MARY GENTLE ASH Una storia segreta (Ash, a Secret History, 1999) A Richard Evans
Dottor Pierce Ratcliff, ASH, LA VECCH...
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MARY GENTLE ASH Una storia segreta (Ash, a Secret History, 1999) A Richard Evans
Dottor Pierce Ratcliff, ASH, LA VECCHIA STORIA DELLA BORGOGNA. JJJJJJ University Press, 2001. Rarissimo. Si accettano offerte di acquisto serie. L'edizione originale di (Ash: la vecchia storia della Borgogna, del dr. Pierce Ratcliff) venne ritirata dall'editore poco prima della pubblicazione. Tutte le copie stampate vennero distrutte. Quelle spedite come anteprima vennero restituite e mandate al macero. Parte di quel materiale venne pubblicato nell'ottobre del 2005 nella collana TATTICHE MEDIEVALI, LOGISTICA E COMANDANTI, Volume 3: Borgogna, senza le note a piè di pagina e il commento finale. Si pensa che la British Library abbia una copia dell'originale con un facsimile della corrispondenza tra l'editore e lo scrittore, ma sia il libro che i documenti non sono disponibili per la consultazione.
NOTA: Questo estratto dell'Antiquarian Media Monthly, Vol. 2, No. 7, luglio 2006, è originale ed è stato trovato incollato sul frontespizio bianco di questa copia. ASH La vecchia storia della Borgogna Pierce Ratcliff Ph.D. JJJJJJJ UNIVERSITY PRESS LONDRA NEW YORK
INTRODUZIONE Non ho intenzione di scusarmi per aver tradotto nuovamente questi documenti, unico contatto con la vita di una donna straordinaria chiamata Ash (1457 - 1477), perché ritengo che fosse un'opera necessaria. Nell'edizione di Charles Mallory Maximillian del 1890 intitolata: 'Ash: vita di un capitano mercenario del Medio Evo, è l'autore stesso ad ammettere di aver omesso gli episodi più scabrosi della vita della condottiera. La stessa operazione di taglio venne compiuta nel 1939 da Vaughan Davies quando scrisse Ash: una biografia del quindicesimo secolo. I documenti riguardanti la vita di Ash necessitavano di una traduzione moderna che narrasse senza alcuna remora di tipo morale la gioia, ma anche la brutalità del periodo medievale, e io credo di essere riuscito nell'intento. Le donne si sono sempre accompagnate agli eserciti. Gli esempi sono troppo numerosi per citarli tutti. Nell'anno 1476 erano passate solo due generazioni da quando Giovanna d'Arco aveva guidato le forze del Delfino di Francia e possiamo immaginare che i mercenari dell'unità nella quale era nata Ash le avessero raccontato le imprese della Pulzella d'Orléans. Comunque il fatto di trovare una donna di origini contadine al comando di un'unità mercenaria senza l'appoggio di uno stato o della chiesa è un fatto unico 1 . In questa Europa della seconda metà del quindicesimo secolo si verificava l'incontro tra la gloria della vita medievale e l'esplosione culturale del Rinascimento. Negli stati italiani, in Francia, in Borgogna, in Spagna, in Germania e in Inghilterra tra le case reali, le guerre erano all'ordine del giorno, mentre l'Europa stessa nella sua interezza era minacciata dal pericolo che arrivava dall'est: l'impero turco. È un periodo di eserciti in crescita e di compagnie mercenarie destinate a sparire con l'avvento dell'Età Moderna. Ci sono molti punti oscuri nella vita di Ash. La data e il luogo di nascita sono due di questi. Molti documenti del quindicesimo e sedicesimo secolo vengono spacciati come Vite di Ash, ma di questi parlerò più avanti insieme alle nuove scoperte che ho compiuto nel corso delle mie ricerche. I primi frammenti in latino del Codice di Winchester, un documento monastico scritto intorno all'anno 1495, parlano delle sue prime esperienze da bambina e compongono la prima parte della mia traduzione. A ogni personaggio storico viene inevitabilmente affibbiato un bagaglio 1
Non del tutto, come vedremo.
di leggende, aneddoti e vicende romantiche che vanno ad aggiungersi alla verità storica della sua vita. Quanto segue è la parte più 'leggera' della vita di Ash, ma non deve essere presa come pura verità storica. Ho scritto delle note a piè di pagina riguardo questo periodo della vita di Ash, ma il lettore più serio è libero di non prestarvi attenzione. All'inizio del nostro millennio, con i sofisticati metodi di ricerca che abbiamo a disposizione, è molto più facile per me eliminare le false 'leggende' intorno ad Ash, più di quanto avessero potuto fare Charles Maximillian o Vaughan Davies. Ho scoperto il personaggio storico celato dietro le leggende - e la vera Ash è molto più stupefacente di quella descritta nei miti. Pierce Ratcliff, dottore (Studi di Guerra), 2001
NOTA: Aggiunta alla copia trovata nella British Library: appunti a matita scritti su un foglio di carta libero:
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra) Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street, London W14 OAB, U. K. Fax: JJJJJJ E-mail: JJJJJJ Tel: JJJJJJJ Anna Longman Editor JJJJJUniversity Press JJJJJJJJJ JJJJJJJ JJJJJJJJ 29 settembre 2000
Copia della corrispondenza Originale intrattenuta tra il dott. Ratcliff e il suo editor trovata tra le pagine del testo. Che siano state inserite seguendo l'ordine di pubblicazione
Egregia Ms Longman, Le invio con piacere, firmato come mi era stato richiesto, il contratto del libro. Ho allegato alla presente una brutta copia della traduzione dei documenti che trattano i primi anni della vita di Ash: il Codice di Winchester. Come capirà dalla lettura di tali documenti è in quelle pagine che vengono gettati i semi della vicenda che seguirà. Questa è la mia grande occasione! Suppongo che il sogno di ogni storico sia quello di fare una scoperta che lo renda famoso e io penso di esserci riuscito portando alla luce nuovi dettagli sulla vita di una donna davvero notevole: Ash. Così facendo sono anche convinto di aver scoperto delle notizie su un periodo della storia dell'Europa medievale poco conosciuto - anzi, sarebbe più giusto dire dimenticato - ma molto significativo.
La mia teoria ha cominciato a prendere forma mentre stavo raccogliendo documenti sulla vita di Ash per la mia tesi di dottorato e sono stato in grado di consolidarla con la scoperta dei documenti denominati 'Fraxinus.' Tali documenti facevano parte della collezione di antichità custodita nello Snowshill Manor, nel Gloucestershire. Prima di morire, Charles Wade, un cugino dell'ultimo proprietario della tenuta, aveva ricevuto in dono un baule germanico del sedicesimo secolo. Nel 1952 Snowshill finì nelle mani della sovrintendenza alle Belle Arti e quando aprirono il baule vi trovarono il documento. Credo che sia rimasto là dentro dal quindicesimo secolo (il meccanismo d'apertura era in acciaio e ricopriva l'intera lunghezza del coperchio del baule!) senza mai essere stato letto. Charles Wade non sospettava neanche della sua esistenza. Essendo scritto in francese medievale e latino, Wade non lo tradusse; anche se era consapevole dell'importanza di quel testo, egli era uno di quei 'collezionisti' di stampo vittoriano più interessati a possedere che a decifrare. La casa è piena di orologi, armature giapponesi, spadoni della Germania medievale, porcellane, etc, etc! Tuttavia sono sicuro che qualcuno avesse messo gli occhi su quei documenti molto prima di me. Sulla prima pagina dopo il frontespizio c'era un'annotazione in latino - fraxinus me fecit: 'Fui fatto da Ash' (Non so se lei lo sa, ma il nome latino di Ash è fraxinus.) Credo che si tratti di una nota del diciottesimo secolo. Già da una prima e rapida lettura mi resi conto che si trattava di un documento mai scoperto prima. Un serie di memorie scritte, o più probabilmente dettate, da Ash in persona poco prima di morire nel 1477(?). Non ci impiegai molto a capire che quello scritto colmava i numerosi vuoti presenti nella storia della condottiera medievale.
(Si può supporre che sia stata proprio la scoperta del 'Fraxinus' a indurre la sua casa editrice a voler pubblicare una nuova edizione della vita di Ash.) Le descrizioni presenti nel 'Fraxinus' forse possono sembrare molto colorite, ma non bisogna dimenticare che le esagerazioni, le leggende, i miti, per non parlare dei pregiudizi e della partigianeria del cronista, hanno sempre contaminato tutti gli scritti medievali. Ma le assicuro che sotto i rifiuti c'è oro puro. Vedrà. La storia è una rete dalle maglie molto larghe attraverso le quali dei fatti possono sgusciare nel limbo senza problemi. Con il materiale che ho scoperto spero di riuscire a riportare alla luce quei fatti che non si sposano con la nostra idea di passato, ma che sono inequivocabilmente accaduti. Tutto ciò ci porterà a riconsiderare in maniera radicale la storia del Nord Europa e sarà meglio che gli storici ci si abituino! In attesa di un suo riscontro voglia gradire i miei più distinti saluti,
Pierce Ratcliff
PROLOGO C. AD 1465-1467[?] 'La mia anima è per mezzo di leoni'2 I Erano gli sfregi a renderla bellissima. Nessuno si era preso il disturbo di darle un nome fino all'età di due anni e lei aveva vagato per i fuochi da campo, giocando per terra, scroccando il cibo qua e là, poppando dai seni delle prostitute sentendosi chiamare Cucciolo-sporco, Grugno-sozzo e Culo-cenerino. Quando i suoi capelli cambiarono di colore passando dal castano chiaro a un biondo quasi bianco fu quel 'cenerino' che la colpì di più, per cui decise di farsi chiamare Ash3 . All'età di otto anni due mercenari la violentarono. Ash non era vergine. Tutti i bambini del campo scoprivano le differenze tra i corpi dei maschi e quelli delle femmine nascosti sotto le puzzolenti coperte di pecora che usavano per dormire e anche lei aveva il suo amico particolare. Sebbene i due mercenari avessero poco più di otto anni erano considerati degli adulti. Uno di essi era ubriaco. Dopo lo stupro, Ash cominciò a piangere. Uno dei due ragazzini, quello sobrio, riscaldò la punta del coltello in un fuoco da campo e le praticò un taglio sullo zigomo rischiando di mozzarle un orecchio. La bambina non smise di piangere e il ragazzino le inflisse un secondo sfregio parallelo al primo. Ash riuscì a liberarsi e scappò via con il sangue che le colava lungo una guancia. La ragazzina, che pur avendo cominciato l'addestramento con la spada non era ancora abbastanza forte da poter sostenere uno scontro, era tuttavia sufficientemente cresciuta per prendere una balestra (lasciata incautamente carica dentro uno dei carri che costituivano la difesa perimetrale del campo) e piantare un quadrello a bruciapelo nel corpo del primo stupratore. 2
Salmi 57:4. Culo-cenerino è la traduzione del termine inglese:'Ashy-arse'. Il nome della protagonista di queste vicende è Ash, che, come spiegato nella nota precedente ha due traduzioni: frassino e cenere (N.d.T.). 3
Il terzo sfregio, quello che le segnava l'altra guancia, non fu provocato da un atto di puro sadismo, ma dal tentativo del secondo ragazzino di ucciderla. Sapeva di non poter ricaricare la balestra da sola, ma decise che non sarebbe scappata. Saltò sul corpo del primo mercenario e piantò il coltello che usava per mangiare nella coscia dell'assalitore, recidendogli l'arteria femorale. Il ragazzino morì dissanguato nel giro di qualche minuto. Ricordo al lettore che la piccola Ash aveva cominciato il suo addestramento militare. La morte era all'ordine del giorno in un campo mercenario, ma il fatto che una bambina di otto anni avesse ucciso due suoi coetanei inquietò parecchie persone. Il primo vero ricordo di Ash risale al giorno del suo processo. Aveva piovuto per tutta la notte. Il sole si levò nel cielo facendo evaporare l'acqua depositatasi a terra e sui rami, e illuminando le tende, i calderoni, i carri, le capre, le lavandaie, le prostitute, i capitani, gli stalloni e le bandiere, esaltandone i colori. Ash fissò la lunga bandiera a forma di coda sulla quale erano impresse la croce e la bestia, annusando la brezza fresca che le carezzava il volto. Un uomo robusto con il volto incorniciato dalla barba si chinò di fronte a lei. Ash era una bambina piuttosto minuta, vide i suoi grossi occhi, la folta chioma di lunghi capelli quasi bianchi e il volto segnato dagli sfregi, che le rammentavano le pitture di guerra dei barbari dell'Est, riflessi sul piastrone indossato dal capitano. Annusò l'aria e sentì l'odore dei fuochi da campo, dello sterco di cavallo e del sudore dei soldati. La brezza fresca le fece rizzare i peli sulle braccia. Improvvisamente ebbe l'impressione di osservare la scena dall'esterno, come se una parte di lei fosse uscita dal suo corpo. Vide un grosso uomo inginocchiato di fronte a una bambinetta scalza dallo sguardo spaventato con indosso un panciotto fuori misura, che portava con sé un coltello da caccia modificato per somigliare a una daga. Quella fu la prima volta in cui si rese conto di essere bellissima. In quel momento provò anche una grande frustrazione perché non sapeva cosa farsene di quella bellezza. «I tuoi genitori sono vivi?» le chiese il capitano. «Non lo so. Mio padre potrebbe essere uno di loro.» Indicò i mercenari del campo intenti alla manutenzione delle armi. «E nessuna delle donne
dice di essere mia madre.» Un uomo più magro si acquattò a fianco del capitano. «Uno dei morti è stato abbastanza stupido da lasciare una balestra carica» esordì in tono tranquillo. «Per quanto riguarda la bambina, ho chiesto alle lavandaie. Non è vergine, ma non è neanche una prostituta.» «Se è abbastanza grande per uccidere» sentenziò il capitano, torvo in volto «allora vuol dire che lo è anche per essere punita. Frustatela.» «Mi chiamo Ash» replicò lei a voce bassa, ma chiara. «Mi hanno fatto del male e li ho uccisi. Se qualcun altro cercherà di farmi del male lo ucciderò. Ucciderò anche te.» Ricevette le frustate che le spettavano più un extra per l'insubordinazione. Non pianse. Dopo qualche tempo un balestriere le diede un giustacuore imbottito e Ash cominciò ad addestrarsi con impegno nell'uso delle armi. La bambina fece finta per uno o due mesi che il balestriere fosse suo padre, finché non divenne chiaro che la gentilezza di quell'uomo era stata frutto di un impulso temporaneo. Nel corso del nono anno di vita di Ash si sparse nel campo la voce che un Leone era nato da una Vergine. II La piccola Ash era intenta ad applaudire i mimi insieme agli altri bambini del campo. Era seduta a terra con la schiena appoggiata a un albero spoglio e alcune pellicce sotto il sedere per proteggersi dal freddo. Gli sfregi non stavano guarendo bene e spiccavano rossi contro il pallore della pelle. Il fiato si condensava in grosse nuvole ogni volta che urlava. Il Grande Wyrm (un uomo con il volto celato da un teschio di cavallo e la schiena coperta da una pelle marrone chiaro sempre di cavallo) entrò rampando sul palco. La coda del cavallo, che era stata lasciata attaccata alla pelle, frustò la gelida aria del pomeriggio. Il Cavaliere della Desolazione (interpretato da uno dei sergenti della compagnia con indosso la sua armatura migliore) compì un largo affondo con la lancia. «Uccidilo» urlò Crow, una ragazzina della compagnia. «Piantagliela nel sedere!» sbraitò Ash. I bambini intorno a lei cominciarono a ridere rumorosamente pronunciando frasi colme di scherno. Richard, un ragazzino dai capelli neri con una macchia color porto sul viso, sussurrò: «Deve morire. Ho sentito dire dal capitano che il Leone è nato.»
La frase interruppe il torrente di volgarità che stava uscendo dalla bocca di Ash. «Dov'è nato? Quando gliel'hai sentito dire, Richard?» «A metà mattina, quando ho portato l'acqua alla sua tenda» rispose orgoglioso il ragazzino. Anche se non lo era veramente, Richard aveva provato a farle notare il suo status di paggio, ma Ash lo ignorò, appoggiò il naso sui pugni chiusi e soffiò sulle dita gelate. Il Wyrm e il sergente duellavano con ardore per non sentire il freddo. Ash si alzò in piedi e si sfregò con vigore le natiche intorpidite. «Dove vai, Ashy?» le chiese il ragazzino. «Vado a prendere l'acqua» gli rispose Ash, in tono altezzoso. «Non puoi venire con me.» «Dai, fammi venire!» «Non sei abbastanza grande» sentenziò Ash, quindi si fece strada tra la piccola folla di bambini, capre e cani. Le nuvole erano basse e avevano lo stesso colore del peltro. Dal fiume si stava levando una nebbia biancastra. Se avesse nevicato, la temperatura si sarebbe alzata. Ash si incamminò silenziosamente verso le case abbandonate (un tempo dovevano essere state parte di una fattoria) che gli ufficiali della compagnia avevano scelto come quartiere generale. I soldati avevano eretto le loro tende da campo davanti agli edifici e passavano gran parte delle giornate intorno ai fuochi con il viso rivolto alla fiamma e la schiena al gelo. La ragazzina passò alle loro spalle senza farsi notare. Aggirò la fattoria, sentì che gli ufficiali stavano per uscire e si acquattò dietro un barile dal cui bordo spuntava un blocco di acqua piovana gelata alto più di una spanna. «... e andateci a piedi» finì di dire il capitano, quindi, accompagnato dal prete e da due tenenti che, come Ash aveva sentito dire, si vantavano di avere origini nobili, cominciò ad attraversare il cortile. Il capitano indossava l'armatura completa. Il piastrone gli proteggeva il tronco e le spalle, le piastre e i guanti gli avvolgevano le braccia e le mani, mentre gli schinieri gli coprivano le gambe e gli stivali. Portava il suo armet4 sotto il braccio. La luce dell'inverno conferiva al metallo dell'armatura un colore biancastro. Forse è per questo che la chiamano l'armatura bianca, pensò Ash. L'unico altro colore che spiccava sul bianco era il rosso della barba e del fodero in cuoio. Ash si inginocchiò appoggiando le dita contro le doghe gelate del barile. 4
Elmo aderente al volto.
Il clangore metallico delle armature echeggiava nell'aria ricordandole il rumore di un carro cucina che si ribalta. Voleva una di quelle armature, anche lei voleva camminare sentendosi invulnerabile, portando sulle spalle il peso di tutta la ricchezza rappresentata da uno di quegli oggetti. E fu proprio quel desiderio più che la curiosità a spingerla ad andare dietro agli ufficiali. Si mise a correre in preda a una sorta di meraviglia. Il cielo si ingiallì. Qualche sporadico fiocco di neve cominciò a fluttuare nell'aria posandosi sui suoi capelli, ma la bambina non ci fece caso. Aveva le orecchie e il naso arrossati, mentre le dita delle mani e dei piedi cominciavano ad assumere un colorito bluastro e porpora. Il fatto non la preoccupò, perché ci era abituata. Aveva imparato a sopportare il freddo e non si prese neanche il disturbo di chiudere la giubba. I quattro uomini continuavano a camminare senza dire una parola. Ash approfittò del fatto che il capitano si fosse fermato per un attimo a parlare con le guardie per superarli senza farsi notare. Si chiese come mai gli ufficiali non avessero preso i cavalli e quando li vide arrivare in cima alla salita che portava al limitare del bosco capì il motivo di tale scelta. Il terreno era coperto di grossi cespugli, felci, rovi e strati e strati di detriti che avrebbero fermato anche un cavallo da guerra. I tre ufficiali si fermarono e infilarono l'elmo tenendo alta la ventaglia5 . Il cappellano, l'unico dei quattro privo di corazza, si fece da parte. Uno dei due luogotenenti estrasse la spada, ma il capitano scosse la testa e un attimo dopo il suono di una lama che veniva rinfoderata echeggiò nell'aria. Il bosco era silenzioso. I tre ufficiali si girarono verso il cappellano dal volto arrossato. Il religioso indossava un cappello da guerra6 imbottito di velluto. Ash si avvicinò ulteriormente. Il cappellano si inoltrò nel bosco con passo sicuro. Ash non aveva prestato molta attenzione alla valle. Il fiume era pulito e la fattoria era abbandonata, non c'era posto migliore per far svernare la compagnia. Cos'altro avrebbe dovuto sapere? Le foreste spoglie che ricoprivano le colline non offrivano nessun tipo di distrazione. Quale altro motivo l'avrebbe potuta spingere ad abbandonare il calore dei fuochi da campo se non la caccia? 5
La celata degli elmi medievali (N.d.T.). Un elmetto d'acciaio a tesa larga identico al 'Tommy' che gli Inglesi portavano durante la prima guerra mondiale. 6
Qual era il motivo che aveva spinto quei quattro uomini ad andare fin lassù? Ash rifletté per qualche minuto, quindi decise che ci doveva essere un sentiero. Sia i rovi che le felci non erano cresciuti abbastanza per nasconderla il che faceva supporre che quel bosco fosse stato battuto fino a poche stagioni prima. Gli ufficiali camminavano imperterriti tra i rovi. «Sangue di Dio!» imprecò il più basso dei due tenenti, per poi zittirsi nell'attimo stesso in cui gli altri tre si giravano per fissarlo. Ash passò sotto dei rovi spessi come il suo polso. Era piccola e veloce e se solo avesse conosciuto la loro meta li avrebbe potuti precedere facilmente. Quel pensiero la indusse a spostarsi su un lato, strisciare sul ventre lungo il corso di un ruscello gelato e spuntare un centinaio di passi davanti all'uomo che conduceva il gruppo. I rami degli alberi formavano una sorta di cupola che impediva alla neve di passare. Le foglie morte, i rovi rinsecchiti e i giunchi sul bordo del torrente avevano un colorito marrone. Ash scorse un felceto davanti a sé, si alzò e - proprio come aveva previsto - vide che gli alberi si erano diradati. In mezzo alla radura si ergeva una cappella ammantata di neve. Ash non aveva alcuna conoscenza degli stili architettonici, ma anche se fosse stata un'esperta in materia in quel caso avrebbe avuto il suo bel da fare nel riconoscere lo stile della costruzione. C'erano solo un paio di muri coperti di muschio e rovi. I contorni delle finestre sembravano due buchi grigi. Sul terreno c'erano dei mucchi di macerie coperti di neve. Uno sprazzo di verde attirò l'attenzione di Ash. Sotto il sottile strato di neve i detriti erano avvolti dall'edera. La vegetazione stava crescendo anche ai piedi delle mura. Due grossi cespugli di agrifoglio avevano messo radici nel punto in cui il piano dell'altare toccava la parete. I rami carichi di bacche rosse pendevano verso il terreno schiacciati dal peso della neve. Sentì un clangore metallico alle sue spalle. Un pettirosso e uno scricciolo fuggirono da sotto l'agrifoglio spaventati dal rumore. Gli uomini alle sue spalle cominciarono a cantare. Dovevano trovarsi a una quindicina di passi di distanza da lei. Ash corse acquattata tra i cumuli di detriti e si andò a nascondere sotto i rami più bassi dell'agrifoglio. L'interno del cespuglio era caldo e asciutto. Le foglie secche le scricchiolavano fra le mani mentre strisciava sotto i rami neri che sorreggevano
il baldacchino di foglie verdi, i cui contorni taglienti le strapparono la giubba di lana in più punti. Diede un'occhiata tra le foglie. La neve cadeva copiosa. Il piccolo prete prese a cantare con voce da tenore. Era una lingua che Ash non conosceva. I due tenenti camminavano a fatica cantando a loro volta. La bambina pensò che sarebbe stato molto meglio per loro se si fossero tolti l'elmo. Il capitano emerse dal limitare del bosco. Ash lo vide armeggiare con le cinghie e i ganci dei guanti e dell'elmo e dopo che li ebbe sfilati lo osservò avanzare a testa scoperta attraverso la radura, lasciando che la neve si posasse sulla barba e i capelli. Il capitano prese a cantare a sua volta, 'Confidate in Dio, signori, non lasciatevi abbattere da nulla; In quest'ora buia il Sole torna; così potremo salutare il Giorno.' Aveva una voce potente, ma non molto intonata. Quell'uomo doveva farsi sentire in mezzo al frastuono della battaglia. Il silenzio del bosco venne infranto e Ash cominciò improvvisamente a piangere. Il prete si avvicinò al cespuglio nel quale Ash si era nascosta e la bambina si immobilizzò, con le lacrime che si asciugavano sulle guance sfregiate. Due sono le cose da fare per non lasciarsi scoprire quando si è nascosti: immobilizzarsi del tutto e pensare di essere un coniglio, un topo, una felce, un albero o qualsiasi altra componente del paesaggio. Ash premette la bocca contro il bavero della giubba per evitare che le nuvolette di fiato condensato tradissero la sua presenza. Il religioso, che a dispetto del freddo aveva gli occhi lucidi e la fronte imperlata di sudore, posò un oggetto sull'altare e disse: «Rendiamo grazie.» Ash non riuscì a vedere di cosa si trattasse, ma l'odore faceva , pensare a un pezzo di carne. «Guardate!» urlò improvvisamente il tenente più alto. Ash rischiò di schizzare fuori da sotto l'altare per lo spavento. Una cascata di neve si riversò su di lei da un ramo. Mi hanno scoperta, pensò sbattendo le palpebre. Girò la testa verso la radura, ma si accorse che nessuno stava guardando nella sua direzione. Gli occhi degli uomini erano fissi sull'altare. I tre cavalieri si inginocchiarono accompagnati dal clangore metallico delle armature. Il capitano abbandonò le braccia lungo i fianchi. L'elmo gli scivolò dalla mano, cadde sul terreno gelato e rotolò poco distante facendo
sussultare nuovamente Ash. Anche il prete si tolse l'elmo e si inginocchiò con grazia sorprendente. La neve turbinava veloce nel cielo bianco coprendo tutto il paesaggio circostante. Un grosso animale scese sbuffando dall'altare della cappella. Ash sentì il fiato caldo e umido della bestia che le carezzava il volto. Una grossa zampa toccò terra. Ash fissò il pelo giallo e ispido e i lunghi artigli ricurvi posti all'estremità dell'arto. La gobba del leone le passò davanti al viso e i fianchi le oscurarono la vista della radura e degli uomini. La bestia scese fluidamente dall'altare, alzò la testa con uno scatto e trangugiò l'offerta. Un ruggito basso e gorgogliante risuonò nell'aria. Ash si urinò addosso dalla paura. Fissava la scena con gli occhi sbarrati chiedendosi come mai nessuno di quei tre cavalieri avesse ancora estratto la spada per affrontare la bestia. Il leone cominciò a girare la testa. Ash rimase in ginocchio, paralizzata. La fiera infilò il muso nel cespuglio. La bambina vide un paio di occhi gialli e luminosi che la fissavano, sentì il fiato puzzolente e rischiò di vomitare. Il leone emise uno sbuffo e arretrò di qualche centimetro dalle foglie pungenti dell'agrifoglio. Arricciò le labbra, infilò nuovamente il muso nel cespuglio, la estrasse senza alcuno sforzo tenendola delicatamente tra gli incisivi superiori e inferiori, quindi la lasciò cadere sul terreno roccioso ricoperto di neve ed emise un ruggito assordante. Ash era troppo spaventata per muoversi, si strinse la testa tra le braccia e cominciò a piangere. La bestia le leccò una guancia con la lingua ruvida e spessa quanto una sua gamba. Ash smise di piangere. Il volto le faceva male. Si inginocchiò lentamente. Il leone rimase immobile. La bambina fissò gli occhi gialli, il muso e i denti bianchi. La lingua le leccò l'altra guancia. Gli sfregi pulsavano dolorosamente e Ash li toccò con le dita intirizzite dal freddo. L'aria fu pervasa dal canto di un pettirosso. Pur essendo troppo piccola per avere quel genere di consapevolezza, Ash era sicura di provare sensazioni contrastanti. Una parte di lei, quella della bambina cresciuta in un campo di mercenari, abituata ai predatori e alla caccia, le suggerì di rimanere immobile come una statua. Non mi ha ancora colpita con gli artigli, pensò. Sono troppo vicina per scappare. Devo spaventarlo. L'altra parte di lei, quella meno familiare, era al colmo
della gioia. Non riusciva a ricordare le parole o la lingua usata dal religioso, quindi decise di cantare l'inno intonato dal capitano. 'Confidate in Dio, signori, non lasciatevi abbattere da nulla; In quest'ora buia il Sole torna; così potremo salutare il Giorno. Marciamo decisi per vincere le Tue battaglie e il nemico è in rotta! Oh, la sua Luce ci porta una gioia e un conforto Che nessuno può distruggere: Oh, la sua Luce ci porta gioia e conforto.' Ash terminò e il silenzio calò nuovamente sulla radura. Non aveva la possibilità di capire la differenza tra la voce roca e sgraziata degli uomini e la purezza della sua. Non sapeva cogliere le differenze tra la voce incrinata dalla maturità del capitano e il suo modo di intonare le parole, frutto di tante cantate intorno ai fuochi da campo. Mentre la sua giovane anima cantava, la sua mente, che ricordava ancora una caccia al leopardo vicino a Urbino, nella quale la fiera, messa alle strette, aveva sventrato uno dei cani con una zampata riversandone le viscere sull'erba, ripeteva 'no, no' in tono lamentoso. La grossa testa del leone si chinò in avanti strofinandole la criniera sul viso e lei ebbe l'impressione di annegare in un mare di pelo. Il leone la fissò ancora per un attimo negli occhi, quindi la superò con un balzo. Nel tempo che Ash impiegò per girarsi a osservarla, la bestia si stava già facendo strada nel sottobosco per poi sparire del tutto qualche istante più tardi. Ash rimase ad ascoltare i rumori sempre più distanti del leone che si allontanava nel bosco. Il clangore delle armature la riportò alla realtà. Ash, che sedeva a gambe aperte nella neve, si trovò faccia a faccia con le ginocchiere della corazza e la ghiera d'argento del fodero del capitano. «Non ha detto nulla» si lamentò la bambina. «Il Leone nato da una Vergine è una bestia» commentò il religioso. «Un animale. Non riesco a capire, Lord capitano. Tutti sanno che la bambina non è vergine, tuttavia, Egli non le ha fatto alcun male.» Il capitano la fissò torvo in volto e lei si spaventò. «Forse si trattava di una visione» disse, senza rivolgersi direttamente ad Ash. «La bambina rappresenta la nostra povera patria che attende di essere salvata dall'alito del Leone. L'asprezza dell'inverno e il suo volto sfregiato
rappresentano la stessa cosa. Non ho le conoscenze per interpretare bene questi segni. Potrebbero anche non significare nulla.» Il prete si rimise l'elmo. «Quello che abbiamo visto in questo luogo, mio signore, è solo per noi. Suggerisco di ritirarci in preghiera in cerca di consiglio.» «Sono d'accordo.» Il capitano si chinò, prese il suo elmo e lo pulì dalla neve. Il sole fece capolino da uno squarcio tra le nubi, illuminando i capelli e la barba rossa dell'ufficiale che sembrarono prendere fuoco. Fece qualche passo quindi si girò e aggiunse: «Qualcuno prenda la mocciosa.» III Ash scoprì molto presto come usare la sua bellezza infantile enfatizzata dagli sfregi. All'età di nove anni aveva una massa di riccioli bianchi che le scendevano fino ai fianchi. I capelli, che lavava una volta al mese, erano tanto unti da brillare, ma nessuno dei mercenari ci faceva caso. Ash non mostrava mai le orecchie e imparò a vestirsi con un farsetto e dei calzoni stretti al ginocchio, coperti spesso da una giubba da uomo. Quegli abiti fuori misura la facevano sembrare più vecchia. Uno degli artiglieri le dava sempre del cibo o delle monete di rame, quindi la faceva piegare in avanti contro un traino per cannoni, le sbottonava i pantaloni e la sodomizzava. «Non c'è bisogno che tu stia così attento» si lamentava Ash. «Non rimarrò incinta. Non ho ancora perso sangue.» «Non ti è neanche spuntato l'uccello, se è per questo» rispondeva l'artigliere. «Quindi, finché non avrò trovato un ragazzino carino, ti tocca.» Una volta le diede un pezzo di maglia metallica. Ash mendicò del filo dal sarto della compagnia e ottenne dal conciatore un avanzo di cuoio che fissò alla maglia metallica. Si era fabbricata una gorgiera 7 e la indossò nel corso di ogni schermaglia, razzia di bestiame, caccia ai banditi nella quale imparò il suo mestiere: quello del guerriero. Ash pregava per la guerra con lo stesso ardore di una novizia chiusa in convento che pregava per essere la sposa prescelta dal Cristo Verde. Guillaume Arnisout era uno degli artiglieri della compagnia e non la toccò mai con un dito. Le insegnò a scrivere il suo nome nell'alfabeto ver7
Un tipo di protezione per la gola (N.d.T.).
