliere con la voce da ragazzino o in un soldato che
entrava in un bordello. Con un paio di domande e due monete spese per comprare il silenzio, riuscì a trovare la stanza nella quale si era appartato un chirurgo biondo dall'accento burgundo. Ash salì la scala con passo deciso, bussò alla porta ed entrò. Una donna era sdraiata sul lettino in un angolo della stanza. I seni le sporgevano dal corpetto slacciato e aveva la camicia da notte tirata su fino alle cosce. Il mento era piccolo e carnoso e i capelli erano tinti di biondo. Aveva un'età indefinita, tra i sedici e i trent'anni. La stanza odorava di sesso. C'era uno liuto a fianco della prostituta. Sul pavimento c'era una candela e un vassoio con del pane. Floria del Guiz sedeva sul letto con la schiena appoggiata al muro. Un capezzolo marrone spuntava da sotto la maglia. Ash fissava la prostituta che carezzava il collo di Floria. «È un peccato?» le chiese la ragazza. «Vero, sir? Ma anche la fornicazione è un peccato e io ho fornicato con moltissimi uomini. Sono come dei tori in un campo con i loro grossi affari. Lei è gentile e forte con me.» «Sssh. Margaret.» Floria si inclinò in avanti e la baciò sulla bocca. «Devo andare. Posso tornare a trovarti?» «Quando avrai i soldi.» Negli occhi della prostituta sembrò balenare un lampo. «Mamma Astrid non ti farebbe passare senza. E vieni vestita da uomo. Non voglio diventare legna da ardere per i fuochi della chiesa.» Floria fissò Ash e roteò gli occhi. «Questa è Margaret Schmidt. Le sue dita sono molto abili nel... suonare il liuto.» Ash diede le spalle alle due donne che finivano di vestirsi e cominciò a camminare su e giù per la stanza facendo scricchiolare le tavole del pavimento. Una voce profonda e maschile urlò qualcosa dall'androne, mentre da un'altra stanza giunse l'eco di false grida di piacere. «Non mi sono mai prostituita con un'altra donna!» disse Ash, girandosi. «Sono andata con gli uomini. Ma mai con gli animali o le donne! Come puoi farlo?» ' «Anche se si fa passare per un uomo è una donna!» borbottò Margaret. Floria finì di allacciare il mantello e si girò verso la ragazza. «Lei ha un gran cuore. Se hai voglia di vivere viaggiando, puoi unirti alla nostra compagnia: ce ne sono di peggiori.» Ash voleva urlare, ma vide l'espressione sul volto della prostituta e decise di stare zitta. Margaret si grattò il mento. «Vivere in mezzo ai soldati, non la considero una vita. E dai retta a lei, o lui, non posso venire con te, giusto?»
«Non lo so, dolcezza. Non sono mai stata con una donna» commentò Ash. «Torna prima di ripartire e ti darò una risposta.» Calma, Margaret Schimdt prese il liuto, il piatto e li posò sul ripiano di un mobile. «Cosa state aspettando? Mamma avrà sicuramente mandato qualcun altro. Sbrigatevi a uscire altrimenti vi farà pagare il doppio.» Ash non attese di vedere il bacio tra le due donne. Le prostitute non baciano, pensò. Io non ho mai... Si girò e scese giù per la scala stretta passando davanti alle stanze. Alcune porte aperte le permisero di farsi un'idea delle attività in corso in quel momento nel bordello. C'erano degli uomini impegnati in partite a dadi, altri bevevano e altri ancora copulavano con le prostitute. Raggiunta la fine della rampa, Ash si girò di scatto rischiando di dare una gomitata al chirurgo. «Cosa pensavi di fare? Avresti dovuto parlare con gli altri medici per cercare notizie!» «Cosa ti fa pensare che non l'abbia fatto?» L'alta donna controllò il cinturone, il borsellino dei soldi e la daga con un gesto automatico della mano, continuando a stringere una bottiglia di cuoio nell'altra. «Proprio qui ho trovato uno dei medici personali del cugino primo del califfo Teodorico. Era sbronzo marcio e mi ha detto in confidenza che il califfo ha il cancro. Gli restano pochissimi mesi di vita.» Ash la osservava dritta negli occhi. Sembrava che non stesse ascoltando. «Che faccia!» Floria rise e bevve. «Cristo, Florian, ti scopi le donne!» «Non c'è niente di sbagliato in Florian che si scopa le donne.» Tirò su il cappuccio. «Non sarebbe molto più sconveniente se cercassi di scoparmi un uomo?» «Pensavo che avessi pagato una stanza e il tempo della ragazza perché faceva parte della messa in scena!» L'espressione di Floria si ammorbidì, diede un buffetto sulla guancia ad Ash, e si mise le muffole per proteggere le mani dal freddo della strada. «Cristo santo. 'Non fare la stronza priva d'umorismo', come direbbe il nostro buon Roberto.'» Ash sospirò rumorosamente. «Ma tu sei una donna che va con un'altra donna!» «La cosa non ti disturba con Angelotti.» «Ma lui è...»
«Un uomo che va con un uomo?» concluse Floria. Ash sentiva le labbra che tremavano. «Sant'Iddio, Ash!» Una donna anziana con il volto scarno incorniciato da una cuffia sbucò dalle cucine. «Voi due state cercando una donna o siete solo dei perdigiorno? Chiedo scusa, si. cavaliere. Tutte le nostre ragazze sono pulitissime, vero, dottore?» «Proprio così.» Floria spinse Ash verso la porta. «Tornerò con il mio signore quando avrà sbrigato alcune faccende.» La strada era molto buia e il bagliore vivido delle fiaccole tenute da Thomas Rochester e gli altri uomini la accecarono per un attimo, non permettendole di vedere il volto del ragazzino che portava il cavallo a Floria. Ash montò in sella. Aprì la bocca come per urlare, ma poi si rese conto che non sapeva cosa dire. Floria non era affatto contrita e la stava fissando dritto negli occhi. «Godfrey sarà già tornato» disse Ash, mentre premeva i talloni sui fianchi di Godluc per segnalargli di mettersi in marcia. «E la faris sarà arrivata. Andiamo.» La testa del cavallo di Floria scattò verso l'alto. Un gufo bianco era planato a pochi centimetri dal cappello del chirurgo, chiaramente disorientato. «Guarda.» Floria indicò. Ash alzò lo sguardo e fissò i tetti delle case. Non aveva mai notato che il cielo estivo fosse pieno di vita perché non si era mai soffermata ad osservarlo. Ora i tetti e i davanzali delle case erano pieni di uccelli: piccioni, corvi, cornacchie e tordi gonfiavano il piumaggio nella speranza di ripararsi dal gelo innaturale. I passeri condividevano i tetti con i falchi pellegrini e le poiane in quella che sembrava una tregua alquanto improbabile. Una sorta di mormorio di disappunto si levava dai tetti, mentre le tegole e le travi cominciavano a ricoprirsi di uno strato di guano bianco. Sopra i volatili il cielo continuava a essere nero come la pece. Malgrado ci fosse un'ordinanza dei Visigoti che limitava il numero di uomini per una scorta a sei, il municipio di Basilea era stipato. L'aria puzzava di sego, dei resti di un grande banchetto e del sudore di circa due o trecento persone che attendevano di rivolgere le loro richieste al viceré. Il generale visigoto non era presente. «Merda!» imprecò Ash. «Dov'è quella donna?» L'aria viziata lambiva il soffitto a volta dal quale pendevano le bandiere
dell'impero e dei cantoni. Ash lasciò vagare lo sguardo tra il gruppo di Europei, quindi si concentrò su quello, decisamente più numeroso, dei Nordafricani: c'erano soldati semplici, arif, qa'id, ma nessuna traccia del faris. Ash abbassò leggermente la ventaglia in modo da far vedere solo la bocca e il naso. La chioma argentea era nascosta sotto l'elmo. Quando indossava l'armatura completa era molto difficile scambiarla per una donna, tanto meno per la gemella del generale visigoto. Intorno alla stanza c'era un cordone di golem. Ash si sollevò in punta di piedi e vide i golem alle spalle del viceré, che, con sua somma sorpresa, si dimostrò essere Daniel de Quesada. L'ex ambasciatore teneva in mano una testa di ottone che consultava di tanto in tanto. Floria prese del vino da uno dei servitori che passavano di gran fretta. «Come si può chiamare questo gruppo di persone? Orso, cigno, toro, unicorno e martora... È un bestiario!» Un rapido esame dei simboli sugli abiti degli astanti permise ad Ash di capire che erano presenti le delegazioni da Berna, Zurigo, Neuchâtel, Solothurn, Friburgo e Aargau... gran parte dei Lord della Confederazione svizzera, o come si facevano chiamare i Lord nella Lega di Costanza, avevano tutti il volto inespressivo. Le conversazioni erano condotte in tedesco della Svizzera, italiano, tedesco, ma la più importante, quella tenuta quasi urlando intorno al tavolo principale, era in cartaginese, o, quando gli amir o i qa'id si ricordavano dell'etichetta, anche se la loro posizione di conquistatori non glielo imponeva, in latino del Nord Africa. Dove la cerco, adesso? si chiese Ash. Thomas Rochester la raggiunse facendosi largo tra un gruppo di civili. Gli avvocati e i funzionari di Basilea si fecero da parte senza neanche pensare, come succede quando si vede passare un uomo in armatura, ignorandolo al tempo stesso. «È stata al campo e ti cercava» la informò l'uomo parlando a bassa voce. «Cosa?» «Il capitano Anselm ha mandato un messaggero. Il faris sta tornando.» Ash si dovette costringere a non chiudere la mano intorno all'elsa della spada, perché in una sala affollata quel gesto poteva essere facilmente male interpretato. «Anselm ha detto perché è venuta da noi?» «Per parlare con uno dei suoi jund.» Thomas sogghignò. «Siamo abbastanza importanti da farla scomodare.» «E io sono le tette di sant'Agata!» Ash provò un disgusto improvviso e
osservò la folla intorno a Daniel de Quesada che non sembrava diminuire affatto. Il volto dell'ambasciatore era ancora segnato dalle cicatrici, lo sguardo si spostava rapidamente per la sala e quando uno dei cani che stava annusando la segatura uggiolò, il corpo dell'uomo sussultò in maniera incontrollata. «Chi è il suo burattinaio?» disse Ash, esprimendo ad alta voce un pensiero. «E quella è venuta solo per darmi un'occhiata fuori da Guizburg? Forse. E adesso è andata al campo. Un bel disturbo solo per andare a dare un'occhiata a un probabile parente bastardo nato in una compagnia di mercenari vent'anni fa.» Antonio Angelotti, sudato e barcollante, apparve al suo fianco. «Capo. Torno al campo. È vero. Dieci giorni fa hanno sconfitto gli Svizzeri.» Sapere che doveva essere successo era una cosa, ma sentirselo confermare era un discorso ben diverso. «Sant'Iddio. Hai trovato qualcuno che ha partecipato alla battaglia?» chiese Ash. «Non ancora, ma so che hanno manovrato con maggiore abilità rispetto agli Svizzeri.» «Ho capito perché tutti stanno leccando il culo del re-califfo. Adesso si spiegano i banchetti. Figlio di puttana. Mi chiedo se Quesada dicesse il vero quando parlava di dichiarare guerra alla Borgogna.» Prese Angelotti per una spalla e lo scosse rudemente. «Va bene, torna al campo, sei pieno come un otre.» Mentre il mastro artigliere usciva, Ash vide Godfrey Maximillian che entrava nella sala e cominciava a guardarsi intorno in cerca delle insegne del Leone Azzurro. Il prete rivolse un inchino ad Ash, quindi lanciò una rapida occhiata a Floria del Guiz. «Odio quello sguardo» disse il chirurgo in tono aspro. «Mi guardi così ogni volta che mi devi rivolgere la parola. Non mordo, Godfrey. Da quanto mi conosci, Cristo?» Floria aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi. I capelli tagliati corti le stavano dritti in testa a causa dell'umidità. Un paio di servitori le passarono vicino dandole una rapida occhiata. Chissà cosa vedono? si chiese Ash. Un uomo, questo è poco ma sicuro. Non un soldato perché non porta la spada, ma dai vestiti è chiaro che è un professionista di qualche tipo. Inoltre devono pensare che sia al servizio di qualche Lord visto che porta un simbolo cucito sulla tesa del cappello. «Calmati! Ho già abbastanza problemi.»
«E io no? Sono una donna, cazzo!» Aveva alzato troppo la voce. Ash fece cenno a Thomas Rochester e a Michael, uno dei balestrieri, di avvicinarsi. «Portatelo fuori, è ubriaco.» «Va bene, capo.» «Perché tutto deve cambiare?» domandò Floria liberando le braccia con uno strattone dalla presa dei due uomini. Senza farsi notare, Thomas Rochester diede un pugno nella schiena del chirurgo e mentre questi si piegava leggermente in avanti per il dolore, lo afferrò al volo e lo portò fuori aiutato da Michael. «Merda.» Ash aggrottò la fronte. «Non volevo che lo picchiassero...» «Non avresti avuto nulla in contrario se non avessi saputo che è una donna» le fece notare Godfrey, che nel frattempo aveva afferrato la croce che portava al petto. Aveva tirato su il cappuccio della tunica e quindi non era possibile scorgere chiaramente la sua espressione. «Aspetteremo il ritorno del faris» affermò Ash, decisa. «Che notizie mi porti?» «Quello è il capo della gilda degli orafi.» Godfrey indicò, inclinando leggermente la testa. «Laggiù, quello che parla al de Medici.» Lo sguardo di Ash vagò lungo il tavolo nella direzione indicata finché non si soffermò su un uomo che portava una cuffia di lana nera dal cui bordo spuntavano dei ciuffi di capelli grigi. Stava sussurrando qualcosa all'orecchio di un altro uomo che indossava un abito di fattura italiana. Il de Medici aveva il volto pallido. «Hanno distrutto Firenze solo per ribadire un concetto.» Ash scosse la testa. «Lo stesso vale per Venezia. Vogliono farci sapere che non hanno bisogno dei soldi, delle armi e dei cannoni. Gli bastano quelli che arrivano dall'Africa... Penso che ci riescano.» «È importante?» Un uomo che indossava un abito da studioso si inchinò davanti ad Ash e quando si raddrizzò, sussultò e aggrottò la fronte nel sentire la voce di una donna. «Sir, voi siete?» si intromise Godfrey. «Sono, anzi ero, l'astrologo di corte dell'imperatore Federico.» «Sei stato licenziato, giusto?» chiese Ash in tono cinico, continuando a lasciare vagare lo sguardo per la sala. «Dio ha fatto sparire il sole» disse l'astrologo. «Dama Venere, la stella del mattino, può essere ancora vista in certe ore, così sappiamo che il giorno è prossimo, ma i cieli continuano a rimanere scuri e vuoti. Questa è la
seconda venuta del Cristo: il suo giudizio ci attende. Non ho vissuto come dovevo. Vorreste accogliere la mia confessione, padre?» Godfrey attese che Ash desse il benestare, quindi si appartò con l'uomo in un angolo tranquillo della sala. L'astrologo si inginocchiò, dopo qualche minuto il prete posò le mani sulla sua fronte in segno di perdono, quindi lo congedò e tornò da Ash. «Sembra che i Turchi abbiano pagato delle spie per sapere cosa sta succedendo. Dovrebbero essercene anche in questa sala» aggiunse Godfrey. «Il mio astrologo sa chi sono e dice che i Turchi si sentono molto sollevati.» «Sollevati?» «I Visigoti si sono accaniti sull'Europa Occidentale e li hanno lasciati in pace.» «Se dovessero decidere di dirigersi a ovest allora anche i Turchi sarebbero costretti ad affrontare i Visigoti piuttosto che l'Europa cristiana. Comunque» aggiunse Ash «sono sicura che il Sultano Mehmet ora si senta molto sollevato, visto che per anni ha creduto che i preparativi fatti dai Visigoti fossero mirati a un'invasione del suo impero!» Ash vide alcuni ambasciatori della Savoia e della Francia. Sebbene i due regni non fossero stati ancora toccati, essi erano là per capire quale sarebbe stato il prossimo bersaglio degli invasori. «Odio le città» disse Ash, con aria assente. «Sono troppo a rischio di incendi. Qui si può comprare olio e stracci praticamente ovunque e ridurre tutto in cenere nel giro di un paio di giorni.» Attese che il prete facesse qualche commento sulla sua irritabilità, ma non successe. «Parliamo come se non dovessimo più rivedere il sole» disse Godfrey. Ash rimase in silenzio. «Fa sempre più freddo. Sono passato vicino a dei campi mentre venivo qua. Il grano e le vigne sono bruciati dal gelo. Presto ci sarà una grande carestia... Forse mi sbagliavo. Siamo davvero al giorno del giudizio. La carestia e la pestilenza stanno arrivando, la morte e la guerra ci sono già. Dovremmo preoccuparci dello stato della nostra anima e non passare il tempo a razzolare tra le rovine.» «Voglio il generale visigoto» rispose Ash, ignorandolo. «Anche lei mi sta cercando.» «Sì.» Godfrey esitò nel vedere Ash che continuava a sorvegliare la folla. «Non stai per mandarmi via da qui, vero, figliola?»
«Me ne vado anch'io» sulle labbra di Ash apparve l'ombra di un sorriso. «Prendi Florian con te e fatti scortare al campo da Josse e Michael. Rimanete con Roberto finché non vi farò chiamare. Non ti si arruffano i capelli a stare qua? Vai.» Una delle cose che succedono quando si ha l'abitudine di dare ordini è che gli altri prendono l'abitudine di ubbidire. Ash intravide l'espressione preoccupata del prete malgrado il cappuccio. Sono rimasta con soli quattro uomini, concluse Ash, Adesso vedremo chi è la stronza inaffidabile. Posso rimanere in fondo alla sala senza che nessuno mi dia un panno e un catino per lavarmi le mani, per non parlare di uno dei piatti stranieri che si trovano sulle tavole. Potrei anche aspettare, concluse Ash, che i leccapiedi intorno a Daniel de Quesada perdano il loro ardore, ma potrebbero volerci dei giorni. Settimane, forse. Osservò i rappresentanti della Savoia e della Francia che si radunavano ansiosamente intorno al viceré. «Vorrei avere a disposizione le spie dei Francesi o i banchieri Fiamminghi.» Si girò verso Thomas Rochester. «Guido, Simon, andate alla dispensa, vedete cosa riuscite a sapere. Francis e tu, Thomas, venite con me. Appena le cose si mettono male corriamo dritti filati da Anselm, chiaro?» Rochester la fissò, dubbioso. «Ma, capo, questo è un inganno.» «Lo so. Dovremmo andare via adesso, ma... si può godere di qualche privilegio nell'essere la figlia bastarda di una famiglia di faris. Potremmo guadagnarci qualcosa.» Ash scosse la testa. «Voglio sapere.» Camminò lungo la sala per qualche tempo. Prese a contrattare con un mercante per rimpiazzare i muli e le attrezzature che aveva perduto fuori Genova, ma la cifra richiesta per i carri, per non parlare di quella per i cavalli già domati e addestrati, la lasciò di stucco. Alle volte sono dell'idea che rubare è meglio che comprare, pensò Ash. Un piccolo manipolo di servitori si affrettò a cambiare le candele consumate e le lanterne spente. Ash si premette contro il muro per farli passare, urtando qualcuno con il fodero della spada. «Chiedo scusa...» Si girò e si trovò faccia a faccia con Fernando del Guiz. «Figlio di puttana!» «Come sta la mamma?» chiese il nobile, mesto. Cerca di farmi ridere, pensò, mentre una sorta di ringhio le appariva sulle labbra. La vista di Fernando del Guiz con indosso una cotta e una divisa visigo-
ta la lasciò senza parole per qualche attimo. «Cristo che si fotte l'imperatore! Cosa vuoi?» sbottò Ash. Nello stesso istante vide Thomas Rochester che finalmente si era accordato con il mercante e si voltava a fissarla con un'aria interrogativa: Ash scosse la testa. «Fernando - no: cosa? Cosa? Cos'hai da dirmi?» «Sei molto arrabbiata» le fece notare lui. Il nobile le parlava continuando a osservare la folla riunita nella sala, ma quando abbassò gli occhi il suo sguardo sembrò impalarla. «Cosa avrei da dire a una contadina?» «Giusto, giusto. Il fatto di essere un nobile non ti impedisce di schierarti dalla parte dei Visigoti, vero? Sei un traditore. Pensavo che fosse una menzogna.» La rabbia che bruciava in lei venne estinta da uno sguardo del nobile e Ash rimase silenziosa per una manciata di secondi. Fernando del Guiz cominciò a girarsi. «Perché?» domandò Ash. «Perché?» «Tu - continui a non capire. Sei un nobile. Anche se ti avessero preso prigioniero avrebbero pagato il riscatto per riaverti. O ti avrebbero messo al sicuro in qualche castello. Diavolo, avevi una scorta armata con te, saresti potuto scappare.» «Da un esercito?» le chiese, divertito. Ash sbarrò la strada a Fernando posandogli un braccio contro il petto. Se voleva passare doveva spingerla via. «Non sei incappato in un esercito. Quella è solo una voce. Godfrey ha scoperto la verità. Ti sei trovato di fronte a una pattuglia di otto uomini - otto uomini. Non hai neanche cercato di combattere. Ti sei arreso e basta.» «La mia pelle vale molto di più della tua stima per me» rispose il nobile, in tono ironico. «Non pensavo che ti importasse qualcosa di me, mia signora moglie.» «A me non...! Beh, comunque ti sei guadagnato un posto in questa corte. Adesso sei con i vincitori.» Indicò gli astanti. «Subdolo. E ti era stata data una possibilità. Ma dovevo ricordare che i nobili che circondano l'imperatore sono tutti politicanti.» «Non è stato!» Fernando la fulminò con un'occhiataccia. «Non è stato cosa?» chiese Ash, tranquilla. «Non è stato un tradimento politico!» Il volto del nobile assunse un'espressione bizzarra. «Hanno ucciso Matthias! Gli hanno piantato una lancia nello stomaco e lui è caduto a terra urlando! Hanno ucciso Otto con una quadrella e tre dei cavalli...»
Ash si sforzò di tenere la voce bassa. «Cristo Santo, Fernando,» lo interruppe con un sussurro sprezzante «tu non sei come quello stronzo di Matthias. Ti avevano dato una possibilità. E cosa mi dici del tuo equipaggiamento tanto carino? Indossavi un'armatura completa, Cristo! Dovevi affrontare dei contadini visigoti vestiti con delle tuniche! Non ci hai neanche provato!» «Non potevo!» Ash fissò l'espressione franca che era apparsa sul volto del marito. «Non potevo» ripeté Fernando con un sorriso che lo fece sembrare più vecchio e appesantito. «Me la sono fatta sotto, sono caduto da cavallo e ho implorato il sergente di non uccidermi. Gli ho dato l'ambasciatore in cambio della mia vita.» «Tu...» «Ho avuto paura e ho ceduto» ammise Fernando. Ash continuava a fissarlo. «Cristo.» «Non mi sento in colpa.» Fernando si passò una mano sul volto. «E tu?» «Io...» Ash esitò. Tolse il braccio. «Non lo so. Niente. Suppongo. Sono un mercenario, non sono uno dei tuoi servitori o il tuo re. Non sono io quella che hai tradito.» «Non riesci a digerirlo, vero?» Fernando del Guiz non fece nulla per allontanarsi. «C'erano degli uomini con le balestre. Le quadrelle avevano delle punte d'acciaio spesse come il mio pollice. Ne ho vista una piantarsi nell'occhio di Otto e fargli esplodere il cranio. Matthias si teneva le viscere in mano. C'erano dei soldati con le stesse lance che io ho usato per sventrare gli animali durante le cacce, e che volevano fare lo stesso con me. Ero circondato da pazzi.» «Soldati» lo corresse Ash, senza neanche pensare, quindi scosse la testa, meravigliata. «Tutti se la fanno sotto quando si tratta di combattere. Anch'io. È successo anche a quell'uomo, Thomas Rochester, e lo stesso vale per la maggior parte dei miei soldati. Questo è un fatto che omettono sempre nelle cronache. Ma, diavolo, non devi arrenderti quando c'è una possibilità di combattere!» «Tu non capisci.» L'espressione intensa del suo volto lo fece sembrare più vecchio. Sono stata a letto con te, pensò improvvisamente Ash, ma non ti conosco affatto. «Tu hai il coraggio» continuò Fernando «che io pensavo di avere fino a quel momento. Ho partecipato ai tornei, a guerre... simulate. Ma è diverso.»
«Certo che lo è.» Ash lo guardava senza capire dove volesse andare a parare. Si fissarono a lungo in silenzio. «Vuoi dirmi che ti sei comportato così perché sei un codardo?» Fernando del Guiz si girò e si allontanò. La luce mutevole delle candele non le permise di scorgere l'espressione del volto. Ash aprì la bocca per richiamarlo, ma, non sapendo cos'altro aggiungere, la richiuse. Il rintocco delle campane che annunciavano le quattro del pomeriggio echeggiò sopra il brusio che pervadeva la sala. «Abbiamo aspettato fin troppo.» Fece un cenno a Rochester e si dimenticò di del Guiz. «Non so dove sia il faris, ma è chiaro che non verrà qui. Raduna i ragazzi.» Thomas Rochester trovò un uomo nelle cucine, uno nelle stalle e un altro ancora nel letto di una delle cameriere. Ash mandò Guido a prendere i cavalli, quindi uscì dalla sala accompagnata da Rochester e Francis, un balestriere alto e robusto che aveva l'aria di chi non ha bisogno della manovella per caricare la sua arma: forse poteva farlo con i denti. Il cielo era sempre nero. I nitriti dei cavalli e il battito degli zoccoli sul selciato non potevano coprire il silenzio che sembrava precipitare dal cielo. Francis si fece il segno della croce. «Spero nella venuta del Cristo. Sono le tribolazioni che mi fanno paura, non il Giudizio universale.» Ash si accorse che sulla protezione del braccio c'erano dei puntini arancione. Il nevischio si era sciolto al caldo della sala e aveva fatto comparire la ruggine. Borbottò una sfilza di imprecazioni e strofinò l'armatura con una mano guantata mentre aspettava i cavalli. «Capitano!» la chiamò un uomo in un latino dal forte accento visigoto. Ash alzò gli occhi e vide un arif, un comandante di quaranta soldati, con venti uomini alle sue spalle. Le spade erano fuori dai foderi. Ash fece un passo indietro, estrasse la sua spada e urlò un ordine a Thomas Rochester. Sei o sette uomini dotati di usbergo e cotta le piombarono addosso alle spalle schiacciandola a terra. Ash batté la fronte contro l'imbottitura della visiera. Si girò di scatto e tirò un pugno alla cieca colpendo qualcosa. Un urlo echeggiò nella via. Anche l'armatura è un'arma. Piegò il gomito e piantò il puntale che spuntava dalla piastra di protezione nella carne di uno degli assalitori. Si dimenò come un'ossessa cercando di piegare le gambe per paura di un fendente dietro il ginocchio. Due uomini le bloccarono le braccia e urlaro-
no qualcosa. Un attimo dopo altri tre corpi si premettero violentemente contro il suo, inchiodandola a terra. Non mi vogliono uccidere. Non riusciva a sollevare la testa dal fondo stradale coperto di paglia e insetti morti. Sentì un impatto e un urlo a circa un centinaio di metri da lei. Avrei dovuto prendere una scorta più nutrita. O mandare via Rochester... Aumentò la stretta intorno all'elsa della spada, quindi chiuse il pugno sinistro facendo sporgere una delle piastre che ricoprivano il guanto e sferrò un colpo contro quello che le sembrava il volto di un uomo. Non successe nulla. Un tallone le premette la mano destra intrappolandole le dita tra l'elsa della spada e le piastre metalliche dei guanti dell'armatura. L'uomo vi caricò sopra tutto il suo peso schiacciandole l'estremità contro il selciato. Ash urlò e aprì la mano. Qualcuno allontanò la spada con un calcio. La punta di una daga scivolò in una fessura della ventaglia e si fermò a pochissimi centimetri dal suo occhio. IV La luna al tramonto bagnava con la sua luce fioca il castello di Basilea e, più lontano, fuori dalle mura della città, le cime coperte di neve delle Alpi. I contorni dell'hortus conclusus brillavano a causa del ghiaccio. Ghiaccio in piena estate! pensò Ash, prima di ripiombare nel vuoto. Il gorgoglio di una fontana la risvegliò e udì il clangore metallico di molti uomini in armatura che camminavano. Mi hanno tolto la spada, ma ho ancora addosso l'armatura. È chiaro che intendono trattarmi con un certo riguardo, concluse. Non credo che vogliano uccidermi. «Cosa cacchio sta succedendo?» chiese Ash. La guardia non rispose. Il piccolo giardino era circondato da una siepe ottagonale. Il prato rasato scendeva fino a una fontana il cui getto ricadeva nella vasca di marmo. L'aria era pervasa dall'odore delle erbe. Ash identificò quello del rosmarino, del trifoglio e delle rose morte. Sono appassite a causa del freddo e stanno imputridendo sul gambo, suppose, mentre continuava a camminare in mezzo alle guardie. In fondo al prato vide una donna in piedi dietro un tavolo coperto di carte. Dietro di lei c'erano tre figure di pietra che tenevano delle torce. Ash osservò un rivolo di pece bollente che correva lungo il fusto della torcia e
colava sul braccio di un golem senza che questi battesse ciglio. Le fiamme delle torce illuminavano i capelli argentei della giovane Visigota. Ash scivolò sul sottile strato di ghiaccio che ricopriva il vialetto, riprese l'equilibrio e fissò il faris. Quello è il mio volto, pensò. È così che mi vedono gli altri? Pensavo di essere più alta. «Sei il mio datore di lavoro, Cristo» protestò Ash ad alta voce. «Non era affatto necessario. Io stessa ti stavo cercando. Bastava parlare e sarei venuta! Perché tutto questo?» «Perché posso» rispose il generale, alzando gli occhi dalle carte. Ash annuì pensierosa. Si avvicinò e giunta a un paio di metri dal tavolo, un arif la fermò allungando un braccio. Ash fece per estrarre la spada, un gesto automatico in quelle situazioni, ma la sua mano si chiuse intorno al nulla, quindi decise di immobilizzarsi e tenersi pronta a tutto. «Ascoltami, generale, sei il comandante di tutta l'invasione, questa dimostrazione di forza l'ho trovata del tutto inutile.» Il faris arricciò la bocca in una specie di ghigno. «L'ho creduto necessario, dato che penso che tu sia piuttosto simile a me.» Smise di scrivere, si sedette posando una testa d'ottone sulle carte per impedire che la brezza notturna le facesse volare via, quindi fissò Ash. «È vero, siamo molto simili» rispose Ash, tranquilla. «Hai voluto sottolineare un concetto. Perfetto. Tutto chiaro, nessun dubbio al riguardo, ma, adesso: dove sono Thomas Rochester e gli altri miei uomini? Sono feriti o li hai fatti uccidere?» «Non crederai che te lo dica? Lo saprai solo quando sarai abbastanza preoccupata da volermi parlare apertamente.» Ash la osservò sollevare un sopracciglio: anche lei faceva così in circostanze simili. Ormai aveva la netta sensazione di guardarsi allo specchio e per un attimo prese in seria considerazione l'idea di trovarsi di fronte a un demone. «Stanno bene, ma sono prigionieri» aggiunse il faris. «Mi hanno parlato benissimo della tua compagnia.» Il sollievo che provò nel ricevere quelle notizie rischiò di farla venire meno e per un attimo le si annebbiò la vista. «Penso che ti divertirai a leggere questo.» Il faris le porse un foglio con un sigillo di ceralacca. «Mi è stato inviato dal parlamento di Parigi. Mi chiedono di andare a casa perché sono uno scandalo.»
«Per cosa?» ringhiò Ash. «Leggi. È divertente.» Ash fece un passo avanti e allungò una mano. Gli arif si tesero pronti a intervenire. Portava ancora i guanti dell'armatura. Appena toccò la carta avvertì l'odore della sua gemella, un misto di sudore e spezie tipico dei soldati visigoti, che le fece tremare la mano. La vista le si annebbiò nuovamente e si affrettò a fissare il foglio di carta. «Leggi» disse alla gemella. «'Poiché, per non aver ricevuto il battesimo, non siete stata mondata del peccato originale, non siete stata sottoposta a nessuno dei sacramenti e non vi è stato dato il nome di nessuna santa; vi ingiungiamo, perentori, di tornare da dove siete venuta;'» lesse il faris ad alta voce «'non vogliamo che le nostre regine e le vedove dei nostri nobili abbiano a che fare con una concubina impura. Né vogliamo che le nostre vergini pure, le nostre mogli fedeli e le nostre vedove leali siano corrotte dalla presenza di un individuo che non può essere altro che una sgualdrina di strada o una moglie lasciva: quindi non entrate nelle nostre terre con i vostri eserciti.'» «Oh, mio Dio! 'Sgualdrina di strada'!» L'altra donna rise di gusto. Anch'io rido in quel modo? si chiese Ash. «È il ragno63 » borbottò Ash, divertita. «Autentico?» «Certo.» Ash alzò lo sguardo. «Di chi sono la bastarda?» chiese Ash. Il generale visigoto schioccò le dita e disse rapidamente qualcosa in cartaginese. Uno degli uomini mise uno sgabello di fronte al tavolo e tutte le guardie arretrarono disponendosi lungo il perimetro della siepe. Se adesso fossi veramente da sola, potrei essere scambiata per la regina di Cartagine, pensò Ash. Si crogiolò per qualche istante nell'idea di colpire la sua gemella (anche se concepita per proteggere il corpo, l'armatura era sempre un'arma), ma si ridimensionò rapidamente. Lasciò vagare lo sguardo per cercare di cogliere il bagliore delle punte delle quadrelle o delle frecce illuminate dalla luce delle torce. L'aria fresca della sera le carezzava il volto. «Questo posto mi ricorda i giardini della Cittadella dove sono cresciuta» esordì il faris. «I nostri giardini sono molto più luminosi di questi, è ovvio. Usiamo degli specchi per convogliare la luce.» Ash si leccò le labbra per cercare di inumidirle. Il punto del giardino in 63
Luigi XI di Francia. I suoi contemporanei lo definirono il 're ragno' a causa del suo amore per l'intrigo.
cui si trovava era stato ideato per garantire la riservatezza delle chiacchiere tra le dame di corte; infatti le siepi facevano trapelare ben pochi suoni dall'esterno. Il fatto che il buio del cielo fosse quello naturale della notte e che i soldati fossero arretrati di qualche metro la fece sentire più a suo agio. Lentamente stava cominciando a comportarsi come il comandante di una compagnia mercenaria e non come una ragazza spaventata. «Sei battezzata?» chiese Ash. «Certo. Secondo il rito di quella che voi chiamate l'eresia ariana.» Il generale allungò un mano. «Siediti, Ash.» Il fatto di sentire il proprio nome pronunciato quasi dalla sua stessa voce, ma con un accento visigoto, le fece rizzare i capelli sulla nuca. Tolse l'elmo e lo posò con gesti lenti e studiati sul tavolo, quindi sollevò l'ultima parte della maglia di anelli metallici e si sedette sullo sgabello. Il piastrone frontale e quello dorsale le imponevano una postura dritta e fiera. «Non è questo il modo per ottenere l'aiuto dei tuoi sottoposti» disse con aria assente, mentre si calmava. «No davvero, generale!» La donna di fronte a lei sorrise. Aveva la pelle chiara, solo il volto era abbronzato, segno che non portava mai un elmo con la ventaglia. Le mani avevano le unghie ben curate. Anche se l'armatura conferiva a tutti un aspetto tozzo, Ash intuì che quella donna doveva avere più o meno la sua stessa corporatura e per un attimo venne travolta dall'idea di trovarsi di fronte una persona praticamente identica a lei. «Voglio vedere Thomas Rochester» disse. Il faris alzò leggermente la voce e un cancello si aprì. Un soldato sollevò per qualche attimo una lampada illuminando il mercenario inglese che, a parte qualche livido ed escoriazione sul volto, sembrava stare bene. Il cancello venne richiuso. «Contenta?» «Non posso dire di essere proprio felice... Oh, merda!» esclamò Ash. «Non mi aspetto di piacerti!» «No» concordò la donna, arricciando gli angoli delle labbra come se stesse per ridere. «No. Neanch'io mi aspetto di piacere all'altro jund, il tuo amico, né a tuo marito.» «Agnello non è un mio amico» si limitò a rispondere, evitando accuratamente di affrontare l'argomento Fernando del Guiz. Cominciò a provare una sensazione familiare. Si trattava di un formicolio che la pervadeva ogni volta che doveva rinegoziare un accordo buono con gente che era sempre più potente di lei (altrimenti non sarebbe ricorsa all'aiuto dei mer-
cenari); era un gioco di equilibri, bisognava sapere cosa dire e cosa lasciare non detto. «Come ti sei procurata quegli sfregi?» le domandò il generale. «In battaglia?» Non si tratta di negoziare, pensò Ash. È curiosità pura e semplice. Bene, una debolezza che può tornarmi utile. «Quando ero bambina apparve un santo sotto forma di leone.» Ash si toccò le guance, un gesto che non faceva spesso. «Mi marchiò con i suoi artigli, facendo vedere a tutti che sarei diventata una leonessa sul campo di battaglia.» «Anche tu? Anch'io ho iniziato l'addestramento giovanissima.» «Di chi sono il bastardo?» domandò nuovamente Ash. «Di nessuno.» «Di ness...?» Il generale visigoto sembrava apprezzare di averla presa alla sprovvista. Dovremmo essere in grado di capirci a vicenda molto bene, pensò Ash. Ma è veramente così? Come faccio a saperlo? Potrei anche sbagliarmi. «Cosa vuol dire: 'nessuno'?» continuò. «Vuoi dire che sono una figlia legittima? Qual è la mia famiglia?» «Nessuna.» La donna la fissò con i suoi occhi scuri e Ash non vi notò nessuna traccia di malizia. Il faris appoggiò le braccia sul tavolo, si inclinò in avanti e la luce delle torce le illuminò il volto. «Non sei più legittima di me» le spiegò il generale. «Io sono figlia di schiavi.» E allora? pensò Ash. La rivelazione l'aveva scossa a tal punto che non era riuscita a pensare ad altro. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva cosa. «Chiunque fossero i miei genitori,» continuò il faris «erano degli schiavi a Cartagine. I Turchi hanno i Giannizzeri, bambini cristiani sottratti alle loro famiglie e cresciuti per diventare dei guerrieri fanatici. Mio - padre fece qualcosa di simile. Spero che tu non ti aspetti qualcosa di meglio. Mi dispiace.» Ash si rese conto che la sua gemella era sincera e smise di pensare a come portare avanti una trattativa e ai sotterfugi da impiegare. «Non capisco.» «E perché dovresti? Suppongo che l'amir Leofric non sarebbe contento di sapere che sto per dirti alcune cose. La sua famiglia ha cercato di alleva-
re un faris da generazioni. Io sono il loro successo. Tu devi essere...» «Uno scarto» tagliò corto Ash. «È questo che volevi dire?» Il cuore le batteva all'impazzata e trattenne il respiro. Voleva sentirla smentire la sua ultima affermazione. Il generale prese un caraffa di vino, riempì due coppe di legno e ne passò una ad Ash, che l'afferrò con le mani tremanti. Non sentì nessuna smentita. «Un piano di allevamento?» ripeté Ash. «Hai detto di avere un padre!» aggiunse, secca. «L'amir Leofric. No. Ho preso l'abitudine di chiamarlo in quel modo... ma non è il mio vero padre, è ovvio. Non si abbasserebbe mai a ingravidare una schiava.» «Non me ne frega niente, per me può anche fottersi un asino» rispose Ash in tono brutale. «È per questo motivo che volevi vedermi, giusto? Ecco perché sei venuta fino a Guizburg anche se stai dirigendo un cacchio di guerra, vero? L'hai fatto perché sono tua - sorella?» «Sorella, sorellastra, cugina, chi lo sa? Sei qualcosa. Guardami!» Il generale visigoto scrollò le spalle e quando alzò la coppa Ash vide che anche la sua mano stava tremando. «Non credo che mio padre - questo Lord-amir Leofric - capirebbe mai perché dovevo incontrarti.» «Leofric.» Ash fissò con sguardo vuoto la gemella e cominciò a rovistare tra i suoi ricordi. «È uno degli amir della corte del califfo-re, giusto? È un uomo molto potente.» Il faris sorrise. «La casata dei Leofric è stata legata a filo doppio a quella dei califfi-re fin dalla notte dei tempi. Siamo stati noi a fornire i messaggeri golem e, adesso, un faris.» «Cos'è successo alle... hai detto che eravamo in tante. Si tratta di un piano. Cosa è successo alle altre come noi? Quante...» «Suppongo che nel corso degli anni ce ne siano state centinaia. Non ho mai chiesto.» «Non hai mai chiesto?» domandò Ash, incredula. Svuotò la coppa senza accorgersi se il vino era buono o no. «Non c'è nulla di strano per te, vero?» «No, non ci trovo nulla di strano, ma suppongo che possa sembrarlo se non sei cresciuta in un certo ambiente.» «Cosa è successo a quelli che non erano come te?» «Se non erano in grado di parlare con la macchina64 di solito venivano 64
Nel testo originale viene impiegato il termine latino 'fabricato' che significa una struttura fatta dagli uomini, ma non necessariamente una macchina come la intendiamo oggi.
uccisi. Comunque anche se erano in grado di parlare con la macchina c'era sempre il rischio che potessero impazzire. Non hai idea di quanto mi senta fortunata per non essere impazzita quando ero bambina.» Ne sei così sicura? fu il primo pensiero di Ash, poi cominciò a valutare il significato di quanto aveva appena sentito. «Uccisi?» ripeté, annichilita. Prima che la gemella potesse rispondere comprese a pieno il significato della seconda parte della frase. «Cosa vuoi dire con: 'in grado di parlare con la macchina'? Quale 'macchina'?» Il faris strinse la coppa tra le mani. «Non mi dire che non hai mai sentito parlare del Golem di Pietra?» indagò la donna in tono sardonico. Ash ebbe il sospetto che la stesse prendendo in giro. «Perché pensi che abbia lasciato circolare quella voce? Voglio che i miei nemici siano terrorizzati all'idea di combattermi. Voglio che tutti sappiano che in patria ho una grande macchina da guerra 65 con la quale posso parlare ogni volta che mi aggrada. Anche nel mezzo di una battaglia, se necessario. Anzi, specialmente nel mezzo di una battaglia.» Ti sei scoperta, finalmente, pensò Ash. Ecco perché sono qui. Non perché ti somiglio. Non perché forse siamo parenti. Lei sente le voci e vuole sapere se lo stesso succede anche a me. E cosa se ne può fare di questa verità? Anche se sapeva che le sue conclusioni potevano essere affrettate, il panico e l'incertezza le fecero battere il cuore a tal punto che fu felice di indossare la gorgiera, altrimenti la gemella avrebbe potuto scorgere il riflesso del suo battito cardiaco nelle pulsazioni della gola. L'unica sua risorsa in quel momento era comportarsi come aveva sempre fatto fin dall'età di otto anni ogni volta che si era trovata in situazioni simili: tagliare il legame tra lei e le sue paure e far finta di niente. «Sì, ho sentito quella diceria» rispose in tono noncurante. «Ma è solo una voce. Mi hanno detto che a Cartagine c'è una specie di Testa di Ottone o qualcosa di 65
Il testo latino dell'Angelotti, nella sua breve e oscura menzione di questo episodio, parla di una machina rei militaris, una 'macchina tattica', e di una fabricari res militaris', '(qualcosa) fatto per (creato) per la tattica'. Il 'Fraxinus me fecit' parla di una computare ars imperatoria, o, in un bizzarro misto di latino e greco, di un computare strategoi, 'un computatore dell'arte dell'imperare' o 'della strategia'. In inglese moderno può essere tradotto come un 'computer tattico'.
simile. È una testa, giusto?» «Hai visto gli uomini di terracotta? Lei è il nonno, il loro progenitore. Il Golem di Pietra. Ma» specificò il generale «la distruzione degli eserciti italiani e svizzeri non è una semplice 'voce'.» «Gli Italiani! So che avete raso al suolo Milano solo per impedire i rifornimenti di armature. So tutto: sono stata l'apprendista di un armaiolo milanese. Tuttavia, devo ammettere che con gli Svizzeri avete fatto un bel lavoro. Ma perché non dovresti essere brava, visto che sei uguale a me?» Si bloccò e desiderò di essersi morsa la lingua. «Sì, sei brava» ammise il faris in tono piatto. «Mi hanno detto che anche tu senti delle 'voci'.» «No» disse Ash. «È una bugia bella e buona.» Cercò di ridere. «Chi credi che sia? La Pulzella?66 E adesso cosa mi dirai? Che sono vergine!» «Niente voci? Si tratta solo di una menzogna utile?» suggerì il generale in tono mite. «Beh, è sempre difficile negarlo per me, giusto? Più Divina posso sembrare, meglio è.» Ash cercò di essere il più convincente possibile, fingendo di vergognarsi per essere stata scoperta a raccontare fandonie. La donna si toccò una tempia. «Comunque, io sono in contatto con la nostra macchina tattica. La sento. Qua.» Ash fissò la donna intensamente. Si rese conto di dar l'impressione di non credere a una parola di quello che sentiva e do considerare il suo interlocutore un pazzo. Il suono delle chiacchiere tra i soldati visigoti era appena percettibile. Ash si avvinghiò a ciò che poteva sentire e vedere come se la sua sanità mentale dipendesse da quelle azioni. Se sono stata allevata come lei e anche lei sente le voci da una macchina tattica, allora ho scoperto la fonte della mia voce, pensò. No! Ash sì passò una mano sul labbro superiore e il fiato si condensò sul guanto. Sentiva che stava per vomitare, aveva l'impressione di essersi allontanata da se stessa. Vide la coppa di vino che tremava e si rovesciava riversando il contenuto sul tavolo e sulle carte. Il faris imprecò, scattò in piedi, chiamò qualcuno e ribaltò il tavolo in un unico movimento. Quattro o cinque ragazzini corsero nel giardino, raccolsero i documenti, pulirono il tavolo e asciugarono il vino che era colato sull'usbergo del generale. Ash fissava la scena con lo sguardo perso nel nulla. 66
Giovanna d'Arco (AD 1412 - 1431).
Schiavi allevati come soldati, stava pensando. È quello che mi sta dicendo? E io non sarei altro che uno scarto che per qualche strano motivo non è stato ucciso. Oh, Gesù, e io che ho sempre disprezzato gli schiavi... E la mia voce non è... Non è cosa? Non è il Leone? Non è un santo? Non è un demone? Cristo, mio dolce salvatore, questo è peggio dei demoni. Ash chiuse la mano sinistra a pugno facendo sì che la piastra del guanto premesse contro il palmo della mano. Voleva sentire del dolore per non svenire. «Mi dispiace. Ero a stomaco vuoto e il vino mi ha dato alla testa.» Non lo sai, continuava a pensare. Non sai se sentite la stessa cosa. Ash fissò la mano nel punto in cui la piastra aveva lasciato una striscia rossa. L'ultima cosa che voglio in questo momento è continuare a parlare con questa donna. Mi chiedo cosa succederebbe se mi limitassi a dirle che anch'io sento una voce che mi suggerisce la tattica da impiegare in battaglia. E poi? Se non conosco la risposta è meglio che non faccia nessuna domanda! In quei momenti le succedeva spesso di stupirsi del modo in cui il tempo sembrava rallentare quando la vita veniva scossa in un modo o nell'altro. Una coppa di vino in un giardino durante una notte di agosto, era un evento che veniva dimenticato in fretta. Ora stava registrando tutto, dalle gambe dello sgabello che sparivano tra l'erba, lo scorrere delle piastre metalliche mentre allungava la mano per prendere la bottiglia di vino, fino al lungo e intenso momento prima che i servi finissero di ripulire il generale visigoto e questi tornasse a concentrare la sua attenzione su di lei. «È vero» ammise il faris. «Io parlo con una macchina da guerra. I miei uomini la chiamano il Golem di Pietra. Non è di pietra né si muove come questi...» Indicò i golem che reggevano le torce con uno scrollone delle spalle. «... Ma a loro piace quel nome.» Ash posò la bottiglia con cautela. Meglio che non le dica che anch'io sento la voce finché non so come potrebbe andare a finire, pensò. E finché non avrò avuto il tempo di parlarne con Godfrey, Florian e Roberto... Merda, non posso! Loro pensano che io sia una bastarda, come posso dire loro che sono figlia di schiavi?
«A cosa servirebbe una macchina simile?» chiese Ash. «Potrei portarmi la mia copia di Vegezio67 sul campo e leggerla, ma non mi aiuterebbe a vincere.» «Ma se fosse sempre con te, vivo, e tu potessi chiedere consiglio a Vegezio in persona, non pensi che allora potresti vincere?» La donna abbassò lo sguardo e grattò via qualcosa dalla cotta. «Finirà per arrugginire. Questo maledetto paese è troppo umido.» Le torce sibilavano e scoppiettavano in mano ai golem, che rimanevano immobili come statue. Un filo di fumo che odorava di pino si levava verso il cielo. L'ultimo quarto di luna stava scomparendo oltre il bordo delle siepi. Ash si sentiva tutta indolenzita. L'arresto era stato piuttosto violento. Il vino cominciava a fare effetto. Se non sto attenta, pensò, mentre cominciava a ondeggiare sullo sgabello, rischio di dirle la verità senza neanche rendermene conto. E poi? «Sorelle» disse con voce impastata. Lo sgabello scivolò in avanti e Ash si alzò posando una mano sulla spalla del generale per non cadere a terra. «Cristo, donna, potremmo essere gemelle! Quanti anni hai?» «Diciannove.» Dalla bocca di Ash scaturì una risata tremante. «Beccata. Se sapessi l'anno in cui sono nata te lo direi volentieri. Devo avere tra i diciotto e i vent'anni. Forse siamo gemelle. Cosa ne pensi?» «Mio padre incrociava i vari gruppi di schiavi. Penso che tutte abbiamo lo stesso aspetto.» Il faris aggrottò la fronte e toccò la guancia di Ash. «Ho visto qualcun altra di noi quando ero bambina, ma sono tutte impazzite.» «Impazzite!» Ash sentì una vampata di calore e si accorse di essere arrossita. «Cosa pensi che possa dire alla gente? Cosa devo dire faris? Che a Cartagine c'è un Lord-amir pazzo che si diverte a incrociare gli schiavi come se fossero animali e che io sono il risultato di uno di quegli esperimenti?» «Potrebbe sempre essere una coincidenza» cercò di rassicurarla il generale. «Forse ci sono delle probabilità...» «Oh, al diavolo, donna! Siamo gemelle!» Ash fissò gli occhi della ragazza che si trovavano alla stessa altezza dei suoi, poi si concentrò sulla curva delle labbra, sulla forma del naso e del mento: era una donna straniera dai capelli chiari, la pelle abbronzata e una 67
De Rei Militari, scritto dal romano Vegezio, divenne il manuale d'addestramento alla guerra lungo tutto il tardo Medio evo e il primo Rinascimento.
voce che lei pensava fosse simile alla sua, o almeno credeva che agli altri potesse fare lo stesso effetto. «Vorrei non averlo saputo» disse Ash, secca. «Se è vero, allora vuol dire che non sono una persona. Sono un animale. Uno scarto. Posso essere comprata o venduta da chiunque senza avere voce in capitolo perché così è stabilito dalla legge. Anche tu sei come una bestia da tiro. La cosa non ti preoccupa?» «Non mi hai detto niente di nuovo.» Quella frase pose fine a ogni speculazione. Ash strinse la spalla della gemella con una mano e si allontanò. Barcollava, ma riusciva ancora a rimanere dritta. Le alte siepi dell'hortus conclusus la allontanavano dal mondo e Ash rabbrividì malgrado l'armatura fosse imbottita. «Non importa per chi combatto» disse. «Ho firmato un contratto con te e suppongo che questo non sia abbastanza per romperlo, sempre che anche gli altri miei uomini stiano bene. Sai già che sono brava anche se non quanto il tuo 'Golem di Pietra'.» Aveva mentito male, se fosse stata in una recita non avrebbe ingannato nessuno, ma Ash sentiva che non poteva fermarsi, quindi continuò. «So che avete raso al suolo una mezza dozzina delle città commerciali più importanti dell'Italia, so che avete spazzato via gli Svizzeri e così facendo avete spaventato Federico e i Tedeschi al punto da costringerli ad arrendersi. So anche che il sultano di Costantinopoli non si aspetta dei problemi da voi perché il vostro esercito serve per conquistare questa parte d'Europa.» Fissò il volto del generale per vedere se tradiva qualche emozione, ma i lineamenti del faris immersi nel chiaroscuro creato dalle torce rimasero del tutto impassibili. «Anzi, per conquistare la Borgogna, almeno così ha detto Daniel de Quesada, ma io credo che volesse intendere anche la Francia. E poi? Chi altro? I rosbif? Finirete per essere troppo sparpagliati anche se siete in tanti. So quello che faccio, perché lo faccio da sempre, lasciami in pace. Chiaro? E un giorno, quando non sarò più sotto contratto con te, farò in modo che il tuo Lord-amir Leofric sappia esattamente cosa ne penso del suo allevamento di bastardi.» ... E questo vale per tutti, concluse mentalmente Ash. Quanto siamo uguali? È in grado di capire quando mento? Per quello che ne so tutti potrebbero prendere quello che ho detto per una spacconata, figuriamoci una sorella che non sapevo di avere.
Cazzo. Una sorella. Il generale prese la testa d'ottone da terra, la pulì e la rimise sul tavolino accanto all'elmo di Ash. «Mi piacerebbe tenerla come mio luogotenente.» Ash aprì la bocca per rispondere, poi si rese conto che il faris aveva detto 'tenerla' e non 'tenerti'. Il fatto che avesse parlato in quel modo e che avesse lo sguardo come appannato le provocarono una fitta allo stomaco. Non stava parlando con lei. Cadde in preda al panico. Ash fece due passi all'indietro, scivolò sull'erba gelata, rimase in piedi per miracolo, ma colpì il bordo della fontana con la schiena. Il piastrone dorsale scricchiolò e sentì un sapore metallico in bocca. Cominciò ad arrossire come un peperone, come se fosse stata scoperta a fare sesso in un luogo pubblico. Non è vero, non lo è mai stato! pensò. Non avrei mai pensato di vedere qualcun altro che lo faceva! I golem la fissavano da in fondo al prato. Il più vicino ad Ash aveva una ragnatela che partiva dal braccio e terminava su una siepe. La giuntura del gomito era coperta da un sottile strato di ghiaccio. Ash fissò il volto ovoidale della macchina. «Ma vorrei usare lei e la sua compagnia adesso, non dopo» protestò il faris. Non sta parlando con me, si disse Ash. Si sta rivolgendo alla voce. «Abbiamo un contratto» bofonchiò Ash. «Dobbiamo combattere per te. Gli accordi sono questi!» Il generale incrociò le braccia sul petto continuando a fissare le costellazioni che splendevano sopra Basilea. «Se è un ordine, allora non mi resta che ubbidire.» «Non ci credo che senti le voci! Sei solo una fottuta pagana! È tutta una messa in scena!» Cercò di raggiungere la donna, ma scivolò nuovamente e finì carponi. «Mi stai fregando! Non è vero!» Stava continuando a protestare in maniera sconnessa perché non voleva sentire la sua voce interna per paura che la sua gemella potesse accorgersene. Il flusso continuo delle sue parole e la concentrazione che si era imposta per non sentire la voce, non le permisero di seguire tutto il dialogo che la faris stava conducendo con il nulla. «La manderò a sud con la prossima galera.» «No!» Ash si alzò in piedi con cautela. Il generale visigoto abbassò lo sguardo.
«Mio padre Leofric vuole vederti» disse. «Tra una settimana sarai a Cartagine. Non ci vorrà molto, sarai di ritorno prima che il sole sia entrato nella Vergine68 . Saremo un po' più a nord, ma io posso continuare a usare la tua compagnia. Rimanderò i tuoi uomini al campo.» «Baise mon cul!69 » sbottò Ash. Si era trattato di un riflesso puro e semplice: come a nove anni aveva giocato a fare la mascotte del campo, ora che ne aveva diciannove giocava a fare il capitano mercenario che bluffava. Sentiva la testa che le girava. «Non era previsto nel contratto! Se porti i miei uomini sul campo ti costerà parecchio. E se vuoi mandarmi fino in Nord Africa nel bel mezzo di una guerra...» Ash cercò di scrollare le spalle. «Anche questo non era previsto dal contratto.» E appena mi togli gli occhi di dosso, io me ne vado, pensò. Il generale visigoto prese l'elmo di Ash dal tavolo e vi passò sopra una mano, quindi batté le nocche contro il metallo con aria pensierosa e chiuse la visiera. «Darò alcuni di questi ai miei uomini.» Accennò un sorriso. «Ho fatto radere al suolo Milano solo dopo averla svuotata.» «Non c'è niente di meglio delle armature milanesi. Anche quelle degli Asburgo non sono male, ma non penso che tu abbia lasciato molte fonderie nel sud della Germania.» Ash si riprese l'elmo. «Fammi sapere quando vuoi che mi imbarchi. Sono al campo.» Per un secondo ebbe l'impressione di avercela fatta. Pensava che le sarebbe stato permesso di uscire dal giardino, attraversare la città e rinchiudersi nel suo campo in mezzo a ottocento uomini armati fino ai denti, per poi poter dire ai Visigoti di andare in quello che la loro religione ariana considerava l'inferno. «Cosa devo fare con una persona che mio padre vuole vedere, ma che non credo rimanga a disposizione se la lascio andare?» chiese il faris a voce alta. Ash non disse nulla, ma in lei scattò qualcosa. Era come un riflesso condizionato e un attimo dopo si ritrovò ad ascoltare passivamente una voce che le era fin troppo familiare. «Privala delle armi e dell'armatura. Tienila sotto stretta sorveglianza. Falla scortare immediatamente alla nave più vicina.» 68 69
Il 24 agosto. Francese: 'baciami il culo'.
V Un nazir 70 e i suoi uomini la presero in consegna e la condussero fuori dai giardini del castello fino a un edificio di tre piani che Ash riconobbe, grazie alle indicazioni dei suoi esploratori, come il quartiere generale dei Visigoti a Basilea. Oltre il frontone dell'edificio le stelle venivano lentamente inghiottite dall'oscurità. L'alba era vicina. Ash non fece nessun tentativo di fuggire. La maggior parte dei soldati che la stavano scortando era giovani quanto lei e possedevano dei corpi snelli e muscolosi. Guardò i loro volti mentre la facevano entrare nel quartier generale e concluse che se non fosse stato per le divise visigote avrebbero potuto essere tranquillamente scambiati per membri della sua compagnia. «Va bene, va bene!» disse Ash fermandosi. «I quasi quattro marchi che ho nel mio borsellino vi garantiranno una bella bevuta e dopo potrete dirmi come stanno i miei uomini» concluse, sfoderando un sorriso. I due soldati che la trattenevano la lasciarono andare e Ash cominciò a cercare il borsellino con le mani che le tremavano. Il nazir, che doveva avere più o meno la sua stessa età, disse: «Puttana mercenaria.» Ash non ci fece caso. Beh dovevo essere così o come il doppio del nostro capo! Comunque mi trattano come un demone... «Fottuta sgualdrina franca» aggiunse71 . Delle guardie e dei servitori con candelabri entrarono nella stanza. Ash sentì una mano che le tirava la cintura e seppe con certezza che non avrebbe mai più trovato il suo borsellino. Qualcuno urlò degli ordini in cartaginese e lei venne spinta verso il retro della casa attraverso stanze piene di uomini armati fino ai denti, giù per un corridoio dal pavimento in pietra fino a una piccola stanza con una porta di quercia spessa due centimetri e chiusa con una pesante sbarra. C'era solo una finestra larga una trentina di centimetri. Due paggi visigoti la fissarono con aria solenne facendole capire che e70
'Nazir': comandante di una squadra di otto uomini, l'equivalente di un moderno caporale. Era probabilmente subordinato a un 'arif: un sottufficiale che comandava un plotone di quaranta individui menzionato poco sopra. 71 'Franco' è il termine con il quale gli Arabi di quel periodo indicavano gli abitanti del Nord Europa.
rano venuti ad aiutarla a togliersi l'armatura. Ash non protestò e quando ebbero finito fece richiesta di una tunica o qualcosa di simile, ma non servì a nulla. La porta di quercia si chiuse e sentì il rumore della sbarra che veniva fatta scivolare nella sua sede. Una candela colava cera sul candelabro posato a terra. Cominciò a esaminare la stanza camminando a piedi nudi sul pavimento freddo. La stanza era spoglia, non c'erano né un tavolo né un letto e la finestra aveva le sbarre. «Stronzi!» Sapeva che se avesse dato un calcio alla porta si sarebbe fatta male, quindi la percosse con il palmo della mano. «Fatemi vedere i miei uomini!» La sua voce echeggiò contro le pareti. «Fatemi uscire, coglioni!» La porta era talmente spessa che una guardia, ammesso che l'avessero lasciata, non avrebbe potuto sentirla. Usò lo stesso tono di voce che impiegava sul campo di battaglia per dare gli ordini. «Succhiacazzi! Posso pagare il riscatto, Cristo! Fatemi mandare un messaggio.» Silenzio. Ash stirò le braccia sopra la testa e massaggiò i punti dove la corazza le aveva irritato la pelle. Le mancavano così tanto la spada e le sue protezioni metalliche che aveva l'impressione di sentirsele ancora addosso. Arretrò e si sedette sul pavimento a fianco della candela lasciandosi scivolare con la schiena contro la parete. Le mani le formicolavano. Aveva l'impressione che il sangue fosse diventato freddo come l'acqua di un ruscello di montagna. Strofinò le mani. Una parte della sua mente continuava a dirle che non era vero, che quella non era la vita reale. Sei un soldato di scarto, ecco tutto, pensò. È solo una coincidenza. Forse tuo padre era un nazir visigoto qualunque che ha combattuto per il Grifone d'Oro e tua madre era una puttana. Ecco tutto: niente di straordinario. Sei solo uguale al faris. La parte stupefatta della sua mente continuava a ripeterle che anche il generale sentiva la voce. «All'inferno» sbottò Ash ad alta voce. «Non può tenermi prigioniera. Ho un cacchio di contratto con quella donna. Cristo Verde. Non andrò a Cartagine. Possono anche...» Non voleva pensarci. Cercò di farsene una ragione: presto l'avrebbero
portata in Nord Africa, ma non ci riuscì, i suoi pensieri la conducevano sempre altrove impedendole di concentrarsi su quell'eventualità. È come cercare di radunare le anguille in branco, pensò Ash, ridacchiando. Forse il Leone non era mai venuto. No, quello era successo, era stato il prete a fare il miracolo. Forse non mi è successo nulla quel giorno. Forse ho raccontato la storia della cappella a modo mio così tante volte che ho finito per crederci. Aveva freddo. Si rannicchiò e mise le mani sotto le braccia per scaldarle. La faris era stata allevata per ascoltare una macchina tattica. È la mia stessa voce. E io cosa sono? Una sorella? Una cugina? Qualcosa? Gemelle. Sono solo qualcosa che hanno scartato dal loro progetto. E tutto quello che faccio è... origliare. Che sia proprio così? Uno scarto che sta fuori dalla porta intenta ad origliare le risposte da una macchina da guerra e a usarle per piccole e brutali guerre che il potente impero visigoto non nota nemmeno... Volevano un faris, ma anche lei è una schiava. Rimase seduta da sola senza cibo e acqua, intenta a osservare il fumo della candela che, simile all'inchiostro spruzzato da una seppia, si levava nell'aria per confondersi con le ombre che popolavano il soffitto. Il battito del suo cuore sembrava scandire i minuti e le ore. Ash si cinse le ginocchia con le braccia e vi seppellì la testa. Sentiva qualcosa di umido e caldo sulla pelle del viso. Dopo una ferita sul campo si cade preda di una sorta di stordimento. Anche se alle volte ci vuole parecchio tempo prima che succeda, tale reazione è inevitabile. Ora stava cominciando a provarlo e sapeva bene che Fernando del Guiz non sarebbe mai corso a liberarla da quella stanza angusta. Si asciugò il naso con la manica. Il pagamento di un riscatto, un atto di pietà o la violenza non l'avrebbero fatta uscire di prigione; almeno, non per il momento. Aveva annullato il matrimonio impostole dall'imperatore e lui se n'era liberato alla prima occasione. Le faceva male il petto. Stava per mettersi a piangere, ma non se lo concesse. Alzò il volto e fissò la candela. La presenza di Fernando nella sala del municipio prima della mia cattura non è stata una coincidenza, pensò. Era per confermare dov'ero. Per loro. Per lei.
Beh, l'hai avuto, te lo sei scopato: hai ottenuto quello che volevi e ora sai che è un gran codardo. Qual è il problema? Non volevo solo scoparmelo. Dimenticalo. La candela si ridusse a un moncherino. Sono in prigione. Questo non è un romanzo di Artù o Peredur. Non sto per scalare i muri, sconfiggere i soldati a mani nude e cavalcare sotto il sole splendente. La prima cosa che infliggono ai prigionieri di guerra è il dolore, poi vengono le torture, infine un funerale senza i sacramenti e una tomba senza nome. Sono nella loro città. Sono i padroni di tutto. Sentì un disturbo al basso ventre. Posò le braccia sulle ginocchia e tornò ad adagiarvi la testa. Probabilmente si aspettano un tentativo di salvataggio da parte della mia compagnia. Presto. Un attacco condotto senza i cavalli da guerra perché non vanno bene in queste strade. Meglio che stia calma. Il suono più assordante che avesse mai sentito fece tremare la casa. Si paralizzò e un attimo dopo si buttò sul pavimento riconoscendo immediatamente il rumore. Cannoni. I nostri! Il cuore le balzò in gola e gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe potuto baciare i piedi dei suoi soldati. Udì un secondo boato e il tonfo dell'esplosione echeggiò contro il tetto. Per un lungo istante le sembrò di essere tornata in una di quelle gole tra le montagne dove il rumore dei torrenti è così forte da coprire il suono della voce, poi l'oscurità e la polvere vennero maculate dalle fiamme delle torce tenute dai mercenari che si facevano strada tra le macerie e i corpi dei soldati. La polvere cominciò a posarsi a terra. La parete della sua prigione che affacciava sull'esterno era scomparsa. Una grossa trave si spezzò e cadde come un albero abbattuto. Pezzi di intonaco le sporcarono il volto. Fuori dalla breccia c'erano due carri e due cannoncini posati a terra con le bocche ancora fumanti. Ash socchiuse gli occhi e vide Angelotti che si avvicinava a lei a grandi passi con un sorriso stampato sulle labbra. «Abbiamo distrutto il muro! Vieni!» le urlò. L'ultima fila di case della città formava con i suoi muri una parte della
cinta difensiva, quindi gli uomini di Ash oltre a liberarla dalla prigione avevano aperto un vistoso varco nelle difese dell'abitato. Oltre le mura c'erano i campi, le colline e i suoi uomini che si muovevano gridando il suo nome sia come grido di battaglia sia per farsi riconoscere. Ash avanzò incespicando tra le macerie. Il boato dell'esplosione l'aveva intontita, le fischiavano le orecchie e aveva qualche problema d'equilibrio. Rickard le tirò una manica del vestito tenendo i finimenti di Godluc nell'altra. Ash afferrò le redini e premette per un attimo il volto contro i fianchi del cavallo. Una quadrella colpì la parete sollevando una pioggia di frammenti. Una fiumana di uomini vestiti di bianco stava avanzando tra le macerie. Ash balzò in sella a Godluc. Il vestito che indossava non l'avrebbe protetta come la sua armatura. Un uomo le saltò addosso, la afferrò per la vita e la tirò giù da cavallo. Non sentì nessun colpo. Era successo qualcosa. Quello che vedeva davanti ai suoi occhi non era lo stendardo del Leone Azzurro, ma qualcosa di piatto e dorato. Sentì il gelo che le pervadeva il corpo. C'erano dei piedi su entrambi i lati del suo corpo e delle caviglie rivestite con delle piastre di metallo. Erano di fattura europea, non visigota. Un lampo le balenò davanti agli occhi e qualche attimo dopo qualcosa di umido le colò sulla guancia. Un urlo atterrito la assordò; era il grido di un uomo devastato in un istante dal fendente di una spada, che vedeva la sua vita riversarsi sui detriti intorno a lui. Udì un altro uomo urlare: «Mio Dio, mio Dio, no, no...» e poi «Cristo, cos'ho fatto. Cos'ho fatto, Cristo, fa male» e altre urla ancora. Floria imprecava in lontananza. La donna le fu subito vicino e prese a tastarle il cranio. Ash non ne sentiva più una parte. «Non ha l'elmo né l'armatura...» Un altra voce maschile disse «Portala fuori dal casino...» Ash si sentiva cosciente anche se non poteva ricordare quello che era successo un attimo primo. I cavalli da guerra lanciati al galoppo, le salve degli archibugieri e la corsa sotto la luna.. Era stata legata a una barella, ma quanto tempo prima era successo? Stava urlando. Anche gli altri urlavano. Qualcuno la stava caricando su un carro in mezzo a un convoglio che viaggiava lungo una strada fangosa. Una benda sugli occhi le impedì di vedere la luna. Tutto intorno a lei i
carri si muovevano trainati dai buoi e il ragliare dei muli si mischiava con gli ordini e il rivolo di olio caldo che le colava lungo la fronte: Godfrey Maximillian aveva indossato la cappa verde e le stava impartendo l'Estrema Unzione. Era troppo. Lasciò che tutto scivolasse via da lei: gli uomini armati, il campo che veniva smontato e tutti gli altri rumori. Floria le teneva la testa tra le dita sporche. Ash vide delle macchie di grasso che le sporcavano i polsini della camicia. «Non ti muovere» le ordinò il chirurgo. «Rimani immobile!» Ash inclinò la testa di lato, vomitò, lanciò un urlo, quindi cercò di rimanere il più possibile ferma malgrado il dolore alla testa. Si sentiva preda di una strana forma di stordimento. Osservò Godfrey inginocchiato al suo fianco che pregava con gli occhi aperti. Il tempo era diventato solo vomito, dolore, i sobbalzi del carro sulla strada sconnessa, la luce della luna, il giorno sempre buio, la luna coperta dalle nuvole, l'oscurità e la notte. Si risvegliò senza sapere se erano passate ore o giorni dalla sua liberazione e scoprì di versare in uno stato sognante che comunque le permetteva di avere un contatto con il mondo esterno. Udì un borbottio diffuso seguito da un'esclamazione che passava di bocca in bocca per tutta la compagnia. Qualcuno stava gridando. Godfrey si tenne a una delle sponde del carro e sporse la testa fuori. Rickard sedeva a cassetta. Finalmente Ash riuscì a distinguere un nome. Borgogna. Il più potente tra i regni, ripeté mentalmente. Aveva rivelato la sua intenzione di recarsi in Borgogna a Robert Anselm, subito prima di entrare a Basilea. Udì il suono delle trombe. Qualcosa brillò davanti ai suoi occhi. Sono alle porte del purgatorio, pensò Ash. La luce inondò l'interno del carro illuminando le venature del legno e fece risaltare il volto di Floria del Guiz che armeggiava con le mani tra i contenitori d'erbe mediche, i divaricatori, i bisturi e le seghe che teneva nella sua borsa di chirurgo. Non era la luminosità stentorea della luna. Era una luce gialla e forte. Ash cercò di muoversi, ma emise un lamento e sentì la bocca che le si riempiva di saliva. La grossa mano di un uomo le premette sul petto facendola sdraiare. La luce le permise di vedere lo sporco tra le pieghe della pelle. Godfrey non la stava guardando in volto. Una luce calda brillava sulla pelle rosea e sulla barba del prete e poté vedere nei suoi occhi il riflesso di quella luminosità crescente.
Improvvisamente qualcosa separò la barella dal fondo del carro. Vide un'ombra calare sul suo corpo. La luce splendeva sulla coperta che le avvolgeva le gambe e sobbalzava a ritmo con il carro. Era un raggio di sole. Cercò di alzare la testa, ma non ci riuscì. Poteva muovere solo gli occhi. Dal retro spalancato del carro erano visibili una miriade di colori. Sentì gli occhi che le si riempivano di lacrime. Riuscì a mettere a fuoco un collina lontana sulla quale spiccavano le mura bianche di una città fortificata. Il profumo delle rose, del miele e l'afrore pungente dello sterco di vacca la raggiunsero e le pervasero le narici. Il sole. Fu colta da un'ondata di nausea e vomitò riversando un rivolo di liquido maleodorante sul mento. Il dolore che provava per la frattura al cranio le fece lacrimare nuovamente gli occhi. Sebbene agonizzante e terrorizzata dal dolore, riusciva solo a pensare al sole che stava vedendo. Uomini induriti da dieci anni di massacri sui campi di battaglia si gettarono in ginocchio a battere il terreno con le mani seppellendo il volto nell'erba umida. Donne che non facevano differenza tra cucire una ferita e un vestito li imitarono. I cavalieri balzarono giù dalle selle. Erano tutti a terra immersi nella luce calda del sole e cantavano: 'Deo gratias, Deo adiuvante, Deo gratias72 !'