de: una linea verticale con cinque tagli orizzontali ('tanti quanti le dita di una mano') che spuntavano sul lato destro della linea ('la parte dove tieni la spada'). Non le insegnò a leggere perché neanche lui era capace, ma le insegnò a contare. Ash pensava che fosse del tutto normale, perché gli artiglieri dovevano saper quanta polvere mettere nei cannoni, ma questo succedeva prima di conoscere veramente quella categoria di uomini. Guillaume le mostrò il frassino e le insegnò come costruire degli archi con quel legno ('hai bisogno di rami più lunghi rispetto a quelli che ti servono per fare un arco di tasso'). Dopo che ebbero tolto l'assedio alla città di Dinant e prima di tornare a casa, Guillaume la portò al mattatoio. Era agosto e il sole splendeva alto nel cielo illuminando i biancospini che crescevano lungo il limitare dei pascoli. La brezza era fresca. Si trovavano sottovento e il lezzo e i rumori del campo non li raggiunsero. Ash era in groppa alla vacca e Guillaume camminava al suo fianco. Lei fissò il suo accompagnatore che si puntellava a ogni passo con un lungo bastone nero. Ash non era ancora nata quando una lancia aveva fracassato il ginocchio di quell'uomo costringendolo a dedicarsi alle artiglierie da assedio. «Guillaume...» «Sì?» «Avrei potuta portarla io. Non era necessario che venissi anche tu.» «Sì?» Ash guardò davanti a sé e vide i campanili della chiesa che si stagliavano oltre le creste degli alberi tra nuvole di fumo blu. Raggiunsero il limitare del tratto di terreno privo di vegetazione che circondava la palizzata del villaggio e il vento prese a spirare in senso contrario. Il lezzo del mattatoio era soffocante e nauseabondo. «Sangue di Cristo!» bestemmiò Ash. Una mano forte le strinse la tibia. La bambina abbassò lo sguardo in direzione dell'artigliere con gli occhi umidi di lacrime. «Ascolta,» esordì Guillaume, indicando davanti a sé «quello è il posto dove siamo diretti. Adesso scendi dalla vacca e guidala tu.» Ash saltò giù dalla schiena del bovino, atterrò barcollando, ma riuscì a rimanere in piedi. Saltellò intorno alla vacca che continuava ad avanzare con passo ciondolante, quindi corse nuovamente dall'uomo. «Guillaume.» Gli strinse la manica color ruggine del farsetto. L'uomo non portava i polsini perché quello al momento era l'unico abito che pos-
sedeva. «A te piacciono i ragazzini, vero?» «Ah!» L'artigliere la fissò con gli occhi scuri. Portava i capelli lunghi fino alle spalle, ma la corona era calva. Si radeva spesso con la daga, di solito gli stessi giorni in cui l'affilava, ma era un evento rarissimo vedere una scalfittura su quelle guance scure e coriacee. «Se mi piacciono i ragazzini, signorina? Me lo chiedi perché non riesci a farmi fare quello che vuoi come con gli altri? Secondo te questo succede perché mi piacciono i ragazzini?» «La maggior parte degli altri fanno tutto quello che voglio quando recito.» La tirò per i capelli. «A me piaci come sei.» Ash spinse i capelli oltre le orecchie e cominciò a prendere a calci i ciuffi d'erba che crescevano lungo il bordo della strada. «Io sono bellissima. Non sono una donna, ma sono bellissima. Guardami i capelli, devo avere sangue elfico. Guarda i miei capelli, non ti importa...» canticchiò tra sé e sé per qualche minuto, quindi alzò nuovamente lo sguardo. «Guillaume...» L'artigliere camminava con passo deciso aiutandosi con il bastone che, una volta giunto in prossimità dei cancelli del villaggio, usò per salutare le guardie. Ash notò che i soldati avevano in dotazione delle lance e indossavano il giustacuore invece della corazza. Prese la corda che pendeva dal collo della vacca. Erano sei mesi che la bestia non rimaneva incinta. I soldati avevano provato a farla ingravidare da diversi tori, ma non era successo nulla: una volta macellata la carne sarebbe stata piuttosto dura, ma il cuoio sarebbe stato ottimo per le scarpe. E anche per i cinturoni delle spade, pensò Ash continuando a camminare. L'odore del villaggio diveniva sempre più forte. Sarà un altro di quei posti dove mi insultano per gli sfregi e fanno il segno delle corna ogni volta che passo? si chiese. «Ash!» La vacca si era spostata verso il bordo della strada e aveva cominciato a brucare contenta. Ash tirò con tutta la forza che aveva in corpo. La vacca alzò la testa ed emise uno sbuffo seguito da un muggito. Lunghi filamenti di saliva le colavano dalla bocca. Ash la guidò verso i cancelli del villaggio. Fissò le guardie ai cancelli passando le dita sull'arma che portava al fianco. Aveva nove anni, ma ne dimostrava sette e la daga lunga una cinquantina di centimetri era quasi una spada per lei. Si era procurata un fodero e un laccio per legarlo alla cintura. Se li era guadagnati. Rubava il cibo,
ma non le armi. Gli altri mercenari - recentemente anche lei aveva cominciato a considerarsi tale - vedevano quel fatto come un vezzo interessante e peculiare dal quale cercavano di trarre il maggior vantaggio possibile. Era appena passata l'alba e c'era poca gente per le strade. Quel fatto dispiacque molto ad Ash, che voleva farsi ammirare da tutti. «Mi hanno fatto entrare armata» si vantò. «Non ho dovuto consegnare la daga!» «Sei segnata come appartenente alla compagnia» rispose Guillaume che a sua volta portava il coltellaccio alla cintura. Ash sospettava che l'uomo portasse una giacca più grossa per conformarsi all'immagine che ogni abitante del villaggio aveva dei mercenari: vestiti sporchi e armi linde. Certo quell'uomo faceva anche altre cose che sicuramente gli abitanti del villaggio si aspettavano da un tipo così. Per esempio barava a carte, ma male, perché Ash lo scopriva sempre. La bambina camminava a testa alta. Fissò una coppia di perdigiorno seduta sotto il cespuglio sospeso che fungeva da insegna per una taverna. «Se non dovessi trascinare questa vecchia vacca marcia e sterile» si lamentò con l'artigliere che camminava di fronte a lei «sembrerei veramente un mercenario.» Guillaume Arnisout rise piano e continuò a camminare senza girarsi a guardarla. Tormentò la povera vacca finché non giunse di fronte ai cancelli del mattatoio. L'odore del sangue e degli escrementi era così forte da risultare quasi tangibile. Cominciò a lacrimare e sentì un groppo alla gola. Consegnò la vacca al macellaio fermo davanti ai cancelli e cominciò a tossire. «Guarda qua, Ash!» la chiamò una voce. Ash si girò e qualcosa di caldo e umido la centrò in faccia e al petto. La sorpresa la fece sussultare. Aprì la bocca e un attimo dopo cominciò a tossire e a sputare mentre parte della massa che l'aveva colpita cominciava a colare dalle spalle sul petto. Si stropicciò gli occhi brucianti con il dorso delle mani. Continuava a tossire e a piangere. Le lacrime le schiarirono la vista. Il sangue caldo e viscoso che le imbrattava il vestito, le aveva ridotto i capelli a una massa informe e appiccicosa. Anche le mani erano lorde di sangue. Una materia gialla le incrostava le pieghe dell'abito. Allungò una mano e toccò la massa che le si era fermata sul collo. Il pezzo di carne cadde davanti ai suoi piedi nudi. Era caldo, ma andava raffreddandosi rapidamente. Dei tubicini rossi e rosa scivolarono a terra.
Ash si allontanò. La massa era così grossa che lei non sarebbe riuscita a sollevarla neanche se avesse usato entrambe le mani. Smise di piangere. Fece un gesto che non le era del tutto nuovo. Un gesto che forse aveva fatto poco prima o poco dopo di piantare il quadrello nel corpo del suo violentatore. Si passò il dorso della mano sul mento. Il sangue rappreso le tirava la pelle. Si liberò del groppo alla gola e delle lacrime agli occhi. Fissò Guillaume e il macellaio che tenevano in mano i cesti vuoti. «È stata una stupidaggine» si infuriò la bambina. «È sangue impuro.» «Vieni» le ingiunse Arnisout indicando un punto di fronte a lui. L'artigliere era in piedi a fianco di un telaio usato per scuoiare le bestie. Una catena e un verricello erano attaccati a dei tronchi grossi come quelli usati per costruire le macchine da assedio. Dalle catene pendevano dei ganci sospesi sopra i canaletti di scolo scavati nel terreno. Ash uscì dalla pozza formata dalle interiora di porco e si avvicinò a Guillaume. Il sangue le aveva appiccicato i vestiti addosso e stava cominciando ad abituarsi al lezzo che ammorbava l'aria del mattatoio. «Prendi la spada» ordinò l'artigliere. Ash ubbidì. Era senza i guanti e l'elsa della daga rivestita di cuoio era diventata scivolosa. «Taglia» le disse Guillaume, calmo, indicando la vacca ancora viva appesa alla struttura. «Squartala.» Ash non era una santa, ma la cosa non le piaceva. «Fallo» le ordinò l'artigliere. Ash tentò un affondo, ma sentì che la spada era diventata improvvisamente pesante. La vacca roteò gli occhi e prese a lamentarsi freneticamente. Le contorsioni la fecero ondeggiare a destra e sinistra. Un rivolo di sterco le colò lungo i fianchi. «Non posso farlo» protestò Ash. «Non mi ha fatto nulla di male!» «Fallo!» Ash girò la lama con un gesto goffo e la spinse in avanti scaricando contro l'elsa tutto il peso del corpo come le avevano insegnato. La punta aprì la pancia della bestia che cominciò a muggire dal dolore. Un fiotto di sangue fuoriuscì dal taglio. Il sudore impediva ad Ash di stringere con forza l'arma e la daga scivolò fuori dalla ferita superficiale. La bambina fissò l'animale che era otto volte più grosso di lei, afferrò la
spada con entrambe le mani e compì un secondo tentativo lacerando un fianco della bestia. «Sei morta» la rimproverò Guillaume. Ash sentiva le lacrime che le salivano agli occhi. Si avvicinò ulteriormente al corpo caldo e ansimante, alzò la daga sopra la testa con entrambe le mani e la calò verso il basso. La lama trapassò la pelle e i muscoli penetrando nella cavità addominale. Ash impresse una torsione e cominciò a tirare verso il basso. Ebbe l'impressione di lacerare un tessuto. Una valanga di tubi rosa fumanti si riversarono sul terreno intorno ai suoi piedi. Ash continuò a scendere finché la lama non si incastrò in una costola. Cominciò a tirare, ma la carne sembrava richiudersi sulla lama. «Torci la spada. Usa il piede se è necessario!» le consigliò Guillaume. Ash appoggiò un ginocchio contro il collo della vacca premendolo contro un palo della struttura. Impresse una violenta torsione alla lama e riuscì a liberarla dall'osso. I lamenti della vacca echeggiavano nell'aria. Strinse nuovamente la spada con entrambe le mani e la abbatté sulla gola del bovino urlando. L'osso aveva intaccato la lama e lei si accorse dell'irregolarità perché l'arma fu percorsa da un tremito nello stesso istante in cui il fendente giungeva a segno. Prima che il sangue schizzasse fuori dal taglio colpendola in piena faccia ebbe modo di vedere uno spaccato di pelle, muscoli e arterie. Caldo. Il sangue è caldo, pensò, soddisfatta. «Adesso piangi!» Guillaume la girò e le diede un ceffone che avrebbe fatto male anche a un adulto. Ash scoppiò in lacrime, stupefatta. Pianse per circa un minuto quindi singhiozzò: «Non sono abbastanza grande per andare in prima linea!» «Non quest'anno.» «Sono troppo piccola!» «Queste sono lacrime di coccodrillo» la riprese Guillaume. «Ti ringrazio» aggiunse in tono grave, mentre dava una moneta di rame al macellaio. «Puoi ucciderla. Vieni, signorina. Torniamo al campo.» «La spada è sporca» disse Ash. Improvvisamente si sedette a gambe incrociate in mezzo alla pozza di sangue ed escrementi e scoppiò nuovamente a piangere. Cercò di riprendere fiato, ma riuscì solo a tossire. Il petto era scosso da violenti tremori. I capelli impastati di sangue le ricadevano sulle guance umide di pianto. Il moccio le colava dal naso. «Ah!» Guillaume la sollevò in piedi prendendola per la collottola. «Meglio. Adesso basta. Guarda là.»
Indicò un punto all'altro lato del cortile. Ash si tolse i vestiti e li gettò nell'acqua gelida della fontana, quindi cominciò a lavarsi. Il sole mattutino era caldo. Guillaume rimase a osservarla in piedi a braccia conserte. Ash continuò a pulirsi tenendo la spada a portata di mano e senza perdere di vista gli uomini che lavoravano al mattatoio. Pulì la spada per ultima, quindi chiese del grasso per evitare che la lama si arrugginisse. Quando ebbe terminato la manutenzione dell'arma i vestiti non erano più fradici, ma solo umidi. I capelli le pendevano sul viso simili a tante code di topo. «Torniamo al campo» disse l'artigliere. Ash uscì dal villaggio in compagnia di Guillaume e non le venne neanche in mente di provare a farsi adottare da una delle famiglie che abitavano nella cittadina. Guillaume la fissò negli occhi arrossati dal pianto. Il sole evidenziava lo sporco annidato tra le pieghe della pelle. «Se questo è stato facile» le disse «pensa che quella era una bestia e non un uomo. Non poteva minacciarti o implorare pietà e, cosa più importante, non stava cercando di ucciderti.» «Lo so» replicò Ash. «Ho già ucciso un uomo.» All'età di dieci anni rischiò di morire, ma non sul campo di battaglia. IV La prima luce del giorno prese a rischiarare il cielo e Ash si sporse oltre il parapetto della torre campanaria. Era ancora troppo buio per vedere il terreno che si trovava una dozzina di metri sotto di lei. Un cavallo nitrì. Un attimo dopo giunse la risposta dal centinaio di cavalli che formavano lo schieramento. Il canto di un'allodola echeggiò nell'aria del mattino. La vallata attraversata dal fiume cominciava a emergere dall'oscurità. Il caldo aumentava rapidamente. Ash indossava una maglia rubata a un uomo. Il puzzo del vecchio proprietario ne impregnava ancora il tessuto. La maglia le arrivava fino alle ginocchia e lei aveva usato la cintura della spada per stringerla all'altezza della vita. Il tessuto le proteggeva il collo, le braccia e gran parte delle gambe. Si strusciò le mani sulla pelle. Presto avrebbe fatto molto caldo. La luce continuava a farsi strada da est e le ombre si ritiravano a ovest. Ash colse un bagliore a due miglia di distanza.
Uno. Cinquanta. Mille? Il sole brillava sugli elmi, le corazze, le lance, i martelli e sulle punte delle frecce. «Si sono schierati e avanzano! Hanno il sole alle spalle!» Cominciò a saltare da un piede all'altro. «Perché il capitano non ci lascia combattere?» «Non voglio» disse Richard, un ragazzino dai capelli scuri che in quel periodo rivestiva l'incarico di suo amichetto particolare. Ash lo fissò stupefatta. «Hai paura?» Schizzò dall'altra parte della torre e si sporse per osservare i carri in cerchio della compagnia. Le lavandaie, le prostitute e le cuoche stavano fissando le catene che tenevano uniti i carri. La maggior parte di loro erano armate di lance e alabarde. Si sporse ulteriormente, ma non riuscì a vedere Guillaume. Il sole si levava rapido nel cielo. Ash si sforzò di vedere quello che stava succedendo sul pendio che portava alla riva del fiume. Qualche cavallo, i loro cavalieri con indosso le divise colorate, una bandiera con le insegne della compagnia e i soldati che marciavano armi alla mano. «Perché avanzano così piano?» domandò Richard. «Il nemico gli sarà addosso prima che siano pronti!» Ash si era irrobustita parecchio nel corso degli ultimi sei mesi, ma continuava a dimostrare non più di otto anni. La denutrizione giocava un ruolo fondamentale in questo ritardo. Cinse le spalle del ragazzino con un braccio. «Ci sono dei problemi. Non possono muoversi velocemente. Guarda.» Il terreno intorno al fiume era coperto da una fitta distesa di grano e papaveri che rallentava notevolmente la marcia dei soldati. Poco lontano dai fanti c'erano i cavalieri immersi in una distesa di papaveri. Richard si strinse ad Ash, pallido in volto. «Moriranno?» «Non tutti. Sempre che arrivi qualcuno ad aiutarli quando inizia la battaglia. Il capitano avrà pagato degli uomini, se ci è riuscito. Oh.» Ash sentì un crampo allo stomaco, infilò una mano tra le gambe, la ritrasse e vide che la punta delle dita era sporca di sangue. «Dolce Cristo Verde!» Ash strofinò le dita sulla maglia guardandosi intorno per essere sicura che nessuno l'avesse sentita imprecare. Erano soli. «Sei ferita?» chiese Richard, arretrando di un passo. «Oh. No» rispose Ash, molto più stupita di quanto dava a vedere. «Sono diventata donna. Le donne del campo mi avevano avvertita che prima o poi sarebbe successo.» Richard si dimenticò dei soldati e sorrise, dolce. «È la prima volta, vero? Sono contento per te, Ashy! Avrai un bambino?»
«Non adesso...» Ash fece ridere l'amichetto per distrarlo dalle sue paure, dopodiché si girò per tornare a fissare i campi che si stendevano ai piedi della torre. Il sole stava facendo evaporare la rugiada. «Guarda...» A circa un chilometro e mezzo di distanza da loro c'era il nemico. Gli uomini della Serena Sposa del Mare scendevano lungo il pendio inondato dalla luce del sole. Le bandiere rosse, blu, giallo e oro sventolavano qua e là sopra gli elmi. Si tolsero la baviera e la ventaglia dall'elmo per via del caldo 8 , ma erano ancora troppo lontani per distinguere i volti o le V rovesciate che coprivano la bocca e il mento. «Sono troppi, Ashy!» piagnucolò Richard. Lo schieramento della Serena Sposa del Mare si divise in tre parti. Un primo contingente piuttosto nutrito formò l'avanguardia. Dietro di esso si trovava il grosso dello schieramento dal quale spuntavano i vessilli, mentre la retroguardia era formata da un manipolo di uomini armati di alabarde e lance. Le prime file avanzavano lente. Il sole si rifletteva sugli elmi e sulle armi dei ronconieri. Ash sapeva che i ronconi9 erano usati anche dai contadini, ma non riusciva a immaginare come. Quelle armi servivano per disarcionare i cavalieri e spaccare le armature. Dietro i roncolieri c'erano i soldati armati di asce che davano l'impressione di essere un gruppo di contadini diretto a far legna... E gli arcieri. Tanti. Quasi troppi. «Tre battaglie.» Ash indicò, tenendo Richard per le spalle. Il ragazzino tremava. «Guarda, Dickon. Il primo schieramento. C'è una fila di roncolieri, una di arcieri, una di fanti, un'altra fila di arcieri, un'altra fila di roncolieri e ancora altri arcieri.» Una voce roca risuonò lontana. «Incoccare! Tirare!» Ash si grattò. Improvvisamente le era tutto chiaro e per la prima volta riuscì a dar voce a quello che nella sua testa si era sempre presentato come uno schema. Cominciò a parlare rapidamente. Era così eccitata che il ragazzino non 8
Parti dell'armatura che proteggevano il mento e la parte bassa del volto, composte da una serie di piastre metalliche articolate imbottite di velluto o di stracci che risultavano calde da indossare. 9 Roncone: arma in asta con lama variamente configurata ma sempre caratterizzata da un robusto uncino tagliente su entrambe le curve, l'interna e l'esterna (N.d.T.).
riusciva a seguirla. «I loro arcieri sono protetti dai fanti! Possono tirarci addosso una salva di frecce ogni sei battiti del cuore e noi non possiamo farci niente. Tuttavia dobbiamo provarci e finiremo tra le braccia dei roncolieri e dei fanti. Poi gli arcieri prenderanno le spade o si sposteranno sui fianchi per continuare a bersagliarci. Ecco perché li hanno posizionati in quel modo. Cosa possiamo fare?» «Se sei in svantaggio numerico non puoi impegnare il nemico separatamente. Forma un cuneo con la punta rivolta verso il nemico in modo che i tuoi arcieri possano tirare senza il rischio di colpire i compagni davanti a loro. Quando i loro fanti attaccheranno saranno costretti ad affrontare i fianchi del tuo schieramento. A quel punto usa la tua fanteria pesante per spezzare le loro fila.» Ash comprese alla perfezione la strategia. Non era la prima volta che le succedeva. Spesso si era sdraiata sull'erba dietro la tenda del capitano e lo aveva ascoltato esporre le sue tattiche agli ufficiali. Ci pensò sopra e disse: «Come possiamo farlo? Non abbiamo abbastanza uomini!» «Ashy» piagnucolò Richard. «Cosa abbiamo?» protestò Ash. «Gli uomini del grande duca sono pochi! E quelli che formano la milizia cittadina sanno appena da che parte si regge una spada. Due compagnie di riserva e noi.» «Ash!» strillò il ragazzino ad alta voce. «Ashy!» «Allora non radunare gli uomini perché diventerebbero facile bersaglio per gli arcieri nemici. Il nemico è fuori tiro. Devi muoverti veloce e attaccarlo.» Piantò le dita dei piedi negli interstizi tra i blocchi di pietra della torre senza guardare le bandiere che si avvicinavano. «Sono troppi!» «Smettila, Ashy. Smettila! Con chi stai parlando?» «Allora ti devi arrendere e implorare una pace.» «Non dirlo a me! Io non posso fare niente! Niente!» «Dirti cosa? Con chi stai parlando?» strillò Richard. Passarono diversi secondi nei quali non successe nulla, poi la compagnia di mercenari e le truppe del grande duca cominciarono a correre infrangendosi contro le linee nemiche. Le aste delle bandiere si piegarono in avanti e i petali dei papaveri strappati dagli steli si levarono in aria formando una nuvola rossa. Il clangore metallico delle armi e delle corazze, le voci roche degli ufficiali che urlavano gli ordini, il suono di una cornamusa e il battito degli zoccoli dei cavalli si levarono dal campo di battaglia.
«Hai detto 'Ti ho sentito!'» Ash fissò il volto rosso e bianco di Richard. «L'hai detto. Ti ho sentita. Chi era?» Lo schieramento del grande duca si infranse e gli uomini formarono dei piccoli gruppetti intorno alle bandiere e agli stendardi. Ora non avevano nessuna possibilità di formare un cuneo. Il grosso delle truppe della Serenissima Sposa del Mare cominciò ad avanzare e l'aria venne pervasa dal sibilo delle frecce. «Ma qualcuno ha detto...» Un'esplosione frantumò una grossa sezione del parapetto. Ash venne investita da una pioggia di schegge. Sentì il sangue che le colava dal labbro. Si toccò il naso con le dita tremanti e urlò dal dolore. Un boato fece tremare il cielo ripercuotendosi in tutto il corpo di Ash, che si toccò le tempie. Le fischiavano le orecchie, lacrime di terrore solcavano le guance del piccolo Richard che strillava terrorizzato, ma lei non riusciva a sentirlo. Un lato del parapetto crollò. Ash rischiò di cadere nel vuoto, ma riuscì a buttarsi carponi nel momento stesso in cui un grosso blocco di pietra volava via. Un attimo dopo un secondo boato fece tremare l'aria. L'esplosione fu tanto violenta che lei riuscì a sentirla malgrado la prima l'avesse quasi assordata. Il ragazzino stava in piedi di fronte ad Ash con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le gambe tremanti. Sul davanti dei pantaloni era comparsa una larga macchia di urina. Richard si sedette. Ash lo fissò, ma nei suoi occhi non c'era disprezzo: a volte, rimanere fermi sul posto e farsi la pipì addosso è l'unica reazione sensata. «Usano i mortai! Buttati a terra!» Sperò di essere riuscita a urlare. Prese il ragazzino per un braccio e cominciò a trascinarlo verso i gradini della scala. Le schegge di pietra le graffiavano le ginocchia ed era accecata dalla luce del sole. Si lasciò cadere all'interno della torre battendo la testa contro la parete delle scale. Richard le diede un calcio in bocca senza volerlo. Ash scese le scale a rotta di collo imprecando ad alta voce. Uscì dalla torre e andò a ripararsi nel cerchio dei carri. Non sentiva più il boato delle artiglierie. Si girò e vide che la torre del monastero era stata ridotta a un cumulo di macerie dal quale si levava una densa nuvola di polvere che stava oscurando il sole. Quarantacinque minuti più tardi i carri vennero catturati dal nemico.
Ash corse al fiume. Il campo di battaglia era costellato di corpi. L'odore era così forte da far ondeggiare l'aria. Si premette la manica della maglia sulla bocca e sul naso e cercò di non calpestare i visi dei morti. I contadini stavano spogliando i cadaveri dei loro averi. Ash si nascose tra le spighe di grano tinte di rosso. Si era scottata il naso e le guance sotto il caldo sole estivo e ora sentiva che anche i polpacci cominciavano ad arrossarsi malgrado fossero protetti dai pantaloni. Si alzò in piedi e si infilò il cappello di paglia. Il lezzo di escrementi la fece vomitare ma lei se ne rese appena conto. «Bartolomeo! Bartolomeo!» pianse un ferito, quindi cominciò a implorare l'uomo che trascinava il carretto per raccogliere i corpi, ma questi passò oltre scuotendo la testa. Non c'era nessun segno di Richard o degli altri. I raccolti erano bruciati per più di un chilometro. I corvi banchettavano con i corpi infilando i becchi negli interstizi delle armature. Sul campo non c'erano più tracce di bombarde o armature in buono stato. Dovevano essere state portate via o razziate. Ash corse al campo. Vide Richard in compagnia delle lavandaie. Il ragazzino la intravide a sua volta e corse via. Ash rallentò, si girò e tirò violentemente il vestito di uno degli artiglieri e, senza realizzare quanto fosse assordata, urlò: «Dov'è Guillaume Arnisout?» «È stato buttato nella buca della calce.» «Cosa?» L'uomo scrollò le spalle. «È morto e l'hanno sepolto nella calce.» Ash non seppe cosa dire. «No,» si intromise un secondo uomo che si trovava vicino a un fuoco «l'hanno fatto prigioniero.» «Ma va, aveva un foro grosso così nello stomaco» disse un terzo uomo allargando le mani. «Ma non sono stati gli uomini della Serenissima, deve essere stato uno degli uomini del duca a cui doveva dei soldi.» Ash si allontanò dal fuoco. Non importa dove venisse eretto, ma il campo rimaneva sempre lo stesso. Si diresse verso uno di quei punti del campo che frequentava di meno: il centro. Ora era pieno di stranieri in armi. Finalmente vide un volto noto. Era uno degli aiutanti di campo del capitano. Lo conosceva di vista, ma non di nome. Gli artiglieri lo chiamavano lo scendiletto e Ash era abba-
stanza grande per capire come mai si fosse guadagnato quell'appellativo. L'ufficiale biondo indossava una cotta verde bordata d'oro sopra l'armatura e sembrava infastidito. «Guillaume Arnisout?» si passò una mano tra i capelli folti e mossi. «È tuo padre?» «Sì» mentì Ash, senza esitare. Era una cosa che aveva imparato a fare da tempo. «Lo voglio! Dov'è?» L'ufficiale consultò una lista. «Arnisout. Eccola qua. È stato fatto prigioniero. I capitani si stanno parlando. Immagino che ci scambieremo i prigionieri tra poche ore.» Ash lo ringraziò cercando di essere il più gentile possibile, quindi tornò al limitare del campo e attese. Scese la sera. Il puzzo dolciastro dei cadaveri ammorbava l'aria. Guillaume non era ancora tornato. Nel campo avevano cominciato a circolare le voci più disparate. C'era chi sosteneva che fosse morto per le ferite e chi diceva che avesse contratto la peste nel campo del nemico. Altri erano convinti che fosse passato dalla parte della Serenissima con il grado di comandante delle artiglierie per il doppio della paga. Infine qualcuno era convinto che fosse scappato con una nobildonna e si fosse nascosto in una tenuta in Navarra. (Ash passò alcune settimane a sperare che fosse andata veramente così, ma dopo sei mesi perse ogni illusione.) Al tramonto i prigionieri camminavano confusi tra le tende del campo. Non erano abituati a muoversi disarmati. Gli ultimi sprazzi di sole indoravano il sangue e i papaveri. L'aria era calda. Ash si abituò in fretta al puzzo dei cadaveri in decomposizione. Richard sgattaiolò vicino ad Ash che si stava facendo medicare le caviglie da una delle lavandaie. «Quando lo sapremo?» chiese Richard, fissandola in cagnesco. «Cosa ci faranno?» «A noi?» Ash aveva ancora le orecchie che fischiavano. «Facciamo parte del bottino» borbottò una lavandaia. «Forse ci venderanno a qualche bordello.» «Sono troppo giovane!» protestò Ash. «No.» «Sei un demonio!» urlò il ragazzino. «I demoni ti hanno detto come farci perdere! Tu senti le voci dei demoni! Finirai sul rogo!» «Richard!» Il bambino corse via. «Porca miseria! È troppo carino» commentò improvvisamente la lavan-
daia, maligna. Tirò giù del tutto i pantaloni di Ash. «Non vorrei essere in lui o in te. Hai un bel visino, ma ti bruceranno se senti le voci?» Ash piegò la testa all'indietro per fissare il firmamento. Non era euforica come le capitava di solito dopo un grande sforzo. Aveva mal di stomaco, le ginocchia sbucciate, si era strappata un'unghia di un piede e sentiva tutti i muscoli indolenziti. «Non delle voci. Una voce.» Spinse con un piede la tazza di terracotta piena d'olio. «Forse era il dolce Cristo o un santo.» «E una come te sente le voci dei santi?» ringhiò incredula la donna. «Sgualdrinella!» Ash si passò il dorso della mano sul naso. «Forse è stata una visione. Guillaume ne ha avuta una. Ha visto il Morto Benedetto combattere al nostro fianco a Dinant.» La lavandaia si girò per andarsene. «Spero che i soldati della Serenissima ti guardino bene e ti facciano scopare dagli uomini che svuotano i pozzi neri!» Ash prese la scodella con un gesto rapido e si preparò a lanciarla. «Puttana sifilitica!» Una mano sembrò apparire dal nulla e strinse la sua. Ash emise un umiliante grido di dolore e lasciò cadere la scodella. «Donna,» ringhiò il soldato della Serenissima «va' al centro del campo. Ci stiamo spartendo il bottino. Sbrigati! Anche tu, piccolo mostro sfregiato!» La lavandaia corse via ridendo seguita dal soldato. «Senti delle voci, piccola?» le chiese improvvisamente una donna a fianco del carro. Aveva il volto tondo e pallido come la Luna. Il cappello che le fasciava la testa era tanto stretto da non lasciare vedere i capelli. Il corpo voluminoso era avvolto in una tunica grigia stretta in vita da una cintura dalla quale pendeva la Croce di Rovi. Ash si pulì nuovamente il naso piagnucolando. Un sottile filamento di moccio chiaro le pendeva tra la narice e la manica. «Non lo so! Cosa vuol dire che 'sento le voci'?» La donna dal volto pallido la fissò con sguardo avido. «Gli uomini della Serenissima non parlano di altro. Credo che stiano cercando proprio te.» «Cercano me?» Ash ebbe l'impressione che qualcuno le avesse stretto il costato. Una mano bianca e sudaticcia la prese per la mascella e le girò il volto.
Ash cercò di liberarsi dalla presa, ma non ci riuscì. La donna la studiò attentamente. «Se si tratta veramente di un messaggio del Cristo Verde, essi vorranno sfruttare la tua capacità a loro vantaggio. Se è un demone ti esorcizzeranno, ma potresti aspettare fino al mattino, perché per la maggior parte sono già ubriachi, a quest'ora.» Ash ignorò la stretta della donna e la paura. «Sei una suora?» «Sì, appartengo all'ordine delle Sorelle di Santa Herlaine. Il nostro convento è vicino a Milano10 . Non è molto lontano da qua.» La donna la lasciò andare. Il tono di voce era duro. Ash pensò che la donna non dovesse essere nata da quelle parti. Come tutti i mercenari anche lei aveva imparato le basi di tutte le lingue che aveva sentito parlare. «Hai bisogno di mangiare, piccola. Quanti anni hai?» le chiese la suora. «Nove. Dieci. Undici.» Ash si passò una manica sul mento. «Non lo so. Ricordo il grande uragano. Ho dieci anni. Forse nove.» Gli occhi della donna si illuminarono. «Sei una bambina e denutrita, per 10
Le prove suggeriscono che non si tratti di uno dei contratti che la compagnia dei Griffin dorati ha stipulato con i duchi di Borgogna. La battaglia descritta in queste pagine non può essere né quella di Dinant (1925 agosto 1466) né quella di Brustem (28 ottobre 1467). Io penso che si tratti della battaglia di Molinella (Italia, 1467) svoltasi nel corso della guerra tra il duca Francesco Sforza di Milano e le truppe della Serenissima Repubblica di Venezia guidate da Bartolomeo Colleoni, al quale è stato erroneamente accreditato il merito di essere stato il primo a impiegare l'artiglieria in battaglia. I dati sulla battaglia sono piuttosto oscuri a causa del commento cinico di Niccolò Machiavelli, che qualche anno dopo argomentò sulle 'guerre senza spargimenti di sangue' dei mercenari italiani sostenendo che a Molinella ci fu solo un morto a causa di una caduta da cavallo. Fonti più attendibili affermano che ci furono seicento morti. Il codice di Winchester venne scritto intorno all'AD 1495, circa vent'anni dopo la battaglia e diciannove anni dopo la redazione degli scritti più importanti riguardanti la vita di Ash (redatti tra il 1476 e il 1477). Alcuni dettagli della battaglia descritti in queste pagine fanno pensare all'ultimo scontro della Guerra delle Rose, la battaglia di Stoke (1487). Forse questa biografia venne scritta da un soldato inglese che si fece monaco e si ritirò nel convento di Winchester e narrò quello che aveva visto nella battaglia di Stoke piuttosto che in quella di Molinella.
giunta. Nessuno si è mai preso cura di te, giusto? Forse è stato allora che i demoni sono riusciti a entrare. Questo campo non è adatto a una bambina.» Le lacrime le bruciavano gli occhi. «È casa mia! Non ho i demoni!» La donna le prese il volto tra le mani. «Sono Sorella Ygraine. Dimmi la verità. Chi è che ti parla?» «Niente e nessuno, Soeur! C'eravamo solo io e Richard.» Sentì un brivido gelato che dal collo le scendeva fino alle spalle. Le parole di una preghiera al Cristo Verde le morirono in bocca. Cominciò ad ascoltare. Il respiro roco della suora. Lo scoppiettio del fuoco. Il nitrito di un cavallo. Le canzoni e le urla degli ubriachi. Non sentì nessuna voce compassionevole che le parlava nella mente. Nel centro del campo scoppiò un trambusto e Ash sussultò. Dei soldati passarono di corsa vicino a loro diretti verso il punto in cui si era radunata una piccola folla. In un carro nelle vicinanze un ferito chiamava la madre urlando. Il sole era scomparso quasi del tutto. Le scintille che si levavano dai fuochi da campo cominciarono a balenare nel cielo. Le fiamme erano altissime e rischiavano di bruciare le tende. «Stanno saccheggiando il campo» disse la suora. «Siamo prigionieri. Cosa ci succederà ora?» chiese Ash ad alta voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Licenziosità, ubriachezza e libertinaggio...» Ash si tappò le orecchie con le mani, ma la voce proseguì: «... la notte dopo la battaglia i comandanti non possono controllare i propri uomini. È in notti come questa che una persona può essere uccisa anche solo per divertimento.» Sorella Ygraine posò le mani sulle spalle di Ash, che tolse le sue dalle orecchie. Il borbottio che proveniva dallo stomaco le fece capire che aveva fame e che non mangiava ormai da dodici ore. La suora continuò a fissarla come se nessuna voce avesse parlato. «Io...» Ash esitò. In quel momento nella sua mente non c'erano né voci né silenzio, solo un grande potenziale per parlare. Era come avere un dente che non è ancora spuntato del tutto, ma che spinge all'interno della gengiva. Il pensiero di quanto la sua anima potesse sentirsi sola nel suo corpo le provocò molta tristezza e provò una grande paura. «Non sento nessuna voce» balbettò improvvisamente. «Non sento niente. Niente! Ho mentito a Richard perché pensavo che sarei diventata famosa. Volevo solo farmi notare!»
La donna si girò e cominciò ad allontanarsi a grandi passi tra i fuochi da campo e gli ubriachi. «Portami al sicuro. Non lasciare che mi facciano del male, ti prego!» urlò Ash a squarciagola.
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra) Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street, London W14 OAB, U. K. Fax:JJJJJJJ E-mail:JJJJJJJ Tel:JJJJJJ
Anna Longman Editore JJJJUniversity Press JJJJJJJJ JJJJJJ JJJJJJJ 9 ottobre 2000
Copia della corrispondenza originale intratteunuta tra il dott. Ratcleff e il suo editore trovata ta le pagine del testo. Che siano state inserite seguendo l'ordine di pubblicazione?
Carissima Anna, È stato bello poterti finalmente incontrare di persona. Penso che svolgere il lavoro di editing sezione per sezione con te sia senza dubbio la cosa più saggia da fare, considerando il volume di materiale a disposizione, la data di pubblicazione proposta (il 2001) e il fatto che sto affinando la traduzione. Appena avrò stabilito un'adeguata connessione in rete potrò spedirti direttamente le pagine. Sono felice che tu sia rimasta soddisfatta del lavoro che ho svolto fino a questo momento. È ovvio che posso tagliare sulle note a piè di pagina. È gentile da parte tua ammirare la mia 'tecnica di distacco letterario' in riferimento al cattolicesimo del quindicesimo secolo, quando uso termini come il 'Cristo Verde' e la 'Croce di Rovi'. Questa è una delle tecniche che uso per impedire al lettore di imporre i suoi preconcetti sulla vita medievale. È una traduzione diretta dal Latino volgare del Medio Evo e dalle
prime fonti mitriache. Non dovremmo preoccuparci più di tanto perché questa parte è chiaramente legata alle leggende che circolano sulla fanciullezza di Ash (il leone sovrannaturale e via discorrendo). Gli eroi sono sempre circondati da un alone di leggenda e devo dire che tale alone diventa molto più ampio quando si tratta di una donna. Forse il Codice di Winchester vuole farci riflettere sulla scarsa cultura di Ash da bambina. A un'età che variava tra gli otto e i dieci anni, Ash conosceva solo i campi, i boschi, le tende, le armature, le lavandaie, i cani, i soldati, le spade, i santi e i leoni. La compagnia mercenaria. I nomi di colline, fiumi e città non avevano alcuna importanza per lei. Come poteva sapere che anno fosse? Per lei le date non significavano nulla.
Tutto ciò cambia nella prossima sezione: la vita di Ash scritta da del Guiz. Proprio come il curatore dell'edizione del 1939, Vaughan Davies, io mi sto servendo della versione originale in tedesco della vita di Ash ad opera di del Guiz, pubblicata nel 1516. (A causa delle natura rivoluzionaria degli scritti, il testo venne ritirato immediatamente e pubblicato, epurato, nel 1518.) Eccettuati alcuni errori di stampa, questa copia è in linea con le rimanenti edizioni del 1516 della Vita (le copie sono custodite nella British Library, al Metropolitan Museum of Art, al Kunsthistorisches Museum di Vienna e al Glasgow Museum). Oggi, io ho un gran vantaggio nei confronti di Vaughan Davies che pubblicava nel 1939: posso essere esplicito. Ho fatto ricorso allo slang specialmente nei dialoghi per meglio rappresentare le differenze sociali del periodo. Inoltre i soldati di quell'epoca erano notoriamente sboccati. Quando Davies traduce letteralmente: 'per le ossa di Cristo', tale imprecazione non ha alcun effetto sul lettore di oggi. Per questo motivo mi sono avvalso del gergo moderno e temo che Ash pronuncerà
un gran numero di parolacce. Per quanto riguarda la tua obiezione sul fatto di far ricorso a diverse fonti, la mia intenzione non è quella di seguire il metodo di Charles Mallory Maximillian. Sebbene ammiri moltissimo la sua edizione del 1890 della vita di Ash, nella quale egli tradusse i vari codici e documenti in latino, lasciando che fossero gli autori di tali scritti a narrare lo svolgersi delle vicende, io penso che non si possa chiedere tanto al lettore moderno. Intendo seguire il metodo di ricerca biografica di Vaughan Davies e spingere i vari autori a creare una versione coerente della vita di Ash. È ovvio che le differenze tra i testi dovranno essere appianate ricorrendo ad adeguate disquisizioni accademiche. Comprendo che troverai sorprendente parte del nuovo materiale che ho trovato, ma ricorda che si tratta di quello che la gente di quel tempo pensava gli stesse accadendo. E se terrai a mente le più grandi alterazioni al nostro modo di vedere la storia una volta che avremo pubblicato Ash: la storia perduta della Borgogna, forse ti renderai conto che non bisogna mai sottovalutare nulla. Con affetto, Pierce
DOTT. PIERCE RATCLIFF (Studi sulla guerra) Flat I, Rowan Court, 112 Olvera Street, London W14 OAB, U. K. Fax:JJJJJJ E-mail:JJJJJJ Tel:JJJJJJJ
Anna Longman Editore JJJJUniversity Press JJJJJJ JJJJJ JJJJJJ 15 ottobre 2000
lettera precedente di A. Longoman è mancante?
Carissima Anna, Sebbene le mie conclusioni sconvolgeranno completamente le loro, mi sento molto fortunato per il fatto di poter rintracciare passo dopo passo la vita accademica di quei due studiosi. Quando ero a scuola, Ash: una biografia, era considerato un testo fondamentale! Ma il mio amore per quel personaggio è molto più antico. Lo ammetto, risale ad: Ash: la vita di un capitano mercenario donna nel Medio Evo, di Charles Mallory Maximillian. Prendi, per esempio, come Mallory tratta la Borgogna medievale, regno unico per il periodo in cui è sorto. Sebbene i più grandi riferimenti alla vita di Ash compaiano in testi germanici, le sue gesta sono spesso accomunate a quelle dei potenti regnanti borgognoni. Eccoti la descrizione completa di CMM scritta nel 1890: La storia di Ash in un certo qual modo è la storia di quella che potremmo definire la Borgogna
'perduta'. Tra tutti i regni dell'Europa Occidentale la Borgogna - questo fulgido sogno di cavalleria - è quello che durò meno a lungo, ma la sua fiaccola arse con maggior intensità rispetto a quella degli altri regni. Sotto i suoi quattro duchi e il governo nominale del re di Francia, la Borgogna divenne l'ultimo e più grande regno del Medio Evo, consapevole, già al momento della sua nascita, di rifarsi a un'altra epoca. Il culto arturiano del duca Carlo è, per quanto strano possa sembrare a noi abitanti di questo mondo fumoso e industriale, un tentativo di risvegliare i più alti ideali della cavalleria in quella terra di cavalieri in armatura, principesse che abitavano castelli da favola, donne di incredibile bellezza e compitezza. Sebbene anche la Borgogna fosse corrotta, i suoi regnanti pensavano che il quindicesimo secolo fosse molto distante dagli ideali dell'Era Classica dell'Oro, e che solo una rivalsa delle virtù di coraggio, onore, pietà e rispetto potesse restituire una certa integrità morale al loro tempo. Pur non avendo previsto l'invenzione della stampa, la scoperta del Nuovo Mondo e il Rinascimento, fatti e scoperte che sarebbero avvenute solo nel corso degli ultimi vent'anni del loro secolo, la Borgogna riuscì in qualche modo a prendervi parte. Questa, allora, è la Borgogna che svanisce dalla memoria e dalla storia nel gennaio del 1477. Ash, una Giovanna d'Arco borgognona, muore in uno scontro. Il duca coraggioso viene ucciso dai suoi arcinemici di sempre, gli Svizzeri, sul campo di battaglia di Nancy e vi giace due o tre giorni prima che sia possibile riconoscere il suo corpo, perché i fanti l'avevano spogliato dei suoi abiti e così, come ci spiega Commine, ci vollero tre giorni prima che il re di Francia potesse tirare un gran sospiro di sollievo e disporre delle terre dei nobili borgognoni. Fu allora che la Borgogna scomparve.
Tuttavia, se si studiano le prove, è chiaro che la Borgogna non scomparve del tutto. Simile a un torrente che si tuffa tra le profondità della terra, il sangue di Carlo l'Intrepido scorre attraverso la storia dell'Europa diventando Asburgo per matrimonio, fondendosi con l'impero Austro-Ungarico che - pur essendo un gigante che sta invecchiando - sopravvive ancora ai nostri giorni. Quello che possiamo dire è che ricordiamo la Borgogna come una terra perduta e dorata. Perché? Che cosa stiamo ricordando? Charles Mallory Maximillian (ed.), Ash: vita di un capitano mercenario del Medio Evo, J Dent & Sons, 1890; ristampe 1892, 1893, 1896, 1905. Ovviamente CMM è uno studioso minore pieno di romanticismo vittoriano e il mio lavoro non dipende dalle sue traduzioni. Ironia della sorte, anche se è più inaccurata, la sua storia è molto più piacevole da leggere rispetto alle storie a sfondo sociologico che la seguirono. Io voglio provare a sintetizzare storia e accuratezza sociologica con il lirismo di CMM. Spero che sia possibile farlo. Ciò che egli sostiene è del tutto fittizio certo l'insieme di contee e ducati che componevano l'antica Borgogna 'svanì dalla storia', per così dire (non prima che Ash avesse combattuto nelle battaglie più importanti.) È vero comunque che ben poco venne scritto sulla Borgogna dopo il suo collasso nell'anno 1477. Ma è stato il lirismo nostalgico per la 'Borgogna perduta' di CMM, una sorta di interstizio magico nella storia, ad affascinarmi. Rileggerlo, Anna, mi ha fatto capire che avevo trovato ciò che era 'perduto' e mi ha fatto intuire esattamente ciò che implica tale scoperta. Troverai in allegato alla presente la traduzione completa della
Prima Parte dell'opera di del Guiz: Fortuna Imperatrix Mundi. Una precisazione: sebbene la maggior parte del manoscritto che ho trovato, Fraxinus, copra gli eventi degli ultimi mesi del 1476, sono in grado di usare parte di tali documenti per gettare luce su alcuni eventi descritti nei testi già esistenti, a partire dal momento in cui il del Guiz comincia a descrivere la vita adulta di Ash a partire dal giugno di quell'anno. Scoprirai che vi sono delle sorprese anche in queste 'vecchie carte' che possono eludere CMM e Vaughan Davies! Comprendo che tu debba presentarti alla riunione con i tuoi capi con tutte le informazioni possibili riguardo la 'nuova teoria storica' che ho evinto dal Fraxinus. Per diverse ragioni tecniche temo di non poter rivelare i dettagli. Con affetto, Pierce
PARTE PRIMA 16 GIUGNO AD 1476 [?] - 1 LUGLIO AD 1476 Fortuna Imperane Mundi11 I «Giù le ventaglie, signori!» ordinò Ash. Il clangore metallico delle visiere che si abbassavano echeggiò lungo tutta la fila di cavalieri. Robert Anselm finì di agganciare il guardacollo e la baviera. «Il nostro signore non ci ha detto di attaccarli, capo...» Ash indicò con un dito e disse: «E chi se ne frega! È una buona occasione e non dobbiamo lasciarcela scappare!» Eccettuata Ash, Anselm era l'unico cavaliere che avesse un'armatura completa. Gli altri ottantuno indossavano elmi, piastroni, armature di scarsa qualità o i brigantini, giubbe a cui erano state applicate delle piastre metalliche. L'unica sezione d'armatura di ottima qualità indossata da tutti quei mercenari erano le protezioni per le gambe, perché erano le più esposte agli attacchi. «In formazione.» Ash sentì che il suo tono di voce era ovattato a causa dei capelli che aveva raccolto in una treccia per poi ripiegarla contro l'imbottitura dell'elmo. Non aveva un timbro profondo come quello di Anselm. La sua voce acuta si levava al di sopra del fragore della battaglia e solo il rombo dei cannoni poteva coprirla. Gli uomini di Ash sentivano sempre gli ordini del loro comandante. Ash sistemò a sua volta la baviera e il guardacollo lasciando la ventaglia alzata per poter vedere meglio. I cavalieri si affollavano intorno a lei simili a una massa ribollente. Gli zoccoli dei cavalli avevano ormai rivoltato il terreno della collinetta sulla quale si trovavano. I suoi uomini, la sua compagnia: in sella a castrati di buona qualità. Ai piedi del pendio si ergeva una gigantesca città fatta di tende e carri. All'interno dell'insediamento c'erano trentamila uomini, donne e animali: l'esercito borgognone. Giravano voci certe sul fatto che il campo fosse abbastanza esteso da ospitare due mercati... 11
'La dea Fortuna è l'imperatrice di questo mondo.'
La vastità dell'accampamento rendeva quasi impossibile scorgere le mura della città assediata. Neuss, una cittadina che sorgeva sulle rive del Reno, grande un decimo dell'installazione militare che la attorniava, resisteva precariamente all'interno del suo fossato e dei cancelli ormai ridotti a macerie. Alle sue spalle si innalzavano le verdi colline della valle del Reno. Ash abbassò leggermente la ventaglia per ripararsi dal sole. Un gruppo di una cinquantina circa di cavalieri si muoveva tra il campo borgognone, Neuss e il loro campo imperiale che, in teoria, era stato eretto per salvare la cittadina. Ash riuscì a scorgere la croce di sant'Andrea, due braccia rosse che si incrociavano diagonalmente, spiccare sulle divise dei soldati borgognoni. Robert Anselm fece girare il baio e prese con la mano libera lo stendardo della compagnia: il Leone Azzurro in campo dorato12 . «E se fosse un'imboscata, capo?» Nel profondo dello stomaco di Ash ribollivano paura e attesa. Godluc, il 12
Vale la pena notare il termine usato dall'Angelotti nel suo manoscritto quando si riferisce allo stendardo da battaglia: oro, un leone azzurro che passa guardingo (un leone blu che cammina a sinistra del punto in cui lo si vede con una zampa sollevata) è inusuale. Di solito in araldica la fiera che passa guardinga non è il leone, ma il leopardo. Io penso che Ash pensasse a se stessa come a un leone per motivi religiosi. Lo stendardo riprodotto nel manoscritto dell'Angelotti, uno stendardo affusolato a coda di rondine lungo due metri, riporta il simbolo del comandante della compagnia e una versione del grido di battaglia 'Frango regna!': 'Distruggo i regni!' - come anche i simboli delle diverse campagne in Germania, Italia, Inghilterra e Svizzera. Sulla bandiera personale di Ash, un rettangolo con impresso il suo simbolo, un leone azzurro affronté, (un leone azzurro con il volto rivolto verso chi guarda in campo oro) dovrebbe essere riprodotta solo la testa del felino (solo quella e basta). Il termine più corretto sarebbe un leopardo azzurro in campo oro. È chiaro che la divisa della compagnia è dorata con il simbolo del leone. Questa combinazione di blu e oro è caratteristica dell'est della Francia e della Lorena, ma anche della Francia in generale, dell'Inghilterra, dell'Italia e della Scandinavia, in contrasto con i motivi neri e oro tipici della Germania. Non sono riuscito a trovare nessun riferimento all'Oro o a un leopardo con il muso azzurro, né a un leopardo azzurro, se non nelle vicende di Ash.
grosso castrato grigio che cavalcava, si mosse come per rispondere alle sensazioni della padrona. Come le succedeva sempre nel caso ci fosse il rischio di un'imboscata, ebbe l'impressione che il tempo passasse più veloce e sentì la necessità di prendere una decisione. «No, non si tratta di un trucco. Sono troppo fiduciosi. Cinquanta uomini a cavallo - quella è solo una scorta. Pensano di essere al sicuro. Pensano che non li attaccheremo perché non abbiamo più fatto nulla dall'ultima visita dell'imperatore Federico tre settimane fa.» Calò la mano guantata sul pomello della sella e si girò verso Anselm sogghignando. «Dimmi quello che non vedi, Anselm.» «Non vedo fanteria, balestrieri, archibugi e non vedo arcieri - non ci sono gli arcieri!» Ash non riusciva a smettere di sghignazzare. «Vedo che hai capito. Quando mai ci è capitato uno scontro di cavalleria puro e semplice, solo cavalieri contro cavalieri, in una guerra?» «Senza il rischio di essere sbalzati dalla sella da una freccia?» Corrugò la fronte. «Sei sicura?» «Se non rimaniamo qua con le mani in mano possiamo beccarli allo scoperto. Sono troppo lontani per tornare al loro campo. Andiamo.» Anselm annuì, compiacente. Ash socchiuse gli occhi e inclinò la testa verso il cielo. L'armatura era bollente e Godluc sudava copiosamente sotto la bardatura blu. Il mondo puzzava di cavallo, sterco, lubrificante per armature e dalla città di Neuss, dove erano ormai sei settimane che mangiavano topi e gatti, si levava un fetore insopportabile. «Finirò cotta viva se non mi tolgo questo affare in fretta, andiamo!» Abbassò il braccio. Robert Anselm fece scattare in avanti il cavallo e alzò lo stendardo. Ash spronò Godluc oltre la selva di lance sollevate e si pose alla testa dei suoi uomini, con il suo luogotenente che trottava qualche passo dietro di lei. Premette i fianchi del cavallo facendolo passare dal trotto al piccolo galoppo. Il cambio di velocità le provocò un fremito in tutto il corpo e fece sferragliare le giunture dell'armatura di fabbricazione milanese. Il vento penetrò nella celata lasciandola senza fiato per qualche secondo. Gli zoccoli ferrati dei cavalli facevano tremare il suolo sollevando grosse zolle di terra. L'intensità del rumore divenne intollerabile. I suoi uomini acquistarono velocità e scesero giù dal pendio continuando a galoppare a rotta di collo per la pianura. Dolce Cristo, pensò Ash, fa che non mi sia
sbagliata! Pregò perché nessuno dei cavalli inciampasse nella tana di un coniglio. Vide gli stendardi dei nemici. Che il diavolo mi prenda, pensò, quello non è uno qualunque. Si tratta del duca Carlo di Borgogna in persona! Il sole brillava sulle armature dei cavalieri borgognoni e sulle punte delle lance. Ash non aveva più tempo per pensare alla tattica. Avrebbero dovuto cavarsela con l'addestramento che avevano fatto durante la stagione morta. Lanciò una rapida occhiata a destra e a sinistra per guardare i cavalieri che la stavano raggiungendo. Gli elmi le impedivano di riconoscere Euen Huw, Jocelyn Van Mander o Thomas Rochester, gli uomini al comando delle lance13 che formavano la compagnia. Ormai c'era solo una selva di lance abbassate in posizione d'attacco. Abbassò la sua lancia. Aveva il guanto umido di sudore. I sussulti decisi del cavallo la scossero violentemente malgrado avesse una sella dallo schienale alto. Lo schiocco della bardatura e il clangore metallico dell'armatura del cavallo l'assordarono, ma poteva ancora sentire gli odori e il sapore metallico della sua armatura simile a quello del sangue. Lanciò Godluc al galoppo e tutto sembrò rallentare. «Cinquanta uomini a cavallo con corazza completa. Io ne ho ottantuno con corazza media.» «Come è armato il nemico?» «Lance, mazze, spade. Non ci sono archi o balestre.» «Carica il nemico prima che venga raggiunto dai rinforzi.» «Cosa diavolo pensi che stia facendo?» urlò allegramente Ash, rivolgendosi alla voce nella sua testa. «Avanti! Per il Leone! Per il Leone!» Alzò il braccio libero e diede l'ordine di caricare. «Un leone!» sbraitò Robert Anselm, che si trovava a mezza lunghezza di distanza da lei, alzando l'asta della bandiera sopra la testa. Metà dei cavalieri l'avevano superata e avevano perso quasi del tutto la formazione. Era troppo tardi per cercare di ricompattare i ranghi. Che vadano pure, pensò, così impareranno a non stare con la bandiera! Passò le redini intorno al pomello della sella e chiuse la ventaglia dell'elmo con un gesto automatico della mano, riducendo il proprio campo visivo a una fessura. Le bandiere borgognone sussultarono violentemente. 13
Per lancia si intende un gruppo di combattimento capeggiato da un cavaliere o da un uomo d'arme assistito da più gregrari a cavallo o a piedi (N.d.T.).