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Latino: 'Grazie Dio', 'con l'aiuto di Dio'.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ask: La storia perduta della Borgogna (Ratcliff, 2001), British, Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#47 (Anna Longman) Ash: scoperte archeologiche 09/11/00 ore 00,03 Format dell'indirizzo Ngrant@ e altri dettagli ancellati
Prima di tutto voglio scusarmi per essere sparito per due giorni. Qui sono sembrati poco più che minuti! Sono successe un mucchio di cose e c'è una troupe televisiva che sta cercando di entrare. Grazie all'aiuto delle autorità locali. Il dottor Isobel ha creato un formidabile cordone di sicurezza intorno al sito. È probabile che tu non abbia visto niente di tutto ciò in televisione. Se fossi in Isobel non sarei così felice di avere tutti questi soldati che ronzano intorno al sito. Quando penso a quello che potrebbero distruggere inavvertitamente mi si gela il sangue nelle vene e non solo in senso figurato. Prima di continuare *devo* scusarmi per le cose che ho scritto giovedì riguardo il dottor Napier-Grant. Io e Isobel siamo amici da molti anni, ma c'è sempre una certa distanza tra noi. Temo che il mio entusiasmo riguardo le scoperte mi abbia ridotto a un idiota farneticante. Spero che tu consideri tutto ciò che ho scritto come confidenziale. Non dispongo delle conoscenze tecniche che Isobel ha nel campo dell'archeologia, ma lei vuole che rimanga e le fornisca notizie storiche sul tardo quindicesimo secolo. Lei è una specialista del periodo classico e quei manufatti risalgono al Medio Evo. Il golem 'messaggero' è stato esaminato con strumenti avanzatissimi e posso assicurarti, Anna, che questa cosa un tempo camminava. Non so dirti *come*, però. Non abbiamo trovato ancora una fonte propulsiva o qualcosa che gli somigli. Isobel e la sua squadra sono perplessi. Lei non può credere che la descrizione dei golem riportata negli scritti su Ash sia solo una coincidenza o una favola medievale. Non ci vuole proprio credere. Anch'io sono confuso. In un certo senso non avremmo dovuto trovare quello che abbiamo scoperto in questo luogo. Certo, ho tra le mani la prova di un insediamento tardo gotico sulla costa del Nord Africa, ma ho
sempre saputo che i riferimenti a Cartagine riportati sui manoscritti non erano solo una licenza poetica. NON C'È CARTAGINE! Dopo le guerre puniche, Roma cancellò Cartagine dalla faccia della terra. Cartagine e i Cartaginesi smisero di esistere nell'anno 146 AC. Il successivo insediamento romano che sorgeva sullo stesso punto, chiamato dai Romani stessi Cartagine, venne distrutto dalle invasioni dei Vandali, dei Bizantini e degli Arabi nell'ultima parte del settimo secolo DC e le rovine che ora si trovano fuori Tunisi sono solo una bella attrazione turistica. 'Delenda est Cartago' come usava dire Catone durante le sedute del Senato romano ogni volta che gli si presentava l'occasione: 'Cartagine deve essere distrutta'. E così fu. Due generazioni dopo che l'armata cartaginese guidata da Annibale era stata spazzata via da Scipione a Zama, Roma aveva deportato gli abitanti di Cartagine, dopodiché aveva demolito la città, fatto arare il terreno per poi ricoprirlo di sale affinché non potesse crescervi più nulla - un po' eccessivo, forse, ma a quel punto della nostra storia si trattava di avere un impero romano o un impero cartaginese e i Romani, in quanto vincitori, fecero in modo di non avere più problemi da quella zona. La storia cancella tutto. Fino a dieci anni fa non eravamo certi che le rovine che si trovavano sulla costa vicino a Tunisi fossero quelle di Cartagine! Io devo supporre che la spedizione visigota giunta dall'Iberia si fermò, proprio come i Romani prima di loro, in un luogo chiamato Cartagine che si trovava a una distanza ragionevole dal sito originale. Se questo è successo solo nell'Alto Medio Evo, allora è probabile che ci siano dei riferimenti nelle cronache del tempo e io intendo vagliare con molta attenzione le fonti islamiche in cerca di prove. La mia teoria rimane la stessa. E ora ho una prova inconfutabile della sua veridicità! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#48 (Anna Longman) Ash: progetti per i media 09/11/00 ore 00,27 Format dell'indirizzo Nagrat@ e altri dettagli ancellati
Scusa, ho dimenticato di controllare la posta! Isobel ha appena scaricato la tua e-mail e ha trovato molto interessante la tua proposta ed è rimasta molto compiaciuta di come la descrivi. Ha detto: 'Questa donna mi fa somigliare a Margaret Rutherford!' Hai ragione, malgrado abbia solo quarantuno anni e una predilezione per le commedie in bianco e nero *somiglia* a Margaret Rutherford. (Fortunatamente per noi, Isobel è più chic.) Stiamo decidendo cosa è meglio fare, data una certa tensione tra l'effetto riduttivo che la televisione esercita sulla ricerca scientifica e l'indubbia pubblicità per l'archeologia e la letteratura. E, se posso essere onesto, stiamo discutendo dell'attrazione che la pubblicità esercita su di me. Non vorrei perdere i miei quindici minuti di gloria, per niente al mondo. Specialmente se penso che qualcun altro mi pagherebbe per il privilegio. Credo che riceverò un compenso di qualche tipo, giusto? Isobel desidera considerare le possibilità e consultarsi con il suo team. Dovrei essere in grado di scriverti qualcosa già tra qualche ora. Ora che riesco a capire come funziona INTERNET ti spedisco la prossima sezione di 'Ash'. Leggila, mentre noi continuiamo a cercare. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Ms Longman —
#49 (Anna Longman) Forse un messaggio? Ash: progetti. – Copia mancante 02/11/00 ore 20,55 Format dell'indirizzo Longmant@ e altri dettagli cancellati
Provo una certa riluttanza a parlare con il suo comitato editoriale in teleconferenza. Le linee telefoniche non sono buone e ho i miei seri dubbi che siano sicure. Le verrò a parlare di persona appena potrò allontanarmi dal sito. Le sarei grata se potesse mettermi in contatto con un'associazione di agenti letterari o televisivi, ammesso che ne esista una. La mia Università è in grado di entrare nelle trattative. Non vedo nessuna ragione per la quale non dovremmo raggiungere un
accordo. Il metraggio della nostra squadra addetta alle riprese è stato spedito per via digitale al mio dipartimento all'università di.......... e lo stanno analizzando. Le suggerisco di mettersi in contatto con il mio dirigente di dipartimento, Stephen Abawi, per accordarvi su come usare i filmati e per pubblicizzare il lavoro del dottor Ratcliff. Seguendo un suggeriemento del dottor Ratcliff, sto incoraggiando il team addetto alle riprese a filmare anche ciò che 'circonda' la nostra scoperta archeologica. Intendo parlare di come la vivono i singoli componenti della spedizione. Non sarà una sezione molto lunga perché i soldati di guardia non amano farsi riprendere neanche dietro un piccolo compenso in denaro. Comunque sono d'accordo con il dottor Ratcliff che quel materiale sarà comunque utile per un documentario su quanto è successo qua. È possibile che io e il dottor Ratcliff collaboriamo alla stesura di un testo per il documentario. Sto pensando di usare delle citazioni dal vecchio materiale edito su Ash. Conosce l'edizione del 1890 di Charles Mallory Maximillian? ... la grande ruota medievale della Fortuna è sempre in movimento; la dea Fortuna è sempre all'opera per sollevare un uomo dalla povertà, incoronarlo re e scagliarlo nella follia e nell'oscurità che albergano sotto la ruota, ovvero la morte e l'oblio. Nel 1477, la Borgogna sparisce dalla storia e dai ricordi sul campo di Nancy. Giace fredda e immota come il cadavere gelato di Carlo l'Intrepido, uno dei più fulgidi principi della Cristianità, il cui corpo decapitato era stato straziato e martoriato a tal punto che i nemici pensarono per due giorni che fosse quello di un contadino soldato. Ricordiamo un regno d'oro. Tuttavia, la ruota della storia gira, e il passato si perde... Qui sulla costa della Tunisia la Ruota ha ripreso a girare. — Salve. Napier-Grant —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#63 (Pirce Ratcliff) Ash: documenti 10/11/00 ore 13,55
Da:
Longman@
Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Pierce — Ringrazia il dottor Napier-Grant per la sua e-mail. Le tue notizie riguardo il golem messaggero sono stupefacenti. Non so neanche bene come usarle. Te lo dico perché non sono sicura su cosa farne. Voi avete trovato il golem. Io ho perso il manoscritto dell'Angelotti. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#50 (Longman) Ash: 10/11/00 ore 14,38 Ngrant@
Anna —
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Non capisco. Come hai fatto a PERDERE il testo dell'Angelotti? È custodito in una delle quattro maggiori collezioni di libri al mondo! Spiegati meglio! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#66 (Pierce Ratcliff) Ash: 10/11/00 ore 14,51 Longmant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
No. Non è scomparso. Volevo controllare di persona le notizie sull'invasione dimenticata di cui parli. Se non fossi a Tunisi con il dottor Grant - e se quello che avete trovato non fosse un golem - avrei già bocciato il tuo libro. Davvero. NON ESISTE NESSUN MANOSCRITTO DELL'ANGELOTTI! Il problema non è rappresentato da un'invasione dell'Europa da parte dei Visigoti spazzata sotto il tappeto della storia. Il PROBLEMA è che volevo consultare il manoscritto dell'Angelotti di persona e ho telefonato al Metropolitan Mueseum of Art e al Glasgow Museum. Quest'ultimo non ha più una copia latina del manoscritto attribuito ad 'Antonio Angelotti'. Sia la British Library che il Metropolitan Museum ora lo classificano tra le Letteratura Romanza del Medio Evo. È un ROMANZO, Pierce! COSA STA SUCCEDENDO? —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#54 (Longman) Ash/Agelotti 10/11/00 ore 16,11 Ngrant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Ho contattato Bernard al Glasgow Museum. Mi ha detto che non sa dove sia il testo dell'Angelotti, non lo tengono più tra gli scaffali o 'forse' l'hanno prestato a qualche altra istituzione. Mi ha chiesto come mai volevo studiare un testo tanto inutile per gli storici visto che è considerato un FALSO che risale al diciassettesimo secolo. Non so cosa stia succedendo! Sia Charles Mallory Maximillian che Vaughan Davies non hanno dubbi sulla veridicità del manoscritto! Nel 1890 e nel 193 9 era catalogato come documento del quindicesimo secolo. E quando l'ho consultato era ancora nel CATALOGO sotto quella voce! Non mi è mai successo niente di simile nel corso della mia carriera accademica! Non possono averlo riclassificato negli ultimi sei mesi!
Non sono riuscito a trovare qualcuno che volesse parlarmi e non posso andare via di qui. Se esco dal sito non potrei più rientrare. Devi occuparti tu di questa storia. Per il nostro libro. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#69 (Pierce Ratcliff) Ash, testi 10/11/00 ore 16,55 Longmant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Cos'altro ci aspetta, Pierce? Uno dei manoscritti che citi è un falso e i golem sono veri? Cercherò di fare il possibile. Non riesco a capire. Dammi una lista di documenti da controllare. Capisco che gli storici vittoriani non fossero rigorosi come quelli moderni. In quel periodo hanno falsificato più di un manoscritto. Ma ci sono state due edizioni precedenti prima della tua: possibile che anche Vaughan Davies si sia fatto ingannare? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#50 (Anna Longman) Ash, testi 13/11/00 ore 00,45 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Sono d'accordo con te sul fatto che Vaughan Davies dovrebbe essere stato in grado di scoprire se i documenti erano falsi. Tu sei abbastanza gentile
da non dirlo, quindi devo farlo io. Quella che segue è una lista dei principali documenti su cui ho lavorato. Sono tutti autentici: Il WINCHESTER CODEX, 1495 circa, traduzione in inglese da un testo originale in latino (1480?). Infanzia di Ash. La vita di del Guiz, 1516 circa, ritirato, epurato e pubblicato nuovamente nel 1518. Originale tedesco. Più una versione di Ortense Mancini, diciassettesimo secolo circa, un'opera teatrale, che l'autrice dice di aver tradotto da un manoscritto in latino del sedicesimo secolo di cui non esistono tracce. Copre la vita di Ash dal 1472 al 1477. Il CARTULARIO del monastero di santa Herlaine, 1480 circa, tradotto dal francese. Breve menzione di Ash come novizia dal 1467 circa al 1498. 'PSEUDO-GODFREY', 1478 (?), un testo germanico di dubbio valore, trovato a Colonia nel 1963; la carta e l'inchiostro sono originali, ma forse è un apocrifo del tempo che cercava di sfruttare la popolarità del ciclo di Ash. Copre la vita di Ash dal 1467 al 1477. Il manoscritto dell'ANGELOTTI, Milano, 1487, posto alla fine di un trattato sulle armi appartenuto alla famiglia Missaglia. Copre la vita di Ash dal 1473 al 1477. *FRAXINUS ME FECIT', forse è una autobiografia di Ash, quindi deve essere stata scritta non più tardi del 1477; se si tratta' invece di una biografia, tra il 1477 e il 1481 (?). Copre il periodo che va dall'estate del 1475 (6?) all'autunno 1476. Due edizioni del materiale su Ash sono: Charles Mallory Maximillian (ed.) ASH: LA VITA DI UN CAPITANO MERCENARIO DEL MEDIO EVO, J Dent & Son, London, 1890, ristampato 1892, 1893, 1896, 1905.
Traduzione dei documenti che ho appena menzionato tranne lo 'Pseudo-Godfrey' (e, chiaramente, il - 'Fraxinus'). CMM ha incluso un poema del - diciassettesimo secolo scritto da Lord Rochester - probabilmente basato su un episodio della vita di - Ash, ma delle ricerche fatte in seguito hanno dimostrato che probabilmente quell'evento non è mai - accaduto. CMM era titolare della cattedra di storia a - Oxford in quel periodo, quindi è possibile che abbia - avuto accesso a un gran numero di testi. Vaughan Davies (ed.), ASH: UNA BIOGRAFIA DEL QUINDICESIMO SECOLO, Victor Gollancz Ltd, 1939. Mai ristampato a causa della scomparsa delle matrici. Stessi documenti presenti nell'opera di CMM. Si - diceva che ne esistesse un'edizione pirata in formato - tascabile stampato dalla Starshine Press di San - Francisco (1968), ma io non l'ho mai vista. Questa edizione originale del 1939 esiste, anche se - incompleta, solo alla British Library. Il - magazzino - dell'editore venne distrutto da un bombardamento - durante la guerra che bruciò le scorte di libri e - diede un taglio alla carriera di Vaughan Davies come - scrittore. Non sempre tutti i libri di storia sono - scritti da un uomo con tali credenziali - scientifiche e storiche. Questo è tutto quello che ho a disposizione, penso che ci possano essere un paio di conferme nella letteratura moderna, ma non ho con me quei dati. Ho appena completato la traduzione di una sezione del materiale di del Guiz/Angelotti e te la spedisco in allegato. Isobel insiste nel farmi finire immediatamente il 'Fraxinus me fecit' per lei e vuole che sia una traduzione molto meticolosa. Io penso che lo sia, ma solo lei può confermarmelo. Contattami al più presto. NON SO COSA STIA SUCCEDENDO. Sono stato un accademico per vent'anni: non credo di aver commesso un errore o una serie di errori - di tale portata.
— Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#73 (Pierce Ratcliff) Ash, documentazione 13/11/00 ore 22,03 Longmant@
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Ho preso un giorno di ferie e mi sono chiusa nella British Library. Non volevo dare troppe spiegazioni in ufficio visto che il tuo libro è stato messo tra le novità del catalogo primaverile. Ho avuto dei gravi problemi. Non riesco a trovare alcuni dei documenti di cui parli. Lo Pseudo Godfrey e il. Cartolario (il registro, credo) del monastero di santa Herlaine. A dire il vero non ho trovato neanche una traccia di quel monastero. Ho trovato alcune parti della vita di Ash scritta da del Guiz, ma non ti piacerà leggere quanto segue. Nel 1890 era classificato sotto la voce 'Storia del tardo Medio Evo'. Charles Mallory Maximillian era chiaramente tranquillo quando fece la sua traduzione, ma nel 1939 il testo in latino venne classificato nuovamente, ma sotto la voce 'Letteratura Romanza' insieme ai Nibelunghi! Ho trovato un riferimento alla tua edizione americana di Vaughan Davies del 1968 che contiene parte del manoscritto di del Guiz e tutto viene classificato sotto la voce 'Romanzi'! E per guanto riguarda la British Library, non ne hanno neanche una copia. E non hanno neanche una copia del manoscritto di Angelotti. Da quello che ho capito nel 1890 pensarono che questo materiale fosse originale; nei tardi anni trenta scoprirono che era una raccolta di falsi, ma Vaughan Davies decise di ignorare tali scoperte. Quello che mi chiedo e non capisco, Pierce, è perché anche TU hai deciso di ignorarle? Andrò a parlarne con il direttore generale, a meno che tu non mi dia una spiegazione convincente. — Anna Longman
—————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#730 (Anna Longman) Ash, scoperte archeologiche 13/11/00 ore 00,45 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Non ho ignorato niente. Quando ho consultato quei documenti alla British Library, due mesi fa, erano classificati sotto la voce 'Storia Medievale'. Non c'era NIENTE che facesse supporre che fossero altro. Ti prego di non fare nessun gesto avventato. Se quei documenti sono inaffidabili come mai abbiamo trovato delle PROVE ARCHEOLOGICHE che dicono il contrario?! — Pierce
PARTE QUARTA 13 AGOSTO - 17 AGOSTO AD 1476 Il Giardino della Guerra I Il corpo della ragazza giaceva su un materasso imbottito di piume d'oca. Era impossibile dire se il giaciglio era troppo morbido o se era lei che non vi era abituata. La ragazza era in stato di incoscienza. Di tanto in tanto dondolava la testa. Il cranio era stato rasato sopra l'orecchio sinistro, ma una fine peluria stava cominciando a ricrescere. L'avevano legata al telaio del letto per impedirle di muoversi. Sembrava agitata e febbricitante. Qualcuno le aveva lavato e intrecciato i capelli in modo che non diventassero una massa sudaticcia e inestricabile. A volte sentiva una voce che imprecava per scacciare i diavoli, altre volte un litigio a bassa voce tra donne. Qualcuno le versò sulla fronte dell'olio che le colò sul naso e su una guancia sfregiata. Quando sollevarono le lenzuola di lino vide che metà del suo corpo era ricoperta di escoriazioni. Il polso e la caviglia destri erano fasciati con una benda imbevuta di una poltiglia curativa. Qualcuno la lavò con l'acqua presa da un catino d'argento. Le api volavano per la stanza e si posavano sui fiori tenuti sul davanzale. Il verso basso e ritmico delle colombe echeggiava fuori dalla finestra. Mentre la giravano per finire di lavarla vide una di queste con il capo e il becco avvolti da un'aureola di luce e gli occhi dorati: lo Spirito Santo albergava nella piccionaia insieme alle altre colombe. Poi sentì un forte bruciore e urlò. La legarono nuovamente al letto e le voci intorno a lei ripresero a litigare. C'era sempre la luce. All'inizio era un pallore roseo che filtrava attraverso le imposte e cresceva di intensità fino a diventare giallo brillante con il passare del tempo. La luce si rifletteva sull'acqua contenuta nella brocca posata sul baule e screziava il soffitto bianco. Una volta sentì un'ala che la carezzava. Le piume erano bianche e rigide come quelle dei cigni, ma con le punte dorate come quelle riprodotte nei manoscritti. Due persone discutevano vicino a lei degli angeli e degli altri
spiriti dell'aria che sono i diavoli o forse antichi dèi pagani indeboliti dalla mancanza di adoratori. Vide oltre il soffitto della cella una serie di cerchi concentrici ognuno dei quali era bordato di volti e ali. Dietro le figure dei santi spiccavano altri cerchi dorati e sottili come il graffio di un coltello. Erano le aureole, calde come il metallo che colava dalla fornace di un fabbro. Cercò l'immagine del Leone, ma non la trovò. La stanza era illuminata da una luce dorata. Prese a tremare e delle mani risollevarono la coperta. Un volto dai lineamenti duri e la pelle chiara si avvicinò al suo. I capelli erano biondi e corti. Ash non riusciva a parlare. Qualcuno le versò in bocca dell'acqua che finì in parte sulle lenzuola e in parte nella gola riarsa. Sentì una fitta di dolore. Aveva male a un braccio e a una gamba, la mano sana sussultò afferrando la cinghia che la tratteneva al letto. Delle dita la liberarono. Si tastò il corpo fin dove riusciva da quella posizione. Era di nuovo integra. La testa le doleva ancora. Si toccò la guancia e provò una fitta di dolore. Sondò l'interno della bocca con la lingua e scoprì di essersi rotta due denti posteriori. «Thomas...» «Thomas Rochester e gli altri sono vivi, ragazza.» Le diedero da bere altra acqua ma in questa erano state disciolte delle erbe e lei, volente o nolente, dovette inghiottire. Cercò di resistere al sonno finché non rivide la luce che tornava a far capolino tra le imposte. Ricordava un'oscurità che sembrava non finire mai, un cielo nero, la notte eterna, il terreno che gelava come in inverno anche se erano nel pieno della stagione del raccolto. «Ci seguiranno.» «Zitta...» Si addormentò improvvisamente, quasi senza rendersene conto. «Non mi porteranno a Cartagine!» biascicò prima di sprofondare in un sonno profondo. II Si svegliò calda e sudata. Un incubo scivolò via da lei come un'onda che si ritira dalla battigia. Ash aprì gli occhi e il delirio si tramutò in consapevolezza.
Merda! pensò. Quanto tempo sono stata così? Quanto tempo ci vorrà prima che il faris mi insegua o mandi una squadra a rapirmi? «Sei stata calpestata da un cavallo» le spiegò la voce di Floria del Guiz. «Facciamo tanto per la gloria della battaglia...» Ash cercò di mettere a fuoco la vista. «Seppellita a causa di uno scherzo tra soldati73 » «Stupida idiota.» Il telaio del letto scricchiolò sotto il peso del chirurgo che si sedeva e Ash sentì il suo corpo che veniva sollevato da un paio di braccia calde e robuste. Pensò di sentire un altro corpo contro il suo poi si rese conto che i seni che premevano contro la sua guancia erano quelli di Floria, che la donna chirurgo la stava cullando e che il suo corpo era debolissimo. La voce tranquilla di Florian le ronzava nell'orecchio, ma Ash percepì le parole più attraverso le vibrazioni trasmesse al suo corpo che direttamente dalla voce. «Suppongo che tu voglia sapere in che condizioni di trovi, giusto? Sei il capo.» «No...» «Giusto.» Dovresti lavarti, pensò Ash sentendo l'odore del sudore che impregnava gli abiti del chirurgo. Abbandonò la testa contro il petto di Florian e la cella cominciò a ondeggiare. «Oh, merda...» Il peso dei due corpi abbracciati aveva infossato il materasso. Ash alzò gli occhi al soffitto e seguì la traiettoria di un'ape che ronzava nella stanza. L'abbraccio del chirurgo era il benvenuto. «Sei molle come una palla di sterco» le disse la voce roca del medico. «E non posso fare di più.» Ash udì un coro di donne che cantava in lontananza. La piccola stanza era pervasa dal profumo della lavanda. Deve crescere qua vicino, pensò. Non c'era niente di suo nella stanza. «Dov'è la mia cacchio di spada? E l'armatura!» «Ah, questa è la ragazza che conosco!» Ash fissò Floria. «So che morirò prima di raggiungere i trent'anni. Non possiamo essere tutti Colleoni74 o Hawkwood75 . Quanto ci sono andata 73
Hoc futui quam lude militorum. Cito la traduzione idiosincratica di Vaughan Davies dal Latino rozzo del testo. 74 Bartolomeo Colleoni (1403 -1475) era morto l'anno prima. Un famoso condottiero che i Veneziani assoldarono più volte a partire dal 1455, visse fino all'età di settantadue anni conservando il grado di generale delle forze veneziane e scoraggiò la Serenissima ad andare a nord delle Alpi dal suo
vicina?» «Non penso che il cranio sia rotto... l'ho ricucito e ho pronunciato gli incantesimi del caso. Se ascolti i miei consigli rimarrai a letto per tre settimane. Se succedesse sarebbe la prima volta in cinque anni che mi dai ascolto!» Il chirurgo l'abbracciò con più forza. «Non posso fare altro per te, davvero. Riposa.» «A quante leghe distiamo da Basilea?» chiese Ash. «Cosa è successo alla mia compagnia?» Floria del Guiz sospirò. «Perché non sei come tutti gli altri miei pazienti e cominci con chiedermi: 'dove sono?' Sei in un convento fuori Digione, in Borgogna, e la compagnia è accampata a circa un chilometro in quella direzione.» Il lungo dito della donna fendette l'aria davanti al naso di Ash indicando fuori dalla finestra. «Digione?» Ash strabuzzò gli occhi. «Ma siamo lontanissimi dai cantoni. Siamo dall'altra parte del France-Comté. Mio Dio. Digione... Tu sei una fottuta Burgunda, Florian, aiutami. Conosci il posto?» «Dovrei.» La risposta di Floria sembrava piuttosto acida. Si sedette. «Ho una zia che vive a sei leghe da qui. Zia Jeanne dovrebbe essere a corte insieme al duca.» «Il duca Carlo è qua?» «Oh è qua con tutto l'esercito e i mercenari. I prati fuori la città sono coperti di tende!» Florian scrollò le spalle. «Suppongo che sia venuto direttamente qui dopo l'assedio di Neuss. Questa è la capitale meridionale del regno.» «I Visigoti hanno attaccato la Borgogna? Come procede l'invasione?» «Come faccio a saperlo visto che sono stata tutto il tempo qui a curarti, stupida stronza!» Il disprezzo che il chirurgo aveva per le questioni familiari fece sorridere Ash. «Non si parla così al tuo capo.» Floria si girò in modo che potessero guardarsi in faccia. «Io lo faccio quando mi pare e piace, hai capito 'stupida stronza di un capo'?» castello di Malpaga, perché temeva che in sua assenza Milano avrebbe attaccato Venezia! Quelli che volevavano veramente incontrarlo, per esempio re Edoardo IV di Inghilterra nel 1474, dovevano andare da lui. 75 Sir John Hawkwood, famoso mercenario inglese comandate della Compagnia Bianca (1363 -1375), prestò un lungo e profiquo servizio in Italia e morì vecchio nel 1394.
«Così va meglio. Cavolo.» Ash cercò di sedersi, ma ricadde all'indietro con una smorfia di dolore. «Che razza di chirurgo sei? Sono mezza morta.» «Posso mettere in sesto l'altra metà quando vuoi...» Floria le tastò la fronte con il palmo della mano ed emise una sorta di grugnito preoccupato. «Ogni giorno tre quarti degli uomini vengono in pellegrinaggio fin qua per cercare di parlarti» aggiunse il medico. «Cos'hanno? Non riescono a riconoscere un convento neanche quando lo vedono? Non riescono a pulirsi il culo da soli senza che ci sia tu a dire loro come fare?» «Sono soldati.» Ash premette le mani contro il materasso per cercare di alzarsi di nuovo. «Merda! Sei hai detto loro che non posso riceverli perché ho il cranio rotto...» «Non ho detto niente. Questo è un convento e loro sono uomini.» Floria sorrise sorniona. «Le sorelle non li fanno entrare.» «Cristo! Penseranno che sia moribonda o già morta! Andranno a cercarsi un altro capitano prima ancora che tu possa dire condotta! 76 » «Non credo.» Floria emise un lungo sospiro, si alzò dal letto, le sollevò il dorso e le mise dei cuscini sotto le spalle e la testa. Ash si morse le labbra per evitare di vomitare. «Non credi? Perché?» «Oh, tu sei un eroe.» Floria sghignazzò e si avvicinò alla finestra della cella. La luce del giorno mise in evidenza gli occhi cerchiati e le rughe intorno alla bocca. «Tu sei la Leonessa! Li hai salvati dai Visigoti, li hai portati via da Basilea e li hai guidati fino in Borgogna, gli uomini credono che tu sia fantastica!» «Cosa?» «Joscelyn van Mander aveva gli occhi umidi. L'ho sempre detto che voi soldati siete dei dannati sentimentali.» «Diavolo.» Ash sentì il cuscino che cedeva sotto il suo peso ed ebbe un capogiro. «Non avevo nessun diritto di andare a Basilea in cerca del faris, ho messo in pericolo i miei uomini. Mi ha fottuta, Florian. Gli altri devono saperlo.» «Attenta, che se metti il naso fuori di qui lanceranno petali di rosa sul tuo cammino, ma è anche vero che se oggi provi a scendere dal letto è molto probabile che ti seppelliamo entro domani.» 76
Il 'contratto' italiano dal quale deriva la parola condottiero.
«Un eroe!» «Non l'hai notato?» Il chirurgo indicò il cielo. «Il sole. Li hai riportati dove splende il sole.» «Li ho portati...» Ash non riuscì a terminare la frase. «Quando è tornato il sole? Prima che raggiungessimo la Borgogna?» «È ricomparso appena abbiamo attraversato il confine.» Floria aggrottò la fronte. «Credo che tu non mi abbia capito. Il sole splende solo su questo regno. Solo sulla Borgogna. Il resto dell'Europa continua a essere immerso nel buio.» Ash si leccò le labbra. Le sentiva secche. No, non può essere. Non solo qui! Ash spinse via la scodella piena d'acqua che il chirurgo stava cercando di portarle alle labbra, quindi la prese con le mani e ne sorseggiò il contenuto aggrottando la fronte a sua volta. Hanno fatto riapparire il sole, ma solo in Borgogna. Perché solo qua? A meno che il Crepuscolo Eterno si espanda fino... Fino a dove le armate della terra Sotto Penitenza riescono a invadere. No, come potrebbe essere? Forse il Crepuscolo Eterno non ha ancora raggiunto le regioni del nord come la Francia e la parte bassa dell'Inghilterra. Merda, ho bisogno di parlare con qualcuno! «Se i ragazzi pensano che sono stata io a tirarli fuori dai guai, e solo il Cristo Verde sa cosa li ha indotti a farlo» continuò Ash, dando voce ai suoi pensieri «a me va bene. Più stanno dalla mia parte, meglio è. Dannazione, Florian, tu sei borgognone, vero? Quante possibilità abbiamo di ottenere un contratto qua, visto che non molto tempo fa ho cercato di uccidere il duca?» Ash abbozzò un sorriso. «La tua zia Jeanne potrebbe introdurci a corte?» Florian assunse un'espressione severa. «Meglio che parli con Robert Anselm entro oggi» le rammentò. «Probabilmente tu non morirai se non lo fai, ma lui sì.» Ash batté le palpebre e per un attimo la sua attenzione fu distolta dal pensiero dei Visigoti. «Robert? Perché?» «Chi pensi ti abbia calpestato a Basilea.?» «Oh, merda.» Florian annuì. «È seduto fuori dai cancelli del convento. Lo so perché ha dormito là.»
«Da quanto tempo sono qua?» «Tre giorni.» «Da quanto tempo è là fuori? Non dirmelo. Tre giorni.» Prese la testa tra le mani e sussultò dal dolore non appena le dita sfiorarono la ferita. Si fregò gli occhi e si rese conto di indossare solo una maglia e di avere bisogno di un vaso da notte. «Chi è che manda avanti la compagnia, allora?» «Geraint-il-Gallese-bastardo.» Floria strabuzzò gli occhi. «O almeno gli altri credono che sia quello il suo nome. Lavora in coppia con padre Godfrey. Sembra che abbiano tutto sotto controllo.» «Davvero! Mio Dio! Allora è meglio che mi sbrighi a riprendere il comando se non voglio che il Leone Azzurro si trasformi nella compagnia di Geraint ab Morgan mentre sono seduta con il culo in un letto dentro un convento!» Ash strofinò i palmi delle mani contro il volto. «Hai ragione. È meglio che mi alzi. Mi sento come se il cavallo stesse continuando a calpestarmi. Vedrò Roberto e anche la padrona di questo posto. Voglio vestirmi.» «E visto che i tuoi uomini non possono entrare ti aspetti che io faccia le veci del tuo paggio, giusto?» chiese Floria, in tono ironico. «Potresti anche imparare a fare il paggio visto che come chirurgo fai schifo.» Floria del Guiz scoppiò in una risata aperta e liberatoria, molto diversa dal suo solito sghignazzo controllato e si batté una pacca sulla coscia. «Sei una puttana ingrata!» «Nessuno ama una donna onesta.» Un ricordo le fece affiorare un sorrisetto scontento sulla bocca. «O forse sono solo una sgualdrina di strada.» «Una cosa?» «Non farci caso. Cristo, adesso sono ben lontana da lì.» E intendo mantenere sempre il massimo della distanza tra me e il faris. Va bene, per il momento siamo abbastanza lontani e posso tranquillizzarmi. Cosa faccio adesso? Non so nulla di quello che è successo ultimamente! Ash spostò con fatica le gambe e si sedette sul bordo del letto. Il sangue cominciò a martellarle le tempie con tanta violenza da non farle più udire le colombe che tubavano fuori dalla finestra. Ondeggiò vistosamente. «Povero Robert. Doveva proprio essere lui. Trovami una sedia o uno sgabello. Non voglio che mi veda conciata come se dopo di lui dovessi ricevere il Sinistro Mietitore!» Ash si interruppe per un attimo. «Questo è
un convento, giusto? Non dovrò mettermi l'abito?77 » Florian rise di nuovo e si diresse verso un baule carezzandole la testa mentre le passava accanto, con un gesto gentile e colmo d'affetto: Ash se ne accorse appena. «Ho mandato Rickard a prendere la tua roba. La sorella non mi avrebbe permesso di portare una spada entro i confini del convento, ma» Floria tirò fuori una maglia, un farsetto e dei pantaloni «ho fatto prendere quello verde e oro e un vestito di velluto. Il capo è contento?» «Il capo è più che contento.» Finito il rituale fastidioso dei bisogni nel vaso da notte, Ash si fece aiutare a vestirsi e cominciò a trovare meno imbarazzante avere una donna come paggio. «Perché in tutti questi anni ti ho pagata come chirurgo» chiese ridendo «quando...» Vide entrare una suora e si interruppe. «Sorella?» La donna posò le mani sui fianchi. Era di corporatura robusta e indossava un abito da monaca. L'unica parte del corpo in mostra era il viso. «Sono Sorella Simeon» si presentò con voce grave. «Torna a letto, ragazza.» Ash fece scivolare un braccio dentro la manica del farsetto e si appoggiò allo schienale dello sgabello mentre Floria le stringeva i lacci dietro le spalle. Parlò come una persona che non vedesse girare la stanza intorno a sé. «Prima di tutto, Sorella, sto per ricevere il mio secondo in comando.» «Non penso, figliola.» La Sorella strinse con forza le labbra. «Gli uomini non sono ammessi all'interno del convento e tu non sei ancora in grado di uscire.» Ash sentì Floria che si alzava. «Permettetegli di entrare per qualche minuto, Soeur Simeon» intervenne il chirurgo. «Dopo tutto voi mi avete permesso di entrare e io so cosa è importante per la salute del mio paziente. Buon Dio, donna, sono un chirurgo!» «Buon Dio, sei anche una donna» ribatté secca la suora. «Perché pensi che ti abbia lasciata entrare?» Ash sghignazzò nel sentire lo sbuffo appena percettibile che fuoriuscì dalla bocca di Floria. «Questo fatto, Soeur, è del tutto confidenziale. So che posso fidarmi di una donna di Dio.» Ash posò le mani all'interno delle cosce e cercò di as77
Nel testo originale veniva usata la parola 'tunica'.
sumere una postura che la facesse sembrare il più sicura possibile. «Fate entrare Robert Anselm in segreto, se dovete, ma fatelo entrare. Farò il più in fretta possibile.» La Sorella, il cui vestito da suora le conferiva un'età indefinita che poteva essere compresa tra i trenta e i sessant'anni, socchiuse gli occhi e sondò la cella e il suo occupante malato. «Sei stata abituata a fare di testa tua per parecchio tempo, vero, ma fille?» «Oh, sì, Sorella Simeon. È troppo tardi per porvi rimedio.» «Cinque minuti» concesse la religiosa, torva. «Una delle petites soeurs assisterà all'incontro per decenza. Vado a organizzare una preghiera.» La porta della cella si chiuse alle spalle della donna. Ash fischiò. «Però! Quella è nata per fare il colonnello di un reggimento! 78 » «Senti chi parla.» Floria del Guiz tornò nuovamente a rovistare nel baule e un attimo dopo tirò fuori un paio di stivaletti, si inginocchiò davanti ad Ash e glieli infilò. Ash osservò la testa bionda del chirurgo, allungò una mano come se volesse toccarla, ma all'ultimo momento ci ripensò e la ritrasse. «Ho tutti i capelli annodati» disse. «Vorresti pettinarmi?» La donna prese un pettine di corno dalla sua borsa, le liberò la treccia e cominciò a pettinarla. Ash avvertì i colpi delicati del pettine e i leggeri ma dolorosi strattoni che servivano a districare i nodi che si formavano alla fine di ogni ciocca. La testa cominciò a pulsarle dolorosamente. Chiuse gli occhi e si godette il calore del sole e la brezza estiva che le lambivano il viso. Prima di tutto, pensò, devo trovare un modo per far sopravvivere la compagnia in Borgogna. Come stiamo tirando avanti? Cristo, mi sento così male. Il pettine smise di muoversi. Floria le toccò una guancia umida di pianto. «Fa male? Succede con le ferite alla testa. Potrei tagliarti i capelli.» «No.» «Va bene, va bene... non mi uccidere!» Passò altro tempo. Floria prese a parlare con qualcuno che era entrato nella stanza. Ash aprì gli occhi e vide un'altra suora che indossava un abito verde e bianco. La novizia la fissò negli occhi e le si avvicinò porgendole una scodella piena 78
Nel testo originale veniva usato il termine 'triari' (veterano delle legioni), ma un vocabolo moderno permette una comprensione più immediata.
d'acqua. «Io ti conosco.» Ash aggrottò la fronte. «È difficile dire chi sei con i capelli nascosti, ma ti ho già vista, vero?» Floria, che stava guardando fuori dalla finestra, ridacchiò. «Schmidt» si presentò la suora. «Margaret Schmidt.» Ash arrossì. «Sei una suora?» disse con voce flebile, ma incredula. «Adesso sì.» Floria attraversò la stanza, carezzò le spalle della donna e tastò la fronte di Ash. «Siamo a Digione, capo. Sei nel convento delle filles de joie che sono diventate filles de pénitence79 .» Ash fissò la suora che fino a poco tempo prima aveva fatto la prostituta a Basilea. «Oh.» Fece uno sforzo e disse: «Se dovessi cambiare idea prima di prendere i voti definitivamente, Margaret, sappi che sarai la benvenuta nella compagnia. Diciamo come assistente chirurgo.» Ash si accorse che sul volto di Floria era apparsa un'espressione che era un misto di stupore, cinismo, disagio, ma, più di tutto, sorpresa. Ash scrollò le spalle, avvertì un formicolio al cranio e portò una mano alla testa. La donna che un tempo viveva a Basilea fece un inchino. «Non prenderò nessuna decisione finché non avrò capito cosa vuol dire vivere come una suora, signora. Fino a questo momento è molto diverso dalla casa di piacere.» Qualcuno bussò alla porta. «Fuori» disse Ash. «Voglio parlare con Robert da sola.» Chiuse gli occhi per un attimo e provò una sensazione riposante, lasciando che la porta si aprisse e chiudesse senza il suo aiuto. Oltre la ferita alla testa, il danno che considerava più grave era la debolezza che provava in quel momento. Sapeva bene che sarebbe passato molto tempo prima che potesse ristabilirsi del tutto. Cosa sono? Il faris dice che sono solo immondizia. Sono paragonabile a un vitello maschio che viene ucciso perché non può dare latte. Però senti la voce. E allora? È solo una testa di ottone che si trova in Nord Africa; una... una macchina che sputa Vegezio e Tacito e tutti gli altri classici sulla guerra? È solo una... una biblioteca? Niente di più che un archivio di tattiche al quale basta chiedere? 79
L'esistenza di un convento simile è comprovata anche da documenti contemporanei.
Ash si trattenne dallo sghignazzare per non ricominciare a lacrimare. Cristo Santo, e io ho messo la mia vita in mano a quella cosa! Quanto volte ho letto dei pezzi del De Rei Militari e ho pensato, no, è impossibile applicare queste tattiche in simili circostanze e alla fine che cosa ho ascoltato per tutti questi anni? Ash provò un forte istinto di parlare e fare quelle domande alla sua voce, ma decise di aprire gli occhi per trattenersi. Robert Anselm era in piedi di fronte a lei. Il robusto mercenario era senza armatura e indossava un paio di pantaloni rattoppati alle ginocchia e una maglia sopra il farsetto: le pieghe della lana blu facevano capire che aveva dormito all'aperto con i vestiti addosso per diverse notti. Il fodero della daga, legato allo stesso laccio dal quale pendeva il borsellino del denaro, era vuoto. «Uhh...» Robert Anselm portò improvvisamente una mano alla testa, si tolse il cappello e prese a girarlo e rigirarlo tra le mani, premendo con le dita il simbolo della sua compagnia cucito sul velluto. Abbassò gli occhi. «Ci siamo accampati? Siamo al sicuro?» gli domandò Ash. «Com'è la situazione? Chi è il Lord locale che comanda in nome del duca?» «Uh.» Robert Anselm scrollò le spalle. Ash alzò la testa per guardarlo meglio e la sentì formicolare. L'uomo cadde in ginocchio di fronte a lei con la testa bassa e le braccia posate sulle ginocchia della donna. Ash si ritrovò a fissare il cranio quasi calvo del suo attendente. Potrei dirti che sei un fottuto idiota, pensò Ash. Potrei picchiarti. Potrei chiederti cosa pensavi di fare lasciando la compagnia abbandonata a se stessa. Il suo stomaco la avvertì con un gorgoglio che aveva fame. Pane, vino e un mezzo cervo, grazie... continuò a pensare. Ash alzò una mano per ripararsi gli occhi dal sole che cominciava a diventare troppo forte. L'aria era più calda. Doveva essere quasi mezzogiorno. «Non hai mai saputo di quello che ho fatto a Tewkesbury, vero?» gli chiese. Anselm alzò la testa. Aveva il visto sporco e stanco. Si grattò il collo. «Cosa?» «Tewkesbury.» «No.» Anselm cominciò a rilassare le spalle e si puntellò su un ginocchio. «Non vidi nulla perché ero sull'altro lato dello schieramento. Alla fine ti ho vista sanguinante e avvolta nello stendardo.»
Già, colavo sangue. Rammentò la sensazione del tessuto che le graffiava la pelle e l'esaltazione di tenere in mano un'alabarda: una lama tagliente quanto un rasoio montata in cima a un'asta di quasi due metri e accoppiata a una scure che lacerava il metallo e le carni con la stessa facilità di un'ascia per spaccare la legna. «Funzionò» disse misurando le parole. «Sapevo che dovevo fare qualcosa per farmi notare. Ero troppo giovane per comandare, ma se avessi aspettato di fare qualcosa di eclatante a sedici o diciassette anni, non avrebbe avuto lo stesso peso. Così decisi di prendere e tenere lo stendardo dei Lancaster sul Prato Insanguinato.» Abbassò lo sguardo per fissare il volto angosciato di Robert Anselm. «Ho fatto uccidere due dei miei migliori amici per quel gesto» disse Ash. «Richard e Crow. Ci conoscevamo da anni. Sono stati seppelliti in qualche punto su quella collina nella fossa comune che la Rosa Bianca fece scavare dopo la battaglia. Mi hai calpestata per sbaglio. Uccidere delle persone che conosciamo e venire uccisi fa parte del nostro mestiere. E non mi dire che è dannatamente stupido. Non ci sono modi intelligenti di essere uccisi!» «Sto invecchiando!» urlò Anselm. Ash rimase a bocca aperta. «Sai come mi chiamano quelle piccole merde là fuori? Vecchio! Ecco come mi chiamano!» continuò a urlare Robert. «Ho il doppio dei tuoi anni e sto diventando troppo vecchio per tutto questo! Ecco perché è successo!» «All'inferno.» Gli prese le mani tremanti tra le sue cercando di stringerle per confortarlo, ma si accorse che aveva meno forza di quanto si fosse aspettata. «Non fare lo stupido!» L'uomo liberò le mani. Ash ebbe un capogiro e si afferrò allo sgabello. La porta della cella si aprì violentemente e sbatté contro la parete. Floria del Guiz fece irruzione nella stanza urlando e afferrò il braccio di Anselm, che si liberò con uno strattone e spinse via il chirurgo con violenza... Ash aveva portato le mani alla testa per cercare di non sentire i rumori che le stavano provocando un gran dolore. «Adesso basta» ordinò, perentoria, togliendosi le mani dalle orecchie. Fece un respiro profondo e alzò la testa. Margaret Schmidt era in piedi sulla porta e di tanto in tanto lanciava delle occhiate colme d'ansia al corridoio. Floria aveva stretto entrambe le mani intorno al braccio di Anselm e cercava di trascinarlo fuori. Il mercenario stava in piedi piantato a terra con un'espressione sul viso che ricordava
quella di un toro infuriato. Ci vorrebbero almeno sei uomini per portarlo fuori di qui, pensò Ash. «Tu, vai dalla Superiora e dille che non è successo nulla. Tu» indicò Floria «lascialo andare; tu...» fu il turno di Robert Anselm «... chiudi quella fottuta bocca e fammi parlare.» Attese qualche secondo. «Grazie.» «Vado» accettò Floria, provando un certo disgusto per il suo stesso imbarazzo. «Falle avere una ricaduta e ti castro» disse, rivolgendosi a Robert. Floria uscì chiudendo la porta e bloccando la visuale a Margaret Schmidt e a un certo numero di suore che si erano riunite fuori dalla cella, attratte dal trambusto che aveva interrotto la monotonia della vita in convento. «Adesso che ti sei sfogato ti senti meglio?» gli chiese Ash, tranquilla. Il robusto mercenario annuì, mite, e prese a fissare il pavimento. «Hai dormito veramente sui gradini del convento?» Robert Anselm scrollò appena le spalle. «Quest'anno compio quarant'anni e ho due scelte» disse, rivolgendosi apparentemente al pavimento. «Uscire dal gioco e rimanere vivo o continuare. Stare sotto il comando di una donna o creare una mia compagnia. Cristo, donna, comincio a sentirmi vecchio e ti prego, non dirmi che Colleoni è sceso in battaglia fino all'età di settant'anni!» Ash chiuse la bocca. «Beh... era proprio quello che stavo per dire. Mi hai detto che sei stato qua fuori, giusto? Ubriaco?» «Sì.» «Bene, bene, bello stronzo. Ho bisogno di te, Robert. Se vuoi crearti una tua compagnia questo è un altro discorso, ma non lascerai la mia solo perché ti sei spaventato. Chiaro?» Robert Anselm prese la mano tesa. «Ash...» «Portami a letto altrimenti rischio di vomitare di nuovo. Cristo Santo, odio le ferite alla testa. Non andrai via, Robert. A volte penso che non riuscirei a mandare avanti la baracca senza di te.» Gli strinse la mano e si alzò dallo sgabello. Barcollava vistosamente. «Già, hai ragione,» borbottò Robert, sarcastico «sei un povera donna debole e indifesa.» La prese in braccio e la adagiò sul letto. «Non avrai più fiducia in me dopo quello che è successo. Dirai che ne hai ancora, ma non sarà vero.» Ash si rilassò sul materasso. Il soffitto cominciò a girare e lei inghiottì la saliva. Il fatto di essere nuovamente distesa le procurò una piacevolissima sensazione di sollievo che le fece chiudere gli occhi ed esalare un lungo
respiro. «Va bene, hai ragione. Non avrò fiducia in te per un certo tempo. Poi tutto tornerà come prima. Ci conosciamo troppo bene. Come ti ha detto lei: 'vattene e ti castro'. Siamo nella merda fino al collo ed è necessario uscirne il più velocemente possibile.» Robert la sistemò bene nel letto, non era la prima volta che accudiva un ferito. Ash aprì gli occhi. Robert si sedette sul bordo del lettino, la fissò per qualche secondo dopodiché aggrottò la fronte. «'Come ti ha detto lei'?» «No, hai ragione, non è stata la suora a parlare. È stato lui, Florian.» «Mmm» disse Robert Anselm in tono assente. Il mercenario sedeva con le braccia larghe puntellandosi con le mani e sembrava occupare tutto lo spazio a disposizione nella cella. Quell'atteggiamento era così tipico di Anselm che Ash sorrise. «È tutto chiaro, vero?» disse Ash. «Torna e prendi la guida della compagnia. Se funziona vuol dire che non hanno perso fiducia in te. Appena sarò in grado di camminare senza cadere dopo un paio di passi, verrò al campo per vedere cosa fare. Non abbiamo molto tempo.» Robert si alzò dal letto e lei si sentì improvvisamente priva di speranza. Aveva male alla testa. «Siamo scappati come degli stronzi e non abbiamo un contratto in questo ducato. Sbaglia qualcosa e i ragazzi cominceranno a disertare a decine entro domani... e se mi fotti la compagnia, ti stacco le palle» sbottò Ash, debole. Robert Anselm la fissò. «Terrò tutto sotto controllo, ma la prossima volta» disse, mentre si avviava verso la porta «mettiti un elmo, donna!» Ash fece un gestaccio. «Allora portamene uno, la prossima volta!» Robert Anselm si fermò sulla soglia. «Cosa ti ha detto il faris?» Ash venne travolta dalla paura. Sorrise, falsa. «Non adesso! Dopo. Mandami quello stronzo di Godfrey, voglio parlargli!» Quella che fino a pochi attimi prima era stata una lieve pulsazione nella testa divenne così intensa da farle lacrimare gli occhi. Notò appena la scodella che le veniva portata alle labbra. Ingollò avidamente la bevanda a base di vino ed erbe, quindi si sdraiò pregando finché, sempre troppo tardi, cadde in un sonno profondo che divenne molto disturbato nel volgere di un'ora. Il dolore la tormentava. Era sudata e sofferente. Cercava di rimanere il più possibile immobile, imprecando contro Floria ogni volta che le si avvicinava. Quando vide che la luce diventava più fioca avvertì anche un calo dal dolore alla testa. Una voce maschile le ripeteva in continuazione quan-
do era sera, il tramonto, la notte, o quando il cielo era rischiarato dalla luce della luna. Ash aveva l'impressione di essere sdraiata su un letto di carboni ardenti con il dolore che piantava le fauci nella sua testa. Si ficcò il pugno in bocca stringendo al punto di farsi sanguinare le nocche. Quando cedette e cominciò a urlare, quando il dolore fu troppo forte, si sentì scagliare in un luogo che riconobbe; un luogo che le dava fortissimi sensazioni fisiche, un luogo dove si sentiva completamente impotente e non riusciva a spiegare nulla. Provò delle sensazioni fuggenti come un attimo, dimenticandole l'attimo dopo; le riconosceva come ricordi, ma non sapeva quale ne fosse l'oggetto. «Leone...» L'implorazione le si strozzava in gola riducendosi a un sussurro. «Vicino a Santa Gawaine. Vicino alla Cappella.» Niente. «Zitta, bambina.» La voce era dolce, ma non riuscì a distinguere se fosse di uomo o di donna. «Zitta, zitta.» «Sei una fottuta macchina? Rispondi! Golem...» «Non è un problema consono. Non ne conosco la soluzione.» La voce nella sua anima era fredda come sempre. In essa non c'era nulla del predatore o del santo. Il dolore investì ogni cellula del suo corpo. «Merda!» sussurrò. «Dalle ancora quell'intruglio. Non morirà» disse la voce di Robert Anselm. «Cristo, uomo, sbrigati!» «Perché non lo fai tu? Sempre che tu ci riesca!» ribatté secca la voce di Florian. «Non intendevo dire che...» «Taci allora. Non la sto perdendo.» III Doveva aver dormito, ma se ne rese conto solo dopo qualche tempo. La luce che precedeva l'alba aveva ridotto la finestra a un quadrato grigio. Ash emise un lamento. Aveva le mani madide di sudore e le lenzuola del letto puzzavano. Mosse una spalla, sentì la lana che le grattava la guancia e si accorse che l'avevano messa distesa quando era ancora vestita, limitandosi ad allentare i lacci del farsetto. Ogni movimento, anche il più impercettibile, le provocava delle fitte di dolore lancinanti. «Se fa male vuol dire che sto migliorando» disse. «Cosa?» Un'ombra si alzò e si piegò su di lei. L'alba illuminò il volto di
Floria del Guiz. «Hai detto qualcosa?» «Ho detto che sto migliorando perché comincio a sentire il male.» Ash si accorse di essere senza fiato. Floria le portò la ciotola alle labbra e lei bevve riversando metà del contenuto sulle lenzuola. Ash udì un rumore bizzarro poi comprese che stavano bussando alla porta, che un attimo dopo si aprì prima ancora che Floria potesse alzarsi. Il nuovo arrivato teneva in mano una lanterna con il parafiamma perforato. Ash fece un respiro e sentì una fitta alla testa. Aprì lentamente gli occhi e fissò la porta. «Oh, sei tu» borbottò Ash, riconoscendo il nuovo arrivato. «Non so di cosa si possa lamentare la Sorella - questo fottuto convento è pieno di uomini.» «Sono un prete, figliola» le fece notare Godfrey Maximillian in tono mite. «Buon Dio, sono così malata?» «Non ora.» Floria le posò una mano sulla spalla. Ash soffocò un urlo. «Ieri ti sei sforzata troppo» aggiunse il chirurgo. «Cosa che non succederà oggi. Questa è la parte lunga e noiosa. La parte che non ti è mai piaciuta. La parte nella quale il capo cerca di alzarsi anche se non deve. Ricordi?» «Sì. Ricordo.» Ash fece un sorriso in risposta a quello del chirurgo. «Ma mi sto annoiando.» Il chirurgo socchiuse gli occhi e sul suo volto apparve un'espressione tale da indurre Ash a temere che se non fosse stata gravemente ferita avrebbe ricevuto un ceffone dietro le orecchie. «Ti ho portato un visitatore» le disse Godfrey. Il chirurgo lo fissò in cagnesco alzando un dito. «So quello che sto facendo. Lei è molto ansiosa di incontrare Ash, ma è arrivata al convento stamattina. Le ho detto che avrebbe potuto parlare con il capitano solo per pochi minuti.» Floria cominciò a parlare con il prete e ad esporre il suo scetticismo. La luce sempre più intensa illuminò il prete barbuto e l'uomo laconico che in realtà era una donna. Ash ascoltava. «Sono sempre io, Flo..., figliola. Un tempo credevi che avessi una certa abilità nella mia arte» disse Godfrey Maximillian. «Fare il prete non è un'arte,» borbottò il chirurgo «è una truffa ai danni dei creduloni. Va bene. Fa' entrare il visitatore.» Ash non fece nessun tentativo di alzarsi e Floria posò la lanterna a terra per non darle fastidio. Un corvo gracchiò fuori dalla finestra. Un tordo gli rispose seguito da un fringuello e nel volgere di pochi attimi il cinguettio
di una miriade di uccelli echeggiò nell'aria. Ash sentiva la testa che le pulsava dolorosamente. «Fottuti uccelli canterini!» si lamentò. «Capitano» disse la voce chiara di una donna. Ash riconobbe il suono prodotto dallo sfregamento delle piastre di un'armatura e il cigolio di una maglia di anelli metallici in movimento. Alzò gli occhi e vide una donna di circa trentacinque anni a fianco del letto. Indossava un'armatura bianca forgiata a Milano. Al suo fianco pendeva una spada dal pomello sferico e sotto il braccio teneva un elmo piumato. Era una figura dalla quale emanava una certa autorità. «Siediti» la invitò Ash, schiarendosi la gola. «Mi chiamo Onorata Rodiani, capitano 80 . Il tuo prete mi ha detto che non devo stancarti.» La donna si tolse i guanti dell'armatura e si avvicinò allo sgabello sull'altro lato del letto. Il dito medio e il mignolo della mano destra erano malandati, segno evidente che erano stati rotti e rimessi a posto più volte. La donna si sedette tenendo il busto eretto e la testa dritta in modo da far spuntare il mento dalla gorgiera e poterlo girare per controllare che il fodero della spada non raschiasse la parete della cella. Soddisfatta della posizione, si girò e sorrise. «Non mi perdo mai l'occasione di incontrare un'altra donna guerriera.» «Rodiani?» Ash socchiuse gli occhi malgrado il dolore alla testa. «Ho sentito parlare di te. Vieni da Castelleone. Eri una pittrice, vero?» La donna portò una mano al volto e Ash impiegò qualche attimo prima di capire che doveva parlare più forte perché la sua ospite aveva messo la mano a conca vicino all'orecchio. La guancia della condottiera era sporca di nero. Era diventata sorda a causa del fuoco delle artiglierie. «Una pittrice?» ripeté Ash. «Sì, prima di diventare mercenaria facevo la pittrice» confermò con un sorriso Onorata Rodiani. «Fu allora che uccisi il primo uomo. Ero a Cremona e stavo dipingendo un affresco per il Tiranno. Qualcuno cercò di stuprarmi. Dopo averlo ucciso decisi che mi piaceva di più combattere che dipingere.» Ash sorrise come faceva ogni volta che udiva una storia creata per essere 80
Onorata Rodiani è stata incorporata in questo testo in base alla convinzione che molto probabilmente le due donne dovevano essersi incontrare. Infatti, si sa che la Rodiani morì dopo una lunga carriera come mercenaria difendendo la propria città natale, Castelleone, nel 1472.
data in pasto alla gente. Non è così facile, pensò. I lineamenti del volto della mercenaria facevano capire che in vecchiaia sarebbero diventati cadenti. Sempre che tu ci arrivi, continuò a pensare Ash, mentre allungava una mano. «Posso vederlo?» «Sì.» Onorata Rodiani le passò l'elmo. Ash lo prese in mano e il solo sforzo di tenerlo sollevato le causò un forte dolore alla testa. Passò un dito sulle cinghie, i rivetti e sul contorno a T dell'apertura. «Ti piacciono questi? Io non sono mai riuscita a vedere niente! Vedo che gli hai fatto mettere dei rivetti a testa di rosa.» La donna carezzò il pomello della spada. «Mi piacciono i rivetti di ottone sull'elmo perché rimangono più lucidi.» Ash le restituì l'elmo. «E gli avambracci milanesi? Io ho sempre usato armature germaniche.» «Ti piacciono le armature gotiche?» «Riesco a muovere meglio le braccia. Per il resto sono tutte scanalature e spigoli - no. È un'armatura con troppi fronzoli.» Giunse uno sbuffo dal punto in cui Floria e Godfrey stavano parlando a bassa voce. Ash li fulminò con un'occhiata. «Vuoi vedere la mia spada?» le chiese Onorata Rodiani. «Vorrei poterti far vedere il mio cavallo da guerra, ma devo partire stamattina per la guerra in Francia.» La donna si alzò in piedi ed estrasse l'arma. Il sibilo del metallo che scivola fuori dal fodero echeggiò nella stanza. Ash riuscì a puntellarsi sui gomiti, si appoggiò con la schiena contro la testiera del letto e allungò le mani verso l'elsa ignorando il dolore che le faceva lacrimare gli occhi. Francia? pensò Ash. Ma sì, i Visigoti hanno più rifornimenti di quanto io abbia mai visto in vita mia e non si fermeranno certo adesso. Dopo gli Svizzeri e i Tedeschi... la Francia non è così male. Il faris si è equipaggiato per una crociata su vasta scala. «Quante lance hai?» Ash menò un fendente con l'arma e la lama lunga quasi un metro scivolò nell'aria come l'olio sull'acqua. Era come se fosse viva e la sensazione di tenere tra le mani un oggetto simile le dava la forza di resistere al dolore. «Venti» disse la donna. «Giusto?» «Vedo che l'hai fatta affilare.» «Sì, così non devo stare con il fiato sul collo dell'armaiolo per farlo lavorare bene!» «Ah, mai fidarsi degli armaioli.» Ash abbassò la lama e la fissò per tutta
la lunghezza con occhio esperto. Vide il volto sorridente di Godfrey Maximillian. «Cosa c'è?» «Niente. Niente...» «Allora procurami del vino! Non vorrai che pensino che siamo un branco di cafoni da queste parti?» Floria del Guiz prese sottobraccio il prete. «Andiamo a prendere il vino, capo» borbottò. «Torneremo in un batter d'occhio.» Ash ruotò la lama puntandola verso l'alto e lasciando che un raggio di sole si rifrangesse sull'acciaio tirato a lucido. Notò che vicino all'elsa un taglio della spada era leggermente incurvato. Avevano limato una tacca. Un uomo avrebbe potuto farsi la barba con quella spada. «Mi piace l'elsa» commentò Ash. «Cos'è? Filo di rame sopra il velluto?» «Filo d'oro.» Il prete disse qualcosa al chirurgo che Ash non riuscì a capire, ma vide Floria che scuoteva la testa sghignazzando. Abbassò la spada e la posò sulla mano sinistra. «Tende un po' verso il basso... anche a me piacciono le lame pesanti. Scommetto che è molto tagliente.» Alzò la testa fissando Floria e Godfrey in cagnesco. «Cosa c'è?» «Vi lasciamo sole, figliola. Madonna Rodiani» Godfrey fece un inchino. Alle sue spalle, Floria rideva per un motivo che Ash non riusciva a capire, ma che era certa fosse meglio sapere. Anche Godfrey le sorrideva. «Io e Florian ce ne andiamo subito.» Ash ebbe l'impressione che Floria stesse mormorando: «Tutti se ne andrebbero! Mio Dio, queste due potrebbero annoiare l'intera Europa...» «Voi» li rimproverò Ash «state interrompendo una discussione tra professionisti. Sparite! E mentre andate a prendere il vino portate anche qualcosa da mangiare. Diavolo, sembra che non vi ricordiate più che sono ferita.» Era bellissimo poter dimenticare l'esercito al confine, l'incubo vissuto a Basilea anche solo per qualche minuto. «Non si può combattere la battaglia nella tua testa ogni ora del giorno, o si rischia di non poter vincere quando è il momento.» Ash rise e decise di rimandare ogni decisione. «Rimani per colazione, Madonna Onorata? Mentre mangiamo vorrei un tuo parere su una cosa che ho letto sul libro di Vegezio. Egli dice che è necessario affondare la spada perché cinquanta centimetri di lama nello stomaco sono sempre fatali, ma il tuo uomo non cade immediatamente e
ha il tempo di ucciderti. Io uso spesso i fendenti, che sono più lenti, è vero, ma staccano di netto la testa e di solito non ho più problemi con l'avversario. Tu cosa preferisci?» Non aveva paura delle ferite. Sebbene sapesse di gente che era andata in giro con una ferita alla testa per giorni, per poi cadere morta senza nessuna ragione apparente (malgrado il medico li avesse curati), e pur avendo subito la perdita di due denti posteriori, Ash giunse alla conclusione che non sarebbe morta quel giorno e fece di tutto per dimenticare la ferita. Era solo una delle tante. Questo la lasciò senza nulla a cui pensare. Ash posò i gomiti sul davanzale della finestra osservando la confusione che regnava in cortile nel giorno dedicato al bucato. Il puzzo dell'aro le riempì le narici dandole una sensazione di pace che la fece sorridere mesta. Qualcuno entrò nella cella, ma Ash non si girò perché aveva riconosciuto il passo. Godfrey Maximillian si avvicinò alla finestra. Notò che stava guardando verso l'alto con aria riflessiva proprio come aveva fatto Florian, Roberto e la piccola Margaret. Aveva le guance scottate. «Flori... Florian dice che stai abbastanza bene per parlare di lavoro.» «Lo stai già facendo! Lei lo fa già, vero? È bello sentirlo dire da lei» disse Ash. Un passero le atterrò sul palmo e cominciò a mangiare le briciole arruffando le piume e fissandola al tempo stesso con gli occhi privi di pupille. «Suppongo che abbiamo rotto de facto il contratto con i Visigoti» esordì Ash. «Con il suo comportamento il faris ha annullato ogni accordo che aveva stipulato con me. Credo che sceglierò di stare con chi rimarrà neutrale.» «Vorrei che fosse tanto semplice» commentò Godfrey. Il becco duro del passero le pungolava il palmo. Ash alzò la testa per fissare il prete. «So che non basterà tenersi fuori dalla mischia. I Visigoti stanno marciando verso nord.» «Sono arrivati fino ad Auxonne.» Godfrey scrollò le spalle. «Ho le mie fonti. Noi siamo passati da Auxonne quando siamo scappati da Basilea. È a circa una settantina di chilometri da qui.» «Settanta chilometri!» La mano di Ash fu scossa da un tremito e il passero si lanciò in volo volteggiando sopra il cortile pieno di donne. Le voci delle suore e lo sciabordio dell'acqua nelle tinozze giungeva fino alla stanza.
«Ciò... mi ricorda che devo fare qualcosa. La domanda è: cosa? Prima di tutto devo pensare alla compagnia. Devo rimettere in riga i ragazzi...» Un'ombra passò sul tetto d'ardesia. Ash alzò gli occhi e vide un martin pescatore. Oltre le mura del convento e i campi vedeva i tetti bianchi e azzurri della città illuminati dal sole pomeridiano. «Ti devo chiedere una cosa, Godfrey. Tu sei il mio dotto 81 . Puoi prenderla come una confessione. Posso guidarli in combattimento se non posso più fidarmi della mia voce?» Uno sguardo all'espressione preoccupata del prete era più che sufficiente. «Ah, sì» Ash annuì. «Il faris ha una macchina da guerra, una machina rei militaris. Ho visto che le parlava e dovunque fosse, Cartagine o nelle vicinanze, non era nello stesso posto dove si trovava lei. Ma lei la sentiva e... anch'io la sentivo. È la mia voce, Godfrey. È il Leone.» Aveva la voce salda, ma rischiava di scoppiare in lacrime da un momento all'altro. «Figliola!» Il prete la prese per le spalle. «Oh, mia cara figliola!» «Posso sopportarlo. Fu un miracolo vero e proprio, la Bestia era vera, ma i bambini immaginano molte cose. Forse non ero neanche presente, e ho sentito gli uomini che ne parlavano. Forse ho inventato di aver visto il leone quando ho cominciato a sentire le voci.» Ash si liberò dalla presa. «I Visigoti staranno più attenti, adesso. Prima non avevano nessun motivo di pensare che qualcuno potesse usare la macchina. Adesso... potrebbero essere in grado di impedirmi di usarla. Potrebbero farla mentire. Dirmi di fare la cosa sbagliata e farci uccidere tutti...» «Cristo sull'Albero!» esclamò Godfrey, sconvolto. «È tutta la mattina che ci penso.» Ash sorrise, non le rimaneva altro da fare per cercare di tirarsi su. «Anche tu capisci il problema.» «Capisco che sarebbe saggio non dire niente a nessuno. Quanto mi hai detto è Sotto l'Albero.» Godfrey fece il segno della croce. «Gli uomini al campo sono agitati. Il morale può crescere o crollare, non so. Puoi combattere senza l'aiuto della voce, figliola?» Il sole si rifrangeva contro le mura del convento. Una ventata d'aria calda portò l'odore del timo, del rosmarino, del cerfoglio e dell'aro dall'orto officinale. Ash fissò il prete con sguardo inespressivo. «Ho sempre saputo che prima o poi avrei dovuto scoprirlo. Ecco perché 81
Prete: la maggior parte delle persone che avevano studiato erano preti, allora.
durante la battaglia di Tewkesbury non feci mai ricorso alla voce per tutto il giorno. Se dovevo guidare degli uomini in un combattimento dove potevano venire uccisi, non volevo che dipendesse da qualche dannato santo o da un qualunque Leone-nato-da-una-Vergine, volevo che dipendesse da me e basta.» Dalla bocca di Godfrey scaturì un suono soffocato. Ash, interdetta, fissò il prete barbuto. L'espressione dell'uomo era in bilico tra il riso e un'esplosione di pianto. «Cristo e la Santa Madre!» esclamò il prete. «Cosa c'è, Godfrey?» «Non volevi che dipendesse da qualche 'dannato santo'!» scoppiò in una risata tanto fragorosa da far alzare la testa ad alcune suore inducendole a osservare la finestra con gli occhi socchiusi a causa del sole. «Non vedo cosa ci sia...» «No» la interruppe Godfrey, asciugandosi gli occhi. «Credo che tu non capisca proprio.» Le sorrise, caloroso. «I miracoli non sono abbastanza per te. Tu devi essere certa di poterli fare con le tue mani.» «Sì, quando sono responsabile della vita dei miei uomini.» Ash esitò. «È successo cinque o sei anni fa. Ora non so cosa potrei fare senza la voce. Tutto quello che so è che non mi posso più fidare di lei.» «Ash.» Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo serio del prete. Il religioso indicò la città. «Il duca Carlo è a Digione. Si è stabilito là con la sua corte da quando si è ritirato da Neuss.» «Me l'ha detto anche Florian. Credevo che fosse andato più a nord. A Bruges.» «Il duca è qui insieme alla corte, all'esercito.» Godfrey le posò una mano sulla spalla. «E altri mercenari.» Ash si rese conto che quella che aveva preso come una continuazione delle mura di Digione non era altro che un vastissimo accampamento. Centinaia di tende. Migliaia. Il bagliore delle armi e delle armature. Le attività degli uomini, i cavalli, gli stendardi troppo distanti per capire a chi appartenessero. Ash suppose che ci fossero le compagnie di Rossano, di Monforte e i soldati del duca Carlo sotto il comando di Olivier de la Marche. «Là fuori tu hai ottocento uomini che appartengono al Leone Azzurro, per non parlare dei carri. Gli uomini non parlano d'altro» aggiunse il prete, torvo. «Sanno tutti che hai avuto un colloquio con il faris. Di conseguenza
ci sono molte persone che sono ansiose di parlare con te una volta che ti sarai ripresa e sarai uscita di qua.» «Merda. Merda!» «E non so quanto tempo ancora saranno disposte ad aspettare.» IV Il mattino dopo il calore sembrava ammantare gli alberi con una foschia bluastra. Il cielo aveva un colorito grigio polvere. Ash camminava con le maniche del vestito arrotolate, lungo la strada bordata da margherite e piante di prezzemolo che portava al suo campo, un chilometro circa dal convento. Si avvicinò di soppiatto passando attraverso un boschetto di betulle e percorrendo la zona in cui erano state impastoiate le capre e le vacche della compagnia. Ash grattò uno dei pavesi di vimini attaccati a un carro non lontano dal cancello principale e prese nota mentalmente di ricordare a Geraint che la distanza tra un picchetto e l'altra era sbagliata. «Non dovrei essere in grado di farlo...» Fissò il campo oltre i carri, i larghi corridoi tra le tende per impedire il dilagare degli incendi e gli uomini del Leone, per lo più intenti a mangiare il porridge intorno ai fuochi dalle loro scodelle di legno. Va bene, pensò, cos'è cambiato? Cosa c'è di diverso? Chi... «Ash!» Ash inclinò la testa all'indietro facendosi ombra con una mano per vedere meglio chi si trovava sul carro. Il caldo le fece arricciare la pelle delle guance e del naso. «Bianche? Sei tu?» Due gambe bianche balzarono giù dal carro e la donna abbracciò Ash con le lacrime agli occhi. L'impeto dell'ex prostituta dai capelli biondi fu tale da spingerla indietro. «Whoa! Tranquilla, ragazza! Sono tornata, ma non vorrai uccidermi prima che sia entrata.» «Merda!» esclamò Bianche felice. Il sole evidenziava lo sporco delle guance. «Pensavamo che stessi per morire. Pensavano che avremmo dovuto continuare a sopportare il Gallese bastardo. Henri! Jan-Jacob! Venite!» Ash si issò oltre la barra del carro e saltò sulla paglia che ricopriva il terreno del campo non lontano dalle tende dei cavalieri, poi si raddrizzò ritrovandosi tra le braccia di Henri Brant e Jan-Jacob Clovet: quest'ultimo cercava di allacciarsi i pantaloni con una mano mentre con l'altra le dava
delle pacche sulla schiena. Baldina, la figlia di Bianche, una donna dai capelli rossi, si abbassò la gonna con calma e si alzò dalla paglia sopra la quale stava occupandosi dei due soldati. «Sei tornata capo?» le chiese con voce roca. Ash scompigliò i capelli rosso fuoco della prostituta. «No, sto per sposare il duca Carlo di Borgogna. Dopo passeremo tutta la vita a mangiare fino a scoppiare e a scopare su materassi di piume d'oca.» «È giusto» approvò Baldina, divertita. «Ti renderemo vedova, così potrai farlo. Sempre che quel cazzo moscio che ti sei sposata sia ancora vivo.» Ash non riuscì a rispondere perché Euen Huw l'abbracciò ricoprendola di una fiumana di complimenti e lamentele in gallese. Nel volgere di qualche attimo il gruppo intorno a lei cominciò a farsi sempre più numeroso. Musicisti, lavandaie, prostitute, stallieri, cuochi e arcieri, tutti volevano parlarle e pian piano cominciarono a portarla verso il centro del campo come era nelle sue intenzioni. Thomas Rochester le buttò le braccia al collo con le lacrime agli occhi, imitato da metà degli inglesi. «I soliti rosbif sentimentali.» Ash gli batté la schiena. Josse e Michael si strinsero a lei. Quindici minuti dopo stava stringendo la mano di Joscelyn van Mander, malgrado il dolore alla testa l'avesse quasi accecata. Anche il Fiammingo aveva gli occhi lucidi. «Sia lode a Cristo!» bofonchiò il lanciere. Si guardò intorno per osservare il gruppo sempre più numeroso di soldati che cominciavano a sgomitare per raggiungere Ash. «Sei viva! Sia lode a Cristo!» «Non per molto» disse Ash sotto voce. Cercò di liberare le mani. Posò un braccio sulla spalla di Euen Huw e strinse la mano di Baldina che le stava tamponando il volto con un lembo della gonna. «Ho parlato in favore della compagnia con il visconte, abbiamo avuto dei problemi a fare entrare i cavalieri in città» le disse Joscelyn van Mander in tono confidenziale e a voce bassa. Oh, pensò Ash, sei andato a parlare in favore della compagnia? Ma senti questo. «Sistemerò tutto io» disse Ash, illuminandosi in volto. Sorrise alle persone che la circondavano. «È il capo!» «È tornata!»