«Ci hanno visti!» Non le fu immediatamente chiaro quello che voleva fare il nemico. Si stava raggruppando intorno a un uomo? Scappava? Stava per lanciarsi al galoppo verso il loro campo? Tutte e tre le cose contemporaneamente? Qualche attimo dopo quattro cavalieri borgognoni si riunirono e si lanciarono al galoppo verso di lei. L'interno dell'armatura di Ash era madido di sudore e la luce del sole contro il cielo azzurro l'accecava. Quei quattro uomini, pensò, stanno galoppando verso di me su dei cavalli che pesano tre quarti di tonnellata l'uno, protetti dall'armatura, brandendo lance con delle punte lunghe quanto la mia mano. Quando mi colpiranno a quella velocità penetreranno l'armatura e la mia carne come se fossero un foglio di carta. Ebbe una fugace visione della punta di una lancia che le trapassava la testa. Uno dei quattro cavalieri borgognoni abbassò la lancia sistemandola nell'alloggiamento dell'armatura. L'elmo era decorato da una vistosa piuma bianca di struzzo e la feritoia della ventaglia era così stretta da impedire la vista degli occhi. La punta della lancia era diretta contro di lei. Ash cadde preda di un sinistro senso d'esaltazione. Spostò il peso sulla sella. Godluc rispose immediatamente al segnale scartando bruscamente a destra, mentre lei abbassava la lancia. La punta penetrò il collo dello stallone grigio del primo cavaliere. L'impatto fu talmente violento da strapparle l'arma di mano. Il cavallo ferito crollò sulle zampe anteriori catapultando il cavaliere sotto gli zoccoli di Godluc, che, essendo un cavallo da guerra, non incespicò e continuò per la sua strada come se non fosse successo niente. Ash afferrò la mazza e la calò violentemente sull'elmo del secondo cavaliere. Sentì il metallo che si crepava e cedeva. Qualcosa urtò Godluc e Ash raschiò il fianco a terra. L'erba calda stava facendo scivolare più di un cavallo. Spostò il peso di lato per non finire schiacciata, afferrò la mano di Robert Anselm che nel frattempo era giunto in suo soccorso e riuscì a raddrizzare il cavallo. I due schieramenti combattevano freneticamente. Tranne i Tedeschi comandati da Anhelt, che cavalcavano ai margini della mischia piantando le lance qua e là come se stessero partecipando a una caccia al cinghiale, e Josse che aveva afferrato un cavaliere borgognone per il piastrone e cercava di piantare la daga in uno dei varchi dell'armatura, alla fine della prima carica quasi tutti avevano abbandonato le lance. Ormai regnava la confusione più totale. Un uomo giaceva faccia a terra. Qualcuno ferito all'arteria
femorale. Ash con l'armatura sporca di sangue che roteava selvaggiamente la mazza, il laccio di quest'ultima che si spezzava e l'arma che le schizzava via dalla mano compiendo una parabola nel cielo azzurro. Ash sfoderò la spada e colpì il volto del suo avversario con il pomello in un unico e fluido movimento. L'impatto le fece tremare il braccio. Cambiò direzione alla lama con una rotazione del polso e la calò sul gomito protetto ottenendo lo stesso risultato di prima. Il cavaliere alzò la mazza e Ash piantò la lama nell'interstizio apertosi tra le piastre dell'armatura. Tre cavalli si aprirono la strada nella mischia. Ash si guardò intorno e vide la sua bandiera. Maledizione, pensò, se non sono io la prima a stare vicina allo stendardo come posso pretendere che lo facciano gli altri? A circa un centinaio di metri di distanza dal punto dello scontro sventolava la bandiera con le insegne del duca. «Il comandante del nemico è a portata di mano» disse. «Allora neutralizzalo.» «Per il leone! Per il Leone!» Ash si drizzò sulle staffe e indicò con la spada. «Catturate il duca! Catturate il duca!» Qualcosa la colpì alle spalle facendole sbattere il viso sul collo di Godluc. Il cavallo scartò di lato e si impennò, ma Ash era troppo impegnata a rimanere in sella per cercare di capire cosa o chi fosse finito sotto gli zoccoli. Qualcuno urlò degli ordini in francese e in fiammingo. Ash vide il suo stendardo che si inclinava di lato e cominciò a bestemmiare; un attimo dopo la bandiera del duca fu scossa da un violento fremito e crollò al suolo. Un cavaliere le corse incontro con la spada puntata contro il volto e Ash si acquattò velocemente. Una trentina tra cavalli e uomini con le divise borgognone cominciarono a correre verso il loro campo. Sono passati solo pochi minuti, pensò Ash. Degli uomini uscirono di corsa dal campo nemico e dopo qualche attimo Ash vide che erano fanti appartenenti ai contingenti di Filippo di Poitiers e Ferry de Cuisance, arcieri della Piccardia e dell'Hainault. «Cinquecento arcieri, veterani.» «Se non hai un numero di arcieri sufficienti per contrastarli allora ritirati.» «Non ne ho in questo momento. 'Fanculo!» Agitò il braccio per indicare ai suoi uomini di ritirarsi. «Indietro!» Due degli uomini di Euen Huw, che facevano parte di quello che a essere gentili si sarebbe potuto definire un deprecabile manipolo di bastardi,
stavano per scendere dai cavalli per derubare i feriti. Ash vide Euen in persona che colpiva un cavaliere con la daga. «Vuoi diventare carne per le balestre?» Si sporse dalla sella e fece alzare il Gallese. «Via, ritiriamoci - adesso!» Euen non aveva avuto il tempo di terminare ciò che aveva iniziato. Il cavaliere si dibatteva e gridava, perdendo sangue da sotto la ventaglia. Ash si drizzò sulla sella, lo finì calpestandolo con il cavallo, quindi si avvicinò a Robert Anselm e gridò: «Torniamo al campo - veloci!» Lo stendardo con impresso sopra il simbolo del leone cominciò a ritirarsi. Un uomo che indossava una giubba con il leone azzurro cucito sopra si tolse da sotto il suo cavallo morto. Era Thomas Rochester, un cavaliere inglese. Ash si mantenne immobile sulla sella premendo le ginocchia contro la pancia di Godluc e aiutò il suo uomo a salire in groppa dietro di lei. I cavalli rimasti senza padrone vagavano senza meta per la piana di fronte alla città di Neuss. «Attenta agli arcieri, capo!» urlò l'uomo alle sue spalle. «Andiamo via!» Ash cavalcava lentamente tra i corpi per contare le sue perdite, quelle del nemico e per vedere se erano riusciti a uccidere il duca, ma non scorse né il cadavere del nobile né quelli dei suoi uomini. «Capo!» protestò Thomas Rochester. Il primo arciere della Piccardia superò un cespuglio che secondo la valutazione di Ash era a circa duecento metri di distanza dal punto in cui si trovava lei in quel momento. «Capo!» Thomas doveva essere spaventato. Non voleva neanche rallentare per prendersi un cavallo. Tutte quelle bestie che vagavano libere senza padrone rappresentavano una piccola fortuna su quattro zampe. E gli arcieri? «Va bene...» Ash si girò e cominciò a tornare verso il campo. Seguì il letto quasi asciutto dell'Erft e si inerpicò lungo il pendio. Si avvicinò al campo imperiale, che sembrava la copia carbone di quello burgundo, sforzandosi di mantenere un'andatura tranquilla. «Ti sei guadagnato una bella dose di biada» disse, dando una pacca sul collo protetto del cavallo. Il castrato alzò la testa. Aveva gli zoccoli e i lati della bocca sporchi di sangue. Alcuni uomini con le insegne del Leone Azzurro riprodotte sulle divise uscirono dal campo armati di archi. Ash attraversò il varco tra i carri.
«Eccoci arrivati, Thomas» fermò il cavallo per permettere all'uomo di scendere. «Perdi un altro cavallo e la prossima volta te la fai a piedi...» «Certo, capo!» le assicurò Thomas Rochester sogghignando. Gli uomini della compagnia di Ash si radunarono intorno al loro capitano e a Robert Anselm urlando domande. «È difficile che quei maledetti borgognoni ci seguano fin qui. Basta. Piantatela.» Il sole era cocente. Ash allontanò Godluc dalla folla e slacciò i cinghietti che le chiudevano i guanti, quindi inclinò la testa all'indietro, aprì la fibbia che le chiudeva l'elmo, lo sfilò e lo piantò sul pomello della sella. L'aria era fresca. Sentiva la gola secca. Si raddrizzò e si trovò faccia a faccia con la Sua Graziosissima Maestà Imperiale Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, che la fissava dalla sella del suo stallone da guerra preferito. Ash lanciò una rapida occhiata intorno a sé e notò che il monarca era andato da lei con tutto il suo codazzo di lacchè: un manipolo di cavalieri tutti divise colorate e piume di struzzo sugli elmi. Le armature che indossavano non avevano neanche una tacca, segno evidente che non erano mai state impiegate in battaglia. Dietro il gruppo scorse un uomo che indossava una cotta di maglia. Sebbene fosse bendato, sulle sue labbra aleggiava un sorriso cinico. Sembrava provenire dal Crepuscolo Eterno14 . Il sudore imperlava le tempie e le guance di Ash impastandole i capelli. Sentiva la pelle calda e arrossata. Si allontanò dai suoi uomini avvicinandosi con calma all'imperatore. «Maestà.» «Cosa ci fai in questa parte del mio campo, capitano?» sussurrò l'imperatore in tono secco. «Manovre, Vostra Maestà Imperiale.» «Di fronte al campo dei Burgundi?» «Dovevo insegnare ai miei uomini ad avanzare e ritirarsi seguendo lo stendardo, Vostra Maestà Imperiale.» «E siete incappati nella scorta del duca.» «Pensavamo che stessero per compiere una scorreria contro Neuss, Vostra Maestà Imperiale.» «E li avete attaccati.» 14
Un riferimento tratto dal 'Fraxinus' nel quale si parla di un non meglio identificato ciclo o leggenda medievale. Ne parla anche il testo di del Guiz, ma è del tutto assente nei manoscritti dell'Angelotti e negli 'Pseudo Godfrey'.
«Siamo pagati per farlo, Vostra Maestà Imperiale. Dopotutto siamo i vostri mercenari.» L'uomo vestito come un abitante del meridione cercò di soffocare una scoreggia ma non ebbe molto successo. Seguì un silenzio imbarazzante. «Chiedo scusa, Vostra Maestà Imperiale. Vento.» «Sì...» Ash fissò con i suoi occhi dal colore indefinibile il piccolo uomo dai capelli ben acconciati. L'imperatore Federico non indossava un'armatura, ma era molto probabile che sotto il panciotto di velluto fosse nascosta una cotta di anelli metallici. «D'altronde non siamo venuti qua da Colonia per proteggere Neuss, Vostra Maestà Imperiale?» chiese Ash, in tono mite. L'imperatore fece girare bruscamente il cavallo e galoppò verso il centro del campo seguito dagli altri cavalieri. «Merda!» imprecò Ash ad alta voce. «Avrei potuto farcela questa volta.» «A far cosa, capo?» le chiese Robert Anselm che la raggiunse tenendo l'elmo appoggiato a un fianco. Ash lanciò uno sguardo di sottecchi all'uomo al suo fianco. Robert Anselm aveva il doppio dei suoi anni e si era sempre dimostrato un ufficiale capace e pieno d'esperienza. Allungò una mano dietro la testa e sfilò la molletta che le tratteneva i capelli. La folta chioma quasi bianca si sciolse scendendo fino ai fianchi. Fu allora che notò il sangue all'altezza della protezione del gomito e sui capelli. «A ficcarmi nella merda fino al collo o ad andare dove voglio. Sai cosa voglio ottenere quest'anno.» «Delle terre» borbottò Anselm. «Non vuoi che ci diano la solita paga da mercenari. Vuoi delle terre e dei possedimenti.» «Esatto» sospirò Ash. «Sono stufa di conquistare castelli e tesori per gli altri. Sono stufa di giungere alla fine della stagione di guerra e non avere altro che i soldi per poter svernare.» L'ufficiale sorrise. «Non tutte le compagnie possono permetterselo.» «Lo so, ma io sono brava.» Ash rise della sua immodestia, imitata da Robert Anselm. «Voglio un luogo in cui tornare, Robert» continuò, moderando i toni. «Voglio della terra. La mia terra. Ecco a cosa serve tutto ciò, tu ottieni della terra combattendo, la puoi ereditare, te la possono regalare, ma dopo ti puoi stabilire da qualche parte. Come hanno fatto gli Sforza a Milano.» Sorrise, cinica. «Dagli tempo e denaro e Jack il Contadino diventa Sir John Di-Nobili-Natali. Lo voglio anch'io.» Robert scrollò le spalle. «E pensi che Federico stia facendo la stessa co-
sa? Potrebbe anche impazzire. Non saprei.» «Neanch'io.» Ora che era tutto più calmo si tolse anche i guanti, si passò una mano sul volto e si girò a guardare gli uomini della sua compagnia che smontavano da cavallo. «Abbiamo un bel gruppo di ragazzi.» «Sono cinque anni che assumo soldati per conto tuo. Ti ho mai portato degli incapaci?» Ash sapeva che si trattava di un rimprovero scherzoso, ma aveva notato che nell'atto di replicare l'ufficiale aveva distolto lo sguardo e aveva cominciato a sudare. Che voglia più denaro? si chiese Ash. No, non Robert. Cosa gli succede, allora? «Quella non è stata una battaglia» aggiunse Ash, cercando di comprendere cosa accadeva. «È stato un torneo!» Anselm infilò le dita tozze tra la gorgiera e la striscia di cuoio annerita dal sudore che portava intorno alla gola. «Una giostra, forse15 . Quelli hanno perso dei cavalieri.» «Sei o sette» confermò Ash. «L'hai sentito?» Robert Anselm deglutì e riuscì finalmente a guardarla. Ash si preoccupò. «Laggiù ho colpito un uomo in faccia con l'elsa della spada» si sfogò, scrollando le spalle. «Aveva la ventaglia alta. Gli ho portato via metà della faccia con la crociera. L'ho accecato. Non è caduto e ho visto uno dei suoi compagni che andava in suo soccorso. Ma ha urlato quando l'ho colpito. Avresti dovuto sentirlo, Ash. In quel momento si è reso conto che sarebbe stato rovinato per tutta la vita. Lo sapeva.» Robert Anselm era un uomo dalle spalle larghe. Il sole si rifletteva sulla sua armatura e i capelli corti avevano assunto delle sfumature rossicce a causa del caldo e del sudore. Ash cercò di riconoscere la solita espressione di Robert Anselm che le era familiare quanto quella del suo stesso volto. «Robert...» «Non sono i morti a preoccuparmi. Sono quelli che dovranno convivere con ciò che io ho fatto loro.» Anselm scosse la testa e accennò un sorriso. «Ah, dolce Cristo! Non farci caso, ragazza. Sono i postumi della battaglia. Faccio questo mestiere da prima che tu nascessi.» Quella non era una spacconata, ma un dato di fatto. Ash annuì rinfrancata. «Dovresti parlare con un prete. Va' da Godfrey. Dopo vieni a parlare 15
Una giostra è uno scontro tra cavalieri. Le armi sono smussate e lo scopo ultimo non è uccidere l'avversario, ma dimostrare la propria abilità marziale. Il torneo è composto da diversi tipi di giostra.
con me. Stasera. Dov'è Florian?» Robert Anselm sembrava meno turbato. «Nella tenda del chirurgo.» Ash annuì. «Bene. Voglio parlare con i comandanti di lancia che oggi erano con noi. Fai l'appello. Vado nella mia tenda. Muoviti!» Cavalcò in mezzo ai suoi uomini che scendevano da cavallo urlando tra di loro e al suo indirizzo. I paggi correvano ad afferrare le redini, mentre i cavalieri cominciavano a parlare fra di loro della battaglia. Ash diede una violenta pacca sul piastrone di un soldato, disse qualcosa di osceno a uno dei suoi capitani, Paul di Conti, il savoiardo, ridendo di gusto alle urla d'approvazione degli altri uomini, quindi smontò e si incamminò su per la salita che portava alla tenda del chirurgo. «Philibert, portami dei vestiti puliti!» urlò al suo paggio che corse immediatamente al padiglione. «E mandami Rickard. Ho bisogno di togliermi l'armatura. Florian!» Il paggio si affrettò ulteriormente e Ash abbassò la testa per entrare nel padiglione del chirurgo. L'interno della tenda puzzava di sangue, vomito, spezie ed erbe. Un telo separava gli alloggi del chirurgo dal resto dell'ambiente. Il terreno era coperto da uno spesso strato di segatura. La tenda era praticamente vuota. «Cosa? Ah, sei tu.» Un uomo alto con i capelli biondi tagliati male e il volto sporco la guardò sorridendo. «Guarda qua. Spalla uscita dalla sede. Affascinante.» «Come stai, Ned?» Ash ignorò Florian de Lacey, il chirurgo, concentrandosi sul ferito. Si chiamava Edward Aston, un vecchio cavaliere, un profugo delle guerre reali dei rosbifs 16 che ormai era stato assunto come mercenario nella compagnia. La sua armatura, che giaceva su un cumulo di paglia, era composta da pezzi di diversa provenienza: il piastrone veniva da Milano e le protezioni per le braccia erano di fattura gotico-germanica. La luce del sole che filtrava nella tenda gli illuminava la testa quasi del tutto calva e il ciuffo di capelli bianchi. Gli avevano tolto il giustacuore e i lividi sulla spalla diventavano sempre più neri con il passare dei secondi. Sul volto era impressa un'espressione di dolore e disgusto. La giuntura della spalla aveva un'angolazione del tutto innaturale. «Un maledetto martello. Uno di quei fottuti cani bastardi di borgognoni 16
'Rosbif o 'roast-beef: nomignolo usato nel continente europeo per indicare gli inglesi, visto che allora tutti pensavano che essi non mangiassero nient'altro.
mi è arrivato alle spalle mentre finivo un suo compagno. Ha ferito anche il mio cavallo.» Sir Edward Aston aveva portato al suo seguito un balestriere, un arciere dotato di un ottimo arco lungo, due bravi soldati, un sergente decisamente bravo e un paggio ubriacone. «Il tuo sergente, Wrattan, si occuperà del cavallo e prenderà il comando della tua lancia. Riposati.» «Avrò sempre la mia parte, vero?» «Ci puoi scommettere.» Ash osservò Florian de Lacey che serrava con entrambe le mani il polso dell'uomo. «Adesso devi dire: 'Christus vincit, Christus regnit, Christus imperad'» gli ordinò Florian. «Christus vincit, Christus regnit, Christus imperad» ripeté l'uomo ad alta voce. «Pater et Filius et Spiritus Sanctus.» «Resisti.» Florian piantò un ginocchio contro le costole di Edward Aston e tirò con tutta la forza che aveva in corpo. «Cristo!» Il chirurgo mollò la presa. «Ecco fatto. Adesso la spalla è tornata a posto.» «Perché non mi hai detto che mi avrebbe fatto male, stupido sodomita?» «Vuoi dirmi che non lo sapevi? Taci e fammi finire l'incantesimo.» Il chirurgo biondo aggrottò la fronte, rifletté per qualche secondo quindi si inclinò in avanti. «Mala, magubula, mala, magubula!» Il vecchio cavaliere grugnì qualcosa e arcuò le spesse sopracciglia canute annuendo brevemente. Ash fissò le forti dita di Florian che si chiudevano intorno alla spalla dell'uomo costringendola a una temporanea immobilità. «Non ti preoccupare, Ned,» lo rassicurò Ash «non ti perderai molti scontri. Federico-il-nostro-glorioso-condottiero ci ha impiegato diciassette giorni di marcia per coprire le ventiquattro miglia da Colonia a qui. Non si può dire che stia cercando la gloria a tutti i costi.» «Presto mi pagheranno per non combattere! Sono vecchio. La prossima volta mi rivedrai nella mia fottuta tomba.» «Va' all'inferno» disse Ash. «La prossima volta che ti rivedrò sarai in sella al tuo cavallo. Esattamente tra...» «Tra una settimana» terminò Florian pulendosi le mani, macchiando il panciotto di lana rossa, i lacci dello stesso colore e la maglia bianca. «Finito, lui era l'ultimo, prima ho messo a posto una frattura a un braccio.» Il chirurgo la fissò in cagnesco. «Perché non mi fai mai avere delle ferite
interessanti? E suppongo che non ti sia presa il disturbo di raccogliere un cadavere per i miei studi di anatomia.» «Non mi appartenevano» rispose Ash, cercando di rimanere seria nel vedere l'espressione di Florian. Il chirurgo scrollò le spalle. «Come faccio a studiare le ferite mortali se non me ne porti mai una?» «Fottuto vampiro!» borbottò Ned Aston tra sé e sé. «Siamo stati fortunati» sottolineò Ash. «Chi si è fratturato un braccio?» «Bartolomeo St. John. Uno degli uomini di Van Mander, il Fiammingo. Guarirà.» «Nessuno storpio? Nessun morto? Nessuna epidemia di peste? Il Cristo Verde mi ama!» esultò Ash. «Faccio chiamare il tuo sergente, Ned.» «Posso andarmene da solo. Non sono ancora morto.» Il massiccio cavaliere inglese uscì dalla tenda lanciando un'occhiata carica di disgusto a Florian de Lacey che, come Ash gli aveva sempre visto fare da quando lo conosceva, rimase del tutto impassibile. Ash si rivolse al chirurgo continuando a osservare Ned Aston che si allontanava. «Non ti avevo mai sentito usare un incantesimo per una lussazione o una frattura prima di oggi.» «No... quello l'ho dimenticato. Ho usato la formula per il farcino.» «Farcino?» «È una malattia dei cavalli17 .» «Una malattia dei...!» Ash si sforzò per evitare di scoppiare a ridere. «Non farci caso, Florian. Voglio che ti cambi. Devo parlarti. Adesso.» Fuori dalla tenda il sole picchiava come un martello. Il caldo era soffocante. Ash socchiuse gli occhi per osservare il suo padiglione sopra il quale lo stendardo del Leone Azzurro penzolava floscio nell'aria immota di mezzogiorno. Florian de Lacey le offrì la borraccia di cuoio. «Cosa è successo?» Stranamente la borraccia conteneva acqua insaporita con un velo di vino18 . Ash si bagnò la testa, incurante degli schizzi sull'armatura, poi bevve avidamente. «L'imperatore» spiegò tra un sorso e l'altro. «L'ho compromesso. Non potremo più stare qua - dicendo ai Burgundi che possono andarsene a casa perché Neuss è una città libera e Herman di Hesse è nostro amico. Guerra.» 17
Forse si tratta della morva. In questo periodo l'acqua veniva bevuta solo quando era allungata con un po' di alcol che serviva a prevenire le infezioni. 18
«Compromesso? Non si può mai dire una cosa simile con Federico.» I lineamenti fini e pallidi di Florian si piegarono in una smorfia di disgusto sotto lo strato di sporco che li ricopriva. «Si dice che hai quasi catturato il duca dei Burgundi. È vero?» «Ci sono andata dannatamente vicina!» «Federico dovrebbe esserne contento.» «Ma forse non lo è. Qui si tratta di politica, non di guerra. Ah, merda, chi lo sa?» Ash finì l'ultimo sorso d'acqua. Quando staccò la borraccia dalle labbra vide Rickard, il suo secondo paggio, uscire dalla sua tenda e correre verso di lei. «Capo!» Il quattordicenne si arrestò davanti ad Ash. «Un messaggio. L'imperatore vuole che tu vada nella sua tenda. Adesso!» «Ha spiegato perché?» «Il tizio mi ha detto che devi andare e basta, capo!» Ash buttò i guanti dentro l'elmo e se lo mise sotto il braccio. «Va bene. Raduna i comandanti, Rickard. Veloce. Andiamo, mastro chirurgo. No.» Si fermò. «Devi cambiarti, Florian.» Il chirurgo sembrò divertito. «Pensi che io sia l'unico a doverlo fare?» Ash diede un'occhiata alla sua armatura. Il sangue rappreso aveva assunto un colorito marrone scuro. «Non posso cambiarla in tempo. Rickard, portami un secchio d'acqua.» Qualche minuto dopo l'armatura era stata lavata dalla testa ai piedi e sebbene la cascata d'acqua le avesse bagnato anche il giustacuore, la sensazione di freschezza datale dall'acqua era più che benvenuta. Ash strizzò la lunga chioma tra le mani, la gettò dietro le spalle e si diresse a grandi passi verso il centro del suo campo, seguita dal suo scudiero. «O ti nomina cavaliere» ringhiò Robert Anselm nel vederla arrivare «o ti becchi una punizione di proporzioni bibliche. Guardali!» «Va bene, va bene, sono qua per vedere qualcosa...» Un nutrito gruppo di persone attendeva fuori dai quattro padiglioni che componevano la tenda dell'imperatore. Ash si unì a loro. Erano tutti nobili. I giovani portavano dei giustacuore a V che andavano molto di moda. Alcuni erano calvi, altri avevano i capelli lunghi. Tutti indossavano almeno il piastrone della corazza. Gli uomini più vecchi sudavano dentro gli abiti da cerimonia. Nel quadrato d'erba davanti alle tende dell'imperatore non c'erano cavalli, vacche, donne, bambini con il sedere nudo che giocavano e soldati ubriachi. Nessuno osava infrangere il confine sancito dallo stendardo giallo e nero con l'aquila a due teste. Tuttavia anche quell'area puzzava
di sterco di cavallo e rifiuti seccati al sole. I suoi ufficiali arrivarono. Il sole le aveva asciugato la corazza e il giustacuore sottostante e ora il caldo si era fatto nuovamente soffocante. Almeno avessi avuto il tempo di cambiarmi, pensò Ash. Ti convocano sempre in fretta e furia e poi ti fanno aspettare. Un uomo tozzo e barbuto di circa trent'anni, con indosso una tunica marrone che sventolava intorno ai piedi scalzi, li raggiunse a grandi passi. «Scusami, capitano.» «Sei in ritardo, Godfrey. Sei licenziato. Mi troverò un altro prete.» «Certo. Come se crescessimo sugli alberi, figliola.» Il prete della compagnia aggiustò la croce. Aveva il torace ampio e delle rughe profonde intorno agli occhi a causa di tutti gli anni passati all'aria aperta. A giudicare dall'espressione neutra del religioso nessuno avrebbe mai sospettato che Godfrey Maximillian conoscesse Ash da tantissimo tempo e meglio di chiunque altro al mondo. Ash ricambiò l'occhiata del religioso e cominciò a tamburellare, impaziente, le unghie contro l'elmo che portava sotto il braccio. «Allora, cosa ti hanno detto i tuoi 'contatti'? Cosa ha in mente Federico?» Il prete ridacchiò. «Dimmi se c'è mai stato qualcuno negli ultimi trentadue anni in grado di dire cosa passi nella testa di quell'uomo!» «Va bene, va bene. Domanda stupida.» Ash riprese a fissare i nobili radunati intorno alla tenda e alcuni la salutarono. Ci fu un movimento all'interno del padiglione. «Ho sentito dire che in questo momento là dentro ci sono sei o sette cavalieri dell'impero molto influenti che gli stanno chiedendo come mai Ash attacca sempre senza ricevere ordini al riguardo» aggiunse Godfrey Maximillian. «Se non avessi attaccato si lamenterebbero dei mercenari che vengono pagati per combattere e non lo fanno» ribatté Ash sotto voce, annuendo all'indirizzo di Jacobo Rossano, un Italiano al comando di un'altra unità mercenaria al soldo dell'imperatore. «Chi vorrebbe fare il capitano mercenario?» «Tu, Madonna» disse Antonio Angelotti, il mastro artigliere italiano della compagnia. I riccioli curatissimi e la faccia sempre sbarbata lo facevano notare ovunque. «Era una domanda retorica!» rispose Ash, fissandolo in cagnesco. «Tu sai cos'è una compagnia mercenaria, Angelotti?»