«Allora - dov'è Geraint-il-Gallese-bastardo?» indagò Ash, divertita. Geraint ab Morgan si fece spazio tra la folla in mezzo a una pioggia di risate. Il robusto Gallese si stava infilando la maglia nel dietro dei pantaloni e quando vide Ash nel mezzo di una folla di ammiratori deliranti i suoi occhi azzurri iniettati di sangue ebbero un guizzo. Geraint le cadde davanti in ginocchio, allargando le braccia. «È tutto tuo, capo!» Ash sorrise nel sentire la venatura di sollievo nella voce dell'uomo. Il Gallese era davvero contento di vederla. «Sei sicuro di non volere il mio lavoro?» Sapeva bene cosa avrebbe risposto l'uomo di fronte a lei. Ash aveva deciso di entrare dal campo senza passare dal cancello centrale perché voleva farsi vedere per prima dal personale non militare che componeva la sua compagnia, persone che non erano interessate in alcun modo alle lotte per il comando. La gioia genuina di quelle persone si era trasmessa immediatamente anche agli altri uomini e ai cavalieri rimanenti ai quali, visto il voltafaccia repentino di van Mander, non restava altro che dimenticare le ambizioni che avevano coltivato, le promozioni e le degradazioni non autorizzate ed esultare per l'arrivo del vero condottiero. «Riprenditi il tuo fottuto lavoro, capo» disse Geraint parlando in gallese. «Portatrice di luce!» urlò qualcuno alle sue spalle. «Leonessa!» aggiunse qualcun altro. Ash pensò di aver riconosciuto la voce di Jan Jacob Clovet. «Ascoltate!» Ash alzò entrambe le mani per ottenere silenzio. I servizi del campo potevano aspettare per un'ora. «Sono qua, sono tornata e sto per andare alla cappella. Chiunque voglia ringraziare Dio per essere stato liberato dall'oscurità mi segua!» Non riuscì a farsi sentire per un minuto abbondante. Improvvisamente si fermò, diede una pacca sulla schiena di Euen Huw e indicò con l'altra mano. Almeno quattrocento persone si diressero verso il cancello principale del campo guidate da Ash che rispondeva alle domande, chiedeva notizie e si congratulava con i feriti che stavano guarendo. Ash camminava su per la collina seguita dai suoi uomini, facendo loro strada verso la cappella dedicata al culto di Mitra82 che si trovava ovvia82
Sono del tutto d'accordo con la supposizione di Vaughan Davies che si trova nel suo libro del 1939, quindi non mi resta altro che citarlo direttamente: 'Il grandissimo numero di religioni praticate nel quindicesimo secolo non ha nessuna somiglianza con la pratica del Cristianesimo moderno. Un'epoca più stabile, un'epoca meno bisognosa di
mente al di fuori dei territori conventuali. Le chiome rigogliose degli alberi splendevano al sole. Ash fece un lungo respiro rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse rimasta stupita dal caldo e dalla luce. Abbassò lo sguardo e fissò l'entrata della cappella davanti alla quale si trovavano Floria, Godfrey, Angelotti e Robert: fece un cenno lievissimo con il capo e gli ufficiali si rilassarono. Floria le andò incontro insieme a Godfrey. Angelotti si inchinò e Robert si fece da parte. Ash lanciò un'occhiata interrogativa ai due uomini. C'erano anche dei preti di fronte all'entrata del piccolo tempio. Ash prese Floria e Godfrey sotto braccio. I soldati alle sue spalle cominciarono a inginocchiarsi posando le armi e togliendosi i cappelli e gli elmi, ben sapendo che non sarebbero potuti entrare in quel luogo sacro. Tutti ridevano e parlavano ad alta voce. Dei giovani preti del culto di Mitra si allontanarono dal tempio e si diressero verso la folla in modo da potere officiare un rito anche per loro. Ash entrò nel tempio sempre a braccetto di Godfrey, abbassando la testa per non picchiare contro l'architrave e passando dall'odore di foresta secca che regnava all'esterno a quello di terra umida che permeava il corridoio. «Allora? Cosa ti hanno detto a corte? Il duca vuole combattere?» «Ho sentito delle voci, ma niente di affidabile. Sicuramente non può ignorare un esercito a settanta chilometri dai confini del suo regno, ma... Ma non ho mai visto tanta magnificenza!» esclamò Godfrey. «Devono esserci almeno trecento libri nella sua biblioteca!» «Oh, libri. Certo, certo.» Ash strinse la mano intorno al braccio del prete mentre scendeva l'ultimo gradino ed entrava nella cappella di Mitra. I raggi del sole penetravano tra le travi creando i più strani giochi di luce e ombra all'interno della caverna. Il pavimento a mosaico riproduceva i Camminatori Orgogliosi e Le Piogge d'Aprile. «Cosa pensi che me ne possa imporprotezione divina della nostra, può permettersi delle religioni caricatura che noi definiremmo tranquillamente blasfeme. Queste rappresentazioni scurrili (che si trovano solo nel manoscritto dell'Angelotti) sono pura satira degna di Rabelais e devono essere considerate alla stessa stregua dei racconti nei quali gli Ebrei venivano descritti come avvelenatori di pozzi e rapitori di bambini. Tutto il brano, con i suoi riferimenti, è una satira contro il papato che intorno al 1470 non era certo un esempio di rettitudine; ed è un sentore di quello che nel secolo a seguire diventerà la Riforma.'
tare dei libri del duca Carlo, Godfrey?» «No, non credo che te ne possa importare qualcosa, almeno non al momento.» Inclinò la testa di lato, sorridendo. «Ma ha i salteri più belli che abbia mai visto. Uno è illustrato niente meno che da Rogier van der Weyden. Ha anche una copia della Chanson du Geste, bambina - Tristano, Artù. Jacques de Lalaing...» «Oh, ma non mi dire! Davvero?» Godfrey rise. «Davvero» rispose imitando il tono di Ash. «Ecco cosa non va nella guerra» disse Ash, mentre si inginocchiavano davanti all'altare del Toro. «Eh? Cosa c'è che non va? Jacques de Lalaing è la guerra?» mormorò Godfrey, interdetto. «Buon Dio, figliola, quell'uomo è morto da trent'anni.» «No.» Ash gli diede un buffetto amichevole. Il prete che si trovava sull'altare la gratificò di un'occhiataccia 83 . Si rese conto di essere più entusiasta del suo ritorno alla compagnia di quanto avesse previsto e abbassò la voce accorgendosi del brusio provocato dai soldati alle sue spalle. «Voglio dire che quello che gli è successo è la cosa che non va nella guerra. Un cavaliere perfetto, ha vinto tutti i tornei per anni e ha preso parte a tutte le battaglie più importanti. Un vero guerriero, un cavaliere. Difese un guado armato di lancia 84 e cosa gli successe?» Godfrey dovette fare uno sforzo di memoria. «È stato ucciso durante uno degli assedi di Ghent, giusto?» «Già, da una palla di cannone.» La scodella piena di sangue cominciò a passare tra i presenti. Ash bevve, chinò il capo per ricevere la benedizione e recitò la frase di rito: «Ringrazio per la mia guarigione e dedicherò la mia vita a continuare la battaglia della Luce contro l'Oscurità.» A mano a mano che la scodella passava il numero di persone presenti nella cappella continuava ad aumentare. «Capisci quello che voglio dire, Godfrey. Un esempio di virtù cavalleresca e cosa gli è successo? Qualche dannato artigliere gli ha staccato la testa dal collo con una cannonata!» Godfrey Maximillian l'aiutò ad alzarsi e Ash accettò di buon grado. «Non che abbia mai pensato che la guerra abbia un senso» aggiunse, secca. «Perché Robert e Angelotti mi evitano, Godfrey?» 83
Le donne e i soldati semplici non avevano permesso di essere presenti ai misteri mitraici. 84 Anno Domini 1450.
«Davvero?» Ash si trattenne dal rispondere male.. Conclusa la benedizione attese che i ragazzini che indossavano le tuniche bianche e verdi finissero di cantare, quindi uscì dal tempio in mezzo a due ali di soldati e si incamminò per il bosco scacciando gli insetti con gesti decisi delle mani. Tutti i suoi uomini volevano parlare con lei. «I cavalli hanno bisogno di movimento!» disse il maniscalco. «Venti carcasse di maiale e ne devo scartare nove» si lamentò Wat Rodway. «Gli arcieri di Huw si sono attaccati con i miei uomini!» le disse Carracci, un sergente italiano. «Dannati artiglieri italiani,» sbottò Euen Huw «volevano fregare i miei ragazzi!» «Ho perso metà della mia polvere a Basilea» si lagnò una delle donne archibugiere. Ash si fermò, rimanendo immobile come una statua. «Aspettate.» Bertrand, il suo nuovo paggio, le passò il cappello di velluto. Sentì lo sbuffare dei cavalli e guardò nella direzione dalla quale era giunto il suono. Oltre gli alberi e i rovi qualcuno stava strigliando dei cavalli da guerra. «Dopo» ordinò. Un gruppo di uomini erano in piedi all'ombra degli alberi. Non riusciva a capire bene a quale casata appartenessero perché scorgeva appena il simbolo riprodotto sulla bandiera che pendeva inerte contro l'asta. Socchiuse gli occhi e riuscì a distinguere un motivo a scacchi rossi e gialli bordati di bianco, un muggine85 e, da quella distanza non ne era molto sicura, delle croci o delle daghe. Le divise dei soldati erano bianche e rosso porpora. Una mano la prese sotto un braccio e la allontanò dal gruppo che le si era formato intorno guidandola per parecchi metri lungo il sentiero. «Ho trovato un contratto» le disse Robert Anselm, tenendo gli occhi bassi. «Adesso incontrerai il tuo nuovo capo.» «Un nuovo capo?» Ash si bloccò nuovamente sul posto. Non aveva abbastanza forza per fermare Anselm, ma l'inglese le lasciò andare il braccio e le cadde in ginocchio davanti. Un secondo uomo si inginocchiò sul tappeto di foglie secche: era Henri Brant. Antonio Angelotti lo imitò senza battere ciglio. Ash fissò l'addetto 85
Non si tratta del pesce. In araldica il muggine è una stella a cinque punte.
ai rifornimenti, il suo secondo in comando e il mastro artigliere. «Scusate un attimo, il nuovo cosa? E da quando?» domandò, portando le mani ai fianchi. Anselm e Angelotti si scambiarono una rapida occhiata. «Da due giorni?» azzardò Robert Anselm. «È un nuovo datore di lavoro» esordì Henri Brant. «Nessuno voleva farmi credito a Digione. L'esercito al confine ha fatto salire i prezzi. E non posso approvvigionare i cavalli e gli uomini con quello che ci ha lasciato Federico!» Ash fissò Henri e notò che tendeva a piegarsi leggermente verso destra quando si inginocchiava. «Alzati, idiota. Vorresti dirmi che nessun mercante voleva darti il cibo se la compagnia non aveva un regolare contratto con qualcuno?» Henri Brant si alzò annuendo. Proprio mentre la notizia che l'ultimo nostro datore di lavoro erano i Visigoti... Chiunque sia stato, pensò Ash, non ha perso tempo a fare la sua mossa. Ash batté il tacco dello stivale sulle foglie. «Roberto.» I due uomini inginocchiati di fronte a lei non avrebbero potuto essere più dissimili: Anselm indossava ancora il farsetto di lana blu e aveva il volto non rasato; Angelotti aveva i capelli biondi che gli ricadevano sulle spalle e la maglia senza neanche una macchia. L'unica cosa che li accomunava in quel momento ero lo sguardo carico d'apprensione. «Mi hai detto di prendere il comando della compagnia e l'ho fatto» si giustificò Robert, scrollando le spalle. «Abbiamo bisogno di soldi e questo è un buon contratto...» «Con un uomo che già conosciamo.» Stranamente Angelotti cominciò a incespicare sulle parole. «Che Roberto conosce, conosceva, cioè... voglio dire... conosceva il padre, ecco...» «Cristo, non vorrai dirmi che è un altro dei tuoi maledetti goddams86 !» Ash lo fulminò con un'occhiata. «Quello è un posto dove non voglio proprio tornare! Solo pioggia e barbari. Questa volta ti inchiodo le orecchie al palo, Roberto.» «È qua. Meglio se lo incontri.» Robert Anselm si alzò districando il fodero da un cespuglio di rovi. Angelotti si drizzò a sua volta. 86
Insieme a rosbif, goddam era un'altro dei soprannomi affibbiati agli inglesi. Si suppone che a quel tempo la gente comune fosse molto sboccata.
«È uno dei tuoi fottuti, Lancaster, vero? Oh, dolce Cristo! E alla fine di tutto vuoi che vada a combattere re Edoardo d'Inghilterra per buttarlo giù dal trono. Non credo proprio.» Ash si rese conto di un'implicazione legata a quel contratto e improvvisamente si interruppe. Se accettassi mi troverei a centinaia di leghe di distanza dal faris e dal suo esercito, pensò. Senza contare che in mezzo c'è anche un bel tratto di Mare del Nord. Forse c'è del buono in tutto questo. Se vado in Inghilterra il peggio che mi può capitare è morire sul campo di battaglia. Chi lo sa cosa potrebbero farmi a Cartagine se scoprissero mai che sono in grado di sentire - no! «Chi sono quelli in bianco e rosso porpora?» borbottò, iniziando al tempo stesso a cercare nel suo archivio mentale per ricordarsi chi fossero i Lancaster esiliati dagli York. Robert Anselm tossì. «John de Vere. Il conte di Oxford.» Ash prese la spada dalle mani di Bertrand e la assicurò al fianco con fare assente. Il sole si screziò sul cuoio consumato del fodero. Il suo farsetto verde e argento aveva sempre un bell'aspetto malgrado non fosse stato lavato e spazzolato da quasi una settimana. «Il cazzo di conte della fottuta Oxford, sembra che io valga dieci scellini all'anno. Grazie, Robert. Grazie.» Scosse i fianchi per sistemare la spada e fissò intensamente il suo luogotenente. «Tu hai combattuto per la sua casata, giusto?» «Per suo padre e per suo fratello maggiore, poi con lui dal '71» confermò Robert, a disagio. «Ho preso quello che c'era. Dice di aver bisogno di una scorta.» Ash cercò Godfrey con gli occhi e lo vide impegnato a parlare con un soldato del Conte di Oxford. Non era il momento adatto per avvicinarsi al prete e chiedergli come mai un Lancaster si trovasse alla corte di Carlo di Borgogna, cosa volesse da un contingente mercenario armato di tutto punto e cosa ne pensasse dell'esercito visigoto a pochi chilometri da loro! «Suo padre, il tuo vecchio capo, è morto in battaglia, giusto?» «No. Suo padre e Sir Aubrey - lo zio - sono stati giustiziati.» «Evviva» esultò Ash, torva. «Adesso vengo assoldata da un nobile che ha i suoi beni sotto sequestro, perché è così, vero?» «Sta arrivando, Madonna» si intromise Antonio Angelotti. Drizzò le spalle senza neanche rendersene conto. Gli insetti continuavano a ronzare tra gli alberi, infastidendola. Un cavallo sbuffò. Il tintinnio delle maglie di anelli metallici sotto le livree dei de Vere annunciò l'avvicinarsi dei soldati. Molti dei volti erano scottati dal sole. Ash sospettò che
la scorta fosse composta da uomini che ultimamente avevano dato dei problemi a qualche sergente. Non riusciva a vedere bene l'uomo al centro dello schieramento, tuttavia si tolse il cappello e si inginocchiò imitata dai suoi ufficiali, mentre la scorta si apriva per far passare il nobile. «Mio Conte» disse Ash. Era consapevole che tutti i suoi uomini riuniti fuori della cappella la stavano osservando ed era contenta che non potessero sentirla. Il terreno era duro e provò una fitta alla testa. «Signora, capitano» disse una voce dal marcato accento inglese. Ash alzò lo sguardo. L'uomo poteva avere un'età compresa tra i trenta e i cinquantacinque anni: aveva dei bei capelli, gli occhi azzurri e il volto di chi era abituato a stare all'aperto. Indossava alti stivali da cavallerizzo che quasi toccavano i lembi inferiori di uno sbiadito farsetto di lino. Si avvicinò a lei allungando una mano. Aveva i polsi gracili. Il conte la sollevò senza alcuno sforzo, facendo svanire tutti i dubbi che Ash poteva avere sulla sua forza fisica. Ash si sfregò le mani per pulirle e gratificò il nobile con un'occhiata sagace. Il panciotto era di fattura italiana, non così barbarico come aveva temuto e sembrava che fosse stato indossato per tutto il giorno durante la caccia. Al fianco del nobile pendeva una daga. Ash si trattenne dall'esprimere ad alta voce il suo parere sulla pazzia degli Inglesi. «Siamo al vostro comando, mio Conte» disse Ash, evitando di aggiungere: 'almeno così mi hanno detto.' «Vi siete ripresa, signora?» «Sì, mio signore.» «I vostri ufficiali mi hanno parlato della forza della vostra compagnia. Voglio vedere come la comandate.» Il conte di Oxford si girò e si diresse verso il cavallo. Ash borbottò un rapido comando ad Anselm, che si diresse rapidamente verso il campo, mentre lei seguiva de Vere. Il fatto che il conte non le avesse detto di seguirlo e che lei avesse ubbidito lo stesso perché così doveva essere la divertì e la impressionò allo stesso tempo. Ash trovò il suo paggio con il cavallo al limitare del bosco. Montò in sella senza problemi e dovette trattenere Godluc dal lanciarsi al galoppo, facendolo invece affiancare al castrato del conte di Oxford. «Siete una donna piuttosto insolita» disse il nobile e sorrise. Gli mancava un dente laterale. Sui polsi spiccavano delle cicatrici che sparivano sotto il polsino della manica e sulla guancia si intravedeva uno sfregio provocato da una freccia. «I vostri uomini mi sembrano molto fedeli a voi. Siete una vergine pro-
stituta?» Ash rischiò di scoppiare a ridere nel sentire la traduzione inglese del termine pulzella. «Non vedo come la cosa vi possa interessare, sir» rispose, divertita. «Avete ragione.» Si sporse dalla sella e le offrì nuovamente la mano. «John de Vere. Potete chiamarmi 'Vostra Grazia' o 'Mio Lord'.» Maniere da campo e non da corte, pensò Ash. Bene. È sempre meglio quando uno di questi sa qualcosa della vita militare. Devo aver incontrato il padre di questo tizio perché il suo volto non mi è nuovo. Gli strinse la mano. La presa era forte. Rimandiamo le domande a dopo, continuò a pensare Ash. Finché non avrò il tempo di pensare alle risposte. «Cosa volete che faccia con i miei uomini, Vostra Grazia?» «Prima di tutto, sono qui per fare una richiesta a Carlo di Borgogna. Se egli dovesse rifiutarla, voi sarete la mia scorta fino ai confini e in Inghilterra. Vi pagherò una volta arrivati a Londra.» «Quante probabilità ci sono di un rifiuto?» chiese Ash, pensierosa. «Vostra Grazia vuole che il Leone Azzurro combatta contro tutto l'esercito burgundo? Forse posso condurvi fino al porto sulla Manica, ma non voglio perdere tutti i miei uomini nell'impresa, cosa che sicuramente succederebbe.» John de Vere si girò verso di lei. Il grosso cavallo del nobile aveva un che di fiero e lo sguardo spiritato, ma il suo padrone lo guidava con piglio sicuro. Per Ash quelli erano indizi che le permisero di classificare immediatamente l'uomo al suo fianco: un soldato. «Sono qui per cercare un pretendente Lancaster al trono d'Inghilterra» spiegò, quasi timoroso. «Henry, sempre sia lode alla sua memoria, è stato assassinato e suo figlio è morto sul campo di Tewksebury 87 . Gli York non sono così sicuri del trono che hanno conquistato. Un erede legittimo potrebbe detronizzarli.» Ash aveva preso parte alle guerre dinastiche dei rosbif cinque anni prima e da allora non aveva saputo quasi più nulla di quello che succedeva tra le casate dei nobili d'oltre Manica. Lanciò un'occhiata piuttosto confusa a de Vere. 87
4 maggio 1471: il principe Edoardo, l'unico figlio ed erede di re Enrico VI, muore in battaglia contro Edoardo di York (in seguito re Edoardo IV di Inghilterra) sul campo di Tewkesbury. Enrico VI morì pochissimo tempo dopo in circostanze molto sospette.
«Sì. So che il duca Carlo ha sposato una delle sorelle di Edoardo di York» disse, tranquilla. «Edoardo di York che al momento è Edoardo quarto, re d'Inghilterra, per volontà divina. «Re usurpatore» si affrettò ad aggiungere con voce colma d'autorità. «Quindi, se ho capito bene, voi siete qui, alla corte di un principe che ha sposato la sorella dell'attuale re d'Inghilterra, una York, per cercare un pretendente Lancaster al trono d'Inghilterra, che abbia voglia di invadere l'Inghilterra e combattere per riprendersi ciò che gli spetta?» Ash si inclinò leggermente all'indietro per frenare l'impeto di Godluc, che avrebbe voluto lanciarsi al galoppo sulla distesa d'erba verde nella quale stavano cavalcando. Per un minuto non fissò il conte di Oxford e quando tornò a farlo non era più sicura che l'uomo stesse ancora sorridendo. «Ricordatemi di rinegoziare il nostro contratto se si dovesse arrivare a tanto, Vostra Grazia. Sono piuttosto sicura che Robert Anselm non abbia firmato anche per questo.» Anche se non desidera altro, pensò. Dannazione, Robert! Non ha mai smesso di pensare alle guerre dinastiche del suo paese, ma non mi trascinerà in quel casino! Non che non voglia essere lontana miglia e miglia da qui... «Non pensate al mio progetto come a una follia, capitano» disse il conte di Oxford. «Altrimenti comincerò anch'io a credere che sia una follia assumere una compagnia mercenaria guidata da una donna in aggiunta alle mie truppe regolari.» Ash cominciò a pensare che sotto quella scorza di soldato inglese, John de Vere, conte di Oxford, potesse essere incauto quanto un cavaliere di quindici anni alla prima campagna. E pazzo come un cane con le palle in fiamme, concluse. Robert, Angelotti, siete nei guai fino al collo. «Voi venite da sud, Capitano, ed eravate al servizio del comandate visigoto. Cosa potete dirmi? Sempre rispettando i termini della vostra condotta!» Eccola qua, pensò Ash. Ed è solo la prima. Questa sì che è una domanda interessante, non solo se a rivolgerla è un conte inglese pazzo che si dà il caso sia il mio datore di lavoro... «Allora?» chiese de Vere. Ash fissò la scorta guidata da Thomas Rochester che reggeva lo stendardo della compagnia. I suoi uomini si erano mischiati con quelli del conte.
Il resto della sua compagnia, arcieri, ronconieri e cavalieri, si stava dirigendo al campo in compagnia degli ufficiali. «Sì, Vostra Grazia.» Ash socchiuse gli occhi e fissò la colonna alle loro spalle, che da quel punto d'osservazione sembrava immobile: una foresta di alabarde, lance che ondeggiavano dolcemente e una moltitudine di elmi d'acciaio e lame di ronconi che brillavano al sole burgundo. «Se desiderate ispezionare la mia compagnia ho del vino nella mia tenda. Penserò a cosa posso dirvi senza tradire il mio ex datore di lavoro.» Esitò per un attimo, quindi chiese: «Cosa volete sapere?» Il nobile non sembrò offendersi e lei si era comportata in maniera abbastanza irrispettosa da provocarlo. Adesso vediamo dove vuole arrivare, pensò Ash, e attese tenendo le redini tra le mani e il corpo rilassato per seguire l'andatura ondeggiante di Godluc. «Dichiaro che da quando sono arrivato qua ho dovuto cambiare i miei piani.» John de Vere era passato a parlare il francese borgognone. «Con questa Crociata a sud che si sta srotolando su tutta la Cristianità come un tappeto e il mio signore principe di Borgogna e il re di Francia che litigano invece di unirsi, ho pensato che la causa dei Lancaster può attendere, per ora. A cosa servirebbe avere un Lancaster per poi ritrovarsi con delle galere nere che risalgono il Tamigi?» Ash fece in modo di far rallentare e arretrare la sua cavalcatura per poter osservare il volto dell'Inglese. Il nobile aveva socchiuso gli occhi per proteggerli dal sole, ma non stava fissando né lei né la rigogliosa campagna che li circondava. «Questi Visigoti sono in gamba» disse il conte di Oxford. «Disuniti come siamo ci conquisteranno sicuramente, ma se anche dovessimo unirci sarebbe lo stesso una guerra bruttissima. Senza contare i Turchi a est che si avventerebbero su di noi per impossessarsi di quello che resta.» Strinse le redini al punto di farsi sbiancare le nocche delle dita. La testa del cavallo scattò all'indietro. «Buono!» «Vostra Grazia mi ha ingaggiata perché sono stata là?» «Sì.» L'Inglese riportò il cavallo sotto controllo e fissò Ash. «Mia signora, voi siete l'unico soldato che abbia trovato qui in Borgogna che sia stato in contatto con i Visigoti. Parlerò con i vostri ufficiali e in particolare con il vostro mastro artigliere. Prima voglio sentire tutti i dettagli possibili sulle armi che portano e il loro modo di combattere. Poi voi mi parlerete delle voci che li precedono. Come questa insulsaggine del cielo privo di sole sopra le Germanie.»
«È vero.» Il conte di Oxford la fissò a lungo. «È vero, mio signore.» Ash scoprì che sapendolo in esilio era più portata a rivolgersi a quell'uomo con il suo titolo. «Ero là, mio signore, e li ho visti far sparire il sole. Solo da quando siamo arrivati qui...» Agitò la mano indicando i campi verdi, i torrenti, i carri, le tende del suo campo, le acque brillanti del fiume Suzon e i tetti di Digione che splendevano come specchi sotto il sole estivo. «...solo allora abbiamo rivisto il sole.» Il nobile fermò il cavallo. «Sul vostro onore?» «Sul mio onore, come se si trattasse di un contratto.» L'onestà con la quale aveva parlato stupì la stessa Ash. Mise le redini sotto il braccio e tirò su le maniche della maglia. La pelle sì era già arrossata, ma lei era contenta, non ne avrebbe avuto mai abbastanza del sole, non le importava nulla di scottarsi. «Il sole splende ancora sulla Francia e l'Inghilterra?» «Sì» rispose semplicemente John de Vere. Godluc lasciava ciondolare la testa. Il sudore gli imperlava i fianchi. Ash lanciò un'occhiata esperta al punto in cui erano stati impastoiati i cavalli (nella parte del campo vicino agli alberi e al fiume) e valutò se fossero calmi e all'ombra. I cavalli da guerra erano separati dagli altri cavalli. Una figura uscì di corsa dal campo e Ash la guardò correre verso Thomas Rochester e poi verso di lei. «E quella macchina da guerra di cui parlano?» le chiese il conte, fissando la figura in corsa. «L'avete vista?» «Non ho visto nessuna macchina» rispose Ash, cauta. La figura era Rickard. «Vi dirò tutto quello che so» disse, decisa. «Mi avete ingaggiata per quello che so, Vostra Grazia» aggiunse, divertita. «I miei uomini e io vi diremo la verità.» «È chiaro che sarete leali con me quanto lo siete stati con l'ultimo che vi ha ingaggiati» sottolineò il conte. «Non meno leali» Ash lo corresse, e spronò Godluc verso Rickard. Il ragazzino si fermò e si inclinò in avanti stringendosi le cosce, quindi dopo qualche attimo si raddrizzò e le passò una pergamena. «Cos'è?» chiese afferrando il rotolo. Il ragazzino si leccò le labbra secche. «Una convocazione del duca di Borgogna» disse ansimando.
V Ash si accorse che il cuore aveva cominciato a batterle più forte, che la bocca si stava seccando e che aveva un'urgente bisogno di andare nelle latrine da campo. Strinse con forza l'invito del duca di Borgogna. «Quando?» chiese. Non voleva farsi vedere intenta a sillabare ogni parola della pergamena davanti a un nuovo datore di lavoro. Vide il volto arrossato di Rickard e gli passò la borraccia. Il paggio bevve, si versò dell'acqua sulla testa per poi scuoterla violentemente. «La quinta ora dopo mezzogiorno. È quasi mezzogiorno, capo!» Ash sorrise per rassicurarlo. «Vai a chiamare Anselm, Angelotti, Geraint Morgan e padre Godfrey: corri!» Aveva la voce incrinata. Si drizzò sulla sella e vide Anselm e Angelotti che uscivano dal campo. Il ragazzino li superò entrambi di corsa mentre i due camminavano con passo deciso verso di lei e il conte di Oxford. «Eccoli che tornano - i miei due ragazzi candidi come un giglio» commentò a bassa voce. In quale casino mi hai ficcata, Robert? pensò. «Conte di Oxford, il mio signore sarebbe così gentile da accettare la mia ospitalità?» L'inglese si affiancò ad Ash fissando il campo del Leone Azzurro che in quel momento aveva l'aspetto di un nido d'api preso a calci da un mulo. «Il conte di Oxenford 88 » mormorò l'uomo con un sorrisetto stampato sulle labbra «farebbe meglio a tornare tra un'ora in modo che i vostri uomini possano mettersi in ordine.» «No» rispose Ash, torva. Il suo sguardo era fisso sui due ufficiali sempre più vicini. «Siete il mio capo, mio signore. Spetta solo a voi darmi il permesso di rispondere a questa chiamata e presentarmi davanti al duca. E se vado dovete spiegarmi cosa dire e fare. Ora è come. se avesse convocato voi.» Il nobile sollevò le sopracciglia. «Certo, certo, mia signora. Potete andare. Devo decidere cosa potete dire. Sfortunatamente sembra che vi abbia privato dell'opportunità di ottenere un contratto più ricco di quello che vi posso offrire, visto che le mie 88
Era uno dei nomi con il quale al tempo veniva chiamata la città di Oxford.
terre sono nelle mani di Riccardo di Gloucester89 » E quanto ci pagherai? pensò Ash. Non un centesimo in più di quanto potrebbe offrire Carlo il Téméraire 90 . Questo è poco ma sicuro. Merda. «Rimanete a pranzo da noi, mio signore. Dovete darmi degli ordini. Anche il vostro seguito è invitato.» Ash prese fiato. «Intendo far fare un appello in modo da potervi comunicare la nostra forza esatta. Probabilmente mastro Anselm vi ha detto che abbiamo lasciato Basilea di gran carriera. Avete fatto un buon affare. Mio signore.» «La povertà è un padrone peggiore di quanto possa esserlo io, signora.» Ash diede un'occhiata al farsetto e pensò a cosa significasse avere i propri beni posti sotto sequestro ed essere mandati in esilio. «Lo spero» borbottò sotto voce. «Scusatemi, Vostra Grazia!» Mentre gli uomini del seguito raggiungevano il conte, Ash spronò Godluc verso i suoi ufficiali conscia del fatto che Floria stava correndo al suo fianco. Cominciava ad aver mal di testa. Si fermò di fronte alle figure ansimanti di Robert Anselm e Angelotti e di Geraint ab Morgan, che nel frattempo li aveva raggiunti. Guardò il campo e si rese conto che versava nel caos più totale. «Cristo sull'Albero!» La situazione era peggiore di quello che sembrava a prima vista. Gli uomini giacevano sdraiati intorno ai fuochi spenti intenti a bere. Le lance e le alabarde erano state impilate alla meno peggio e sembrava dovessero cadere da un momento all'altro. Dei soldati a torso nudo spostavano delle pentole annerite dal fumo. Le prostitute sedute sui carri mangiavano mele e ridevano sguaiate. La vista del patetico tentativo dei lancieri di Euen Huw di montare di guardia la fece imbestialire ulteriormente. I bambini giocavano troppo vicini ai cavalli e il muro formato dai carri scendeva fino al fiume riducendosi a un guazzabuglio di ripari improvvisati fatti per lo più di coperte tese sopra due bastoni. Nessuno aveva cercato di rispettare le regole contro gli incendi o aveva provato a organizzare una difesa degna di questo nome... 89
Sette anni dopo le vicende narrate nei libri sulla vita di Ash, Riccardo di Gloucester è incoronato re d'Inghilterra, come Riccardo HI (1483 1485). 90 Il duca Carlo di Borgogna, come i suoi predecessori - Filippo l'Ardito, Giovanni il Senzapaura e Filippo il Buono - era conosciuto con il suo cognome. Téméraire venne tradotto in seguito in modo da sembrare 'Carlo il Temerario'.
«Geraint!» «Sì, capo?» Ash fulminò il balestriere gallese che stava suonando un flauto in do seduto su un carro, con i pantaloni slacciati e una cuffia sporca sulla testa. «Cosa pensi che sia tutto questo? Rimetti in quadro questo casino prima che Oxford ci licenzi! O i Visigoti ci piombino addosso e ci prendano a calci in culo! Muoviti!» Il sergente gallese era abituato a sentirsi urlare addosso, ma il tono di voce di Ash lo fece girare immediatamente sul posto e lo indusse ad attraversare il campo con passo deciso sbraitando ordini a ogni squadra di uomini che incontrava. Ash, ritta sulla sella, lo osservò con i pugni piantati sui fianchi. «Per quanto ti riguarda» disse rivolgendosi ad Anselm senza abbassare la testa. «Sei con il culo a terra. Dimentica di mangiare con il tuo signore. Quando saremo usciti dalla mia tenda voglio che questo campo risponda in tutto e per tutto a una delle descrizioni fatte da Vegezio e che questi cialtroni abbiano l'aspetto di soldati, altrimenti sei fuori gioco. Chiaro?» «Sì, capo.» «Era solo una fottuta domanda retorica, Robert. Fai l'appello, voglio sapere chi abbiamo perso e chi abbiamo guadagnato. Una volta che sono a posto falli esercitare un po' con le armi. La metà degli uomini è sdraiata a terra sbronza marcia, ma la cosa finisce, adesso. Voglio avere una scorta degna di questo nome quando entrerò nel palazzo del duca Carlo!» Anselm sbiancò in volto. «Hai un'ora» ringhiò Ash. «Muoviti!» Florian fece una profonda risata. «Il capo abbaia e tutti scattano.» «Non mi chiamano la vecchia scure da battaglia per niente!» «Allora lo sapevi! Non ne sono mai stata sicura.» Ash fissò Anselm che correva verso il campo. Sapeva bene che la paura che stava provando in quel momento era dovuta a due fattori. Il primo era lo stato di abbandono in cui versava il campo. Il secondo era il fatto di dover entrare nella prima corte d'Europa. Tuttavia c'era una vocina dentro di lei che esultava esclamando: «Dio, quanto mi piace questo lavoro!» «Rimani qua, Antonio. Voglio che tu faccia vedere all'Inglese i tuoi cannoni. Tienimelo lontano per un'ora. Non ho mai visto un lord che non fosse interessato all'artiglieria. Dov'è Henri?» L'addetto ai rifornimenti si avvicinò al cavallo zoppicando, aiutato da Bianche.
«Henri, sto per accogliere un conte inglese e il suo seguito nella mia tenda. Fa' stendere uno strato di segatura pulita, tira fuori l'argenteria e facciamo in modo che il cibo sia decente, chiaro? Vediamo se riusciamo a imbandire una tavola degna di un conte.» «Con quello che cucina Wat, capo?» L'espressione terrorizzata di Henry cambiò dopo qualche secondo. «Ah, già, sono Inglesi. Non sanno niente della buona cucina e non potrebbe importagliene di meno. Dammi un'ora.» «Concessa! Vai, Angelotti!» Girò Godluc esercitando una leggera pressione con un ginocchio e tornò lentamente verso il conte. La bandiera del nobile continuava a penzolare inerte per la mancanza di brezza. I soldati avevano il volto madido di sudore. Ogni maledetto contadino, pensò Ash, a quest'ora si sta riparando dal sole per uscire solo a tardo pomeriggio. Ogni mercante di Digione è tra quattro mura di pietra intento ad ascoltare i musicisti e scommetto che anche il Duca sta facendo la siesta. E a noi cosa danno? Meno di cinque ore per prepararci. «Capitano» urlò de Vere. Ash lo raggiunse. Il conte di Oxford indicò i cavalieri al suo seguito. «Questi sono i miei fratelli, Thomas, George e Richard; e il mio buon amico visconte Beaumont.» I fratelli del nobile dovevano aver superato da poco la ventina; il visconte era di qualche anno più vecchio. Tutti avevano i capelli lunghi fino alle spalle. Le armature e le spade erano simili. Quello che sembrava il più giovane dei fratelli de Vere si drizzò sulla sella e parlò in un inglese dell'East Anglia: «È una sfrontata, John! Si veste come un uomo. Non abbiamo bisogno di una come lei per buttare giù dal trono Edoardo!» Un altro fratello socchiuse gli occhi e disse: «Guardate che faccia! Cosa importa chi è!» Ash sedeva in sella al suo cavallo da guerra squadrando tranquillamente i quattro fratelli. Si girò verso il visconte Beaumont. «Adesso capisco perché tutti parlano in un certo modo dell'educazione degli Inglesi» gli disse nell'inglese che aveva imparato durante le campagne in quel paese. «Non avete nulla da aggiungere, visconte?» Il nobile alzò le mani come se volesse arrendersi. Negli occhi c'era un'espressione di chiaro apprezzamento. «Niente, signora!» Gli mancava uno dei denti davanti e la voce aveva un che di flautato.
«Mi dispiace che Dickon 91 sia stato tanto scortese.» John de Vere fece un inchino, quindi, apparentemente fiducioso nella capacità di Ash di sapersela cavare, disse: «Sono sicura che sapete benissimo come affrontare questa situazione, capitano.» «Ma è una donna debole!» esclamò Richard de Vere, stupefatto. «Cosa sai fare?» ringhiò, rivolgendosi ad Ash. «Capisco... Voi pensate che il mio signore non mi abbia ingaggiato per la mia abilità» rispose Ash, secca. «Voi pensate che mi ha ingaggiata solo per farmi delle domande sul generale visigoto e l'invasione e siete convinti che sia Robert Anselm a dare gli ordini sul campo. Mi sbaglio, forse?» Uno dei fratelli de Vere, Tom o George, disse: «Il duca Carlo deve essere della stessa opinione. Sei una donna, cos'altro sai fare se non parlare?» «Questo è mio fratello George, signora» lo presentò educatamente il duca di Oxford. Ash si avvicinò al fratello più giovane. «Vi dirò io cosa so fare, mastro de Vere. Posso ragionare, parlare, fare il mio lavoro e combattere. Ma se un uomo non crede che io possa comandare o pensa che sia debole o non vuole rimanere a terra dopo uno scontro leale, cosa che di solito succede con le reclute, o pensa che l'unico modo per rispondere alle donne sia uno stupro... allora posso anche ucciderlo.» Il giovane de Vere arrossì dal collo alla punta dei capelli, in parte per l'imbarazzo e in parte perché, almeno così pensò Ash, si era reso conto che le sue parole rispondevano alla verità. «Rimarreste molto sorpreso di scoprire quanti guai vi siete risparmiato.» Rise e abbandonò per un attimo l'etichetta. «Non ho bisogno di convincerti che non sono una nullità, dolcezza. Devo solo combattere i nemici di tuo fratello abbastanza bene da rimanere in vita ed essere pagata.» Dickon de Vere si irrigidì sulla sella. Ash si girò verso il conte di Oxford. «Non devo piacere loro, mio signore. Solo che non voglio essere considerata come la figlia di Eva.» Il visconte Beaumont borbottò qualcosa in inglese. Aveva parlato troppo velocemente e lei non riuscì a capirlo, ma il più giovane dei fratelli arrossì ulteriormente e scoppiò a ridere e il conte si passò una mano sulla bocca, molto probabilmente per nascondere un sorriso. Solo i due fratelli di mezzo continuavano a fissarla in cagnesco. 91
'Dickon' è un diminutivo affettuoso in uso tra gli Inglesi per indicare il nome 'Richard'.
Ash socchiuse gli occhi per ripararsi dal sole. Il sudore le impastava i capelli sotto il cappello di velluto. L'odore di cuoio dei finimenti e quello del cavallo le diede un senso di sicurezza. «È tempo che mi diate i primi ordini, mio signore» gli disse, allegra. «Questa è la mia compagnia, conte. Ottanta lance. Mi piacerebbe sapere una cosa. Siamo troppo grossi per una scorta e troppo piccoli per essere un esercito, quindi come mai ci avete ingaggiati?» «Dopo, signora. A pranzo. C'è ancora abbastanza tempo prima che vi rechiate dal duca.» Ash stava per insistere, quando vide Godfrey davanti ai cancelli del campo che finiva di parlare con due uomini vestiti alla meno peggio e una donna che indossava un abito verde e si dirigeva a grandi passi verso di lei. «Credo che il mio prete voglia parlarmi. Sarebbe così gentile da seguire mastro Angelotti? Egli sarà ben contento di mostrarvi i nostri pezzi d'artiglieria. Sono all'ombra...» Indicò gli alberi vicino al fiume. Osservò l'espressione di de Vere e si rese conto che il nobile aveva capito che si trattava di uno stratagemma, ma, essendo abituato a tali cortesie, accettò di buon grado. Ash si alzò sulla sella e fece un inchino, mentre Angelotti prendeva le redini del cavallo del conte e lo guidava verso il campo. «Godfrey?» «Sì, figliola?» «Seguimi! Dimmi tutto quello che sai della situazione a Digione mentre ispeziono il campo. Tutto! Non ho idea di cosa sta succedendo a corte e tra quattro ore devo presentarmi davanti al duca!» La tenda di Ash era piena di servitori che entravano e uscivano, preparavano la tavola e spargevano un nuovo strato di segatura. Ash si appartò dietro un paravento e cominciò a vestirsi in fretta e furia per presentarsi di fronte al duca. «È la Borgogna, Florian! Non si può avere di meglio!» Floria del Guiz sedeva a gambe incrociate su un baule, tranquilla. «Non sai nemmeno se combatterai con il Duca, visto che Robert-il-conte-pazzo potrebbe portarci Dio solo sa dove.» «De Vere vuole combattere i Visigoti.» Ash alzò un braccio senza rendersi conto che Rickard e Bertrand stavano cercando di abbottonarle i polsini del farsetto. Le maniche si gonfiavano all'altezza delle spalle. Bertrand emise un singhiozzo e Ash si dimenò.
«Non potrò apparire al mio meglio - quella stronza mi ha preso l'armatura!» Il chirurgo bevve da una coppa di vino tolta a uno dei servitori di Henri Brant. «Ah, indossa quello che vuoi! È solo un duca.» «Solo un - 'fanculo, Florian!» «Ci sono abituato.» La donna si asciugò il sudore dal volto. «Non hai preso l'armatura?» «Fottiti!» Ash non poteva spiegare a Floria cosa si provasse a indossare un'armatura. Uno si sentiva come Dio! Non voglio far sfigurare la compagnia davanti a quei fottuti Burgundi, pensò Ash. «Era un'armatura completa! Ho dovuto risparmiare per due anni!» Un quarto d'ora dopo ogni baule era stato svuotato e Bertrand era in lacrime al pensiero di dovere rimettere tutto a posto. Ash aveva indossato delle protezioni per le gambe di fattura germanica, schinieri milanesi e un brigantino di velluto azzurro con le borchie e una placca di metallo finemente lavorata che arrivava fino allo sterno. «Oh, merda» disse. «Oh, merda, sto per avere un'udienza con Carlo di Borgogna, merda, merda...» «Non pensi di prendere la cosa un po' troppo sul serio?» «Loro vedranno quello che sono. E sono piuttosto preoccupata al riguardo...» Ash aprì uno specchietto rotondo e cercò di guardarsi. Bertrand le tirò i capelli con il pettine. Ash imprecò, gli lanciò addossò una bottiglia e coprì la ferita al cranio con una lunga ciocca di capelli bianchi. Il sole le aveva brunito appena le guance facendo risaltare ancora di più gli sfregi. La degenza l'aveva fatta dimagrire e il volto aveva perso un po' di rotondità, ma per il resto quello che la stava fissando dallo specchio era sempre il suo viso. Non preoccuparti dell'armatura, pensò, non guarderanno se ce l'hai o no. Floria scese dal baule osservando Ash, che dava ordini ai suoi ufficiali e li congedava, con un sorrisetto sardonico stampato sulle labbra. «Andrai a corte con i capelli schiacciati? Ormai sei una donna sposata.» Ash rispose al chirurgo con la frase che aveva ideato mentre giaceva a letto malata. «Il mio matrimonio è stato una frode. Giuro su Dio che sono la stessa che ero prima di sposarmi.» Floria produsse un verso scurrile e prolungato. «No, capo! Non provarci neanche a dirlo là dentro, altrimenti rischieresti di far ridere anche Carlo di Borgogna.» «Non credi che valga la pena di provarci?»
«No. Credimi. No.» Ash rimase ferma qualche istante per permettere a Bertrand di assicurarle la spada al fianco. Le piastre metalliche del brigantino cigolavano a ogni respiro. «E cosa dirai al nostro nobile duca riguardo il tuo incontro con il generale visigoto?» le chiese Floria. «Più di quello che hai detto a me? Cristo, donna, pensi che sia possibile che io tradisca la tua fiducia? Siamo sempre...» «Siamo?» la interruppe Ash. «... Io, Godfrey e Robert... Quanto tempo pensi di farci aspettare ancora?» Floria passò un pollice sul bordo di una delle coppe d'argento fissandola con gli occhi lucidi. «Cosa ti è successo? Cosa ti ha detto? Sai che il tuo silenzio è assordante.» «Sì» rispose Ash in tono piatto, non volendo reagire alle provocazioni della donna. «Ci sto pensando. Non serve a niente servirvi un piatto cotto solo a metà. Potrebbe influenzare il futuro della compagnia e il mio. Quando avrò tutto chiaro convocherò gli ufficiali per spiegare loro la situazione. Nel frattempo abbiamo a che fare con il più grande duca di tutto l'Occidente e con un conte inglese completamente pazzo.» Un paio di ordini secchi e il padiglione esterno venne riordinato in un batter d'occhio. Terminata l'operazione tolsero i pannelli di tela laterali lasciando entrare farfalle, libellule e altri insetti. Il vento fresco carezzava il volto di Ash. Lanciò una rapida occhiata alla tavola imbandita. Sopra la tovaglia gialla erano stati disposti i piatti d'argento tirati a lucido. Un manipolo di uomini della squadra di van Mander formava un picchetto d'onore e di guardia intorno all'area centrale del campo. Tre delle donne suonavano un'aria italiana con dei flauti dolci. Henri e Bianche cantavano con trasporto. Ash gli lanciò un'occhiata e l'addetto ai rifornimenti si pulì il volto arrossato con la manica e annuì. Un attimo dopo Ash colse un lampo biondo vicino alla tenda e si rese conto che Angelotti stava riportando il conte al campo. Vide che John de Vere registrava con un certo stupore la presenza di Bianche come cameriera e di Ludmilla e Katherine armate di balestra a guardia della tenda di comando. «Ci sono molte donne nel vostro campo, signora» sottolineò il nobile. «Certo. Sono solita giustiziare gli stupratori.» La risposta fece sussultare il visconte di Beaumont che cambiò d'espres-
sione, mentre il conte di Oxford annuì pensieroso. Ash presentò Godfrey Maximillian e Floria del Guiz. Il nobile si rivolse al chirurgo parlando al maschile. «Sedetevi, prego» disse in tono formale lasciando che i servitori li facessero accomodare a seconda del loro grado. Ash stessa cedette il posto di capo tavola a John de Vere. La musica cessò. Ash si accomodò a sua volta e cominciò a pensare che i Visigoti avevano avuto altri sei giorni per avanzare e che avrebbe fatto meglio a comportarsi bene una volta giunta davanti al duca Carlo. «Bene, bene» disse Ash, mentre Bianche e le altre donne servivano la prima portata. «Ora mi ricordo. Ho già sentito parlare di voi. Voi siete quel Lord Oxford!» Il conte emise un verso che dopo un secondo Ash riconobbe come una risata. «'Quel Lord Oxford'.» «Vi avevano rinchiuso a Hammes!» Floria alzò gli occhi dal piatto. «Hammes?» «È una fortezza» la informò Ash, quindi arrossì e cominciò a servire personalmente John de Vere. «Si trova fuori Calais. Ha il fossato e tutto il resto... Si pensa che sia un castello dal quale è impossibile scappare!» Il conte di Oxford allungò una mano e diede una pacca affettuosa sulla spalla del visconte Beaumont. «E così sarebbe stato se non fosse per quest'uomo, Dickon, George e Tom. Però vi sbagliate su una cosa, signora. Non sono scappato. Sono andato via.» «Andato via?» «Sì, portando con me il capo carceriere, Thomas Blount, come alleato. Abbiamo lasciato sua moglie a dirigere il castello finché non sarò tornato con delle truppe dei Lancaster92 .» John de Vere sorrise. «Padrona Blount è una donna che anche voi trovereste formidabile. Potrei tornare tra dieci anni a Hammes e scoprire che il castello è ancora nostro, non ho dubbi al riguardo!» «Il mio signore di Oxenford è famoso. Ha invaso l'Inghilterra due volte» disse Ash rivolta a Floria, cercando di reprimere un sorriso. «La prima volta con gli eserciti di Margherita d'Angiò e re Enrico. La seconda volta da solo.» 92
Questi eventi successero esattamente come vengono narrati, ma circa otto anni dopo, nel 1484. Durante il periodo coperto da questi testi il conte di Oxford rimase prigioniero nel castello di Hammes. Sospetto che il cronista abbia aggiunto Oxford al testo solo dopo il 1486.
«Da solo!» Floria del Guiz fissò incredula il duca. «Dovete scusare i modi del mio capo, mio signore di Oxford. Alle volte è maleducata.» «Non ero del tutto solo» protestò il conte. «Avevo ottanta uomini.» Floria del Guiz si aggiustò sulla sedia e fissò il nobile sorridendo. «Ottanta uomini93 per invadere l'Inghilterra. Capisco...» «Il mio signore prese il monte Michael in Cornovaglia» disse Ash «e lo tenne per... un anno, giusto?» «Non proprio. Dal settembre del '73 al febbraio del '74.» Il conte fissò i suoi fratelli che parlavano tranquilli tra di loro ad alta voce, «Avevo degli uomini fedeli con me, ma a un certo punto non ricevemmo più alcun aiuto dalla Francia 94 .» «Dopodiché, Hammes.» Ash scrollò le spalle. «Per quel Lord di Oxford. È chiaro.» «Ma la terza volta riuscirò a mettere un uomo migliore sul trono di Edoardo95 .» Si appoggiò allo schienale della sedia in quercia e aggiunse in tono deciso: «Sono il tredicesimo conte di una dinastia che risale ai tempi del duca Guglielmo, un'era tanto lontana dove esistevano lord e cancellieri del regno d'Inghilterra. Ma, visto che sono in esilio e non sono più vicino a un re Lancaster di quanto voi siate vicina a Papa Giovanni, signora, e visto che dobbiamo affrontare questi Visigoti, allora sono 'quel Lord Oxford.'» Alzò il calice in direzione di Ash. Lode agli dèi! Poiché questo è il più grande conte-soldato d'Inghilterra... La mente di Ash continuava a galoppare a briglia sciolta, mentre lei sorseggiava il vino rosso. «Voi avete riconciliato Warwick il Creatore di Re con la regina Margaret96 . Buon Dio!... Mi dispiace dirlo, mio signore, ma al tempo combattevo per il vostro nemico. Ci siamo scontrati sul campo di Baraet nel '71. Niente di personale. Si tratta solo di affari.» «Lo so. E ora, signora, passiamo ai nostri, di affari» disse de Vere, sec93
Alcune fonti parlano di quattrocento. Il fatto risponde a verità. Re Edoardo d'Inghilterra offrì il perdono ai soldati, ma solo la vita al conte di Oxford e ai fratelli. Oxford venne incarcerato ad Hammes poco tempo dopo. 95 Nel 1485 riuscì nell'impresa vincendo la battaglia di Bosworth per Henry Tudor. Oxford mise sul trono Enrico VII (1485 - 1509). Sul fatto che fosse stato un re migliore del precedente il dibattito è ancora aperto. 96 Richard Neville, conte di Warwick, e Margherita d'Angiò, figlia di Enrico VI d'Inghilterra, furono nemici implacabili per quindici anni. Nel 1471 John de Vere riuscì a far siglare loro una pace. 94
co. «Certo, mio signore.» Ash osservò la scena che si svolgeva oltre il padiglione. Il brigantino che indossava non era pesantissimo, ma il caldo la stava stancando e sentiva che la testa aveva ripreso a pulsare. Osservò il pendio erboso che si trovava tra le tende degli uomini di Geraint e di van Mander. Un lampo azzurro attirò la sua attenzione e vide Robert Anselm a petto nudo che faceva addestrare i soldati con la spada e la lancia. I ragazzi portavano l'acqua agli uomini. L'urlo roco di Geraint ab Morgan echeggiava sopra il tonfo delle frecce che colpivano i bersagli di paglia. Lasciamo che si addestrino al caldo, pensò Ash. Domani saranno più disciplinati. È tempo che questo posto cominci a somigliare a un campo militare... Stavano iniziando a pensare di non essere più una compagnia militare. Mi domando quanti sono rintanati nei bordelli di Digione. La candela segna tempo marcava le tre del pomeriggio. Ignorò il gorgoglio allo stomaco e prese una coppa di vino annacquato. «Posso chiamare gli ufficiali, mio signore?» «Sì. Adesso.» Ash si girò verso Rickard che attendeva dietro la sua sedia tenendole la spada. «Il duca Carlo ama la guerra» esordì inaspettatamente Floria del Guiz. «Adesso vorrà attaccare l'esercito visigoto.» «Lo spazzeranno via» rispose Ash, torva, mentre Rickard parlava a bassa voce con uno dei ragazzini che fungeva da paggio. I servitori, i paggi, gli uomini di guardia con i cani al guinzaglio assicuravano una certa tranquillità nell'area intorno alla tenda del comandante. Ash appoggiò un gomito sul tavolo ignorando le macchie sulla tovaglia e fissò John de Vere. «Avete ragione, mio conte. I principi europei si devono unire altrimenti non avranno nessuna possibilità di sconfiggere i Visigoti. Non c'è dubbio al riguardo. Devono sapere già quello che è successo in Italia e in Germania, ma credo che non riescano a concepire che possa accadere anche a loro.» Robert Anselm entrò nella tenda coperto di sudore, seguito un attimo dopo da Angelotti e Geraint. Ash fece loro cenno di avvicinarsi al tavolo e il visconte Beaumont e i fratelli de Vere si sporsero in avanti per ascoltare meglio. «Ufficiali a rapporto» spiegò Ash, allontanando il piatto. «Dovrete abituarvi, Vostra Grazia. È sempre meglio controllare le cose due volte.»
E ti servirà a capire chi siamo veramente... pensò Ash, in modo che non ci siano dubbi su chi stai assoldando! Geraint, Anselm e Angelotti si sedettero a tavola: il capitano degli arcieri fissava i resti del cibo con sguardo famelico. «Abbiamo ricostruito il perimetro.» Robert Anselm allungò un braccio, prese un pezzo di formaggio dal piatto di Ash, cominciò a masticarlo con vigore e disse: «Geraint?» «Ha ragione, capo.» Geraint ab Morgan lanciò ai fratelli Oxford un'occhiata cauta. «Ho fatto erigere le tende dei vostri uomini sul lato del fiume, Vostra Grazia.» Ash si asciugò la fronte. «Bene. Dov'è Joscelyn? Di solito è sempre nelle vicinanze quando si tratta di fare rapporto.» «Oh, è alle tende dei nuovi arrivati e sta dando loro il benvenuto a nome del Leone.» Il capitano degli arcieri aveva parlato con tono innocente e quando vide che Bertrand, solo dopo un cenno di Ash, stava cominciando a servire il vino, alzò gli occhi ed emise una sorta di grugnito di soddisfazione. Robert Anselm fissò Ash. «Dovevi proprio mettere insieme tutti i Fiamminghi?» borbottò Ash tra sé e sé. A giudicare dai simboli sulle bandiere, Ash poteva dire con assoluta sicurezza che gran parte della zona più interna del campo era formata dalle tende dei Fiamminghi. Il resto del campo era come al solito un misto promiscuo di nazionalità. Ash annuì assente, lasciando vagare lo sguardo sulle donne che stavano dirigendosi verso i cancelli del campo, molto probabilmente per andare a Digione. «Per ora va bene» commentò. «Ma finché siamo qui voglio un doppio perimetro di guardie a partire da oggi. Non voglio che gli uomini di Monforte o i Burgundi vengano a romperci le scatole e non voglio neanche che i nostri uomini entrino ed escano quando vogliono per andare a ubriacarsi. Fateli andare in città a piccoli gruppi. Non più di venti alla volta. Cerchiamo di ridurre al minimo i pretesti per le risse.» «Certo, capitano» rispose Robert Anselm, sogghignando. «Questo vale anche per i capi squadra, sia chiaro.» Ash squadrò gli ufficiali intorno al tavolo. «Cosa ne pensano gli uomini del contratto con gli Inglesi?» Godfrey Maximillian si asciugò il sudore con un rapido gesto della ma-
no e, dopo aver lanciato uno sguardo di scusa ad Anselm, disse: «Gli uomini avrebbero preferito che fossi stata tu in persona a portare avanti le trattative, capitano. Penso che stiano aspettando di capire da che parte starai.» «Geraint?» «Sai come sono fatti gli arcieri, capo» disse il Gallese in tono dimesso. «Per una volta combattono per qualcuno che si pensa sia più sboccato di loro! Non intendevo offendere, Vostra Grazia.» John de Vere lanciò un'occhiata torva al capitano degli arcieri, ma non commentò. «Nessun dissenso?» insisté Ash. «Beh... la squadra di Huw dice che avremmo dovuto provare a stringere un altro contratto con i Visigoti» confessò Geraint, senza curarsi di Oxford. «Anch'io la penso come loro, capo» continuò. «Gli eserciti inferiori di numero al nemico non vincono mai e quello del duca è di parecchio inferiore. C'è solo un modo per essere pagati: stare dalla parte dei vincitori.» Ash lanciò un'occhiata interrogativa ad Angelotti. «Conosci gli artiglieri» esordì il mastro artigliere. «Mostraci qualcosa contro cui sparare e saremo tutti felici. Non vedo la metà dei miei uomini da due giorni perché sono spariti nel campo dei Burgundi a studiare le loro artiglierie.» «I Visigoti non hanno molta artiglieria» gli fece notare Geraint. «Non credo che piacerebbero ai tuoi ragazzi.» Angelotti si permise un sorriso. «C'è sempre qualcosa da dire quando ci si trova dalla stessa parte dei cannoni.» «E i soldati?» Ash si rivolse a Robert Anselm. «Ho parlato con circa la metà di loro. Carracci e gli Italiani, gli Inglesi e quelli dell'est sono contenti per il contratto. Ai Francesi non va molto a genio di trovarsi dalla stessa parte dei Burgundi, ma lo sopporteranno. Pensano tutti che devono farla pagare alle teste di tela per Basilea.» «Ho dato un'occhiata al baule» sbuffò Ash. «Ci devono dei soldi!» «Li infilzeremo, ma a tempo debito» continuò Anselm, mentre l'espressione del volto passava da divertita a corrucciata. «Non so cosa dire per i Fiamminghi. Non sono riuscito a parlare con di Conti e gli altri, ho scambiato qualche parola con van Mander, ma lui dice che deve dare degli ordini.» «Uh, huh. Va bene, continuiamo» disse Ash, comprendendo a pieno la
preoccupazione di Anselm. «Queste lance che non sono d'accordo rappresentano un problema, capitano?» chiese John de Vere, intervenendo per la prima volta nella conversazione. «Nessun problema. Ci sarà qualche cambiamento.» Ash fissò de Vere dritto negli occhi e qualcosa nella sua espressione convinse il nobile del fatto che avrebbe risolto il problema. «Bene, arrangiatevi come sapete, capitano.» «Perfetto, cosa abbiamo adesso...?» domandò Ash lasciando cadere l'argomento. Digione si trovava a qualche chilometro dal campo. Oltre il limitare del bosco i pendii verde e marrone splendevano sotto il sole. Lo sguardo di Ash si spostò sull'astro cercando di capire se il Sole in Leone stava ancora brillando con la stessa intensità del giorno prima. «Allora,» disse «il punto è cosa fare.» Ash lanciò un'occhiata a Oxford e si scoprì intenta a punzecchiare con la punta del coltello la patina annerita che aveva avvolto la bistecca e la focaccia al formaggio. Dei frammenti le caddero sul vestito. «È come vi ho detto poco fa, mio signore. Questa compagnia è un po' troppo grossa per essere una scorta, ma non siamo assolutamente in grado di fronteggiare l'esercito burgundo, tanto meno quello visigoto.» Il conte inglese sorrise in un modo che fece sussultare gli ufficiali di Ash. «Così... ho pensato, Vostra Grazia...» Ash agitò un pollice oltre la spalla indicando il pendio in cima al quale spiccava il tetto del convento «... e lassù ho avuto parecchio tempo per farlo, e mi è venuta un'idea che vorrei sottoporre al duca. La domanda è: anche voi avete avuto la mia stessa idea mezza cotta?» Robert Anselm si passò una mano sul volto per nascondere un ghigno; Geraint Morgan farfugliò qualcosa. Angelotti fissò Ash con gli occhi socchiusi che gli donavano un'aria ambigua. «Mezza cotta?» indagò il conte di Oxford, mite. «'Folle', se preferite.» L'eccitazione per quanto stava per dire le rese possibile non sentire per qualche attimo il dolore alla testa. Si sporse sul tavolo. «Non attaccheremo l'esercito visigoto, giusto? Ci vorrebbero tutti gli uomini del duca Carlo e qualcun altro! Ma che bisogno avremmo di attaccarli a testa bassa?» De Vere annuì. «Un'incursione.»
Ash piantò il coltello nel tavolo. «Esatto! Un'incursione per staccare la loro testa... un gruppo formato da, diciamo, settanta o ottanta lance: ottocento uomini. Più grosso di una scorta, ma abbastanza piccolo da muoversi velocemente e allontanarsi dai guai nel caso incontrasse il loro esercito. E quelli saremmo noi, giusto?» Oxford si inclinò leggermente all'indietro facendo cigolare l'armatura. I suoi tre fratelli lo fissarono intensamente. «Non è un'idea folle» commentò il conte d'Oxford. «È folle quanto una delle altre imprese che abbiamo compiuto insieme, John» balbettò il visconte Beaumont. «E di quale utilità sarebbe per la causa dei Lancaster?» si intromise il più giovane dei fratelli de Vere. «Tranquillo! Teppistello.» Il conte di Oxford diede una pacca sulla spalla a Beaumont e scompigliò i capelli di Dickon. Il volto bruciato dal sole del nobile aveva un'espressione vivace quando si voltò a fissare Ash. «Esatto, signora» confermò. «Abbiamo pensato la stessa cosa. Un'incursione per uccidere il comandante, il generale. Il loro faris.» Per un momento Ash smise di vedere il campo bruciato dal sole della Borgogna e tornò al giardino gelato di Basilea dove aveva incontrato la sua gemella. «No.» Per la prima volta da quando si erano conosciuti Ash vide che sul volto del nobile era apparsa un'espressione stupita. «Non il loro comandante» ripeté Ash, pragmatica. «Non qui in Europa. Credetemi quando vi dico che il faris se lo aspetta. Sa benissimo che ogni principe nemico vorrebbe la sua testa in cima a una picca e per questo è ben sorvegliata. È circondata da dodicimila soldati. Attaccarla adesso è impossibile.» Ash fissò i volti intorno al tavolo e tornò a concentrarsi su de Vere. «No, mio signore - ho detto che era un'idea folle per un buon motivo. Voglio attaccare Cartagine.» «Cartagine?» tuonò Oxford. Ash scrollò le spalle. «Scommetto che non se lo aspettano.» «Per delle ottime ragioni!» esclamò uno dei fratelli de Vere. «Cartagine!» sussurrò Godfrey Maximillian, stupefatto. Angelotti mormorò qualcosa nell'orecchio di Robert Anselm. Floria era immobile come un cane da caccia che abbia annusato il sangue e fissava Ash con un'espressione sul volto che era un misto di stupore e disprezzo.
«Signora, avete intenzione di chiedere a Carlo di Borgogna di pagarvi per attaccare il califfo-re a Cartagine?» le chiese John de Vere con lo stesso tono di voce carico di scetticismo che lei aveva usato quando poco prima l'aveva sentito parlare dei suoi progetti per la casata dei Lancaster. Ash fece un respiro profondo, si appoggiò allo schienale della sedia scaldato dal sole e allungò la coppa per farsela riempire da Bertrand. «Dobbiamo considerare due fattori, Vostra Grazia. Uno: il loro califfore, Teodorico, è malato, sta morendo. Ho avuto queste notizie da fonti attendibili.» Incrociò rapidamente lo sguardo con Floria e Godfrey. «Un recaliffo morto sarebbe molto utile! Un morto di quell'importanza lo è sempre! Se dovesse scoppiare una lotta intestina per la successione non credo che l'esercito continuerebbe l'invasione verso nord e forse potrebbe venire richiamato in Nord Africa. Sarebbero costretti a fermarsi a causa dell'inverno e non attraverserebbero il confine.» «Adesso capisco perché volevate parlare con Carlo, signora.» Il conte aveva un'aria pensierosa. Dickon de Vere farfugliò qualcosa. «Sei impazzita?» le domandò Floria del Guiz, sfruttando il vociare degli inglesi. «De Vere è un soldato e non pensa che sia una follia. Almeno non del tutto» si corresse. «È un'idea disperata.» Robert Anselm aggrottò la fronte, rifletté per qualche attimo quindi si asciugò il sudore sulla testa e disse: «Disperata, ma non stupida.» «Cartagine» ripeté Angelotti a bassa voce con un'espressione inintelligibile sul volto. La cosa preoccupò Ash perché voleva sapere con certezza da che parte sarebbe stato l'artigliere italiano. «E?» la pungolò Godfrey Maximillian. «E...» spinse via la sedia e si alzò in piedi. I Lord inglesi erano tanto impegnati a discutere tra di loro che non si accorsero di lei, mentre i suoi ufficiali non la persero di vista neanche un istante. John de Vere batteva il pugno sul tavolo. Ash percepì la sfiducia crescente nei suoi uomini, ma fu la sola a farlo perché ormai li conosceva da anni. I fratelli de Vere non si erano accorti di nulla, ma per lei era chiara come il sole. «Hai intenzione di dirci quello che ti passa per la testa adesso, capo?» le chiese Geraint ab Morgan. «Se il califfo-re muore potremo tirare il fiato» disse Ash rivolgendosi ai suoi ufficiali.
Quando vide lo sguardo incredulo negli occhi di Godfrey Maximillian non riuscì più a trattenersi e si allontanò dal tavolo. Si appoggiò a uno dei pali della tenda e prese a osservare la luce che si rifletteva e frammentava in migliaia di scintille sulle armi e le corazze. Rimase ferma per qualche tempo, quindi tornò indietro. «D'accordo, hai ragione. Non il re-califfo.» Posò una mano sulla spalla di Robert Anselm e la strinse. «Anche se sarebbe un punto a nostro favore.» Lasciò vagare lo sguardo sul volto di Godfrey che si carezzava la barba, su quello di Floria, su quello di Angelotti che fissava la scena con un'espressione solenne degna di un'icona bizantina e infine sul viso perplesso di Geraint. Beuamont disse qualcosa in inglese, ma parlò troppo rapidamente per farsi capire. «Giusto» rispose Oxford e si girò nuovamente verso Ash. «Signora, voi avete parlato di due fattori da considerare: qual è il secondo?» Ash fece un cenno a Henri Brant che fece uscire immediatamente i paggi dalla tenda. Un comando secco echeggiò nell'aria e il cerchio di guardie si allontanò di qualche metro. Sorrise tra sé e sé scuotendo la testa. Comunque, pensò, le voci cominceranno a girare prima di stasera. «Il secondo fattore» disse, tornando seria «è il Golem di Pietra.» Ash si sporse sul tavolo fissando il nobile e i suoi ufficiali. «La machina rei militaris, la macchina tattica. Ecco quello che voglio distruggere.» Ash fissò il prete prima di riprendere a parlare e lo vide sbattere le palpebre perplesso, con la fronte corrugata in un'espressione che poteva essere di paura o di preoccupazione. «Sei sicura...» iniziò il religioso. Ash gli fece cenno di tacere e vide l'occhiata che Floria del Guiz lanciò al prete. «Sappiamo che il faris sente una voce» disse Ash, tranquilla. «Tutti voi avete sentito le dicerie che corrono sul Golem di Pietra dei Visigoti. Le parla direttamente da Cartagine e le dice come vincere le battaglie. Ecco perché dobbiamo distruggerlo. Il califfo-re non è l'obiettivo più importante. Voglio fare a pezzi quella macchina. Voglio far scomparire quel dannato 'Golem di Pietra' dalla faccia della terra. Farlo tacere per sempre!» Un picchio cominciò a martellare uno degli alberi che cresceva sulla riva del fiume. Il suono echeggiò nell'aria più secco e nitido di quelli provocati dagli uomini che si stavano addestrando con le spade. Oltre il fiume la luce
del sole rendeva il paesaggio uniforme. «In che misura la loro forza dipende da quella macchina e dall'abilità dei generali al comando del faris? Tale perdita sarebbe veramente così grave per lei?» chiese il visconte Beaumont. «Ho sentito di tutto da quando sono sbarcato a Calais, ma il 'Golem di Pietra'? Anche se fosse solo una diceria è una di quelle voci che valgono quanto un esercito» si intromise John de Vere prima che Ash potesse rispondere. «Ma se è solo una diceria» gli fece notare suo fratello George «non può essere distrutta. Sarebbe come cercare di tagliare il fumo con una spada.» «E dove si troverebbe? Sempre che esista. A Cartagine, o con il loro generale donna? Può essere ovunque. Chi ne conosce con certezza l'ubicazione?» Ash sentì che il picchio aveva smesso di lavorare. Oltre le tende e la palizzata vide i ragazzi che si addestravano con le fionde. «Se la macchina fosse al suo seguito, l'avremmo saputo» spiegò Ash. «Non è con lei, quindi vuol dire che è da qualche altra parte, ovvero nel cuore dell'impero visigoto, sorvegliata da un numero incredibile di guardie. Ecco perché può essere solo nella loro capitale.» Ash fece una pausa e sogghignò. «Proprio la città che avevo intenzione di razziare.» «'Se'» disse, laconico, il conte di Oxford. «Una cosa talmente unica può essere solo in quel luogo, Vostra Grazia. Riuscite a immaginare il califfo-re che la tiene fuori dalla città? Comunque possiamo procurarci le informazioni che ci servono. Godfrey è in contatto con i de Medici in esilio. Si può ricavare qualunque informazione da una banca.» «Di solito li ho sempre trovati piuttosto restii a cooperare con un Lancaster in esilio. Spero che il vostro prete abbia più fortuna» commentò John de Vere. «L'invasione è guidata dal faris. Quella donna è d'importanza vitale per tutta l'operazione, ma voi non riuscireste mai a raggiungerla. Quella donna è convinta a sua volta che la macchina sia d'importanza vitale per tutta l'invasione. Potete pensarla come volete» disse Ash tornando a sedersi «ma lei è convinta che sia stata la macchina a spiegarle come battere gli Italiani, i Tedeschi e gli Svizzeri.» Porse il bicchiere, poi, ricordandosi di aver fatto uscire tutti i paggi, lo posò sul tavolo. Allungò un braccio, prese la brocca, si versò una dose generosa di vino annacquato e ne bevve una lunga sorsata, consapevole
che il suo volto doveva essere rosso quanto quello di Anselm e Oxford. Riuscirò a cavarmela anche questa volta con poco, senza dovermi sbottonare troppo? si chiese Ash. «Siete molto ansiosa di andare a morire» le fece notare Oxford, tranquillo. «Sono molto ansiosa di combattere, vivere e venire pagata. Ho pochissimo denaro e...» Ash indicò con un dito la città e i campi degli altri mercenari che sorgevano vicino alla confluenza dei due fiumi «... ci sono un mucchio di altri posti dove i miei ragazzi possono guadagnarsi da vivere. Abbiamo bisogno di combattere. Ci hanno preso a calci in culo a Basilea e abbiamo bisogno di rispondere.» «Una battaglia contro qualcosa che potrebbe essere una diceria, un fantasma... niente?» insisté il nobile. No, questa volta non me la cavo con poco, concluse Ash. «E va bene» si arrese Ash. Fece roteare il vino che era rimasto nella coppa e alzò gli occhi per incontrare lo sguardo di sfida di de Vere. «Se voglio portare a termine il mio piano devo avere un'autorità che mi supporti con il denaro. E voi non mi darete né il denaro né l'autorità a meno che non siate convinto. È inutile negarlo, le cose vanno in questo modo, Vostra Grazia.» Godfrey Maximillian toccò la Croce di Rovi. Ash capì immediatamente quello che passava nella testa del religioso dall'espressione del suo volto e si meravigliò del fatto che anche gli altri non se ne fossero accorti. Solo la presenza del conte di Oxford stava impedendo al prete di chiederle ad alta voce se per caso aveva intenzione di dire che anche lei aveva sentito una voce fin da quando era bambina. «Capitano» esordì il giovane Dickon de Vere prendendo tutti alla sprovvista. «È vero quello che dicono i vostri uomini riguardo al fatto che anche voi sentite le voci proprio come la vergine francese?» L'occhiataccia del fratello maggiore lo fece zittire e arrossire. «Sì» confermò Ash. «È vero.» Gli inglesi cominciarono a discutere ad alta voce i loro punti di vista contrastanti e Ash nascose il volto per un attimo tra le mani. E se distruggendo il Golem di Pietra morissi anch'io? si chiese. «Guardatemi, Vostra Grazia» lo invitò Ash. Il conte la accontentò e lei riprese: «Io e il faris abbiamo lo stesso viso. Siamo praticamente gemelle.» «Siete un bastardo della sua famiglia?» Oxford arcuò le sopracciglia. «Sì, suppongo che sia possibile. Dovrebbe essere preoccupante?»