Florian de Lacey arrivò prima che l'artigliere potesse rispondere. Si era cambiato come Ash gli aveva ordinato. «Una compagnia mercenaria? Hmm?» esordì Florian, intromettendosi nel discorso. «Una truppa di leali psicopatici con l'abilità di sconfiggere qualsiasi altro psicopatico arrivi loro a tiro?» Ash arcuò le sopracciglia. «Cinque anni e non hai ancora capito che cosa significa essere un soldato!» Il chirurgo rise. «Dubito che lo capirò mai.» «Te lo dico io che cos'è una compagnia mercenaria» disse Ash punzecchiando Florian con un dito. «Una compagnia mercenaria è una macchina immensa che ingurgita pane, latte, carne, vino, cordami e abiti da una parte ed espelle merda, abiti sporchi, sterco di cavallo, oggetti a pezzi, armi danneggiate e vomito di ubriaco dall'altra. Il fatto che di tanto in tanto gli capiti di combattere è solo un caso.» Si fermò per riprendere fiato e abbassare la voce. Lasciò vagare lo sguardo sulla piccola folla davanti a lei riconoscendo le livree, i nobili, gli amici e i potenziali nemici. Nessuno era ancora uscito dalla tenda dell'imperatore. «È un baratro senza fondo che io devo cercare di colmare ogni giorno spalandogli dentro gli approvvigionamenti: una compagnia si trova sempre a due pasti dallo scioglimento. E i soldi? Non dimentichiamoci dei soldi. E quando combattono ci sono i feriti da curare. E quelli non fanno niente di utile mentre guariscono! E quando stanno bene non sono altro che un branco di bestie indisciplinate che danno problemi ai contadini. Argghhh!» «È il prezzo che devi pagare per farti seguire da ottocento uomini» le fece notare Florian. «Non mi seguono. Mi permettono di guidarli. Sono due cose completamente diverse.» «Andrà tutto bene, Ash» la rassicurò Florian, tranquillo. «Il nostro stimato imperatore non vorrà privare il suo esercito di un cospicuo contingente mercenario.» «Spero che tu abbia ragione.» «No, mio signore,» disse una voce qualche metro dietro di lei «il capitano Ash non è ancora arrivato. L'ho vista: una creatura mascolina. Proprio così, ha lo stesso fisico di un uomo. Era in compagnia di una ragazzina di strada quando l'ho vista nel lato nord ovest del nostro campo. Doveva far parte del 'bagaglio' del suo contingente e la stava carezzando in maniera disgustosa! La ragazzina si ritraeva ogni volta che veniva toccata. Ecco chi
è il vostro 'comandante donna.'» Ash aprì la bocca per replicare, ma dopo aver visto Florian che arcuava le sopracciglia, non si girò per correggere lo sconosciuto e si avvicinò a uno dei capitani più anziani. Gottfried di Innsbruck inclinò la testa in segno di saluto. «Bella schermaglia.» «Speravo di ricevere rinforzi dalla città.» Ash scrollò le spalle. «Ma credo che Hermann di Hesse non uscirà per attaccare.» «Perché dovrebbe farlo?» domandò il cavaliere imperiale senza distogliere lo sguardo dall'ingresso del padiglione. «Ha resistito otto mesi senza il nostro aiuto, quando io non gli avrei dato otto giorni. Chi l'avrebbe mai detto: una piccola città libera che sfida i Burgundi.» «Una piccola città libera che si è ribellata contro il suo 'giusto governatore', l'arcivescovo Ruprecht» rispose Ash con mal celato scetticismo. Gottfried rise di gusto. «L'arcivescovo Ruprecht è un uomo del duca Carlo, Burgundo fino all'osso. Ecco perché i Burgundi lo vogliono rimettere alla guida di Neuss. Suvvia, capitano Ash, potrebbe anche piacerti Ruprecht era il candidato preferito alla carica di arcivescovo per il padre di questo duca. Sai quale regalo mandò Ruprecht al duca Filippo di Borgogna dopo aver ricevuto l'incarico? Un leone! Un leone in carne e ossa!» «Non era azzurro, però» li interruppe una voce tenorile. «Dicono che il duca Carlo dorma con gli occhi aperti come un leone.» Ash si girò di scatto per vedere chi aveva parlato. Non ci siamo già visti da qualche parte? pensò. Le accadeva spesso di riconoscere un cavaliere germanico che aveva partecipato ad altre campagne. Lo degnò di uno sguardo superficiale: un ragazzo molto giovane, doveva avere più o meno la sua età. Aveva le gambe lunghe e indossava un'armatura leggermente fuori misura che forse avrebbe riempito del tutto tra un anno o due. Portava un elmo gotico che gli nascondeva gran parte del volto anche con la ventaglia alzata. Indossava un farsetto e dei pantaloni infilati in un paio di stivali da cavallerizzo verdi e bianchi con gli speroni. Il piastrone gotico dal disegno aggraziato era un pezzo d'armatura molto costoso per un uomo che non aveva partecipato a nessuno scontro. Era accompagnato da due o tre armati che indossavano una divisa verde. Mecklenburg? Scharnscott? pensò Ash, cercando di ricordare i colori delle varie casate. «Ho sentito dire» replicò in tono incurante «che dorme su una sedia di
legno con l'armatura indosso nel caso lo volessero cogliere di sorpresa. Cosa che qualcuno di noi vorrebbe fare più degli altri...» L'espressione del cavaliere divenne gelida. «Una puttana vestita da uomo» sentenziò. «Un giorno, capitano, dovrai dirci cosa te ne fai del batacchio.» Robert Anselm, Angelotti e un'altra mezza dozzina di ufficiali si avvicinarono. Ci siamo... pensò rassegnata. Ash si guardò deliberatamente in mezzo alle gambe. «Mi serve per appenderci un paio di guanti di riserva. Credo che anche voi facciate lo stesso.» «Fica rotta!» «Davvero?» Ash fissò deliberatamente la protuberanza in mezzo alle gambe dell'uomo. «Non mi sembra che lo sia, comunque sembra che voi lo sappiate meglio di me.» Ogni uomo che estraeva un'arma nelle vicinanze della tenda dell'imperatore veniva ucciso immediatamente dalle guardie e nessuno si sorprese nel vedere che il giovane cavaliere teneva la mano ben distante dalla spada. Ash rimase stupita di fronte al sorriso d'apprezzamento che comparve sulle labbra del giovane. Il sorriso di una persona dotata di una buona dose di auto ironia. Il giovane nobile si girò e prese a parlare con i suoi amici come se Ash non gli avesse mai rivolto la parola, indicando con il guanto le colline coperte di pini a est. «A domani, allora! Andremo a caccia. C'è un cinghiale maschio che arriva al garrese della mia cavalla baia.» «Non era il caso che ti facessi un altro nemico» le borbottò Godfrey all'orecchio. Il calore o la tensione l'avevano fatto impallidire. «È impossibile farsi amico uno stronzo. Succede così tutte le volte» spiegò Ash, sghignazzando. «È uno dei tanti signorotti. Noi siamo soldati. Io ho fatto incidere 'Deus Vult' sulla mia spada - lui 'Puntare la parte affilata contro il nemico'. 19 » I suoi ufficiali scoppiarono a ridere. Uno sbuffo di vento agitò la bandiera imperiale e per un secondo la luce del sole filtrò attraverso il tessuto giallo e nero. Il profumo della carne arrostita si levava dalle tende che de19
Nel testo originale questo è un gioco di parole intraducibile basato sul contrasto tra due parole germaniche e un oscuro dialetto fiammingo ormai sparito. Ho attuato una sostituzione per cercare di conferire lo stesso significato del testo originale. 'Deus Vult' significa 'Sia fatta la volontà di Dio'.
limitavano il campo. Il suono del flauto che proveniva dalla tenda di Federico non copriva quella della voce stonata che cantava. «Io e voi abbiamo lavorato per tutto questo. Ecco come funziona il mondo. Sempre su e giù senza mai riposarsi.» Fissò i componenti della sua scorta. Erano tutti soldati sui vent'anni. Tra i suoi ufficiali riconosceva solo i volti familiari di Angelotti, Florian, Godfrey e Robert Anselm, mentre gli altri proponevano il solito guazzabuglio di caratteri: lo scettico, il pio, il ruffiano e il competente, ed erano tutti nuovi. Avevano cominciato la campagna da tre mesi e Ash ormai conosceva tutti i suoi uomini per nome. Due guardie con la divisa gialla e nera uscirono dalla tenda. «E speriamo che sia finita per pranzo.» Ash si toccò i capelli. Il sole li aveva asciugati. Girò la testa rischiando di far impigliare la sua folta chioma tra le piastre dell'armatura. «E...» Ash si diede una rapida occhiata intorno e vide che Florian de Lacey era scomparso. «Cristo! Dov'è Florian? È andato di nuovo a pisciare?» Lo squillo delle trombe zittì la piccola folla radunata nello spiazzo. Un attimo dopo sei tra i nobili più influenti del regno e l'imperatore uscirono dalla tenda. Ash assunse un portamento marziale. Rivide lo straniero del meridione che pur essendo bendato camminava alle spalle del monarca con passo sicuro, evitando accuratamente i picchetti e i tiranti della tenda. «Capitano Ash» esordì l'imperatore Federico. Ash si inginocchiò cautamente di fronte al vecchio regnante. «In questo sedicesimo giorno di giugno, dell'anno del Nostro Signore 1476 20 » continuò l'imperatore «è nostro piacere premiarti per il valore di20
Questa parte della vicenda è raccontata in modo accurato tranne che per un particolare. La schermaglia durante l'assedio di Neuss ebbe luogo il 16 giugno 1475 e non nel 1476. Comunque questo tipo di errore si trova spesso nei documenti di quel periodo. Secondo il calendario giuliano, in uso allora in diverse parti d'Europa, capodanno è datato all'inizio della Pasqua, nel giorno di Nostra Signora (25 Marzo) o a Natale (25 dicembre); dopo l'anno 1583, il calendario gregoriano datò nuovamente l'inizio di questi anni al 1 gennaio. L'unica cosa che posso consigliare al lettore è di consultare il commento nella 'Prefazione e Note' della prima edizione del libro di Charles Mallory Maximillian(1890): 'La versione germanica della vita di Ash narra eventi tanto stupefacenti, da sembrare poco plausibili. Comunque, è indiscutibile che le gesta di Ash
mostrato sul campo contro il nostro nemico, il nobile duca di Borgogna. Tuttavia ho pensato a lungo cosa potrebbe far piacere a un mercenario al nostro servizio.» «Denaro» dichiarò una voce pragmatica alle spalle di Ash, che non ebbe il coraggio di voltarsi per zittire Angelotti con un'occhiataccia. La pelle agli angoli degli occhi di Federico si raggrinzì in maniera impercettibile. Il piccolo uomo che adesso indossava un abito blu e azzurro giunse le mani inanellate e abbassò gli occhi per fissarla. «Non ho oro da donare» disse Federico. «E neanche possedimenti perché non sarebbe decoroso offrirli a una donna che non ha un uomo a difenderla.» Ash alzò la testa, stupefatta. «Vi sembro una donna che ha bisogno di essere difesa?» chiese, dimenticandosi dell'etichetta. Cercò di ricacciarsi in gola le parole nel momento stesso in cui le pronunciava, ma non ci riuscì. La voce dell'imperatore coprì la sua: «Né posso nominarti cavaliere perché sei una donna. Comunque ti premierà con dei possedimenti, anche se di seconda mano. Ash, tu sposerai il nobile qui presente: ho promesso a sua madre, che è mia cugina di quarto grado, che gli avrei combinato un matrimonio e così ho fatto. Questa è la tua sposa, Lord Fernando del Guiz.» L'imperatore indicò un giovane. Ash seguì la mano e vide solo il cavaliere con il quale aveva avuto il battibecco pochi attimi prima. L'imperatore sorrise con aria incoraggiante. Ash rimase senza fiato e da quello che poteva vedere, malgrado l'elmo gli nascondesse buona parte del volto, anche il giovane era impallidito. «Sposarmi!» Ash aveva lo sguardo fisso. «Con quello?» «Non sei contenta, capitano?» Dolce Cristo! pensò Ash. Sono nel mezzo del campo di Sua Grazia l'imperatore del Sacro Romano Impero, Federico HI, il secondo sovrano più potente di tutta la cristianità, e mi trovo sotto gli occhi dei suoi vassalli più potenti. Non posso rifiutare. Ma un matrimonio! Non ho mai neanche pensato al matrimonio! Era consapevole degli sguardi di tutti quei potenti. Le sue mani appoggiate sulla coscia erano callose. Il pomello della spada batteva contro il piastrone dell'armatura e solo allora si rese conto che stava tremando. sono descritte in maniera accurata da fonti storiche degne della massima fiducia. 'Quindi, possiamo perdonare l'errore di datazione insito in questi documenti.'
Dannazione, ragazza! pensò. Ti sei dimenticata per l'ennesima volta di essere una donna. Loro non lo fanno mai. Adesso si tratta di dire sì o no. Fece la cosa che le permise di allontanare la paura e l'umiliazione. Ash alzò la testa fissando il monarca, perfettamente consapevole del quadro che rappresentava: una ragazza dallo sguardo impavido e fiero con le guance sfregiate e i capelli argentei che le scendevano fino alla vita simili a un mantello. «Non posso dire nulla, Vostra Maestà Imperiale. Un tale riconoscimento, una tale generosità e un tale onore - vanno al di là di qualsiasi cosa mi aspettassi e mi meritassi.» «Alzati.» Federico la prese per mano. Ash sapeva che il monarca si era accorto del sottile strato di sudore che le imperlava il palmo ed ebbe l'impressione che sulle sue labbra fosse apparso un lievissimo accenno di sorriso. L'imperatore allungò la mano libera con un gesto carico d'autorità, prese quella molto curata del giovane e la posò su quella di Ash. «Che nessuno osi dire il contrario, essi saranno marito e moglie!» Ash rimase assordata dall'applauso e dalle ovazioni dei lacchè. Continuò a stringere la mano sudata quanto la sua del giovane nobile e si girò a fissare i suoi ufficiali. Che cavolo faccio, adesso? si chiese. II Una pioggia torrenziale cadeva su Colonia. Le gargoyle e le grondaie del palazzo imperiale incanalavano l'acqua per poi farla cadere nei cortili. Le gocce tamburellavano rumorosamente contro i vetri delle finestre producendo un rumore simile al fuoco di una fila di archibugi21 . I capitelli color marrone delle colonne brillavano ogni qualvolta uno sprazzo di luce filtrava attraverso la spessa coltre di nubi. Dentro una stanza, Ash si trovava faccia a faccia con la sua futura suocera. «Tutto-ciò-è-bellissimo...» protestò Ash «... ma io devo tornare alla mia compagnia! Ieri mi hanno scortato fuori da Neuss così velocemente che non ho avuto modo di parlare con i miei ufficiali!» «Devi vestirti da donna per il tuo matrimonio» replicò secca Costanza del Guiz, incespicando sull'ultima parola. 21
Uno dei primi esempi di armi da fuoco portatili che risalgono al quattordicesimo secolo.
«Con tutto il rispetto dovuto, mia signora - io ho sotto contratto circa ottocento tra uomini e donne giù a Neuss che hanno l'abitudine di essere pagati! Devo tornare indietro e spiegare loro i vantaggi di questo matrimonio.» «Sì, sì...» Costanza del Guiz era una bella donna, ma non era robusta come il figlio. Indossava un abito lungo di velluto rosa che le copriva il petto poco prosperoso per poi allargarsi vistosamente sui fianchi. Portava una sottogonna di broccato rosso e argento. Rubini e smeraldi le ornavano sia il cerchietto che portava sulla testa sia la cintura dalla quale pendevano, assicurati a una catena, un mazzo di chiavi e un borsellino. «La mia sarta non può lavorare se continui a muoverti. Stai ferma, ti prego» la implorò Costanza. Il cerchietto imbottito pesava sulla testa di Ash come un piccolo animale. «Possiamo fare più tardi. Adesso devo andare dai miei soldati!» «Dolce bambina mia, come ti aspetti che possa organizzare un matrimonio con una sola settimana d'anticipo? Federico! Potrei ucciderti!» Costanza del Guiz gratificò Ash di uno sguardo colmo di rimprovero. Ash aveva notato il modo in cui aveva pronunciato il nome dell'imperatore. «E tu non sei di nessun aiuto, bambina. Prima volevi sposarti con l'armatura...» Ash abbassò la testa per osservare la sarta che armeggiava con aghi e spilli intorno ai lembi del vestito. «Questo è il vestito, giusto?» «È una sottoveste nei colori del vostro stendardo.» La donna, che doveva essere sulla cinquantina, portò le dita alle labbra tremanti. Stava per piangere. «Ho impiegato tutto il pomeriggio per convincervi a togliervi il farsetto e i pantaloni!» Qualcuno bussò alla porta e la cameriera fece entrare un uomo tozzo con il volto incorniciato da una folta barba. Ash si girò verso padre Godfrey Maximillian, fece per muoversi, ma la fine sottoveste di lino che giaceva abbandonata intorno alle caviglie la fece inciampare. «Cazzo!» La sarta, le due apprendiste della sarta, due cameriere e la futura suocera, smisero di parlare e la fissarono. Costanza del Guiz arrossì. Ash si fece piccola e cominciò a guardare fuori dalla finestra chiaramente a disagio, decidendo al tempo stesso che non sarebbe stata la prima a riprendere a parlare. «Fiat lux, mia signora. Capitano.» L'acqua gocciolava dal cappuccio di Godfrey Maximillian. Lo abbassò con calma, fece il segno della croce all'effigie del Cristo Verde custodita in una nicchia ricavata nella parete,
quindi sorrise ai presenti. «Sia lode all'Albero.» «Ci sono anche Florian e Roberto?» gli chiese Ash. Anselm aveva lavorato molto in Italia insieme ad Antonio Angelotti e c'erano ancora dei vecchi membri della compagnia che non usavano il suo nome inglese, Robert. Tra tutti gli ufficiali era lui quello con il quale era più ansiosa di parlare. «Florian sembra sparito nel nulla, non riesco a trovarlo. Robert si sta occupando della compagnia in tua vece.» E tu dove sei stato? Ti aspettavo otto ore fa, pensò Ash, torva. Potevi almeno pulirti e presentarti con un aspetto decente! Sto cercando di convincere questa donna che non sono uno scherzo della natura e tu ti presenti sporco di fango come un prete di campagna! Godfrey, che aveva visto l'espressione di disappunto sul volto di Ash, si girò verso Costanza del Guiz e disse: «Mi dispiace dovermi presentare in questo stato, mia signora. Ho cavalcato fin qua da Neuss perché gli uomini del capitano Ash hanno bisogno di alcuni consigli per risolvere delle questioni di una certa urgenza.» «Oh.» La nobildonna rimase genuinamente sorpresa. «Hanno bisogno di lei? Pensavo che fosse solo un simbolo. Ho sempre creduto che una banda di soldati funzionasse meglio quando non ci sono donne in circolazione.» Ash aprì la bocca, ma la giovane cameriera le calò una veletta sul volto. Il prete scosse inavvertitamente il mantello infangato sui rotoli di stoffa della sarta. «I soldati non si fanno comandare da un simbolo, mia signora. Un simbolo non può radunare intorno a sé una compagnia di quasi mille uomini che nel corso di tre anni è diventata la più richiesta dai nobili germanici.» Costanza del Guiz fissò Ash, attonita. «Padre, non mi starete dicendo che lei effettivamente...» «Comando una compagnia mercenaria» terminò Ash. «Ed è per questo che ho bisogno di tornare indietro. Non siamo mai stati pagati con un matrimonio. Li conosco bene. A loro non piacerà. Quelli vogliono solo denaro sonante.» «Comandante di un'unità mercenaria» ripeté Costanza, come se stesse pensando ad altro, quindi si girò verso Ash e il profilo delle sue labbra, solitamente molto dolce, si indurì. «Cosa passa per la testa di Federico? Mi aveva promesso un buon matrimonio per mio figlio!» «A me ha promesso delle terre» replicò Ash, cupa. Godfrey rise.
«Ci sono già state delle donne che hanno guidato gli eserciti in battaglia» sbottò Costanza. «Quella prostituta asessuata di Margherita d'Angiò si è giocata il trono d'Inghilterra che apparteneva al suo povero marito. Non ti permetterò di fare lo stesso con mio figlio. Sarai anche rozza e maleducata, forse i tuoi genitori erano contadini, ma non sei malvagia. Posso insegnarti le buone maniere. Dopo che avrai sposato mio figlio, farò in modo che la gente si dimentichi molto in fretta chi eri.» «Stron... Stupidaggini!» Ash alzò le braccia in risposta allo strattone della sarta. Una delle cameriere le infilò l'abito e cominciò ad abbottonarlo. La sarta le mise la cintura. «Faccio meno fatica a infilarmi l'armatura» borbottò Ash. «Lady Ash sarà una compagna perfetta per vostro figlio Fernando, ne sono certo» disse Godfrey, impassibile. «Proverbi, capitolo quattordici, versetto uno: la donna savia edifica la sua casa: ma la stolta la sovverte con le sue mani22 .'» Qualcosa nel tono della citazione fece in modo che Ash fulminasse il prete con un'occhiataccia. Anche Costanza del Guiz fissò il prete. «Un momento, Padre. Mi state dicendo che questa ragazza è anche la proprietaria della compagnia?» «Proprio così. I suoi uomini sono sotto contratto.» «Quindi suppongo che sia benestante?» Ash premette un polso contro la bocca per non scoppiare a ridere. «Benestante quando ci riesco!» disse allegra. «Quei bastardi devono essere pagati. Voglio dire, quegli uomini devono essere pagati... oh, merda. Non ci riuscirò mai!» «Conosco Ash fin da bambina, mia signora» esordì Godfrey in tono astuto «e vi posso assicurare che è perfettamente in grado di passare dalla vita del campo a quella della corte senza alcun problema.» Grazie! pensò Ash, lanciando un'occhiata colma d'ironia in direzione del prete, che fece finta di niente. «Ma è il mio unico figlio.» Costanza portò le dita alla labbra. «Certo, Padre. Chiedo scusa, devo organizzare un matrimonio in un batter d'occhio... e le sue origini... il fatto che non abbia famiglia...» Costanza del Guiz si tamponò l'angolo di un occhio con il velo ricorrendo a un gesto studiato ad arte, quindi si girò ad osservare Ash che lottava 22
Sebbene si tratti di una traduzione postuma, circa 135 anni dopo la stesura dei testi su Ash, io ho scelto la Versione della Bibbia autorizzata da Re Giacomo (1611) in quanto più accessibile al lettore moderno.
con il vestito e si rilassò lasciando che un sorriso sincero le affiorasse sulle labbra. «Nessuno di noi si aspettava una decisione simile da parte dell'imperatore, ma penso che ci riusciremo. I tuoi uomini aumenteranno il prestigio di mio figlio e tu puoi diventare molto carina, piccola mia. Lascia che ti vesta in maniera appropriata e nasconda quelle cicatrici con della biacca di piombo. Vorrei che ti presentassi davanti alla corte come l'orgoglio della famiglia del Guiz e non come la vergogna.» Costanza aggrottò la fronte. «Specialmente se verrà anche zia Jeanne di Borgogna, cosa che dovrebbe fare, anche se siamo in guerra con loro. La famiglia del padre di Fernando ha sempre pensato di avere tutti i diritti di entrare in casa mia e criticarmi. Li incontreremo tra poco.» «No.» Ash scosse la testa. «Devo tornare a Neuss. Oggi.» «No! Non finché non ti avrò vestita e preparata per il matrimonio.» «Ascolta...» Ash separò i piedi e piantò i pugni sui fianchi. Le cuciture all'altezza delle spalle gemettero in maniera allarmante per poi cedere un attimo dopo. L'abito azzurrò le scivolò fino alla cintura, che si inclinò. Il cerchietto che portava tra i capelli scivolò pericolosamente rischiando di cadere. Ash sbuffò per spostare la veletta che le era caduta sul volto. «Bambina mia...» disse Costanza, triste. «Sembri un sacco di grano chiuso con lo spago.» «Allora ridatemi i miei pantaloni e il farsetto.» «Non puoi sposarti vestita da uomo!» Ash sghignazzò e disse: «Dillo a Fernando. Non mi importa nulla se vuole vestirsi da...» «Oh!» Godfrey Maximillian incrociò le mani sul ventre, studiò per un attimo il suo capitano e, decisione poco saggia da parte sua, decise di dire ciò che pensava. «Non mi ero mai accorto che sembri più bassa quando indossi un vestito.» «Sono più alta su un maledetto campo di battaglia!» Ash gettò via il cerchietto e il velo, sussultando quando gli aghi le strapparono i capelli. Ignorò le proteste della sarta. «Non puoi andartene!»la implorò Costanza del Guiz. «Davvero?» Ash attraversò la stanza a grandi passi con la sottoveste che sventolava sopra le ciabatte. Prese il mantello bagnato del prete e se lo avvolse intorno alle spalle. «Andiamo via, Godfrey. Abbiamo un altro ca-
vallo della compagnia?» «No. Ho solo il mio.» «Perfetto. Lo cavalcheremo in due. Sono veramente molto dispiaciuta, lady Costanza.» Ash esitò e gratificò la donna minuta di un sorriso rassicurante, rimanendo stupita di se stessa. «Devo andare dai miei uomini, ma tornerò. Devo. Vostro figlio è un regalo dell'imperatore Federico, non posso non sposarlo!» Ci fu qualche discussione al cancello nord ovest di Colonia: una donna che cavalcava a capo scoperto accompagnata solo da un prete? Ash diede dei soldi alle guardie apostrofandole con un frasario da soldato e alla fine riuscì a uscire spacciandosi per una prostituta con il suo pappone. «Mi dici cosa ti preoccupa?» chiese a Godfrey, un'ora dopo. «No. A meno che non diventi necessario.» Le condizioni della strada fecero durare il viaggio due giorni e non uno. Ash ribolliva di rabbia. Il primo giorno di viaggio aveva stremato il cavallo e lei dovette comprarne uno nella fattoria dove erano stati ospitati. Ripresero il viaggio sotto la pioggia battente e dopo qualche ora avvertirono nell'aria il puzzo di un campo militare: ormai erano vicini a Neuss. «Non ti chiedi come mai» chiese Ash sghignazzando «conosco cento e trentasette parole per definire le malattie dei cavalli? È ora di combinare qualcosa di meglio. Svegliamoci!» Godfrey fermò il cavallo e attese. «Cosa ne pensi della vita che le donne conducono al castello?» «Dico che un giorno e mezzo di quella vita è fin troppo per me.» Ash smise di prestare attenzione al suo cavallo, che ne approfittò per rallentare. Il vento cambiò direzione e lei alzò gli occhi per fissare le nuvole che cominciavano a diradarsi. «Sono abituata alla gente che si gira ogni volta che entro in una stanza. Ma questa volta ero insieme a Costanza. Ci guardavano entrambe, è vero, ma non per lo stesso motivo!» Socchiuse gli occhi divertita. «Sono abituata a persone che si aspettano ordini da me, Godfrey. Al campo senti dire: 'Cosa facciamo adesso, Ash?' A Colonia dicono: 'Chi è quello strano essere?'» «Sei sempre stata una ragazzaccia autoritaria» le fece notare Godfrey. «E se ci pensi bene sei sempre stata piuttosto strana.» «Ed è per la mia stranezza che mi hai sottratta alle grinfie delle suore, giusto?»
Il religioso si carezzò il pizzo e le fece l'occhiolino. «Mi piace avere una donna strana.» «Bella cosa da dire per un prete casto!» «Se vuoi un miracolo per te e la tua compagnia è meglio tu che preghi e rimanga casta.» «Certo che ho bisogno di un miracolo. Finché non sono arrivata a Colonia pensavo che l'imperatore mi avesse fatto uno scherzo.» Ash premette i talloni contro i fianchi del cavallo che riprese a muoversi. La pioggia cominciò a diminuire. «Andrai fino in fondo a questa storia, Ash?» «Certo. Costanza indossava degli abiti che costavano più di quello che ho guadagnato nelle ultime due campagne.» «E se la compagnia avesse qualcosa in contrario?» «Andranno a quel paese perché non gli lascerò prendere dei prigionieri per chiedere il riscatto. Esulteranno quando sapranno che si tratta di un matrimonio ricco. Avremo della terra. Tu sei l'unico che ha qualcosa in contrario, Godfrey, e non mi dici perché.» La sorprendente autorità della donna e il riserbo preoccupato del prete si confrontarono nei loro sguardi per qualche secondo. «Solo se è necessario» ripeté il prete. «Alle volte sei un vero tormento divino, Godfrey.» Ash si tolse il cappuccio. «Adesso vediamo se riusciamo a radunare i comandanti delle lance nello stesso luogo e tutti insieme.» Erano in vista del lato sud est del campo imperiale. I carri incatenati tra loro a formare il fortino fumavano a causa dell'acqua che evaporava, e lungo le fiancate metalliche dei carri da guerra cominciavano a comparire le prime tracce di ruggine23 . All'interno del perimetro difensivo Ash scorse un arcobaleno di colori formato dagli stendardi che colavano acqua. I tetti conici delle tende si erano infossati, i pali inumiditi e le corde tese gocciolavano. Ci vollero cinque minuti abbondanti prima che le guardie si facessero sentire. 23
Questi bizzarri veicoli sono molto somiglianti ai 'carri da guerra' trainati da cavalli usati dagli Ussiti nel 1420, cinquant'anni prima dei fatti narrati in queste pagine. I soldati dell'Europa dell'Est sembra che li abbiano usati come piattaforme mobili per i primi pezzi d'artiglieria. Comunque i carri 'dalle fiancate in metallo' descritti dal del Guiz sono inesistenti anche perché nel caso fossero stati costruiti veramente sarebbe stato necessario un tiro di cavalli spropositato per muoverli.