«Per dieci anni ho pensato di sentire la voce di un Leone.» Ash si fece il segno della croce senza neanche rendersene conto. Per un attimo i suoi occhi scivolarono sull'espressione pensierosa di Robert Anselm, sul volto inespressivo ed enigmatico di Angelotti, sull'espressione confusa di Geraint, quindi incrociarono l'occhiataccia di Floria e lo sguardo indagatore del conte. «Per dieci anni ho sentito la voce del Leone che mi parlava nel mezzo della battaglia. Ecco perché vengo chiamata la 'Leonessa'.» Sulla bocca di Ash apparve un sorriso obliquo. «Ci sono già state delle campagne causate da santi che dicevano di sentire la voce di Dio, non è un fatto così raro.» Risero tutti. Ash si concentrò sul conte. «Questa è una cosa che ho sempre cercato di tenere il più possibile segreta, ma anche voi sapete bene come sono i campi» disse Ash. «Mio signore, so che il faris sente una voce. L'ho sentita parlargli. Non ho mai sentito un Leone, ma la loro macchina da guerra. Lei può sentirla perché è stata allevata per farlo e io la sento perché in un certo senso siamo sorellastre.» Oxford la fissò e andò dritto al punto. «E loro lo sanno, signora?» «Oh, se lo sanno» rispose torva. Tornò a sedersi e posò le mani sull'armatura. «Ecco perché a Basilea mi hanno imprigionata.» Oxford schioccò le dita come per dire: «Ma certo!» «Se la voce è dalla parte di quella donna, voi potete ancora combattere?» chiese Dickon de Vere in tono candido. L'effetto della domanda era visibile anche sui volti dei suoi ufficiali. Sulle labbra di Ash apparve un sorrisetto. «Non so se posso combattere,» affermò, rispondendo al giovane nobile «ma posso provarvi che si tratta della stessa voce, della stessa macchina. Se non lo fosse,» concentrò lo sguardo su John de Vere «non sarebbero stati tanto ansiosi di imprigionarmi per portarmi a Cartagine e interrogarmi.» Uno sbuffo di vento portò l'odore dell'erba umida, del fiume, del sudore e del puzzo del campo. Ash allungò le mani e strinse una spalla di Godfrey e un braccio di Floria. «Cartagine mi vuole» affermò. «Non scapperò. Ho ottocento uomini con me e questa volta li porterò da loro.» Aveva gli occhi lucidi. Era una donna brillante, chiara e tagliente come una lama, con un sorriso che atterriva. Lo stesso che sfoderava in battaglia
e che spaventava i nemici perché era sereno, il sorriso di una persona a cui andava bene qualsiasi cosa. «Mi vogliono a Cartagine? Allora andrò a Cartagine!»
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduta della Borgogna (Ratcliff, 2001), British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#135 (Anna Longman) Ash.i 15/11/00 ore 07,16 Ngrant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Scusa, ma non ho dormito perché sono stato collegato tutta la notte con delle università in diverse parti del mondo. Hai ragione. È successo con tutti i manoscritti. Il CARTULARIO di St. Herlaine è scomparso del tutto. Esiste una copia dello Pseudo-Godfrey nella galleria dei falsi al V&A. Il testo dell'Angelotti e quello di del Guiz sono considerati romanzi medievali, leggende. Sono stati tolti dai documenti medievali dopo gli anni '30! Da quello che ho potuto scaricare, i testi sono rimasti invariati. L'unica cosa che è cambiata è la loro CLASSIFICAZIONE, da storia a romanzi. Ti posso solo chiedere di credermi quando ti dico che non sono un truffatore. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#80 (Pirce Ratcliff) Ash: documenti storici 10/11/00 ore 13,55 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli ancellati
Ti credo. Ho fiducia in te. Abbiamo controllato le fonti storiche prima di firmare il contratto. Sei onesto, Pierce. Ma anche gli onesti prendono degli abbagli. Mandami qualcosa sulle scoperte del dottor Napier-Grant. Scaricami delle immagini, ho bisogno di qualcosa da mostrare al MD o tutto va al
diavolo! — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#136 (Anna Longman) Ash: Scoperte archeologiche 15/11/00 ore 10,17 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Isobel non ha la minima intenzione di mettere delle foto del sito o dei golem su Internet. Dice che sarebbero di dominio pubblico in tutto il mondo in meno di mezz'ora. Suo figlio, John Monkham, tornerà dalla Tunisia la prossima settimana. Sono riuscita a persuadere Isobel a usarlo come corriere. Porterà delle copie delle foto fatte ai golem; ma rimarranno sempre in suo possesso. Isobel ti autorizza a mostrarle al tuo MD prima che John torni al sito. È il massimo che posso fare. —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#81 (Pirce Ratcliff) Ash: scoperte acheologiche 10/11/00 ore 10,30 Longman@
Pierce — Da' a John Monkman il numero di telefono, gli andrò incontro all'aeroporto. Anche se muoio dalla voglia di vedere questi goletti, so che dovrò attendere ancora un po'. Mentre aspetto vorrei sapere se hai qualche spiegazione per quello che sta succedendo.
— Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#136 (Anna Longman) Ash: testie 16/11/00 ore 11,49 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Francamente, no. Non ho la MINIMA idea del motivo per il quale quegli scritti sono stati classificati sotto la categoria 'Narrativa'. Ho esaurito tutte le spiegazioni possibili. Comunque HO un'idea. Io penso che c'entri la filosofia. Si tratta del Rasoio di Occam - se la più semplice delle spiegazioni per ogni evento è probabilmente quella vera, potrebbe essere che la RICLASSIFICAZIONE dei testi su 'Ash' sia stata un errore? Sai come vanno le cose con i database on line; se una delle università dovesse decidere che quel documento è un falso si produrrebbe un 'effetto cascata' che coinvolgerebbe tutte le università collegate in rete. E il documento si perderebbe o verrebbe mal classificato. Ho passato una notte insonne con questo pensiero come mia unica consolazione. Ho verificato. Purtroppo stamattina, svegliato dal rumore ormai familiare dei camion che arrivavano al sito, mi sono reso conto di aver lavorato troppo con la fantasia. È impossibile che si sia verificato un effetto cascata tra i database perché non avrebbe influito su quelle biblioteche che non sono collegate in rete. No, non ho nessuna idea di quello che sta succedendo. Quando sono riuscito ad avere accesso alla sezione 'manoscritti' della British Library, i documenti che ho consultato erano semplicemente classificati sotto la voce 'Storia Medievale'. Non so spiegare come mai, a quanto pare, questi documenti siano stati riclassificati negli anni trenta. Non so che cosa stia succedendo, ma so che corriamo il rischio di vedere Ash scomparire come una bolla di sapone dalla storia per essere relegata nell'immaginario popolare diventando un personaggio la cui veridicità storica sarà pari (se non inferiore) a quella di re Artù o Lancillotto. Tuttavia, ero e rimango convinto che abbiamo a che fare con essere umano in carne
e ossa, sotto la concrescenza del tempo. Inoltre, ciò che mi rende veramente perplesso è che quanto è stato ritrovato in questo sito non solo avvalla la mia teoria di una cultura visigota nel Nord Africa, ma anche gli aspetti più STRANI di quella cultura come la padronanza della tecnologia post-romana nove secoli dopo. Se pensavo che l'idea dei Visigoti in questa zona dell'Africa potesse essere improbabile, ero addirittura sicuro che la loro tecnologia fosse mitologia pura! E invece eccola qua! Non riusciamo ancora a capirne il funzionamento. È abbastanza per farmi pensare a Vaughan Davies. Forse non sai guanto suona strana la sua introduzione ad ASH: UNA BIOGRAFIA. È qualcosa che si tende a ignorare a causa dell'alto grado culturale dello scrittore e dell'accuratezza delle sue traduzioni. Riguardo alle 'concrescenze' sui vari testi sostiene che la difficoltà non erano i miti cresciuti intorno ad Ash, ma il fatto che era lei stessa a disseminarli. Ti copio la parte più interessante: (...) L'ipotesi che io {Vaughan Davies} trovo più accettabile è che nella storia di 'Ash', o in quella che si suppone tale, lo storico si trovò di fronte, tra le altre cose, al prototipo della leggenda della Pulzella, Giovanna da Domremy, che la storia ci ha tramandato con il nome di Giovanna d'Arco. Questa teoria può sembrare in contrasto con la ragione. Le vicende di Ash si svolgono chiaramente nel terzo quarto del quindicesimo secolo. È impossibile datare i manoscritti a un periodo precedente al 1470. Giovanna d'Arco fu messa al rogo nel 1431. Accettare il fatto che Ash sia una prefigurazione di Giovanna come archetipo della donna-guerriero è una follia pura e semplice poiché Giovanna visse prima di lei. Comunque, io credo che sia stata la leggenda di Ash, redentrice della sua terra, ad essere accollata alla rapida carriera della giovane francese che, è necessario ricordarlo, divenne soldato a diciassette anni e morì a diciannove dopo avere cacciato gli Inglesi dalla Francia, e non la storia di Giovanna a diventare il ciclo di 'Ash'. Il lettore si chiederà come sia successo. La spiegazione è piuttosto semplice. Se le narrazioni non risalivano al tardo, bensì al primo Medio Evo, allora le riproduzioni nel 1480 possono averle portate alla conoscenza di tutti. Con l'invenzione della stampa, gli autori si limitarono semplicemente a riscrivere le loro narrazioni in termini più moderni. In quel periodo riprodurre, per esempio, scene dalla Bibbia o
dalla letteratura classica, adattandole agli usi e ai costumi del quindicesimo secolo era un'operazione piuttosto comune. In questo caso, comunque, ci sì può chiedere come mai non esistessero manoscritti sulla vita di Ash prima del 1470. Come possiamo spiegarlo? Io credo fermamente che le storie su Ash non siano frutto di invenzioni, che siano storia e che interessino non solo la nostra storia. Sono convinto che la Borgogna sia effettivamente 'scomparsa'. Quando dico scomparsa non voglio dire che ci fu un calo d'interesse riguardo quel regno, cosa a cui avrebbe potuto porre rimedio uno storico diligente, ma intendo dire che ne venne cancellata ogni traccia. Quello che rimane nei nostri libri è solo un'ombra. Ma tale scomparsa molto probabilmente lasciò una traccia nell'inconscio collettivo dell'Europa: e uno dei risultati fu un'oscura contadina francese. Sono più che consapevole che quanto ho affermato richiederebbe la creazione spontanea della documentazione su Giovanna d'Arco. Accettando questa realtà si comincia a capire come si sono svolti veramente i fatti, a partire da alcuni frammenti sulla scomparsa della Borgogna conosciuta da Ash. Frammenti che si spingono avanti e indietro nel tempo, impalati lungo lo scorrere della storia e che per sopravvivere presero una 'connotazione locale' creando dozzine di leggende. La storia di questa prima Borgogna ci circonda ancora. È ovvio che la mia teoria si può smontare, ma io la considero valida e razionale; (...) Sono sempre stato attratto da questa teoria stravagante - l'idea che la Borgogna scomparve dalla storia dopo il 1477, come effettivamente successe, ma che possiamo trovarne tracce tramite le vicende di altri personaggi storici: nelle azioni di uomini o donne. Il ritratto della Borgogna si fa strada nella storia come una sorta di rompicapo che può diventare visibile per coloro che hanno voglia di guardare. È ovvio che non si tratta di una teoria nel senso stretto del termine. Davies dice chiaramente che è una sua 'credenza'. Era solo un accademico che si divertiva a speculare su un argomento basandosi sul concetto di 'Borgogna perduta' espresso da Charles Mallory Maximillian per portarlo poi a una conclusione logica. Il problema è che questa è solo metà della sua introduzione di 'ASH: UNA BIOGRAFIA.' La teoria è incompleta - quali sono le basì razionali sulle quali l'ha enunciata? Non abbiamo nessuna idea di quale fosse la teo-
ria di Vaughan Davies. Ho consultato l'edizione economica del libro di Davies, pubblicata durante la guerra, custodita nella British Library e, come ben sai, sembra che non ci siano altre copie esistenti di questa seconda edizione. (Presumo che le scorte siano state distrutte dopo il bombardamento del 1940.) Dopo sei anni di ricerche approfondite non sono riuscito a trovarne nessuna copia integrale. Se ti metti a cercare delle prove su questa teoria potresti cominciare a pensare che il professore fosse un eccentrico. Comunque, è meglio non liquidarlo così su due piedi. Nel 1930 non erano molte le persone che avevano un dottorato in storia, uno in fisica e la cattedra a Cambridge. Molto probabilmente era fortemente interessato alla teoria fisica dei mondi paralleli. Posso capire come mai: in un certo senso, la storia è come, un universo fisico, e, se dobbiamo credere agli scienziati, allora è tutto fuorché concreta. Si sa così *poco*. E io, come altri miei colleghi storici, cerchiamo di scrivere la storia partendo da quel poco. Nelle università insegnano che la gente si sposava a una certa età, che molte donne morivano di parto, che molti facevano un particolare apprendistato, che i mulini ad acqua segnarono l'inizio della 'rivoluzione industriale del Medio Evo' - ma se qualcuno chiedesse a uno storico cosa successe a una persona in quel tal giorno, allora non saprebbe rispondere. *Facciamo congetture.* C'è spazio per moltissime cose nelle pieghe della storia. Se non avessi *toccato* il golem con le mie mani mi sarei arreso e avrei abbandonato il progetto (non ho bisogno di vedere rovinate la mia reputazione accademica e la possibilità di pubblicare). Comunque, quello che sto per dire è una sorta di avviso. In seguito alla pressante insistenza di Isobel sto continuando la traduzione del nucleo di questo libro - il documento al quale qualcuno, diversi anni dopo, aggiunse una frase buffa, 'Fraxinus me fecit': 'Fui fatto da Ash'. Essendo Ash praticamente analfabeta è molto probabile che questo documento sia stato dettato a un monaco o a uno scriba, quindi non possiamo sapere cosa sia stato aggiunto e cosa sia stato omesso. Detto questo credo che il documento sia veritiero. Colma il vuoto tra la presenza di Ash all'assedio di Neuss e quella in Borgogna negli ultimi mesi del 1476 e la sua morte a Nancy il 5 gennaio 1477. Risolve il problema conosciuto da tutti come quello 'dell'estate mancante.' Sono arrivato al punto nel quale si fa maggiore luce sulla permanenza di Ash a Digione già descritta negli scritti di Angelotti e del Guiz. Tradurla
ora, con un golem a pochi metri da me, nella tenda accanto, dall'altra parte di una parete di tela, fa sorgere in me una domanda. Una domanda molto seria che quando me la sono posta tempo fa mi era sembrata uno scherzo. Se i golem messaggeri sono veri, cos'altro lo è? — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
(Pierce Ratcliff) Ash: documenti storici 16/11/00 ore 24,08 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli ancellati
Se 'l'Angelotti' e il resto degli altri manoscritti non sono veri, cos'altro c'è di falso? — Anna
QUINTA PARTE 17 AGOSTO - 21 AGOSTO AD 1476 Il campo di battaglia I Il frastuono prodotto dai mulini ad acqua aleggiava sulla città di Digione. Il sole splendeva sui fiori gialli. Le matasse dei viticci si avvinghiavano al terreno marrone. I contadini lavoravano nei campì. Ash fece superare a Godluc una lunga fila di carri trainati dai buoi e imboccò il ponte che portava a Digione nel momento stesso in cui le campane battevano le cinque meno un quarto del pomeriggio. Bertrand le infilò i guanti imbottiti e arretrò nuovamente a fianco di Rickard. I due paggi correvano dietro al drappello avvolti nella nuvola di polvere sollevata dai cavalli. Ash si allontanò dagli uomini della compagnia che aveva mandato in esplorazione e tornò il più velocemente possibile da John de Vere per fare rapporto. «Mio signore, Oxford.» Ash alzò la voce e sollevò appena la testa. I vari odori che permeavano l'aria, sudore, sterco di cavallo, alghe e pietra surriscaldata, le fecero rizzare i capelli sulla nuca. Alzò la visiera per rinfrescarsi il viso con la brezza proveniente dal fiume che fungeva anche da fossato naturale per la città. «Ho ricevuto un rapporto sullo schieramento visigoto fuori di Auxonne» esordì il conte. «Sono circa dodicimila uomini.» Ash confermò la notizia con un cenno del capo. «Lo stesso numero che si trovava fuori Basilea. Non so a quanto ammontino gli altri due contingenti. Dovrebbero essere uguali, forse più grandi. Uno si trova sui territori di Venezia per spaventare i Turchi e impedirgli di muoversi, l'altro è in Navarra. Nessuno dei due ci può raggiungere velocemente. Ci impiegherebbero più di un mese anche se avanzassero a marce forzate tutti i giorni.» La ruota di un mulino girava rapidamente permeando l'aria con un odore di bruciato e una nebbiolina dorata. Le maglie di anelli metallici delle guardie al cancello e gli abiti della gente che lo attraversava in entrata e in uscita erano di ottima fattura. Digione è una miniera d'oro, pensò Ash per cercare di rilassarsi.
«Ecco la nostra scorta» annunciò John de Vere lasciando al tempo stesso che suo fratello George lo superasse per andare a parlare con i nove o dieci cavalieri burgundi in corazza completa che li aspettavano per condurli a palazzo. De Vere si girò verso Ash. «Avete pensato, signora, che sua grazia il duca di Borgogna potrebbe offrirvi un contratto? Io non posso finanziare questa incursione a Cartagine.» «Ma tra noi c'è già un contratto» rispose Ash, in tono tranquillo. «Mi state dicendo di trovare qualche pretesto per non tenere fede alla mia parola - che non ho dato personalmente - con un conte inglese in esilio, perché il ricchissimo duca di Borgogna vuole la mia compagnia...?» John de Vere la fissò con aria risoluta. «La Borgogna è un regno ricco» rispose in tono piatto. «Io sono un Lancaster. Forse sono l'ultima possibilità data alla mia fazione e al momento, mia signora, sono al comando di tre fratelli e quarantasette uomini. Ho abbastanza denaro da sostentarli ancora per sei settimane. Questo fatto non fa pendere l'ago della bilancia dalla mia parte visto che il duca di Borgogna è abbastanza ricco da potersi comprare tutta l'Inghilterra, se volesse...» «Voi siete il mio lord, non prenderei in considerazione un'offerta da parte dei Burgundi neanche per un minuto» disse Ash con lo stesso tono di voce del nobile. «In quanto capitano mercenario la vostra merce più preziosa è la parola e la reputazione.» «Non ditelo ai miei ragazzi. Devo ancora trovare il modo di far accettare loro l'idea di Cartagine...» bofonchiò Ash. George de Vere stava prendendo gli ultimi accordi con i cavalieri della scorta per decidere chi dovesse marciare davanti e altre questioni gerarchiche. La pavimentazione delle strade faceva dolere gli zoccoli di Godluc e Ash gli posò una mano sul collo per rassicurarlo. Il cavallo nitrì e rizzò la testa di scatto: aveva voglia di mettersi in mostra davanti agli abitanti di Digione. Intorno a loro le mura bianche e i tetti azzurri della città brillavano sotto il sole. Ash parlò ad alta voce per farsi udire sopra il frastuono dei mulini. «Questo luogo sembra uscito dal mio breviario, mio signore.» «La stessa cosa vale per voi e per me, signora!» «Dannazione. Lo sapevo che avrei sentito la mancanza della corazza...» George de Vere si girò e fece loro cenno di avanzare. Ash si affiancò al conte di Oxford che, sorridente, si andò a posizionare tra i cavalieri bur-
gundi. Si avviarono con calma. Sebbene i cavalieri della scorta portassero le insegne rosse del duca Carlo, il drappello si aprì la strada con una certa fatica tra i gruppetti di apprendisti fuori dei laboratori, le donne che compravano al mercato e i carri che andavano avanti e indietro dai mulini. Ash alzò la ventaglia dell'elmo e sorrise di rimando ai commenti e ai saluti dei cittadini. «Thomas!» sibilò. Thomas Rochester piantò i talloni nei fianchi del castrato e si riunì rapidamente al gruppo. Una ragazza sporta da una finestra al secondo piano di una casa lo osservò allontanarsi. «Calmati, ragazzo.» «Sì, capo!» Fece una pausa. «Non c'è tempo per un po' di divertimento?» «Non per te...» disse Ash, quindi esercitò una leggera pressione sui fianchi del cavallo e si portò alla sinistra del conte di Oxford. «Pensavo che non avreste mai rotto una condotta, signora. Tuttavia, vedo che ci state pensando.» «No, io...» «Invece sì. Perché?» Ash non rispose immediatamente al nobile. Non si sentiva in soggezione, ma non voleva farsi udire dai cavalieri burgundi. Si diede un'occhiata sospettosa intorno e sussurrò: «Sono la prima a dire che dovremmo fare un'incursione a Cartagine, ma questo non significa che la cosa non mi spaventi! Ricordo bene l'esercito di Carlo di Borgogna fuori delle mura di Neuss: ventimila uomini ben addestrati, con armi e viveri di ottima qualità. Devo dire che se mi fosse dato di scegliere, preferirei avere quei ventimila uomini tra me e il califfo-re piuttosto che quarantasette soldati e i vostri fratelli! La cosa vi sorprende?» «Solo gli stupidi non hanno paura, signora.» Arrivarono in un punto in cui il baccano provocato dai mulini era tale da rendere impossibile una conversazione a bassa voce. Digione si ergeva sulla lingua di terra simile alla punta di una freccia formata dalla confluenza tra i fiumi Suzon e Ouche. Ash cavalcava lungo le sponde del fiume che in quel punto scorreva all'interno della cinta muraria. Osservò le pale dei mulini che brillavano alla luce del sole a causa del sottilissimo velo d'acqua che le ricopriva. Il fiume aveva un colore nerastro e sembrava avere la stessa consistenza di una lastra di vetro. Ash avvertiva il richiamo esercitato dall'acqua.
Superarono il mulino più vicino. Non potendo parlare, Ash si limitò a studiare le strade che stavano calcando. Alcuni uomini con i pantaloni rivoltati fino quasi alle ginocchia erano intenti a fissare al mozzo la ruota di un carro. Videro il manipolo, si fecero da parte e si tolsero i cappelli di paglia. Ash notò che il gesto non era stato né rapido né timoroso. Un membro della scorta fermò il cavallo e si mise a parlare con uno degli uomini. Ash vide di sfuggita che poco più avanti la strada si allargava per poi sfociare in una piazza triangolare circondata da palazzi sui quali spiccavano delle vetrate bellissime e colorate. I fiumi passavano su entrambi i lati della piazza che era stata costruita proprio in prossimità della confluenza dei due corsi d'acqua. Le guardie che si trovavano sulle alte mura si sporsero dai bastioni osservando la scena con interesse. Erano puliti, ben armati e dai loro volti si capiva che nessuno di loro aveva patito la fame da lungo tempo. «Dovete capire, Vostra Grazia» disse Ash «che si sta spargendo la diceria che io sento le voci, che non le sento, che il Leone Azzurro è ancora sotto contratto con i Visigoti perché io sono la sorella del faris e un sacco di altre stupidaggini del genere.» «Voi non volete abbandonarmi?» le chiese de Vere fissandola dritta negli occhi. «Non ne ho la minima intenzione.» «Gli obblighi di un contratto funzionano a doppio senso, signora.» Il tono di voce indurito dal campo di battaglia di de Vere non diede un'enfasi particolare alla frase, ma Ash non riuscì a rispondere con il suo solito cinismo. Il sole l'abbagliava. Cercò di assumere un tono il più risoluto possibile e disse: «Il loro generale, il faris, è nata da una famiglia di schiavi. Lei non fa nulla per nasconderlo. Io... le somiglio come una goccia d'acqua. Cosa sono, quindi?» «Una persona coraggiosa» rispose il nobile, gentilmente. La fissò negli occhi, ma lei distolse lo sguardo. «Visto che» continuò il conte di Oxford «il vostro modo per nascondervi da quella donna è propormi di attaccare la loro capitale. Una simile iniziativa potrebbe farmi dubitare della vostra fedeltà nei miei confronti, ma non è così. In ogni modo i pensieri sono per loro stessa natura delle astrazioni. Speriamo che il duca sia d'accordo.» «Se non dovesse esserlo» disse Ash fissando i cavalieri della scorta «c'è ben poco che possiamo fare. Siamo cotti e panati. Quello è un uomo molto
ricco e potente. Il suo esercito si trova appena fuori delle mura della città. Guardiamo in faccia la verità, due ordini e io divento il suo comandante mercenario, non il vostro.» «Ho delle responsabilità nei confronti dei miei fratelli e nei confronti dei miei parenti acquisiti 97 ! E per qualcuno che ho preso sotto la mia protezione» sbottò il nobile. «Non tutti la pensano così a riguardo di una condotta...» Ash tirò le redini in modo da rallentare e poter guardare in volto il suo datore di lavoro. «Ma per voi è diverso, giusto?» Ash lo fissò e in quel momento il suo sospetto che la gente avrebbe seguito John de Vere anche nella più folle delle imprese chiedendosi solo in seguito, quando era ormai troppo tardi, il motivo di tale decisione, trovò una conferma. Fece un respiro profondo. Si sentiva strana con indosso la brigantina. Aveva l'impressione che le andasse stretta. Godluc dilatò le grosse narici e sbuffò sonoramente. Ash spostò il peso all'indietro senza neanche pensarci per fermare il cavallo e capire cosa lo preoccupasse. A circa duecento metri da loro, una fila di papere uscì dall'acqua e attraversò la strada. I piccoli anatroccoli preceduti dalla mamma si diressero verso il mulino che si trovava sulla riva dell'altro fiume. Dodici cavalieri burgundi, un conte inglese con i fratelli al seguito, un visconte e un capitano mercenario donna con tanto di scorta si fermarono e attesero che le nove papere fossero passate. Ash si sporse dalla sella per rivolgersi a John de Vere, ma in quel momento la sua attenzione fu attratta dalle bianche mura gotiche, dai tetti di ardesia blu, dalle torri e dagli spalti sui quali garrivano centinaia di bandiere del palazzo ducale di Digione. «Bene, signora» disse il conte, accennando un sorriso. «La corte burgunda non ha rivali in tutta la Cristianità. Vediamo cosa pensa di fare il duca della mia pulzella e delle sue voci.» Ash scese da cavallo e fu accolta da Godfrey Maximillian che la seguì insieme con Thomas Rochester e gli altri uomini della scorta. Il palazzo era una costruzione imponente che la lasciò senza parole. Le colonne alte e sottili incorniciavano le lunghe finestre che terminavano a sesto acuto. Tutta la pietra era di colore bianco e biscotto. Sembra che tutto 97
Per parenti acquisiti di un potente signore feudale si intendevano i signori alle sue dipendenze mantenuti nella sua tenuta, altri signori feudali che erano i suoi alleati politici.
il palazzo sia stato decorato con il miele, pensò Ash nel vedere i riflessi provocati dalla luce del sole sulle pareti. Chiuse la bocca e seguì John de Vere. Udì uno squillo di tromba e una voce che pronunciava i loro nomi e il loro livello nella scala sociale. La voce dell'araldo era abbastanza forte da far vibrare le bandiere che pendevano ai lati della sala. Un centinaio di volti si girarono a fissarla. I presenti erano tutti vestiti in blu. Lanciò una rapida occhiata alle tonalità zaffiro, acquamarina, blu reale, indaco e blu, alle signore eleganti e al lungo abito color azzurro acqua indossato da Margherita di York. Ash continuava a rimanere nella scia del conte di Oxford e provava la netta sensazione che le sue gambe si stessero muovendo spinte da una volontà propria. Godfrey le si avvicinò. «Ci sono dei Visigoti» le sussurrò all'orecchio. «Cosa?» «Sono una delegazione di ambasciatori, ma non è chiaro a nessuno quale sia il loro rango vero e proprio.» «Proprio qua? A Digione?» «Sono arrivati a mezzogiorno, o almeno così mi hanno detto.» «Chi sono?» Il prete lanciò una rapida occhiata alla folla. «Non sono riuscito a sapere i loro nomi.» Ash aggrottò la fronte e smise di osservare la profusione di spille tempestate di gioielli appuntate sui copricapo delle donne, le collane d'oro e d'argento al collo dei nobili, le piastre di rame cucite sui farsetti dei cavalieri più giovani e gli abiti quasi trasparenti delle nobildonne. «I nomi, Godfrey! Non dirmi che non li sai. Hai una rete di informatori molto efficiente in questa città. Chi sono?» Il prete rallentò in modo da rimanere indietro e Ash non chiese altro altrimenti avrebbe attirato troppo l'attenzione. Strinse un pugno e per un attimo che sembrò durare un'eternità il suo unico pensiero fu quello di voler colpire il religioso. «Vostra Grazia era al corrente della presenza di una delegazione di ambasciatori visigoti in questa corte?» domandò Ash rivolgendosi al nobile inglese senza guardarlo in volto. «Per le palle di Dio!» «Devo prenderlo come un no, giusto?» La scorta continuò a guidarli lungo la sala. Ash non era dell'umore giusto per apprezzare i quadri all'interno delle nicchie ricavate nelle pareti o
gli arazzi sui quali erano state raffigurare epiche battute di caccia. Sopra il salone le finestre ogivali e i gruppi di colonne lasciavano intravedere i tetti del palazzo ducale e i pinnacoli di pietra bianco-oro che si innalzavano verso il cielo. Delle colombe passarono davanti ai vetri. Ash abbassò lo sguardo e si fermò di scatto. Dickon de Vere la urtò. Entrambe le scorte si aprirono per lasciare passare i fratelli de Vere in modo che potessero affiancarsi al conte di Oxford. Godfrey continuava a rimanere in disparte. L'espressione del volto era calma e i suoi occhi, come quelli dei nobili e degli altri uomini di chiesa presenti nella sala, non lasciavano trapelare nulla. Ash continuava a guardarsi intorno in cerca dei Visigoti, ma non vide nessuno. John de Vere si inginocchiò imitato dai fratelli e da Ash. Sul trono ducale sedeva un uomo dall'aria giovanile. Il nobile indossava un farsetto e teneva la testa leggermente inclinata di lato per conferire con l'uomo al suo fianco. Ash fissò quel volto dall'espressione tetra, i capelli lunghi fino alle spalle e si rese conto che doveva trovarsi al cospetto di Carlo, duca di Borgogna, vassallo di Luigi XI, il più splendido dei re 98 . «Un giorno infausto, allora?» esordì tranquillo il duca, come se non si preoccupasse per nulla di farsi sentire. «No, sire.» L'uomo al suo fianco fece un inchino. Indossava un abito lungo con le maniche arrotolate e teneva tra le braccia un fascio di carte sulle quali spiccavano dei diagrammi di ruote e quadrati. «Diciamo che ci potrebbe essere l'opportunità di raddrizzare un antico torto.» Il duca gli fece cenno di allontanarsi e concentrò la sua attenzione sugli inglesi inginocchiati di fronte a lui. Indossava un abito bianco che, colore a parte, spiccava per la semplicità del taglio. Deve rappresentare una virtù, pensò Ash, Nobiltà, Cavalleria o Castità, forse. Mi chiedo se anche noi siamo così. «Mio signore di Oxenford» disse il duca in tono piacevole. «Sire.» De Vere si alzò in piedi. «Ho l'onore di presentarvi il mio capitano mercenario che Vostra Grazia aveva desiderio di vedere. Ash.» «Sire.» Ash si alzò in piedi. Alle sue spalle Thomas Rochester ed Euen Huw reggevano lo stendardo del Leone Azzurro e Godfrey stringeva un salterio. Ash si lisciò i capelli sul lato sinistro del volto per coprire la cicatrice ancora in via di guarigione. 98
Nato a Digione nel 1433, all'epoca dei fatti narrati il duca Carlo aveva quarantatré anni.
L'uomo relativamente giovane che si trovava sul trono, doveva avere circa una trentina d'anni, si sporse in avanti posando un braccio sul bracciolo e fissò Ash con i profondi occhi neri. Un debole accenno di colore gli comparve sulle guance pallide. «Voi avete cercato di uccidermi!» Ash intuì che quello non era il momento giusto per sorridere. Non sembrava che il Valois che ora sedeva sul trono di Borgogna fosse un uomo facile da affascinare, quindi continuò a mantenere un'espressione seria, umile, rispettosa e rimase in silenzio. «Vi siete procurato un guerriero degno di nota, de Vere» si congratulò il duca, quindi distolse lo sguardo dal condottiero mercenario e si rivolse brevemente alla donna al suo fianco. Ash aveva notato che la moglie del nobile non aveva tolto gli occhi di dosso al conte di Oxford neanche per un istante. «Forse» esordì Margherita di York, parlando ad alta voce «è giunto il momento che quest'uomo ci dica il motivo della sua visita, sire.» «Avete ragione, mia signora.» Il duca fece un rapido cenno a due consiglieri, conferì con loro per qualche attimo e tornò a fissare il gruppo di fronte a lui. Ash valutò rapidamente quanto costasse la semplicità del duca: i bottoni dell'abito erano dei diamanti e il filo delle cuciture sembrava essere d'oro... Quell'uomo spiccava come un fiocco di neve in quel mare di blu. L'elsa della daga era d'oro e tempestata di perle. «È nostra intenzione scoprire» disse il duca «cosa sapete di questo faris, signora Ash.» Ash deglutì e cercò di parlare in un tono di voce che fosse udibile in tutto il salone. «Per il momento quello che sanno tutti, sire. Quella donna è al comando di tre eserciti, uno dei quali si trova al confine meridionale di questo regno. Combatte ispirata da una voce che lei sostiene provenire da una Testa di Ottone o un Golem di Pietra che si trova dall'altra parte del Mediterraneo, a Cartagine» spiegò Ash. Aveva una certa difficoltà a rimanere lucida sotto lo sguardo di Carlo. «Io stessa l'ho vista parlare con quella macchina. Per quanto riguarda il resto: i Goti hanno bruciato Venezia, Milano e Firenze perché non ne avevano bisogno. Hanno un flusso di rifornimenti via nave apparentemente interminabile che attraversa in continuazione il Mediterraneo.» «Questo faris sa cosa sia l'onore? È una sorta di Bradamante99 ?» chiese 99
Leggendaria donna guerriero di cui parla l'Ariosto nel suo Orlando Furioso (1516).
il duca Carlo. Ash decise che era giunto il momento di mostrare il lato meno formale del suo carattere. «Bradamante non mi avrebbe mai rubato la mia armatura migliore per tenersela, sire!» rispose in tono piuttosto amareggiato. Un'ondata di tenue ilarità sembrò dilagare per la corte, ma il tutto si spense nell'attimo stesso in cui i presenti si accorsero che il duca non stava sorridendo. Ash sostenne lo sguardo del nobile, che, vista la bruttezza del viso e il colore degli occhi non poteva essere altro che un Valois, e aggiunse: «Per quanto riguarda i cavalieri, sire, non mi sembra che il punto di forza del loro esercito sia la cavalleria pesante. Hanno una cavalleria media, un grandissimo numero di fanti e i golem.» Il duca Carlo lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche che fece un cenno con il capo ad Ash e scese dalla predella sulla quale si trovava. Il duca gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Il militare annuì, si inginocchiò, baciò la mano del suo sovrano e uscì dalla sala a grandi passi. «Questi uomini privi di onore che vengono dal Sud» disse Carlo, rivolgendosi anche ai presenti «hanno osato privare del sole noi Cristiani per farci piombare nel Crepuscolo Eterno che oscura le loro terre. Essi non hanno espiato il peccato dello Scranno Vuoto. Noi non siamo mondi dal peccato! Ma non meritiamo di essere privati del sole che è il Figlio.» Ash decifrò quella frase dopo aver lanciato un'occhiata a Godfrey e annuì. «Quindi..» il duca si interruppe a causa del brusio insistente della moglie che sedeva al suo fianco su un trono più piccolo. Ci fu uno scambio di opinioni breve e piuttosto secco. «Se servirà a farvi sentire più tranquilla, allora potete chiedere» disse il duca di Valois dopo aver gratificato la moglie con uno sguardo magnanimo. «De Vere!» chiamò. «Lady Margaret desidera parlarvi.» «Questa sarebbe la prima volta che succede!» commentò sottovoce, George de Vere che si trovava poco dietro Ash. Dickon represse una risatina. La nobildonna inglese fissò de Vere, i suoi fratelli e Beaumont, ignorando Ash, il prete e lo stendardo. «Perché siete venuto qua, Oxford? Sapete bene di non essere il benvenuto. Mio fratello, re Edoardo, vi odia. Perché mi avete seguita fin qua?» «Non ho seguito voi, signora.» John de Vere parlò in tono secco senza rivolgersi alla donna con il suo titolo nobiliare. «Sono venuto per vostro marito. Devo fargli una domanda ma, dato che c'è un esercito al confine, la
domanda può aspettare.» «No! Parlerete adesso!» Ash, conscia del fatto che ci fossero molte questioni in gioco in quel momento, pensò che Margherita di York non doveva essere una donna solitamente così impetuosa. Ci deve essere qualcosa che le rode dentro, concluse. «Non è il momento» tagliò corto il duca di Oxford. Carlo di Borgogna si inclinò in avanti aggrottando la fronte. «Se la mia duchessa pone una domanda, vuol dire che è il momento di rispondere, de Vere. La cortesia è una delle virtù dei cavalieri.» Ash lanciò una rapida occhiata a de Vere. L'Inglese strinse per un attimo le labbra poi l'espressione del volto si rilassò e abbozzò un sorriso. «Parlerò, visto che è desiderio di vostro marito. Sua grazia re Enrico VI è morto senza lasciare nessun erede diretto100 . Sono venuto a chiedere al primo discendente dei Lancaster di attrezzare un esercito e tornare in patria in modo che in Inghilterra ci sia un re legittimo invece che vostro fratello.» E io che credevo di essere priva di tatto, pensò Ash. Ash sfruttò il trambusto creato dalla dichiarazione per girarsi rapidamente e valutare la distanza che la separava dalle porte e dalle guardie. Grandioso, pensò. Il faris mi ha messo in prigione. Sono arrivata qua, stipulo una condotta con de Vere e lui ci fa imprigionare tutti. Non volevo che andasse a finire così! Il suono di uno strappo echeggiò nell'aria: Margherita di York aveva stretto il velo del suo vestito con tanta forza da lacerarlo. «Mio fratello Edoardo è un grande re!» «Vostro fratello Edoardo ha fatto sbudellare mio fratello Aubrey, dopodiché, mentre era ancora in vita, gli ha strappato il pene e glielo ha bruciato davanti agli occhi. Tipica esecuzione yorkista. Vostro fratello ha fatto tagliare la testa di mio padre senza avere il minimo appoggio della legge inglese visto che non ha alcun diritto di sedere su quel trono!» tuonò il conte di Oxford facendo sobbalzare Ash. «Il trono d'Inghilterra ci spetta di diritto» replicò Margherita scattando in piedi. 100
Enrico VI e Margherita d'Angiò ebbero un solo figlio, Edoardo che fu ucciso nella battaglia di Tewkesbury. Ogni pretesa al trono d'Inghilterra da parte di un Lancaster doveva essere fatta solo appellandosi a un parente alla lontana (Enrico Tudor, il cui nonno gallese sposò la vedova di re Enrico V). Nel frattempo Edoardo IV, uno York, sedeva sul trono.
«Ma il vostro diritto non è altrettanto legittimo quanto quello di vostro marito!» Il silenzio calò sulla sala come un colpo di spada. Ash si rese conto che stava trattenendo il respiro. I fratelli de Vere osservavano la folla impettiti e con le mani posate sui foderi. Il conte di Oxford fissò per qualche attimo ancora la donna sul trono con uno sguardo degno di un uccello predatore, quindi si concentrò su Carlo e inclinò leggermente la testa in segno di saluto. «Voi dovreste sapere, sire, che essendo il pronipote di John di Guant e Bianche dei Lancaster in questo momento siete l'unico Lancaster che possa accampare dei diritti sul trono d'Inghilterra 101 .» Siamo morti, pensò Ash, mentre stringeva le mani dietro la schiena per impedirsi di toccare la spada che portava al fianco. Siamo fatti, continuò a pensare. Siamo belli che morti. Cristo, Oxford non potresti tenere la bocca chiusa quando qualcuno ti chiede di dire la verità? «Se la cosa non funziona possiamo sempre invadere la Cornovaglia...» disse Ash senza quasi rendersene conto. L'istante di silenzio che seguì fu abbastanza lungo da mozzarle il fiato. Il duca Carlo accennò un sorriso e la sala scoppiò in una risata generale. «Nobile duca» incalzò Ash «il Delfino di Francia ha avuto la sua Pulzella. Mi dispiace di non poter essere altrettanto per voi, ma dopotutto sono una donna sposata. Tuttavia spero di essere anch'io nelle grazie di Dio come è stato per Giovanna. Se voi mi darete non delle truppe, ma un finanziamento allora cercherò di fare quello che lei ha fatto per la Francia. Ucciderò i vostri nemici, sire.» «E cosa potrebbero fare le vostre settantuno lance per la Borgogna, signora?» chiese il duca. Ash arcuò un sopracciglio: neanche Anselm era riuscito a darle un computo tanto esatto delle loro forze. Continuò a tenere la testa alta consapevole del fatto che in quel momento poteva contare solo sull'espressione del suo volto e che se avesse indossato l'armatura completa avrebbe fatto una figura migliore. «Sarebbe meglio non parlarne davanti a tutti, sire.» Il duca di Borgogna batté le mani e il suono delle trombe echeggiò nella sala. Le dame che sedevano ai lati della sala si alzarono e furono accom101
Infatti, Carlo registrò la sua richiesta formale di ascendere al trono di Inghilterra nel 1471, cinque anni prima di questo incontro, ma la cosa non ebbe alcun seguito.
pagnate all'uscita dai loro cavalieri. Ash, Godfrey e i fratelli de Vere furono fatti entrare in una stanzetta laterale. Qualche minuto dopo Carlo di Borgogna li raggiunse in compagnia di una manciata di consiglieri. «Avete sconvolto la regina di Bruges» disse, rivolgendosi a Oxford. Ash guardò stupita i due nobili. «Mia moglie è il governatore di quella città e di tanto in tanto è chiamata regina» spiegò il duca di Valois accomodandosi su una sedia. Si era sbottonato parte del vestito rivelando la maglia dorata sottostante. «Non le piacete per niente, mio caro conte di Oxford.» «Mi sarei stupito del contrario» disse Oxford. «Siete stato voi a costringermi a parlare.» «È vero.» Il duca si concentrò su Ash. «Mi avete portato una folle interessante. È giovane» aggiunse. «So comandare, sire» Ash, che non sapeva se coprirsi la testa, come faceva ogni donna rispettabile, o scoprirla come facevano gli uomini, decise di rimanere a testa nuda e stringere il cappello in mano. «Voi avete l'esercito migliore di tutta la Cristianità. Mandatemi a fare quello che non farebbe mai un esercito - mandatemi a strappare il cuore dell'invasione visigota.» «E dove si troverebbe questo cuore?» «A Cartagine» rispose Ash. «Non è folle, sire» intercesse Oxford. «È solo audace.» Le pareti della stanza erano ricoperte di arazzi sui quali spiccava l'immagine di un cervo maschio, il simbolo della casa regnante burgunda. La bestia bianca e dorata era in un bosco inseguita dagli adoratori e dai cacciatori. Ash si spostò per sottrarsi al caldo sole del tardo pomeriggio e vide che tra le corna del cervo spiccava una croce verde. «Voi siete un uomo onesto e un buon soldato» commentò il duca di Borgogna mentre un paggio serviva una coppa di vino prima a lui poi al conte di Oxford. «Altrimenti sospetterei di un trucco dei Lancaster.» «Io sono astuto solo sul campo di battaglia» replicò l'Inglese. Ash avvertì un certo divertimento nel tono di voce del suo datore di lavoro. «Abbiamo le prove che questo Golem di Pietra si trovi veramente al di là del mare e parli con questo faris?» «Io credo di sì, sire.» «Dovrebbe bastare.» Quante cose dipendono da questo uomo, pensò improvvisamente Ash.
Questo ragazzone brutto dai capelli neri che ha ventimila uomini e più artiglieria dei Visigoti. Dipende tutto da lui. «Io ho lo stesso sangue del faris» disse Ash. «Così mi hanno detto i miei consiglieri. Inoltre» aggiunse il nobile «mi hanno riferito che la somiglianza tra voi è davvero notevole. Siete stata mandata da Dio o dal diavolo?» «A questo può rispondervi il mio prete, sire.» Ash fece un cenno della mano e Godfrey Maximillian avanzò. «Nel corso degli ultimi otto anni questa donna ha seguito la messa, preso la comunione e si è confessata da me, Vostra Grazia.» «Pur essendo un principe» disse il duca di Borgogna «non posso zittire le voci. Si comincia a dire che la voce del generale visigoto proviene da un meccanismo infernale dal quale non possiamo difenderci. Non so per quanto tempo ancora il nome del vostro condottiero sarà tenuto al di fuori di tutto ciò, lord Oxford.» «Può darsi che il faris non sappia che lei...» de Vere esitò in cerca della parola giusta. «Che lei origlia. Non possiamo sperare che le cose rimangano così. Ha già cercato questa ragazza per interrogarla. Dobbiamo agire il più in fretta possibile. È questione di settimane, di giorni, se siamo sfortunati, sire.» «Siete disposto a far cadere la faccenda della successione?» «Per il momento la metterò da parte, sire. Prima dobbiamo affrontare il pericolo che viene da sud.» «Fuori tutti» ordinò il duca senza voltarsi. Trenta secondi dopo nella stanza erano rimasti solo Ash, Godfrey, Maximillian, Oxford e i suoi fratelli. «Non siamo quello che vorremmo essere, de Vere» disse Carlo di Borgogna. Una folata di vento portò nella stanza l'odore del fieno e delle rose. «Se avessi a disposizione gli armaioli di Milano per forgiarmi la migliore delle armature» continuò il duca «e se potessi, signori, vi assicuro che mi armerei come si addice a un uomo, mi parerei dinanzi a quell'esercito di predoni e sconfiggerei in duello il loro campione, così la faccenda sarebbe conclusa una volta per tutte. Ma in questo mondo decadente tale onore e cavalleria non esistono più.» «Si risparmierebbero un mucchio di morti» commentò Ash in tono piatto. «Sire» aggiunse un attimo dopo, apparentemente soprappensiero. «Succederebbe lo stesso con un'incursione a Cartagine» incalzò de Vere.
«Una volta tagliata la testa il corpo non serve più a nulla.» «Voi conoscete l'esatta ubicazione del Golem di Pietra? Sempre che sia a Cartagine.» «Possiamo sempre scoprirlo, sire» fece notare Godfrey Maximillian. «Con duecento corone d'oro posso procurarvi le notizie in brevissimo tempo.» Carlo di Borgogna si concentrò su de Vere. «Parlate.» Oxford si rivolse al duca usando il linguaggio telegrafico e conciso dei militari. Ash non interruppe perché sapeva che per essere accettato un piano doveva essere esposto da un uomo e se questi era uno dei famosi comandanti d'Europa era ancora meglio. Vide con la coda dell'occhio Godfrey che si rilassava. Il prete era contento che lei avesse tenuto la bocca chiusa. Chi sono i Visigoti della delegazione? pensò Ash. Perché non me lo dici? Il prete fissava attonito gli arazzi della stanza. Ash non poteva parlargli in nessun modo. Fissò il cielo oltre la finestra e desiderò essere all'aria aperta. «No» disse il duca di Borgogna. «Fate come credete meglio» tuonò John de Vere. «Denti di Dio, uomo Vostra Grazia. A cosa ci può servire una battaglia? A cosa ci può servire una vittoria se il cuore del nemico rimane intatto?» Il duca tornò a sedersi eretto e fece cenno a John de Vere di allontanarsi. «Sono determinato a combattere i Visigoti e presto. I miei astrologi mi hanno consigliato di farlo prima che il sole esca dal Leone. Il ventuno di agosto è la festa di san Sidonio e quello sarebbe un buon auspicio.» Ash notò lo sguardo del duca che si posava su Godfrey, il quale, dopo aver assunto un'espressione consona alla situazione, si affrettò a spiegare. «Direi che è un giorno perfetto, sire. È giunto il momento di vendicare Sidonio Apollinare uno dei primi santi cristiani martirizzato dai Visigoti.» «Anch'io la penso così» replicò il duca, soddisfatto. «Ho cominciato a prepararmi fin dal mio ritorno da Neuss.» «Ma...» Ash si morse un labbro. «Capitano?» «Volevo dire, sire» riprese Ash, riluttante «che secondo me neanche l'esercito burgundo può sconfiggere l'esercito al confine per non parlare dei rinforzi che arrivano giornalmente dal Nord Africa. Anche se voi vi alleaste con l'imperatore Federico e re Luigi...»
Ash si zittì immediatamente. Era abituata a cogliere sui volti delle persone le espressioni che davano a intendere che non era saggio continuare oltre sull'argomento e l'aver menzionato Luigi XI aveva fatto apparire tale espressione sul volto di Carlo di Borgogna. «Non raccoglierete il denaro per finanziare un attacco a Cartagine?» chiese il conte di Oxford. «No. Secondo me non è saggio. È un'impresa destinata al fallimento. Combatteremo qua e vinceremo.» Fissò Ash e lei si sentì improvvisamente a disagio. «Capitano Ash» riprese il nobile «ci sono dei Visigoti a corte. Sono arrivati stamattina in veste di ambasciatori. Hanno molte pretese o richieste umili come le definiscono loro. Una di queste vi riguarda. Hanno visto lo stendardo della vostra compagnia fuori della città e mi chiedono di consegnarvi a loro.» Gli occhi scuri del regnante erano inchiodati su di lei. La costernazione che serpeggiò tra i giovani de Vere sembrò farle capire che la delegazione era arrivata a palazzo in gran segreto. Un segreto che non durerà a lungo, pensò Ash. «I Visigoti hanno infranto la loro condotta quando mi hanno imprigionata» proclamò ad alta voce «ma non credo di potervi resistere se voleste consegnarmi a loro, sire. Non potrei fermare l'esercito burgundo.» Il duca ruotò con aria grave gli anelli che portava alle dita e non rispose. La notizia dell'arrivo dei Visigoti aveva scosso Ash. «Cosa avete intenzione di fare con me, sire?» chiese. «Ripenserete all'idea di un'incursione contro Cartagine?» «Pondererò entrambi gli argomenti» promise il duca. «Devo parlare con de la Marche e i miei consiglieri. Saprete tutto entro... domani.» Dannazione, ancora ventiquattro ore d'attesa, pensò Ash. Il duca si alzò ponendo fine all'udienza. «Sono un principe» disse. «Siete nella mia corte e se vi capitasse di incontrare qualcuno di quegli uomini proveniente da Cartagine e i loro alleati rinnegati, state tranquilla che nessuno di loro potrà farvi del male.» Ash non lasciò trapelare il suo scetticismo. «Grazie sire.» Ma tornerò al mio campo il più velocemente possibile, concluse tra sé. L'espressione del duca si incupì notevolmente. «Capitano Ash, in quanto schiava bastarda di una casata visigota voi siete legalmente una loro proprietà. Essi non vi reclamano come loro capitano o prigioniero, ma come proprietà. Tale reclamo è legittimo e del tutto legale.»
II Ash e i suoi uomini si fermarono alla fine di una rampa di scale. Avevano distanziato il conte di Oxford e i suoi fratelli, ignorato l'etichetta di corte ed eseguito i saluti di rito in maniera meccanica. La scoperta di poter essere venduta e comprata come una merce l'aveva scossa profondamente. Il duca mi cederà sicuramente, pensò Ash. È una mossa politica. O, se non si tratterà di politica, lo farà per rispettare la legge, visto che è la legge a tenere lontana l'anarchia dal suo regno... Il Vespro echeggiò per tutto il palazzo. Forse ho bisogno di pregare. Si chiese quale fosse la cappella più vicina, si rivolse a Godfrey e non si accorse delle persone che stavano andando loro incontro. «Capo...» l'avverti Thomas Rochester fingendo di tossire. La luce che penetrava dalle piccole finestre si rifletteva sul pavimento e sui muri coperti di calce bianca illuminando a giorno l'intera stanza. Non era un posto dove era facile passare inosservati. I Visigoti la videro e cominciarono a rallentare. «Come vorrei che vi avessero lasciato portare i cani» mormorò Ash. «Una bella muta di mastini tornerebbe molto utile in questo momento...» «Adesso vedremo se la pace del duca è duratura o se dovremo prendere qualcuno a calci in culo, capo» commentò cupo Thomas Rochester. Ash lanciò una rapida occhiata alle guardie presenti nel locale e cominciò a sorridere. «Ehi, ragazzi. Siamo noi quelli che sono a casa qua, non quei fottuti Goti.» «Hai ragione, capo» convenne Euen Huw sghignazzando. «Spacchiamo loro il cranio con una cazzo di alabarda» suggerì uno degli uomini della lancia di Rochester. «Non fate niente a meno che sia io a dirlo. Chiaro?» «Sì, capo» risposero i suoi uomini in tono riluttante. Ash era consapevole della presenza di Thomas ed Euen alle sue spalle. Il primo uomo che componeva il gruppo allungò il passo andandole incontro. Era Sancho Lebrija. «Qa'id» lo salutò prontamente Ash. «Jund.» L'uomo alto e robusto alle spalle di Lebrija era Agnus Dei. L'agnello, che indossava un'armatura milanese, sorrise. I denti ingialliti spiccarono
sulla barba nera. «Madonna» la salutò. «Che brutta ferita.» Ash, che aveva ancora il cappello in mano, si toccò il taglio alla testa con un gesto automatico. «Ash...» le sussurrò Godfrey in un orecchio per cercare di metterla in guardia. La delegazione era scortata da quattro o cinque soldati. Appena il piccolo manipolo si fermò, Ash poté scorgere il giovane in mezzo che portava l'elmo sotto il braccio e lo riconobbe immediatamente. «... È chiaro!» sussurrò Godfrey in tono vendicativo. «Non poteva essere altrimenti! Lui può aver pagato qualche ciambellano per sapere quando e con chi Carlo avrebbe parlato.» Fernando del Guiz. «Guarda chi è arrivato» disse Ash ad alta voce. «Non è questa la piccola merda che ha detto al faris dove mi trovavo quando ero a Basilea? Euen, Thomas: ricordatevi questa faccia. Molto presto dovrete romperla.» Fernando sembrò ignorarla. Agnus Dei disse qualcosa all'orecchio di Lebrija e il Visigoto emise una sorta di risata. Agnello continuava a sorridere. «Spero che tu abbia fatto un bel viaggio da Basilea a qua.» «È stato veloce.» Ash non staccava gli occhi di dosso a Fernando. «Stai attento anche tu, Agnus. Un giorno potrebbero rubarti la tua armatura migliore se non stai attento!» «Il faris vuole conferire ancora con voi» disse Sancho Lebrija, rigido. Cosa diresti se sapessi che anch'io sono molto ansiosa di parlare di nuovo con lei? pensò Ash concentrandosi sugli occhi chiari dell'ambasciatore, che non erano neanche lontanamente affascinanti come quelli del suo defunto cugino. Una sorella, una sorellastra, una gemella. «Allora speriamo in una tregua» disse ad alta voce in modo da farsi sentire dai vari intriganti che alloggiavano in ogni corte. «La guerra è meglio quando non si combatte. Ogni vecchio soldato lo sa - vero, Agnus?» Sulla bocca del mercenario apparve un sorriso ironico. Alle sue spalle i soldati visigoti non fecero nessuna mossa ostile. Ash riconobbe l'udqa102 della scorta e cercò il nazir che l'aveva portata via dai giardini di Basilea. Il visigoto la stava guardando male da sotto l'elmo. 102
L'uqda era uno stendardo portato da un nazir al comando di otto uomini.
Sul locale era calato un silenzio carico di tensione. Sancho Lebrija si girò parzialmente, fulminò con un'occhiataccia Fernando del Guiz, quindi tornò a rivolgersi ad Ash. «Tuo marito vorrebbe parlarti, jund.» «Davvero?» domandò Ash, scettica. «Non mi sembra che voglia farlo.» Il qa'id appoggiò una mano sulla schiena del cavaliere tedesco e lo spinse avanti con decisione. «Certo che vuole farlo.» Fernando del Guiz indossava la divisa bianca e la maglia di anelli metallici tipica dei Visigoti. Non dovevano essere passati più di dieci giorni da quando l'aveva visto a Basilea. Il pensiero la scosse parecchio perché in quel breve lasso di tempo erano successe un sacco di cose. Il volto era più smunto e i capelli biondi erano stati tagliati corti e non gli ricadevano più fluenti sulle spalle muscolose come quando l'aveva incontrato a Neuss. Ash lasciò vagare lo sguardo sulle mani forti. L'odore del marito fece breccia in lei in un attimo: quell'aroma le ricordò il caldo delle lenzuola di lino, la morbidezza della pelle del suo petto, della pancia e delle cosce, le spinte del suo membro eretto dentro di lei. Sentì i capezzoli che si inturgidivano, la gola che si seccava e le guance che arrossivano. Avrebbe voluto carezzare quel volto, ma strinse il pugno e rimase immobile. «Meglio se parliamo» borbottò Fernando del Guiz, senza guardarla in volto. «Stronzo!» lo insultò Thomas Rochester. «Andiamo via» disse Godfrey Maximillian tirandola per un braccio. Ash non si mosse di un centimetro continuando a studiare l'espressione inintelligibile di Sancho Lebrija e quella maliziosa dell'Agnello. «No» borbottò a sua volta. «Voglio parlare con del Guiz. Devo dire un paio di cose a questo uomo!» «Non farlo, figliola» la scongiurò Godfrey. Sfuggì alla presa del prete senza sforzo e indicò un punto della stanza a qualche metro dal gruppo. «Andiamo in ufficio, maritino mio. Thomas, Euen, sapete cosa fare.» Attraversò la stanza e si fermò in un punto in cui la luce rossa e blu che penetrava da una finestra colorata screziava il pavimento sotto un vecchio stendardo che i Burgundi avevano usato in una delle guerre contro i Francesi. Erano abbastanza lontani per non essere ascoltati né dalla delegazione visigota né dalle guardie del duca Carlo. Se dovesse provare a farmi del male siamo abbastanza in vista e tutti
possono vedere, però vale anche il contrario. Si affrettò a togliersi i guanti, posò la mano sulla spada e attese. Fernando del Guiz si allontanò da Lebrija e si diresse verso di lei. Il rumore prodotto dagli stivali che battevano sul pavimento consumato echeggiò contro le pareti. Il calore del tardo pomeriggio giustificava il velo di sudore che gli imperlava il volto. «Allora?» lo pungolò Ash. «Cosa hai da dirmi?» «Io?» Fernando del Guiz la fissò dritta negli occhi. «Non è stata una mia idea!» «Smettila di farmi perdere tempo» gli intimò, parlando in tono autoritario senza neanche rendersene conto. Ash vedeva che Fernando stava lanciando delle rapide occhiate a Lebrija che si trovava alle sue spalle. «È tutto così goffo...» disse Fernando dopo qualche attimo. «Goffo!» Fernando posò una mano sul braccio di Ash. Un gesto che la colse alla sprovvista e attrasse la sua attenzione sulle unghie ben curate, la pelle morbida e la peluria bionda che ricopriva il polso. «Andiamo a parlare da qualche altra parte. Da soli.» Fernando le carezzò una guancia. «Perché?» Ash mise la mano sopra di quella di Fernando. Era partita con l'intenzione di strappargliela via, invece intrecciò le dita con quelle del marito. Il calore di quella mano era più che benvenuto. «Cosa vuoi, Fernando?» «Voglio solo parlare» spiegò abbassando la voce. «Non farò nulla che tu non voglia io faccia.» «Questa l'ho già sentita.» Fissò il volto del marito e pensò di vedere ancora il giovane nobile dal portamento fiero che andava a caccia con i falchi e i cani circondato da amici e parenti, senza dover lavorare per permettersi i cavalli e il vino, senza dover scegliere se cambiare i ferri al cavallo o comprare le scarpe. Ora aveva il viso un po' smunto, ma quell'uomo continuava a rimanere una miniera d'oro. Il contatto con il marito la faceva tremare. Aprì la sua mano, si allontanò e in quell'istante sentì freddo. Portò la sua mano con un gesto disinvolto alla guancia. Voleva conservare ancora per qualche attimo la sensazione della pelle di Fernando del Guiz contro la sua. «Dai, smettila.» Scettica, Ash serrò le labbra. Sentì un tremore allo stomaco e non seppe dire se si trattasse di nausea, dolore o piacere. «Non
posso crederci. Stai cercando di sedurmi?» «Sì.» «Perché?» «Perché è più facile.» Ash rimase a bocca aperta senza sapere cosa rispondere. Si sentiva oltraggiata. «Sei - cosa vorrebbe dire: 'perché è più facile'? Più facile di cosa?» «Di rifiutare il faris e i suoi ufficiali.» La voce di Fernando del Guiz aveva perso ogni venatura di umorismo. «Dicono che una bella scopata potrebbe farti tornare nelle loro mani, perché non farlo, allora?» «'Una bella scopata...'?» sbraitò Ash. Agnus Dei posò una mano sul braccio di Sancho Lebrija per trattenerlo. Entrambi gli uomini li stavano fissando in cagnesco. Era ovvio che avessero sentito l'ultima frase. Ash vide con la coda dell'occhio Godfrey che, pallido in volto, faceva un passo verso di lei. «Sedurmi?» ripeté Ash. «Fernando... è ridicolo!» «Hai ragione, è ridicolo, ma cosa mi suggeriresti di fare con una mezza dozzina di pazzi assassini armati fino ai denti che mi sorvegliano mentre parlo con te?» Era più alto di lei di una quindicina di centimetri e la fissava tenendo il capo chino. «Grazie a te, in questo momento sono considerato il pappone del faris. Il minimo che puoi fare è non scoppiare a ridere.» «Co...» Ash non riuscì a terminare la frase, l'onestà di quella dichiarazione l'aveva lasciata senza parole. «Il pappone del faris?» «Questo è l'ultimo posto in cui vorrei essere!» urlò Fernando. «Voglio solo tornare a Guizburg e rintanarmi nel castello finché questa fottuta guerra condotta da un branco di folli non finirà. Ma loro mi hanno fatto sposare con te, giusto? E dopo si scopre che sei in qualche modo imparentata con il faris. Secondo te quando i Visigoti l'hanno scoperto a chi pensi si siano rivolti credendo che quella persona sapesse tutto sul comandante mercenario chiamato Ash? A me. Chi credi che loro pensino possa influenzarti? Io.» Riprese fiato. «Non me ne importa nulla della politica. Non voglio far parte della famiglia del faris. Non voglio stare nella corte visigota. Non voglio stare qua. Sono qua perché pensano che io sia una valida fonte di informazioni su di te! Io voglio solo tornare nella fottuta Bavaria!» Fernando del Guiz terminò ansimando con la saliva che faceva capolino dagli angoli della bocca. Ash si rese conto che il marito aveva parlato in Tedesco e che i suoi due accompagnatori, Agnus Dei e Lebrija, non ave-
vano capito nulla a causa della velocità della tirata. «Cristo» disse Ash. «Sono impressionata.» «Sono qua solo per te!» Il disprezzo e la furia che venavano la voce di Fernando del Guiz avevano indotto Euen Huw e Thomas Rochester a posare la mano sull'elsa della spada e osservare il loro comandante con la coda dell' occhio per capire se fosse stato il caso di intervenire. Ash notò che Godfrey aveva stretto i pugni al punto di farli sbiancare. «Pensavo che volessi entrare nelle grazie del faris» affermò Ash, con tono mite. «Credevo che ti fossi fatto catturare per crearti una posizione all'interno della corte visigota.» «Non voglio un posto a corte!» si infuriò Fernando. «Certo, certo» rispose Ash, in tono sarcastico. «Ecco perché in questo momento sei a Guizburg e non di fronte a me! Come dire che non sei al fianco di Lebrija per ottenere dei vantaggi politici o perché sei stato promosso.» Il nobile prese fiato e la fulminò con un'occhiata carica di rabbia. «Adesso ti dirò perché sono qua. Il faris avrebbe fatto piantare la mia testa in cima a una lancia molto volentieri come monito per i nobili minori della Germania. Non l'ha fatto perché le ho dato un'occhiata da vicino e le ho detto che aveva una gemella.» «Sei stato tu a dirglielo.» «Suppongo che essere il marito di una visigota bastarda sia molto meglio che essere sposato con una puttana francese che fa il soldato.» «Sei stato tu?» «Tu pensi che io sia un cavaliere uscito dalle cronache. Beh, mi dispiace deluderti, ma non è così. Quando mi hanno puntato contro le lance mi sono reso conto che ero solo un altro uomo con un titolo al quale erano stati intestati alcuni acri di terra che si trovava di fronte degli uomini con un'aquila cucita sugli abiti. Non avevo nessun valore. Non ero degno di nota. Non ero differente dagli altri come me che avevano massacrato a Genova, a Marsiglia o nelle altre città.» Ash lo fissò in volto e per un attimo ebbe l'impressione di veder balenare nella sua espressione il ricordo di quel trauma. «Roberto mi disse che eri uno di quegli stupidi ragazzetti con la testa piena di ideali del tipo morte o gloria. Si è sbagliato, vero? Hai dato un'occhiata alla gloria e hai deciso che era meglio salvare la pelle!» Fernando la fissò. «Dolce Gesù. Ti vergogni di me!»
Dal tono di voce sembrava che il nobile si stesse prendendo in giro da solo. «Non l'hai detto al tuo amico Agnello. O sì? Gliel'hai detto? Perché non gli dici come mai non hai combattuto contro i Visigoti a Genova? Voi eravate in duecento e loro solo in trentamila.» Aveva azzardato quel numero senza neanche rendersene conto. Arrossì in volto e aggiunse: «Agnello ha negoziato una condotta perché è il suo mestiere. Anch'io faccio quel mestiere, mentre tu ti sei cagato sotto e ti sei inginocchiato a implorare pietà...» Fernando del Guiz le serrò una spalla con la mano, lei gliela afferrò e cercò di toglierla, ma non ci riuscì e cominciò a tremare. Una parte di lei non voleva perdere quel contatto. «Sei stata fu a mandarmi via! Sei stata tu a consegnarmi a loro.» «Stai cercando di incolparmi per quanto è successo? Ehi. Io volevo tornare al comando della mia unità. Non volevo che tu ordinassi alle mie lance di intraprendere una battaglia persa in partenza.» Ash sbuffò. «Non credi che ci sia una certa ironia in tutto ciò? Avrei dovuto lasciarti dare un ordine. Sicuramente avresti gridato: 'Scappiamo veloci come degli stronzi!'» Fernando del Guiz arrossì mettendo in evidenza le efelidi che gli chiazzavano il volto. «E ci saresti riuscito!» urlò Ash. «Non sarebbe stato difficile. Su dritto per le colline e poi al sicuro tra le montagne. Si erano appena attestati sulla costa non avevano intenzione di dare la caccia a dodici uomini a cavallo!» La rabbia non ha bisogno di essere tradotta per essere capita. Nel momento in cui Fernando arretrò di un passo, una tunica verde si parò tra lui e la moglie. Ash afferrò Godfrey Maximillian e lo spinse via, nonostante il religioso fosse grosso il doppio di lei. «BASTA!» sbraitò Ash. Un attimo dopo Thomas ed Euen erano alle sue spalle con le mani sulle spade. Ash vide che gli uomini di Lebrija avevano cominciato ad avvicinarsi con passo deciso e distese le mani in avanti con le dita ben aperte e visibili. «Va bene! Adesso è troppo! Distanziatevi!» tuonò un soldato burgundo, un capitano, forse. «C'è una tregua in corso! In nome di Dio, non estraete le armi in questo luogo!» I Visigoti si fermarono incerti sul da farsi. Un cavaliere burgundo fermo vicino alla porta assunse la posizione di combattimento. Ash agitò un pol-
lice e con la vista periferica vide Thomas, Euen e il riluttante Godfrey che arretravano nuovamente. Continuò a fissare Fernando. «Ash...» disse il marito tradendo un certo nervosismo «... quando tu sei prudente si tratta di cautela; quando cambi parte per schierarti con il più forte, sono affari. Sai cosa sia la paura?» Esitò per un attimo, quindi aggiunse: «Pensavo che potessi capirlo. Mi sono comportato in quel modo perché avevo paura di essere ucciso.» Aveva parlato in tono tranquillo marcando le parole con un'enfasi pacata. Ash aprì la bocca per replicare, ma un attimo dopo la richiuse. Lo fissò e vide che le mani stavano stringendo l'elmo con tanta forza che le nocche erano sbiancate. «L'ho vista in faccia - il faris» disse Fernando. «E ora sono vivo perché ho detto a una puttana cartaginese che aveva una cugina bastarda nell'esercito franco. Ero troppo spaventato per non dirglielo.» «Saresti potuto scappare» insistette Ash. «Diavolo, almeno avresti potuto provarci!» «No, non potevo.» Il pallore del volto di Fernando del Guiz fece comprendere ad Ash che quell'uomo stava ancora subendo gli effetti di un trauma da combattimento. Non è mai sceso in battaglia, ma è comunque traumatizzato, pensò. «Non te la prendere troppo» gli disse ad alta voce, in tono tranquillo. «Infatti.» Replicò Fernando fissandola in volto. «Cosa?» «Non me la prendo.» «Ma...» «Se lo facessi» disse Fernando «dovrei pensare che i folli come te sono nel giusto. In quei momenti ho capito tutto. Tu e quelli come te siete completamente pazzi. Ve ne andate in giro a uccidere la gente e a farvi uccidere e per voi non c'è nulla di sbagliato in tutto ciò.» «Hai fatto qualcosa quando hanno ucciso Otto, Matthias e gli altri tuoi compagni? Sei almeno riuscito a dire qualcosa?» «No.» Ash lo fissò dritto negli occhi. «No» rispose Fernando. «Non ho pronunciato neanche una parola.» Se fosse stato un altro lei gli avrebbe detto che quella era la guerra, un affare di merda, d'accordo, ma il mondo andava così e che qualsiasi cosa avesse detto in quei momenti non sarebbe servito a nulla. «Qual è il problema?» lo punzecchiò. «Pisciare addosso a una ragazzina
di dodici anni è più nel tuo stile?» «Forse non l'avrei fatto se avessi capito quanto sei pericolosa.» Fernando del Guiz cambiò espressione. «Sei una donna malvagia. Una macellaia psicopatica.» «Non essere ridicolo, per favore. Sono un soldato.» «Perché secondo te i soldati possono essere altro?» ribatté pronto Fernando. «Forse è come dici tu» rispose Ash. «Ma si tratta della guerra.» «Beh, io non voglio più avere nulla a che fare con la guerra. Mai più.» Fernando del Guiz la gratificò con un sorriso mesto. «Vuoi sapere la verità pura e semplice? Non voglio avere nessuna parte in tutto ciò. Se avessi possibilità di scegliere, tornerei a Guizburg, tirerei su il ponte levatoio e uscirei dal castello solo alla fine di questa dannata guerra lasciando il tutto alle puttane assetate di sangue come te.» Sono stata a letto con questo uomo, pensò Ash, meravigliandosi della distanza tra loro. E se adesso me lo richiedesse... «Posso suggerire di uscire?» Ash agganciò la cintura con le mani. Il cuoio azzurro era decorato con delle borchie a forma di testa di leone. Non era certo una cintura che si addiceva a una donna. «A seduzione andiamo piuttosto male.» «Già.» Fernando lanciò un'occhiata a Sancho Lebrija alle sue spalle. Sembrava che il giovane nobile tedesco si sentisse terribilmente imbarazzato all'idea che qualcuno potesse assistere al suo tentativo fallito di sedurre la moglie errante. «Ultimamente il mio stato di servizio non è il massimo.» Ha l'aria stanca, pensò Ash. Un impeto di simpatia nei confronti del marito distrusse il castello di rabbia che aveva costruito pazientemente fino ad allora. No, si riprese, molto meglio se continuo a odiarlo. «Il tuo stato si servizio è perfetto. L'ultima cosa che hai fatto è stato tradirmi. Perché non sei venuto a trovarmi quando mi hanno messa in prigione a Basilea?» gli domandò. «Perché avrei dovuto farlo?» rispose Fernando del Guiz in tono piatto. Ash lo colpì. Era stato più forte di lei. Non era riuscita a controllarsi. Non aveva estratto la spada per non essere infilzata da una delle guardie del duca, ma, soprattutto, perché un attimo prima di agire aveva avuto una visione fugace ma nitidissima del volto di Fernando del Guiz insanguinato a causa di
una vistosa ferita al cranio. Quell'immagine le aveva provocato un senso di nausea. Non per il fatto di uccidere un uomo, quello faceva parte del suo mestiere, ma per il semplice pensiero di far del male a quel corpo, quel corpo che lei aveva carezzato con le sue mani. Lo aveva colpito con un pugno in faccia dopodiché aveva serrato la mano sotto l'ascella imprecando sonoramente e fissando al tempo stesso Fernando che ondeggiava con gli occhi spalancati per lo stupore. Non si trattava di rabbia. Era solo sconvolto dall'idea che una donna avesse osato picchiarlo. Ash udì dietro di lei il rumore dei piedi contro il pavimento, il clangore delle corazze, il fondo delle lance che battevano a terra e gli uomini pronti a entrare in azione. Fernando del Guiz non si mosse. Un piccolo segno rosso cominciava a gonfiarsi sotto il labbro. Il giovane nobile tedesco ansimava pesantemente, rosso in volto. Ash continuò a guardarlo flettendo le dita che pulsavano. Qualcuno, un visigoto non uno dei suoi uomini, proruppe in una roca risata. Ash fissò il volto del marito e qualcosa di simile alla pietà, ammesso che la pietà possa bruciare e tagliare allo stesso modo dell'odio e porti all'assoluta incapacità di reggere la vergogna e il dolore di un altro, penetrò in lei come una lama affilata. Sussultò e si passò una mano tra i capelli toccando i punti della ferita e sentì nuovamente l'odore del marito sulla sua pelle. «Cristo.» Ebbe una sorta di conato di vomito. Trattenne le lacrime sbattendo furiosamente le palpebre, rizzò la testa e disse. «Euen! Thomas! Godfrey! Andiamo!» Si allontanò velocemente seguita dai suoi uomini. Passò vicina ad Agnus Dei a Sancho Lebrija e ai soldati visigoti ignorandoli e si diresse verso le grandi porte di quercia senza voltarsi; non voleva vedere l'espressione di Fernando del Guiz in quel momento. Uscì dal palazzo ducale e si incamminò per Digione senza una direzione precisa. Superò degli uomini della sua compagnia ignorandoli deliberatamente. Qualcuno la chiamò, ma lei non si fermò e cominciò a salire dei larghi gradini di pietra che la portarono in cima ai massicci spalti che circondavano la città.
Si fermò per riprendere fiato e, sebbene la sua mente fosse concentrata su altre questioni, prese a osservare le difese di Digione che incombevano sulle strade piene di gente. Gli uomini della scorta la raggiunsero. «Merda!» Ash si sedette sui merli e prese a contemplare i campi oltre le mura. In lontananza i contadini con i pantaloni tirati su fino alle ginocchia erano intenti a caricare balle di fieno sui carri tirati dai buoi. Ora che il sole era meno caldo riuscivano a lavorare più alacremente. «Va tutto bene, figliola?» Godfrey Maximillian la raggiunse ansimando. «Cristo sull'Albero, quel dannato codardo, figlio di puttana!» Sentiva il cuore che le batteva all'impazzata e le mani che formicolavano. «Fottuti Visigoti! E io dovrei essere consegnata a quelli? Non se ne parla nemmeno!» «Cristo, capo, calmati!» le suggerì Thomas Rochester, rosso in volto. «Fa troppo caldo per correre in questo modo» commentò Euen Huw sfilandosi l'elmo mentre si issava sui merli per godersi la brezza del tardo pomeriggio, fissando al tempo stesso il campo dell'esercito burgundo. «Dobbiamo preoccuparci anche di quel ragazzo, giusto?» Ash lanciò loro una rapida occhiata. «Ho ventiquattro ore per decidere se attendere il verdetto del duca o fare armi e bagagli e andare...» Gli uomini risero. C'era del trambusto ai piedi delle mura. Una decina di metri più in basso alcuni uomini del Leone Azzurro stavano nuotando nell'acqua cristallina del fossato con i cani del campo che abbaiavano loro contro. Ash vide una prostituta che spingeva il secondo di Euen Huw, Thomas Morgan, in acqua dal ponte che dava accesso a Digione. Il tonfo echeggiò nell'aria calda. «Ecco il duca Carlo.» Ash indicò un gruppo di cavalieri che uscivano dalla città in direzione dei boschi. Erano tutti abbigliati con abiti eleganti e alcuni di loro avevano dei falchi posati sugli avambracci. Il gruppo era accompagnato da un piccolo manipolo di suonatori la cui musica arrivava fino alle mura. «Viene da pensare che non abbia nulla di cui preoccuparsi! Beh, forse è così visto che probabilmente mi consegnerà ai Visigoti.» «Posso parlarti da solo, capitano?» le chiese Godfrey Maximillian. «Certo! Perché no?» Ash fissò Thomas Rochester ed Euen Huw. «Pausa, ragazzi. Ho visto una locanda ai piedi della scalinata. Ci troviamo là.» «Con i Visigoti in città, capo?» le domandò Rochester, torvo in volto. «Con metà dell'esercito di Carlo che pattuglia le strade?» Il cavaliere inglese scrollò le spalle, scambiò un'occhiata con Euen Huw
e insieme scesero le scale seguiti dagli altri uomini della scorta. Ash sapeva bene che non sarebbero andati oltre l'ultimo gradino della rampa. «Allora?» Si sporse dalla merlatura per offrire il volto alla brezza fresca. Alzò un ginocchio e vi posò sopra un gomito. Le dita le tremavano ancora leggermente e osservò la sua mano destra con un certo stupore. «Cosa ti preoccupa, Godfrey?» «Ho altre notizie.» Il prete guardava fisso davanti a sé. «Questo 'padre' del faris, Leofric, è uno dei nobili più importanti di Cartagine. Molto probabilmente vive nella Cittadella stessa. Il resto sono solo voci prive di fondamento. Non ho nessuna idea dell'aspetto che può avere questo 'Golem di Pietra'. Purtroppo non sono riuscito a sapere altro. E tu?» C'era qualcosa nel tono di voce del prete che la preoccupava. Ash alzò lo sguardo e batté una mano sullo spazio tra due merli per invitarlo a sedersi. Godfrey Maximillian rimase in piedi. «Siediti» lo invitò Ash. «Cosa ti preoccupa?» «Non posso ottenere altre informazioni senza denaro. Quando ha intenzione di pagarci lord Oxford?» «Non si tratta di quello, Godfrey. Cosa succede?» «Perché quell'uomo è ancora vivo?» tuonò il prete. Gli uomini che stavano facendo il bagno nel fossato si girarono. Ash sussultò e si girò verso l'interno degli spalti. «Chi, Godfrey?» «Perché quell'uomo è ancora vivo?» ripeté il religioso, con un sussurro deciso. «Dolce Cristo!» Ash batté le palpebre e si stropicciò un occhio con il palmo della mano. «Parli di Fernando, vero?» Il prete si asciugò il volto sudato. «Cosa sta succedendo, Godfrey? È uno scherzo o qualcosa di simile. Non ucciderò un uomo a sangue freddo.» Godfrey cominciò a camminare avanti e indietro senza neanche guardarla. «Potresti farlo uccidere!» «Certo. Ma perché dovrei? Domani partiranno e ci sono molte probabilità che io non lo riveda più.» Ash posò una mano su Godfrey per fermarlo, ma lui la ignorò. Il tessuto ruvido della tunica del prete le sfiorò le dita. Lei sentiva ancora l'odore di Fernando su di sé e lo inalò. Improvvisamente alzò lo sguardo e fissò l'omone con la barba. Non è vecchio, pensò. Non ho mai pensato a Godfrey come a un giovane, ma non è neanche vecchio. Il religioso si fermò di fronte a lei. La luce che inondava gli spalti conferiva alla barba castana del prete dei riflessi fulvi. Gli occhi sembravano
avere un'espressione addolorata, ma Ash pensò che fosse un effetto del sole calante. «Che importanza ha, Godfrey? Uno di questi giorni ci sarà una battaglia e mi diranno che sono vedova» cercò di rassicurarlo Ash. «Ha importanza se domani il duca ti consegnerà nelle mani di tuo marito!» «Lebrija non ha abbastanza uomini da costringermi a seguirlo. Per quanto riguarda il duca Carlo...» Ash posò le mani sul bordo della merlatura e saltò sugli spalti. «Cagarmi addosso a morte per tutta la notte non mi servirà a sapere cosa sta decidendo il duca! Quindi, ti ripeto: cosa importa?» «Importa eccome!» Ash studiò il volto del prete. Non sono stata molto con te da quando siamo scappati da Basilea, pensò e fece un sorriso per scusarsi. In quel momento si rese conto che l'uomo aveva un'aria sciupata. I lati della bocca erano segnati da piccole rughe e alcuni capelli bianchi avevano cominciato a striare la chioma castana. «Ehi» gli disse, tranquilla. «Sono io, ricordi? Racconta. Cosa succede, Godfrey?» «Piccola...» Gli prese le mani. «Sei un mio buon amico e non devi aver paura di dirmi qualcosa di brutto.» Lo fissò negli occhi e aumentò la stretta. «Va bene, non sono nata libera. Credo che qualcuno a Cartagine possa accampare dei diritti di proprietà su di me.» Fece un sorriso contrito, ma Godfrey non rispose e continuò a fissarla come se fosse la prima volta che si incontravano. «Capisco.» Ash sentì il battito del cuore che aumentava. «A te importa. Dannazione, Godfrey! Pensavo che fossimo tutti uguali agli occhi di Dio.» «Cosa ne sai tu?» urlò improvvisamente il prete. Aveva gli occhi lucidi. «Cosa ne sai, Ash? Tu non credi in nostro Signore! Tu credi nella tua spada, nel tuo cavallo, nei tuoi uomini che paghi per combattere e in tuo marito che vorresti ti infilzasse con il suo uccello. Non credi in Dio o nella grazia divina e non l'hai mai fatto!» «Cos...» Ash rimase senza parole e non poté fare altro che guardare. «Ti ho osservata quando eri con lui! Ti ha toccata - tu l'hai toccato, gli hai permesso di toccarti - volevi che lo facesse...» «Cosa te ne importa?» Ash scattò in piedi. «Sono affari tuoi, per caso? Sei un cavolo di prete, cosa nei sai tu di come si fotte?» «Puttana!» sbraitò Godfrey.
«Verginello!» replicò Ash. «Sì!» sbottò. «Sì. Ma quale altra scelta avevo?» Ash ansimava e fissava l'uomo di fronte a lei. Il volto di Godfrey sembrò deformarsi e dalle sue labbra uscì uno strano verso. Attonita, Ash lo fissò scoppiare a piangere come solo gli uomini piangono, in maniera profonda, viscerale. Allungò una mano e gli sfiorò la guancia. «Ho lasciato tutto per te» sussurrò Godfrey. «Ti ho seguita per mezza Cristianità. Ti ho amata fin dalla prima volta che ti ho vista. Me lo ricordo benissimo, come se fosse successo ieri. Tu con indosso l'abito da novizia e la Sorella che ti sculaccia a sangue. Una mocciosa spaventata dai capelli bianchi.» «Oh, merda, ti voglio bene, Godfrey. Sai che è così.» Ash gli afferrò le mani e gliele strinse con vigore. «Sei il mio più vecchio amico. Sei sempre con me. Ho fiducia in te. E sai che ti voglio bene.» Lo stringeva con forza come se dovesse salvare un uomo che stava annegando, come se aumentando la presa al massimo potesse sottrarlo alla sua angoscia. Lo sforzo le aveva sbiancato le mani. Lo scosse delicatamente cercando di guardarlo in volto. Godfrey Maximillian si liberò dalle mani di Ash e gliele strinse. «Non posso sopportare di vederti con lui.» Aveva la voce rotta dal pianto. «Non posso sopportare di sapere che sei sposata con quello, che sei un'unica carne...» Ash provò a sottrarsi alla presa, ma non ci riuscì. «Posso sopportare le tue fornicazioni saltuarie» disse. «Ti confessi con me e ti assolvo, non vogliono dire niente. Senza contare che sono state poche. Ma il talamo nuziale - e il modo in cui lo guardi...» Ash sussultò. «Ma Fernando...» «Fanculo a Fernando del Guiz!» tuonò Godfrey. Ash lo fissò rimanendo in silenzio. «Non ti amo come dovrebbe fare un prete.» Godfrey la fissò negli occhi. «Ho preso i voti prima di incontrarti. Se potessi vi rinuncerei immediatamente. Se potessi violare il mio voto di celibato lo farei.» Ash provò uno stretta allo stomaco e si liberò dalla presa. «Sono stata stupida.» «Ti amo come un uomo. Oh, Ash...» «Godfrey...» si interruppe. Non sapeva più cosa dire, sapeva solo che il mondo le stava crollando intorno. «Cristo, questa è una decisione che non voglio prendere! Non sei un prete qualunque, non posso buttarti fuori a
calci in culo e assumere un altro. Sei con me fin dall'inizio - addirittura prima ancora di Roberto. Sant'Iddio, dovevi proprio dirmelo adesso!» «Non sono in stato di grazia! Io dico messa tutti giorni pur sapendo che lo vorrei vedere morto!» Godfrey cominciò ad aggrovigliare il cordone che portava al fianco tra le dita. «Sei un mio amico, mio fratello, mio padre. Godfrey... Sai che io non...» Ash si interruppe per trovare le parole giuste. «Non mi vuoi» concluse per lei Godfrey, con un'espressione che sembrò sgretolargli il volto. «No! Voglio dire - non voglio - non desidero - oh, merda, Godfrey!» Il prete si mise a correre verso gli scalini e lei cercò di fermarlo. «Godfrey! Godfrey!» urlò. Il prete era corso giù dalle scale alla massima velocità che poteva permettergli la sua mole e si era incamminato per le strade di Digione. Ash si fermò a guardare l'uomo robusto con indosso la tonaca che si faceva strada tra le donne con i cesti, i soldati, i cani e i bambini che giocavano a palla. «Godfrey...» Ash notò, come aveva previsto, che sia Rochester sia Huw non erano molto distanti dagli ultimi gradini della scalinata. Il piccolo gallese aveva una pinta di qualcosa, mentre Thomas Rochester stava dando una moneta al ragazzino della locanda che aveva portato loro da bere e mangiare. «Oh, merda, Godfrey...» Mentre Ash pensava se fosse il caso di inseguire Godfrey vide una testa bionda in fondo alla scalinata. Le sembrò che il cuore avesse smesso di battere. Rochester alzò la testa, disse qualcosa e fece passare l'uomo che dopo pochi gradini si rivelò essere Floria del Guiz e non suo fratello Fernando. III Ash borbottò un'imprecazione e tornò con passo ciondolante verso la merlatura. Una mezza luna pallida spiccava bassa sull'orizzonte azzurro del cielo pomeridiano. Un carro entrò cigolando a Digione e Ash si sporse per osservarlo meglio. I fasci di spighe di grano che riempivano il cassone erano carichi di chicchi e lei si scoprì a pensare ai mulini all'altro capo della città, ai raccolti e ai territori che a meno di cento chilometri da quella città erano spazzati da un rigido inverno malgrado fossero in pieno agosto.
Floria la raggiunse. «Quel folle di un prete a momenti mi faceva cadere dai gradini! Dove stava andando Godfrey?» «Non lo so!» Ash si accorse che il suo tono di voce angosciato aveva sorpreso la donna. «Non lo so» ripeté con calma. «Ha saltato i Vespri.» «Vuoi qualcosa?» chiese Ash. «Adesso che sei ricomparsa vorresti dirmi quale cavolo di parente stai cercando di evitare questa volta? Ne ho già avuto abbastanza di quello che è successo a Colonia! A cosa diavolo mi serve un chirurgo se non è mai nelle vicinanze?» Floria arcuò le sopracciglia. «Pensavo di poter avvicinare mia zia Jeanne, ma devo farlo con una certa cautela. Sono passati cinque anni dall'ultima volta che ci siamo viste, quindi potrebbe rimanere un po' scossa dalla mia visita, anche se sa che mi vesto da uomo quando viaggio.» L'alta donna scosse la testa e sottolineò le ultime parole con una venatura sardonica. «Non mi piace costringere le persone a capire delle questioni che sono al di fuori della loro portata.» Ash lanciò una rapida occhiata alla brigantina e ai pantaloni da uomo che aveva indosso. «Mentre io lo faccio, è questo che vuoi dirmi?» «Whoa!» esclamò Floria allungando le mani. «Va bene, smettila e vai a addestrarti. Sant'Iddio vai a colpire qualcosa, dopo ti sentirai meglio!» Ash proruppe in una risata tremante e sentì che cominciava a rilassarsi. Una folata di aria fresca le carezzò il volto provocandole una sensazione piacevole. Spostò la spada perché sentiva il bisogno di grattarsi una gamba nel punto in cui il fodero batteva contro i pantaloni. «Sei felice di essere tornata in Borgogna, vero?» Floria accennò un sorriso e Ash non riuscì a capire cosa si nascondesse dietro quell'espressione. «Non del tutto» rispose il chirurgo. «Io penso che il faris sia pazzo come un cane rabbioso. Mi sembra un'ottima idea quella di farsi proteggere dall'esercito più potente del mondo, sempre che riesca a tenermi lontana da quell'individuo. Comunque, sono abbastanza felice di essere tornata.» «Qua c'è la tua famiglia.» Ash fissò la luna che si alzava sempre di più nel cielo. Il color oro che aveva sfumato le nuvole fino a pochi attimi prima stava cedendo il passo al rosa. Strinse i pugni e distese le braccia. La brigantina che le fasciava il corpo le faceva provare una sensazione familiare e rassicurante. «Non che quella famiglia sia una benedizione del cie-
lo... Cristo, Florian! Fino a questo momento ho sentito Fernando dirmi che vuole il mio magnifico corpo. Godfrey dare fuori di testa e il duca Carlo che non sa se consegnarmi o no ai Visigoti!» «Che non sa cosa?» «Non lo sapevi?» Ash scrollò le spalle e si girò verso la donna che si era appoggiata a un merlo con un'espressione interrogativa dipinta sul volto. «Il faris ha mandato una delegazione alla corte del duca. E tra le altre facezie quali la dichiarazione di guerra a noi o alla Francia, lei, il faris, vuole che io sia restituita perché sarei una sua schiava.» «Stronzate» ribatté Floria, colma di fiducia. «La legge potrebbe darle ragione.» «Non quando gli avvocati della mia famiglia avranno visto la documentazione. Dammi una copia della condotta. La porterò dagli avvocati di zia Jeanne.» Ash notò che il chirurgo aveva evitato accuratamente di pronunciare la parola schiava e disse: «Ti importerebbe qualcosa se io non fossi una figlia legittima?» «Mi stupirei molto se lo fossi.» Ash stava per mettersi a ridere, ma si trattenne, lanciò una rapida occhiata a Floria del Guiz e si leccò le labbra. «E se non fossi nata da genitori liberi?» Silenzio. «Vedi che importa» disse Ash. «I bastardi puri e semplici vanno bene finché sono figli di nobili o almeno di cavalieri. Ma se si nasce da schiavi allora cambia tutto. Diventi una proprietà. Molto probabilmente la tua famiglia compra e vende donne come me, Florian.» La donna rimase impassibile. «È probabile. C'è qualche prova che tua madre fosse una schiava?» «No, non c'è nessuna prova» Ash abbassò lo sguardo. Passò un dito sul pomello della spada raschiando le tacche con l'unghia. «Solo che adesso c'è un mucchio di gente che sa come vengono usati gli schiavi a Cartagine. Servono per dare alla luce soldati. Per far nascere un generale. E, come Fernando si è divertito a farmi notare, quelli che non soddisfano le loro aspettative vengono buttati nella spazzatura.» «Ma è come se selezionassero del bestiame» sbottò Floria. continuando a sfoderare la sua solita noncuranza. «Non credo che agli uomini della compagnia possa importare qualcosa» continuò Ash. «Continueranno a vedermi come una donna anche se mia
madre era una schiava. Finché riuscirò a farli uscire sani e salvi da una battaglia potrei anche essere la puttana di Belzebù in carne e ossa per quello che a loro può importare!» E quando sapranno che non sento la voce di un santo o di un Leone Azzurro e che in verità origlio quello che viene detto a qualcun altro? Si chiese tra sé e sé. La voce di una macchina? Che sono solo un errore, uno scarto del progetto che ha portato alla nascita del faris? Cosa succederà? Sarà diverso? La loro fiducia nei miei confronti è sempre stata sottile come un filo. Sentì un peso sulle spalle, alzò la testa e vide che Floria del Guiz vi aveva posato sopra un braccio. «Non tornerai nelle mani dei Visigoti» la rassicurò Floria. «Ascolta, c'è la parola di quella donna contro la tua...» «Fanculo, Florian, è la mia gemella e sa di essere nata da schiavi. Cos'altro posso essere io?» La donna sollevò una mano e le carezzò la guancia con le dita ruvide. «Non importa. Rimani qua. Zia Jeanne aveva degli amici a corte e probabilmente ne ha ancora, è nel suo stile. Farò in modo che tu non venga mandata da nessuna parte.» Ash scrollò le spalle a disagio. La brezza era calata e anche gli spalti erano diventati caldi come il resto della città. Udirono le canzoni degli ubriachi nella taverna ai piedi della scalinata e il rumore delle lance che battevano contro l'assito del ponte durante il cambio della guardia. «Non importa.» Floria girò la testa di Ash costringendola a guardarla. «A me non importa!» Le dita del chirurgo le premettero la mascella. Ash era abbastanza vicina da sentire l'alito dolce della donna, vedere lo sporco tra le rughe vicino agli occhi e il bagliore che in quel momento balenava nelle iridi castano-verdi. Sulle labbra di Floria apparve un sorriso furbo, quindi mollò la mascella di Ash e le passò un dito su una cicatrice. «Non preoccuparti, capo.» Ash fece un sospiro e si rilassò contro Florian, quindi le diede una pacca sulle spalle e disse: «Hai ragione! Fanculo, hai proprio ragione. Andiamo.» «Dove?» «Ho deciso» annunciò Ash, sogghignando. «Torniamo al campo e beviamo fino a cadere sotto il tavolo. È un ordine.» «Ottima idea!» Raggiunsero la scorta ai piedi della scalinata e si avviarono verso il can-
cello meridionale della città. Ash camminava a braccetto del chirurgo che a un certo punto della strada si paralizzò improvvisamente. Gli uomini di Thomas ed Euen portarono le mani sulle armi e si fecero avanti. «Dovevo immaginare che se il moccioso di Costanza era in giro dovevi esserci anche tu. Dov'è il tuo fratellastro?» domandò una donna attempata, in tono glaciale. La nuova arrivata, che indossava un lungo abito marrone con un soggolo bianco, stringeva una borsa tra le mani. I vestiti, tutti molto costosi, erano di seta ricamata e il colletto della maglia che spuntava sotto l'abito era di lana. L'unica parte visibile di quel corpo era il volto sudato, paffuto, con il doppio mento sul quale spiccava un naso camuso. Gli occhi verdi avevano ancora un'aria giovanile. «Sei tornata per portare altra onta alla tua famiglia?» domandò nuovamente. «Mi hai sentita? Dov'è mio nipote Fernando?» Ash sospirò. «No. Adesso, no...» borbottò. Florian arretrò di un passo. «Chi è il vecchio pipistrello?» domandò un ronconiere della scorta. «Fernando del Guiz si trova nel palazzo del duca, signora» si intromise Ash, anticipando Floria nella risposta. «Penso che lo troverete in compagnia dei Visigoti!» «L'ho chiesto a te, abominio?» La donna aveva parlato con noncuranza. Gli uomini del Leone Azzurro cominciarono a guardarsi intorno. Non c'erano soldati nelle vicinanze e la donna anche se nobile, era uscita priva di scorta. Qualcuno cominciò a sghignazzare. Uno degli arcieri estrasse la daga e qualcun altro le diede della puttana. «Vuoi che ci occupiamo della vecchia troia, capo?» domandò Euen Huw ad alta voce. «È vecchia e brutta, ma Thomas si scopa qualsiasi cosa abbia due gambe, vero?» «Sempre meglio di te, bastardo di un Gallese. Almeno io non mi scopo qualsiasi cosa abbia quattro gambe.» I mercenari, uomini robusti con tanto di armature indosso, cominciarono a muoversi e a portare le mani sui coltelli. «Fermi!» ordinò Ash mettendo al tempo stesso una mano sulla spalla di Florian. La vecchia socchiuse gli occhi per osservare meglio Ash che stava dando le spalle al sole che si rifletteva sui tetti delle case. «Non ho paura dei tuoi furfanti armati.»
«Allora siete molto stupida» replicò Ash, calma. «Questi uomini non ci penserebbero due volte a uccidervi.» La donna sussultò. «Siamo sotto la protezione della pace del duca! La chiesa vieta l'omicidio!» Ash sapeva quanto rapidamente quella donna avrebbe potuto finire sul selciato con gli abiti strappati brutalmente e le gambe aperte. Fu quella consapevolezza che la spinse a parlare in tono gentile. «Noi uccidiamo per vivere e alla fine diventa un'abitudine. Potrebbero uccidervi per le scarpe per non parlare del borsellino o più semplicemente per divertimento. Thomas, Euen, credo che il nome di questa donna sia Jeanne? - e che sia in qualche modo imparentata con il nostro chirurgo. Giù le mani. Chiaro?» «Sì, capo...» «E non fare quella faccia!» «Merda, capo» ribatté Thomas Rochester. «Cerca di capire! Sono alla disperazione!» I mercenari sembravano occupare tutta la strada e parlavano ad alta voce. «Non potete rintanarvi in un bordello con una scorta di luigi d'oro?» disse Ash. «Questa è tua zia, Florian?» Florian fissò l'anziana nobile con sguardo impassibile e disse: «È la sorella di mio padre Filippo. Capitano Ash, posso presentarti mademoiselle Jeanne Châlon...» «No» rispose Ash, sincera. «Non puoi. Non adesso. Per oggi ne ho avuto abbastanza!» La vecchia si fece largo tra i soldati dimentica di quanto era successo qualche attimo prima, afferrò il farsetto di Florian e lo scosse due volte con la mano tremante. Ash, come anche Thomas ed Euen assistettero alla scena, una vecchia piccola e grassa che umiliava il loro chirurgo, un giovane alto, forte e sporco, e questi che rimaneva immobile a fissarla impotente. «È meglio che la portiamo via» propose Thomas Rochester rivolgendosi a Florian «se non vuoi che le facciamo male. Dove abita?» «Le insegneremo un po' di educazione strada facendo.» Euen Huw rinfoderò la daga e afferrò la donna per un gomito. Appena avvertì la stretta del mercenario, Jeanne Châlon sbiancò in volto, sussultò e crollò contro il Gallese. «Lasciala.» Ash piantò gli occhi addosso al Gallese finché non lo vide rilassarsi.
«Fatemi vedere! Zia Jeanne!» Floria del Guiz afferrò il gomito della donna. «Dannazione! Vedrai la prossima volta che capiti nella mia tenda, Euen Huw...» L'ufficiale gallese spostò la presa consapevole del fatto che la donna gravava ancora contro il suo petto. Pur essendo ancora mezza svenuta Jeanne Châlon si girò e gli diede uno schiaffo con la mano libera. Euen Huw cercò si sorreggerla senza cingerla alla vita o ai fianchi abbondanti, accompagnandola come meglio poteva mentre scivolava sul selciato. «Cazzo, Florian» grugnì «sbrigati a liberarti di questa vecchia vacca! Tutti abbiamo una famiglia a casa, giusto? Ecco perché siamo qua!» «Dolce Cristo impalato!» Ash spinse via i suoi uomini senza tante cerimonie rompendo il cerchio soffocante che si era formato intorno alla zia di Florian. «È una nobile, sant'Iddio! Ficcatevi nella testa che se dovesse succederle qualcosa il duca potrebbe farci cacciare da Digione! Inoltre è anche la zia del mio cazzo di marito!» «Davvero?» chiese Euen, dubbioso. «Davvero.» «Merda. Lui è con i suoi amici Visigoti, adesso. Non che ne avesse bisogno, visto che ora è rimasto con le pezze al culo.» «Buoni» sbottò Ash continuando a fissare Jeanne Châlon. Florian tolse dalla testa della zia la cuffietta bianca con un gesto deciso. La vecchia sbatté leggermente le palpebre e un ciuffo di capelli grigi le ricadde sulla fronte. La carnagione sudata cominciò a riprendere colorito. «Acqua!» ordinò Florian senza alzare la testa, stringendo la mano della parente. Thomas Rochester le passò velocemente la sua borraccia. «Va tutto bene?» «Nessuno ci ha visti.» «Merda, ho l'impressione che stiano arrivando dei Burgundi!» Ash fece un cenno che fece cessare ogni commento. «Ricau, Michael andate all'imbocco della strada e fate in modo che non entri nessuno. Allora, Florian? È morta o cosa?» «È fin troppo vestita per questo caldo, l'avete fatta cagare sotto dalla paura ed è svenuta» borbottò il chirurgo. «Riuscirai a cacciarmi in qualche altro guaio?» Malgrado la donna avesse parlato in tono caustico, Ash aveva percepito la vena d'agitazione che le faceva tremare la voce in maniera impercettibile. «Non ti preoccupare, metterò tutto a posto» la rassicurò Ash, anche se
non aveva la minima idea di cosa potesse fare per mettere a posto quel disastro. Vide che il suo tono aveva calmato il chirurgo che probabilmente non si era accorto della sua mancanza di risorse. «Alzatela» aggiunse Ash. «Simon, vai a prendere del vino. Corri.» Ci volle qualche minuto prima che il paggio di Euen tornasse dalla locanda e nel frattempo i mercenari tornarono a rendersi conto di essere in una città affollata con un esercito accampato fuori dalle mura e cominciarono ad agitarsi. Ash osservò i loro volti e ascoltò i commenti, mentre rimaneva inginocchiata a fianco di Florian. «Io ti ho cresciuta» disse la vecchia con voce impastata. Aprì gli occhi e fissò Florian. «Cosa sono stata per te? Niente di più di una nutrice? Tu, che piangevi sempre per la morte di tua mamma! Come hai saputo ringraziarmi?» «Siediti, zia.» La voce di Floria era decisa. Le mise un braccio dietro la schiena e l'aiutò ad accomodarsi. «Bevi.» La donna sedeva sul selciato senza neanche rendersi conto di essere a gambe aperte. Sbatté le palpebre per proteggersi dalla luce del sole e scorse le gambe degli uomini che la circondavano. Florian le aprì le labbra e le versò in bocca del vino. «Se riesce a farti la predica allora vuol dire che sta bene e vivrà» commentò Ash, torva. «Andiamo, Florian. Togliamoci di qua.» Prese un braccio del chirurgo per tirarlo su, ma Florian si divincolò dalla presa. «Lascia che ti aiuti, zia...» «Toglimi le mani di dosso!» «Ho detto che andiamo via» ripeté Ash in un tono carico d'urgenza. Jeanne Châlon trattenne un urlo, raccolse la cuffietta dalla strada e la sistemò alla meno peggio sui capelli grigi. «Vigliacchi!» I soldati risero. Ash li ignorò fissando Florian in cagnesco. «Sei un abominio schifoso! L'ho sempre saputo! Anche quando avevi tredici anni e seducesti quella ragazzina...» Le altre parole della vecchia vennero seppellite dai commenti scurrili dei soldati. Thomas Rochester diede una pacca sonora sulle spalle del chirurgo. «Tredici anni, eh? Piccolo sporco bastardo!» Florian incurvò la bocca in un sorriso privo d'umorismo. «Lizette» spiegò controvoglia. «Sì, proprio lei. Suo padre ci teneva i cani. Capelli neri e ricci... proprio una bella ragazzina.» «È un vero donnaiolo il nostro chirurgo!» commentò ridendo uno dei ba-
lestrieri. «... Basta!» urlò Jeanne Châlon. Ash si inclinò in avanti e tirò su Florian senza fare tanti complimenti. «Smettila di discutere. Andiamo.» La donna seduta sul selciato cominciò a urlare come un'ossessa prima ancora che il chirurgo avesse fatto un passo. I soldati che la circondavano si zittirono all'istante. «Basta con questa vile messa in scena. Dio non ti perdonerà mai, piccola puttana, piccolo abominio!» Jeanne Châlon ansimava vistosamente fissando la nipote con gli occhi umidi di pianto. «Perché tollerate la sua presenza? Non sapete che lei vi farà dannare tutti quanti, che vi inquina solo per il fatto di essere tra voi? Perché altrimenti non potrebbe tornare a casa sua? Siete ciechi? Guardatela!» Il volti di Euen, Thomas e dei ronconieri spostarono gli sguardi su Ash poi su Florian che a sua volta si mise a fissare Ash. «Va bene, adesso è troppo» disse Ash, sperando di poter trarre vantaggio dalla confusione che regnava in quel momento nel vicolo. «Andiamo.» Thomas fissò Florian. «Chi è la 'lei' di cui sta parlando, uomo?» Ash si riempì i polmoni. «In formazione...» Jeanne Châlon fu scossa da un tremito, quindi si alzò in piedi da sola. Ansimava vistosamente, allungò una mano e afferrò il corsetto di Euen Huw. «Sei cieco?» La nobile si girò verso Florian. «Guardatela! Non riuscite a vedere chi è veramente? È una puttana, un abominio. Lei si veste con abiti da uomo, ma è una donna...» «Cazzo» imprecò Ash a bassa voce, senza neanche rendersene conto. «Dio mi è testimone» urlò mademoisselle Châlon «lei è mia nipote e anche la mia fonte di vergogna.» Sulle labbra di Floria del Guiz apparve un sorriso tirato. «Mi ricordo che dopo la faccenda con Lizette mi minacciasti di chiudermi in un convento» disse in tono assente. «Ho sempre pensato che fosse una soluzione abbastanza illogica. Grazie, zia. Dove sarei senza di te?» I mercenari avevano cominciato a scambiarsi dei commenti fra di loro. Ash sgranò un rosario di oscenità a voce bassa. «Va bene, in formazione e andiamo via. Veloci.» Gli uomini si erano raggruppati nuovamente intorno a Floria e a sua zia, come se non esistesse altro al mondo. Le ombre di alcune colombe in volo
passarono sul gruppo. Il silenzio che aleggiava nella strada era rotto solo dal rumore dei mulini. «Dove sarei senza di te?» ripeté Florian. Ingollò un lungo sorso di vino dalla fiasca portata dal paggio di Euen, quindi si pulì la bocca con una manica. «Sei stata tu a cacciarmi. È difficile passare per un uomo, studiare con gli uomini. Sarei tornata indietro da Salerno dopo la prima settimana, se avessi avuto una casa dove tornare. Ma non l'ho fatto, così sono diventata un chirurgo. Sei stata tu, zia, a farmi diventare quello che sono.» «Sei una creatura del diavolo» disse Jeanne Châlon. «Tu andasti a letto con quella ragazzina, Lizette, come un uomo» continuò in tono glaciale. Sui volti degli uomini era apparsa un'espressione tra il disgustato e lo stupefatto. «Avrei potuto farti bruciare» continuò la vecchia. «Ti ho tenuta tra le braccia quando eri una bambina. Ho pregato per non vederti mai più. Perché sei tornata? Non potevi rimanere lontana da qua?» «C'era qualcosa...» disse Floria. La voce aveva perso la sua solita inflessione roca e suonava più simile a quella di una donna «... c'era qualcosa che volevo chiederti da sempre, zia. Hai pagato per farmi liberare dalle prigioni dell'abate di Roma, quando avrei dovuto essere bruciata per aver amato un'ebrea. Avresti potuto riscattare anche lei, zia? Avresti potuto riscattare anche la vita di Ester?» Gli uomini riportarono l'attenzione su Jeanne Châlon. «Avrei potuto, ma non ho voluto. Era un'ebrea!» La donna sudava copiosamente e nel frattempo, senza farsi notare, nascose il borsellino dei soldi spostandolo con un piede sotto le gonne. Distolse lo sguardo dalla nipote e per la prima volta sembrò rendersi conto di avere degli spettatori. «Era un'ebrea!» ripeté ad alta voce la nobile burgunda. «Bene... sono stata a Parigi, Costantinopoli, Bokara, in Spagna e ad Alessandria.» La voce del chirurgo era colma di disprezzo: ormai aveva perso ogni speranza. In quel momento Ash si rese conto che Floria aveva atteso a lungo quell'incontro, ma non era andato come lei se l'era aspettato. «Non ho mai incontrato nessuno che potessi disprezzare quanto te, zia.» «E si veste come un uomo!» urlò la nobildonna burgunda. «Ha ragione capo» ringhiò Thomas Rochester «e nessuno l'ha ancora bruciata.» Ash si rese conto che la situazione era comunque in equilibrio, era un momento cristallizzato nel tempo. Non sanno cosa pensare, si disse. Florian è una donna - ma la Châlon non è una di noi...
Si accorse del segnale di Ricau. Un certo numero di operai dei mulini stavano per entrare nella strada. «Filippo non avrebbe mai dovuto metterti al mondo!» urlò la donna. «Per questo peccato sta soffrendo in Purgatorio!» Floria del Guiz si girò di scatto e diede un pugno in faccia alla zia. Rochester, Euen Huw, Katherine e il giovane Simon esultarono. Mademoiselle Châlon cadde a terra gridando: «Au secours103 !» «Va bene» disse Ash continuando a fissare i cittadini di Digione che si avvicinavano «è arrivato il momento di andare: portiamo via il chirurgo.» Nessuno esitò, il manipolo di soldati si chiuse intorno al medico, quindi si incamminò verso i cancelli della città con passo deciso e nessuno osò sbarrare loro la strada. «Se qualcuno dovesse chiedere» disse Ash, rivolgendosi a Jeanne Châlon «il mio chirurgo è in arresto sotto la custodia del prete e sto decidendo quale sanzione disciplinare adottare a suo carico.» La vecchia singhiozzò portando una mano alla bocca. Ash corse dietro ai suoi uomini e lanciò un'occhiata all'ultimo sole che spariva dietro i tetti di Digione. Perché siamo venuti in Borgogna? pensò. E cosa mi dirà il duca? IV «Perché quando succede un casino io devo essere sempre nelle vicinanze104 ?» si chiese Ash sottovoce. «Credo che si tratti solo di fortuna, capo...» rispose Thomas Rochester, scrollando le spalle. Ash trattenne una risata e si affiancò a Floria del Guiz. Sopra di loro il cielo cominciava a perdere colore e si intravedevano i puntini bianchi che formavano le costellazioni di Orione e Cassiopea. L'oro del sole morente bordava i tetti di Digione. I corvi gracchiarono nel vedere il gruppo che si avvicinava al perimetro difensivo del campo e si levarono in volo sbattendo le ali. «Non lasciare il campo per nessun motivo al mondo, mastro chirurgo» le ordinò Ash, calma. Il sole calante conferiva al farsetto e ai pantaloni di Floria una tonalità calda e le tingeva i capelli di rosso oro. La donna, che stava camminando 103 104
Francese: aiuto (N.d.T.). Nel testo originale: 'fortuna imperatrix mundi'.
con le braccia strette intorno al petto, alzò la testa. «Non ti preoccupare.» Ash le diede una pacca sulla spalla. «Se dovesse arrivare la milizia cittadina ci penso io. Rimani nella tua tenda per stanotte.» La donna abbassò la testa e riprese a camminare senza fissare i soldati. Gli uomini e le donne della scorta parlavano tranquillamente tra loro tenendo le armi sulle spalle e le mani sui foderi per non farli ballonzolare troppo. Ash ascoltò i discorsi. Qualcuno parlava dell'esercito burgundo accampato fuori della città, alcuni stavano organizzando delle bevute con gli amici mercenari delle altre compagnie impegnate in quella campagna, ma nessuno parlava del chirurgo. Ash prese una decisione. Non dirò nulla. Tutto dipende da Carlo. Tra qualche ora potremmo avere dei problemi più grossi di un chirurgo donna... I muri della città erano ormai avvolti dalle ombre e i margini dei tetti avevano assunto delle sfumature rossastre. L'umidità cominciava a bagnare i muri e il fieno nei campi. Una vacca muggì e un branco di cani prese ad abbaiare e uggiolare. Il tramonto portò un piacevole venticello fresco. Ash vide che davanti al cancello del campo si era riunito un gruppetto dei suoi uomini. Avevano i volti rossi e sghignazzavano nel tentativo di controllare l'eccitazione. «Cosa è successo questa volta?» domandò, sospirando rassegnata. Due quindicenni tutti muscoli e gambe furono spinti davanti a lei dal centro della piccola folla. Avevano entrambi i capelli lunghi e a giudicare dalla somiglianza del volto dovevano essere fratelli. Appartenevano alla lancia di Euen Huw. «Tydder» disse Ash, ricordandosi il nome. «Capo...» borbottò il ragazzo. Il fratello gli diede una gomitata al costato. «Zitto!» Entrambi avevano la maglia e il farsetto arrotolati giù fino alla vita. I petti erano rossi e i pantaloni erano tenuti su a stento dal cinturone della daga. Ash stava per infuriarsi quando notò che uno dei due rotoli di vestiti era più spesso dell'altro e lo indicò senza dire nulla. Il giovane afferrò il pezzo di stoffa che aveva nascosto tra i suoi abiti e lo srotolò tenendolo tra le grosse mani. Era una bandiera rossa e blu di circa due metri di grandezza sulla quale spiccavano due corvi e altrettante croci. Ash avvertì un lieve trambusto alle sue spalle e qualcuno che rideva:
l'atmosfera era carica d'attesa. «Questa, mi sembrerebbe proprio una bandiera, vero?» esordì. Non aveva nessuna intenzione di privare i suoi uomini dello spettacolo pregustato fino a quel momento. Il ragazzo che teneva la bandiera annuì e l'altro fratello ridacchiò. «Lo stendardo personale di Cola di Monforte?» indagò Ash. «Proprio quello, capo!» disse un terzo fratello, arrossendo. Ash cominciò a sorridere. Floria, che si trovava alle sue spalle, ruppe il silenzio che era sceso sul campo. «Cristo su un palo, come lo spiegherai?» Ash vide l'espressione atterrita del chirurgo e rise di gusto. «Oh, io non dovrò spiegare un bel niente» rispose Ash divertita. «Non è compito mio. Infatti... spetta a voi due... Mark e Thomas, giusto? E al giovane Simon. Adesso ascolterete il mio suggerimento: Euen Huw e la sua lancia... Carracci, Thomas Rochester...» Ash indicò una dozzina di uomini «farete un bel pacchetto di questa bandiera, vi presenterete al cancello del campo di Monforte e restituirete lo stendardo a mastro Cola in persona con i nostri omaggi.» «Cosa?» esclamò Floria. «Perdere la propria bandiera può essere un fatto molto imbarazzante. A noi è capitato di averla trovata da qualche parte» continuò Ash «e l'abbiamo subito riportata da loro nel caso fossero preoccupati...» Una cascata di risate sommerse l'ultima parte della frase. Gli uomini della lancia indicata andarono a cercare le loro armature migliori per recarsi al campo di Monforte come era stato loro ordinato. «E come spiegheranno di essere incappati accidentalmente nella bandiera?» chiese Florian. «Questo non chiederlo a me.» Ash scosse la testa, ridacchiando. «Ricordami di dire a Geraint di raddoppiare le guardie lungo il perimetro e intorno allo stendardo del Leone. Credo che ci saranno altre di queste...» «... stronzate!» ringhiò Floria. «Sono solo delle perdite di tempo! Giochi da ragazzini.» Ash fissò Ludmilla Rostovnaya e la sua compagna di lancia, Katherine, che mettevano gli archibugi in spalla per andare a comporre parte del picchetto d'onore che doveva andare a restituire la bandiera. «Se vogliono giocare a ruba bandiera che facciano pure. Sia il duca decida di finanziare la mia impresa, sia decida di scendere in battaglia contro i Visigoti, entro qualche giorno molti di loro potrebbero essere nella tua
tenda o sottoterra e loro lo sanno.» Fece l'occhiolino a Florian. «Diavolo, se pensi che questo sia male, dovresti vederli dopo che hanno vinto una battaglia...!» La donna sembrò essere sul punto di rispondere, ma uno dei suoi assistenti, un diacono, le fece cenno dalla tenda del chirurgo e lei si allontanò da Ash dopo averla salutata con un brusco cenno del campo. Ash la lasciò andare. «Se dovessimo ricevere una visita dalla milizia cittadina» disse al capitano che comandava le guardie al cancello «mandami a chiamare immediatamente e non farli entrare per nessuno motivo, chiaro?» «Certo, capo. Siamo di nuovo nei guai?» «Ne sentirai parlare presto. In questo campo tutti sentono tutto...» «Già, sembra di essere in un cazzo di villaggio» concordò l'ufficiale, un grosso Bretone con le spalle da contadino. Mi chiedo cosa pensino che sia più scandaloso, pensò Ash. Che gli avvocati del duca sono convinti che io sia una proprietà dei visigoti o che il nostro cavolo di dottore sia una donna? «Notte, Jean.» «Notte, capo.» Ash si diresse a grandi passi verso la sua tenda. Ora che erano all'interno del campo la scorta si era sciolta e Ash camminava circondata da una mezza dozzina di mastini uggiolanti che saltavano intorno a lei. Geraint ab Morgan le andò incontro per ricevere la parola d'ordine per la notte, Angelotti le fece rapporto cammin facendo sulle riparazioni delle artiglierie (si era rotta una stanga del cannone a organo chiamato la Vendetta di Santa Barbara) e Henri Brant le domandò del denaro. Tutte queste incombenze le fecero raggiungere il suo padiglione, che si trovava ormai a pochi metri da lei, dopo circa mezz'ora da quando aveva lasciato i cancelli. Dentro la tenda Bertrand era intento a sabbiare l'armatura sotto la direzione impaziente di Rickard. Ash si tolse la brigantina, ne annusò le ascelle, passò il comando ad Anselm, fischiò ai cani e si diresse verso il fiume per una nuotata accompagnata da Rickard. «Non mi devo preoccupare di Florian.» Grattò il grosso collo del mastino annusando l'odore del cane. «Chiunque avesse dei problemi a essere comandato da una donna non si unirebbe alla mia compagnia, giusto?» Rickard sembrava confuso e Bonniau, un grosso e robusto mastino, sbuffò sonoramente. Raggiunsero la sponda del fiume e Ash si spogliò completamente. I ma-
stini si sedettero sulla riva e poggiarono le grosse teste sulle zampe. Uno dei cani, Brifault, una femmina pezzata, annusò gli abiti inzuppati di sudore e le scarpe. «Ho portato la fionda» disse Rickard. Ash sapeva bene che nessuna volpe, puzzola o topo era al sicuro se si avvicinavano alla spazzatura del campo. Era stato un colpo di fionda del paggio a procurarle la coda di volpe che portava sull'elmo. «Voglio che rimanga qua con i cani, anche se siamo nel campo.» Ash entrò in acqua e si immerse. L'acqua fredda la ghermì e sembrò tirarla verso il fondo. Si alzò ansimando, dopodiché si diresse sorridendo verso una piccola ansa dove l'acqua era più tranquilla. «Capo?» disse Rickard. «Sì.» Ash immerse nuovamente la testa sott'acqua e i suoi capelli si agitarono mossi dalla corrente. Si alzò in piedi e la chioma le ricadde fino alle ginocchia brillando alla luce del sole morente. Strofinò le scottature dovute al sole e i punti in cui la pelle si era arrossata. «Lo sai anche tu che se non mangio, mi lavo e dormo, questo campo non può funzionare alla perfezione... cosa succede?» Non riuscì a scorgere i lineamenti del ragazzino, ma il tono di voce non lasciava dubbi. «Sento del rumore.» Ash aggrottò la fronte. «Metti il guinzaglio ai cani.» Uscì dall'acqua e spostò i capelli dalle orecchie. Sentiva le gambe pesanti. Dal campo echeggiavano i suoni della gente indaffarata intorno ai fuochi e i canti degli ubriachi. Non c'era nulla di strano. «Cos'hai sentito?» Prese la maglia e cominciò a usarla come asciugamano. «Ecco!» «Merda!» imprecò Ash e si diresse verso il campo. Quello che aveva udito pochi attimi prima non era il solito baccano provocato dagli ubriachi, era un suono troppo aspro. Si vestì di fretta e furia senza terminare di asciugarsi, afferrò la spada con una mano, i guinzagli dei mastini con l'altra e si avviò verso il campo con i vestiti che le si appiccicavano alla pelle e Rickard alle calcagna. «È il dottore!» esclamò il ragazzino. Una folla di uomini urlanti si era riunita nella luce del crepuscolo. Ash arrivò sul posto e prese a farsi strada tra la folla nel momento stesso in cui i pali cadevano sradicando i picchetti e le corde e i teli si afflosciavano.
Un bagliore giallastro spiccò nitido nell'oscurità crescente. Qualcuno aveva incendiato la tenda. «FUOCO!» urlò Rickard. «Bisogna contenerlo!» ordinò Ash. Si fiondò in mezzo alla folla senza pensare, tenendo i guinzagli dei mastini con entrambe le mani. «Cosa cacchio stai facendo, Anhelt! Pieter, Jean, Henri...» riconobbe diversi volti nella folla. «- indietro e andate a chiamare gli addetti agli incendi! Prendete i secchi e buttate sabbia sulla tenda.» Si rese conto di avere Rickard alle sue spalle che cercava di estrarre la spada consumata. Qualcuno li urtò violentemente. I cani ringhiarono e si lanciarono in avanti. «Bonniau! Brifualt!» urlò Ash, lasciando loro un po' di guinzaglio. Gli uomini arretrarono di fronte ai mastini liberando uno spazio intorno alla tenda crollata. Una figura stava cercando di uscire da sotto il cumulo di stoffa - Floria? «Fermi!» urlò Ash. «PUTTANA!» gridò un ronconiere all'indirizzo della tenda crollata. «Uccidiamo la troia!» «Va a letto con le donne!» «Puttana pervertita!» «Scopiamolo e dopo uccidiamolo!» «Scopiamola e uccidiamola!» Ash intravide gli uomini con i secchi d'acqua e le torce tra gli spazi che si aprivano e chiudevano nella folla. Il calore delle fiamme le scaldava la schiena. Dei frammenti di tela annerita volteggiavano nell'aria superandola. «Spegnete il fuoco prima che si propaghi al resto del campo!» urlò Ash a squarciagola. «Trasciniamola fuori dalla tenda e scopiamola» urlò un uomo: era Josse. «Fottuto chirurgo! Tagliamole la figa!» riprese a urlare dopo aver sputato. «Tira fuori Florian dalla tenda: muoviti» disse Ash, rivolgendosi al suo paggio e fece qualche passo tenendo i mastini davanti a sé. In quel momento si rese conto che la maggior parte dei presenti erano membri delle lance fiamminghe e provò una certa sorpresa nel vedere che in mezzo a loro c'era anche Wat Rodway con in mano un coltellaccio da macellaio. Tutti urlavano rossi in volto e l'odore della birra permeava l'aria. Stavano per cedere a un eccesso di violenza incontrollata. Non si limiteranno a urlare e a spaccare qualcosa, pensò Ash.
Merda! Non dovrei stare di fronte a questi pazzi. Questi mi passano sopra senza pensarci due volte. La mia autorità è bella che andata. Josse si fece avanti e allungò una mano per spostare bruscamente la donna con i capelli lunghi fino alle cosce che gli si parava d'innanzi e avvicinò l'altra all'elsa della sua arma. Quell'uomo era un balestriere fiammingo e un secondo dopo Ash si ricordò che aveva partecipato alla sua liberazione da Basilea e che era stato uno dei primi a salutarla quando era tornata al campo. Ash mollò i guinzagli. «Merda!» urlò Josse. I sei cani smisero di abbaiare all'istante e balzarono in avanti: un uomo arretrò con un mastino che gli mordeva il braccio, altri due caddero a terra con le bestie attaccate alla gola. Si levò un coro di imprecazioni e urla seguito da un guaito: qualcuno doveva aver ucciso un mastino. «INDIETRO E POSATE LE ARMI!» urlò Ash. Era ricorsa al tono di voce che impiegava in battaglia. Sentì qualcuno che parlava dietro di lei: erano Florian e Rickard e alcuni degli assistenti del chirurgo. Non pensò neanche per un attimo di distogliere l'attenzione dagli uomini davanti a lei. I feriti venivano tirati via dallo spiazzo e la folla cresceva sempre di più. Molti uomini protestavano. Dietro di lei il crepitio delle fiamme aumentava d'intensità. «Brifault!» Il mastino tornò da lei. Ash si accorse che lo scenario era cambiato: la folla non era più una massa di persone che avrebbero potuto spostarla senza neanche vederla per via della confusione, ma uomini protetti dalle maglie di anelli metallici, armati e con delle torce in mano. Uno di questi, Josse, aveva estratto la spada e la stava affrontando. Ash sapeva bene che la realtà nasceva da ciò che stabiliva il consenso generale, sentì di non essere più padrona della situazione: era passata da condottiero di un'unità mercenaria che esercitava il suo comando per concessione di tutti i suoi uomini a semplice ragazza che si trovava da sola in un campo, di notte, circondata da uomini che erano più grossi e vecchi di lei, armati e ubriachi. «Rivolta armata nel campo, trenta uomini...» borbottò automaticamente Ash. «Ristabilire il comando e il controllo...»
«Chi cazzo ti credi di essere!» urlò Josse, sputacchiando. La voce dell'uomo tuonò nell'aria. «Sei morta.» L'uomo la fissò in cagnesco e alzò la spada. I riflessi di un combattente scattano immediatamente quando vedono un'arma in movimento. Ash afferrò il fodero con la sinistra e l'elsa con la destra estraendo la spada con un unico movimento. Josse aveva alzato la spada in un attimo. La luce delle torce balenò sulla lama prima che questa cominciasse a calare. Ash intercettò l'arma del fiammingo con la sua, la deviò facendola scendere a terra con tanta forza che l'impatto sollevò una nuvoletta di polvere, quindi la bloccò con un piede e calò la spada sulla gola scoperta dell'uomo. «Merda...» sussurrarono quasi all'unisono i presenti. Ash sentì qualcosa di umido sulle mani e ritrasse l'arma. Josse portò entrambe le mani alla trachea recisa e cadde sulla paglia schiacciata. Scalciò per un'ultima volta, le sue interiora si rilassarono, un ultimo rantolo sembrò fuoriuscire direttamente dalla gola tagliata poi giacque immobile. Gli uomini che si trovavano dietro spingevano per avanzare urlando, mentre quelli che avevano assistito alla scena si zittirono. «Merda» ripeté Pieter Tyrrel, quindi alzò gli occhi velati dall'alcol e fissò Ash. «Merda, gente.» «Sapeva bene di non dover estrarre la spada» commentò uno dei ronconieri. Un gruppo di uomini in corazza completa sotto il comando di Anselm comparve sulla scena. Ash vide il suo luogotenente che si apriva un varco tra la folla che in quel momento stimò essere, nonostante l'oscurità, di cinquanta o sessanta persone. «Ben fatto.» Ash annuì in direzione di Anselm. «Fai seppellire... quest'uomo.» Diede la schiena ai suoi uomini deliberatamente lasciando che fosse Anselm a mettere a posto tutto, passò la mano guantata sul pomello della spada macchiato di sangue per pulirlo e la rinfoderò. I mastini le si avvicinarono. Rickard e Florian del Guiz la fissavano in piedi tra i resti anneriti della tenda. Entrambi avevano la stessa espressione sul volto. «Stava per ucciderti!» protestò Rickard. Il ragazzino che, fermo a gambe divaricate e testa bassa, sembrava voler imitare una delle posture tipiche di Anselm, osservava gli uomini che si allontanavano con un misto di spac-
coneria e paura. «Come hanno potuto? Tu sei il capo!» «Sono dei duri. E se sono ubriachi non hanno nessun capo.» «Ma tu li hai fermati.» Ash scrollò le spalle e prese i guinzagli. Carezzò il muso di Bonniau riempiendosi le dita tremanti di bava. Floria si allontanò da ciò che rimaneva della sua tenda e dei suoi strumenti chirurgici. Aveva una manica del farsetto strappata e un labbro sanguinante. Qualcuno doveva averla picchiata prima di dare fuoco al suo padiglione. «Va tutto bene?» «Stronzi!» Florian fissò gli uomini che trascinavano via il corpo di Josse avvolto in una coperta. «Quante volte li ho avuti sotto il mio bisturi? Come hanno potuto farmi questo?» «Sei ferita?» insistette Ash. Florian si fissò le mani tremanti. «Dovevi proprio ucciderlo?» «Sì. Loro mi seguono perché posso uccidere senza pensarci due volte senza alcun tipo di rimorso.» Ash sollevò il mento del chirurgo e studiò le escoriazioni. La pelle della donna era segnata da alcune ditate nere nei punti in cui l'avevano afferrata. «Vai a chiamare uno dei diaconi, Rickard. Non ho nessuna remora a uccidere. Se ne avessi sarei già finita dalla prima volta in cui una trentina di bastardi armati si presentarono davanti alla mia tenda dicendomi: 'I soldi del baule sono nostri, sparisci, bambina'. Non trovi?» «Sei folle.» Florian tornò a fissare ciò che rimaneva della tenda e una lacrima le rigò la guancia. «Siete tutti dei pazzi fottuti! Non c'è differenza tra un maniaco e un soldato!» «Sì, sono pazza, ma sono dalla tua parte» commentò Ash in tono asciutto. Vide arrivare il diacono con una lanterna e gli disse: «Fate dormire il dottore nella cappella da campo. Padre Godfrey è tornato?» «No, capitano.» «Va bene. Datele da mangiare e tenetela d'occhio. Non penso che le abbiano fatto troppo male.» Vide Robert Anselm che tornava verso di lei preceduto dal clangore metallico dell'armatura che indossava. «Voglio che Florian sia segregato nella cappella da campo e sia sorvegliato» ripeté, rivolgendosi al suo luogotenente. «Consideralo fatto.» Anselm impartì gli ordini ai suoi uomini, quindi si
girò verso Ash e le chiese: «Cosa diavolo è successo, ragazza?» «È stato un errore.» Ash fissò la paglia schiacciata e macchiata di sangue. Non molto, ma visibile alla luce delle lanterne. L'odore della tela e delle erbe mediche bruciate riempiva l'aria della notte. «Non potevi disarmarlo» disse Thomas Rochester, che si trovava alle spalle di Robert. «Pesava il doppio di te. Avevi solo una possibilità e l'hai sfruttata.» Robert Anselm fissò il chirurgo che si allontanava. «Lui - lei è una donna e va con le donne?» «Sì.» «E tu lo sapevi?» Ash esitò per qualche attimo. Robert sputò sulla paglia, imprecò a bassa voce e la fissò con gli occhi privi d'espressione. «Hai combinato un bel casino.» «Già. Josse era bravo sul campo. Avevo un fottuto bisogno di lui.» Ash aggrottò la fronte. «Ho bisogno di tutti gli uomini migliori! Se avessi saputo che le cose sarebbero finite così, mi sarei comportata altrimenti.» «Merda» imprecò nuovamente Anselm. «Sono d'accordo.» «Pulite tutto» ordinò Anselm agli uomini che si stavano avvicinando. Ash camminò a fianco del suo luogotenente, mentre i soldati si occupavano di rimettere in ordine l'area in cui fino a poco prima era sorta la tenda del chirurgo. «Devo indire una riunione per parlare con loro?» si chiese Ash, pensando ad alta voce. «O devo aspettare fino a domattina quando avranno le idee più chiare? Ho ancora un chirurgo di cui loro si fidano?» «È con noi da cinque anni» disse Anselm stuzzicando un filo di fieno con lo stivale. «Metà di loro sono stati rimessi insieme nella sua tenda. Da' loro una possibilità di lavorare e vedrai che avrai ancora un dottore. La prima volta che qualcuno si farà del male correrà da lei di gran carriera.» «E quelli che non lo faranno?» Ash vide il padrone del pennacchio che aveva svettato dietro la folla per quasi tutto il tempo del trambusto e assunse un'espressione tetra. «Mastro van Mander» lo chiamò. «Vorrei scambiare un paio di paroline con te.» Joscelyn van Mander, Paul di Conti e altri cinque o sei comandanti di lancia fiamminghi si fecero strada nella confusione. Van Mander era pallido in volto.
«Perché hai permesso che i tuoi uomini facessero tutto questo casino?» «Non sono riuscito a fermarli, capitano» si giustificò il fiammingo. Si tolse l'elmo e arrossì in volto. L'alito puzzava di vino. «Non potevi fermarli? Tu sei il loro ufficiale!» «Io comando solo perché loro me lo permettono. Lo stesso vale per tutti noi. Siamo una compagnia mercenaria, capitano Ash. Come potevo fermarli? Ci hanno detto che il chirurgo è un diavolo, un demone; una creatura pervertita e lussuriosa; un'offesa per il genere umano...» Ash arcuò un sopracciglio. «È una donna: e allora?» «È una donna che è andata a letto con altre donne, che le ha conosciute carnalmente!» La voce dell'ufficiale aveva assunto un tono oltraggiato. «Anche se io potrei arrivare a tollerarlo perché lui, lei è il tuo chirurgo e tu sei il comandante...» «Basta» tagliò corto Ash. «Il tuo dovere era quello di controllare i tuoi uomini e non sei stato all'altezza del tuo compito.» «Come potevo controllare il loro disgusto?» sbottò l'uomo. L'odore della birra aleggiò nell'aria per qualche attimo. «Non prendertela con me, capitano. Lei è il tuo chirurgo.» «Torna alla tua tenda. Domani mattina ti farò sapere la sanzione.» Ash osservò il comandante che si allontanava ignorando per il momento gli altri comandanti con lui, prendendo nota però nel momento in cui si girava di chi lo seguiva e di chi prendeva parte all'opera di pulizia. «Dannazione!» imprecò Ash. «Siamo nei casini» commentò Anselm flemmatico. «Sì, come se non ne avessi già abbastanza.» Ash lisciò una manica della maglia. «Forse dovrei essere ansiosa di essere consegnata ai Visigoti... a questo punto potrebbe essere solo un miglioramento!» Robert Anselm ignorò il suo sfogo come al solito. «Domani mattina voglio fare delle indagini. Voglio fermare tutto prima di perdere il controllo.» Quando alzò la testa vide che Anselm la stava fissando. «E mi piacerebbe sapere se qualcuno della lancia di van Mander ha origliato un qualsiasi 'commento casuale' di Joscelyn prima del casino.» «La cosa non mi sorprenderebbe.» «Meglio che vada a controllare Florian.» «Senti, per quanto riguarda Josse.» Robert Anselm si fermò. «Perché dopo non passi nella mia tenda e ti fai una coppa di vino?» Ash scosse la testa. «No.» «Potremmo brindare alla memoria di Josse.»
«Già.» Ash sospirò grata ad Anselm per la sua comprensione e sorrise. «Va tutto bene. Non preoccuparti per me, Roberto. Non ho bisogno del vino. Dormirò.» Il mattino dopo il paesaggio era avvolto da una nebbia fitta e umida. Anche all'interno del palazzo si erano formate delle gocce d'acqua. La nebbiolina che permeava la sala delle udienze si tinse di rosso al sorgere del sole. Ash, ferma a fianco del conte di Oxford, era contenta di quel fresco mattutino. A de Vere e i suoi fratelli era stato dato un posto poco distante dal trono ducale e da quella posizione Ash poteva osservare la corte burgunda, i dignitari stranieri e la delegazione visigota. Ai rintocchi delle campane il coro cominciò a cantare l'inno del mattino. Ash si tolse il cappello e si inginocchiò sul pavimento di marmo bianco. «Non ho la minima idea di quale possa essere la decisione del duca» le disse John de Vere al termine dell'inno. «Io sono uno straniero qua, signora.» «Avrei potuto stringere un contratto con quell'uomo» sussurrò Ash. «Già» ammise il conte di Oxford. «Già.» Si guardarono negli occhi, scrollarono le spalle con un sorrisetto sulle labbra e si alzarono in piedi nel momento stesso in cui il duca Carlo di Borgogna si sedette sul trono. Ash si guardò intorno aspettandosi di trovare Godfrey al suo fianco che le sussurrava all'orecchio i suoi preziosi consigli, ma rimase delusa. Questa volta c'era Robert Anselm. Godfrey Maximillian sembrava sparito nel nulla. Robert crede che Godfrey abbia passato la notte a Digione, pensò Ash, ma anche lui si sta chiedendo dove sia finito. Lo capisco dalla sua espressione e io non so cosa dire. Dove cavolo sei andato, Godfrey? Tornerai? «Al diavolo» aggiunse, credendo di parlare sottovoce, ma, a giudicare dallo sguardo interdetto di de Vere doveva aver fatto l'esatto opposto. Il nobile inglese sfruttò i discorsi del ciambellano e del cancelliere del duca per conferire con Ash. «Non preoccupatevi, signora. Se dovesse succedere, troverò il modo di tenervi qua, lontana dalle grinfie dei Visigoti.» «Come?» L'Inglese sorrise fiducioso, apparentemente divertito dal tono caustico della donna. «Penserò a qualcosa. Lo faccio spesso.»
«Vi fa male pensare troppo... mio signore.» Ash sembrò appiccicare il titolo alla fine della frase. Alzò la testa e prese a osservare la folla intorno a lei. L'argento e il blu, il rosso e l'oro, lo scarlatto e il bianco dei complicati stemmi araldici della Borgogna e della Francia erano ovunque. Lo sguardo di Ash si posò sui nobili raggruppati negli angoli della sala o su quelli intorno ai camini. C'erano mercanti vestiti con abiti di seta, dozzine di paggi con le giubbe bianche a sbuffo e preti con le tuniche verdi e marroni. I servitori si muovevano rapidamente tra i vari gruppi. Il fresco del mattino rendeva le voci più nitide, ma, notò Ash, venate di un tono solenne, greve e riverente. Dove sei Godfrey, ho bisogno di te. Cominciò a origliare in cerca di notizie utili: uno vicino a lei esaltava le virtù dei cani da caccia femmina, due cavalieri discutevano di un torneo e una grossa donna con indosso un abito italiano parlava del maiale in gelatina di miele. L'unica conversazione politica che riuscì a sentire fu quella tra l'ambasciatore francese e Filippo di Commines105 : i due stavano parlando di alcuni duchi francesi che non conosceva. Allora dove sono tutti questi intrighi di corte? si chiese. Forse non ho bisogno di Godfrey per conoscere i dettagli, non qua, almeno. Ma io ho bisogno di lui. Ash si girò per assicurarsi che Joscelyn van Mander non fosse solo presente, ma anche sobrio e abbastanza sottomesso e che i suoi uomini indossassero le giubbe della compagnia sopra le armature lucide, per quanto potevano esserlo dopo una fuga di qualche centinaio di chilometri in pieno inverno. Antonio Angelotti e Robert Anselm erano al suo fianco. Robert stava chiacchierando educatamente con uno dei fratelli de Vere e non notò la sua occhiata. Angelotti le sorrise e lei gli fece cenno di mettersi davanti al gruppo. Almeno facciamo una bella figura, pensò Ash. Un lieve trambusto in fondo alla sala attirò la sua attenzione. Ash resistette all'impulso di alzarsi in punta di piedi. Vide uno stendardo che svettava sull'uscio dalle grandi porte di quercia e udì il latino cartaginese parlato dai Visigoti. Portò automaticamente una mano sulla spada come per rassicurarsi. Rimase in quella posizione e spostò il peso sui tal105
Filippo di Commines o Commynes (1447 - 1511), storico e politico. Fu il primo a servire i Burgundi per poi tradirli a favore della Francia. Divenne consigliere di Luigi XI quattro anni prima nell'AD 1472.
loni, mentre il ciambellano e i suoi servitori annunciavano e facevano entrare Sancho Lebrija, Agnus Dei e Fernando del Guiz. Lo sfarzo della corte ducale sembrò avere un certo effetto su Fernando del Guiz che portò le mani tremanti dietro la schiena. La presenza fisica del marito le seccò immediatamente la gola e la confuse, ma ormai era una reazione alla quale si era abituata. Ciò che la confuse e la stupì veramente fu il dolore che provò nel vederlo vittima degli eventi, opportunista e isolato da se stesso. Al suo fianco il conte di Oxford assunse un portamento eretto. Ash uscì dal suo sognare a occhi aperti, ma impiegò qualche secondo prima di riuscire a concentrarsi sulla voce del duca. La nebbia delle prime ore del mattino aleggiava ancora nell'aria, avvolgendo i presenti in una sorta di coperta umida. I raggi del sole cominciavano a penetrare dalle finestre poste a oriente riscaldando il volto di Oxford che stava ascoltando un commento di Robert Anselm. La luce dell'astro infuocò la bellezza italiana di Angelotti donando alle armature di Jan-Jacob Clovet e Paul di Conti un'aria antica che li fece somigliare a due angeli usciti da un dipinto di Mynheer van Eyck, intenti a sognare l'eternità al cospetto di Dio. Ash avvertì una stretta al cuore. La sensazione della loro permanenza in aggiunta agli affari terreni scomparve. Fu colta da una sensazione di fragilità come se i suoi compagni fossero imperdibili e a rischio allo stesso tempo. Il sole continuava a levarsi sull'orizzonte. La luce cambiò d'angolazione portando via quella sensazione. Ash girò il capo verso il duca nel momento stesso in cui diceva: «Mastro Lebrija, ho ponderato la vostra richiesta con i miei consiglieri. Voi ci chiedete una tregua.» Sancho Lebrija fece un inchino rigido e formale. «Esatto, mio signore e principe di Borgogna.» Il volto lugubre del duca era quasi del tutto nascosto dal cappello, dal colletto a sbuffo e dalle collane d'oro che portava al petto: una ierofania che era l'immagine della regalità. Improvvisamente il regnante si chinò in avanti e Ash vide in lui l'uomo ricco e potente, appassionato di artiglieria, che passava più mesi possibili sul campo. «La vostra tregua è una menzogna» disse chiaramente il duca Carlo. La sala fu pervasa da un forte brusio. Ash si girò e zittì i suoi uomini con un gesto, quindi si sporse in avanti per meglio ascoltare le parole del duca. «Vi siete fermati ad Auxonne non per domandare una tregua, ma per spiare le mie terre e ricevere i rinforzi. Sostate ai nostri confini avvolti
nell'oscurità, armati di tutto punto con le atrocità dell'estate alle vostre spalle e venite a chiedere la pace - ci chiedete di arrenderci in nome di non si sa cosa. No» negò perentorio Carlo di Borgogna. «Se ci fosse rimasto anche solo un uomo della mia gente a difendere queste terre egli direbbe la stessa cosa, direbbe che noi siamo nel giusto e dove c'è giustizia c'è anche Dio. Noi vinceremo poiché Egli sarà al nostro fianco in battaglia.» Ash represse il commento cinico che solitamente avrebbe rivolto a Robert Anselm. Il suo luogotenente si era tolto il cappello e stava osservando con gli occhi sbarrati il fulgore del duca circondato dai vescovi, dai cardinali e dai preti. La voce del nobile tornò a echeggiare contro le volte della sala. «La giustizia può anche cadere in letargo, ma non marcisce nella terra come i corpi degli uomini, o arrugginisce come i tesori di questo mondo. Essa rimane immutata nel tempo. La vostra è una guerra ingiusta. Preferisco morire sulla terra governata da mio padre e dal padre di mio padre prima ancora di lui, piuttosto che firmare una pace con voi. Tutti coloro che vivono in Borgogna, non importa se poveri, contadini o profughi, difenderanno questa terra con tutti i loro mezzi e le preghiere che potranno innalzare a Dio.» L'ambasciatore francese si fece avanti e Ash vide che aveva stretto l'elsa della spada. «Mio duca» disse, quindi lanciò un'occhiata a Filippo di Commines che si trovava ancora tra la folla e continuò, «cugino del nostro re di Valois, quelli che ho appena udito sono dei sofismi. Sono parole per giustificare un tradimento.» Nessuno ribatté. Ash aveva la bocca secca e lo stomaco chiuso. Il nobile francese assunse un'espressione tetra. «Con questa minaccia voi sperate di far sembrare la Borgogna uno stato pericoloso da attaccare in modo che il nemico si rivolga contro le terre di re Luigi! È questa la vostra strategia? Voi sperate che il faris, questa meretrice, si sfianchi a combattere per dei mesi contro di noi per poi sconfiggerla e prendervi quello che rimane della Francia. Dov'è finito il tuo voto di lealtà al tuo sovrano, Carlo di Borgogna?» Già, dov'è finito? pensò ironica, Ash. «Il vostro re» disse Carlo di Borgogna «si ricorderà che io in persona ho bombardato Parigi 106 . Se volessi il suo regno me lo prenderei e voi ora non parlereste.» Ash si rese conto che i ciambellani e gli altri funzionari di corte si stava106
1465.
no avvicinando all'ambasciatore, mentre il duca tornava a rivolgere la sua attenzione a Sancho Lebrija. «Non accetterò la vostra richiesta» sentenziò Carlo ih tono deciso. «La vostra affermazione equivale a una dichiarazione di guerra» gli fece notare il qa'id visigoto. Ash lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche e notò che il robusto comandante dell'esercito burgundo sorrideva pienamente soddisfatto. «Avevamo detto che ci serviva una battaglia» ringhiò Robert Anselm all'orecchio di Ash. «Già, credo che ne avremo una molto prima di quanto ti aspettavi.» Ash fissava Sancho Lebrija per non guardare il marito. «Non mi consegneranno ai Visigoti.» L'occhiata di Anselm valse più di cento parole. Era come se le avesse detto: «Cerca di essere realista, ragazza! Non hai scelta.» «No» rispose Ash, tranquilla «non capisci. Io non andrò con loro neanche se ci vanno di mezzo tutta la corte, l'esercito di Carlo e Oxford. Attraverserò il Mediterraneo solo in compagnia di ottocento uomini armati di tutto punto.» Anselm assunse l'aria di qualcuno che stava pensando intensamente. «Se dovesse essere necessario ti tireremo fuori noi» borbottò improvvisamente qualche attimo dopo. Tu lo faresti anche, pensò Ash, ma non sono altrettanto sicura di van Mander. Si avvicinò al conte di Oxford che nel frattempo era stato convocato dal ciambellano del duca. «Sire?» disse il nobile in tono mite. «Io non sono il vostro signore legittimo» esordì Carlo di Borgogna sporgendosi in avanti, ignorando deliberatamente la delegazione visigota «ma credo che sarete contento di schierarvi insieme alla vostra compagnia sotto le nostre insegne quando ci recheremo ad Auxonne.» Merda, imprecò mentalmente Ash. Al diavolo l'incursione. «Facciamo da noi» mormorò ad Anselm. «Se paghi!» «Non posso pagare niente. I commercianti di Digione ci fanno credito solo perché siamo al soldo di Oxford.» Angelotti fece un commento scurrile in italiano a voce abbastanza alta da attrarre l'attenzione di Agnus Dei. «Ne sarò onorato» accettò cortesemente il conte di Oxford. «Sire.» Sancho Lebrija si fece avanti. «Principe di Borgogna, prima ancora della
guerra c'è la legge. Il nostro generale ha chiesto che le sia restituita una sua proprietà, una schiava che si trova in questa sala.» Il dito guantato indicò Ash. «La casata dei Leofric reclama il possesso di quella donna. I suoi genitori erano schiavi» ripeté. «Quella donna è una proprietà della casata dei Leofric.» Ash respirò profondamente, inalando l'odore dolce della segatura e dei petali di fiori che ricoprivano il pavimento della sala. L'apprensione le provocò uno strano senso di vertigine, ma riuscì a controllarsi. Alzò gli occhi per fissare il duca burgundo. «Mi consegnerà, ne sono sicura» mormorò all'indirizzo di Anselm e Angelotti. Per la seconda volta da quando si erano incontrati Ash vide un sorrisetto apparire sulle labbra di Carlo di Borgogna. «Ash» chiamò. Lei fece un passo avanti per affiancarsi a Oxford e scoprì con sommo stupore di avere le gambe molli. «Ho sempre assoldato mercenari con gran piacere» affermò grave il duca. «Per nessuna ragione al mondo permetterei a un comandante esperto e capace di abbandonare le mie forze. Tuttavia, in questo caso, non sono io quello che detiene il vostro contratto. Siete al servizio di un lord inglese sul quale le leggi della Borgogna non hanno alcun effetto.» «Non potrei mai andare contro i desideri del primo principe d'Europa, sire» incalzò prontamente John de Vere. «Voi avete richiesto la mia presenza sul campo di battaglia...» «Sento il suono dei soldi che passano di mano in mano» borbottò Ash. Dovette sforzarsi per non sorridere. «Avete chiamato in causa la giustizia» la voce di Sancho Lebrija tuonò nella sala. «Avete parlato della giustizia, principe di Borgogna. 'La giustizia può anche cadere in letargo, ma non marcisce'.» Il conte di Oxford cambiò postura mettendo Ash in allarme. Lei continuò a mostrarsi sicura di sé, consapevole che i suoi soldati stavano facendo vagare lo sguardo da lei al duca Carlo, al Visigoto e di nuovo su di lei. «Quali sono le vostre obiezioni?» domandò il duca. «La giustizia non cade in letargo. Il diritto, la legge, sono dalla nostra parte.» Il sole illuminò la figura dell'ambasciatore obbligandolo a socchiudere gli occhi e fece brillare gli anelli metallici delle corazze leggere e le else delle spade consumate dall'uso degli uomini della scorta. «State ricorrendo a un espediente di bassa lega, principe di Borgogna.