Euen Huw superò il cancello con una gallina sotto il braccio, si fermò e la fissò stupefatto. «Capo? Hai un bel vestito, lo sai?» Ash guardò fissa davanti a sé con aria rassegnata mentre il cavallo avanzava nel passaggio tra i carri e le tende. Antonio Angelotti la raggiunse di corsa qualche secondo dopo con le mani ingiallite dal fosforo. «Non ti avevo mai vista con un vestito così bello, capo. Stai bene. Ti sei persa tutto il trambusto!» Il bel volto dell'artigliere si illuminò. «Araldi che venivano dal campo burgundo. Araldi che partivano dal campo imperiale. Proposte e tutto il resto.» «Proposte?» «Certo. Sua Maestà Federico dice al duca Carlo di levare l'assedio e arretrare di trenta, trentacinque chilometri, dopodiché anche noi arretreremo della stessa distanza in tre giorni.» «E il duca Carlo sta ancora ridendo, giusto?» Angelotti scosse la testa. «Si dice che accetterà. L'imperatore e la Borgogna firmeranno un trattato di pace.» «Merda» imprecò Ash con il tono di una persona che fino a pochi minuti prima sapeva esattamente come dar da mangiare a ottocento persone tra soldati svitati, donne e bambini per i prossimi tre mesi e ora doveva escogitare qualcosa di diverso, e anche in fretta. «Dolce Cristo. Pace. Ecco finito il nostro assedio estivo.» Angelotti si mise a camminare a fianco del cavallo. «E il tuo matrimonio, Madonna? L'imperatore non era serio, vero?» «Cavoli se lo era!» Continuarono ad attraversare il campo e dopo dieci minuti arrivarono davanti ai ripari a forma di A e all'area riservata ai cavalli che si trovava all'angolo nord ovest dell'insediamento. La gonna le si era appiccata alle gambe a causa dell'umidità e da azzurra era diventata blu scuro e il mantello di Godfrey si era inzuppato a tal punto che le era ricaduto oltre le spalle mettendo in evidenza l'abito lungo e la camicia. La sua compagnia era separata dal resto del campo imperiale da una palizzata provvisoria. La cosa non era piaciuta al quartiermastro del campo finché Ash non gli aveva spiegato che solo tenendo i suoi uomini confinati all'interno della palizzata avrebbe impedito loro di rubare qualsiasi cosa non fosse stata inchiodata a terra. Lo stendardo bagnato del Leone Azzurro spiccava sul cancello. La guardia, un lanciere di Ned Aston, alzò gli occhi e fece un inchino perfetto.
«Bel vestito capo!» «Vaffanculo!» Pochi minuti dopo Anselm, Angelotti e Godfrey erano a rapporto nella tenda di Ash. Mancavano gli ufficiali di grado inferiore e Florian de Lacey. «Sono fuori a borbottare tra di loro. Li farò entrare quando avremo da dire qualcosa.» Robert si tolse il cappuccio. «Dicci in quale bel casino ci troviamo.» «Nessun casino, questa è un'occasione coi fiocchi!» Geraint ab Morgan entrò nella tenda interrompendola. «Salve, capo.» Geraint, uno dei nuovi sergenti degli arcieri, era un uomo dalle spalle larghe con i capelli castano chiaro tagliati a spazzola, dritti come gli aculei di un porcospino. Aveva gli occhi perennemente iniettati di sangue. Mentre entrava Ash notò che i bottoni che collegavano la parte posteriore del farsetto a quella dei pantaloni erano aperti. La maglia spuntava dall'apertura mettendo in evidenza le mutande strappate dalle quali faceva capolino la fenditura delle natiche. Consapevole di essere giunta inattesa, Ash non disse nulla, ma fulminò il sergente con un'occhiata che lo indusse a spostare lo sguardo sulle armi appese alle aste del tetto per evitare che assorbissero troppa umidità dal terreno. «Rapporto giornaliero» ordinò Ash, secca. Geraint si grattò una natica. «I ragazzi sono rimasti nei carri per due giorni a pulire le armi per non prendere la pioggia. Jacobo Rossano ha cercato di truffare due Fiamminghi e questi gli hanno detto di andare al diavolo. Lui non si è offeso. Henri de Treville è stato arrestato dalla polizia militare perché era ubriaco e ha cercato di bruciare il cuoco.» «Non mi stai dicendo che ha cercato di dare fuoco al carro del cuoco, vero?» chiese Ash. «Vuoi dire che ha cercato di bruciare il cuoco.» «Qualcuno ha detto che gli assediati di Neuss mangiano meglio di noi» disse Florian de Lacey mentre entrava sporco di fango fino alle ginocchia. «Si dice che i topi siano una delizia in confronto a quello che cucina Wat Rodway...» «Dio ci manda la carne e il diavolo i cuochi inglesi» commentò Angelotti ridendo. «Ne ho abbastanza dei tuoi proverbi milanesi!» Ash si diede uno schiaffo sulla fronte. «Bene. Nessuno è riuscito a truffare i nostri. Almeno per il momento. Altro?»
Robert Anselm si fece avanti ansioso di parlare. «Sigismondo del Tirolo si ritira, dice che Federico non combatterà affatto contro i Burgundi. Tra il duca Carlo e Sigismondo non corre buon sangue da quando Sigismondo perse Héricourt nel '74. I suoi uomini hanno litigato con gli arcieri di Goffredo di Innsbruck. Oratio Farinetti e Henri Jacque si sono scontrati e il chirurgo si è preso due morti dalla mischia.» «Non credo ci sia stato nessuno scontro con il nemico, giusto?» Ash si diede un secondo schiaffo sulla fronte con fare più teatrale. «No, no, che stupida - non abbiamo bisogno di un nemico. Nessun esercito feudale ne ha bisogno. Cristo mi preservi dalla nobiltà faziosa!» Un raggio di sole penetrò nella tenda. L'acqua che non era ancora evaporata prese a luccicare. Ash vide gli uomini con le divise blu e gialle che uscivano dai ripari per accendere i fuochi, spillare la birra dai barili e rovesciare i tamburi al contrario al fine di usarli come tavolo per giocare a carte. Le voci cominciarono a echeggiare ovunque. «Giusto. Robert, Geraint, fate uscire i ragazzi e dite ai comandanti delle lance di dividerli in due squadre, i rossi contro i blu, dopo portateli fuori dal recinto dei carri e fateli giocare a calcio.» «Calcio? Quel fottuto gioco inglese?» Florian la fissò in cagnesco. «Lo sai che provoca più feriti di una schermaglia?» Ash annuì. «Ci ho pensato... Rickard! Rickard! Dov'è quel ragazzo?» Lo scudiero entrò di corsa nella tenda. Aveva quattordici anni, i capelli neri e le sopracciglia folte. Era molto consapevole della sua bellezza e aveva più di un problema a tenere a freno i suoi istinti. «Corri dalla polizia militare e di' loro che i rumori che sentiranno al di fuori del fortino non sono una zuffa, ma un gioco.» «Sì, mia signora!» Robert Anselm si grattò la testa pelata. «Non aspetteranno ancora per molto, Ash. Negli ultimi due giorni i capi delle lance non hanno fatto altro che venire da me quasi ogni ora.» «Lo so. Quando avranno esaurito le loro energie» continuò Ash «falli radunare. Devo parlare a tutti, non solo agli ufficiali. Vai!» «Spero che tu abbia qualcosa di convincente da dire loro!» «Abbi fede.» Anselm uscì insieme a Geraint e rimasero solo il chirurgo, il prete e il paggio. «Quando esci, Rickard, mandami Philibert. Deve aiutarmi a vestirmi.» Ash fissò il suo paggio anziano uscire dalla tenda.
«Rickard sta diventando troppo vecchio» disse con fare assente, rivolgendosi a de Lacey. «Devo promuoverlo a scudiero e trovarmi un altro paggio di dieci anni.» Un bagliore le illuminò gli occhi. «Questo è un problema che non hai, Florian. Sono costretta ad avere dei paggi che non siano ancora entrati nel periodo della pubertà, altrimenti le puttane ricominciano a spettegolare. 'Non è un vero capitano, se la fa con i suoi ufficiali e quelli la lasciano andare in giro in armatura! ' Che vadano all'inferno!» Rise. «Comunque il piccolo Rickard è diventato fin troppo carino per i miei gusti. Mai scoparsi un sottoposto!» Florian de Lacey si accomodò su una sedia di legno, posò le mani sulle cosce e la gratificò di uno sguardo sardonico. «L'intrepido capitano mercenario che fa gli occhi dolci a un giovane innocente - a parte il fatto che non ricordo l'ultima volta in cui sei andata a letto con qualcuno, Rickard si è passato metà delle prostitute del campo ed è venuto da me perché si è beccato le piattole.» «Davvero?» Ash scrollò le spalle. «Beh... non posso portarmi a letto nessuno della compagnia perché verrei accusata di favoritismi. E tutti quelli che non sono soldati mi dicono: 'Sei una donna e fai cosa?'» Florian si alzò e diede un'occhiata fuori dalla tenda facendo ondeggiare lentamente la coppa di vino che teneva in mano. Non era un uomo molto alto: aveva le spalle curve come i ragazzini che crescono più rapidamente dei loro coetanei e non imparano a farsi valere. «E adesso ti sposi.» «Yippee!» esultò Ash. «Non cambierà nulla, solo che avremo delle entrate dalle terre. Fernando del Guiz può stare nel castello e io mi occuperò dell'esercito. Può trovarsi qualche bambinetto carino e io sarò felicissima di guardare dall'altra parte. Il matrimonio? Nessun problema.» Florian continuò a fissarla con uno sguardo colmo d'ironia. «A giudicare da quello che hai detto, vedo che non hai fatto molta attenzione a quanto sta succedendo.» «So che il tuo matrimonio è stato difficile.» «Oh.» Il chirurgo scrollò le spalle. «Esther preferì Joseph a me, capita spesso che le donne preferiscano i figli ai mariti. Almeno non mi ha ignorato per un altro uomo...» Ash cercò di slacciare il corpetto, ma non ci riuscì e si girò per farsi aiutare da Godfrey. «Florian, c'è ancora una cosa che voglio sapere prima di uscire a parlare ai ragazzi» disse Ash, mentre il prete armeggiava con i lacci. «Come mai sei sparito ultimamente? Mi sono girata ed eri scomparso. Cosa significa Fernando del Guiz per te?»
«Ah!» Florian cominciò a passeggiare visibilmente irritato lungo il perimetro della tenda, quindi fissò Ash dritta negli occhi e disse: «È mio fratello.» «Tuo cosa?» disse Ash, strabuzzando gli occhi. Sentì che Godfrey aveva smesso di armeggiare con i lacci. «Fratello?» «Fratellastro, per essere più precisi. Abbiamo lo stesso padre.» Ash si accorse che la parte alta del vestito era stata slacciata e scrollò le spalle per farlo scivolare via. Il prete si dedicò a slacciare la sottoveste. «Hai un fratello nobile?» «Beh, lo sapevamo tutti che Florian è un aristocratico.» Godfrey esitò. «Vero?» Andò al tavolino da campo e si versò una coppa di vino. «Pensavo che lo sapessi, Ash.» «Ho sempre pensato che appartenessi alla casata burgunda e non a quella imperiale, Florian.» «Esatto. Vengo da Digione in Borgogna. Quando mia madre morì, mio padre sposò una nobile di Colonia.» Il chirurgo biondo scrollò le spalle. «Fernando è molto più giovane di me, ma è pur sempre il mio fratellastro.» «Cristo Verde in cima all'Albero!» esclamò Ash. «Per le Corna del Toro!» «Florian non è l'unico uomo della compagnia sotto falso nome. Siamo pieni di criminali, debitori e fuggiaschi.» le fece notare Godfrey, quindi, dopo essersi reso contro che Ash non avrebbe bevuto il vino, svuotò la coppa in un solo sorso dopodiché l'allontanò dalle labbra disgustato. «Quel cantiniere ci ha venduto altra immondizia. Ash, io penso che Florian voglia stare lontano dalla sua famiglia perché nessuna famiglia aristocratica tollererebbe la presenza di un chirurgo militare tra di loro - non è così, Florian?» Il chirurgo sorrise, tornò a sedersi e mise i piedi sul tavolo di Ash. «Proprio così! Tutti e due i rami della famiglia del Guiz sia quello burgundo che quello germanico, avrebbero un infarto se sapessero che sono un dottore. Preferirebbero sapere che sono morto in un canale chissà dove. Inoltre, gli altri medici non sono d'accordo con i miei metodi di ricerca.» «Un cadavere di troppo sparito da Padova24 , suppongo» azzardò Ash, recuperando un po' di contegno. «Da quanto tempo ci conosciamo?» «Cinque anni?» chiese Florian. «E me lo dici solo adesso?» «Pensavo lo sapessi» Florian distolse lo sguardo e si grattò uno stinco 24
Al tempo Padova era sede di una famosissima università di medicina.
con la mano sporca. «Pensavo che conoscessi tutti i miei segreti.» Ash lasciò scivolare a terra il vestito e uscì dal mucchio di seta e broccato che si era formato ai suoi piedi. La camicia era abbastanza fine dà lasciare intravedere il profilo del seno pieno e i capezzoli. Florian le sorrise, momentaneamente distratto dalla vista. «Ecco quello che chiamo un bel paio di tette. Buon Dio, donna! Come fai a tenere tutta quella roba sotto il giustacuore? Un giorno devi permettermi di guardarle meglio...» Ash si tolse la camicia e rimase nuda davanti al chirurgo con le mani sui fianchi. «Sì, certo - il tuo interesse è puramente professionale. Me l'hanno detto tutte le ragazze del campo!» Florian sbirciò maliziosamente con la coda dell'occhio. «Fidati. Sono un dottore.» Godfrey non rise. Stava guardando fuori dalla tenda. «Sta arrivando il piccolo Philibert. Non trovi che sia tutto molto ridicolo, Florian? Potresti provare a parlare con tuo fratello. Non pensi che questa sia un'ottima occasione per una riunione familiare?» «No» rispose Florian, serio. «Puoi riconciliarti con la tua famiglia - benedite quelli che vi perseguitano: benediteli e non malediteli25 . Inoltre potresti suggerire a tuo fratello di non sposare Ash.» «Non posso. L'ho riconosciuto solo dai simboli della nostra casata. Non l'ho più incontrato da quando eravamo bambini e intendo continuare a non incrociarlo.» La voce era leggermente tesa. Ash fissava i due uomini dimenticandosi del tutto di essere nuda. «Non dovete essere contrari a questo matrimonio, ragazzi. È un evento che apre nuovi orizzonti per la compagnia. Potremo avere un posto dove tornare in inverno, e dei profitti.» Lo sguardo di Florian era inchiodato sul volto del prete. «Ascoltala, padre Godfrey. Ha ragione.» «Ma non deve sposare Fernando del Guiz!» La voce del prete che si alzava di un'ottava ricordò ad Ash quella di un giovane diacono che aveva incontrato al convento di santa Herlaine otto anni prima. «Non deve!» «Perché no?» «Già, perché no?» chiese anche Ash. «Vieni, Phili, prendimi un farsetto e i pantaloni. Quello verde con le striature argento dovrebbe andare bene. Perché no, Godfrey?» 25
Romani 12: 14.
«Ho aspettato, ma tu no. Davvero non ti ricordi del suo nome? Non ricordi il suo volto?» Godfrey era un uomo robusto, non solo grasso, e indipendentemente dal fatto di essere anche un prete era in grado di incutere il timore reverenziale tipico delle persone di grossa taglia, ma in quel momento sembrava indifeso. Si girò verso Florian punzecchiandolo ripetutamente con un dito. «Ash non può sposare tuo fratello perché l'ha già incontrato!» «Sono sicuro che il nostro spietato condottiero ha incontrato diversi nobili idioti.» Florian cominciò a pulirsi le unghie. «Fernando non sarà il primo né il peggiore.» Godfrey si fece da parte per lasciare passare il paggio. Ash si mise la maglia, quindi si sedette su un baule e infilò il farsetto di lana verde e i pantaloni. Allungò le braccia e il ragazzino le infilò le maniche abbottonandole alle spalle. «Vai a vedere la partita, Phili, e torna a dirmi quando hanno finito.» Gli scompigliò i capelli. Appena il ragazzino uscì, Ash cominciò a chiudere i lacci del farsetto. «Avanti, Godfrey, parla, cosa ti turba? Hai ragione, ho già visto quel volto. Tu come fai a conoscerlo?» Godfrey Maximillian distolse lo sguardo. «La scorsa estate ha vinto il torneo di Colonia. Te lo ricordi, figliola? Ne ha disarcionati quindici e non è mai dovuto scendere da cavallo per combattere. L'imperatore gli ha regalato uno stallone baio. Ho riconosciuto i simboli della sua casata e il nome.» Ash lo prese per una spalla e lo fece girare. «Va bene» disse in tono piatto. «E il resto? Cosa c'è di tanto speciale in lui, Godfrey? Dove l'ho già incontrato?» «Sette anni fa.» Godfrey riprese fiato. «A Genova.» Ash provò una fitta allo stomaco e si dimenticò che la compagnia la stava aspettando. Ecco perché ero così euforica in questi ultimi due giorni, pensò. Divento così quando non voglio vedere qualcosa. Spesso mi capita di non sapere quello che faccio. Forse è per questo che mi sono lasciata portare a Colonia. Le immagini di quanto era successo sette anni prima le tornarono in mente, frammentarie. Le succedeva sempre così ogni volta che ricordava l'accaduto. Lo sciabordio del mare contro il molo di un magazzino. La luce della lanterna che si rifletteva sul selciato bagnato. Le spalle di un uomo che si stagliavano contro la luce. La corsa al campo del Grifone d'Oro, la sua vecchia compagnia, tossendo. Il fatto di provare troppa vergogna per
adirarsi apertamente. «Oh. Già. È così?» disse Ash in tono piatto. Guardò fuori dalla tenda. «Allora sarebbe quel del Guiz? È successo molto tempo fa.» «Ho fatto in modo di sapere il suo nome dopo il fatto.» «Davvero?» chiese lei in tono malizioso. «Ti è sempre piaciuto indagare, vero, Godfrey? Anche allora.» Vide con la coda dell'occhio che Florian de Lacey, ora Florian del Guiz, suo potenziale cognato, si era alzato in piedi e si era tolto un ciuffo di capelli biondi dagli occhi. «Cosa è successo, ragazza?» «Non te l'ho mai raccontato? Successe prima che ti unissi a noi. Pensavo di avertelo detto da ubriaca.» Gli lanciò un'occhiata interrogativa e Florian scosse la testa. Ash si alzò dal baule e si avvicinò all'entrata della tenda. Il sole cominciava ad asciugare la tela bagnata. Allungò una mano e scosse uno dei tiranti per vedere che non avesse mollato. Il muggito di una vacca si levò dai recinti di Henri Brant. L'aria era pervasa dal puzzo di sterco. Le tende e gli altri ripari, delle strutture a forma di A formate da un telo teso tra le aste incrociate delle alabarde, erano stranamente vuote. Tese un orecchio per ascoltare i suoni della partita di calcio, ma non udì nulla. «Bene» disse. «Bene.» Si girò e guardò i due uomini. Godfrey giocherellava nervosamente con il cordone della tonaca. Malgrado fosse invecchiato era ancora possibile vedere i lineamenti del giovane rubicondo che era stato allora. Ash si infuriò. «Fai sparire quella faccia da pecorella innocente! Non ti ho mai visto tanto felice. Ti piaceva che mi punissero, così poi potevi confortarmi! Eri triste quando non succedeva nulla, vero?» «Ash!» La rabbia diminuì, allontanando il pensiero che il mondo fosse pieno solo di falsità, malizia e persecutori. «Scusa, Godfrey, mi dispiace!» Il volto del prete si rilassò leggermente. «Cosa ti ha fatto mio fratello?» chiese Florian. Ash tornò al baule, si sedette e infilò gli stivali senza guardare il chirurgo. Vide l'ombra di una nuvola delinearsi contro la tela della tenda. «Vino» ordinò. «Eccolo qua.» Una mano sporca con una coppa stretta tra le dita entrò nel campo visivo di Ash: era quella di Florian.
Ash la prese e osservò la luce che si infrangeva sulla superficie rossastra del vino. «Sai qual è il problema di questa storia? Che nessuno può ascoltarla senza scoppiare a ridere.» Florian si acquattò di fronte a lei in modo da poterla guardare in faccia. «Sai che non gli somigli affatto, altrimenti non ti avrei mai fatto entrare nella mia compagnia.» «Mi avresti preso lo stesso.» Florian posò una mano a terra per sostenersi, incurante della segatura e del fango, e sfoderò un sorriso colmo d'affetto che mise in evidenza lo sporco annidato tra le rughe intorno agli occhi. «Altrimenti come potresti permetterti i servigi di un dottore che ha studiato a Salerno. A meno che tu non riesca a trovarne un altro che abbia il pallino di sezionare i morti in battaglia per capire come funziona il corpo. Dovrebbe essercene uno in ogni compagnia mercenaria! Inoltre dove avresti trovato un'altra persona abbastanza sensibile da capire quando ti comporti come un'idiota? E lo sei. Non conosco il mio fratellastro, ma cosa può aver mai fatto...?» Florian si alzò con un movimento repentino e cominciò a massaggiarsi le gambe indolenzite sporcandosi i pantaloni di fango. Spazzò via uno o due dei pezzi più grossi e la fissò di sottecchi. «Ti ha stuprata?» «No. Ma vorrei che l'avesse fatto.» Ash allungò una mano e sciolse la treccia che le aveva fatto una delle cameriere di Costanza. Adesso sono lontana da là, pensò per darsi coraggio. Gli uccelli che sento sono corvi, non gabbiani. Questo è il presente. È estate e fa caldo anche quando piove. Provo una tale vergogna. «Avevo dodici anni, Godfrey mi aveva portata via dal convento di Santa Herlaine un anno prima, successe prima che diventassi l'apprendista di un armaiolo milanese e mi unissi alla compagnia del Grifone d'Oro.» Nella sua mente echeggiò il rumore del mare. «Allora mi vestivo da donna solo quando uscivo dal campo.» Allungò una mano e prese la spada. Aveva passato il cinturone intorno al fodero. Posò la mano sul pomello dell'arma e la sensazione che ne ricavò servì a confortarla. Il cuoio che foderava l'elsa si era tagliato. Doveva sostituirlo. «C'era una taverna, a Genova. Quel ragazzo era là in compagnia di amici e mi chiese di sedermi al tavolo. Doveva essere estate perché c'era luce fino a tardi. Aveva gli occhi verdi e un volto non particolarmente bello, ma quella fu la prima volta che guardai un uomo e mi sentii il sangue ribollire.
Pensavo di piacergli.» Ogni volta che ricordava quel fatto le sembrava di osservare l'accaduto da una grande distanza, ma doveva sforzarsi ben poco per ricordare il sudore, la paura e la sua voce che li implorava di lasciarla andare. Si era divincolata dalle loro mani e loro le avevano pizzicato i seni lasciandole dei lividi che non aveva mai avuto il coraggio di mostrare a nessun medico. «Pensavo di essere in gamba, Florian. Avevo cominciato l'addestramento con la spada e il capitano mi aveva preso come suo paggio. Credevo di essere la migliore.» Non riusciva ad alzare la testa. «Lui era di qualche anno più vecchio di me ed era ovvio che fosse il figlio di un cavaliere. Feci di tutto per farmi piacere. C'era del vino, ma non ne bevvi neanche un sorso perché mi sentivo ubriaca al solo pensiero che lui potesse volermi. Non resistevo all'idea di toccarlo. Quando uscimmo, pensai che saremmo andati nei suoi appartamenti. Mi portò dietro la locanda, vicino a un magazzino e mi disse 'Sdraiati.' A me non importava nulla del luogo. Là o da qualsiasi altra parte andava bene lo stesso.» Avvertì nuovamente la sensazione del selciato contro la schiena e le natiche e si rivide allargare le gambe. «Rimase in piedi sopra di me e si sbottonò i pantaloni. Non avevo la minima idea di quello che stava per farmi. Credevo che stesse per sdraiarsi su di me quando tirò fuori il suo affare e mi pisciò addosso.» Si strofinò le mani sul volto. «Mi disse che ero una ragazzina che si comportava come un uomo e mi pisciò addosso. I suoi amici lo raggiunsero per godersi la scena e cominciarono a ridere.» Scattò in piedi. La spada cadde a terra. Raggiunse velocemente l'entrata della tenda, guardò fuori, quindi tornò a girarsi verso i due uomini. «Volevo morire. Mi tenne ferma mentre i suoi amici facevano lo stesso. Sul vestito. Sulla faccia. Quel sapore... pensai che era veleno e che sarei morta.» Godfrey allungò una mano per confortarla, ma lei arretrò senza neanche rendersene conto. «Quello che non capisco è come mai lasciai che accadesse.» La voce di Ash era carica di angoscia. «Sapevo difendermi e anche se erano più forti e più numerosi di me sapevo come si scappa.» Si passò una mano su una guancia. «Vidi un uomo che passava là vicino e urlai per cercare di farmi aiutare, ma mi ignorò.
Sapeva cosa stava succedendo e non fece nulla. Si mise a ridere anche lui. Non posso neanche arrabbiarmi. Non mi hanno fatto del male.» Non riusciva più a guardare i due uomini, Godfrey che ricordava ancora quella ragazzina bagnata, puzzolente e in lacrime e Florian, con il quale i rapporti non sarebbero stati più gli stessi dopo quello che aveva scoperto. «Cristo,» imprecò Ash «se quello era Fernando del Guiz non deve ricordarsi di nulla, altrimenti avrebbe detto qualcosa. Mi è sembrato diverso. Avrà ancora i suoi amici? Pensate che qualcuno di loro possa ricordare?» Le mani forti di Godfrey le serrarono le spalle senza dire nulla, ma Ash sapeva che il prete stava lanciando un appello muto a Florian. Ash si strofinò le guance arrossate. «Merda.» Ho passato gli ultimi cinque anni a uccidere uomini in guerra, pensò, e adesso mi comporto come una novizia. «Scopri se il tuo fratellastro sa qualcosa, Florian» sussurrò Godfrey. «Parlagli. È comunque tuo fratello. Pagalo, se è necessario!» Florian si avvicinò ad Ash. «Non posso provare a persuaderlo. Sono stato ripudiato.» «Cosa?» fu l'unica cosa che Ash, ancora tremante a causa della rievocazione, riuscì a replicare. Vide l'uomo di fronte a lei che allungava una mano e sentì Godfrey che stringeva la presa sulle sue spalle. Le lunghe dita di Florian le aprirono la mano, quindi il chirurgo si slacciò la maglia e infilò la mano di Ash nella scollatura. Le dita della condottiera si chiusero attorno al seno di una donna. Non era possibile sbagliarsi. Lo guardò in volto. Il chirurgo sporco, pragmatico, impassibile che in quel momento le stringeva la mano con forza era una donna. «Cosa sta succedendo?» chiese Godfrey. «Sei una donna?» Ash fissò Florian. Godfrey rimase a bocca aperta. «Perché non me l'hai detto?» urlò Ash. «Dovevo saperlo, Cristo! Avresti potuto mettere tutta la compagnia in pericolo!» Il paggio Philibert infilò la testa nella tenda e Ash allontanò la mano. Il ragazzino li fissò tutti e tre. «Ash!» Ha capito che siamo tesi, pensò Ash. No, è troppo preso da quello che mi deve dire per accorgersene. «Non stanno giocando a calcio» strillò il paggio. «Nessuno. Non vogliono! Si sono riuniti e dicono che non faranno nulla finché non esci a parlare!»
«Arrivo» borbottò Ash. Lanciò un'occhiata a Florian e Godfrey. «Va' a dire loro che sto arrivando. Veloce.» Philibert corse via. «Non aspetteranno ancora a lungo. Non adesso. Florian - no - come ti chiami?» «Floria.» «Floria...» «Non capisco» disse Godfrey, visibilmente confuso. La donna richiuse la maglia. «Mi chiamo Floria del Guiz. Non sono il fratellastro di Fernando. Lui non ha fratelli. Sono la sorellastra. Solo spacciandomi per un uomo sono riuscita a imparare la professione di chirurgo e la mia famiglia, sia il ramo burgundo sia quello legato alla famiglia imperiale, non ha nessuna intenzione di rivedermi.» Il prete la fissò attonito. «Sei una donna!» «Ecco perché ti tengo nel mio libro paga, Godfrey» borbottò Ash. «Il tuo acume. La tua intelligenza. La rapidità con la quale arrivi subito al cuore dei fatti.» Diede un'occhiata alla candela segna tempo che ardeva sul tavolino da campo. «È quasi l'Ora Nona 26 . Godfrey, esci e di' una messa da campo. Ho bisogno di tempo. Sbrigati!» Il prete fece per uscire e Ash lo afferrò per manica dell'abito. «Non nominare Florian. Floria, voglio dire. Fammi guadagnare abbastanza tempo per organizzarmi.» Godfrey la fissò per un lungo istante, annuì, quindi uscì dalla tenda. 26
All'interno del testo la giornata viene divisa facendo riferimento al sistema in vigore nei monasteri. L'Ora Nona è il sesto ufficio, o servizio del giorno, ed equivale alle tre del pomeriggio. In un monastero la giornata è divisa in: Vigilia mezzanotte (spesso anche oltre) Mattutino 3 Capitolo sorgere del sole (di solito alle 6 del Ora Terza mattino) Ora Sesta 9 - 10,30 Ora Nona mezzogiorno Vespri 15 Completorium tramonto 21 (Il lettore attento dovrebbe notare che tutto ciò viene oltremodo complicato dall'abitudine medievale di dividere le ore del giorno e della notte in dodici segmenti di ora, il che significa che in inverno una 'ora' di oscurità è più lunga di 'un'ora' di luce, e vice versa in estate.)
«Merda...» imprecò Ash. «Quando devo partire?» le chiese Floria del Guiz. Ash si premette con forza l'attaccatura del naso e chiuse gli occhi. «Sono già fortunata se non perdo metà della compagnia.» Aprì gli occhi e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Hai dormito nella mia tenda. Ti ho vista vomitare ubriaca. Ti ho vista pisciare!» «No. Hai solo avuto l'impressione che lo facessi. Mi comporto così da quando ho tredici anni.» Floria teneva in mano una coppa di vino. «A Salerno non insegnano agli Ebrei, Libici e alle donne. È da allora che mi vesto da uomo. Padova. Costantinopoli, Iberia. Faccio il dottore militare perché negli eserciti a nessuno importa chi sei. Tu e questi uomini... Cinque anni! Non avevo mai passato tanto tempo nella stessa unità.» Ash sporse la testa fuori dalla tenda. «Philibert! Rickard!» sbraitò. «Venite! Non posso prendere decisioni affrettate, Florian. Floria.» «Continua con Florian. È molto più sicuro per me.» Il tono mesto della donna fece quasi sparire la sensazione di stupore di Ash, che la fissò. «Sono una donna e il mondo si inchina al mio passaggio. Perché non dovrebbe succedere lo stesso con te?» «Sei una mercenaria. Una contadina. Una bestia da traino. Non hai una famiglia ricca e influente alle spalle. Io sono una del Guiz. Rappresento una minaccia perché sono la più vecchia e potrei ereditare almeno i possedimenti in Borgogna... Alla fine, si riduce tutto a una questione di ricchezze.» «Forse non ti bruceranno» azzardò Ash, incerta. «Forse ti chiuderanno in una stanza e ti picchieranno.» «Non riesco a farmi picchiare senza problemi come fai tu» disse Floria arcuando un sopracciglio. «Sei così sicura che ti tollereranno. Questa idea del matrimonio non è una pensata di Federico. Qualcuno deve averglielo suggerito.» «Merda. Il matrimonio.» Ash sollevò la spada da terra. «A Colonia ho sentito dire che l'imperatore ha nominato cavaliere Gustav Schongauer. Ti ricordi di lui e dei suoi compari due anni fa a Hérincourt? 27 » «Schongauer? Cavaliere?» Floria, distratta dalla notizia, la fissò torva in volto. «Erano solo un manipolo di banditi! Ha passato metà dell'autunno a distruggere le fattorie del Tirolo! Come ha fatto Federico a nominarlo ca27
Hérincourt era un piccolo castello che sorgeva sul confine della Borgogna messo sotto assedio dagli Svizzeri; la campagna terminò con una battaglia che si svolse il 13 novembre 1474.
valiere?» «Perché l'autorità legittima o illegittima non esiste. Esiste solo l'autorità, e basta.» Ash fissò il chirurgo tenendo la spada tra le mani. «Se puoi controllare un gran numero di soldati allora hai autorità e verrai conosciuto e onorato da quelli che controllano il tutto. Lo stesso vale per me. Solo che non ci sarà nessun re o nobile che mi farà cavaliere.» «La cavalleria è un gioco per i ragazzini! Ma dove andremo a finire se un assassino stupratore può diventare un Grafi» Ash fece un cenno della mano. «Già, tu sei nobile... Come pensi che nascano altri nobili? Gli altri Graf hanno paura di lui. Anche l'imperatore è spaventato e per questo l'ha fatto diventare uno di loro. Se dovesse diventare un problema gli altri nobili si coalizzeranno contro di lui e lo uccideranno. È stata una mossa per mantenere determinati equilibri.» Prese la coppa di vino dalle mani di Florian, la svuotò di un fiato e cominciò a sentirsi più leggera. «Sono le leggi della cavalleria» disse Ash, fissando il fondo della coppa. «Non importa nulla quanto sei generoso, virtuoso o brutale. Se non hai la forza a sostenerti sarai trattato con disprezzo, ma se invece sei forte, allora tutti verranno da te piuttosto che da qualcun altro. E il potere deriva dalla tua abilità nel convincere i soldati a combattere per te. Sì, li devi pagare, ma c'è dell'altro, devi dare loro titoli, terre e combinare dei buoni matrimoni. Io non posso farlo, ma ne ho bisogno. Questo matrimonio...» Ash arrossì improvvisamente. Scrutò il volto di Floria, valutando ciò di cui era venuta a conoscenza e i segreti del passato che nessuna di loro due aveva mai tradito. Floria era sempre il Florian con il quale aveva parlato fino a notte fonda più di una volta. «A meno che tu non desideri farlo ti prego di non andartene, Florian.» Sorrise. «Solo perché sei un ottimo chirurgo. E... ci conosciamo da troppo tempo. Ho sempre avuto fiducia in te come mio veterinario personale. Non posso cambiare idea adesso» «Rimarrò» disse la donna, un poco scossa. «Come sistemerai la faccenda?» «Non chiedermelo. Escogiterò qualcosa... Dolce Cristo, non posso sposare quell'uomo!» Le voci all'esterno cominciarono ad aumentare di volume. «Cosa gli dirai?» «Non lo so, ma non aspetteranno ancora. Muoviamoci!» Philibert e Rickard l'aiutarono a spogliarsi dopodiché cominciarono a in-
filarle i pezzi dell'armatura chiudendo le cinghie, stringendo i lacci con movimenti rapidi e precisi dettati dalla pratica. «Devo parlare loro» aggiunse Ash, in tono cinico. «Dopotutto c'è un buon motivo se l'imperatore del Sacro Romano Impero mi chiama 'capitano.' Posso camminare in mezzo a un esercito di uomini armati senza che nessuno mi dia una pacca sul sedere.» «E?» la stuzzicò Florian del Guiz. «'E' cosa?» Ash buttò i guanti dentro l'elmo e lo mise sottobraccio. «Sarò anche una donna, Ash, ma ti conosco da cinque anni. Devi parlare con loro perché conti su di loro - e?» «E... io sono il motivo per il quale non tornano a fare i conciatori, i pastori, i preti o le brave mogliettine. Quindi è meglio che io non li faccia morire di fame.» «Proprio così, ragazza» commentò Florian sorridendo. Ash stava per uscire quando si girò e disse: «Questo è un matrimonio voluto dall'imperatore, Florian. Sono finita se non mi sposo e che io sia dannata se non lo farò.» III Ash raggiunse lo spiazzo dove era stato piantato il vessillo della compagnia, saltò sopra il cassone di un carro e guardò la folla di persone seduta sulle balle di fieno, sui barili o in piedi. Tutti la stavano fissando. «Lasciatemi ricapitolare» esordì con voce chiara e decisa in modo che tutti potessero sentirla. «Due giorni fa abbiamo combattuto una schermaglia contro gli uomini del duca. È stata una mia iniziativa, non si trattava di un ordine dei nostri datori di lavoro. Un atto sconsiderato, è vero, ma siamo soldati e dobbiamo comportarci così. A volte.» La voce le si incrinò provocando le risate di alcuni uomini vicino ai barili di birra: Jan-Jacob, Gustav e Pieter, Fiamminghi appartenenti al gruppo di Paul di Conti. «Al nostro datore di lavoro rimanevano solo due cose da fare. Poteva rompere il contratto e noi saremmo andati dritti dal suo avversario, il duca Carlo di Borgogna.» «Visto che stanno per firmare la pace forse dovremmo chiedere al duca Carlo se ci vuole. Quello è sempre in guerra contro qualcuno, gridò Thomas Rochester.» «Forse non è ancora il momento.» Ash fece una pausa. «Forse ci con-
viene aspettare uno o due giorni finché si sarà dimenticato che l'abbiamo quasi ucciso!» Un soldato scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli uomini di Van Mander. Era un buon segno, perché questi ultimi erano riconosciuti da tutti come dei veri duri, quindi molto rispettati. «Ne parleremo dopo» continuò Ash. «A noi non importa nulla di chi sarà il vescovo di Neuss, così se Federico ci dice che dobbiamo togliere le tende, noi ubbidiamo. Questa era la prima possibilità, ma non è andata così. Secondo - avrebbe potuto darci del denaro.» «Sììì!» esultarono due donne arciere (che, solo quando erano fuori portata d'orecchio, venivano chiamate le 'donne di Geraint.') Ash, che sentiva il cuore battere all'impazzata, posò una mano sull'elsa della spada. «Beh, come tutti voi saprete, non ci ha dato il denaro.» Un coro di fischi di disapprovazione si levò dai soldati. In fondo alla calca gli arcieri, i balestrieri, gli archibugieri e gli alabardieri cominciarono a spingere per avvicinarsi. «Devo dire una cosa a quelli che hanno preso parte alla schermaglia: bravi. È stato fantastico. Fantastico.» Fece una pausa a effetto. «Non ho mai visto uno scontro vinto da un gruppo di soldati che abbiano fatto così tanti errori in una volta sola!» Ci fu una risata generale e Ash alzò la voce per indicare i singoli casi. «Euen Huw, non devi mai scendere da cavallo per spogliare i corpi. Tu, Paul di Conti, non dovresti cominciare le cariche da lontano per poi arrivare sul nemico con il cavallo sfinito! Sono sorpresa che tu non sia dovuto scendere da cavallo e correre. Per quanto riguarda il fatto di seguire gli ordini del vostro comandante!» Lasciò calare il brusio. «Vi devo ricordare di tenere sempre d'occhio il nostro fottuto stendardo...» Si schiarì la gola. «È vero, dovresti tenerlo d'occhio!» urlò Robert Anselm per aiutarla. Ci fu una seconda risata generale e Ash si rese conto che il momento di crisi era passato o quanto meno rinviato. «Quindi è necessario che tutti noi ci esercitiamo parecchio nelle tattiche per le schermaglie.» Ash si girò per guardarsi alle spalle. «Quello che avete fatto è stato stupefacente. Potrete raccontarlo ai vostri nipoti. Non era guerra. Non si vedono mai dei cavalieri che caricano altri cavalieri, perché ci sono sempre i fottuti arcieri nelle vicinanze! Ah, già, mi dimenticavo anche degli archibugieri.» Degli sghignazzi si levarono dal gruppo degli archibugieri. «Cosa sarebbe una battaglia senza il suono allegro del fuoco
di copertura degli archibugi? Niente!» Un uomo dai capelli rossi, uno degli uomini di Aston, urlò: «Prendi una fottuta ascia!» I fanti cominciarono a intonare una rumorosa cantilena e gli artiglieri risposero per le rime. Ash fece un cenno con il capo ad Antonio Angelotti, che tranquillizzò immediatamente i suoi uomini. «Qualsiasi cosa sia stata, era comunque fantastica. Purtroppo non ci ha fatto guadagnare niente. La prossima volta che avremo la possibilità di piantare una lancia nel culo di Carlo di Borgogna, tornerò al campo e chiederò di essere pagata in anticipo.» Una voce si levò dal fondo. «'Fanculo Federico d'Asburgo!» «Magari!» Tutti scoppiarono a ridere. La brezza le spinse alcune ciocche di capelli sul viso. Ash annusò l'aria pervasa dall'odore di ottocento uomini sudati radunati in uno spazio ristretto, di sterco di cavallo e fumo. Erano tranquilli all'interno del campo, e nessuno aveva ragione di temere un attacco. Solo pochi mercenari portavano l'elmo e le alabarde erano impilate a dozzine dentro una tenda. I bambini correvano intorno alla folla cercando un varco per ascoltare. La maggior parte degli uomini e delle donne che non combattevano, le prostitute, le lavandaie e i cuochi, si erano seduti sui carri al bordo del campo per sentire. Eccettuati i soliti individui che giocavano sempre a dadi oppure dormivano ubriachi fradici dentro una tenda, Ash poteva dire di aver radunato tutta la compagnia. Il vedere tutti quei volti conosciuti la indusse a pensare che i suoi uomini la stavano ascoltando perché volevano sapere cosa fare. Sapeva che la stragrande maggioranza di quelle persone era dalla sua parte, ma lei si sentiva responsabile per tutti. Comunque, se a loro non piaceva quello che stava per proporre, potevano andare in un'altra compagnia. Tutti attendevano che Ash riprendesse a parlare. La sua pausa era durata troppo a lungo e il nervosismo cominciava a serpeggiare tra la compagnia. «Molti di voi sono con me da quando tre anni fa fondai la compagnia. Altri da quando andavo a reclutare uomini per il Grifone d'Oro e la Compagnia del Cinghiale. Guardatevi. Siete un mucchio di pazzi bastardi la cui unica prospettiva è quella di affrontare un altro mucchio di pazzi bastardi come voi! Dovete essere pazzi per seguirmi - ma se lo farete» disse, aumentando il tono di voce «ne uscirete sempre vivi, pagati e con una cavolo di reputazione.»
Alzò un braccio prima che il brusio della folla aumentasse di volume. «E questa volta verremo pagati. Anche se lo faranno con un matrimonio! Suppongo che ci sia una prima volta per tutto.» Fissò gli ufficiali raggruppati sotto di lei che parlottavano tra loro. «Negli ultimi giorni ho valutato diverse possibilità. È il mio lavoro, ma è anche il vostro futuro. Ci siamo sempre riuniti per discutere quali contratti accettare e quali no. Quindi adesso discuteremo anche di questo matrimonio.» Le parole le sgorgavano fluide dalla bocca. Non aveva mai avuto problemi a parlare con i suoi uomini. Ma questa volta dietro tanta fluidità c'era qualcosa che non andava. Ash si rese conto che aveva stretto i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Cosa posso dire? pensò. Che dobbiamo farlo, ma io non posso? «E dopo che ne avremo discusso» proseguì Ash «allora metteremo la proposta ai voti.» «Ai voti?» urlò Geraint ab Morgan. «Stai parlando di un voto vero e proprio?» «Democrazia significa fare quello che ti dice il capo!» urlò qualcuno. «Sì, un vero voto. Perché se accettiamo, allora la compagnia avrà delle terre e dei guadagni. Ma se non accettiamo l'unica scusa che l'imperatore Federico potrà accettare sarà che la mia compagnia non vuole!» Ash non lasciò loro il tempo di pensare e continuò: «Siete stati con me e con altre compagnie mercenarie che non sono durate una stagione, figuriamoci degli anni. Ho sempre fatto in modo di coprirvi le spalle.» Il sole fece capolino da dietro le nuvole. La luce si rifletté sul piastrone della corazza di Ash e la donna sembrò avvolta da un alone divino. Quel fenomeno giungeva così a proposito che Ash lanciò uno sguardo a Godfrey, che si trovava ai piedi del carro stringendo la Croce di Rovi tra le mani. Il religioso alzò gli occhi al cielo e sorrise con fare assente, lanciando al tempo stesso una rapida occhiata alla figura splendente che si trovava sotto lo stendardo del Leone Azzurro. Un vero miracolo in miniatura. Ash rimase in silenzio ancora per qualche secondo affinché tutti notassero quanto era successo e riflettessero sul segno. Me lo posso permettere, pensò rivolgendosi al cielo, quindi vuol dire che sono buona. Sei dalla mia parte: davvero... «Se sposo quell'uomo» continuò Ash «potremo avere un luogo dove tornare in inverno. Avremo dei raccolti, del legname e della lana da vendere.
Potremo smettere di accettare dei contratti suicidi solo per poterci equipaggiare alla fine di ogni stagione.» «E cosa succederà se qualcuno ci offrirà un contratto per combattere contro l'Imperatore?» domandò un uomo con i capelli sporchi che indossava una giubba verde. «Sa che siamo mercenari.» Una donna arciere si fece strada a gomitate. «Ma adesso siamo al suo servizio e non sarà lo stesso quando avrai sposato uno dei suoi feudatari.» Alzò la testa per guardare meglio Ash. «Lui si aspetta che tu giuri lealtà al Sacro Romano Impero, vero, capitano?» «Se mi avessero chiesto con chi avrei voluto combattere» urlò un archibugiere «mi sarei unito a un esercito feudale.» «Troppo tardi per i rimpianti» ringhiò Geraint ab Morgan. «È stata fatta un'offerta. Io voto per le proprietà e per non mandare al diavolo l'imperatore.» «Io penso che potremo continuare a gestirci come al solito» cercò di rassicurarli Ash. Dalla folla si levò un brusio di disapprovazione. L'arciere, che indossava una giubba marrone imbottita, un farsetto rosso e le protezioni per le ginocchia, si girò verso i commilitoni. «Non volete proprio darle una possibilità, vero, stronzi? Tu ti sposerai, capitano Ash.» Ash la riconobbe, era una donna con i capelli lunghi e un nome strano: Ludmilla Rostovnaya. Portava una manovella per balestre appesa alla cintura. Uno dei balestrieri genovesi, pensò Ash, mentre si appoggiava a una sponda del carro. Perché sto cercando di persuaderli a seguirmi? continuò a pensare. Non posso farlo. Cosa può importare loro di una piccola tenuta bavarese? Geraint ab Morgan si fece strada fino alla prima fila. Ash vide il suo sergente degli arcieri fissare Florian e il prete come se stesse chiedendo loro perché non intervenivano. «Capo,» urlò Geraint «è dannatamente chiaro che qualcuno ci ha ficcato in questo guaio perché non gli piacciono i mercenari. Ricordi cosa è successo agli Italiani dopo Héricourt?28 Non possiamo inimicarci Federico. Devi farlo, capitano.» «Non può!» gli urlò Ludmilla. La compagnia cominciava ad agitarsi 28
Il 24 dicembre 1474 diciotto mercenari italiani che avevano combattuto per i Burgundi ed erano stati fatti prigionieri dagli Svizzeri vennero bruciati vivi a Basilea.
perché non tutti riuscivano a seguire la discussione tra i due. La voce della donna si levò sopra il brusio. «Se lei sposa quell'uomo tutto ciò che le appartiene diventa proprietà del marito. Non succede il contrario! Se lo sposa questa compagnia diventerà una proprietà della famiglia del Guiz! E i del Guiz appartengono all'imperatore, che in questo modo avrà a disposizione una compagnia mercenaria senza dover tirare fuori neanche un quattrino!» Dalle prime file partì un rapido passaparola per informare quelli più indietro, che non avevano potuto sentire tutto. Ash fissò Ludmilla. La presenza di una donna nei momenti di crisi le aveva sempre dato un senso di sicurezza, ma adesso era una donna che la stava indicando con il braccio teso. «Ci hai pensato a questo particolare, capo?» Tutto ciò che le appartiene diventa proprietà del marito... Fernando è un vassallo di Federico, rifletté Ash, quindi diventeremmo proprietà di un feudatario. Cristo, questo peggiora le cose! Perché non ci ho pensato prima? Perché continui a pensare come un uomo, si disse. Ash non riusciva a parlare. Avrebbe voluto sedersi per non guardare tutti i suoi uomini in volto, ma l'armatura la costringeva a mantenere una postura eretta. Il brusio cessò. Solo i bambini che correvano e giocavano intorno alla folla infrangevano il silenzio. Ash lasciò vagare lo sguardo tra i suoi uomini. Ne vide uno che la fissava tenendo un pezzo di carne vicino alla bocca e un altro che lasciava colare a terra il vino da una borraccia. Gli uomini si erano radunati intorno agli ufficiali per chiedere chiarimenti. «No» ammise Ash. «Non ci avevo pensato.» «Quel ragazzo non ti lascerà comandare» le rammentò Robert Anselm. «Se ti sposi con Fernando del Guiz ti perdiamo.» «Merda!» disse un soldato. «Non può sposarlo!» «Ma se fotti l'imperatore lui poi fotte te.» Geraint socchiuse gli occhi che sembrarono sparire tra le pieghe degli zigomi e fissò Ash. «Ci sono altri che possono assoldarci» cercò di giustificarsi Ash. «Sì, certo, sono tutti cugini di secondo grado o qualcosa di simile.» Geraint sputò a terra. «Tutti noi conosciamo i principi della cristianità. Incesto è il loro secondo nome. Finiremo con l'essere assoldati da degli stronzi che si fanno chiamare 'nobili' solo perché un lord qualsiasi un giorno si è scopato la loro madre. Possiamo dimenticarci di essere pagati in oro!» «Possiamo sempre dividerci e andare in altre compagnie» disse un sol-
dato. «Sì e finire tra le mani di un coglione che ci farà crepare tutti quanti!» urlò Pieter Tyrrel. «Ash sa quello che fa quando combatte!» «Peccato che non sappia fare nient'altro!» Ash girò la testa e cominciò a guardarsi intorno con noncuranza in cerca della polizia militare e per vedere le espressioni sui volti dei cuochi, delle lavandaie e delle prostitute. Udì il nitrito di un cavallo. Il cielo venne attraversato da una nube di storni che andavano in cerca di un tratto di terreno umido per cibarsi dei vermi. «Non vogliono perderti» la rassicurò Godfrey Maximillian in tono tranquillo. «Perché li ho portati in battaglia con me e ho sempre vinto.» Aveva la bocca secca. «Ma questa volta ho perso.» «È un gioco diverso. Adesso devi indossare la gonnella.» «Nove decimi di loro» borbottò Florian/Floria «non possono mandare avanti la compagnia come fai tu. Il decimo che pensa di poterlo fare si sbaglia. Lascia che parlino tra di loro e se ne ricorderanno.» Ash si irrigidì e annuì. «Vi lascio tempo fino a Complina29 . Ascolterò la vostra decisione dopo la messa serale di Padre Godfrey.» Scese dal carro e si allontanò insieme a Florian. Ash notò che il chirurgo camminava come un uomo, ondeggiando le spalle e non i fianchi. Aveva sempre il viso così sporco che nessuno faceva caso se avesse la barba fatta. La donna non disse nulla e Ash gliene fu grata. Ash si fermò a controllare il fieno e l'avena che erano stati dati ai cavalli. Gli stallieri raccoglievano anche le erbe per la cucina di Wat Rodway e quelle mediche per Florian. Controllò anche che le tinozze per l'acqua e per la sabbia disposte tra le tende fossero piene. Gli incendi divampavano più facilmente in estate. Imprecò contro una sarta che stava lavorando su un carro alla luce di una candela e la costrinse a prendere una lampada, quindi si recò dall'armaiolo per controllare come procedevano i lavori di riparazione delle alabarde, delle frecce, l'affilatura delle spade e la ribattitura delle corazze ammaccate. Florian le posò una mano sulla spalla. «Basta, capo, smettila di renderti fastidiosa!» «Hai ragione.» Ash lasciò cadere una fila di anelli metallici, fece un cenno d'assenso all'armaiolo e uscì. Fissò il cielo buio. «Non penso che quegli stupidi ne sappiano molto più di me di politica. Perché lascio deci29
Le nove di sera secondo l'orario monastico.
dere a loro?» «Perché tu non puoi. O non vuoi. O non hai il coraggio di farlo.» «Grazie!» Ash attraversò lo spiazzo centrale del campo facendosi strada tra gli uomini e le donne seduti a terra, mentre le ultime frasi dei Vespri echeggiavano nell'aria. Raggiunse lo stendardo e si girò verso i suoi uomini. «Allora,» esordì «cosa avete deciso?» Geraint ab Morgan si alzò in piedi, apparentemente intimidito dall'attenzione che i suoi commilitoni stavano concentrando su di lui in quel momento. Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. L'ufficiale si trovava nel cono d'ombra di due lanterne e lei non riuscì a scorgere l'espressione del suo viso. «Abbiamo contato i voti» disse Geraint. «È fatta, Ash. È troppo rischioso rifiutare l'offerta dell'imperatore. Vogliamo che ti sposi.» «Cosa?» «Abbiamo fiducia in te, capo.» L'uomo si grattò le natiche con un gesto automatico. «Sappiamo che troverai una scappatoia prima del matrimonio. Spetta solo a te, capo. Trova un modo di uscirne prima che abbiano terminato i preparativi per il matrimonio. Non possiamo permettere che ti prendano, capitano!» Ash fissò l'intera compagnia riunita davanti a lei. «Andate all'inferno tutti quanti!» Così dicendo si allontanò infuriata. Se lo sposo, si becca la compagnia. Era sdraiata sul suo letto da campo con un braccio sotto la testa, intenta a fissare il soffitto della tenda. Le ombre danzavano all'unisono con la brezza notturna. Un odore dolce copriva quello del suo sudore. Vide che qualcuno aveva legato dei mazzi di camomilla ed erbe mediche tra le armi appese a uno dei pali della tenda. Le teneva lassù perché era fondamentale che gli attrezzi del suo mestiere, come tutto il resto dell'equipaggiamento, rimanessero il più possibile fuori dal fango. Se lo sposo, rifletté, mi unisco a un ragazzo che potrebbe non ricordarsi di avermi trattata peggio di una prostituta del porto. Spostò le spalle dal cuscino al materasso di lana nella speranza che fosse un po' meno duro, ma non servì a molto. L'aria era calda e umida. Sganciò i fermagli metallici che univano le maniche al farsetto, le sfilò e provò una
sensazione di sollievo. Cristo Santo! Ci sono dentro fino al collo e rischio di affondare ancora di più! Aveva appeso l'armatura al suo sostegno e ora l'osservava riflettere la luce della lampada. Cominciò a massaggiare i punti indolenziti dalle cinghie e dalle chiusure. Doveva esserci della ruggine tra le piastre dell'armatura, ma la luce era troppo fioca per riuscire a vederla. Doveva dire a Phili di raschiarla con la sabbia e poi portarla dall'armaiolo per la manutenzione. Se avesse permesso alla ruggine di attecchire l'armaiolo sarebbe montato su tutte le furie. Si massaggiò i muscoli delle cosce. Erano ancora indolenziti dalla cavalcata di ritorno. Le pareti in tela della tenda ondeggiavano mosse dal vento. Le ricordavano un gigantesco animale che respirasse. Di tanto in tanto sentiva delle voci provenire dall'esterno. Erano le guardie: circa una mezza dozzina di uomini armati di balestre che tenevano dei mastini al guinzaglio. Il loro compito era impedire a un eventuale commando burgundo di entrare nel campo e uccidere il comandante mercenario. Si tolse gli stivali e li lasciò cadere a terra. Mosse le dita dei piedi e stirò le caviglie per rilassarsi, quindi allentò i lacci del colletto. A volte era molto consapevole del suo corpo. Avvertiva i muscoli tesi dalla fatica, le ossa, le dimensioni del suo petto, delle braccia e delle gambe. Estrasse il coltello, lo girò verso la luce e passò il bordo di un'unghia sul filo per controllare che non si fosse intaccato. Alcuni coltelli si adattavano a una mano come se fossero stati costruiti su misura. «Mi stanno derubando legalmente. Cosa posso fare?» borbottò ad alta voce, in tono cinico. «Non è un problema di natura tattica» le rispose la voce che albergava in lei. «No, vero?» Infilò il coltello nel fodero, slacciò la cintura, arcuò i fianchi e la sfilò con un unico movimento. «Dimmi tutto!» La fiammella della lampada ondeggiò. Ash si puntellò su un gomito. Qualcuno era entrato nella tenda e ora attendeva al di là del drappo che divideva il letto dal resto dell'ambiente. Durante l'estate lei metteva sempre delle tavole di legno sul pavimento della tenda perché l'umidità lo faceva scricchiolare ogniqualvolta veniva calpestato e, se i ragazzi dormivano e le guardie erano lontane, il rumore l'avrebbe svegliata permettendole di non farsi cogliere di sorpresa.