Voi state sfidando la legge solo perché desiderate avere qualche centinaio di uomini in più dalla vostra parte. Questa è cupidigia, non diritto. È un atto degno di un despota e non ha nulla a che fare con la legge.» L'ambasciatore esitò per qualche attimo. Fernando del Guiz gli suggerì qualcosa all'orecchio ed egli annuì. «Nessuno vi può biasimare, principe, quando dite che la guerra contro di noi è giusta. Ma dov'è la vostra giustizia, se voi la mettete da parte quando più vi aggrada? La donna appartiene alla casata dei Leofric. Voi, come ormai anche tutti i presenti, saprete che ella ha lo stesso volto del mio generale. Non potete negare che sia figlia degli stessi genitori. Non potete negare che sia una schiava.» Lebrija si interruppe fissando il duca. Il nobile non proferì parola e il Visigoto terminò: «In quanto schiava non ha il diritto di firmare una condotta, quindi non importa sotto di chi sta servendo in questo momento.» Sulla bocca di Oxford apparve una smorfia amara. Aggrottò la fronte senza parlare con l'aria di chi stesse pensando a una soluzione in fretta e furia. «Lo farà» sussurrò Ash ai due uomini al suo fianco. Anselm sudava copiosamente e teneva la testa bassa con fare aggressivo, mentre Angelotti aveva posato la mano sulla daga con un gesto carico di grazia letale. «Forse non lo farà per ottenere un vantaggio politico - forse è diverso da Federico - ma ascolterà sicuramente le parole di Lebrija. Mi consegnerà a loro per non trasgredire la legge.» Dietro di lei i suoi uomini cominciarono ad allargarsi leggermente, alcuni di loro valutarono a quanto distavano dalle porte e dove si trovavano le guardie. «Avete qualche idea?» aggiunse Ash, rivolgendosi a Oxford. Il conte la fissò in cagnesco. «Datemi un minuto!» Uno squillo di chiarina echeggiò chiaro e cristallino nella sala delle udienze. Un manipolo di cavalieri in corazza completa e armati di asce da guerra entrò dalla porta e si posizionò lungo le pareti. Ash vide de la Marche che approvava con un cenno del capo. «Cosa farà il vostro faris alla donna di nome Ash, una volta riavuta?» domandò Carlo di Borgogna dall'alto del suo trono. «Cosa farà?» ripeté Lebrija, colto alla sprovvista dalla domanda. «Esatto! Cosa ne sarà di lei?» Il duca poggiò le mani in grembo, quindi in tono leggermente pomposo aggiunse: «Vedete, è mia opinione che le
farete del male.» «Farle del male? No, mio principe, no.» L'espressione di Lebrija era quella di un uomo che sapeva di non essere convincente. «La cosa non vi deve preoccupare, principe. La donna di nome Ash è una schiava. È come se mi chiedeste se ho intenzione di far del male al mio cavallo quando scendo in battaglia.» Alcuni soldati della scorta di Lebrija sghignazzarono. «Cosa ne sarà di lei?» «La cosa non vi deve preoccupare, principe. Voi dovete attenervi alla legge. E la legge stabilisce che lei è nostra.» «Fatto sicuramente accertato» concordò Carlo di Borgogna. La frustrazione degli uomini di Ash era quasi tangibile. Fissavano i soldati burgundi intorno alla sala con occhiate ferali, imprecando a bassa voce. Tutti i loro disaccordi erano stati messi da parte per il momento. Anselm disse qualcosa per trattenere Angelotti. «No» sbottò l'Italiano. «Sono stato schiavo di uno dei loro amir. Farò tutto ciò che è in mio potere per impedire che ti portino con loro, madonna.» «Mastro artigliere, zitto!» ringhiò Anselm. Ash fissò Agnus Dei che dava una pacca sulla schiena di Sancho Lebrija per congratularsi. Dietro il mercenario italiano, Fernando del Guiz ascoltò il commento di un uomo della scorta e rise di gusto reclinando il capo all'indietro. Ash prese una decisione. «Sarò molto contenta di uccidere tutti i Visigoti presenti.» Aveva parlato in modo da farsi sentire da Anselm, Angelotti, van Mander, Oxford e i suoi fratelli. «Sono in nove. Uccidiamoli adesso. Dobbiamo essere veloci, dopodiché gettiamo a terra le armi e lasciamo che il duca ci dichiari fuorilegge. Se quelli moriranno ci sbatteranno fuori della Borgogna, ma non saremo consegnati.» «Facciamolo.» Anselm fece un passo avanti seguito dagli uomini del Leone. Ash udì van Mander che borbottava qualcosa in tono allarmato riguardo alle guardie. Avremo delle perdite, è ovvio, pensò. Carracci imprecava eccitato, mentre Euen Huw e Rochester avevano portato le mani sulle armi sghignazzando soddisfatti. «Aspettate!» ordinò il conte di Oxford. Uno squillo di chiarina echeggiò nell'aria e il duca Carlo di Borgogna si alzò in piedi come se nella sala non ci fosse un gruppo di mercenari a soli
dieci metri dal suo trono e i soldati armati fino ai denti non si fossero mossi perché Olivier de la Marche aveva ordinato loro di stare immobili con un segnale brusco. «No. Non vi consegnerò la donna di nome Ash» dichiarò il duca. «Ma è nostra per legge» ribatté Lebrija, visibilmente oltraggiato. «È vero. Tuttavia, non ve la consegnerò.» Ash si rese appena conto della mano di Anselm che le stringeva con forza un braccio. «Cosa?» sussurrò. «Cos'ha appena detto?» Il duca diede un'occhiata ai suoi consiglieri, ai legali, ai suoi sudditi. Un velo di soddisfazione calò sul suo volto quando Olivier de la Marche si inchinò profondamente e indicò gli uomini armati nella sala. «Comunque, se tenterete di portarla via con la forza, faremo tutto ciò che è in nostro potere per impedirvelo.» «Siete un folle, principe.» «Mi pigliasse un colpo se non ha ragione» commentò Ash a bassa voce. De Vere scoppiò a ridere di gusto e diede una pacca sulla spalla di Ash con la stessa forza che usava con i suoi fratelli. Lei fu molto contenta di aver indossato la brigantina perché l'impatto fece scricchiolare le piastre metalliche. Gli uomini di Ash esultarono e il duca Carlo si rivolse alla delegazione visigota. «È mio desiderio che la donna di nome Ash rimanga nella mia corte. E così sarà.» «Ma state infrangendo la legge» esclamò Sancho Lebrija come se la persona che aveva davanti non fosse il principe più potente della Cristianità, ma un paggio recalcitrante. «Sì, lo so. Portate questo messaggio ai vostri padroni - al vostro faris: io continuerò a infrangere la legge ogni volta che questa si dimostrerà sbagliata. L'Onore» continuò affettato e nuovamente un po' pomposo «è al di sopra della Legge. L'onore e la cavalleria ci impongono di difendere i deboli. Sarebbe moralmente sbagliato consegnarvi la donna quando ogni uomo presente in sala sa bene che voi la massacrerete.» Sancho Lebrija lo fissò stupefatto. «Non ci capisco niente.» Ash scuoteva la testa attonita. «Quale vantaggio può trarne il duca da questa mossa?» «Nessuno» le spiegò il conte di Oxford, serrando le mani dietro la schiena come se anche lui non le avesse posate sulle armi un attimo prima. Le
lanciò un'occhiata furba. «Assolutamente nessuno, signora. Nessun vantaggio politico. La sua azione non può essere difesa in alcun modo.» Ash ignorò la gioia dei suoi uomini e fissò la delegazione visigota che veniva scortata fuori della sala, quindi spostò l'attenzione sul trono e sul duca. «Non ci capisco niente» disse. V Ash raggiunse la sua tenda per la strada lunga, fermandosi di fuoco in fuoco per parlare con un centinaio di giovani che bevevano e parlavano dei loro successi con le donne e della loro bravura con l'arco lungo o il roncone. «È guerra» diceva loro, contenta. Ascoltava quello che avevano da dire bevendo una pinta di birra qua, mangiando un piatto di patate là, per ascoltare i commenti eccitati dei suoi uomini. Voleva sapere cosa ne pensavano della guerra, del chirurgo e della morte di Josse. Prestò particolare attenzione alle opinioni di quella parte del campo dove si erano accampate le dodici o tredici lance di Joscelyn van Mander. Arrivata alla tenda controllò quali erano gli ufficiali presenti alla riunione. Aggrottò leggermente la fronte e uscì di nuovo, formò una scorta di sei uomini presi da una lancia inglese e si incamminò con tanto di cani per il campo. «Di Conti» chiamò. Paul di Conti saltò fuori della tenda con un largo sorriso sul volto arrossato dal sole e si inginocchiò di fronte a lei. «Non ho visto né te né i tuoi comandanti di lancia alla riunione nella mia tenda. Infila il culo in una corazza e raggiungimi.» Il savoiardo sorrise nuovamente e disse: «Sieur Joscelyn ha detto che verrà a sentire al posto nostro. A me e agli altri non importa. Sieur Joscelyn ci dirà tutto ciò di cui avremo bisogno.» E di Conti non è neanche Fiammingo, pensò Ash sorridendo. Il ghigno del mercenario si affievolì. «Così non ci schiacciamo nella tua tenda come acciughe in un barile, capo!» aggiunse. «Anch'io credo che questo risparmi alla metà di voi di trovarsi seduta in grembo a me! Va bene.» Ash si girò di scatto e tornò verso il centro del campo con passo deciso. Era così concentrata a pensare che non si accorse dell'uomo alto e robusto dai capelli scuri che la stava seguendo da un certo tempo. La sua pelle
continuava a rimanere pallida malgrado fosse stata esposta al sole della Borgogna e gli spessi sandali schiacciavano gli steli di fieno sotto i piedi. Ash si girò e fissò l'uomo alto quasi due metri. Uno dei cani gli uggiolò contro ed egli si spostò di lato. «Tu sei... Faversham» ricordò Ash. «Richard Faversham» confermò l'Inglese. «Sei l'assistente di Godfrey.» Non era riuscita a trovare la traduzione del termine in inglese. «Diacono. Volete che dica messa fino al ritorno di Godfrey?» le chiese Richard Faversham in tono solenne. L'Inglese doveva essere poco più vecchio di lei e sudava copiosamente. Su una guancia spiccava il tatuaggio di una croce blu. Intorno al collo aveva diverse medagliette di santi. Una delle immagini più ricorrenti era quella di santa Barbara107 . «Sì. Ha dato l'incarico a te quando è tornato da Digione?» chiese Ash incrociando le dita dietro la schiena. Il diacono sorrise benevolo. «No, capo. Faccio le mie scuse a nome di padre Godfrey per il suo comportamento scortese. Quando incontra un malato o un povero si ferma finché non ha posto rimedio alle sue tribolazioni.» Ash si fermò di colpo. «Scortese? Godfrey?» Richard Faversham socchiuse gli occhi per proteggersi dal sole. «Mastro Godfrey» continuò con voce sicura «verrà sicuramente santificato, un giorno. Non rifiuta il Pane e il Vino Divino neanche al più infame dei ronconieri o alla più laida delle prostitute. L'ho visto accudire un bambino malato per quaranta ore di fila. Una volta fece lo stesso con un cane. Diventerà un santo una volta morto.» «Beh, al momento ho bisogno di lui sulla terra!» riuscì a rispondere Ash. «Se dovessi vederlo digli che il suo capo ha bisogno di lui, adesso, nel frattempo vai pure a preparare la messa.» Tornò alla sua tenda fermandosi a scambiare poche parole con John de Vere e Olivier de la Marche che si era recato in visita al campo ospite del conte inglese, quindi si piazzò sotto lo stendardo del Leone Azzurro e convocò i suoi ufficiali. 107
Santa Barbara, una santa romana che in principio aveva il compito di proteggere contro i fulmini, venne adottata come santa patrona degli artiglieri presumibilmente basandosi sul fatto che un'esplosione è uguale a un'altra.
Geraint arrivò barcollando con i pantaloni mezzi slacciati, Robert Anselm lo raggiunse poco dopo con indosso solo il piastrone della corazza. Arrivò anche Angelotti. Come fa a essere sempre così lindo e perfetto? si domandò Ash nel vedere il farsetto di seta bianca indossato dall'artigliere. Joscelyn van Mander fu l'ultimo. Ash alzò un mano, Euen Huw portò la tromba alla bocca e dallo strumento scaturì uno squillo. La riunione stava cominciando. Ash non rimase troppo sorpresa di vedere che gli uomini si precipitavano nello spiazzo senza farsi troppo pregare. A volte, pensò Ash, le voci di quello che sto per fare cominciano a girare per il campo prima ancora che io ci abbia pensato... «Va bene!» Ash cacciò una gallina da un barile, vi saltò sopra e portò le mani sui fianchi. Lo stendardo penzolava sopra di lei contro il palo. Fece vagare lo sguardo sulle persone che si stavano radunando. «Signori» esordì. Il tono di voce non era altissimo perché voleva che stessero zitti. «Signori... e uso questo termine liberamente... sarete contenti di sapere che siamo di nuovo in guerra.» Un misto di piacere e delusione pervase la folla. Ash non sapeva che impressione poteva fare il sorriso che aveva stampato sul volto, non si rendeva conto che le dava un'espressione radiosa. Esso diffondeva intorno a lei, specialmente prima di una battaglia, la sua certezza assoluta (forse inconscia) che in quel momento il mondo stava girando per il verso giusto. «Stiamo per combattere contro i Visigoti» disse. «In parte perché ci piace il sole della Borgogna! In parte perché il mio signore conte di Oxford ci paga per farlo. Ma, soprattutto» aggiunse con enfasi «soprattutto stiamo per combattere contro quella puttana visigota perché rivoglio indietro la mia armatura!» Le risate e le ovazioni fecero tremare il terreno. Ash allungò le braccia sopra la testa e ottenne il silenzio. «E Cartagine?» chiese Bianche da uno dei carri. Cosa dicevo delle voci, pensò Ash. «Quella può aspettare!» dichiarò sghignazzando. «Tra tre o quattro giorni combatteremo contro le teste di tela. Riceverete un anticipo. I vostri compiti per il resto del giorno sono quelli di ubriacarvi e scopare due volte ogni puttana di Digione! Non...» L'ovazione della folla le impedì di continuare e la fece sorridere soddisfatta. «Stanotte non ci deve essere neanche un uomo del Leone Azzurro sobrio, chiaro! Non voglio vederne neanche
uno!» «Non c'è pericolo, capo!» urlò una voce dal marcato accento gallese. Ash arcuò un sopracciglio e fissò Geraint ab Morgan. «Ho parlato anche degli ufficiali? Non credo.» Un coro di ottocento voci maschili manifestarono il loro dissenso. Ash sentì l'adrenalina che le saliva in corpo. «Va bene! Ho detto, va bene! Zitti!» Ash riprese fiato. «Così va meglio. Andate a ubriacarvi e a divertirvi. Tutti! Quelli che torneranno dovranno far credere alle teste di tela di essere finite nel fottuto inferno.» Batté la mano sul palo dello stendardo. «Ricordatevi ragazzi. Non voglio che moriate per la vostra bandiera - voglio che facciate morire i Visigoti per la loro!» La folla esultò e cominciò a diradarsi. Ash si girò sul barile. «Mynheer van Mander!» Tutti si fermarono. Joscelyn van Mander uscì dal gruppo degli ufficiali con passo incerto e si guardò intorno. Ash lo vide lanciare delle occhiate a Paul di Conti e a una mezza dozzina di altri comandanti di lancia fiamminghi. «Vieni.» Gli fece cenno di venire avanti con insistenza e appena gli fu vicino si chinò in avanti, gli strinse la mano con vigore, si girò verso gli altri e alzò le braccia del cavaliere fiammingo insieme alle sue. «Sto per fare una cosa che non ho mai fatto prima!» annunciò. Si inclinò in avanti e baciò van Mander sulla guancia ruvida. I commenti caustici e pepati echeggiarono immediatamente nell'aria. I soldati che avevano cominciato ad andarsene tornarono sui loro passi ponendo domande ai compagni. «Va bene!» Ash si girò continuando a stringere le mani dell'ufficiale. «Voglio che tutti sappiano che ho un debito nei confronti di questo uomo! Adesso! Egli ha fatto molto per il Leone Azzurro. Il fatto è che non ho più nulla da insegnargli!» Gli uomini delle lance fiamminghe esultarono colmi d'orgoglio battendo i pugni sui piastroni delle corazze. Erano raggianti. Sulla faccia di van Mander era apparsa un'espressione che era una via di mezzo tra l'orgoglio e l'apprensione. Ash si trattenne dallo scoppiare in una torva risata. Vediamo come te la cavi adesso, bello mio... pensò. Sfruttò il momento d'esaltazione dei Fiamminghi per vedere le reazioni di Paul di Conti, degli altri ufficiali e studiare l'espressione di van Mander. Adesso i tuoi ufficiali non prendono più ordini da me, ma da te, pensò
Ash. Quindi non più i miei ufficiali... Quindi non ha più nessun motivo per rimanere nel mio campo. «Sir Joscelyn» disse Ash in tono formale e ad alta voce «giunge sempre il tempo in cui l'apprendista e il viaggiatore devono lasciare il loro maestro. Ti ho insegnato tutto quello che sapevo. Non è più necessario che ti comandi. È ora che tu guidi una tua compagnia.» Valutò l'impatto che la sua dichiarazione aveva avuto sulla folla e, a giudicare dal brusio che si era levato, lo trovò soddisfacente. «Joscelyn, ci sono venti lance, duecento Fiamminghi che ti seguiranno. Io ho dato vita al Leone Azzurro con lo stesso numero di uomini.» «Ma non voglio andarmene dal Leone Azzurro» borbottò van Mander. Ash sorrise. Certo che non vuoi. Preferisci stare all'interno della compagnia con un bel numero di uomini al tuo servizio e cercare di mettermi i bastoni tra le ruote. Ecco perché hai sempre voluto un capo debole: ti tieni il potere e scarichi le responsabilità. Da solo hai pochi uomini e nessuna influenza sulle persone. Sei finito. Ne ho abbastanza di questa compagnia dentro la compagnia. Ne ho abbastanza di persone o cose inaffidabili... Golem di Pietra incluso. Tra quattro giorni dobbiamo andare in battaglia e non voglio una compagnia disunita... «Non andrò via» dichiarò van Mander aggrottando la fronte. «Ho parlato con il mio signore, il conte di Oxford e Olivier de la Marche, il Campione del duca di Borgogna.» Fece una pausa per lasciare che quei nomi penetrassero nelle menti dei soldati. «Se lo desideri, sir Joscelyn, il mio signore Oxford è disposto a firmare un contratto anche con te. O, se vuoi essere assunto alle stesse condizioni di Cola di Monforte e dei suoi uomini» - vide che dei nomi così famosi facevano un certo effetto sui Fiamminghi e van Mander - «allora potresti farti assumere direttamente da Carlo di Borgogna.» I Fiamminghi esultarono. Ash si diede una rapida occhiata intorno e capì immediatamente quali sarebbero stati i Fiamminghi che sarebbero rientrati di soppiatto nel campo del Leone Azzurro la notte stessa sotto falso nome e quali ronconieri inglesi avrebbero cominciato a parlare un Vallone fluente sotto il comando diretto di Olivier de la Marche. Ash spostò il peso sui talloni. Il barile era stabile sotto i suoi piedi. Lasciò che l'aria calda le carezzasse il volto e spostò il colletto della maglia con un dito per arieggiare il collo. Joscelyn van Mander la fissava con la
bocca chiusa. Ash poteva bene immaginare le parole che l'uomo stava trattenendo, che doveva trattenere altrimenti il tutto sarebbe finito in una scenata pubblica. Cosa che non cambierebbe la mia decisione, pensò Ash. Lui e le sue lance devono andarsene. Osservò la folla davanti a lei e il suo occhio esperto valutò immediatamente l'entità della separazione. Meglio avere cinquecento uomini fidati che ottocento inaffidabili, concluse. Qualcuno le tirò un lembo del farsetto. Ash abbassò lo sguardo e vide Richard Faversham. «Proporrei una propiziatoria in favore della nuova compagnia dei cavalieri fiamminghi» disse il diacono. Ash osservò per un attimo l'espressione da ragazzino di Faversham. «Sì. Buona idea.» Alzò un pugno per chiedere silenzio, lo ottenne e annunciò la proposta del prete a tutti i presenti. La sua attenzione continuava a essere incentrata su van Mander che si era appartato con i suoi ufficiali. Controllò con la coda dell'occhio dove si trovavano la sua scorta, i cani, Anselm, Geraint e Angelotti, che avevano assistito a tutto il discorso impassibili. Non scorgeva da nessuna parte i volti familiari di Florian de Lacey e Godfrey Maximillian. Merda! imprecò mentalmente e si girò. Paul di Conti aveva attaccato sull'asta di un roncone uno dei primi stendardi appartenuti a van Mander: la nave e la mezza luna. Lo stendardo venne sollevato e i duecento uomini che Ash aveva valutato in precedenza avrebbero lasciato la sua compagnia, cominciarono a radunarsi intorno all'asta. «Prima di lasciare il campo» disse Ash «parteciperemo alla messa e pregheremo per le vostre e le nostre anime. E pregheremo di incontrarci di nuovo tra quattro giorni sul campo di battaglia con l'esercito visigoto distrutto ai nostri piedi.» Il diacono cominciò a impartire le istruzioni per preparare il rito. Ash saltò giù dal barile e si trovò a faccia a faccia con John de Vere. Il conte aveva appena terminato di conferire con Olivier de la Marche. «Porto notizie fresche, capitano. Le spie del duca hanno detto che le linee dei Visigoti si sono estese fino al loro limite e che è possibile troncare le loro linee di rifornimento. Ci sono truppe turche a meno di quaranta chilometri da qua.» «I Turchi?» Ash fissò l'Inglese che, compito, la guardò di rimando con
un bagliore colmo d'eccitazione negli occhi azzurri e mormorò: «Seicento unità appartenenti alla cavalleria del sultano.» «Turchi. Cazzo.» Ash fece due passi in avanti e si girò con lo sguardo perso nel nulla intenta a pensare, incurante delle persone che si affaccendavano intorno a lei. «No! Ha senso! Anch'io farei la stessa cosa se fossi nel sultano. Aspettare che i Cartaginesi ingaggino una battaglia, tagliare i loro rifornimenti e poi avventarmi su ciò che rimane... Il duca Carlo sarà poi così contento di avere l'esercito turco alla porta il giorno dopo che avremo sconfitto i Visigoti?» «È ansioso di partire con l'esercito e sta richiamando i preti» disse il conte in tono grave. Ash fece il segno della croce. «Per quanto riguarda il resto» aggiunse de Vere «il grosso dell'esercito si muoverà oggi e domani: noi partiremo con il resto dei mercenari dopodomani. Lasciamo un campo base qua e preparatevi a una marcia forzata. Ora vedremo, signora, se siete un bravo comandante anche senza l'aiuto dei santi.» Le ventiquattr'ore successive passarono nel caos più completo che gli ufficiali del Leone Azzurro gestirono grazie alla loro esperienza. Sia Ash che i suoi uomini non dormirono per più di due ore. Cumuli di nuvole gialle si ammassavano a ovest striate dai lampi. Il caldo umido aumentò notevolmente. Gli uomini con indosso le armature si grattavano in continuazione imprecando. Scoppiò anche una rissa durante l'operazione di carico dei cavalli da trasporto. Ash era ovunque. Ascoltava tre, quattro, cinque persone contemporaneamente, controllando al tempo stesso armi e vettovagliamento, occupandosi dei preti e delle guardie ai cancelli. Tenne la riunione finale nella tenda che fungeva da armeria. Era un luogo che puzzava di carbone, fumo e fuliggine. L'aria era pervasa dal clangore metallico dei martelli che si abbattevano sulle punte delle frecce. «Cristo Verde!» imprecò Robert Anselm, asciugandosi la fronte sudata. «Perché non piove?» «Preferiresti marciare sotto la pioggia? Siamo fortunati!» L'approssimarsi della tempesta faceva pulsare la testa di Ash. Dickon Stour chiuse l'ultima cinghia che bloccava lo schiniere sulle caviglie e lei piegò la gamba a novanta gradi. «No, mi taglia il retro del ginocchio» disse Ash. L'armiere provò ad al-
lentare le cinghie. «Lascia perdere: ho gli stivali. Indosserò solo le protezioni superiori delle gambe.» «Ti ho preparato un piastrone.» Dickon Stour si girò e glielo porse con le mani sporche di fuliggine. «Devo modificare i fori per le braccia?» Non c'era tempo per forgiare una nuova armatura. Ash si girò, l'armiere le infilò il piastrone senza chiudere le cinghie e lei tese le braccia in avanti come se stesse maneggiando la spada. Il movimento fece salire i bordi del piastrone contro l'interno delle braccia. «Troppo largo. Taglialo ancora. Non importa se non smussi i bordi, voglio qualcosa che posso indossare per quattro ore e che sia in grado di proteggermi dalle frecce.» L'armiere emise un grugnito deluso. «Gli uomini del duca sono partiti?» «All'alba» urlò Geraint ab Morgan per farsi udire sopra il baccano prodotto dai martelli. Durante quelle ultime ore quasi ventimila uomini erano partiti per i confini meridionali del regno e ci avrebbero impiegato diversi giorni per coprire i sessanta chilometri fino ad Auxonne. Il terreno intorno a Digione era diventato una distesa di terra rivoltata e calpestata. I magazzini della città erano stati svuotati per approvvigionare le truppe. I tuoni echeggiavano nel cielo. Il rombo era udibile nonostante il frastuono nella tenda. Ash pensò brevemente alla strada che portava a sud. Una manciata di chilometri da percorrere lungo la valle del fiume poi la città sarebbe scomparsa alle loro spalle, dopodiché avrebbero trovato solo qualche fattoria, dei villaggi eretti nelle radure della foresta e le grandi distese dei pascoli vuoti o dei terreni incolti. Un mondo vuoto. «Partiamo tra due ore.» Più si avvicinavano al Sud, più il clima diventava rigido. In serata si trovavano a circa venti chilometri da Digione. Ash raggiunse la cima di una collina e vide delle colonne di fumo levarsi dai campi. «Cosa succede?» chiese rivolgendosi a Rickard che l'aveva seguita di corsa. «Stanno cercando di salvare le viti!» «Le viti?» «Ho chiesto a uno del posto e mi ha detto che la scorsa notte c'è stata una gelata. Hanno acceso dei falò tra i filari per impedire che gelino, altrimenti tutta la vendemmia andrebbe perduta.» Due o tre uomini erano usciti dalla colonna e si stavano dirigendo verso
di lei: forse c'era bisogno di altri ordini. Ash lanciò un'ultima occhiata alle pendici delle colline sulle quali crescevano le vigne e ai contadini che cercavano di salvarle. «Dannazione, niente vino» disse. Si girò e vide che Rickard aveva quattro o cinque conigli appesi alla cintura. «Sarà una brutta annata» disse il conte di Oxford, affiancandosi ad Ash. «Dirò ai ragazzi che stiamo combattendo per la vendemmia e vedrete come prenderanno i Visigoti a calci in culo!» Il nobile inglese socchiuse gli occhi e osservò la campagna a sud. Il campanile di una chiesa segnalava la presenza di un piccolo villaggio, per il resto c'erano solamente foreste e terreni incolti. La larga fascia d'erba calpestata e costellata di rifiuti e sterco di cavallo indicava chiaramente la strada per Auxonne. «Almeno non corriamo il rischio di perderci» azzardò Ash. «Un contingente di ventimila uomini è difficile da gestire, signora.» «Sono più dei Visigoti.» A mano a mano che il cielo imbruniva a est era possibile scorgere a sud un'ombra che non spariva mai, neanche in pieno giorno. «Così, quello sarebbe il Crepuscolo Eterno» disse il conte di Oxford. «Più ci avviciniamo e più diventa evidente.» Alla vigilia del ventuno agosto, la compagnia del Leone Azzurro si era accampata al limitare di un bosco a circa cinque chilometri a ovest di Auxonne. Ash passò tra i ripari improvvisati e si avvicinò agli uomini incolonnati per la cena stando molto attenta a sembrare serena e allegra. Henri Brant le si avvicinò in compagnia del capo stalliere e chiese: «La battaglia è dopodomani mattina, giusto? Devo cominciare a nutrire i cavalli da guerra in modo particolare?» Pur essendo addestrato un cavallo da guerra rimaneva comunque un erbivoro che aveva bisogno di essere nutrito per rimanere in forze, altrimenti bastava un'ora di combattimento per sfiancarlo irrimediabilmente. Il cielo color porpora era appena visibile tra le foglie delle querce e l'aria umida rendeva la pelle appiccicosa. Ash si asciugò il viso. «Calcola che i cavalli dovranno combattere dall'alba fino alle nove. Comincia a dare loro il cibo speciale.» «Sì, capo.» Thomas Rochester e la scorta si erano fermati sotto gli alberi a parlare con Bianche e altre donne. Nessuno che mi fa domande! pensò Ash. Stupe-
facente! Fece un lungo sospiro. Merda, preferisco in momenti in cui ho tanto da fare che non ho tempo per pensare. C'è sempre qualcosa da fare. «Non mi allontano di molto» disse all'uomo della scorta che le era più vicino. «Di' a Rochester che sono nella tenda del medico.» Il padiglione di Floria si trovava a pochi metri da lei. Ash scavalcò le corde e i tiranti legati intorno al tronco di un albero e alle radici che spuntavano dal terreno, mentre dal cielo cadevano le prime gocce di pioggia. «Capo?» chiese il diacono Faversham uscendo dalla tenda. Ash nascose la sua apprensione e chiese: «Il mastro chirurgo è dentro?» «Sì» rispose l'Inglese senza scomporsi. Ash annuì in segno di saluto ed entrò. Come aveva temuto la tenda non era vuota: sui lettini c'erano una mezza dozzina di uomini che smisero di parlare ad alta voce tra di loro appena la videro, dopodiché, passato qualche attimo, ripresero la conversazione, ma a voce più bassa. «Ci stiamo muovendo troppo in fretta» si lamentò Floria del Guiz senza sollevare gli occhi dal braccio fratturato che stava bendando. «Nel mio studio, capo.» Ash scambiò qualche parola con i feriti: due fratture a un piede mentre caricavano una cassa di spade su un cavallo, una bruciatura, un ubriaco che era caduto sulla propria daga ferendosi, quindi li superò e spostò la tenda che separava l'area riservata al chirurgo dal resto del padiglione. La pioggia tamburellava sul tetto della tenda. Ash usò la pietra focaia per accendere il moncone di una candela e le lanterne. Il chirurgo la raggiunse nel momento stesso in cui lei terminava l'operazione e si sedette emettendo una sorta di grugnito. «Vedo che i feriti continuano a venire da te» esordì Ash andando dritta al punto. Floria alzò la testa e una ciocca di capelli le scivolò via dalla fronte. «Ci sono stati diciannove feriti negli ultimi due giorni. Viene da pensare che nessuno di loro abbia mai cercato di picchiarmi!» Il chirurgo giunse le mani facendo combaciare le punte delle dita. «Sai cosa è successo, Ash? Hanno deciso di non pensarci, almeno per il momento. Forse quando saranno feriti non si preoccuperanno molto di chi li sta ricucendo o forse sì.» Floria lanciò un'occhiata severa ad Ash. «Non mi trattano né come un uomo né come una donna. Come un eunu-
co, forse. Un animale castrato.» Ash prese uno sgabello e si sedette. Entrò uno degli assistenti, servì loro del vino e portò a Floria un mantello leggero per proteggersi dall'aria fredda. «Domani ci sarà la battaglia» disse Ash, cauta. «Adesso sono tutti troppo impegnati nei preparativi. La maggior parte dei piantagrane sono andati via con van Mander. Gli altri possono decidere di linciarti o farsi salvare la vita da te quando saranno feriti. Non c'è che dire: abbiamo bisogno di questa battaglia per un mucchio di motivi.» La donna chirurgo sbuffò e prese la coppa di vino. «Ne abbiamo bisogno veramente, Ash? Abbiamo veramente bisogno che questi giovani vengano mutilati o trapassati dalle frecce?» «È la guerra» rispose Ash, impassibile. «Lo so. Potrei sempre lavorare da qualche altra parte. Le città appestate. I lazzaretti. Curare i bambini ebrei che i medici cristiani si rifiutano di toccare.» Le ombre che le lampade proiettavano sul volto di Floria del Guiz le conferivano un'espressione impietosa. «Forse domani varrà la pena di combattere.» «Non è l'ultima battaglia di Artù» disse Ash, cinica. «Non è Camlann. Anche se li battiamo quelli non fanno i bagagli e tornano a casa. Vincere una battaglia non ti fa vincere una guerra. Non importa se domani cancelleremo l'esercito del faris dalla faccia della terra.» «Cosa succede, allora?» «Noi siamo in vantaggio di due a uno. Avrei preferito un vantaggio di tre a uno, ma li batteremo. L'esercito di Carlo è il migliore di tutta la Cristianità.» In quel momento si ricordò che il faris aveva sconfitto gli Svizzeri, ma non disse nulla. «Forse uccideremo il faris, forse no. Comunque se la sconfiggiamo il suo esercito ne risulterà notevolmente decimato e le avremo fatto perdere lo slancio. È come recita il detto: 'Una volta battuti, possono essere sconfitti'.» «E poi?» «E poi ci sono gli altri due eserciti cartaginesi.» Ash sogghignò. «Molto probabilmente rivolgeranno le loro attenzioni a un bersaglio più semplice la Francia forse - oppure si fermeranno per l'inverno o si scontreranno con l'esercito del sultano. L'ultima opzione sarebbe quella ideale. Non sarebbe più un problema della Borgogna o di Oxford e lui potrebbe tornare alle sue
guerre tra goddams.» «E tu ti faresti pagare dal sultano?» «Con chiunque tranne che con quella donna» confermò Ash. «Vuoi parlarle ancora, vero?» azzardò Florian. «Posso cavarmela anche senza i suggerimenti di una macchina in testa. Combatto dall'età di dodici anni» si difese Ash, infastidita dall'acume del chirurgo. «Cosa importa in termini pratici? Cosa può dirmi quella donna che io non sappia già, Florian?» «Come e perché sei nata?» «Cosa importa! Io sono nata nei campi» disse Ash «come un animale. Non sai nulla di cosa significhi. Sono sempre stata tra i carri dei rifornimenti, non li ho mai fatti affondare o depredare dai soldati. L'unico momento in cui si moriva di fame era quando tutti morivano di fame.» «Ma il faris è tua...» Floria fece una pausa interrogativa. «Sorella.» «Forse» rispose Ash in tono ironico. «È pazza, Florian. Sedeva tranquilla e beata e mi diceva che suo padre faceva generare figli maschi per l'accoppiamento e femmine per procreare. Mi diceva che i figli venivano fatti accoppiare con i genitori. Generazioni che hanno vissuto nel peccato dell'incesto. Cristo, vorrei che Godfrey fosse qua.» «È una cosa che succede in ogni villaggio.» «Ma non in maniera tanto...» Ash non riuscì a pronunciare la parola sistematica. «I loro scienziati hanno insegnato alla Cristianità la maggior parte delle tecniche mediche che ho imparato» disse Floria «e Angelotti ha appreso la balistica da un amir.» «E allora?» «E allora la tua machina rei militaris non è un marchingegno demoniaco.» Floria scosse la testa. «Godfrey non ha mai detto che era un peccato, giusto? Sarebbe triste se non potessi più usarla, ma, non preoccuparti, tutti sanno che sei capace di massacrare anche senza l'aiuto di quell'aggeggio.» «Mmm» «È vero che Godfrey ha lasciato la compagnia?» chiese Floria in tono secco. «Non - lo so. Sono giorni che non lo vedo. Da quando abbiamo lasciato Digione.» «Faversham mi ha detto di averlo visto in compagnia dei Visigoti.» «I Visigoti? Con la delegazione?» «Parlava con Sancho Lebrija.» Quando vide che Ash non diceva nulla,
aggiunse: «Non riesco capire come mai Godfrey sia andato con loro. Cosa è successo tra te e lui?» «Se potessi dirtelo, lo farei.» Ash si alzò in piedi e cominciò a camminare su e giù nervosamente. «La milizia cittadina non si è fatta vedere al campo» disse, cambiando deliberatamente argomento. «Mademoiselle Châlon deve aver tenuto la bocca chiusa.» «Certo che l'ha fatto» sbottò Floria. «Se non l'avesse fatto avrebbe dovuto ammettere che ero sua nipote. Non lo farà. Finché rimango lontana da Digione sono abbastanza al sicuro. Basta che non le chieda nulla.» «Continui a pensare di essere Burgunda, vero?» comprese Ash. «Certo.» Ash fissò il chirurgo dritto negli occhi e vide che aveva un'espressione strana, di nessuno di loro si poteva dire che avesse una nazionalità. Sorrise. «Non penso a me stessa come a una Cartaginese. Non dopo tutto questo tempo. Ho sempre pensato di essere uno dei tanti bastardi della Cristianità.» Floria ridacchiò di gusto e versò altro vino. «La guerra non ha nazionalità» decretò. «La guerra è un patrimonio del mondo intero. Avanti, mia piccola amazzone scarlatta. Bevi.» Là donna si alzò barcollando, si mise a fianco di Ash, le appoggiò una mano sulla spalla e con l'altra le porse la coppa. «Non ti ho ancora detto grazie per averli fermati» disse. Ash scrollò leggermente le spalle, appoggiandosi contro Floria. «Beh, grazie lo stesso.» Florian inclinò la testa e posò le labbra su quelle di Ash dandole un bacio rapido e leggero. «Cristo!» Ash scattò allontanandosi da quello che sembrava essere l'abbraccio di una donna. «Cristo!» «Cosa?» Ash si passò il dorso di una mano sulla bocca. «Cristo!» «Cosa?» Ash non si rese neanche conto dell'espressione cinica e tesa che aveva assunto. Aveva l'impressione che davanti ai suoi occhi ci fosse qualcosa di diverso dal chirurgo della compagnia. «Non sono la tua piccola Margaret Schmidt! Cos'era? Pensavi di sedurmi come credeva tuo fratello?» Floria del Guiz si alzò lentamente. Stava per dire qualcosa, ma si fermò e parlò in tono controllato. «Stai dicendo un sacco di stupidaggini, Ash. E lascia fuori mio fratello da quanto è successo!»
«Tutti vogliono qualcosa.» Ash scosse la testa e abbandonò le braccia lungo i fianchi. Sopra la sua testa la pioggia faceva tremare il telo della tenda. Floria del Guiz allungò una mano per toccarla, poi rifletté che forse era meglio trattenersi. «Ah.» Il chirurgo si fissò i piedi per qualche secondo, quindi rialzò la testa e disse: «Non seduco le amiche.» Ash la fissava in silenzio. «Un giorno» aggiunse Floria «ti racconterò di quando a tredici anni sono stata buttata fuori di casa e sono andata a Salerno vestita da uomo, perché avevo sentito che là le donne potevano studiare. Beh, mi sbagliavo. Le cose erano molto cambiate dai giorni di Trotula108 . E ti dirò perché Jeanne Châlon che è solo la mia madre putativa non mi vuole vedere. Sei a pezzi, capo. Avanti!» Floria fece un ghigno furbo. «Su, Ash. Onestamente.» Il tono irriverente del chirurgo fece arrossire Ash che sospirò sollevata e scrollò le spalle per sembrare disinvolta. «Hai ragione, Floria, sono state delle giornate molto dure per tutti. Mi dispiace. Ho detto una cosa molto stupida.» «Mmm - hmm.» Floria arcuò un sopracciglio. «Dai, dimmi.» Ash si girò verso l'entrata della tenda. I fuochi da campo dell'esercito burgundo brillavano nell'oscurità e nel cielo splendeva il disco argenteo della luna. Circa due giorni prima del primo quarto, pensò, stimando automaticamente il rigonfiamento del suo profilo. Sono passate poche settimane. «Cristo, sono successe così tante cose! Adesso siamo a metà agosto, giusto? E la schermaglia di Neuss è avvenuta a metà giugno. Due mesi. Diavolo, sono solo sei settimane che mi sono sposata...» «Sette» precisò Floria alle sue spalle. «Altro vino?» Ash vide la luna che si sfocava. «Capo?» Ash si girò, lanciò un'occhiata alle tavole anatomiche appese nella tenda, al sorriso tranquillo di Floria e tutto divenne improvvisamente chiaro e netto. Uno si sente così solo quando è scosso o sta combattendo, pensò. «Ho avuto le perdite quando ero ferita, Floria?» domandò. 108
Trotula di Salerno fu un medico donna dell'undicesimo secolo che tra i vari trattati medici scrisse il Passionibus mulierum curandorum (Le malattie veneree). Era considerata una delle più alte autorità in campo medico del Medioevo. A Salerno studiarono altre 'mulieres Salernitanae' (donne medico), ma nel quindicesimo secolo tale usanza era finita.
Floria del Guiz scosse la testa e aggrottò la fronte. «No. Ho controllato e non c'era nessuna perdita di sangue. Non era quel genere di ferita.» Ash scosse la testa. «Cristo!» esclamò. «Non quel genere di sangue. Il sangue mensile. Sono due mesi che non lo perdo. Sono incinta.» VI Le due donne si fissarono. «Non hai preso delle precauzioni?» le domandò Floria. «Certo che le ho prese! Credi che sia una stupida? Baldina mi ha dato un amuleto. Un regalo di nozze. L'ho tenuto in un sacchettino al collo le due volte che... ogni volta.» Ash avvertì la fronte che si imperlava di sudore e la ferita che pulsava. Vide Floria del Guiz che la fissava: non sapeva che la donna stava vedendo una ragazza in pantaloni e farsetto, spada al fianco, i guanti infilati nella cintura. Una figura che se non fosse stata per la cascata di capelli e il volto che in quel momento aveva l'espressione di una bambina di dodici anni poteva essere scambiata tranquillamente per un uomo. «Hai usato un amuleto» ripeté Floria in tono piatto e basso per paura che qualcuno stesse origliando. «Non hai usato una spugna, una vescica di maiale o delle erbe. Hai usato un amuleto.» «Ha sempre funzionato!» «Grazie a Cristo io non mi devo preoccupare di questi inconvenienti! Non toccherei un uomo neanche se...» Floria fece tre o quattro passi avanti e indietro con le braccia strette intorno al corpo, quindi si fermò di fronte ad Ash. «Ti senti male?» «Pensavo che fossero i postumi della ferita alla testa.» «Il seno è turgido?» Ash rifletté un attimo. «Credo di sì.» «A quale quarto di luna ti vengono le perdite?» «Negli ultimi anni è sempre stato all'ultimo.» «Quando è successo l'ultima volta?» Ash aggrottò la fronte e tornò a pensare. «Poco prima di Neuss. Il sole era ancora in Gemelli.» «Devo visitarti. Comunque, sei incinta» sentenziò Floria in tono brutale. «Devi darmi qualcosa!» «Cosa?»
Ash allungò una mano alle sue spalle, toccò lo sgabello e si sedette sistemando il fodero in modo che non la intralciasse. Chiuse i pugni sulla pancia, quindi afferrò l'elsa della spada. «Devi darmi qualcosa per sbarazzarmi del bambino.» La donna chirurgo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Il vento faceva ondeggiare il cordame della tenda e la lanterna appesa al piolo. Floria socchiuse gli occhi per osservare il volto di Ash. «Non ci hai pensato.» «L'ho fatto!» rispose Ash, terrorizzata. Strinse spasmodicamente l'elsa e fissò il pomello come per ribadire a se stessa che era ancora lei e che non era cambiato nulla. Cercò di sentire le sensazioni all'interno del suo corpo, di avvertire delle differenze, ma non carpì nulla. Niente che le potesse far capire che un feto stava crescendo in lei. «Posso darti delle erbe e del vino per calmarti» disse Floria. Il tono professionale del chirurgo fece infuriare Ash che scattò in piedi. «Non mi faccio trattare come una puttana di strada qualunque! Non avrò il bambino.» «Eccome se l'avrai.» Floria del Guiz la afferrò per un braccio. «No. Dovrai eliminarlo.» Ash si liberò dalla stretta. «E non dirmi che non esiste un intervento per farlo. Quando crescevo sui carri, se una donna rimaneva incinta e il chirurgo pensava che la gravidanza sarebbe stata fatale per la madre asportava il feto.» «No. Ho fatto un giuramento» ribatté Floria, in tono adirato. «Ricordi la tua condotta? Bene, questa è la mia: 'Mai procurare un aborto'. Per nessuno!» «Vuoi sapere cosa pensa di te la tua confraternita di dottori, adesso che conoscono la tua vera identità? Pensa che non hai il diritto di pronunciare un giuramento!» Ash fece uscire qualche centimetro di lama dal fodero quindi la rinfoderò violentemente. «Non avrò il figlio di quell'uomo!» «Allora sei sicura che sia il suo?» Ash assestò un violento schiaffo sulla guancia del chirurgo. «Sì, lo è!» urlò. Il volto sporco di Floria si contrasse in una smorfia che Ash non riuscì a interpretare. «È un figlio legittimo. Cristo, Ash. Potrebbe essere mio nipote! Non puoi chiedermi di ucciderlo.» «Non si è mosso, non scalcia, non è niente!» Ash la fulminò con un'occhiataccia. «Non mi capisci, vero? Ascolta: non avrò questo bambino. Se non vuoi farmi abortire, troverò qualcuno che lo voglia fare, ma, io non avrò questo bambino.»
«No? Ti ricrederai. Abbi fiducia.» Floria scosse la testa. Del moccio le colò del naso e lei si passò la manica sul volto lasciando una striscia di pelle pulita, dopodiché rise e disse: «Non lo vuoi, vero? Non lo vuoi perché è suo e non puoi tenere le mani lontano da lui?» Ash socchiuse la bocca, ma non disse nulla. Stava cercando una risposta e improvvisamente ebbe la visione di un bambino di circa tre anni con gli occhi verdi e i capelli biondi. Un bambino che correva per il campo, cadeva da cavallo, si tagliava con le armi, si ammalava di febbre e forse moriva di stenti qualche anno dopo: un bambino che avrebbe avuto gli stessi lineamenti di Fernando del Guiz e lo stesso umorismo di Floria. «Sei gelosa» disse fissando il chirurgo dritto negli occhi. «Tu pensi che io voglia un bambino.» «Sì! E non potrai mai averlo.» Pur essendo cosciente che stava per dire qualcosa di imperdonabile Ash si abbandonò lo stesso a un sarcasmo tagliente come un rasoio: «Cosa farai? Metterai incinta Margaret Schmidt? Un nipote o una nipotina è il massimo a cui puoi aspirare.» «È vero.» «Uh.» Ash, che si era aspettata di dover fronteggiare uno scoppio d'ira, rimase confusa dalla reazione di Floria. «Mi dispiace di aver parlato in quel modo, ma ho ragione, vero?» «Gelosa?» Floria la fissò con un'espressione che avrebbe potuto essere sarcastica, sollevata, tradita o tutte e tre le cose insieme. «Gelosa, perché non voglio liberarti di un figlio? Donna, non voglio vederti morire dissanguata o di febbre puerperale, no, Cristo Santo, devi avere quel bambino. Non morirai. Sei forte come un fottuto contadino. Molto probabilmente il giorno dopo il parto sarai nuovamente in sella al cavallo. Capisci che liberarsi di un bambino è pericoloso?» «Un campo di battaglia non è un luogo sicuro!» le fece notare Ash in tono aspro. «Ascolta, non andrò da un dottore in città perché li ritengo solo un branco di bastardi succhia soldi, inoltre non ho neanche il tempo. Non voglio prendere i rimedi che usano sui carri a meno che non sia costretta. Mi fido di te perché mi hai rimessa insieme ogni volta che qualcuno mi staccava un pezzo!» «Santa Maddalena! Sei stupida? Potresti morire?!» «Credi di impressionarmi? È un'eventualità con la quale convivo ogni giorno e domani devo combattere.» Floria del Guiz aprì la bocca e la richiuse. «Non costringermi a ordinartelo» disse Ash, amareggiata.
«Un ordine?» Gli occhi le lacrimavano ancora per lo schiaffo ricevuto poco prima. «E cosa farai se non voglio farti abortire? Mi sbatterai fuori dalla compagnia? Dovrai farlo, comunque» disse Floria senza guardarla in volto. «No, Florian. Cristo!» Il chirurgo le afferrò nuovamente un braccio. «Non sono 'Florian'. Mi chiamo 'Floria'. Sono una donna e amo le donne!» «Lo so» rispose Ash, infastidita. «Senti, io...» «Tu non sai niente!» Floria mollò la presa, abbassò la testa per qualche attimo, quindi la rialzò. «Non ne hai la minima idea e non dirmi che non è vero. Cosa dovrei fare quando la gente perde il senno perché sono andata a letto con una donna? Cosa? Non posso combatterli. Non potrei fare loro del male neanche se lo volessi! Devo fingere di essere qualcosa che non sono. Cosa dovrei fare se qualcuno decidesse di bruciarmi perché amo le donne e pratico la medicina?» Ash non seppe rispondere. Floria del Guiz alzò le mani in modo che i palmi fossero illuminati dalle lanterne. Ash osservò le cicatrici sulle dita del chirurgo. Conosceva bene quei segni. «Sono bruciature» spiegò Floria. «Sono vecchie. Me le feci nel tentativo di prendere - di prendere qualcosa da un fuoco, quando era troppo tardi. Visto che non potevo averla viva con me, volevo un suo ricordo.» Floria si passò le mani sul volto inumidendo i capelli con le lacrime e il sudore. «Un uomo ti ha pisciato addosso e tu pensi di sapere tutto? Taci. Te lo ripeto: non sai niente! Non ti sei mai sentita indifesa nella tua vita!» Le parole echeggiarono nell'aria. Ash udì le guardie fuori della tenda che si agitavano e uscì per tranquillizzarle. «Così adesso avrai un bambino» continuò Floria, brusca. «Benvenuta nel mondo delle donne!» «Floria!» protestò Ash. «Forse» la interruppe il chirurgo «non avresti dovuto essere tanto ansiosa di scoparti mio fratello!» Ash non riusciva a guardarla in faccia. Aveva l'impressione di essere stata presa a calci nello stomaco e non riusciva a pensare in maniera lucida. Non sapeva cosa rispondere. «Ho sempre fatto di tutto per te, ma questo, no!» Floria alzò la voce. «E non stare lì seduta senza dire niente! Parla!»
Ash la fissava in silenzio, cercò di dire qualcosa, quindi abbassò la testa per fissare la segatura gettata a terra. Non poteva reggere lo sguardo adirato della donna. Dovrei dirlo a Fernando, pensò. Ma se è un figlio me lo porterà via. Comunque, non posso averlo. Più di una donna è scesa in battaglia incinta. Già, e più di una donna ha preso la febbre puerperale dopo il parto ed è morta senza che il chirurgo potesse fare qualcosa. No, no avrò il bambino perché è di Fernando, decise. «Ash!» ringhiò Floria. Ash la ignorò. Molto cautamente cominciò a prendere in considerazione l'idea di portare a termine la gravidanza. Non è poi un periodo così lungo, pensò. Mesi. Però siamo in un brutto momento. Almeno se non fossimo in guerra... beh ci sono state altre donne che hanno combattuto nelle mie condizioni. Mi seguiranno comunque. Farò in modo che lo facciano. L'intensità della paura che provava all'idea che il suo corpo cambiasse senza che lei potesse controllare la situazione e l'enormità di quella realtà la lasciarono stupita. Ma una volta nato? continuò a pensare. Ash provò a immaginarsi un bambino o una bambina anche se sapeva che stava sognando a occhi aperti. Almeno avrò un consanguineo. Qualcuno che mi somiglia. Un brivido gelato le fece rizzare i capelli sulla nuca. C'è già qualcuno che ti somiglia, si disse. Siamo uguali. E chi lo sa cosa metterò al mondo? Uno scemo del villaggio deforme? Cristo e tutti i santi, no! Non voglio dare alla luce un mostro. Sono passati poco più di quaranta giorni... Devo sbarazzarmene adesso prima che cominci a muoversi. Prima che abbia un'anima. La voce di Floria interruppe i suoi pensieri. «Sono fuori. Cosa devo fare? Aspettarti in eterno? Rimanere qua seduta finché quegli stronzi la fuori non avranno deciso se un dottore donna che ama le donne va bene per loro? Tieniti la tua dannata compagnia.» Floria si avviò verso l'uscita della tenda. «Per quanto riguarda il bambino, quello è un problema tuo, Ash. Risolvilo da sola. Non hai bisogno di me. Ash non ha bisogno di nessuno! Io
sarò con i chirurghi del duca dove potrò mettere in pratica i miei studi.» Ash raggiunse il campo di battaglia insieme agli altri comandanti poco prima dell'alba, quando c'era già abbastanza luce per camminare senza correre il rischio di inciampare. L'aria le carezzava il volto e la condensa che si era formata sulla ventaglia dell'elmo odorava di ruggine e armeria. Gli stivali scivolavano sulle foglie bagnate e rischiò di cadere addosso al conte di Oxford che si trovava in fondo al gruppo di ufficiali del duca. Si erano riuniti sulla strada che da Digione portava ad Auxonne. «I Visigoti sono sempre in posizione? Qual è il piano del duca?» chiese Ash, tranquilla. «Sì, sono ancora in posizione. Il duca li ingaggerà fuori Auxonne» riassunse velocemente Oxford. «Gli esploratori» aggiunse «hanno visto i loro fuochi da campo a circa due chilometri da qua lungo la strada principale. Noi, signora, saremo sull'ala sinistra dello schieramento insieme agli altri mercenari.» «Non si fida, vero? Altrimenti ci avrebbe posizionati sulla destra, dove i combattimenti sono più violenti109 .» Ash aggiustò una delle fibbie dell'armatura: anche se aveva fatto praticare un buco in più le protezioni delle gambe continuavano a essere scomode. «Potremo provare almeno a incunearci nelle linee avversarie per uccidere il faris?» «Il duca dice di no: ci saranno sicuramente dei sosia da battaglia sul campo110 .» I contorni delle spalle degli ufficiali si muovevano nell'oscurità. Alla loro sinistra la strada curvava bruscamente a est allontanandosi dal pendio che bloccava la valle del fiume a sud. Gli uomini uscivano dalla strada e si addentravano nei pascoli sulla collina di fronte a loro. Il cielo cominciava a rischiararsi. Ash si rese conto che c'erano anche i fratelli de Vere, si guardò alle spalle e vide Anselm e Angelotti. «Va bene» insistette Ash, mentre seguiva Oxford «forse dovremmo stanarla più volte! Fatemi organizzare una squadra, mio signore. Scendiamo lungo il fianco della battaglia con un centinaio di uomini. Entriamo e usciamo in un batter d'occhio ed è fatta.» 109
Visto che la maggior parte dei soldati erano destri, le battaglie corpo a corpo tendevano a ruotare in senso anti orario. 110 Persone che indossavano la stessa armatura e le stesse insegne del comandante.
«Il duca ha chiesto che io porti la vostra compagnia sul campo sotto il suo stendardo» le ricordò Oxford. «Faremo come ci è stato ordinato e speriamo che per stasera non sia più necessario organizzare un'incursione a Cartagine.» Il terreno cominciava a salire. La rugiada le macchiava gli stivali e la punta del fodero. La pioggia era cessata. L'aria era limpida e fredda. «Mio signore, le mie fonti...» i contatti di Godfrey ora facevano rapporto direttamente a lei «... mi hanno detto che i Visigoti continuano a ricevere rifornimenti nonostante l'oscurità. Dovremmo cogliere l'occasione» suggerì Ash. «Alcuni dei carri sono trainati dai golem. Forse sono alla disperazione!» «Sappiamo che le loro linee sono troppo estese» rispose de Vere, torvo. Ash raggiunse la cima dell'altura e scrutò l'oscurità. Un gruppo di colline si protendeva nella valle del fiume. Essi si trovavano su un poggio a ovest. Alla loro destra c'era un bosco molto antico e fitto. Gli esploratori avevano detto che era impraticabile. Il tappeto di foglie morte era talmente insidioso che i soldati avrebbero potuto avanzare solo per qualche metro. Questo dovrebbe portarci a nord rispetto al loro campo, pensò Ash. Mi chiedo se gli araldi sono già scesi. Beh, almeno siamo riusciti a trovarci tutti...! Abbiamo corso il rischio di cavalcare in questa desolazione per giorni. La tentazione di chiedere alla voce nella sua mente l'esatta ubicazione del comandante nemico era quasi irresistibile. Cosa mi risponderebbe la machina rei militaris? si chiese. Mi mentirebbe? Sarebbe in grado di riconoscermi? Non serve a nulla chiederselo. Comportati come se sapessi tutto. È la cosa più sicura da fare. Ash scese lungo il pendio dietro i comandanti del duca di Borgogna, consapevole del fatto che il nobile si era recato su quella collina per capire se era adatta ai fanti e agli artiglieri. Ash non era impressionata più di tanto. Gli ufficiali parlavano tra di loro rapidamente. Raggiunse le pendici dell'altura con le caviglie doloranti. Notò immediatamente che il terreno era fangoso e che un muro di canne e cespugli le impediva di osservare l'alba. Che sia una palude? si chiese. Su questo lato del fiume? La luce grigiastra che precedeva l'alba non accennava ad aumentare d'intensità.
Il profilo nero di una foresta si stagliava contro l'orizzonte. Il suono di una campana, forse quella dell'abbazia di Auxonne, echeggiò nell'aria. E se anche il nemico sta esplorando il territorio e ci incontriamo? si domandò Ash. Gli ufficiali del duca si spostarono. Cola di Monforte disse qualcosa in tono tranquillo ma lei riuscì solo a udire le parole 'strozzatura perfetta'. Tornarono indietro in direzione est e si ritrovarono sulla strada che costeggiava il fiume. La terra battuta rese i movimenti più facili. Ash lanciò un'occhiata al ripido pendio a est che incombeva sulla strada per Digione. Se ci piazziamo lassù saremo sempre sulla sinistra dello schieramento, valutò mentalmente Ash. È un punto perfetto. Se dovessero cercare di superare la strada, noi piombiamo loro addosso alle spalle. Se cercassero di affiancarci e salire su per la collina... Non so come se la caverà l'esercito burgundo, ma noi faremo la nostra bella figura. A meno che non si stiano preparando al combattimento e ci arrivino addosso da quel pendio a sud... «Signori» disse il duca Carlo di Borgogna. «Torniamo al campo. Adesso è tutto chiaro. Combatteremo al sorgere del sole. Sidonio ci aiuterà!» Una decisione, evviva, esultò Ash tra sé e sé. «Ragazzi» disse. «Capo?» Robert Anselm, Antonio Angelotti e Geraint ab Morgan comparvero immediatamente al suo fianco. Il conte di Oxford impartì degli ordini rapidi e concisi. Dickon, George e Tom de Vere si affrettarono a raggiungere le loro posizioni. John de Vere disse qualcosa al visconte Beaumont che rise di gusto. Il gruppo era pervaso da una sorta di elettricità: tutti sapevano che quel giorno sarebbero morti oppure sarebbero sopravvissuti alla battaglia guadagnando onore, denaro e la vita. «Dio mi perdoni se ti ho mai offeso» disse Ash in tono formale e allungò le braccia per abbracciare Robert Anselm. L'Inglese la strinse a sé quindi arretrò di qualche passo fino al limitare della strada. «Io ti perdono, così come spero di essere perdonato, nel nome di Dio. Stiamo per andare, vero?» domandò Robert Anselm. Ash strinse l'avambraccio di Angelotti e diede una pacca sulla spalla a Geraint. «Andiamo» disse con gli occhi lucidi. «Questo è il lavoro per il quale il Leone Azzurro è pagato. Buttarsi nella mischia.» Terminò la sua ispezione personale e, anche se non era molto sicuro
camminare a quella velocità con così poca luce, si avviò verso il campo con passo deciso. Raggiunse il conte di Oxford e indicò il duca di Borgogna. «Mio conte, se lui non vuole che prendiamo il faris..., vorrei consultarmi con voi riguardo il piano di battaglia. Ho un'idea.» «Le tre parole più terribili di una lingua. Una donna che dice: 'Ho un'idea'» commentò ironico George de Vere che si trovava alle spalle di Ash. «Oh, no» lo smentì Ash rivolgendogli un sorriso dolce. «Ci sono due parole che sono ancor più spaventose. Il capo che dice: 'mi annoio'. Chiedetelo a Flo... al mio chirurgo.» John de Vere sembrò sogghignare. «Abbiamo la superiorità numerica» spiegò Ash. «Non penso che i Turchi si schiereranno dalla nostra parte. Sono qua in veste di osservatori. Noi abbiamo i cannoni. Dovremmo vincere, ma i Visigoti hanno battuto gli Svizzeri e nessuno è sopravvissuto per dirci cosa è successo. Solo delle voci: 'Diavoli sbucati fuori dai sulfurei pozzi dell'inferno...'» «E?» la pungolò il conte di Oxford. «Guardate il cielo, mio signore» lo invitò Ash. «Oggi ci sarà poco sole. Combatteremo all'ombra dell'oscurità che si trascinano dietro. Farà freddo. Sarà come combattere in inverno.» Ash strinse il pugno e piantò le unghie nel palmo della mano senza farsi vedere. «Dovremmo parlare con i nostri preti.» Ash indicò la Croce di Rovi che pendeva dal collo del conte. «Ho un'idea. È tempo che Dio operi un miracolo per noi, Vostra Grazia.» Due ore dopo Ash era a fianco di Godluc. Bertrand teneva le redini del cavallo e Rickard le portava l'elmo e la lancia. Si era fatta prestare le protezioni per le gambe da un uomo al seguito di de Vere, ma non le andavano bene. Metà del cielo sopra le loro teste era nero. A est, dove il sole sarebbe dovuto sorgere per illuminare il grande esercito, regnava l'oscurità. Alle loro spalle una strana luminosità aveva indotto uno dei galli sui carri a salutare l'alba con il suo richiamo. Ash guardò a sud, ma non scorse i fuochi del campo nemico. Alle sue spalle il cielo che non era stato ancora coperto dall'oscurità che seguiva i Visigoti cominciava ad annuvolarsi. Ora sia il Sud che l'Est erano
al buio. Nuvole gialle e grosse come castelli continuavano ad ammassarsi nel firmamento. Cristo! pensò Ash. Cinquecento uomini organizzati nel punto in cui devono stare. «Sono troppo stanca per combattere» borbottò. Rickard sorrideva, mesto. Godluc sbuffava, Ash alzò gli occhi al cielo, quindi si concentrò sull'esercito burgundo. La cosa che si vede di più in una battaglia sono le gambe, pensò, in uno di quei momenti di pigrizia dovuti alla stanchezza. Quando non era a cavallo, Ash aveva l'impressione che il campo di battaglia fosse solo una distesa infinita di gambe. Centinaia di zampe di cavalli, alcune delle quali coperte dai paramenti che pendevano immoti dai fianchi delle bestie nell'aria fredda e umida del mattino. Erano quasi tutti roani o bai bianchi e neri che si schieravano sulla cresta della collina guidati dai loro cavalieri. C'erano anche le gambe dei fanti snellite dalle corazze. Anche gli arcieri avevano delle ginocchiere di metallo. Centinaia di gambe: piedi e zampe che rivoltavano il terreno di quello che doveva essere stato il campo di grano di qualche signore locale e che ora si era trasformato in una distesa di fango e sterco di cavallo. I minuti passavano e con essi l'ora terza del mattino. Una folata di vento gelido le lambì il volto. Il suono acuto delle trombe echeggiò nell'aria. Ash lanciò una rapida occhiata a Angelotti, Anselm e Geraint ab Morgan circondati dai rispettivi sergenti e comandanti di batteria ai quali stavano impartendo le ultime istruzioni. Il tono di voce degli ufficiali era concitato. «In sella» borbottò. Prese l'elmo dalle mani di Rickard e lo infilò con cautela in testa. Lasciò che le cinghie penzolassero libere nell'aria, quindi infilò un piede nella staffa e montò a cavallo. Dall'alto la prospettiva del campo di battaglia cambiava. Il mare di gambe si era trasformato in una distesa di elmi e stendardi. La cavalleria, una massa di spalle protette dalle corazze, le bloccava la visuale. I cavalieri erano radunati in piccoli gruppetti che comunicavano tra di loro urlando. Sugli elmi di fattura italiana o tedesca spiccavano le piume e i simboli delle casate di appartenenza: colori tenui ripresi sulle bandiere e gli stendardi. Robert Anselm batté le mani e le sfregò con energia. «Cavoli se fa freddo!» «È tutto chiaro?» «Certo.» Anselm la fissò da sotto l'elmo. «Tutti i ventimila uomini a no-
stra disposizione sanno cosa fare per...» «Perfetto» lo interruppe Ash. «Non pensarci. Nessun piano ha retto più di dieci minuti dall'inizio della battaglia... ci sposteremo sul lato.» Ash vide l'esercito burgundo, ventimila uomini, che si posizionava sulla collina. «Credo che quello che campeggia sull'ala destra sia lo stendardo di Olivier de la Marche» disse Ash, rivolgendosi a Rickard. Il ragazzo annuì tremante. «I mercenari sono sulla sinistra, e lo stendardo di Carlo è là, in mezzo alla cavalleria pesante, nel centro dello schieramento. Dovresti studiare araldica. Potremmo fare molte cose con un buon messaggero.» Il ragazzo arcuò le sopracciglia castane. «Quanti di loro sanno combattere veramente, capo?» «Hmm. Sì. Questa è una buona domanda. Non mi sembra il momento adatto per imparare a chi appartiene il Corvo o il Leone Acquattato...» Ash sentì un gorgoglio all'altezza dello stomaco. «Circa due terzi, direi. Il resto sono contadini e componenti della milizia cittadina.» Fece spostare Godluc di qualche passo perché non riusciva più a vedere Angelotti, che, in base agli ordini del duca, si era spostato nel centro dello schieramento con gli altri artiglieri dove erano state posizionate le serpentine111 . «È dissenteria» concluse decisa Ash. «Ecco perché continuo ad avere voglia di cagare. È dissenteria.» «Proprio così, capo. Ce n'è parecchia stamattina» disse Geraint ab Morgan, che si trovava poco distante da lei. Ash fece un cenno ai suoi ufficiali e tutti si incamminarono lentamente su per il pendio. Robert Anselm portò lo stendardo personale del condottiero a fianco di quello del Leone Azzurro, nel centro dello schieramento forte di cinquecento uomini. Il pomello della spada batteva contro le piastre della corazza. Un sottile strato di umidità cominciò a imperlarle il volto e le mani scoperte. Dov'è il nemico? si chiese. Ah. Eccolo. Ai piedi del pendio, in apparenza molto facile da risalire, delle ombre nere si muovevano nell'oscurità. Ogni tanto era possibile vedere il luccichio del puntale di un'asta di bandiera o udire il nitrito di una cavalla che avvertiva l'odore dei cavalli da guerra dei Franchi. «Quanti?» borbottò Robert Anselm. «Non saprei... Troppi» disse Ash. 111
Piccoli cannoni da campo.
«Sono sempre 'troppi'» puntualizzò l'ufficiale. «Due contadini con un bastone sono già 'troppi'!» Il diacono sbucò di corsa dalla massa di soldati. Ash cercò immediatamente la figura di Godfrey a fianco di Richard Faversham. Anche se erano passati ormai dei giorni non si rassegnava all'idea che il prete fosse andato via. «Cosa ha detto il vescovo?» chiese Ash. «Ha acconsentito!» rispose il diacono. Il suo tono di voce era talmente basso che Ash dovette sporgersi dalla sella, movimento non facile con indosso una brigantina. «Quanti preti abbiamo a disposizione?» «Quattrocento al seguito dell'esercito. La compagnia ne ha due. Io e il giovane Digorie qua presente.» Continua a non menzionare Godfrey, pensò Ash. Forse tutti e due sappiamo che lui ha lasciato la compagnia. Senza dire niente? Possibile? Ash calò il pugno sul pomello della sella, fissò la pelle bianca delle mani e le tese verso Rickard. Il paggio si alzò in punta di piedi e cominciò a infilarle i guanti, mentre lei continuava a fissare Richard Faversham e il ragazzo magro che le era stato presentato con il nome di Digorie. «Sei stato ordinato?» gli chiese Ash. Digorie allungò una mano ossuta e le strinse con vigore la mano non ancora avvolta nel guanto. «Digorie Paston 112 , signora» disse in inglese «sono stato ordinato a Digione dal vescovo del duca Carlo. Non deluderò né voi né Dio, signora.» Ash arcuò le sopracciglia e si trattenne dal commentare. «Digorie, Richard, voi dovrete vincere questa battaglia per noi» disse Ash. «Bene, andate a unirvi agli altri trecentonovantotto...» Premette leggermente i talloni sui fianchi del cavallo e Godluc rispose immediatamente al comando portandola in un punto della collina dove poteva osservare lo schieramento nemico. «Merda» commentò appena si rese conto della situazione. «Proprio quello di cui avevamo bisogno.» Nonostante la luce fosse scarsa, Ash vide migliaia di fanti e cavalieri posizionarsi a est sulla strada che da Digione portava ad Auxonne. Ogni unità si stava raggruppando intorno al proprio stendardo. Socchiuse gli occhi per proteggerli dal vento umido e tracciò uno schema mentale dello schieramento nemico. Hanno ancorato l'ala destra alla palude a nord, pensò, per 112
Non c'è alcuna relazione.
poi occupare l'avvallamento a sud con quattro compagnie di fanteria e... E. «Ottimo» disse «siamo fottuti. Questa volta siamo veramente fottuti.» Robert Anselm la raggiunse e diede un'occhiata giù dalla collina. «Figli di puttana.» Arretrò di qualche passo. Ash rimase ferma ancora per qualche istante per essere sicura di quello che stava vedendo. Non c'era possibilità di sbagliarsi. Sull'ala destra dello schieramento visigoto c'erano un migliaio di uomini tra arcieri e cavalleria leggera. Sui loro elmi spiccava un pennacchio bianco. Il vento srotolò una bandiera sulla quale spiccava la mezza luna rossa. «Sono truppe turche» confermò Ash. «Bel modo di tagliare i rifornimenti ai Visigoti...» borbottò Robert Anselm. «Già, non solo non tagliano loro i rifornimenti, ma schierano un contingente in prima linea. Fanculo!» esclamò Ash. «Devono aver firmato un trattato, un alleanza, qualcosa di simile. Comunque il sultano e il califfo adesso se la spassano nello stesso letto.» «Ne dubito fortemente» disse John De Vere, mentre li raggiungeva. «Voi lo sapevate, mio signore?» Il volto di de Vere era pallido dall'ira. «Perché le spie del duca Carlo dovrebbero riferire certi fatti a un semplice duca inglese? Le sue spie sono troppo in gamba, è ovvio che lo sapeva. Deve pensare che possiamo batterli» concluse bruscamente il nobile. «Denti di Dio, quell'uomo pensa di poter sconfiggere i Turchi e i Visigoti contemporaneamente! Più grande è il nemico più grande è la gloria.» «Siamo morti» cantilenò Ash a bassa voce. «Siamo morti... va bene, mio signore. Se volete un mio consiglio: atteniamoci al piano. Lasciamo che i preti preghino.» «Se avessi voluto un consiglio, signora, ve lo avrei chiesto.» Ash sogghignò. «Beh, questo non lo dovete pagare. Non è una cosa che faccio tutti i giorni. Sapete bene che sono un mercenario.» John de Vere rise a tal punto che gli vennero le rughe intorno agli occhi. Fu una risata breve. Intanto, sfruttando il favore del crepuscolo, le battaglie113 visigote e turche si stavano posizionando nel punto indicato dalle 113
Nel gergo militare del Medioevo una 'battaglia', oltre a essere un combattimento, era anche un'unità di uomini. Gli eserciti medievali erano solitamente divisi in tre battaglie, ovvero tre grosse unità di uomini pronte
spie burgunde. «I vostri uomini vi seguiranno lo stesso?» chiese il conte. «Sono molto più spaventati da me che dai Visigoti. Sanno che possono sfuggire da loro, ma non da me.» «Dipende molto da questo, signora.» Ash provò una forte sensazione di rilassamento. Strinse una delle cinghie che chiudevano la protezione della pancia e pensò con nostalgia alla sua armatura completa. Posò la mano sull'elsa della spada e controllò la catenella che assicurava il fodero alla cintura. «Mi sono sbarazzata dei piantagrane» disse Ash, guardandolo dritto negli occhi. «La maggior parte di questi uomini ha combattuto con me nel corso degli ultimi tre anni. A loro non fotte niente del duca Carlo e chiedo scusa, neanche del conte di Oxford. A loro importa dei compagni di lancia e di me perché li ho tirati fuori interi da campi di battaglia peggiori di questo. Quindi la risposta è: sì. Tutto il resto non importa.» Il nobile inglese la fissò incuriosito. Ash distolse lo sguardo e continuò: «Va bene, stiamo per affrontare quelli che hanno battuto gli Svizzeri: il morale non è dei più alti. Chiedete a Cola di Monforte!» Il suono di una chiarina echeggiò nell'aria. Il brusio tra gli uomini cessò per qualche istante per lasciare il posto allo scricchiolio delle bardature, agli sbuffi dei cavalli, alle grida lontane dei sergenti degli arcieri e alle canzoni scurrili che si levavano dalle batterie d'artiglieria. Ash si drizzò sulla sella puntellandosi sulle staffe. «Comunque» commentò «non è tutto così disperato, visto che ho ottenuto un contratto con voi.» Il conte di Oxford vide i suoi fratelli che si avvicinavano gli ufficiali della compagnia che andavano da Ash. Tutti avevano bisogno di ordini e istruzioni e il tempo sembrò volare via. John de Vere le offrì la mano e Ash gliela strinse. «Dopo, se saremo ancora vivi, vorrei farvi alcune domande, signora.» «È un bene che non abbiano artiglieria» borbottò Ash, rivolgendosi a Robert Anselm. «Altrimenti ci farebbero fare la fine che Richard Gloucester ha fatto fare ai tuoi Lancaster a Tewkesbury. Non mi va di essere spazzata via dalla collina a cannonate.» Anselm approvò con un cenno del capo. «Il duca si è posizionato bene.» «Quel sodomita!» disse Ash. «Perché devo combattere una stupida batal combattimento.
taglia senza speranza prima di poter fare qualcosa di utile? Non sono quelli il nostro obbiettivo e il loro cazzo di Golem. È quell'affare che spiega loro come vincere. Questa è solo un'inutile perdita di tempo.» «Specialmente se ci uccideranno» borbottò Anselm. I due rimasero in sella a osservare la cavalleria leggera visigota che terminava di posizionarsi all'interno dello schieramento. La bandiera del faris si trovava nel centro. I suoi esploratori le avevano detto che il simbolo della sua gemella era una testa di ottone in campo nero. Ash posò con noncuranza una mano sulla pancia. Improvvisamente sentì la mancanza di un commento caustico di Florian sulla stupidità della guerra e sull'inutilità di finire a pezzi per chissà quale motivo. «Florian direbbe che io devo combattere con più violenza perché sono una donna» disse Ash, mentre osservava i suoi ufficiali che tornavano dai loro uomini. «Penso che volesse dire che un comandante maschio è preso prigioniero, mentre una donna viene stuprata in gruppo.» Anselm sbuffò. «Davvero? Ricordi che sono stato io a trovare Ricardo Valzacchi dopo Molinella, vero? Era legato su un carro con l'asta di un'alabarda nel culo. Io credo che lui - lei abbia confuso la guerra con qualcos'altro...» Ash non riuscì a scorgere bene l'espressione di Anselm. Il suo luogotenente aveva il volto parzialmente nascosto dalla celata e dalla gorgiera dell'elmo e la luce era calata improvvisamente. La nuvola nera responsabile di quel fenomeno privò di brillantezza i colori degli stendardi e smorzò il luccichio sulle punte e sui ganci dei ronconi. Gli arcieri e i balestrieri cominciarono a imprecare a bassa voce. Una folata di pioggia gelida mista a neve portata dal vento raggiunse Ash in pieno volto. Schioccò leggermente le redini e Godluc cominciò a muoversi a fianco dello schieramento. «Le corde si stanno inumidendo, capo!» le urlò Ludmilla Rostovnaya. «Toglietele e mettetele sotto l'elmo» ordinò Ash. «Verrà anche il vostro momento, ragazzi. Sarà una brutta battaglia.» Il suono della campana di Auxonne echeggiò nuovamente tra le colline. Un coro di voci si levò da dietro lo schieramento burgundo. Ash alzò la testa. Uno sbuffo d'incenso le fece dilatare le narici. Un po' più in alto rispetto al punto in cui si era posizionata la compagnia del Leone Azzurro, Richard Faversham e Digorie Paston si inginocchiarono nel fango strin-
gendo il crocifisso tra le mani. Il giovane Bertrand era con loro e teneva una grossa e puzzolente candela di sego. Gli uomini intorno ad Ash cominciarono a intonare il Miserere. Lei colse un lampo nero e bianco con la coda dell'occhio. Era una gazza ladra che planava sul campo di battaglia. Si fece il segno della croce e sputò. Un batuffolo blu grosso come il suo pugno schizzò tra l'erba umida passando sotto il naso di Godluc che dilatò le narici. Ash osservò il martin pescatore che volava via. Premette i fianchi del cavallo e si avvicinò a Rickard che le passò la lancia e l'ascia. Nel momento stesso in cui stava per chiudere la gorgiera per poi abbassare la ventaglia vide un fiocco di neve posarsi sulla bardatura blu del cavallo. Alzò gli occhi e vide che il cielo era costellato di puntini bianchi Un attimo dopo una cascata biancastra si riversò dalle nuvole. La corazza di Ash e la bardatura del cavallo vennero ricoperte in breve tempo da uno strato di neve. La visibilità calò bruscamente e Ash riuscì a scorgere solo Anselm, Rickard, Ludmilla e Geraint ab Morgan perché le erano vicini. «Trattienili!» ordinò bruscamente al Gallese. Il vento continuava a soffiare deciso e il fango sotto gli zoccoli di Godluc era passato da marrone a bianco nel volgere di pochissimi secondi. Cavalcò per qualche metro per contattare i suoi ufficiali, quindi si fermò poco lontano dal punto in cui, a giudicare dall'intensità delle preghiere in latino, si trovava Richard Faversham. Infilò l'asta della lancia nell'apposito alloggiamento della sella, si tolse l'elmo e si fermò ad ascoltare. Gli ordini degli ufficiali burgundi echeggiarono alla sua destra. Ci fu la pausa di un secondo poi udì lo schiocco inconfondibile degli archi seguito dal sibilo delle frecce che fendevano l'aria. Una sola salva e non si sentirono più ordini. Un silenzio inumano calò sulle linee. «Merda, questi sono bravi» sussurrò Ash. In un punto imprecisato di fronte a lei sentì un Visigoto che urlava. Digorie Paston strinse il diacono al suo fianco continuando a pregare con il volto stravolto. Ash girò la testa. Il vento le frustò le spalle togliendole il respiro. Si passò un guanto sul volto e si sporse dalla sella. «Ludmilla! Va' avanti!» ordinò. La Russa ubbidì. Ash inclinò la testa di lato per ascoltare meglio. Il sibilo rabbioso delle frecce pervase l'aria un attimo dopo e lei si pisciò addos-
so. Quel suono scuoteva i nervi, ma il peggio veniva quando cessava. Ash rimise l'elmo. Intorno a lei gli uomini abbassavano le visiere e si chinavano in avanti per presentare la parte rinforzata degli elmi alle punte delle frecce. «Merda, merda, merda» imprecò Geraint ab Morgan. Il fatto che il sibilo delle frecce fosse cessato significava che avevano colpito qualcosa. Ash si spinse avanti, ma non sentì nessuno che urlava o cadeva. Una figura ricoperta di neve le si avvicinò alla staffa. «Hanno colpito il terreno!» urlò Ludmilla Rostovnaya. «A circa dieci metri da noi!» «Va bene!» Ash si guardò alle spalle e sputò la neve che le era entrata in bocca. «Rickard!» Il ragazzo, che nel frattempo aveva indossato l'elmo e assicurato una spada al fianco, la raggiunse di corsa. «Capo?» «Raduna i portaordini! Non riesco a vedere la bandiera del Cinghiale Blu 114 . Dovremo affidarci ai portaordini. Vai!» «Sì, capo!» «Ludmilla, corri dal conte di Oxford e digli che sta funzionando! Voglio sapere se lo stesso vale per il resto del campo.» La donna alzò una mano e cominciò a correre giù dal pendio reso scivoloso dal fango e dalla neve. Ash rabbrividì. Il freddo cominciava a farsi strada sotto l'armatura malgrado avesse indossato pantaloni e farsetto imbottiti. Si girò e cominciò a cavalcare lungo lo schieramento del Leone Azzurro. Affidò il comando della fanteria ad Anselm, gli arcieri toccarono a Geraint e la cavalleria a Euen Huw. Un sibilo echeggiò nell'aria. Ash si accorse del fremito che pervadeva Godluc e usò le redini per tenerlo fermo. Aveva lo stomaco in subbuglio, tuttavia riprese a fiancheggiare molto lentamente avanti e indietro il suo schieramento. Una freccia cadde a pochi centimetri da lei. Lo schiocco delle corde degli archi tagliava l'aria. Gli impennaggi delle frecce fischiavano. Il suono crebbe d'intensità al punto che Ash cominciò a pensare che in quel momento si stava dando fondo a tutte le riserve di frecce della Cristianità. Salva dopo salva i dardi lanciati dagli archi ricurvi dei Visigoti volarono nell'aria. Salva dopo salva le frecce delle truppe imperiali si abbatterono sul nemico. 114
Il simbolo personale del conte di Oxford.
Il vento alle spalle dello schieramento burgundo soffiava così forte da far cadere la neve quasi in orizzontale. «Continuate a pregare!» gridò Ash, rivolgendosi a Digorie e Richard. L'avanguardia dello schieramento di Carlo cominciò a muoversi. «Adesso...» disse Ash. Non sarà un gran miracolo, viste le condizione del tempo e l'assenza del sole, ma è pur sempre un miracolo, pensò. La neve e il vento. Il muro bianco di fronte a lei era così spesso che sembrava bloccare l'aria e le fece perdere il senso della profondità e della distanza. Il calore del cavallo le dava conforto e cominciò a vagare per le linee scambiando qualche parola con un uomo che aveva il cognato nel contingente di Cola di Monforte, con una donna arciere che aveva bevuto con le prostitute al seguito di un gruppo di cavalieri tedeschi profughi. Non voleva informazioni. Quelle chiacchiere servivano a far sapere ai suoi uomini che lei era in mezzo a loro. «Noi siamo qua per questo» ripeté un'infinità di volta. «Lasciamoli tirare. Sprecano frecce e basta. Ancora qualche minuto e gli faremo la più grande sorpresa della loro vita. L'ultima!» La nevicata cominciò a diminuire d'intensità. Digorie Paston e Richard Faversham si sorreggevano a vicenda continuando a rimanere inginocchiati nel fango. Bertrand, bianco in volto dalla paura, versava nelle loro bocche dei sorsi di vino. Cristo, pensò Ash, dove sei Godfrey? Abbiamo bisogno di te! Digorie Paston crollò a faccia in avanti nella neve. «Preparatevi a tirare!» urlò Ash all'indirizzo di Geraint ab Morgan. La nevicata diminuì ancora d'intensità e il cielo cominciò a rischiararsi. Il vento calò. Ash girò Godluc, lo spronò lungo il pendio seguita immediatamente dalla scorta, dai paggi e dagli scudieri, si fermò a fianco dello schieramento d'arcieri ed estrasse la spada tenendola ben alta sopra la testa. Durante la cavalcata aveva osservato lo schieramento burgundo in cerca dello stendardo con il Cinghiale Blu. Richard Faversham svenne. La nevicata cessò bruscamente e l'aria divenne limpida. Ash scorse lo stendardo del conte di Oxford. Non attese il ritorno dei portaordini. A ovest la luce aumentava d'intensità e la neve si stava riducendo a una polvere molto fine. Abbassò la spada. «Incordare e tendere gli archi.»
«Incoccare! Scoccare!» gli ordini di Geraint ab Morgan risuonarono lungo il pendio. Ash udì altri ordini che venivano passati tra le loro linee. Gli arcieri e i balestrieri del Leone Azzurro incoccarono nuovamente i dardi e Geraint ordinò loro di lanciare la seconda salva. Quasi duemila frecce oscurarono il cielo, un migliaio delle quali dovevano essere sicuramente partite dagli archi degli uomini di Filippo di Poitiers e Ferry de Cuisance. Gli stessi arcieri della Piccardia e dell'Hainault, rifletté Ash, notando l'ironia della sorte, che hanno cercato di colpirci fuori Neuss. Sentiva il corpo che fremeva e alzò gli occhi al cielo per osservare la traiettoria delle frecce. La seconda salva aveva già annerito il cielo. Le balestre scricchiolavano selvaggiamente. Gli arcieri prendevano le frecce che avevano piantato di fronte a loro scoccando dai dieci ai dodici dardi al minuto. Il lamento di un cavallo raggiunse Ash che si drizzò sulle staffe. Qualche centinaio di metri più in basso il terreno era costellato da migliaia di frecce visigote. La prima salva di frecce lanciata dall'esercito burgundo raggiunse il bersaglio. Ash scorse appena le figure dei Visigoti che cadevano a terra stringendosi il corpo o portando le mani al volto. I cavalieri cercarono di controllare le bestie imbizzarrite. Molti cavalli nitrirono impauriti, disarcionarono i cavalieri e scapparono verso sud aprendo grossi buchi negli schieramenti della fanteria. Vide un soldato cadere a terra con la testa fracassata dal calcio di un cavallo. Il caos cominciava a serpeggiare tra le linee nemiche. Ash girò la testa nel momento stesso in cui Angelotti e gli altri artiglieri del duca Carlo aprivano il fuoco. Il boato scosse il terreno sotto gli zoccoli di Godluc e lo stallone si impennò alzandosi da terra di mezzo metro abbondante, malgrado indossasse la bardatura completa. Loro sparano controvento e finiscono corti, pensò Ash. Noi tiriamo con il vento a favore e li colpiamo, ma loro non lo capiscono. «Deo gratias!» urlò Ash. Le artiglierie si zittirono per qualche attimo. Era un punto morto nel quale il nemico avrebbe potuto caricare. Ash trattenne Godluc che scalpitava per partire all'attacco. «Messaggeri!» urlò Ash all'indirizzo della sua scorta che stava finendo di riformarsi. Ci volle un minuto per riportare Godluc nello schieramento. La scorta si chiuse intorno a lei. Vide un uomo che correva verso la compagnia e girò il cavallo.
Un violento spostamento d'aria la piegò in avanti sulla sella. Un uomo della scorta la tirò su. Ash spostò bruscamente Thomas Rochester, sputò, scosse la testa per allontanare il senso di vertigine e vide il buco nel terreno nel quale spiccava la mano di un uomo mozzata di netto. Non dovrebbero avere l'artiglieria, pensò. Un attimo dopo un secondo tonfo sollevò una pioggia di fango e terriccio che si abbatté su un gruppo di cavalieri e le sporcò il volto «Capitano!» la chiamò uno dei messaggeri. «Il conte dice di ritirarsi in cima alla collina!» «ANSELM!» urlò Ash dopo essersi tolta la terra dalla bocca. «Portali in cima a quella collina, adesso! Tu e tu, andate da Geraint e ditegli di ritirarsi in cima alla collina.» Le trombe squillarono e sia gli ufficiali che i comandanti di lancia presero a urlare ordini per spronare i loro uomini a risalire il pendio reso scivoloso dal fango e dalla neve. Ash si assicurò che tutti si stessero ritirando, quindi girò il cavallo e cominciò ad allontanarsi a sua volta. Ai piedi del pendio lo schieramento visigoto si era aperto per fare spazio a dei carri. I mezzi erano trainati senza sforzo apparente da alcune figure molto più grosse di un uomo normale. Giunti in posizione, i serventi abbassarono le sponde costellate di punte per impedire che qualcuno potesse salire sui carri e distruggere le catapulte montate sul pianale. Il grosso cucchiaio scattò in avanti e un masso grosso quanto il petto di un uomo volò in aria. Ash spostò il peso di lato, fece girare Godluc, si inclinò in avanti per indurlo a salire il più rapidamente possibile la collina. Un tonfo echeggiò nell'aria seguito un attimo dopo dalle urla degli uomini colpiti dalle schegge di pietra. Ash alzò la testa e vide il grosso varco che si era creato nel loro schieramento: una macchia scura di corpi martoriati e terreno rivoltato che spiccava sotto il cielo. Gli zoccoli di Godluc erano sporchi di sangue e visceri. Gli uomini urlavano e le donne cercavano di trascinarli verso la cima della collina. Thomas Rochester le si avvicinò con le lacrime che colavano da sotto la ventaglia dell'elmo. Bang! «Corri, Cristo! Corri!» urlò Rochester.
Ash si girò e guardò giù dalla collina. C'erano circa venti o trenta carri intorno ai quali i serventi facevano scattare i mangani e aggiustavano l'alzo, mentre i golem sollevavano le pietre e le posavano nei cucchiai senza fare il minimo sforzo, molto più rapidamente di qualsiasi uomo. Cinque massi si abbatterono alla destra di Ash sollevando una nuvola di terra e qualche attimo dopo ne caddero altrettanti riducendo una fila di cavalieri a un ammasso di corpi e divise insanguinate. I pochi superstiti cercavano di alzarsi in piedi. «Rickard!» chiamò Ash, che nel mentre osservava meravigliata l'eccezionale cadenza di tiro del nemico «Va' a chiamare Angelotti! Digli di ritirarsi! Non mi importa cosa fanno gli altri, ma il Leone si ritira! Ci attestiamo in cima alla collina!» In testa allo schieramento lo stendardo del Leone si piegò in avanti, si drizzò nuovamente e tornò a salire per il pendio. «Forza Euen. Forza!» borbottò Ash, quindi piantò i talloni nei fianchi di Godluc. Il castrato scivolò, riguadagnò rapidamente l'equilibrio e scattò in avanti facendole raggiungere in pochi attimi le massa di arcieri e ronconieri in fuga. «Merda! Merda!» urlava Thomas Rochester. Una grossa lingua di fuoco spazzò la collina alla destra di Ash che lanciò un urlo. Godluc si impennò e ricadde sulle gambe anteriori con tanta violenza da farle sbattere i denti. Il fango ribolliva e sibilava investito da una fiammata blu e bianca. La fiamma scomparve improvvisamente. Nonostante il lampo improvviso l'avesse abbagliata, Ash riuscì a vedere i suoi uomini che continuavano a correre su per il pendio. Ai piedi della collina le frecce dei Visigoti bruciavano. Trenta o quaranta golem avanzavano precedendo l'avanguardia nemica, con un braciere sulla schiena e degli ugelli stretti tra le mani dai quali scaturivano le fiammate. «Chiama Angelotti!» urlò Ash, rivolgendosi a Thomas Rochester. I sobbalzi di Godluc che saliva a fatica il pendio le tolsero il fiato. Raggiunse la cima della collina dove il terreno si appiattiva, si fermò guardandosi intorno, si assicurò che i suoi uomini fossero in salvo e si diresse nel punto in cui spiccava lo stendardo degli artiglieri. «Angeli!» chiamò, sporgendosi dalla sella. «Raduna gli archibugieri. Quei golem sono di pietra, le palle degli archibugi possono distruggerli.» «Capito, madonna!» urlò il mastro artigliere.
«Cristo Santo! Golem da guerra! Fuoco Greco115 . Dovevano avvertirci. Possibile che gli esploratori non ne facciano una giusta?» Ash si rese conto che sul fianco destro la battaglia continuava: un caos di bandiere al vento, soldati che rivoltavano il terreno e un unico e tremendo coro di voci maschili che doveva essere la cavalleria pesante che si lanciava giù dalla collina tra le braccia delle catapulte e i golem con il Fuoco Greco. «Merda, no!» esclamò Thomas Rochester, fermandosi al fianco di Ash. «Questo non è il momento per una carica eroica!» «Se Oxford non ci fa avere degli ordini...» Ash si drizzò sulle staffe cercando di scorgere lo stendardo del conte, mentre una folla di soldati burgundi la superavano. «Merda!» esclamò. «Siamo in rotta e nessuno ci ha avvertiti.» Gli uomini venivano accuditi dalle donne dei carri. Ash vide teste che pendevano di lato, capelli sporchi di sangue, bocche aperte; poco lontano da lei, un uomo urlava con l'osso del femore che spuntava dalla gamba riverso nel fango. Erano tutti volti conosciuti, ma lei non provava nulla. Sentiva solo l'urgenza di uscire da quella situazione il più integra possibile. Anselm la raggiunse. «Cosa facciamo, capo?» «Manda gli esploratori sulla cresta! Voglio sapere se stanno avanzando. Riordina le battaglie. Per il momento non si scappa.» È molto più facile farsi ammazzare in fuga, pensò. Il sole era coperto dalle nuvole e Ash non sapeva che ora fosse. Galoppò lungo lo schieramento del Leone Azzurro in parte per farsi vedere e in parte per scoraggiare chiunque volesse scappare. Raggiunse rapidamente la cresta e fissò l'orizzonte. È pericoloso, lo so, ma devo sapere cosa sta succedendo! Robert Anselm la raggiunse. «Fanculo, Robert!» «Guarda là!» Ash seguì il dito e vide che la cavalleria pesante di de la Marche stava caricando a testa bassa giù per il pendio. Dietro di loro sciamavano i fanti. Nello schieramento visigoto ai piedi della collina apparve per qualche i115
In uso tra i Romani, i Bizantini e gli Arabi, il 'Fuoco Greco' veniva impiegato durante gli scontri navali e gli assedi. La sua composizione è ancora sconosciuta, sebbene si pensi che venisse usata della nafta, petrolio, pece, salnitro, zolfo e catrame. La sua natura di arma che incuteva un terrore psicologico è ben riportata in tutte le cronache del tempo.
stante una bandiera verde e gialla a fianco di quella di Lebrija. «L'Aquila dei del Guiz» urlò Robert, con voce eccitata. «Guardalo là... ecco che parte!» Anselm si drizzò sulle staffe e cominciò a urlare come se stesse dando la caccia a una volpe. Un ronconiere con indosso la divisa del Leone fissò il punto indicato dal capitano inglese. «Capo, tuo marito sta scappando!» strillò Carracci. «Già!» disse Anselm, digrignando i denti. «Bisognerebbe dire all'imperatore di assegnargli un'altra bestia araldica... il Cane Accucciato!» Provo vergogna per Fernando, pensò Ash. Perché? Dopodiché tornò a concentrarsi sulla battaglia. «Capitano Ash!» la chiamò un cavaliere con una X rossa sulla divisa. «Il duca vuole conferire con voi!» Ash fece un cenno con la mano per far sapere che aveva capito. «Prendi il comando! Togliti di qua!» urlò ad Anselm, quindi spronò Godluc verso le retrovie. Attraversò un torrente ed entrò in un granaio dentro il quale trovò una piccola folla di uomini e cavalli. Queste sono le retrovie, pensò atterrita. Possibile che ci abbiano spinto tanto indietro così in fretta? Alzò la ventaglia e cominciò a cercare freneticamente con lo sguardo lo stendardo con il Cinghiale Blu e il Cuore Bianco di Carlo. Cavalcò in mezzo ai soldati le cui divise sporche di sangue e fango erano inutili per capire a quale contingente appartenessero. Un uomo cercò di sbarrarle il passo. «Per il duca, stronzo!» urlò Ash. Il soldato riconobbe la sua voce e la fece passare. Carlo di Borgogna indossava l'armatura completa ed era in piedi in mezzo a un gruppo di nobili. I paggi si occupavano dei cavalli. Un roano castrato lambì con le labbra la superficie del ruscello perché non voleva bere quell'acqua sporca di fango e fluidi corporei. Ash saltò giù dalla sella e appena toccò terra si rese conto di essere molto stanca. Un uomo con il simbolo del Cinghiale Blu sulla corazza si girò appena sentì la sua voce. Oxford. «Mio signore!» Ash si fece largo a gomitate tra un gruppo di cavalieri. «Dobbiamo ricompattare le linee e distruggere le catapulte e il Fuoco. Cosa vuole che faccia il duca?» Il nobile alzò la ventaglia con un pollice rivelando gli occhi azzurri dallo sguardo rabbioso. «I mercenari sul vostro lato sinistro si stanno ritirando. Non vuole che avanzino. Vuole che voi li seguiate.»
«Cosa?» Ash lo fissò attonita. «Nessuno gli hai mai detto di non rafforzare un fallimento?» Si rese conto che stava ansimando e parlando ad alta voce malgrado fosse lontana dal campo di battaglia. «Se raduniamo i cannoni e gli archibugi» spiegò con più calma «possiamo distruggere gli uomini di pietra...» Le sue mani descrissero i contorni dei golem di pietra la cui forza risiedeva più che altro nel fatto di riuscire a far arretrare gli uomini piuttosto che nella loro vera destrezza nel maneggiare le armi. «... ma non lo faremo un pezzo alla volta. Il duca deve darci degli ordini!» «Non lo farà» disse il conte di Oxford. «Il duca vuole ordinare un'altra carica di cavalleria pesante.» «Oh, al diavolo, la cavalleria! Questa è l'unica cosa che sa fare. Lassù ci stanno masticando...» Il campo di battaglia non era il posto giusto per discutere. «Sì, mio signore. Cosa...» Ash colse un turbinio nero vicino a lei e alzò istintivamente un braccio. Una freccia rimbalzò contro la protezione della spalla e si piantò nel terreno. La violenza dell'impatto le intorpidì il braccio destro per qualche secondo. Ash afferrò le redini di Godluc. Il paggio con il farsetto rosso che le teneva il cavallo cadde a terra con una freccia nel collo. Ash comprese che il farsetto del giovane era rosso perché imbrattato di sangue. «Oxford!» Ash afferrò l'ascia che pendeva dalla sella. Quando i comandanti devono estrarre le armi vuol dire che siamo nei guai, pensò. Il nemico spuntò da dietro una cresta urlando a squarciagola e si ammassò rapidamente all'interno del recinto: dieci, cinquanta forse due o trecento uomini in sella ai cavalli del deserto. Una fiammata balenò di fronte ad Ash. Lei non vide mai l'artigliere che aveva sparato il colpo, ma rimase assordata prima di rendersi conto di quello che stava succedendo. Un cannone a organo sparò. Nonostante il fumo grigiastro, Ash scorse i serventi al pezzo che scovolavano, caricavano, puntavano e facevano fuoco con una rapidità impressionante. Si girò e vide che il recinto era pieno di cavalieri visigoti e uomini con le livree color prugna. John de Vere incitava i soldati ad andare all'attacco. Godluc schiacciò sotto gli zoccoli un Visigoto che si era avvicinato troppo. Ash calò l'ascia e staccò di netto il
braccio di un nemico. Il rumore degli zoccoli dei cavalli che battevano sul terreno le faceva tremare il petto. Avvertì le vibrazioni di un altro colpo di cannone. Strinse con forza l'ascia, si radicò a terra e chiamò Godluc con tutto il fiato che aveva in corpo. Si girò e spostò di lato una lancia, cercò di colpire la gamba del Visigoto, ma la mancò e rischiò di cadere. «Non chiederò niente!» singhiozzò ad alta voce. «Niente voci!» Non c'era nessuno di fronte a lei. Il recinto era diventato una massa di cavalli, divise gialle e blu e cavalieri burgundi. Ash impiegò tre secondi per balzare in sella, sistemare l'ascia ed estrarre la spada, ma in quel breve lasso di tempo i Burgundi avevano eliminato ogni Visigoto presente in quell'area. La scorta si era chiusa intorno al duca per proteggerlo da quello che solo in quel momento lei comprese essere stato un tentativo di eliminare il nobile. Ash vide che di fronte al suo cavallo c'era il corpo di un Visigoto con un una spada spezzata piantata nell'occhio. Era quello che portava lo stendardo. «Il duca!» John de Vere la fissava inginocchiato nel fango, stringendo tra le braccia il nobile. Un rivolo di sangue arterioso scaturiva da una giuntura dell'armatura. «Chiamate i chirurghi! Subito!» Un manipolo di uomini decisi a morire pur di riuscire a far sì che almeno uno di loro uccidesse il duca Carlo di Borgogna, pensò Ash scuotendo la testa, mentre cercava di capire quello che le stava dicendo il conte di Oxford. «I CHIRURGHI!» L'urlo del nobile la raggiunse appena. «Mio signore!» Ash girò Godluc. Il cielo cominciava a rabbuiarsi pervaso da quell'oscurità che ormai lei aveva cominciato a considerare come un fenomeno naturale. A nord il sole continuava a splendere. Una folata di vento freddo la raggiunse al volto. Ash abbassò la visiera e spronò il cavallo lungo il pendio seguita dalla scorta. La luce a nord cominciava ad affievolirsi. Godluc rallentò nell'istante stesso in cui si accorse che la sua padrona aveva distolto l'attenzione da lui e lasciò penzolare la testa. Il grosso petto della bestia era coperto da uno strato di sudore che gli sbiancava il pelo. Thomas Rochester la raggiunse e lei indicò con un dito senza dire nulla. Il cielo sopra Digione stava cominciando a scurirsi. «Un chirurgo per il duca!» ordinò Ash. «Veloce!» La collina che s'innalzava di fronte a lei era coperta di fango e detriti. La
tenda del chirurgo si trovava a una cinquantina di metri oltre la cresta. Godluc non sarebbe riuscito a superare il pendio. Ash lo fece girare e iniziò a cavalcare lungo le pendici della collina per raggiungere i carri dei medici da dietro. I cavalli di Rochester e degli altri componenti la scorta erano più freschi e in breve tempo Ash si trovò isolata dai suoi uomini. Non ci fu nessun avvertimento. Un quadrello centrò in pieno il fianco della cavalla di Rochester e i pezzi di carne umida la raggiunsero in faccia e sul petto. Godluc si imbizzarrì. Una mano avvolta da un guanto d'armatura spuntò dal nulla e le afferrò redini. Il castrato nitrì spaventato. Qualcuno l'aveva ferito. Un fendente di spada tagliò la staffa. Ash barcollò bruscamente e afferrò il pomello con la mano libera per rimanere in equilibrio. Sessanta cavalieri visigoti si avventarono su di lei e sulla sua scorta. Una lancia si piantò nella coscia di Godluc che la disarcionò facendola cadere in avanti. Lo strato di fango sul terreno era abbastanza spesso da attutire l'impatto, altrimenti si sarebbe rotta il collo. Ash non sentì nulla e si rese conto di essere sdraiata a terra. Sentiva il petto che le doleva e aveva la bocca pervasa da un sapore acido. Si rese conto che qualcosa non andava, che la spada si era spezzata e che il braccio e la gamba sinistra erano in cattive condizioni. Un Visigoto si sporse dalla sella e Ash vide l'espressione soddisfatta sul suo volto. Il soldato alzò una mazza con la sinistra, smontò da cavallo e calò l'arma sul ginocchio facendo cedere la protezione. Ash avvertì una fitta alla giuntura della gamba. Il Visigoto alzò nuovamente la mazza e gliela calò sulla tempia. Da quel momento in avanti non seppe più con chiarezza ciò che successe. Sentì che la sollevavano e per un po' di tempo pensò che potessero essere i suoi uomini o i Burgundi, poi sentì parlare in visigoto e si accorse che il sole era scomparso. Il terreno sotto di lei ondeggiava in continuazione e passò altro tempo prima che si rendesse conto di essere sdraiata sul ponte di una nave. Il primo pensiero chiaro le sovvenne giorni dopo. Questa è una nave diretta in Nord Africa.
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash: — (Pierce-Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#155 (Anna Longman) Ash, scoperte archeologiche 18/11/00 ore 10,00 a.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Penso che tu abbia provato a mandarmi una e-mail e non ci sia riuscita. Cercherò di rispondere alle domande che potresti farmi sull'ultima sezione: no, non sono riuscito a trovare nessuna fonte storica che menzionasse una battaglia nei dintorni di Auxonne il 21 agosto 1476 o in quei giorni. Tuttavia il racconto di Ash fa venire in ménte la battaglia combattuta a Bosworth che mise fine alla dinastia dei Plantageneti in Inghilterra. Successe qualcosa di simile anche sul campo di Towton il 29 marzo 1461, quando le forze dei Lancaster non riuscirono a valutare bene la distanza di tiro per gli arcieri a causa del vento e della neve. Fu per quel motivo che persero, consegnando l'Inghilterra in mano agli York. Anche Charles Mallory Maximillian pone l'accento su queste somiglianze con delle note a piè di pagina alla sua edizione del 1890. Egli afferma che è uno dei casi nei quali i documenti su 'Ash' erano stati 'guarniti' dai suoi contemporanei (specialmente nell'opera di del Guiz scritta intorno ai primi anni del 1500) con dettagli di altre battaglie famose. Credo che in questo caso la spiegazione sia più che sufficiente. Tuttavia non riesco a conciliare i due generi di prove che abbiamo trovato. Dei manoscritti che a quanto sembra oggi sono considerati romanzi e delle prove archeologiche tangibili. Sto spiegando a Isobel quale era la situazione dell'Europa cinquecentesca e continuo a lavorare alla traduzione, ma l'unica cosa che posso ancora fare è pensare. Come posso spiegare tutto ciò? Quale teoria posso enunciare al riguardo? Non ne ho nessuna. Forse avrei dovuto ascoltare Ash quando si riferiva alla scomparsa del sole come a un 'miracolo nero'! Comincio a pensare che solo un miracolo può darci la spiegazione di cui abbiamo bisogno. — Pierce —————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#95 (Pierce Ratcliff) Ash 18/11/00 ore 11,09 a.m. Longman Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Non so come mai ci troviamo di fronte a prove contrastanti e dovrò parlarne con il mio direttore. Non si tratta solo del mio lavoro e della tua carriera. Non possiamo pubblicare qualcosa che sappiamo essere una frode accademica... aspetta, niente panico... e NON possiamo pubblicare qualcosa di tanto pazzesco come i golem cartaginesi nel corso del quindicesimo secolo. Mentre leggevo la tua ultima e-mail, ho cominciato a chiedermi cosa avrebbe detto Vaughan Davies... forse non sarebbe d'accordo con te riguardo la somiglianza tra la battaglia di Auxonne e quella di Bosworth. Forse lui affermerebbe che non si tratta di una somiglianza, ma di un eco della sua storia alternativa della 'Borgogna Perduta'. Tutto ciò è molto poetico e mi ha dato da pensare perché lui oltre a essere uno scienziato era anche uno scrittore. Forse non si tratta di un pensiero poetico, ma di un pensiero scientifico. Nadia, una mia amica, mi ha detto qualcosa di molto interessante. Stavo leggendo i tuoi ultimi appunti e abbiamo cominciato a parlare della teoria che tu hai menzionato... quello che sostiene l'esistenza di universi paralleli infiniti che sono creati ogni secondo, nei quali ogni scelta o decisione dà origine in ogni momento a differenti 'ramificazioni' etc. (Tutto ciò che so al riguardo l'ho appreso dai racconti e dai libri scientifici di divulgazione.) Nadia afferma che non le dispiace per le occasioni perdute, ma per il fatto che se questa teoria degli universi infiniti è vera allora lei non potrà mai condurre una vita moralmente corretta. Assicura che se lei decidesse di non picchiare una vecchietta per rubarle i soldi, il fatto stesso di rifiutarsi di compiere quel gesto darà origine a un universo parallelo nel quale lei lo farà. Non si può non agire. Non sto dicendo che in qualche modo tu hai avuto accesso a un universo parallelo e a una storia alternativa... non sono così disperata... ma che le speculazioni di Davies siano solo delle teorie senza delle basi scientifiche che possano comprovarle. Stavo pensando che se riuscissimo a trovare il
resto dell'introduzione al suo libro forse troveremmo anche una spiegazione sensata e SCIENTIFICA che ci potrebbe aiutare. La scienza è sempre scienza anche se risale al 1939. — Anna ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#156 (Anna Longman) Ash 18/11/00 ore 11,20 a.m. Nagrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
La teoria della tua amica Nadia è molto interessante dal punto di visto filosofico, ma non si addice a ciò che ho appreso dai nostri fisici (tengo a precisare che sono un profano al riguardo, te l'assicuro) Se quello che le prove in nostro possesso sembrano dirci è vero, allora non ci troviamo di fronte a un numero possibile di universi, ma solo a un numero di FUTURI possibili i quali collassano e si concretano in un unico momento presente reale e concreto: l'ADESSO che in seguito diventerà un unico e concreto PASSATO. Quindi la tua amica sceglie di non picchiare la vecchietta ed è questa non azione che diventa un passato inalterabile. La scelta avviene solo nel momento di transizione tra il fatto di pensare di poter compiere un atto e il compimento. Quindi è possibile anche non agire. Scusa: solleva una questione filosofica con un accademico e questi non perderà l'occasione per confutarla! Torniamo a noi. In questo momento accetterei l'aiuto di chiunque o di qualsiasi cosa, anche di un teoria sugli universi paralleli che risale agli anni Trenta! Ho cercato in tutti i modi di trovare il libro di Vaughan Davies, ma non ci sono riuscito, non penso di poter far molto da una tenda fuori Tunisi. Voglio provare a rivolgermi ai miei colleghi e agli amici scienziati di Isobel per vedere se riescono a trovare una teoria valida. Ora non oserei perché attirerebbe troppa attenzione indesiderata sul sito, provocherebbe molto stress a Isobel e, a dirla tutta, perderei l'occasione di essere stato il primo uomo a tradurre il 'Fraxinus'. So di essere venale, ma le possibilità
di un successo spettacolare non capitano tutti i giorni; è una cosa che scoprirai invecchiando. Forse potremmo riuscirci in un mese. Comincio a chiedere tra gli esperti per ottenere le risposte. E questo avverrebbe prima ancora della data di pubblicazione. — Pierce ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#96 (Pierce Ratcliff) Ash 18/11/00 ore 11,37 a.m. Longman Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Ma non prima dell'editing e della stampa! Cosa stai cercando di farmi, Pierce? Che ne dici di Natale? Se questo problema non sarà risolto o per allora o non abbiamo almeno qualche traccia allora dovrò andare da Jonathan. Prima settimana di gennaio al PIÙ TARDI. — Anna ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#157 (Anna Longman) Ash, i testi 18/11/00 ore 04,18 p.m. Nagrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Molto bene. Sono d'accordo. Non diamo l'allarme prima della prima settimana di gennaio. In ogni modo, se non saremo arrivati a una risposta prima di allora (sono solo sette settimane!) io sarò impazzito. Ma se sarò
impazzito non avrò molto di cui preoccuparmi, giusto? John Monkham è appena partito. Le foto dei golem sono splendide, vanno al di là di ogni immaginazione. Mi dispiace che tu non possa farne una copia o tenerle; Isobel diventa più attenta alla sicurezza a ogni ora che passa. Penso che se John non fosse suo figlio non gli avrebbe mai permesso di portarle fuori dal sito. Ho avuto tutta la mattina per rifinire la traduzione. Ecco la versione definitiva del 'Fraxinus' come ti avevo promesso. O almeno la prima sezione. Scusami ma ho avuto pochissimo tempo e le note a piè di pagina sono ridotte all'osso. — Pierce ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#163 (Anna Longman) Ash 18/11/00 ore 09,51 p.m. Nagrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Ci sono. Ho trovato la RISPOSTA. Avevo ragione: la spiegazione più semplice di solito è quella giusta. Ci siamo complicati la vita senza che fosse necessario! Non c'è bisogno di preoccuparci della teoria di Davies qualunque essa sia: non c'è bisogno di fare affidamento a quanto classificato nei cataloghi della British Library. Solo adesso ho capito che se un documento viene CLASSIFICATO sotto la voce miti o leggende NON SIGNIFICA CHE NON NARRI LA VERITÀ. È così semplice! Stavo parlando con Isobel riguardo i nostri problemi con la teoria di Vaughan Davies e lei si è limitata a dirmi: «Cos'è questo mucchio d'insulsaggini, Pierce?» quindi mi ha ricordato che... Nel 1871, l'archeologo Heinrich Schliemann (sebbene i suoi metodi lasciassero alquanto a desiderare) scoprì i resti di Troia scavando ESATTAMENTE NEL PUNTO IN CUI OMERO AVEVA NARRATO SOR-
GESSE LA CITTÀ. Tutti sanno che l'ILIADE non è un documento storico, ma un POEMA! Con tanto di dèi e dee e tutte le licenze poetiche possibili e immaginabili che si trovano nei romanzi! È stato un fulmine a ciel sereno! Non riesco ancora a capire come ho fatto a non accorgermi della riclassificazione dei documenti su Ash, ma a questo punto non ha più importanza. La cosa veramente importante è che in questo sito, per quanto gli esperti possano sostenere il contrario, abbiamo trovato le prove tangibili che quanto è descritto nelle precedenti biografie di Ash è vero. Noi abbiamo trovato i 'golem' di fattura postromana menzionati in quegli scritti e non si può discutere quando si hanno davanti le prove. La verità ci giunge dalla STORIA. È tutto a posto, Anna. Sai cosa succederà? Le biblioteche dovranno riclassificare nuovamente le opere su Ash. La spedizione di Isobel e il mio libro forniranno le prove inconfutabili del perché è necessaria tale operazione. — Pierce
SESTA PARTE 6 SETTEMBRE - 7 SETTEMBRE AD 1476 'Fraxinus me fecit' I Ash sentiva la mancanza del peso familiare dei capelli. Non avendoli mai tagliati non si era mai resa conto che la sua chioma aveva un peso tanto consistente. Il vento diventava sempre più freddo a mano a mano che veleggiavano verso sud. C'è qualcosa che non va, pensò Ash. Angelotti mi ha detto che il clima del Crepuscolo Eterno è caldo, non così freddo. La temperatura dovrebbe alzarsi... Per un momento si scordò di essere su una nave e rivide Angelotti seduto sul trasporto di un cannone a organo fuori Pisa che diceva: «Le donne si vestivano con abiti di seta trasparente, non che a me importasse qualcosa! E ci sono dei giardini pensili nei quali il calore è convogliato tramite degli specchi. I ricchi hanno le vigne. Quante notti interminabili passate a bere vino. Fa più caldo di qua!» In quel momento Ash aveva inspirato l'aria salmastra dell'Italia sognando il calore del Sud. Uno spruzzo gelato la colpì in pieno volto. Prima di quei momenti non si era resa conto di quanto le avessero tenuto caldo i capelli. Ora sentiva la testa leggera e il collo freddo. I soldati le avevano lasciato i capelli lunghi fino alle orecchie. Il resto della sua chioma setosa era stata tagliata in un deposito di Genova o Marsiglia, non avrebbe saputo dire, e buttata nel fango prima che la trascinassero a bordo semisvenuta. Ash fletté senza farsi vedere il ginocchio e provò una forte fitta di dolore. Strinse il labbro tra i denti per non urlare e continuò l'esercizio. La prua della nave si scontrò contro le onde fredde del mar Mediterraneo. Ash aveva le labbra e i capelli incrostati di sale. Strinse la balaustra di poppa che ondeggiava seguendo il rollio della barca e guardò a nord. La nave aveva appena attraversato il riflesso della luna sull'acqua lasciandosi dietro una scia argentea che sfumava a mano a mano che si allontanavano. Due marinai la spinsero da parte bruscamente per passare. Ash barcollò,
ma si accorse che le gambe cominciavano a riacquistare vigore. Cosa sta succedendo? pensò. Piantò le unghie nel legno della balaustra. Cosa è successo a Robert, Geraint, Angelotti, Florian e Godfrey? Digione esiste ancora? Merda, merda, merda! Calò un pugno carico di frustrazione sul legno. Il vento fece sbattere le vele sopra la sua testa. Ash rischiò di soccombere all'ennesima ondata di nausea. Sono stufa di sentirmi male ogni giorno! Imprecò tra sé. La botta alla testa le aveva riaperto la ferita e Ash aveva ricominciato a soffrire degli stessi disturbi di quando era stata calpestata dal cavallo: inappetenza e la sensazione di avere la testa svuotata. In passato si era rotta più volte le costole, la tibia e, in un'occasione, quasi tutte le dita della mano sinistra in un colpo solo, ma il danno più pericoloso che aveva subito fino a quel momento era quello al ginocchio inflittole dal nazir. Quel genere di lesioni potevano dare origine a una menomazione permanente. Sto meglio oggi di qualche giorno fa? Sì, concluse tentennante. Direi proprio di sì... Ash guardò nel pozzetto della nave oltre i rematori. Teodiberto, il nazir che l'aveva colpita, le sorrise. Un richiamo secco da parte del comandante della squadra che l'aveva catturata, l'arif Alderico, lo indusse a tornare ai suoi doveri, che, da quello che Ash aveva capito consistevano nell'impedire che lei si gettasse fuori bordo o fosse stuprata e uccisa dall'equipaggio. Forse lo stupro passerebbe ancora, pensò Ash, ma se mi dovessero uccidere credo che ti troveresti in un mare di guai, caro Teodiberto. Un altro dei compiti del Visigoto era quello di tenerla lontana dagli altri prigionieri a bordo. Ash era riuscita a parlare solo una volta con qualcuno di loro. I prigionieri erano quattro donne e sedici uomini, che, a giudicare dagli abiti scuri, dovevano essere stati dei mercanti di Auxonne, tranne uno che indossava una divisa da soldato e due vecchie contadine. Nessuna delle due valeva il denaro che stavano spendendo per portarle dall'altra parte del Mediterraneo visto che erano conciate talmente male che non sarebbero servite neanche come schiave. Cartagine. Deve essere Cartagine 116 . 116
Vista la data, l'AD 1476, il testo non si può riferire all'insediamento originale costruito dai Fenici, né a quella romana, vandala o bizantina. Poiché non si tratta di una cultura islamica, questo deve essere un riferimento all'insediamento visigoto che, molto probabilmente, doveva sorgere vicino al punto in cui si trovava la prima Cartagine, dalla quale ha
Non ho mai sentito nessuna voce. Non so cosa voglia dire. Non ho mai sentito nessuna voce! Intravide qualcosa davanti alla nave, tra la vela latina e la prua, ma l'oscurità le impedì di capire se si trattava di terra o di una massa di nuvole. Le costellazioni in cielo indicavano che stavano continuando a navigare verso sud-est. Dieci giorni? si chiese. No ne devono essere passati quattordici o quindici. Cristo Verde, de profundis, che cosa è successo da quando mi hanno catturata? Chi ha vinto? Il suono di un passo la mise in allarme, alzò gli occhi e vide l'arif Alderico accompagnato da un soldato che reggeva una scodella piena di una zuppa viscosa di colore bianco. «Mangia» le ordinò l'arif. L'uomo era di corporatura robusta, aveva la barba e doveva avere più o meno quarant'anni. Ash aveva impiegato cinque giorni prima di riuscire a sussurrare qualche parola. Ora, quando non sbatteva i denti per il freddo, riusciva a parlare senza problemi. «Non finché non mi avrai detto dove siamo diretti e cosa è successo ai miei uomini.» Non ha molto senso fare lo sciopero della fame, pensò Ash, visto che non riesco a trattenere nulla. Ma devo riuscire a mangiare altrimenti non avrò le forze per scappare. Alderico aggrottò la fronte. Sembrava più interdetto che arrabbiato. «Ho ricevuto istruzioni molto precise al riguardo. Non posso dirti nulla. Tieni: mangia.» Cercò di immaginarsi come poteva sembrare agli occhi dell'arif: una donna magra con le spalle di un nuotatore117 . Un ginocchio e una spalla fasciati. I capelli tagliati corti e la testa bendata. Una donna con indosso solo una maglia di lino e delle brache, sporca, puzzolente e tremante, la pelle arrossata dai morsi degli insetti. Non c'è da stupirsi se la sottovalutava. «Hai servito il faris?» gli chiese Ash. L'arif prese la scodella dalle mani del soldato che lo accompagnava e gli fece cenno di allontanarsi. Le porse la scodella silenzioso e determinato. Ash prese la scodella e cominciò a mangiare il pastone con le dita. Ne ereditato il nome. 117 In latino era scritto 'le spalle forti come quelle di uno spadaccino'. La mia traduzione è quella che più si avvicina all'originale.
ingoiò un boccone e attese. Lo stomaco si contrasse, ma trattenne il cibo. Si leccò le dita schifata dal sapore blando del cibo. «Allora?» «Sì, ho servito con il nostro faris.» L'arif Alderico la osservò mangiare e quando vide che Ash stava mangiando senza vomitare, sul suo volto comparve una fugace espressione di soddisfazione. «Sono stato sotto il suo comando nelle nostre terre e in Spagna nel corso degli ultimi sei anni, quando lei combatté nella Reconquista per liberare quelle terre dai Bretoni e i Navarresi118 .» «È brava?» «Sì.» Alderico sembrava sempre più divertito. «Grazie a Dio e al Golem di Pietra, lei è molto brava.» «Ha vinto la battaglia di Auxonne?» Alderico fece per parlare. Sei mio! pensò Ash. Ma un attimo dopo il comandante si ricordò delle istruzioni ricevute e scosse la testa. «I miei ordini sono molto precisi. Non devi sapere nulla. Non era un disturbo quando eri ferita, ma ora che ti sei ripresa lo trovo in qualche modo...» l'arif rifletté un attimo in cerca della parola giusta. «Sgarbato.» «Vogliono ammorbidirmi prima dell'interrogatorio. Io farei lo stesso.» Ash fissò con attenzione Alderico, ma l'arif non le chiese a chi si stesse riferendo. «E sia.» Ash sospirò. «Mi arrendo. Non hai niente da dirmi. Posso aspettare. Tra quanto attraccheremo a Cartagine?» L'arif arcuò entrambe le sopracciglia, inclinò la testa con fare molto educato, ma non disse nulla. Ash sentì un brontolio all'altezza dello stomaco, si sporse oltre la murata e vomitò tutto ciò che aveva mangiato. Non si trattava di una tattica. Un misto di terrore e pietà le attanagliava lo stomaco. Temeva che Digione fosse caduta e Carlo morto, ma quest'ultima eventualità non la sconvolgeva per niente. Quello che voleva sapere veramente, ma che al tempo stesso temeva, era sapere se gli uomini del Leone Azzurro erano ancora vivi o erano stati spazzati via e giacevano morti in qualche campo nel Sud del ducato. Ebbe un secondo conato e un fiotto di bile le sprizzò dalla bocca. 118
La cosa è del tutto stupefacente! La Reconquista venne attuata dalle forze ispano-cristiane per scacciare ciò che rimaneva della cultura araba in Spagna (dopo che gli Arabi l'avevano conquistata e nell'AD 1492, circa sedici anni dopo gli eventi citati nei testi su Ash). Posso solo supporre che ci troviamo di fronte a una manomissione. Dopo cinquecento anni è impossibile capire cosa il cronista del 'Fraxinus' intendesse veramente.
Si tirò su e si tenne alla balaustra per rimanere dritta. «Il tuo generale è morto?» chiese improvvisamente. «Il faris? No.» rispose Alderico. «Allora i Burgundi hanno perso, vero?» Ash fissò il Visigoto dritto negli occhi e riprese a parlare con il tono di chi parla per certezze. «Non sarebbe viva se aveste perso. Sono passate due settimane, cosa importa se me lo dici? Cosa è successo ai miei uomini?» «Mi dispiace» Alderico l'afferrò per un braccio e la fece sedere sul ponte, lontana dai punti di passaggio dei marinai. Ash sentiva il ponte che rollava sotto di lei e deglutì. Alderico si voltò a guardare il capitano che si trovava vicino al timoniere a poppa e disse qualcosa, ma Ash non riuscì a capire. «Mi dispiace» ripeté Alderico. «Anch'io ho comandato uomini coraggiosi e so quanto vorresti avere notizie dei tuoi. Se ti dicessi qualcosa verrei condannato a morte...» «Ah, sì? Allora, fanculo al califfo-re Teodorico!» borbottò Ash. «... comunque, non so nulla.» Ash lo vide lanciare un'occhiata nel punto in cui si trovava il nazir Teodiberto per capire se poteva sentirlo o no. No. «Non conosco il simbolo della tua compagnia, né sapevo in quale parte del campo fosse schierata. Inoltre io ero con i miei uomini e presidiavamo la strada a nord per bloccare i rinforzi da Bruges.» «I rinforzi!» «Un contingente di quattromila uomini. Mio cugino, il lord amir Sisnandus li ha sconfitti. Credo che sia successo poco prima della battaglia di Auxonne. Adesso basta. Rimani seduta qua e stai zitta. Nazir!» Alderico si alzò in piedi, attese che il caporale lo raggiungesse quindi gli ordinò: «Tu e i tuoi uomini continuate a sorvegliare questa donna. Non badate agli altri prigionieri. Non deve scappare durante le operazioni di attracco.» «No, arif!» Teodiberto si portò una mano sul cuore. Ash si ritrovò circondata da un cerchio di uomini. I rematori avevano cambiato ritmo. Rinforzi! Cos'altro non ci aveva detto Carlo? Diavolo, non siamo mercenari, siamo funghi. Ci tengono al buio e ci concimano con sterco di cavallo... Le costellazioni a lei familiari cominciarono a sbiadire nel cielo che si rabbuiava sempre di più con il calare della luna. Ash pregò senza quasi rendersene conto. Per il Leone, fatemi vedere l'alba, fate che il sole sorga
ancora. L'oscurità calò sul mondo. Il vento freddo fischiava trapassandole la maglia di lino. Cominciò a battere i denti. Ma non era stato Angeli a dirmi che nelle terre del Crepuscolo Eterno faceva caldo? Qualcuno urlò degli ordini e i marinai accesero un centinaio di lanterne illuminando la nave. Ash sentì che i soldati avevano cominciato a borbottare tra di loro e si alzò in piedi barcollando. I soldati la afferrarono per le braccia e lei riuscì a vedere la costa del Nord Africa. Gli ultimi bagliori della luna delineavano i contorni di un'altura. Un rigonfiamento nero più scuro del cielo e del mare che doveva essere terra. Un promontorio? Il ponte ondeggiò sotto di lei e la nave virò di prua variando di velocità. Ore? Minuti? Ash sentiva sempre più freddo. Qualcuno le aveva imprigionato le mani. La terra era sempre più vicina. Gli odori tipici della costa, alghe in decomposizione, pesci morti e guano, la raggiunsero. Il rollio del ponte rallentò. Il legno scricchiolava sonoramente e le vele vennero ammainate e altri remi scivolarono in acqua. Gli spruzzi freddi le intorpidirono la pelle. Una congerie di lanterne brillava sulle onde e il mare si era calmato. Siamo al riparo? Forse è un istmo? pensò Ash. Le lanterne si rivelarono le luci di posizione di due navi in avvicinamento. No, non erano delle navi. Il primo battello fendeva l'acqua con un movimento sinuoso e irregolare. Ash strinse le braccia al petto per proteggersi dal freddo e fissò le imbarcazioni. Il vento le faceva lacrimare gli occhi. Il primo battello, che in un primo momento era parso molto lontano, raggiunse rapidamente la nave e la superò. Era un natante dalla carena curva, lungo e slanciato. Le fiancate erano di legno e di un altro materiale lucido. Ash rifletté per qualche secondo e giunse alla conclusione che non poteva essere ferro perché troppo pesante. Il modo in cui la luce si rifletteva su quel materiale le ricordò il sole che si rifrangeva sui tetti di Digione. È ardesia! Comprese Ash. Cristo santo! Una corazzatura fatta di sottili strati di ardesia. Non era dotata né di vele né di rematori. A poppa una grossa barra ondeggiava a destra e sinistra, mossa dall'instancabile e vigorosa azione di un golem. L'imbarcazione, composta da diversi segmenti snodati, scivolava sulla superficie dell'acqua simile a un grosso serpente. «Un battello messaggero» le spiegò Alderico, alle sue spalle. «Deve portare le notizie rapidamente.»
Ash non rispose, le battevano i denti. Dietro il battello messaggero comparve una seconda imbarcazione più grossa. Ash ci impiegò un poco a riconoscere il mezzo da sbarco. Era uguale identico a quelli che aveva visto dall'alto delle colline di Genova. Si trovava troppo in basso per poterne vedere il ponte, ma lei stimò che potesse contenere più di cinquecento soldati. Ebbe una fugace visione dei bordi ricurvi che torreggiavano su di loro e delle grosse pale che si immergevano nell'acqua mosse dai golem che si trovavano all'interno della ruota. Il battello scomparve in direzione nord-est119 . Quante navi come queste saranno andate a nord? si chiese. Il pensiero la intontì quanto il freddo e non pensò ad altro finché non si accorse che l'andatura della nave era cambiata. Era passata un'ora dal tramonto della luna, quindi doveva essere l'alba. Ma quel fenomeno non si verificava nel Crepuscolo. Ash alzò gli occhi al cielo. I rematori si fermarono. La nave entrò nella baia di Cartagine. Le luci del porto disegnavano i contorni degli alberi delle navi con le vele ammainate. Un migliaio di navi attraccate ai moli ondeggiavano dolcemente. Triremi, quinquiremi, trasporti truppe, galee europee e caravelle. Le grosse navi dei mercanti dalle quali venivano scaricate vacche, manzi, vitelli, maiali, melograni, capre, uva e grano: tutte cose che non potevano essere coltivate o allevate in quelle terre. I remi si immergevano e risalivano lentamente dall'acqua scura. La nave scivolò in mezzo a due promontori le cui sommità erano coperte di edifici. I tetti erano rischiarati da fiaccole di Fuoco Greco. Ash inclinò la testa all'indietro per guardare la gente sui bastioni del porto: schiavi che corre119
Si tratta ovviamente di una credenza popolare riguardo la supremazia cartaginese sul mar Mediterraneo al tempo delle guerre puniche (216 - 164 a.C), o il dominio che i Vandali esercitarono sul Mediterraneo nel VI secolo AD. Un passaggio molto simile appare nello 'Pseudo-Godfrey'; è molto probabile che sia stato copiato da questo. Se l'autore dello 'PsuedoGodfrey' è stato un monaco, allora probabilmente deve aver avuto accesso a testi classici e in questo caso è ricorso al mito medievale del serpente di mare per descrivere la nave a segmenti e il mezzo da sbarco. Era un tipo di operazione molto comune agli scrittori medievali. Possiamo supporre che Ash abbia visto una galera a due o tre ponti carica di rematori.
vano, uomini e donne che camminavano tranquilli con indosso abiti di seta spessa. Udì i rintocchi distanti di una campana che annunciavano l'inizio di una messa. I muri le occlusero nuovamente la visuale. La pietra nuda e semplice era stata completamente ricoperta dai mattoni. Vide le sponde cupe del passaggio grazie alle lanterne della mezza dozzina di navi mercantili che li superarono e udì il suono del tamburo che echeggiava contro l'acqua e le pareti. La sommità delle mura si trasformava in una serie di fortificazioni dalle pareti costellate di feritoie per i cannoni, per gli arcieri e postazioni per le artiglierie. Il collo le faceva male. Deglutì e distolse lo sguardo da quelle costruzioni titaniche. Annusò l'odore salmastro del mare pervaso dal puzzo dei rifiuti che galleggiavano tra le navi ancorate in porto. Commercianti di frutta, canditi, vino e coperte di lana remavano per mantenere a galla i loro gusci. Ash notò una dozzina di cargo vuoti ancorati al largo e le figure scure degli uomini nei magazzini che si stagliavano contro la luce prodotta dai bracieri. Il vento freddo faceva lacrimare loro gli occhi. Una lacrima le si gelò su una guancia. Le dita sudaticce che le stringevano il braccio aumentarono la presa. Diede una rapida occhiata per capire chi la stesse tenendo e incontrò lo sguardo del nazir Teodiberto che le infilò la mano libera tra le cosce pizzicandole l'interno. Ash sussultò, fissò Alderico, quindi si sentì arrossire. Il fatto di dover chiedere aiuto a qualcun altro la fece sentire umiliata. In un altro frangente avrebbe afferrato il polso di Teodiberto e gli avrebbe spezzato il gomito calandolo violentemente sul suo ginocchio, ma erano in troppi a tenerla e non si poteva muovere. Le dita la pizzicarono di nuovo. Non lo sa, pensò a un certo punto, non ho ancora il pancione. Sono magra e non riesco a mangiare perché ho il mal di mare. Forse se mi stupra mi libero del bambino e finisce che gli sono grata. «Questa non è una baia» le fece notare Teodiberto «questa è la baia.» Ash non poteva fare altro che guardare davanti a sé. I rematori stavano guidando la nave in mezzo a una moltitudine di imbarcazioni più piccole. La nave arrivò in vista di quattro grossi attracchi separati dal resto della baia da poderose mura, sormontate da un edificio imponente privo di finestre che doveva essere una fortezza. Ai moli erano attraccate delle grosse triremi e delle galere da guerra. Migliaia di persone lavoravano sulle banchine e sulle navi, intente a issare le vele, a guidare i carri trainati dai muli lungo le ripide discese dei
moli, ad accendere altre lanterne, urlare, caricare cesti sulle lance. Una mezza dozzina di donne dal volto coperto fissava la scena da una balconata in cima a un muro. Non mi aiuterebbe nessuno se mi mettessi a urlare. L'odore delle spezie, dello sterco e di qualcos'altro che non le piaceva le raggiunse le narici. Ash cercò di divincolarsi per sfuggire dalla presa del soldato, ma non ci riuscì. Ora che era diventato tutto vero, ora che la nave era giunta in porto si sentì travolgere da un'ondata di paura. Sentì i muscoli delle cosce e delle ginocchia che cedevano. Deglutì per cercare di inumidire la bocca improvvisamente secca. Adesso è tutto vero. Fino adesso ero su una nave e poteva succedere di tutto. Forse ce l'avrei anche fatta a fuggire, ma ora... Avrebbe dato di tutto pur di avere un'arma e anche solo una dozzina di uomini... Il soldato sudaticcio che la tratteneva indossava una maglia di anelli metallici e portava la spada al fianco, ma era circondato dai suoi compagni e particolare più importante di tutti, vicino al suo comandante che avrebbe fatto accorrere centinaia di soldati con un semplice urlo. «La puttana smorfiosa non è più tanto ribelle, adesso?» le sussurrò una voce all'orecchio. L'alito dell'uomo puzzava di riso. Sapeva che molto probabilmente sarebbe stata stuprata o storpiata in maniera permanente e tale consapevolezza le chiuse lo stomaco raggelandola. Osservava i magazzini che si avvicinavano inesorabilmente e sentiva le mani che le formicolavano. La paura le seccò la bocca. Quasi senza rendersene conto comprese la natura dell'odore che non le era piaciuto. Il vento era freddissimo. Se fosse stata sulle montagne svizzere avrebbe pensato all'avvicinarsi della neve. Un'improvvisa folata di vento umido spazzò la baia. Dei fiocchi di neve gelata le lambirono le guance sfregiate e le gambe nude. I remi vennero alzati e ritratti, i marinai saltarono sulla banchina e afferrarono le gomene. Il legno grattò contro la pietra. La galea venne ormeggiata al molo di pietra sul quale si era già formato un sottile strato di ghiaccio. Il nazir le diede un pugno all'altezza dei reni per spingerla insieme agli altri prigionieri. Ash barcollò in avanti e cadde sulla passerella graffiandosi le mani sui gradini di pietra che portavano alla banchina. Il primo fiocco
di neve si sciolse sotto i palmi delle mani. Un calcio la colpì alle costole e lei avvertì l'odore del suo stesso vomito. «Merda!» imprecò in tono lamentoso. Non posso scappare dalla realtà, adesso. Io sento e ho sempre sentito una voce. La stessa del faris. Non lo sanno, ma hanno ragione. Non si tratta di un errore. Hanno preso la persona giusta. E tra un po' scoprirò cosa ne sarà di me. II I Visigoti continuarono a tenere Ash separata dagli altri prigionieri anche quando imboccarono il dedalo di vie strette e ripide illuminate da lampade a Fuoco Greco120 che partiva dalla zona dei magazzini. Ash non ebbe tempo di osservare la città intorno a lei. I piedi nudi grattavano sul selciato. Era consapevole delle mani che la tenevano sotto le ascelle. Le alabarde dei soldati sbatterono contro lo spesso arco di pietra che fungeva da cancello nella cinta muraria che circondava la collina. Il muro era talmente alto che era impossibile per chiunque vedere cosa ci fosse oltre. Gli altri prigionieri vennero condotti verso la città. «Cosa succede?» chiese Ash. Girò la testa e inciampò. L'arif Alderico disse qualcosa a due soldati che prelevarono dal gruppo di prigionieri una vecchia, un vecchio e un giovane grasso che vennero immediatamente circondati dagli altri soldati. Il passaggio nel muro era lungo una ventina di metri abbondanti. Ash inciampò nuovamente e Teodiberto la tirò su bruscamente, visibilmente soddisfatto di poter ricorrere alla violenza. Ash si scostò dalla parete. Una folata di vento freddo le lambì il viso e lei si rese conto che il cancello si era trasformato in un passaggio stretto. Nessuno dei palazzi che fiancheggiavano il vicolo aveva le finestre. Quattro soldati accesero delle lanterne e le tennero alte. La luce creò dei giochi d'ombre contro le pareti. Una strada? Un vicolo? Ash socchiuse gli occhi e alzò la testa. Vide le ultime stelle che sbiadivano nel cielo ed ebbe la certezza di essere ancora all'aria aperta. Un pugno nella schiena la spro120
Credo che si tratti di una variante del Fuoco Greco usato per scopi bellici. Forse bruciava solo la nafta, combustibile che deve il suo nome agli Arabi (al-naft) e che nel corso della storia venne largamente usato a questo scopo, per esempio nell'Inghilterra industriale.
nò ad andare avanti. Superarono una porta nera rinforzata da sette spesse barre di metallo. Una cinquantina di metri dopo ne incontrarono un'altra. Nessuno degli edifici che aveva visto fino a quel momento era costruito in legno o cannicci ricoperti di fango. Erano tutte costruzioni in muratura prive di finestre. Si inoltrarono in una sorta di labirinto, svoltando a ogni angolo per imboccare dei vicoli bui come il cielo sopra le loro teste. Ash strinse le braccia intorno al corpo. Tremava. Il freddo le intorpidiva i piedi nudi, le sbiancava le dita delle mani e faceva uscire dalla sua bocca vistose volute di fiato condensato. Anche i soldati avevano i brividi. Quattro soldati si affrettarono a precederli e andarono ad aprire una porta. È abbastanza larga da permettere le sortite, pensò Ash. Il nazir la spinse oltre la soglia. Ash batté il ginocchio bendato e urlò. La luce delle lanterne danzò intorno a lei, delle mani la sollevarono da terra, avvertì dei corpi che si premevano contro il suo e la spingevano ad avanzare lungo quel passaggio oscuro. Una mano rugosa e piccola le afferrò una delle sue. Ash vide che una delle vecchie le aveva preso la mano. La donna alzò la testa per guardarla. Le ombre e le rughe rendevano impossibile capire l'espressione del viso. Le mani ricordarono ad Ash le ossa di un pollo. Erano fredde. Ash le premette contro il vestito di lino per cercare di riscaldarle. La vecchia le passò una mano sulla pancia. «Proprio come pensavo» disse in francese. «Non si vede, ma aspetti un bambino, figlia mia. Posso farti da levatrice se vuoi... Oh, cosa ci faranno?» «Zitta!» «Cosa vogliono da noi?» Ash udì il suono di un pugno che colpiva la carne. La mano della donna si rilassò e scivolò via dalla sua. Fece per riafferarla, ma i soldati le furono subito intorno e la spinsero dentro un grande cortile. Un'entrata di servizio, pensò Ash. Adesso mi trovo in una tenuta. Il cortile, ricavato all'interno di un palazzo alto tre piani con le porte ad arco e finestre con le sbarre di pietra, era illuminato a giorno dalle lanterne. Il bagliore era così intenso che Ash non riuscì più a scorgere il cielo. C'era moltissima gente. Alcune guardie del corpo armate di spade. Una o due di loro erano meglio vestite delle altre. La maggior parte erano uomini e donne che indossavano delle tuniche semplici e avevano un collare metallico intorno alla gola. Ash rimase a bocca aperta nel vedere gli schiavi e
sentì lo stomaco che si chiudeva. Quasi tutti avevano un elemento in comune: capelli bianchi molto simili ai suoi. Si guardò intorno in cerca della vecchia, mancò un passo e cadde carponi sulla pavimentazione bianca e nera. Sentì il ginocchio che si scaldava e si gonfiava. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Vide Alderico farsi avanti insieme al capitano della nave e parlare con delle guardie del corpo e degli schiavi. Ash si alzò. I prigionieri maschi vennero spinti in mezzo ad altri prigionieri. Poco lontano una fenice meccanica cantava nel centro di una fontana. Ash afferrò i lembi della maglia e li tirò giù per coprirsi le cosce. Sentiva il sudore che le scendeva tra le scapole. Cristo, aiutami a tenere il mio bambino, pregò in silenzio. Non voglio morire di parto... Quando si pensa di aver raggiunto il culmine di ogni paura si scopre che non è così. Strinse i pugni per cercare di non far vedere le mani che tremavano. Le immagini mentali di un bambino o di una bambina non avrebbero retto a lungo il confronto con quel cortile pieno di uomini che parlavano un cartaginese troppo rapido perché lei potesse capirli. Le rimaneva solo la vulnerabilità della sua pancia che si notava appena e l'assoluta, ma in quelle condizioni inconcepibile, necessità di mantenere il segreto. «Povera ragazza» disse la vecchia contadina tenuta in piedi da un soldato. Sanguinava. Insieme alla donna c'erano anche due prigionieri maschi. I loro volti erano molto diversi, ma avevano la stessa espressione spaventata. «Vieni con me!» le ordinò l'arif Alderico, spingendola avanti. Ash rabbrividì, ma tuttavia riuscì a sfoderare un ghigno sarcastico. «Cosa succede? Vi siete resi conto che non sono quella che volevate? Beh, avrei potuto dirvelo subito a Digione! O forse avete fatto tutto questo casino perché volete stipulare un contratto con la mia compagnia? Consideratemi ammorbidita, credo che farete un buon affare!» Ash capì dall'espressione delle guardie che le erano vicine e dagli sguardi di uno o due uomini che potevano essere dei liberti del califfo-re Teodorico che doveva puzzare parecchio, ma lei non se ne rendeva conto. Continuò a zoppicare dietro Alderico sul pavimento freddo. «Ho sempre pensato» continuò «che facesse caldo nelle terre del Crepuscolo Eterno. Invece, fa un freddo fottuto! Cosa sta succedendo? La Penitenza sta diventando troppo pesante anche per voi? Forse Dio si è rotto i coglioni di aspettare che qualcuno vada a occupare lo Scranno Vuoto. For-
se si tratta di un portento.» «Zitta.» La paura rende volubili e Ash ubbidì. Alderico aprì una porta che dava accesso a uno stretto passaggio, fece un inchino, disse qualcosa e la spinse davanti a sé. La luce all'interno dell'edificio abbagliò Ash. «È lei?» chiese una voce decisa. «Forse» rispose una seconda voce più secca. Ash sbatté le palpebre per cercare di abituare gli occhi alla luminosità. Lo zoccolo della stanza era percorso da tubi e lampade di vetro colorato dalle quali scaturiva il Fuoco Greco. In un angolo della stanza dei bruciatori d'olio spandevano nell'aria un'essenza delicata che le schiarì la testa dandole l'impressione di essere tornata indietro di qualche anno in Italia, quando si era trovata in compagnia di mercenari visigoti. Ma ora non era in una tenda. Sentiva le protuberanze delle piastrelle rosse e nere sotto i piedi. Le tessere di un mosaico la fissavano illuminata dalla luce di venti lampade. Le pareti brillavano, dipinte a scacchi di diversi colori. Le immagini dei santi e le icone la fissavano, severe, dalle loro nicchie: Caterina e la sua ruota, Sebastiano e le frecce, Mercurio con il bisturi da chirurgo e il coltellaccio dei tagliaborse, san Giorgio e il drago. Le ombre si perdevano contro la volta del soffitto. Oltre all'odore pungente del Fuoco Greco, Ash avvertì quello della terra. Tutta una parete della stanza era occupata da un immenso mosaico che raffigurava il Toro, l'Albero, un'effigie di Cristo che sembrava guardarla, santa Herlaine ai suoi piedi e santa Tanitta121 che osservava il tutto. L'immagine era abbastanza oppressiva da non farle sentire quello di cui stavano parlando le persone presenti nella stanza. Diresse lo sguardo verso i massicci tavoli e sedie di marmo lucidato e vide due uomini che la fissavano. Uno era magro e indossava una tunica bianca da amir. Doveva avere circa cinquant'anni. Acquattato ai piedi della sedia c'era un uomo dal volto grasso, i capelli radi, gli occhi azzurri e l'espressione da idiota che la guardava sbavando. «Vai.» L'amir posò una mano sul braccio del ritardato. «Mangia. Ascolterai dopo quello che ci diciamo. Vai, Ataulf. Vai. Vai...» L'idiota, che poteva avere un'età compresa tra i venti e i sessant'anni, la 121
Forse si tratta di una versione cristianizzata di Tanit, dea cartaginese alla quale venivano sacrificati i bambini.
superò lanciandole una rapida occhiata con la bava che continuava a colargli dalle labbra spesse. Ash fece un passo di lato per farlo passare e colse l'occasione di guardarsi alle spalle. L'arif Alderico era di fronte all'unica porta d'accesso. «Hai mangiato?» chiese l'amir. Ash fissò l'uomo dalla barba ben curata. Poteva intravedere qualche lontanissima somiglianza con il ritardato, ma gli occhi erano quelli di una persona estremamente intelligente. Sapeva che la gentilezza era una tattica per cercare di ammorbidirla. «No, lord-amir» rispose Ash in tono mesto facendo ricorso al suo migliore latino cartaginese. «Fai portare del cibo, arif» ordinò l'uomo quindi le indicò la sedia più bassa che si trovava a fianco della sua. Alderico fece un inchino e uscì dalla stanza. «Io sono l'amir Leofric e ti trovi nella mia casa.» Fin qua tutto a posto, pensò Ash. Lei mi ha parlato di te. Diciamo che sei il suo quasi padre. «Siediti.» Ash sentì i piedi che si scaldavano nel momento stesso in cui cominciò a camminare sui tappeti che ricoprivano il pavimento. Un uomo dai capelli molto simili ai suoi la superò, posò un piatto di ceramica pieno di cibo fumante sul tavolo e uscì dalla stanza senza dire una parola. Ash valutò che doveva avere più o meno la sua età. Deve essere uno schiavo, pensò. Ha un collare e sia Alderico che il lord-amir Leofric gli hanno prestato la stessa attenzione che riserverebbero a una lampada. Cercò di nascondere la paura che le attanagliava lo stomaco e si accomodò sulla sedia imbottita. Lo schienale sembrava avvolgere la sedia per poi risalire a formare i braccioli. Per un attimo Ash non seppe come sedersi. L'amir Leofric, che la stava studiando attentamente, non sembrava per nulla preoccupato dal fatto che la prigioniera potesse avere le pulci. Il cibo, due o tre oggetti gialli e morbidi a forma di borsellino, fumavano nell'aria fredda. Ash ne prese uno con le mani sporche e lo morse. Sapeva di patata, pesce e zafferano. «Merda!» Il bianco di un uovo era schizzato fuori dall'impasto e aveva cominciato a colarle lungo il polso e l'avambraccio. Ash si leccò la pelle con un unico e rapido movimento della lingua. «Bene, sir...» Aveva alzato la testa con l'intenzione di cominciare a parlare, ma quello che vide la fece scattare in piedi incurante del fatto che la maglia che indossava le copriva appena le gambe.
«Cristo, è un ratto!» Indicò la pancia dell'amir. «È un ratto della peste 122 !» «Niente di simile, mia cara.» Il nobile visigoto sfoderò un sorriso sorprendentemente piacevole che lo ringiovaniva. I denti spiccavano bianchi sulla barba bionda striata di grigio. L'amir chinò il capo e fischiettò per incoraggiare il roditore. Un naso rosa e un musetto peloso emersero dalle pieghe della tunica bianca con le cuciture dorate. I piccoli occhi neri privi di pupille fissarono Ash che arretrò. Il pelo del roditore era bianco e candido. L'immobilità di Leofric lo incoraggiò a uscire dall'abito e ad arrampicarsi cautamente sulla coscia. Dietro le anche robuste spiccava una coda priva di peli e dei testicoli grossi come delle noci. Solo il corpo era più lungo di una quindicina di centimetri. «E quello non sarebbe un ratto? Portatelo via!» Il ratto sentì la voce di Ash e incurvò la schiena. I ratti sono solitamente neri e grossi più o meno come un topo. Quello che stava guardando Ash era grosso nella parte posteriore e si stringeva verso la testa. Il muso era più piatto di quello dei topi e aveva delle orecchie piccole, molto sproporzionate rispetto alle dimensioni della testa. «È una specie differente di ratti. La mia famiglia li portò qua da un viaggio nel Regno di Mezzo123 .» L'amir Leofric cominciò a mormorare tranquillo e grattò con un dito il pelo dietro le orecchie del roditore. Il ratto si drizzò sulle zampe posteriori facendo tremare i baffi per sondare l'aria e fissò l'uomo. «È un ratto, mia cara, ma di una razza differente.» «I ratti sono i lacchè del diavolo!» Ash arretrò di un paio di passi. «Ti mangiano metà delle provviste a meno che tu non abbia una muta di cani. Solo Cristo sa i problemi che mi hanno dato queste bestiacce...! Schifose, sporche... e portano la peste 124 !» 122
Questo, come altri particolari, sono delle aggiunte al manoscritto originale. Anche se non compaiono in altri manoscritti il contesto le pone come accettabili: il ruolo del Rattus Rattus come portatore della 'pulce della peste' non venne scoperto fino al 1869. Io sospetto che un collezionista vittoriano abbia messo mano a questi documenti. Forse si tratta di un discendente dell'uomo che scrisse il 'Fraxinus me fecit'. 123 Forse si tratta della Cina. Dalla descrizione del testo, questo non è un Rattus Rattus, il ratto nero, ma il Rattus Norvegicus, il ratto marrone che è di origini asiatiche. 124 La preoccupazione di Ash riguardo al potenziale distruttivo dei
«Un tempo, forse.» L'amir fischiò nuovamente. Era un suono veramente puerile per un adulto e Ash ebbe la netta impressione di sentire uno sbuffo disgustato da parte dell'arif Alderico che continuava a sorvegliare la porta. La tunica di Leofric si mosse. «Chi sei, piccolino...?» sussurrò. Altri due ratti gli apparvero sulle spalle. Uno aveva il pelo giallo chiazzato con macchie marrone seppia sulle anche, sulle zampe e sul muso. L'altro, e Ash se la luce fosse stata migliore sarebbe stata pronta a giurare di aver visto bene, era color ardesia, ma era di una tonalità così tenue da sembrare blu. Altre due paia di occhi privi di pupille presero a fissarla. «Una volta, forse» ripeté Leofric. «Un migliaio di generazioni fa. Si riproducono molto più velocemente di noi. Ho degli scritti che risalgono a decenni fa nei quali questi ratti erano descritti come marrone. Non erano belli neanche quanto la metà di te, mia cara» aggiunse, rivolgendosi a un roditore. «Questa specie è più di un secolo che non sa cosa sia una malattia. Ne ho di diversi tipi. Ratti di ogni colore e misura. Dovresti vederli.» Ash osservò paralizzata uno dei topi che girava la testa e mordicchiava l'orecchio dell'amir. Il morso di una di quelle bestie portava la febbre e a volte la morte. Senza contare che era molto doloroso. Ash sussultò, ma Leofric non si mosse. Il ratto blu gli strinse delicatamente il lobo delle orecchie tra le zampe, lo leccò per qualche istante, quindi premette il muso sulla barba dell'uomo, ricadde sulle quattro zampe e sparì tra le pieghe della tunica. «Sono i tuoi famigli!» esclamò Ash, disgustata. «Sono il mio passatempo.» L'amir Leofric aveva cominciato a parlare in francese. «Riesci a capirmi, mia cara? Voglio essere sicuro che ci capiamo a vicenda.» Rimasero a guardarsi per un altro momento in silenzio. Uno schiavo entrò e versò dell'olio in una lampada. Qualche secondo dopo l'aria venne pervasa dall'odore dolce dei fiori. Ash lanciò un'occhiata ad Alderico che bloccava la porta. «Cosa vi aspettate che vi dica, lord-amir?» gli chiese. «Sì, è ovvio che somiglio al vostro generale. Lei mi ha detto che l'avete allevata da una coppia di schiavi. Adesso capisco che potete farlo. Ci sono un mucchio di persone in questa casa che mi somigliano... ma è poi così importante? Ho cinquecento uomini di cui devo rispondere e malgrado quello che il vostro roditori proviene dal 'Fraxinus' e deve essere stata condivisa da tutti i comandanti di un esercito.
generale mi ha fatto a Basilea, sono più che disposta a firmare un altro contratto. Cos'altro posso dire?» Ash cercò di terminare scrollando le spalle malgrado fosse vestita come una Stracciona e avesse i capelli sporchi. «Dolcezza» disse Leofric. Qualche attimo dopo Ash comprese che l'amir si era rivolto al ratto. L'uomo chinò la testa in avanti, strofinò il naso contro quello del ratto, quindi gli carezzò la schiena. Il roditore si girò e prese a leccargli le dita. «Toccala. Non ti farà del male.» Fa di tutto per evitare le domande, pensò Ash torva mentre tornava a sedersi sulla sedia. Riluttante, allungò un dito e toccò il pelo che si rivelò sorprendentemente morbido, asciutto e caldo. La bestia si girò. Ash sussultò. Il ratto le aveva preso il dito tra le zampe e lei si paralizzò nel sentire quanto fosse leggera quella presa. La bestia le annusò delicatamente l'unghia sporca e rotta. Cominciò a leccarla, ma dopo qualche attimo si accucciò, starnutì due volte e si sedette sulle zampe posteriori sfregando quelle anteriori sul muso e sui baffi come se volesse pulirsi dallo sporco della nave. «Si sta lavando il muso come un Cristiano!» esclamò Ash. Lasciò la mano tesa nella speranza che il ratto continuasse la sua investigazione e improvvisamente si rese conto di essere seduta vicino all'amir e che oltre al suo profumo percepiva anche l'odore del sudore. Leofric accarezzò il ratto. «Ci vogliono anni per creare una varietà, mia cara. A volte si ottiene il colore giusto, ma insorgono altri difetti: ritardi, aggressività, psicosi, aborti, vagine deformate, intestini deformati al punto da esplodere perché intasati dalle feci.» Il ratto si sdraiò raggomitolandosi in grembo al Visigoto. «Possono volerci intere generazioni per avere una specie perfetta» continuò l'amir. «Per far riprodurre i bambini, i figli con le madri e le sorelle. Bisogna eliminare l'inutile per continuare con ciò che è utile, per anni e anni. E a volte il successo non sembra mai arrivare. O quando arriva è sterile. Riesci a capire perché sei così importante per me?» «No.» Ash sentiva la lingua attaccata al palato secco. L'amir Leofric sorrise come se si fosse reso conto della paura di Ash e al tempo stesso fosse anche concentrato su altre questioni. «Come puoi notare» aggiunse «questi, al contrario degli altri animali selvatici, sono molto docili. Questi ratti sono un prodotto secondario nei miei schemi di allevamento, una cosa che non mi aspettavo.»
«Sire!» La voce di Alderico rimbombò vigorosa contro le pareti. Ash si girò e vide che nella stanza stava entrando un corteo composto da schiavi, soldati, preti ariani, un abate e un uomo portato su una sedia. «Lord califfo!» L'amir Leofric si alzò rapidamente in piedi e fece un inchino. Il topo scomparve nei vestiti. «Sire?» Il fondo della stanza era pieno di uomini di Alderico. In mezzo a loro c'era un amir vestito con abiti ricchi e leggermente più giovane di Leofric e un individuo che indossava gli abiti verdi di un vescovo ariano. Ash trovò incongrua la croce che portava al petto. «Vi do il benvenuto nella mia casa» disse Leofric in tono formale. La sua voce era tornata calma. Un gesto e la sedia venne posata sul pavimento. «Sì, sì!» Il vecchio sulla sedia, i cui capelli bianchi un tempo dovevano essere stati rossi, aveva delle macchie scure sul viso che testimoniavano la presenza di efelidi ormai cancellate dal passare degli anni. La pelle delle braccia, intorno al naso e agli occhi era flaccida. Portava una tunica di coloro oro. Ash trattenne il fiato. Neanche le sfere piene di sostanze aromatiche portate dagli schiavi potevano nascondere l'odore delle feci e della malattia. Questo è il califfo Teodorico! si rese conto Ash. Alderico la costrinse a inginocchiarsi e vide solo i lembi delle tuniche e i sandali. «Allora?» La voce del califfo era debole. «Mio califfo» esordì Leofric «perché avete portato questi uomini con voi? L'abate e l'amir Gelimero che non è certo un amico della mia famiglia?» «Dovevo avere un prete!» si giustificò il califfo-re. Considera un abate alla stessa stregua di un semplice prete? si domandò Ash. «L'amir Gelimero non può stare qua!» «No? No, forse no. Gelimero? Fuori.» «Ma, califfo» protestò con voce acuta l'uomo «sono stato io a portarvi questa notizia, non l'amir Leofric. E lui la sapeva da tempo.» «Vero. Vero. Allora rimarrai in modo che io possa ascoltare i tuoi saggi consigli in merito. Dov'è la donna?» Ash concentrò lo sguardo sul tappeto. Si arrischiò a girare la testa per capire se era possibile raggiungere la porta, ma vide solo la selva di gambe corazzate delle guardie. Nessun amico, nessun alleato, nessuna possibilità di scappare. Voleva farsela addosso,
«È qua» ammise Leofric. «Fatela alzare» ordinò il califfo. Ash venne tirata in piedi e si trovò a faccia a faccia con due tra gli uomini più potenti e riccamente abbigliati di quel regno. «Ma è un ragazzo!» Il nazir Teodiberto uscì dal gruppo di guardie, strappò la maglia di Ash e arretrò. Ash tenne la pancia in dentro e rimase dritta. «È una donna» borbottò Leofric in tono rispettoso. «Sono venuto per incoraggiarla» spiegò il califfo. «Nazir Saris!» Un lieve trambusto tra le guardie vicino alla porta indusse Ash a girare la testa. Una spada scivolò fuori dal fodero. Il suono la fece balzare leggermente all'indietro malgrado la stretta di Alderico. Due guardie portarono dentro il prigioniero grasso. «No! No! Posso pagare! Posso pagare!» Il giovane strabuzzò gli occhi e cominciò a urlare a casaccio in francese, italiano e svizzero tedesco. «La mia gilda pagherà il riscatto! Vi prego!» Un soldato lo fece cadere sul pavimento e l'altro gli tirò su la tunica. La lama di una spada balenò nell'aria e scese con precisione verso il basso. «Cristo!» esclamò Ash. Gli intestini del prigioniero si rilassarono e l'aria fu pervasa dall'odore delle feci. Gli avevano amputato le gambe all'altezza delle ginocchia. Il giovane si trascinava sui gomiti urlando e singhiozzando e lasciandosi dietro una scia di sangue. «Parla con il consigliere Leofric» gli consigliò una voce asmatica. Ash si sforzò di distogliere lo sguardo dal califfo. «Parla con il consigliere Leofric» ripeté Teodorico. La luce della stanza conferiva alla pelle del monarca un colorito giallastro e faceva sembrare gli occhi due buchi neri. «Parlagli con sincerità e intelligenza. Ora. Non volevo che tu avessi dubbi sulla nostra determinazione e su quello che ti succederà alla prima menzogna.» L'uomo sul pavimento urlava e si dibatteva. Due soldati lo trascinarono fuori della stanza. Le statue dei santi osservarono la scena impassibili. «L'avete fatto solo per darmi una dimostrazione?» Incredula per quanto era successo, Ash aveva gridato con il tono che usava sul campo di battaglia senza neanche rendersene conto. Provò un senso di vertigine e sentì le mani e i piedi che si scaldavano. Sapeva che sarebbe potuta svenire e si inclinò in avanti per appoggiare le
mani alle gambe e respirare profondamente. Ho visto di peggio, ho fatto di peggio, ma mai con tanta noncuranza, per nessun buon motivo. Era stata la velocità d'esecuzione, il fatto che il malcapitato non avesse avuto nessuna possibilità di difendersi e il grado di menomazione che gli era stato inflitto, che l'avevano atterrita. Sentì il viso che riprendeva colore. «Avete rovinato la vita di quel povero stronzo solo per ripetere un concetto?» urlò nel linguaggio da campo. Il califfo-re non la stava ascoltando. L'abate gli stava parlando all'orecchio e lui annuì. Gli schiavi uscirono dalla stanza. L'aroma dei fiori non nascose il puzzo del sangue e delle feci. Alderico si allontanò da Ash che venne prese in consegna dai due che avevano appena mutilato il prigioniero. I soldati le strinsero i polsi e le girarono le braccia dietro la schiena per bloccarla. «Uccidetela adesso» consigliò l'amir Gelimero. Ash studio l'amir: un uomo sulla trentina, con occhi piccoli e inespressivi e barba scura. «Non importa la grandezza del pericolo che questa donna può rappresentare per la nostra crociata al Nord, mio califfo, dovete ucciderla.» «No!» intervenne precipitosamente Leofric. «No! Come potremmo sapere cosa è successo? Devo esaminarla!» «È solo una contadina del Nord» sibilò il califfo-re. «Perché sprecare il tuo tempo con una così, Leofric? Il meglio che possiamo ottenere è un altro generale, ma ne abbiamo già uno. Ci dirà come mai fa così freddo? Perché questo freddo infernale ci attanaglia da quando la tua schiavagenerale è partita? Più si spinge a nord e più qua diventa freddo. Comincio a chiedermi cosa voglia Dio da noi! Che questa guerra non fosse del tutto espressione del Suo volere? Leofric, non mi avrai condannato alla dannazione?» «Sire» disse allegro l'abate «la Penitenza è un'eresia del Nord. Dio ci ha sempre concesso un'oscurità che, se da una parte ci impedisce di coltivare la terra, non di meno ci spinge a conquistare terre per Lui. Ci ha resi guerrieri non contadini o vaccari, siamo nobili. È la Sua sferza che ci rende casti e ci sprona a portare a compimento il Suo volere.» «Fa freddo, abate Muthari.» Il califfo-re lo interruppe con un cenno della mano. La luce delle lanterne mise in evidenza le macchie scure che costellavano la pelle delle dita. Teodorico chiuse gli occhi. «Sire» mormorò Gelimero «prima di qualsiasi altra cosa, suggerirei di farle tagliare la mano con la quale maneggia la spada. Non importa quanto
vivrà dopo.» L'immagine di due moncherini che fiottavano sangue si formò immediatamente nella testa di Ash che deglutì la bile e si sentì investire da un'ondata di nausea. Un muso peloso fece capolino dalla spalla dell'amir Leofric. Gli occhietti scuri la sorvegliavano. Il ratto fece tremare i baffi. Leofric si inclinò in avanti per parlarle e la bestia si sedette per pulirsi il pelo blu. «Dammi qualcosa, Ash!» la implorò l'amir a bassa voce. «Mia figlia mi ha assicurato che sei una donna molto in gamba, ma io ho solo la speranza e non delle prove. Dammi qualcosa che io possa usare per farti vivere. Teodorico sa che sta morendo ed è diventato molto incurante della vita altrui nel corso delle ultime settimane.» «Qualcosa? Ma cosa?» Ash deglutì e cercò di schiarirsi la vista. «Il mondo è pieno di bravi mercenari, mio signore.» «Non posso disubbidire al califfo-re! Dammi una ragione per non farti giustiziare! Sbrigati!» Ash fissò affascinata il ratto che si puliva dietro le orecchie con le zampe rosa, quindi spostò lo sguardo su Leofric e l'espressione implorante del suo viso. Può darsi che mi liberino o che mi uccidano rapidamente, pensò Ash. Uccisa velocemente sarebbe meglio. Cristo Santo se so che è meglio! Ho visto fare di tutto a un corpo umano. Non voglio finire nelle mani dei loro torturatori. «Va bene, va bene» disse Ash «quando combatto sento una voce. L'ho sempre fatto ed è la stessa che sente anche vostra figlia. È ovvio che sono una sua parente, sono uno scarto dei vostri esperimenti, ma sento la voce!» Leofric la prese per i capelli e socchiuse gli occhi. Ash si rese conto che l'amir era scettico. Non mi crede, pensò. «Dovete credermi! Vi ho detto la verità!» sussurrò Ash. L'amir Leofric si girò. Sarebbe caduta se non ci fosse stato qualcuno a tenerla. Il nazir Teodiberto rideva e la sosteneva cingendole il petto con un braccio. «Sente la voce del Golem di Pietra, sire» annunciò Leofric. «Lo dite adesso al posto suo» sbuffò l'amir Gelimero. Le labbra del califfo-re erano sbiancate e la sua attenzione si era spostata dall'abate al suo fianco al battibecco tra Gelimero e Leofric. «Certo dice quelle cose» disse in tono ironico il califfo-re Teodorico.
«Leofric! Stai cercando di salvarla propinandomi di nuovo la favola di un altro generale schiavo!» «Io sento la voce del Golem di Pietra» disse Ash ad alta voce e in latino cartaginese. «Vedete?» protestò Gelimero. «Non sapeva come si chiamava finché non l'avete detto!» Ash aprì la bocca per parlare di nuovo, ma Teodiberto gliela tappò con una mano piantandole le dita nella giuntura della mascella per impedirle di mordere. L'amir Leofric fece un profondo inchino e il topo scomparve nuovamente tra le pieghe della sua tunica. «Sire» disse Leofric, dopo essersi rialzato «Ciò che dice l'amir Gelimero può essere vero. Questa donna potrebbe dire quelle cose solo perché ha paura del dolore che potremmo infliggerle. «C'è solo un modo per capirlo. Sire, vorrei avere il vostro permesso di torturarla finché non sapremo se ciò che afferma è vero.» III «Divertiamoci un po'. Avete sentito il vecchio. Non importa cosa le succede, basta che non muoia» disse uno dei commilitoni di Teodiberto. Ash non avrebbe saputo dire se era stato il soldato biondo o un altro. Otto uomini, nove con il nazir, molto simili tra loro a dispetto della corazza leggera e delle spade. Avrebbero potuto essere dei soldati dell'esercito di Carlo, Federico o uomini del Leone Azzurro. Dove mi stanno portando? si chiese, mentre sentiva i piedi nudi che raschiavano contro i gradini di pietra. La scala a chiocciola scendeva sotto il livello della strada. È possibile che tutta la collina sotto Cartagine sia piena di celle? si chiese. E quanti vi sono entrati e mai usciti? Qualcuno. Deve essere stato solo 'qualcuno'. Cosa intendeva dire con 'tortura'? Non poteva intendere nel senso di tortura! No, non è così. «Perché no?» disse il nazir Teodiberto, sghignazzando. «Ma voi non avete visto niente. Non è successo niente alla sua puttana tanto preziosa, giusto?» Gli altri otto uomini borbottarono il loro assenso. Il puzzo di sudore aleggiava nell'aria. Anche se avevano appena imboc-
cato un corridoio, Ash capiva dall'odore dei soldati che si stavano eccitando. Posso resistere. Posso cavare un occhio, rompere un dito o un braccio, castrarne uno e poi? Mi rompano i pollici e le tibie e mi violentano davanti e dietro, pensò Ash mentre la spingevano. «Vacca!» Un soldato le strizzò un seno con forza. Ash urlò e colpì l'uomo alla gola. Una pioggia di pugni e schiaffi si abbatté su di lei facendola sbattere contro la parete di una cella. La ferita alla testa era tornata a pulsare. Sentì il pavimento di terracotta sotto le ginocchia. Un uomo tossì violentemente e le sputò addosso. Qualcuno le diede un calcio poco sotto l'ombelico. Ash si sentì mancare l'aria. Ansimò contro il pavimento. Le avevano già tolto le brache e qualcuno le strappò via gli ultimi pezzi della maglia. «Fottetevi!» riuscì a dire Ash con la voce ridotta a un filo. Udì quattro o cinque uomini che ridevano. La presero a calci ridendo ogni volta che lei si ritraeva per cercare di sfuggire al dolore. «Vai per primo, Barbas! Fattela!» «Non io, uomo. Non la tocco quella. Le puttane portano le malattie. Tutti sanno che le puttane del Nord sono malate.» «Oh, il bambino vuole solo le tette della mamma e non una donna! Vuoi che leghi la donna guerriero così pericolosa? Hai paura di toccarla?» Ash sentì il tonfo degli stivali contro il pavimento della cella. I soldati avevano battuto i piedi molto vicino alla sua testa. La luce della lampada conferiva al pavimento una sfumatura rossastra. Vide i lembi sporchi dei vestiti, le maglie di anelli metallici ben rifinite, gli schinieri a protezioni delle caviglie. Si girò sulla pancia e sollevò la testa cogliendo alcuni particolari dei soldati: un paio di occhi castani dall'aria spiritata, una guancia con la barba, un polso peloso strofinato contro una bocca piena di denti bianchi e sani, una cicatrice che serpeggiava lungo una coscia, un vestito tirato su e il rigonfiamento di un pene che si inturgidiva. «Scopiamola! Gaina! Favritta! Che cazzo rimanete lì impalati? Non avevate mai visto una donna prima di oggi?» «Prima Gaiserico!» «Sì facciamo fare al ragazzino!» «Tiralo fuori, bello. Tutto lì? Non lo sentirà neanche.» Le voci dei soldati risuonavano contro le pareti. Ash ebbe l'impressione di essere tornata a quando aveva dieci anni. Aveva di fronte degli uomini
infinitamente più forti e muscolosi di lei. Otto uomini non erano solo più forti di una donna, ma anche di un uomo. Otto sono più forti di uno. Ash sentì le lacrime che le colavano da sotto le palpebre. «Mi porterò uno di voi con me» urlò, mettendosi carponi. «Vi lascerò un bel segno, vi mutilerò per tutta la vita...!» La saliva che le colava dalla bocca macchiava il pavimento. Vide ogni crepa, ogni grumo di terracotta delle piastrelle. La testa e le stomaco le pulsavano dal dolore. «Vi uccido! Vi uccido!» Teodiberto si piegò in avanti, si fermò a pochi centimetri dal suo volto e proruppe in una risata sguaiata. «Dove cazzo è finita la donna guerriero, adesso?» le urlò in faccia. «Allora, ragazza? Ti batterai contro di noi?» «Certo, proverò a uccidere otto uomini a mani nude e senza nessun aiuto.» Ash non si rese neanche conto di aver parlato ad alta voce e con disprezzo. Teodiberto socchiuse gli occhi e il ghigno gli scomparve dalla faccia. Il nazir rimase fermo dov'era con le mani appoggiate sulle cosce. L'espressione del suo volto indicava confusione. Ash si paralizzò. «Certo, proverò a fare un gesto tanto stupido» sussurrò in tono irriverente. In quei momenti osava appena prendere fiato. Alzò gli occhi e vide i ventenni che dovevano rispondere ai nomi di Barbas, Gaina, Fravitta e Gaiserico senza sapere chi fossero esattamente. Lo stomaco le faceva male. Si sedette sui talloni ignorando il rivolo di urina che le stava colando tra le cosce. «Non ci sono 'guerrieri' sul campo di battaglia» disse Ash servendosi del poco cartaginese che conosceva. «Ci siete solo tu e i tuoi compagni, tu e il tuo capo. Una lancia. La più piccola unità che si possa schierare sul campo. Otto o dieci uomini, nessuno dei quali è un eroe. Un uomo solo là fuori è carne da macello. Io non sono un cazzo di eroe volontario!» Aveva appena parlato di una realtà con la quale lei aveva a che fare tutti i giorni. Guardò la luce gialla e le ombre che ondeggiavano contro le pareti e i volti rosei dei soldati. Due di loro arretrarono e il più giovane, Gaiserico, forse, sussurrò qualcosa a un compagno. Si staranno dicendo delle cose che solo i militari possono dirsi, pensò Ash. Nessun civile farebbe discorsi simili. Non siamo uomini contro donne. Militari contro civili. Siamo dalla stes-
sa parte. Forza, non lo capite? Sono una di voi! Ash era abbastanza intelligente da rimanere ferma dov'era e in silenzio. Sembrava del tutto inconsapevole di essere nuda, era come se si trovasse in una latrina da campo. Il sudore le imperlava il volto e un rivolo di sangue usciva dal labbro spaccato. Una donna magra, dalle spalle robuste e i capelli tagliati corti come quelli di una suora. «Fanculo» disse Teodiberto, profondamente risentito. «Fottuta puttana.» «Cosa vuole fare la donna, nazir? Ci sta per uccidere tutti quanti?» chiese una voce sardonica alle spalle del soldato. Ash avvertì che l'atmosfera della cella si era molto tranquillizzata. Rabbrividì e sentì i capelli e i peli del corpo che si rizzavano. Sono in servizio, pensò, altrimenti avrebbero potuto essere ubriachi. «Chiudi quella cazzo di bocca, Barbas!» «Ai tuoi ordini, nazir.» «Fanculo a te e a lei.» Teodiberto si girò facendosi largo tra i suoi uomini per raggiungere la porta. «Come mai nessuna di voi, merde, è già uscita? Fuori!» Un soldato muscoloso protestò appena «Ma, nazir...» Il nazir gli diede una pacca abbastanza violenta da spostarlo. I corpi dei soldati si ammassarono davanti alla porta per qualche secondo. I secondi più lunghi che Ash avesse mai sperimentato, solo sul campo di battaglia aveva percepito delle situazioni simili: secondi che sembravano durare un'eternità. I soldati borbottavano insoddisfatti tra di loro, ignorandola apposta. Uno sputò a terra, qualcun altro rise e sentì dire da un altro che avrebbero dovuto spezzarla comunque. La porta della cella venne chiusa. La cella era vuota. La chiave scattò nella serratura. I soldati si allontanarono lungo il corridoio e le loro voci svanirono lentamente insieme all'eco dei passi. «Figli di puttana.» Ash lasciò cadere la testa in avanti. Attese la cascata di capelli che le coprisse il volto, ma non successe nulla. Alzò la testa e fissò la parete illuminata dalla lanterna oltre la porta della cella. «Oh, Cristo, salvami.» Cominciò a tremare. Le sembrò di essere un cane uscito dall'acqua e con sua somma sorpresa scoprì che non poteva fare nulla per fermare i tremori. La lanterna del corridoio illuminava solo parte del pavimento e della parete a mosaico. Il lucchetto della cella era più grosso dei suoi due pugni mes-
si vicini. Ash cominciò a tastare il pavimento della cella e trovò la maglia. Gocciolava. Uno dei soldati ci aveva pisciato sopra. Il freddo era intenso. Cercò di coprire la maggior parte del corpo con ciò che rimaneva della maglia e si rannicchiò contro un angolo della cella. La mancanza di una porta la disturbava. Non si sentiva meno imprigionata, ma più esposta. Non le importava se le sbarre non erano abbastanza larghe da far passare una mano. Un bruciatore di Fuoco Greco si accese improvvisamente nel corridoio illuminando parzialmente la cella. Ash sentiva male alla pancia. Ben presto si abituò all'odore dell'urina sulla maglia. Il vestito cominciò a scaldarsi a contatto con il suo corpo. Il respiro si condensava nell'aria. Il freddo le intorpidiva le dita dei piedi e delle mani, attenuando il dolore per i tagli alla fronte e al labbro. Il sangue continuava a colare da una ferita e lei lo assaggiò. Strinse ancora di più le braccia intorno allo stomaco per cercare di lenire il dolore crescente. Sono riuscita a prenderli alla sprovvista, pensò, ma non succederà una seconda volta. Li ho fregati perché sono indisciplinati: cosa succederà quando riceveranno l'ordine preciso di violentarmi, picchiarmi o rompermi le mani? Ash si raggomitolò ancora di più e cercò di placare la paura e dimenticare la parola 'tortura'. Fanculo Leofric, pensò, come può avermi dato da mangiare e poi farmi questo, non era serio quando parlava della tortura. Non intende bruciarmi gli occhi, rompermi le ossa e tutto il resto, doveva intendere qualcos'altro. Deve esserci stato un errore. No. Nessun errore. Non mi serve a niente ingannarmi. Perché pensi che ti abbiano lasciata qua sotto? Leofric sa cosa e chi sono. Lei deve averglielo detto. Io uccido per mestiere e lui deve sapere cosa mi sta passando in questo momento per la testa. Solo perché so cosa c'è da fare non significa che funzioni. Sentì un'altra fitta di dolore allo stomaco e un altro brivido freddo. Premette entrambi i pugni contro l'addome. Il dolore calò d'intensità per qualche attimo, quindi tornò a crescere a tal punto che, quando cominciò nuovamente ad attenuarsi, Ash cominciò a singhiozzare, tremare e bestemmiare. Aprì gli occhi. Si mise una mano tra le cosce e la portò vicino al naso. «Oh, no.»
Non riusciva a sentire l'odore del liquido sulle dita, ma il modo in cui le tirava la pelle mentre si seccava non le lasciò dubbi. «Sanguino!» urlò. Si alzò in piedi a fatica, zoppicò fino alla grata, strinse le sbarre e cominciò a urlare. «Guardia! Aiuto! Aiuto!» Nessuno le rispose. L'aria del corridoio era fredda. Nessuno le rispose dalle altre celle. Non udì né il suono delle chiavi né quello delle armi. Non c'era la stanza delle guardie. Il dolore la piegò in due facendola urlare a denti stretti. In quella posizione vide che la pelle dell'interno coscia era nera dal pube fino al ginocchio e un rivolo di sangue aveva cominciato a scendere fino alla caviglia. Non si era accorta della perdita. Un'altra fitta, molto simile a quella delle mestruazioni, ma più forte e decisa, le trapassò la pancia raggiungendo l'utero. Il sudore le ricoprì il volto, il petto e le spalle. Ash strinse le dita. «Gesù, ti prego! Aiutami! Aiutami! Aiutami! Un dottore! Qualcuno mi aiuti!» Crollò sulle ginocchia e premette la fronte contro le piastrelle pregando che il dolore delle escoriazioni ottenebrasse quello alla pancia. Deve essere fermo, pensò. Completamente fermo! Non può succedere. Altri crampi e l'ennesima fitta di dolore. Strinse le mani tra le cosce come se volesse trattenere il sangue. La luce della lampada si affievolì. Ash aveva le mani sporche di sangue. Lo stesso sangue che le sporcava la pelle mentre lei cercava di bloccarlo all'uscita della vagina. Lo stesso sangue che continuava a colarle tra le dita. «Qualcuno mi aiuti! Chiamate un chirurgo. La vecchia. Qualcuno. Aiuto! Aiutatemi a salvarlo! Vi prego è il mio bambino...» La sua voce si perse nel corridoio, ma l'unica risposta che ricevette fu l'eco delle sue parole. Il silenzio era così intenso che poteva sentire il sibilo sommesso della lampada. Il dolore cessò ancora per qualche attimo durante il quale Ash pregò continuando a tenere le mani tra le cosce, dopodiché riprese ancora più violento. Il sangue macchiava il pavimento rendendolo scivoloso e la luce artificiale lo faceva sembrare nero. Singhiozzò di sollievo quando il dolore calò e si lamentò quando sentì che tornava ad aumentare. Non riuscì più a trattenersi dal piangere. Il sangue fuoriusciva dalle labbra della vagina macchiandole le mani prima di gocciolare sul pavimento. Il sangue caldo le sporcava tutto il corpo e la
cella. Si accucciò in un angolo stringendo le braccia e mordendosi l'interno della bocca per poi urlare dal dolore e sentire il sangue che si rapprendeva sulla pelle. «Robert!» implorò, ma la richiesta si spense contro le pareti della cella. «Oh, Robert! Florian, Godfrey! Aiutatemi, aiutatemi, aiutatemi...» Un crampo le contrasse lo stomaco. Il dolore la investì come un'onda facendola annegare in un mare d'agonia. Voleva svenire, ma il suo corpo continuava a tenerla ben desta per farle sentire ogni attimo del processo e riempiendola di una furia contro... chi? Cosa? Se stessa? Ash si piantò le unghie nei palmi delle mani. L'odore del sangue riempiva la cella. Il dolore le martoriava il corpo, ma era la consapevolezza di quanto stava succedendo che le faceva ancora più male. Piangeva piano, quasi avesse paura che la sentissero. Era preda del senso di colpa. Non sarebbe successo se non avessi chiesto a Florian di liberarmene, pensò. Si sentiva completamente disorientata, sapeva solo che fuori il cielo doveva essere buio come durante il giorno e non stellato come di notte. La pancia si contrasse di nuovo insieme al resto del corpo. Passò qualche attimo e l'utero cominciò a rilassarsi. Ash sgranò gli occhi e avvertì una profonda sensazione di sollievo. Anche gli altri muscoli si rilassarono. Sentiva il seno che le doleva. Giaceva raggomitolata a terra nel cono di luce della lampada. Aveva le mani sporche di sangue appiccicoso. Su un palmo c'era qualcosa di piccolo che si stava seccando. Una sorta di cordone gelatinoso che terminava in una massa poco più grossa di un'oliva. La luce illuminò la testa e i fianchi appena abbozzati e la curvatura della schiena. Un aborto di nove settimane. «Era perfetto» urlò. «Era perfetto!» Ash pianse in maniera straziante. Ogni singhiozzo sembrava lacerarle i polmoni. Tremava. Si raggomitolò ancor di più e cominciò a urlare nell'oscurità. IV Ash non si rese conto dei passi felpati che le si avvicinavano e dei sussurri. I singhiozzi strazianti si erano trasformati in un pianto silenzioso e il dolore aveva smesso di essere un rifugio. Il corpo tremava per il trauma e per
il freddo. Ash strinse le mani fredde intorno alle caviglie. Aveva le labbra secche. Sentì che il mondo e il suo corpo tornavano a essere una realtà. I muri freddi le gelavano i fianchi. Tremava e sentiva che tutti i peli del corpo si erano rizzati. Stava aspettando il sonno come chi si sdraia in alta montagna quando fa freddo e si addormenta per l'ultima volta. La porta della cella si aprì sbattendo contro la parete ed entrarono degli schiavi a piedi nudi. Ash sentì delle urla, cercò di muoversi, ma le fitte alla vagina e gli spasmi del corpo glielo impedirono. «Per l'Albero di Dio» imprecò una voce roca «non sapevate che dovevate avvertirmi immediatamente!» Ash alzò la testa dal pavimento malgrado il collo rigido e gli occhi gonfi. «Andate ad accendere le lampade nell'osservatorio!» Un massiccio soldato visigoto schioccò le dita. L'arif Alderico sbottonò la tunica color indaco che portava sulla spalla, si inginocchiò sul pavimento macchiato di sangue e la avvolse nell'abito. Ash vomitò e la bile giallastra macchiò la lana blu. L'arif le passò un braccio sotto le ginocchia, uno sotto le spalle e la sollevò. Il mosaico sul muro cominciò a roteare. «Fuori dai piedi!» Gli schiavi si allontanarono di corsa. Qualche tempo dopo Ash sentì che qualcuno la stava coprendo con una coperta di lana e seta. Il calore fece aumentare i tremori. Alderico la strinse con più forza. Salirono diverse rampe di scale e attraversarono il cortile spazzato dalla neve. Durante il tragitto, Ash cercò di allontanare quanto era successo, provò a riporre tutto in quell'angolo della sua mente dove teneva i brutti ricordi, la gente che l'aveva tradita e gli errori di calcolo che avevano fatto perdere la vita a degli uomini. Sentì le lacrime sotto le palpebre e una le scivolò sul viso. Entrarono in un altro edificio e furono immediatamente accolti da un nutrito manipolo di schiavi. Altri ordini furono urlati, mentre attraversavano alcune stanze, si inoltravano lungo dei corridoi e scendevano lungo altre rampe di scale. Il dolore annullava ogni sensazione tranne quella di essere portata attraverso un dedalo di stanze ricavate all'interno della collina sulla quale sorgeva la città. L'abbraccio dell'arif la rilassò. Sentì qualcosa di duro che le premeva contro la schiena. Era stata posata su un lettino dentro una stanza spaziosa.
Gli schiavi si affaccendarono intorno al letto e posarono una decina di tripodi pieni di braci ardenti in diversi punti della stanza. Ash si guardò intorno e vide una fila di armadietti. Sopra di essi le lampade illuminavano le due paratie di legno che, simili alle valve di una gigantesca ostrica, stavano oscurando la vetrata che fungeva da soffitto. Un volta terminata l'operazione di chiusura, gli schiavi legarono le corde. Una ragazzina dai capelli chiari che non doveva avere più di otto o nove anni guardò Ash in cagnesco passandosi un dito sul collare. Gli schiavi maschi uscirono e rimasero solo due bambini ad accudire i bracieri. Alderico impartì degli ordini secchi e altre persone entrarono nella stanza. Un liberto con la barba e un abito di lana fissò Ash. Il nuovo arrivato era in compagnia di una donna che aveva un velo nero appuntato alla coroncina che portava in testa. I due cominciarono una rapida conversazione nel latino usato dai medici. Ash riuscì a capire quasi tutto perché era abituata ad ascoltare Florian. I due le aprirono le gambe e, a turno, le infilarono il dito indice nella vagina. Ash sussultò appena. «Allora?» chiese una terza voce. Aveva passato troppo poco tempo in compagnia dell'amir per ricordarsi il suo volto, quindi ci impiegò qualche secondo a riconoscere i capelli e la barba striati di bianco e gli occhi arrossati che la fissavano allarmati. La donna, che doveva essere un medico, disse: «Non concepirà più, amir. Guardate. Sono sorpresa che sia riuscita a tenere il feto così a lungo. Ci sono dei danni permanenti: non potrà mai portare a termine una gravidanza. L'entrata dell'utero125 è praticamente distrutta e ci sono le cicatrici di ferite molto vecchie.» Leofric cominciò a camminare per la stanza. Allungò le braccia e uno schiavo gli infilò una tunica di lana verde e gialla. «Per l'Albero di Dio! Anche questa è sterile!» «Proprio così.» «A cosa mi può servire questa femmina sterile? Non può dare alla luce un figlio!» «No, amir.» La donna infilò una mano tra le cosce di Ash, la ritirò insanguinata e la usò per spostare il velo, dopodiché si rivolse ad Ash in francese parlandole con lo stesso tono usato con una bambina o un animale. Lo stesso tono usato con gli schiavi. «Ti darò una pozione da bere. Se c'è ancora qualcosa da espellere la po125
Forse si tratta della cervice.
zione di aiuterà. Avrai delle perdite. Perdite di sangue, mi capisci? Dopo starai bene.» Ash mosse i fianchi. Qualcuno le tolse gli oggetti metallici che le avevano infilato nella vagina e lei provò una sensazione di sollievo. Cercò di muoversi, di sedersi, ma il secondo dottore, l'uomo, le bloccò i polsi. Ash notò che i polsini color oliva erano stati cuciti frettolosamente alla tunica. Anche i bottoni erano stati applicati in maniera del tutto sommaria. Le asole erano dei piccoli strappi nella lana. Deve averlo fatto fare di fretta e furia da uno schiavo, pensò Ash. Il dottore si inclinò ulteriormente in avanti e Ash poté scorgere un abito di seta sotto la tunica. Non si aspettava di trovare delle persone vestite in quel modo a Cartagine. Anche l'abito nel quale l'aveva avvolta Alderico era piuttosto rozzo. Era ovvio che i Cartaginesi non erano preparati ad affrontare un clima di quel tipo. Quello che stava sperimentando in quel luogo non aveva nulla a che fare con il Crepuscolo caldo e dolce che le aveva descritto Angelotti. Il Crepuscolo Eterno che non permette a nulla di crescere, ma dove i nobili di Cartagine possono camminare vestiti di seta sotto il cielo indaco. L'aria stessa sembrava scricchiolare a causa del gelo. La donna le portò una coppa alle labbra e Ash bevve. La pozione aveva un sapore dolce ed erbaceo. Un attimo dopo avvertì un crampo che le chiuse le gola e le fece serrare la mascella con un singhiozzo. Avvertì chiaramente il sangue che macchiava la lana del vestito. «Vivrà?» chiese Leofric. «L'utero è forte» disse il dottore più vecchio, molto soddisfatto della sua diagnosi. «Anche il corpo è forte e non mostra molti segni di trauma. Il dolore potrebbe ucciderla solo se molto intenso. Può essere torturata con moderazione entro un'ora.» L'amir Leofric smise di passeggiare avanti e indietro e aprì la finestra. Una ventata di aria gelida entrò facendo diminuire il calore emanato dai bracieri. L'amir cominciò a fissare il firmamento privo di sole, luna o stelle. Ash, sdraiata nel letto, guardò l'uomo e pensò di essere a un passo dalla morte. Non fu un pensiero improvviso. Era un genere di meditazione a cui di solito si abbandonava prima di una battaglia, ma questa volta la rese pienamente consapevole della presenza di Leofric e i suoi dottori, dell'ani
Alderico e i suoi uomini, dei servi dediti alle loro occupazioni e delle centinaia di migliaia di uomini e donne che vivevano a Cartagine. Circa tre quarti di loro, pensò, sanno che c'è una guerra in corso. Per metà di questi il fatto ha una certa importanza, ma non si preoccupano minimamente dell'ennesima prigioniera che muore nella casa di un loro amir. Quello che la colpì più di tutto fu lo scoprire quanto lei, come persona, fosse poco importante. Tutte le cose che potevano succederle divennero improvvisamente possibili. Gli altri possono morire a causa di un incidente, di malattie del sangue, di febbre puerperale, per ordine del califfo-re, ma io... rifletté Ash. Aveva sempre pensato a se stessa come all'eroina della sua vita: quel che non riusciva ad accettare in quel momento era il fatto che la sua storia avrebbe avuto un finale uguale a quello di tutti gli altri (un giorno, in un futuro molto lontano). Non importa, pensò. Ci sono altri che possono vincere le battaglie senza l'aiuto delle 'voci'. Sono sostituibile. Tutto è governato dal caso. Rota Fortuna, la Ruota della Fortuna. Fortuna imperatrix mundi. «Stavo leggendo un rapporto mandato da mia figlia quando mi hanno chiamato» disse l'amir senza girarsi. «Scrive che sei una donna violenta, un'assassina professionista, dice che, proprio come lei, sei una guerriera per vocazione e non per addestramento.» Ash rise debolmente, ma abbastanza convinta, tanto che le vennero le lacrime agli occhi. «Già, devo dire che mi hanno permesso di scegliere tra molti mestieri» rispose, asciugandosi le lacrime. Leofric si girò. Alle sue spalle la neve cominciava a ricoprire i bordi delle persiane. La ragazzina che aveva fissato Ash con aria disgustata poco prima attraversò rapidamente la stanza e chiuse la finestra. Leofric la ignorò. «Non sei come mi aspettavo.» L'amir sembrava disturbato e franco allo stesso tempo. Tirò su i lembi della tunica verde e gialla e le si avvicinò. «Che stupido, pensavo che potessi essere come lei.» Mi chiedo cosa credi che lei sia, rifletté Ash tra sé. «Scrivi» ordinò Leofric a un ragazzino che aveva una tavoletta ricoperta di cera e uno stilo. «Note preliminari: il fisico. Ho davanti a me un ragazza abituata a vivere sporca, la pelle presenta tracce di infiammazioni da parassiti. I capelli sono infestati dai pidocchi. Lo sviluppo muscolare è inusuale per una donna, specialmente il trapezio e i bicipiti. Struttura di tipo contadina. Il tono muscolare generale è buono - anzi, ottimo. Alcuni segni
di malnutrizione nei primi anni di vita. Mancano due denti in alto a sinistra. Volto sfregiato, vecchi traumi alla terza, quarta e quinta costola sinistra e a tutte le dita della mano sinistra. Segni di quella che credo sia una frattura del cranio. Resa sterile da un trauma probabilmente subito prima della pubertà. Rileggi.» Il ragazzino cantilenò gli appunti dettati dall'amir che ascoltava attento. Ash sbatté le palpebre per asciugarsi le lacrime e si strinse nell'abito di lana. Non si era ancora ripresa del tutto. Prese fiato, non riusciva a pensare. «E questo cosa sarebbe?» chiese, lasciando affiorare la sua arroganza. «Il mio pedigree? Non sono una cacchio di cavalla marcia! Non sapete qual è il mio rango?» Leofric si girò verso di lei. «Qual è il tuo rango, piccola ragazzina franca?» Una folata di aria fredda soffiò sulle braci che si ravvivarono. Ash incontrò lo sguardo della piccola schiava inginocchiata vicino a un tripode. La ragazzina sussultò e distolse gli occhi. È serio? pensò Ash. Un soffio di vento sui carboni e la ragazzina ha tremato. «Suppongo di essere uno scudiero. Siedo a tavola con uomini di quinto grado di diritto.» Improvvisamente pensò di essere molto ridicola. «Posso mangiare allo stesso tavolo dei preti, avvocati, ricchi mercanti e nobildonne!» Ash si spostò nel letto in modo da essere più vicina al braciere. «E ora che ne ho sposato uno credo di poter mangiare con i cavalieri. 'La sostanza della vita non rende degni come il sangue nobile'. I cavalieri ereditari hanno più valore dei mercenari.» «Qual è il mio rango?» le chiese Leofric. Può essere torturata con moderazione entro un'ora. La carne brucia così facilmente, pensò Ash. «Dovreste essere di secondo grado, visto che un amir è secondo solo al califfo-re: dovreste corrispondere a un cardinale, un vescovo o un conte» rispose calma. Cosa sarà successo a John de Vere? si chiese. E se fosse morto? Ash guardò con cautela l'amir. «Come dovresti rivolgerti a me, allora?» le chiese. Vuole sentirsi chiamare lord-amir o mio signore, vuole che gli mostri rispetto. «'Padre'?» suggerì acida. «Mmm? Mmm.» Leofric si girò, si allontanò di alcuni passi da lei, la fissò per qualche attimo, quindi schioccò le dita all'indirizzo del giovane scriba. «Note preliminari: della mente e del carattere.»
Ash si sedette sul letto digrignando i denti per il dolore. Aprì la bocca per interrompere, ma vide il volto della piccola schiava contorcersi in una smorfia di terrore. «È una...» l'amir si interruppe da solo. Si era formato un rigonfiamento all'altezza della cintura di cuoio. I baffi e il muso di un grosso ratto fecero capolino dalla manica del vestito. Leofric abbassò il braccio con fare assente in direzione del letto di quercia e il ratto scese vicino ad Ash. «Mi trovo di fronte a una mente tra i diciotto e i vent'anni» dettò l'amir visigoto. «Ha una grande resistenza nei confronti del dolore, le mutilazioni e altre forme di danno fisico; si è ripresa dall'aborto di un feto di circa nove settimane in due ore.» Ash rimase a bocca aperta e ripensò alla parola 'ripresa'. Una mosca le sfiorò il dorso della mano facendola sussultare. Riprese a tremare e abbassò lo sguardo. Il ratto grigio le stava annusando la mano. «Questo deve essere dovuto al fatto che ha vissuto in mezzo ai soldati fin dalla più tenera età, adottando i loro modi di pensiero e seguendo entrambe le professioni militari: prostituta e soldato.» Ash allungò le dita sporche e il ratto cominciò a leccarle. La bestia aveva il pelo bianco a macchie grigie, un occhio nero e l'altro rosso. Ash lo carezzò con delicatezza dietro le orecchie e cercò di imitare il tono che Leofric usava per vezzeggiare i suoi animaletti. «Ehi, Leccadita. Tu dovresti essere il famiglio di una strega, giusto?» Il ratto la fissò. «Il soggetto dimostra mancanza di concentrazione e incapacità di pianificazione. Vive solo per assaporare il momento.» Leofric segnalò allo scriba di smettere. «Mia cara, quale utilità pensi che possa avere per me un capitano mercenario del Nord barbarico che sostiene di aver sempre vinto le battaglie grazie ai suggerimenti di un santo? A cosa pensi che mi possa servire una contadina ignorante che possiede solo delle capacità meramente fisiche?» «A niente.» Ash provò una fitta gelata allo stomaco e continuò a carezzare il pelo vellutato del ratto. «Ma voi non credete che io sia solo quello che dite.» «Hai trascorso abbastanza tempo in compagnia di mia figlia per imparare a imitarla quando parla con il Golem di Pietra.» «È la stessa cosa che sostiene il califfo-re» ribatté Ash, cinica. «E in questo caso ha ragione.» Leofric si sedette sul letto. Il ratto gli cor-
se subito incontro, si arrampicò su una coscia e appoggiò le zampe sul petto. «La Pancia di Dio ha ragione» aggiunse. «Lo sai anche tu che noi Visigoti non possiamo essere altro che soldati...» «La Pancia di Dio?» domandò Ash, stupita. «Il Pugno di Dio.» Si corresse Leofric. Era ovvio che si trattasse di un titolo di qualche genere. «Si tratta dell'abate Muthari. Devo smettere di chiamarlo in quel modo.» Ash ricordava bene il religioso in compagnia del califfo-re. In un'altra occasione avrebbe riso, ma la paura le irrigidiva il volto. «Non posso credere a quello che tu mi dici proprio perché tu devi riuscire a convincermi che senti la macchina» continuò l'amir, quindi si concentrò sul ratto. «Non ho mentito del tutto al califfo-re. Lo stesso vale per Gelimero, l'ho fatto solo per salvarti dalla sua stupida brutalità, ma ricorda che potrei anche torturarti per essere sicuro che stai dicendo la verità.» Ash si strofinò il viso con una mano. Le braci scaldavano l'aria, ma lei sudava freddo. «Come farete a sapere che sto dicendo la verità quando mi torturerete? Direi di tutto e voi lo sapete. Chiunque lo farebbe al mio posto! Io ho...» «'Io ho già torturato degli uomini'» l'anticipò l'amir Leofric dopo un attimo di silenzio. «È questo che volevi dirmi?» «Ho presenziato alle torture e ho dato ordini al riguardo.» Ash deglutì. «Dato quello che ho visto e ciò che so di essere, è molto più probabile che mi spaventi di me stessa che di voi.» Uno schiavo molto giovane entrò nella stanza e parlò con Leofric. L'amir arcuò entrambe le sopracciglia. «Suppongo che sia meglio farlo entrare.» Fece cenno al ragazzino di andare. Pochi attimi dopo un altro amir entrò nella stanza scortato da due soldati. Ash si ricordava di lui: era quello in compagnia del califfo-re. La rapida occhiata che lanciò a quegli occhi severi servì a ricordarle il nome: Gelimero. Lord-amir Gelimero. «Sua Maestà ha insistito e vuole che io controlli la situazione» disse il giovane amir. «Amir Gelimero, sapete bene che non sono mai andato contro un ordine del califfo-re.» I due si fecero da parte. Ash sentì una morsa gelida attanagliarle la bocca dello stomaco. L'amir Gelimero fece un cenno con la mano ed entrarono altri due uomini; uno portava una piccola incudine, il secondo un martello
e un collare di metallo. «È una richiesta del califfo-re» spiegò l'amir Gelimero in parte contrito e in parte strafottente. «Non è nata libera, giusto?» Gli uomini l'alzarono dal letto e Ash non fece nulla per ribellarsi. Mentre il fabbro terminava di fissare il collare, lei fissò il mosaico sulla parete che rappresentava il Cinghiale e l'Albero dell'Uomo Verde. Il suono del martello echeggiò ancora per qualche attimo nelle orecchie di Ash, dopodiché le versarono addosso dell'acqua per raffreddare il rivetto che chiudeva il collare. Ash non riusciva a muovere la testa, sputò dell'acqua e rabbrividì. La stanza puzzava di fuliggine. Ash avvertiva un peso sconosciuto intorno al collo e fissò in cagnesco Gelimero nella speranza di sembrare oltraggiata, ma non riuscì a mantenere a lungo l'espressione. «Credo che il collare sarà più che sufficiente» borbottò l'amir Leofric. «Comunque» disse l'amir più giovane. «Il nostro sovrano attende dei risultati.» «Presto potrò fare rapporto al califfo. Ho consultato i miei dati e ho trovato che erano nati sette esemplari nello stesso periodo: sono stati tutti scartati tranne mia figlia. È possibile che questa sia sfuggita all'eliminazione.» Ash tremava. La testa le pulsava a causa del rumore delle martellate. Mise un dito nel collare e lo tirò per saggiarne la resistenza. Gelimero si girò e per la prima volta fissò Ash. «Perché sei così arrabbiata, donna?» le chiese, con lo stesso tono di voce usato con gli schiavi e gli inferiori. «Fino adesso hai perso molto poco, dopotutto.» Ash rivide la lancia visigota che aveva ucciso Godluc. Sei anni di cure affettuose e battaglie insieme distrutti in un secondo. Strinse i pugni sotto la tunica che stava usando come coperta. Era molto più facile ricordare il muso del suo cavallo piuttosto che le facce di Henri Brant, Bianche e degli altri uomini e donne che trasformavano i carri in ostelli, bordelli o ospedali a seconda delle occasioni, gestendoli con tutto l'entusiasmo che avevano a disposizione, o ricordare Dickon Stour e i suoi eterni tentativi di migliorare l'armeria. Era molto più facile pensare al suo cavallo che a tutti i capitani di lancia morti e ai loro uomini, sobri o ubriachi che fossero, affidabili o inutili: cinquecento uomini sporchi e ben armati. Contadini che non avevano potuto coltivare le terre dei loro padroni, ragazzi in cerca d'avventura o criminali che volevano sfuggire alla giustizia, accomunati dal fatto che combattevano per lei. Come poteva dimenticare le tende sulle quali sventolavano gli stendardi, i
cavalli da guerra e quelli da traino, ogni spada con la sua storia, ogni uomo che aveva combattuto sotto il suo stendardo su qualsiasi terreno che era sempre troppo caldo, troppo freddo o troppo umido. «Già, cos'ho perso?» rispose Ash, amareggiata. «Niente!» «Niente di quello che potresti realmente perdere. Ti auguro una buona giornata, Leofric.» Il rivetto del collare non ancora del tutto raffreddato le pungeva la punta delle dita. Ash osservò Gelimero che se ne andava. Il peso della politica di quella società, una politica che era impossibile apprendere in mesi, figuriamoci in minuti, gravava su di lei. Leofric potrebbe cercare di salvarmi la vita, pensò Ash. Perché? Pensa che sia un altro faris? Che importanza può avere in questo momento? La mia unica possibilità è quella di mantenere alto il suo interesse nei miei confronti... Si sentì improvvisamente molto sola. Non importa se uno scopre di essere poco importante e quanto sia facile apprendere che si sta per morire. Il nostro io più recondito continuerà a chiedersi: «Perché io? Perché così in fretta? È un'ingiustizia.» Ash sentì la pelle che gelava. Leofric si girò verso di lei. «Ti suggerisco di parlare se vuoi vivere» le consigliò in francese. «Cosa posso dirvi?» «Come fai a parlare con il Golem di Pietra tanto per cominciare» le chiese Leofric, calmo. Ash si accomodò su una sedia di quercia che a lei sarebbe costata cinque anni di guadagni e disse: «Gli parlo e basta.» «Ad alta voce?» «Certo! In quale altro modo potrei farlo?» Leofric trovò modo di sorridere della sua indignazione. «Non gli parli, per esempio, mentre leggi a mente usando una voce interiore?» «Non so leggere a mente.» Dall'occhiata dell'amir, Ash comprese che egli aveva seri dubbi sulla sua capacità di leggere in qualsiasi modo. «Riconosco alcune delle tattiche» disse Ash «perché le ho lette nell'opera di Vegezio: Epitomae rei militaris.» Le rughe intorno agli occhi di Leofric divennero più evidenti. L'amir si stava divertendo, ma Ash continuava a rimanere sospesa tra la paura e il sollievo. «Credevo che fosse il tuo prete a leggertele» disse Leofric in tono ama-
bile. Ash si rilassò e sentì gli occhi che lacrimavano. Se non sto attenta questo finirà con il piacermi, rifletté Ash. È questo che stai provando a fare? Gesù, come devo comportarmi? «Robert Anselm mi diede una copia in inglese del libro di Vegezio126 . La tengo... la tenevo sempre con me.» «E senti il Golem di Pietra... come?» le chiese Leofric. Ash aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse. Bella domanda, pensò, neanch'io mi sono mai chiesta come faccio. Si portò un dito alla tempia e disse: «La sento. Qua.» Leofric annuì lentamente. «Neanche mia figlia è in grado di spiegarlo meglio. È una delusione sotto certi punti di vista. Speravo che una volta allevata una persona in grado di parlare a distanza con il Golem di Pietra, questa sapesse spiegarmi come succedeva... invece, niente. Solo 'lo sento' come se queste due parole spiegassero tutto!» Chi mi ricorda? continuò a pensare Ash. Qualcuno che si dimentica di tutto e si dedica al suo lavoro...? Angelotti e Dickon Stour. Ecco chi mi ricorda. «Voi siete un artigliere!» disse Ash, con voce quasi isterica, mentre premeva entrambe le mani sulla bocca e osservava l'espressione interdetta dell'amir. «Scusa?» «O un armaiolo! Siete sicuro di non aver mai sentito il bisogno di costruire delle maglie di anelli metallici, lord-amir? Tutte quelle migliaia di anelli uniti uno all'altro...» Leofric rise genuinamente divertito e scosse la testa confuso. «Non forgio cannoni né costruisco maglie metalliche. Cosa vuoi dirmi?» Perché non lo chiedo a te come faccio a sentire la voce del Golem? si domandò Ash. «Sono già stata catturata altre volte e ho subito più di un pestaggio: non c'è nulla di nuovo in questa situazione, mastro Leofric. Non mi aspetto di vivere fino alla seconda venuta di Cristo. Tutti moriamo.» «Alcuni in maniera più dolorosa di altri.» «Se pensate che questa sia una minaccia, vuol dire che non avete mai visto un campo di battaglia. Sapete cosa rischio ogni volta che esco là fuori? La guerra» disse Ash con gli occhi che le luccicavano «è qualcosa di molto 126
Conosciuto come il De rei militari. L'edizione è del 1408 tradotta per ordine di lord Thomas Berkley.
pericoloso, mastro Leofric.» «Ma tu sei qua» ribatté l'amir. «Non là fuori.» La calma di Leofric le gelò il sangue nelle vene. È proprio un artigliere. Come loro si preoccupa di tutto ciò che riguarda il tiro, il puntamento, l'alzo e la potenza di fuoco, e solo dopo pensa alle conseguenze dei proiettili. I cavalieri dopo la battaglia si siedono e discutono degli orrori della guerra; ma nessuno di essi smetterà mai di cercare una spada migliore, una lancia più pesante o un elmo che protegga bene la testa. Quest'uomo è un artigliere, pensò Ash. Un armaiolo. Un assassino. Proprio come me. «Ditemi cosa devo fare per rimanere viva» disse. È così che si sente Fernando, pensò Ash nel sentirsi pronunciare quelle parole. «Non importa quanto tempo mi rimane» continuò. «Basta che mi diciate cosa fare.» Leofric scrollò le spalle. Ash fissò l'amir lisciando con le mani le pieghe sulle spalle. Non ho mai chiesto, pensò, perché non ne ho mai avuto bisogno. «Da quanto tempo» chiese Ash «il Golem di Pietra è custodito in questa casa?» Leofric disse qualcosa, ma Ash non gli prestò attenzione. «Duecentoventitré anni e trentasette giorni.» Ash ripeté la cifra ad alta voce. Leofric si interruppe e la fissò dritta negli occhi. «Sì? Sì, deve essere giusto. Il settimo giorno del nono mese... Sì!» «Dove si trova il Golem di Pietra?» «Al sesto piano del quadrante nord-est della Casa dei Leofric, nella città di Cartagine, costa dell'Africa del Nord.» Ash sentiva che la sua soglia di attenzione si era alzata di molto. Anche il suo modo di ascoltare era cambiato, non era più passiva come quando si ascolta un uomo o un musicista, non si stava limitando ad ascoltare delle risposte. Cosa sto facendo? si chiese. Sto facendo qualcosa. «La vostra macchina si trova a circa sei piani sotto di noi» ripeté Ash fissando Leofric. «Questa è una informazione che potresti aver carpito dalle chiacchiere tra gli schiavi» rispose l'amir, incurante. «Già, potrei, ma non è andata così.» L'amir la stava fissando con sguardo indagatore. «Io non posso saperlo.» «Non è vero!» Ash si sedette sul letto. «Se voi non mi dite cosa fare per rimanere viva, allora ve lo dirò io. Fatemi delle domande, mastro Leofric.
Voi conoscete la verità e vi accorgerete subito se mento riguardo la mia voce!» «Alcune risposte sono molto pericolose.» «Non è mai saggio conoscere gli intrighi dei potenti.» Ash si alzò dal letto e, dolorante, si incamminò lentamente verso la finestra e Leofric gliela lasciò aprire. La sbarra di ferro murata nel telaio era abbastanza larga da impedire a qualcuno di buttarsi di sotto. L'aria le raffreddò le guance e le fece arrossare il naso. Provò un'improvvisa comprensione per quelli che si trovavano sotto le tende al Nord in quel clima freddo e umido, un sentimento di cameratismo sincero per la loro condizione disgraziata e, allo stesso tempo, provò il bruciante desiderio di essere in loro compagnia. Il cortile era pervaso dal sibilo delle lampade a Fuoco Greco alle quali erano stati applicati dei rudimentali ripari in tela per proteggere la fiamma. Ash fissò le donne e gli uomini che ricoprivano tutto con delle cerate imprecando e lamentandosi. Tranne le guardie che li sorvegliavano, le altre persone nel cortile erano tutti schiavi e l'inimicizia tra le due parti era quasi palpabile. Una volta schermate le luci, Ash poté vedere le altre costruzioni, circa duemila, giudicò con una rapida occhiata, che formavano la tenuta dell'amir. Era impossibile vedere di più perché il buio occultava Cartagine, dove, sicuramente, dovevano esserci le case lussuose e ben fortificate, del tutto simili a quella in cui si trovava, degli altri amir. Non poteva capire in che punto della città si trovasse quella casa. Non riusciva a orientarsi. Non capiva in che posizione si trovasse la casa e in quale direzione fossero il porto e il deserto. Un suono basso e lamentoso la fece sobbalzare. Allarmata, Ash alzò la testa e si accorse che il suono era rimbalzato contro i tetti da grande distanza. «È il tramonto» le spiegò Leofric alle sue spalle. Il suono echeggiò di nuovo sulla città. Ash cercò di vedere le prime stelle e la luna o qualsiasi punto di riferimento che avrebbe potuto aiutarla a orientarsi. Qualcuno chiuse con delicatezza la finestra. Tornò a girarsi nella stanza e il calore emanato dai bracieri le fece capire quanto si era raffreddata a guardare fuori. «Come gli parlate?» chiese Ash in tono di sfida. «Con la mia voce, proprio come faccio con te» rispose Leofric, secco.
«Ma posso farlo solo quando sono nella stanza dove lo tengo.» Ash non riuscì a impedirsi di sorridere. «E come vi risponde?» «Con una voce meccanica molto difficile da sentire e devo essere nella stanza. Mia figlia non ha bisogno di essere nella stessa stanza, nella stessa casa o sullo stesso continente e questa crociata ha confermato il mio sospetto: lei può sentirlo ovunque.» «Sa solo fornire risposte su argomenti di carattere militare?» «Non sa nulla. È un golem. Parla solo di cose che io e gli altri gli abbiamo insegnato. Risolve i problemi che si presentano sul campo di battaglia, ecco tutto.» Ash barcollò e l'amir l'afferrò prontamente per un braccio sorreggendola. «Sdraiati. Vediamo se la tua proposta è buona.» Ash si fece guidare fino al letto e si lasciò cadere sul materasso. La stanza le girava intorno. Chiuse gli occhi finché il senso di vertigine non fu scomparso. Quando li riaprì vide la luce bianca delle lampade e udì il suono dello stilo che incideva la tavoletta coperta di cera. Leofric fece un gesto e lo scriba si fermò. «Chi costruì il Golem?» Domanda e risposta. Ash ripeté la domanda ad alta voce per due volte, perché il nome che le era giunto in risposta non le era familiare. «Il...» disse, incerta «'Rabbi"? Di Praga.» «E per chi lo costruì?» Un'altra domanda, un'altra risposta. Ash chiuse gli occhi per proteggerli dalla luce troppo intensa della stanza e si sforzò di ascoltare la sua voce interiore. «'Radonic', credo. Sì, Radonic.» «Chi fu il primo costruttore del Golem di Pietra e perché?» «Duecento anni fa, il Rabbi di Praga, costruì il primo Golem di Pietra su richiesta del vostro antenato Radonic per giocare a shah.» «A scacchi» si corresse Ash. «Chi fu il primo a costruire la macchina a Cartagine e perché?» «Frate Roger Bacon.» «Uno dei nostri» disse Ash, quindi cominciò a parlare con lo stesso timbro della voce nella sua testa. «Si dice che Frate Bacon costruì la prima Testa di Rame nei suoi alloggi presso il porto di Cartagine. Usò quel metallo perché era quello che poteva essere trovato più facilmente nelle vicinanze della città. Tuttavia, quando udì quello che la macchina gli disse, egli la bruciò insieme ai progetti, alla sua casa e fuggì nel Nord dell'Eu-
ropa per non tornare mai più. In seguito la colpa della presenza di dèmoni in Cartagine venne fatta ricadere su quello studioso. Così scrisse Gerardo.» «Si sono scritte molte cose sul Golem di Pietra nel corso degli ultimi duecento anni» disse Leofric, calmo. «Prova ancora, figliola. Chi costruì il primo Golem e perché?» «L'amir Radonic battuto in continuazione a shah da quella macchina muta, cominciò a stancarsi e a provare del malanimo nei confronti del Rabbi.» Ash si rese conto di essere sull'orlo di un attacco isterico. Era disidratata e aveva la testa che le girava. La perdita di sangue l'aveva indebolita, ma la voce nella sua testa continuava a parlare. «Stufo, Radonic, mise da parte l'uomo di pietra. Come ogni buon Cristiano dubitò che il poco potere dei Giudei provenisse dal Cristo Verde e cominciò a pensare che nella sua casa si fossero svolti dei riti demoniaci.» «Altro.» «Il Rabbi aveva creato il golem rendendolo simile in ogni sua parte a un uomo. L'aveva costruito usando il suo seme, la terracotta rossa di Cartagine. L'aveva modellato in modo che fosse molto attraente. Ildico, una schiava della casa, si innamorò del Golem. Poiché i suoi lombi di pietra e le giunture di metallo erano in tutto e per tutto simili a quelle degli uomini, la donna rimase incinta. In seguito Ildico affermò che tutto ciò era successo per intercessione dell'Uomo dei Miracoli. Il grande profeta Gundobad le era apparso in sogno e le aveva ordinato di portare nella sua persona la sua reliquia più sacra che era stata passata di padre in figlio in quella famiglia di schiavi fin dal tempo in cui Gundobad era vivo.» Ash sentì qualcuno che la toccava e aprì gli occhi. Le dita di Leofric le stavano toccando la fronte sporca di sangue rappreso e terra con noncuranza. Ash arretrò. «Si riferisce a Gundobad, il vostro profeta, giusto? Fu lui a maledire il Papa e creare lo Scranno Vuoto.» «Il vostro Papa non avrebbe dovuto farlo giustiziare» disse Leofric in tono serio, mentre toglieva la mano «ma non voglio discutere con te, figliola. Sono passati sei secoli di storia e chi può dire chi fosse veramente l'Uomo dei Miracoli? L'unica cosa sicura è che Ildico gli credette.» «Una donna che ha avuto un bambino da una statua di pietra.» Il disprezzo nella voce di Ash era chiaro. «Se non fosse che sto ripetendo le parole di una macchina non direi mai simili stupidaggini, mastro Leofric.» «E il Cristo Verde nato da una Vergine e allattato da un Cinghiale? Non
trovi che anche questa sia una bella 'stupidaggine'?» «Sì, per quello che mi riguarda!» Ash scrollò le spalle. Sentiva i piedi freddi e nel vedere l'espressione interrogativa dell'amir, si accorse che, senza rendersene conto, aveva parlato nello svizzero francese che aveva imparato in gioventù. Tornò rapidamente al latino di Cartagine. «Ascoltate, ho visto ben pochi piccoli miracoli, ma si trattava sempre di fortuna, fortuna imperatrix, ecco tutto...» «Chi costruì il secondo Golem e perché?» chiese con una certa enfasi l'amir. Ash ripeté la domanda. La voce che le rispose non era diversa da quella che ascoltava sul campo di battaglia che le forniva informazioni sul terreno, sul tipo di truppe, le condizioni del tempo e la strategia ideale: la stessa identica voce. «È stato scritto che la schiava di nome Ildico non fosse solo la custode della potente reliquia affidatale dal profeta Gundobad, ma fosse anche sua discendente in linea diretta da circa ottocento e sedici anni dopo che il Nostro Signore venne consegnato all'Albero, nell'anno dodicimila e cinquantatré.» «Chi costruì il secondo Golem e perché?» domandò nuovamente Leofric. «Il primogenito di Radonic, Sarus, venne ucciso in una battaglia contro i Turchi. Radonic fece costruire dei pezzi di shah che somigliassero in tutto e per tutto alle truppe turche e a quelle di suo figlio Sarus, quindi si ricordò del Golem e riprese a giocarci assieme, finché, un giorno, il Golem giocò una partita nella quale le truppe di Sarus si mossero seguendo una strategia particolare e sconfissero i Turchi. «Nello stesso giorno l'amir Radonic scoprì che la schiava Ildico si era accoppiata con il Golem. Prese un grosso martello da muratore e ridusse in polvere il Golem dopodiché si chiuse in una torre e Ildico partorì il bambino. «Radonic pensò a lungo al figlio morto e a quelli ancora in vita, quindi decise di ordinare al Rabbi di costruire un secondo Golem per sostituire quello distrutto nel suo eccesso d'ira. Il Rabbi rifiutò sebbene l'amir l'avesse minacciato di uccidere i suoi due figli. Tuttavia Radonic riuscì a convincere il Rabbi dicendogli che avrebbe fatto impalare anche Ildico e il suo bambino se avesse rifiutato. L'ebreo costruì un altro Golem di Pietra, ma questa volta era solo un busto con la testa grosso tre volte un uomo. Il busto posava su un basamento di terracotta sul quale c'erano delle figure
di uomini e bestie. Fu allora che la bocca di rame del Golem prese a parlare.» Ash si raggomitolò. Due o tre frasi alla volta sono niente rispetto a questo, pensò. Quella narrazione fredda e accurata la stava sfiancando. «Radonic fece uccidere il Rabbi e la sua famiglia affinché questi non potesse costruire un altro giocatore di shah anche per i nemici del suo califfo-re. Subito dopo la morte del Rabbi il sole scomparve dal cielo sopra Cartagine e su tutte le terre governate dal califfo-re. Era la maledizione del Rabbi. E da allora nessun occhio umano ha più visto risplendere il sole sulle terre sottoposte al Crepuscolo Eterno.» Ash aprì gli occhi e solo in quel momento si rese conto di averli chiusi per ascoltare meglio la voce. «Gesù! Scommetto che deve essere scoppiato un bel casino.» «Il califfo-re Eriulf e i suoi amir avevano il comando dell'esercito e hanno ristabilito l'ordine» spiegò Leofric, tranquillo. «Oh, si possono fare un mucchio di cose se comandi dei soldati.» Ash si drizzò e appoggiò la schiena contro la testiera del letto. «Queste sono tutte leggende che ho ascoltato quando ero bambina. La leggenda trecento e sette sulla nascita del Crepuscolo Eterno... Vi sto dicendo quello che vi aspettavate di sentire?» «Il profeta Gundobad e la figlia schiava Ildico sono due personaggi storici. Le cronache della mia famiglia parlano di loro molto chiaramente. Il nostro antenato Radonic fece uccidere un rabbino giudeo nell'anno 1250 circa.» «Allora chiedetemi delle cose che non posso aver letto nella storia della vostra famiglia!» Il legno incerato del letto aveva un buon odore. Ash sentiva lo stomaco che gorgogliava, ma lei lo ignorò, era troppo concentrata sull'espressione di Leofric. «Chi era Radegunda?» Ash ripeté la domanda. «La prima persona a parlare a distanza con il Golem di Pietra.» Non ha detto 'con me', pensò Ash. «Nei primi anni della crociata, quando le messi potevano essere ottenute solo conquistando delle terre sotto il benefico influsso del sole, il califfo-re Eriulf decise di conquistare l'Iberia. L'amir Radonic, ripeteva le strategie con il Golem di Pietra, imparando da ogni vittoria e da ogni sconfitta. All'età di tre anni, Radegunda, la figlia di Ildico, cominciò a costruire
delle statue di pietra con la sabbia rossa di Cartagine. «L'amir Radonic vide che la bambina somigliava molto al vecchio Rabbi e sorrise al pensiero di essere stato tanto stupido da pensare che una statua avesse potuto fecondare una donna e si rammaricò di aver distrutto il primo Golem di Pietra. Radegunda sarebbe potuta rimanere una semplice schiava nella casa di Radonic, ma un giorno, la bambina origliò quello che l'amir stava dicendo suoi capitani. Essi stavano decidendo quale fosse la strategia migliore da impiegare sul campo di battaglia e chiese all'amir quale tattica avrebbe voluto impiegare così l'avrebbe potuto chiedere al suo amico di pietra. «Pensando che fosse divertente, Radonic le disse di domandare tranquillamente al Golem di Pietra. Radegunda parlò al nulla. Gli altri schiavi entrarono di corsa nella stanza di Radonic dicendogli che il Golem aveva cominciato a muovere le figure di fronte a lui. Quando l'amir Radonic corse nella stanza si trovò di fronte alla soluzione dei suoi problemi tattici, come se il Golem avesse sentito le parole della bambina grazie all'intercessione di qualche dèmone dell'aria. «Radonic decise di abbandonare la via dell'onore e della giustizia e non fece uccidere la bambina, anzi, l'adottò e la portò con sé in Iberia. Grazie a Radegunda e al suo collegamento con il Golem le sorti della guerra mutarono rapidamente in favore di Eriulf e in breve tempo l'Iberia del Sud cominciò a rifornire di grano Cartagine. All'età di cinque anni la bamb