«Sono io» rispose una voce pragmatica dall'altra parte del drappo. Ash tornò a sdraiarsi e Robert Anselm entrò nella zona notte. Lei si girò e lo fissò. «Ti hanno mandato perché pensano che tu abbia qualche probabilità in più di persuadermi?» «Gli altri mi hanno mandato perché ci sono meno probabilità che tu mi stacchi la testa.» Si abbandonò pesantemente su uno dei due massicci bauli di fattura germanica che lei teneva vicino al letto. Entrambi avevano una serratura che prendeva tutto il coperchio ed erano incatenati al palo più grosso della tenda. «Chi sono 'gli altri', esattamente?» «Godfrey, Florian, Antonio. Ce la siamo giocata a carte e ho perso.» «Non è vero.» Ash tornò a sdraiarsi sulla schiena. «Non è vero, stronzo!» Robert Anselm rise. La testa pelata gli metteva in risalto gli occhi e le orecchie. La maglia macchiata spuntava da sotto il farsetto e cominciava a intravedersi un inizio di pancetta. L'ufficiale aveva un odore dolciastro, un misto di sudore, aria aperta e fumo. Il volto era incorniciato da una peluria ispida. Di solito tutti si soffermavano a osservare la testa pelata e le spalle massicce, ma nessuno notava mai le lunghe ciglia simili a quelle di una ragazza. Cominciò a massaggiarle le spalle e Ash arcuò la schiena chiudendo gli occhi per qualche secondo. Robert Anselm fece scivolare le mani sul petto e lei li riaprì. «Non ti piace se ti tocco qui, vero?» Una domanda retorica. «Ma questo ti piace.» Tornò a spostare le mani sulle spalle. «Ho imparato da te che è meglio non andare a letto con i propri ufficiali. Mi ricordo ancora il casino di quell'estate.» «Perché non ti fai scrivere da qualche parte: Non so nulla e posso sbagliare?» «Non posso sbagliare, c'è sempre qualcuno che potrebbe trarne vantaggio.» «Lo so.» Le premette i pollici sulle vertebre e un attimo dopo lo schiocco secco di un muscolo che tornava a posto echeggiò nella tenda. «Stai bene?» le chiese, smettendo di massaggiarla. «Tu cosa dici?» «Nelle ultime due ore sono venute da me più di centocinquanta persone chiedendomi di poter parlare con te. Baldina, Harry, Euen, Tobias, Tho-
mas, Pieter. La gente di Matilda, Anna, Ludmilla...» «Joscelyn van Mander?» «Non è venuto nessuno dei ragazzi di van Mander.» «Perfetto!» Ash si tirò su a sedere. Robert Anselm alzò le mani. «Joscelyn pensa che il fatto di aver reclutato tredici uomini gli dia più voce in capitolo di me in questa faccenda! So che avremo dei guai. Potrei pagare quello che gli devo e spedirlo da Jacobo Rossano in modo che diventi un suo problema. Bene, bene.» Alzò entrambe le mani con i palmi rivolti in avanti, consapevole di fingere. «Va tutto bene. Va tutto bene!» Ash sapeva bene che la compagnia era una sorta di gigantesco macchinario. Gente che si affrettava intorno ai carri del cuoco, la solita zuppa che bolliva nei calderoni. Gli uomini sempre pronti in caso d'incendio. Quelli che portavano i cavalli a brucare sulle sponde dell'Erft. Gli uomini che si esercitavano con le armi. Altri che giacevano con le prostitute che avevano in comune. Uomini che si facevano cucire i vestiti dalle mogli (che un tempo erano state prostitute). Le lanterne, i fuochi da campo, i versi di un animale ucciso per gioco. Il cielo, le stelle e tutto il resto. «Sono brava sul campo di battaglia, ma non so nulla di politica.» Lo fissò negli occhi. «Pensavo che li avrei battuti sul loro stesso terreno. Non so come ho fatto a essere così stupida.» Anselm le arruffò i capelli con un gesto goffo. «'Fanculo.» «Sì, 'fanculo a tutti quanti.» Le sentinelle fermarono due persone, fecero pronunciare loro la parola d'ordine giornaliera, quindi li lasciarono passare. Ash li sentì parlare. Pur non sapendo il loro nome, sapeva che si erano lavati di mala voglia, avevano mangiato, avevano fatto affilare le spade, avevano indossato la maglia e un qualche tipo di protezione e avevano cucito il Leone Azzurro sui loro tabarri. C'erano uomini simili anche nell'accampamento di Federico III, ma non sarebbero mai stati come i suoi. Per quanto fossero mercenari, Ash era il collante che li univa. Ash si alzò in piedi. «Ascolta, voglio parlarti... della famiglia del Guiz. Dopo mi dirai cosa posso fare, perché io non ne ho la minima idea.» Quattro giorni più tardi, mentre sia Carlo di Borgogna detto l'Intrepido che le truppe dell'imperatore Federico III si allontanavano da Neuss ponendo fine all'assedio 30 , Ash si trovava nella cattedrale di Colonia. 30
L'edizione della vita di Ash scritta dal del Guiz e stampata dal
La luce del sole penetrava attraverso le vetrate colorate screziando i volti del migliaio di persone riunite tra le navate. Intorno ai basamenti delle snelle colonne che si protendevano verso l'alto, dando l'impressione di essere troppo esili per sorreggere il soffitto, si era accalcato un nutrito gruppo di nobili che indossavano abiti eleganti e corazze lucidate, sfoggiando preziosi e armi ingioiellate. L'imperatore aveva voluto che la sua corte fosse presente al gran completo per celebrare l'evento. «Sta tardando.» Ash deglutì. «Non ci posso credere. Mi ha piantata!» «Non può essere. Non sei così fortunata» sibilò Anselm. «Fa qualcosa, Ash!» «Cosa? Dimmelo tu! È da quattro giorni che cerchiamo una soluzione e non siamo venuti a capo di niente. Come puoi pensare che ci riusciamo adesso?» Quanti minuti mancavano al momento in cui la sua compagnia sarebbe passata dalle sue mani a quelle del marito? L'unica cosa che poteva fare per evitare che accadesse era uscire dal quel luogo da sola. Adesso. Di fronte a tutta la corte dell'imperatore. E hanno ragione, pensò Ash. Metà delle famiglie reali della Cristianità sono sposate con l'altra metà e io non otterrei più un contratto finché le acque non si fossero calmate. Il che vuol dire non lavorare almeno per un anno. Non ho abbastanza denaro per sfamare tutti i miei uomini per un periodo così lungo. Problemi, sempre problemi. Robert Anselm fissò Padre Godfrey Maximillian. «Potremmo intonare una preghiera per ricevere una grazia, Padre.» Il religioso annuì. «Non che abbia molta importanza, adesso, ma hai scoperto chi mi ha messa in questo pasticcio?» chiese Ash. «Sigismondo del Tirolo» rispose Godfrey, tranquillo. «Dannazione. Sigismondo? Cosa gli - quell'uomo ha la memoria lunga. L'ha fatto perché abbiamo combattuto contro di lui a Héricourt?» Godfrey inclinò il capo. «Sigismondo del Tirolo è troppo ricco e l'imperatore non si può permettere il lusso di offenderlo rifiutando un suo consiglio. Mi hanno detto che a Sigismondo non piacciono 'le unità mercenarie con più di cinquanta lance'. Sembra che le trovi una minaccia alla purezza della guerra.» Gutemberg, fa datare la fine dell'assedio di Neuss al 27 giugno 1476, ma ovviamente si tratta del 27 giugno 1475. Comunque, tutte le altre fonti datano il matrimonio quattro giorni dopo, il 1 luglio 1476.
«Purezza della guerra? Ah, quella esiste solo nei suoi sogni del cavolo.» Il prete sorrise sornione. «Se ben ricordo gli hai dato una bella lezione.» «Ero pagata per farlo. Cristo. È ingiusto procurarmi tanti guai per quello.» Ash si girò per guardare cosa stava succedendo alle sue spalle. Il fondo della cattedrale era affollato dai mercanti di Colonia che, pur sfoggiando i loro abiti migliori, non potevano competere con le divise dei suoi ufficiali, mentre il gruppo di mercenari disarmati abbigliati in maniera del tutto anonima non attirava certo l'attenzione. Nessuno di loro faceva battutacce o rideva come succedeva quando qualcuno del campo si sposava. A parte il fatto di non voler mettere a rischio il loro futuro, Ash si rese conto che i suoi uomini si comportavano in quel modo perché ora la vedevano come una donna, in una città durante un periodo di pace, e non come il comandante mercenario dal quale si erano fatti guidare più di una volta sul campo di battaglia, incuranti del suo sesso. «Cristo» ringhiò Ash, sussurrando. «Vorrei essere nata uomo! Sarei stata più alta di qualche centimetro e avrei potuto pisciare in piedi - e non sarei rimasta invischiata in tutto questo letame!» Robert Anselm trattenne a stento una risata. Ash cercò Florian per ricevere il suo solito parere scettico, ma il chirurgo non era tra loro: la donna sotto mentite spoglie era sparita da quattro giorni. Si era mescolata alla massa di uomini che smontavano il campo vicino a Neuss (mentre non l'aveva fatto quando avevano piantato il campo vicino a Colonia, dove, come aveva fatto notare più di un mercenario, c'era da fare del lavoro pesante.) «E» aggiunse Ash «potrei indurre Federico a far celebrare questo matrimonio il giorno di san Simeone...31 Forse potremmo cavarcela con una promessa fatta a priori? Qualcuno che sale sull'altare e dice che eravamo sposi promessi fin da bambini.» «Chi ha voglia di alzarsi e procurarsi un sacco di guai per questa donna?» domandò Anselm. «Io no.» «Io non lo chiederei se...» Ash vide il Vescovo di Colonia che si avvicinava a loro e si interruppe immediatamente. «Vostra Grazia.» «La nostra mesta e gentile sposa.» Il minuto vescovo Stephen allungò le 31
Simeone Salus (morto circa nel 590), è il santo associato ai paria, ed è considerato in particolare il protettore delle prostitute. Il suo giorno è il 1 luglio.
dita, sfiorò lo stendardo tenuto da Robert Anselm e si piegò in avanti per leggere la scritta ricamata sotto il Leone. «Cos'è?» «Geremia, cinquantuno-venti» spiegò Godfrey. «'Un martello sei stata per me, uno strumento di guerra; con te martellavo i popoli, con te annientavo i regni'» borbottò Robert Anselm. «È una sorta di motto, Vostra Grazia.» «Come lo trovo appropriato e pio.» «Cosa sarebbe pio?» sussurrò la voce secca di un nuovo arrivato. Il vescovo fece un inchino. «Vostra Maestà Imperiale.» Federico d'Asburgo avanzava zoppicando tra la folla che si era aperta per lasciarlo passare. Ash notò che si appoggiava a un bastone. Il monarca fissò padre Godfrey come se lo notasse per la prima volta. «E tu? Cosa ci fa un uomo di pace in una compagnia di guerrieri? Non va bene. 'Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli si prostri portando verghe d'argento, disperdi i popoli che amano la guerra'32 .» Godfrey Maximillian si tolse il cappuccio e affrontò, sempre mantenendo il dovuto rispetto, l'imperatore. «Ma, Vostra Maestà, i Proverbi centoquarantaquattro-uno?» Dalla gola dell'imperatore sgorgò una risatina secca. «'Sia benedetta dal Signore la mia forza, che insegna alle mie mani a guerreggiare e alle mia dita a combattere.' Ah, allora abbiamo un prete istruito.» «In quanto prete istruito» disse Ash «forse potresti chiedere a Sua Maestà quanto tempo dobbiamo aspettare ancora lo sposo, prima di poter tornare tutti a casa?» «Aspetta» rispose tranquillo Federico. Nessuno seppe più cosa dire. Ash avrebbe cominciato a camminare avanti e indietro se solo lo strascico del vestito glielo avesse permesso. Sopra l'altare splendevano le statue dei Nove Ordini di Angeli: Serafini, Cherubini e i Troni, che erano i più vicini a Dio. Seguivano i Domini, i Poteri e le Virtù, poi i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli. Il Principato di Colonia era scolpito con le ali spiegate e un sorriso ambiguo, intento a stringere tra le mani una rappresentazione della corona di Federico. A che gioco stava giocando Fernando del Guiz? Possibile che non si presentasse? È un cavaliere, dopotutto, pensò Ash. Forse non vorrà sposare una contadina soldato. Cristo, spero che sia proprio così. Sull'altare di sinistra uno scultore dotato di un certo senso dell'umorismo 32
Salmi 68: 30.
aveva riprodotto il Principe di Questo Mondo nell'atto di offrire una rosa alla figura nuda della Lussuria. Rospi e serpenti pendevano abbarbicati ai lembi del mantello 33 . Ash osservò la figura della Lussuria. In quel momento nella cattedrale erano presenti molte donne in pietra e solo cinque in carne e ossa. Lei e le sue quattro damigelle: Ludmilla (che si era fatta prestare l'abito da festa di una delle sarte), Bianche, Isobel ed Eleanor. Conosceva le ultime tre fin da bambine, quando si prostituivano insieme nella compagnia del Grifone D'Oro. Ash provò una sorta di soddisfazione nel vedere che molti nobili di Colonia si erano innervositi nel riconoscere Bianche, Isobel ed Eleanor. Se proprio devo andare fino in fondo a questa dannata cerimonia, allora lo farò a modo mio! Ash vide l'imperatore che cominciava a conversare con il vescovo. Entrambi passeggiavano come se fossero in un salone del palazzo imperiale e non in un luogo sacro. «Fernando è in ritardo. Non viene!» Si sentì pervadere da un'ondata di gioia e sollievo. «Beh, vuol dire che lui non è nostro nemico... È stato l'arciduca Sigismondo a combinare tutto questo. Sigismondo voleva che mi battessi nel campo della politica, dove non so cosa fare, invece che su quello di battaglia dove so il fatto mio.» «Donna, tu hai fatto di tutto per farti dare delle terre da Federico» le ricordò Godfrey, in tono tanto scettico da somigliare a quello di Florian. «Quell'uomo ha semplicemente sfruttato a suo vantaggio il tuo peccato di avidità.» «Non si tratta di un peccato, ma di stupidità.» Ash si trattenne dal guardarsi intorno. «Comunque sta andando tutto per il meglio.» «Sì... anzi, no. È arrivata della gente, fuori.» «Merda» sibilò Ash, lasciando allibite le prime due file di convitati. Era in piedi rigida come una statua abbigliata da sposa. I capelli le scendevano fino alle ginocchia. Sulla testa spiccava un cerchietto metallico adornato con una ghirlanda di margherite di campo. Il velo che le copriva il volto era così fine da lasciar vedere chiaramente le cicatrici sulle guance. Si udì il suono dei tamburi e dei corni. Ash sentì lo stomaco che le si chiudeva. Fernando del Guiz e il suo codazzo composto da giovani appartenenti alla nobiltà germanica, con indosso degli abiti che costavano più di quello che lei aveva guadagnato nei sei anni di battaglie, si affrettarono a 33
Quella statua non esiste più, ma è possibile vederne una simile a Friburgo. L'opera risale all'anno 1280, circa.
raggiungere il crocefisso. L'imperatore Federico HI si accomodò nel posto a lui riservato con il suo seguito. Ash scorse il volto impassibile di Sigismondo del Tirolo. Quell'uomo non voleva darle la soddisfazione di sorridere di fronte alla sua disfatta. La luce che entrava dalle alte finestre illuminava la figura di una statua in marmo nero posta sull'altare 34 , raffigurante una donna che cavalcava un toro. Ash alzò lo sguardo disperata e fissò l'enigmatico sorriso della statua e il vestito ricamato in oro che la ricopriva, mentre i chierichetti entravano nel coro portando delle candele di cera verde. Sapeva che al suo fianco c'era qualcuno. Lanciò una rapida occhiata alla sua destra e vide il giovane Fernando del Guiz intento a fissare l'altare. Era pettinato e non portava nessun tipo di copricapo. Per la prima volta poté guardarlo in faccia. Deve avere al massimo uno o due anni più di me. Pensavo che fosse più vecchio di me, si disse. Ora ricordo... Non era il volto dall'incarnato pallido, con la fronte spavalda e le lentiggini sul naso dritto, né i folti capelli biondi tagliati all'altezza delle spalle a piacerle. Ash osservò le spalle e il corpo robusto, quasi da adulto. Proprio così. Proprio così... Si scoprì a pensare di volergli arruffare i capelli. Avvertì il suo profumo. Allora ero una bambina, ma adesso... pensò. Ash si trovò a fantasticare che avrebbe voluto slacciargli il farsetto di velluto, che non aveva ormai più bisogno di imbottiture alle spalle, calarglielo fino alla vita, quindi sbottonargli i pantaloni... Lo squadrò per bene, soffermandosi sul cavallo e sulle cosce robuste. Dolce Cristo che sei morto per salvarci! pensò. Questo mi fa bollire il sangue come quando avevo dodici anni. «Signora Ash!» Qualcuno le fece una domanda. «Sì» rispose lei, con fare assente. La luce le illuminò il volto. Fernando del Guiz le aveva alzato il velo. L'uomo aveva gli occhi verdi, scuri come il mare. «Ora siete marito e moglie» dichiarò il Vescovo di Colonia. Fernando del Guiz cominciò a parlare e Ash si accorse che il suo alito 34
Una traduzione letterale dal Germanico. Non è mai esistito un altare simile a Colonia.
puzzava di vino. «Avrei preferito sposare il mio cavallo» disse, in modo che tutti potessero sentire. «Ma il tuo cavallo non ti avrebbe voluto» borbottò Robert Anselm. Qualcuno sussultò, altri risero e uno dei presenti si trattenne dallo scoppiare a ridere come un ossesso. Ash pensò che doveva essere Joscelyn van Mander che si trovava in fondo alla cattedrale. Ash fissava il volto del giovane non sapendo se piangere, ridere o colpire qualcosa, alla ricerca di un'avvisaglia del sorriso complice del quale l'aveva gratifica a Neuss. Niente. Non si rese neanche conto di aver drizzato le spalle e di aver assunto lo sguardo che usava nel suo campo. «Non parlarmi mai più così.» «Adesso sei mia moglie e ti parlo come voglio. Se la cosa non ti piace ti picchierà. È meglio se diventi docile!» Ash si trattenne a stento dal ridere. «Davvero?» Fernando del Guiz le passò un dito guantato sul mento e poi sul collo, quindi lo ritrasse e fece il gesto di annusarlo. «Mi sembra di sentire odore di... di... di piscio. Sì, proprio così. Piscio...» «Del Guiz» lo ammonì l'imperatore. Fernando si girò e si avviò verso l'imperatore e Costanza del Guiz che piangeva (le dame di corte erano entrate nella cattedrale solo ora che la cerimonia era finita), ma nessuno si degnò di guardare la sposa che veniva lasciata sola. «No» disse Ash, trattenendo Robert Anselm per un braccio. Lanciò anche una rapida occhiata al prete. «No. È tutto a posto.» «Tutto a posto? Non lascerai che ti tratti in questo modo?» Il suo luogotenente voleva andare da Fernando del Guiz e prenderlo a pugni. «So quello che devo fare. Ho capito tutto!» Ash rafforzò la stretta intorno al braccio di Robert. Gli uomini della compagnia avevano cominciato a borbottare tra di loro. «Sarò una sposa infelice» disse Ash, tranquilla. «Ma potrei diventare una vedova molto felice.» I due uomini sussultarono. Fu una scena quasi comica. Ash continuava a osservarli. Robert Anselm fece un cenno col capo, soddisfatto, e sulle labbra di Godfrey Maximillian era apparso un sorriso gelido. «Le vedove ereditano gli averi del marito» ricordò loro Ash. «È vero...» Robert Anselm annuì. «Meglio non dirlo a Florian. Quel-
l'uomo è suo fratello.» «Allora le... lui non deve sapere nulla.» Ash non guardò Godfrey. «Non sarà il primo pupillo della nobiltà germanica a morire a causa di una caduta da cavallo.» Ash si fermò un attimo dimenticandosi dei suoi compagni e di quello che aveva detto per cercare Fernando, che in quel momento stava confortando la madre. Il solo fatto di vedere quel corpo la eccitava. Non sarà facile, pensò. Non sarà per niente facile. «Signore. Signori.» Ash controllò che le sue damigelle stessero tenendo lo strascico e posò le dita sul braccio di Godfrey. «Non ci nasconderemo negli angoli. Adesso andremo a ringraziare le persone che hanno partecipato al mio matrimonio.» Aveva lo stomaco chiuso. Sapeva bene la figura che stava facendo: la giovane sposa con i capelli biondi sciolti e la veletta alzata. Non sapeva di essere impallidita e che le strisce rosse degli sfregi spiccavano ben visibili sulla pelle delle guance. Prima salutò gli ufficiali perché con loro si sentiva più a suo agio. Scambiò qualche parola, scherzò e strinse delle mani. Qualcuno la fissò con sguardo compassionevole. Ash non poteva fare a meno di continuare a fissare con ansia la folla in cerca di Fernando del Guiz. Lo vide parlare con Joscelyn van Mander sotto una finestra. Il cono di luce lo investiva in pieno dandogli un'aria angelica. Van Mander le dava le spalle. «Non ci ha impiegato molto» commentò Ash. «Ora il contratto di van Mander e dei suoi ragazzi appartiene a del Guiz» le rammentò Anselm, scrollando le spalle. Sentì un sussurro alle sue spalle e avvertì lo strascico che cadeva tirandole indietro il collo. Si girò lanciando un'occhiataccia a Bianche e Isobel. Le due donne stavano fissando il piccolo uomo del meridione che Ash aveva già visto a Neuss, con un'espressione sul volto che; era un misto di paura e meraviglia. «Viene dalle terre Sotto Penitenza!» sussurrò la piccola Eleanor a Bianche. Per Ash era del tutto chiaro il motivo per il quale l'uomo portava un pezzo di stoffa nera intorno al collo, pronto all'uso. «Oh, Cristo Verde, sono poco più che demoni giù in Africa - togliamoci di qua.» Ash attraversò la navata salutando i nobili minori delle città libere. Non è da me, pensò Ash, parlare educatamente e amabilmente. Questo non è il mio mondo. Parlare con l'ambasciatore della Savoia e di Milano e vedere
che sono stupiti di scoprire che una hic mulier 35 può indossare degli abiti da donna, parlare come loro, e che non ha la coda a punta e le corna. Cosa sto facendo. Cosa sto facendo? «Mia signora» disse qualcuno alle sue spalle. Ash sorrise e si congedò dall'ambasciatore di Milano, un individuo noioso e visibilmente spaventato da una donna che aveva ucciso più di un uomo in battaglia e si girò. La persona che le aveva rivolto la parola era l'abitante del sud. Aveva i capelli molto chiari e la pelle del volto bruciata dal sole. Indossava una cotta di maglia sopra una corta tunica bianca e dei pantaloni borchiati dello stesso colore. Sebbene fosse disarmato era vestito come un guerriero e questo aiutò Ash a sentirsi più a suo agio. Le pupille dell'uomo erano ridotte a due spilli a causa della luce che penetrava dalle finestre. «Arrivate da Tunisi?» azzardò, cercando di parlare una versione rozza della lingua dell'uomo. «Da Cartagine» confermò questi, chiamando la città con il nome gotico36 . «Ma solo adesso comincio ad abituarmi alla luce.» «Sono - merda.» Ash si interruppe rapidamente. Alle spalle del Cartaginese c'era un uomo robusto che Ash giudicò alto più di due metri. A una prima occhiata era sembrato una statua di granito rosso con un ovoide privo di lineamenti al posto della testa. Ma le statue non si muovono. Si accorse di essere arrossita e avvertì la presenza di Robert Anselm e Godfrey Maximillian alle sue spalle. «Non avevo mai visto uno di questi tanto da vicino!» disse Ash. «I nostri golem? 37 » 35
Termine latino per indicare una donna mascolina. Il testo è incerto in questo punto. Charles Mallory Maximillian parla di 'Visigoti', i 'nobili Goti'. Tuttavia qui si entra nel campo delle leggende medievali. Io penso che i 'Visigoti' siano stati menzionati e che tale menzione debba essere considerata attentamente. 37 Io preferisco questo termine a quello di Vaughan Davies, 'robot', o a quello usato da Charles Mallory Maximillian, 'uomo di terracotta'. Questa presenza quasi sovrannaturale è chiaramente uno dei particolari leggendari che si trovano nella storia di Ash, e non devono essere presi sul serio, se non per il fatto che riflettono il rammarico provato dagli uomini del Medio Evo per aver perso tutte le vestigia dell'Età dell'Oro romana. 36
Schioccò le dita e la creatura fece un passo avanti entrando nel fascio di luce multicolore che filtrava dalla finestra. L'uomo fissava Ash e i suoi compagni con lo sguardo divertito di chi era abituato a vedere le reazioni di stupore alla vista del golem. Le giunture del collo, delle spalle, dei gomiti, delle ginocchia, delle caviglie erano fatte di ottone. Le dita somigliavano per fattura e capacità di movimenti ai guanti per le armature costruiti in Germania. Aveva un odore amarognolo - fango? Doveva pesare molto perché l'andatura era lenta e a ogni passo un tonfo sordo echeggiava contro le pareti della cattedrale. «Posso toccarlo?» «Se lo desiderate, signora.» Ash allungò una mano e posò i polpastrelli sul petto del golem. La pietra era fredda. Fece scivolare le dita tracciando il contorno dei pettorali. La testa della creatura si inclinò verso il basso. Sull'ovoide privo di lineamenti, cominciarono ad aprirsi due buchi. Ash si aspettava di vedere il bianco dell'occhio e il colore delle pupille. Le palpebre finirono di dischiudersi rivelando due occhi pieni di granelli di sabbia rossa turbinante. «Da bere» ordinò il Cartaginese. Il braccio si sollevò senza rumore porgendo un coppa d'oro alla persona che l'aveva richiesta. Il Cartaginese bevve e la restituì. «Sì, signora, ci è permesso portare i nostri golem servitori con noi. Sebbene ci sia stata più di una discussione sul permettere loro di entrare in una vostra 'chiesa'.» L'ultima parola era stata pronunciata con un alone di sarcasmo. «Somiglia a un demone» disse Ash, continuando a fissare il golem. Stava immaginando una di quelle braccia che si levava per colpire. Dato il peso del braccio, l'impatto avrebbe avuto un effetto devastante. «Non lo è. Ma voi siete la sposa!» Le prese la mano e gliela baciò. Aveva le labbra secche. «Asturio, signora» si presentò l'uomo, ricorrendo alla sua lingua natale. «Asturio Lebrija, ambasciatore della Cittadella alla corte dell'Imperatore. Questi Tedeschi! Non so quanto riuscirò ancora a sopportarli! Voi siete una donna bellissima, signora. Una guerriera. Perché vi hanno fatta sposare con quel ragazzino?» «Perché siete qui, ambasciatore?» chiese Ash, stizzita. «Sono stato mandato da un personaggio molto potente. Ah, adesso capisco.» Asturio Lebrija si grattò i capelli tagliati corti come facevano tutti i Nordafricani che dovevano indossare l'elmo. «Qui voi siete la benvenuta
quanto lo sono io.» «Già, quanto una scoreggia in un bagno pubblico» Lebrija tossì. «Ambasciatore, io penso che l'imperatore abbia paura del giorno in cui la vostra gente smetterà di combattere i Turchi e diventerà un problema per questa parte d'Europa.» Ash vide Godfrey che si spostava per parlare con uno degli aiutanti di Lebrija e Robert Anselm che continuava a fissare il golem con gli occhi sbarrati. «O forse perché invidiano le paratie idrauliche di Cartagine, l'acqua calda che scorre sotto il pavimento e tutte le vestigia dell'Età dell'Oro.» «Le fogne, le batterie, le triremi, l'abaco...» Asturio faceva vagare lo sguardo qua e là. «Oh, noi siamo la Roma rinata. Temete le nostre potenti legioni!» «La vostra cavalleria pesante non è malvagia...» Ash si passava una mano sul mento e sulla bocca, ma non riusciva a trattenersi dal sorridere. «Oops, ma voi siete un ambasciatore e non mi sono espressa in maniera molto diplomatica.» «Ho già incontrato donne guerriere. Ma credo che d'ora in poi vi incontrerò a corte piuttosto che sul campo di battaglia.» Ash sorrise. «Quindi questa luce del nord è troppo forte per voi, ambasciatore Asturio, vero?» «È difficile da paragonare alla luce del Crepuscolo Eterno, ve lo garantisco.» «Vedi di venire qui e in fretta, Asturio. Dammi una mano con questi fottuti Tedeschi» gli ordinò la voce di un uomo più vecchio, interrompendolo. Ash sbatté le palpebre sorpresa, rendendosi conto quasi immediatamente che l'uomo aveva parlato in Visigoto e che solo lei e i suoi uomini l'avevano capito. Lanciò un'occhiataccia a Isobel, Bianche, Euen Huw e Paul di Conti, che si calmarono immediatamente. Si girò nuovamente verso l'ambasciatore che la salutò con un vistoso inchino, quindi si unì al suo superiore, seguito dal golem. «La loro cavalleria pesante non è malvagia» le borbottò Robert Anselm in un orecchio. «Per non parlare delle loro fottute navi! Sono dieci anni che non fanno altro che prepararsi alla guerra.» «Lo so. Secondo me tra breve ci sarà un'altra guerra tra i Turchi e i Visigoti per il controllo del Mediterraneo, con scontri tra soldati indisciplinati e cavalleria leggera senza alcun risultato da nessuna delle due parti. Forse potrebbe esserci del lavoro per noi, laggiù.»
«Non per 'noi'» le fece notare Anselm, in tono disgustato. «Per Fernando del Guiz.» «Non per molto.» Un attimo dopo la voce di Federico d'Asburgo echeggiò tra le navate. «Fuori!» urlò l'imperatore. Il vociare dei vari gruppetti ancora presenti nella cattedrale cessò all'istante. Ash si incamminò verso l'uscita, ma qualcuno le pestò lo strascico facendola arrestare bruscamente. Si girò e vide Ludmilla che si buttava lo strascico su un braccio borbottando qualcosa. Ash sghignazzò rivolta alla Grande Isobel e raggiunse Anselm, che stava facendosi largo tra la folla per unirsi a Godfrey. Una volta raggiunto il prete, che si trovava in prima fila, videro due soldati che piegavano le braccia di Asturio Lebrija dietro la schiena costringendolo a inginocchiarsi sul pavimento, e Sigismondo del Tiralo che appoggiava un roncone alla gola del secondo ambasciatore facendolo inginocchiare a sua volta e premendogli un ginocchio contro la schiena. Il golem era immobile come le statue dei santi nelle nicchie. «Daniel de Quesada» sibilò Federico d'Asburgo. La voce dell'imperatore era ancora venata dal tremore tipico di una persona che, poco abituata a cedere all'ira, cerca di riguadagnare il controllo. «Posso anche sentirvi dire che la vostra gente ha fornito alla nostra tantissime nozioni di medicina, matematica e architettura, ma non lascerò che ci definiate barbari proprio qui nella nostra cattedrale più antica.» «Lebrija non ha detto...» Federico d'Asburgo interruppe l'ambasciatore più anziano. «Chiamare il mio amico Luigi di Francia 'ragno' e sentirmi descrivere come 'un vecchio avido!'» Ash lanciò un'occhiata a Federico, al suo codazzo di nobili visibilmente agitati e agli ambasciatori visigoti. Era molto più probabile che Asturio Lebrija si fosse momentaneamente dimenticato della lingua in cui stava parlando, piuttosto che il vecchio e chiaramente più esperto ambasciatore avesse deciso di insultare deliberatamente l'imperatore del Sacro Romano Impero. «Qualcuno vuole creare un bel po' di confusione, e deliberatamente. Chi può essere?» chiese Ash, rivolgendosi a Godfrey. Il prete aggrottò la fronte. «Penso che sia Federico. Non vuole che gli venga chiesto di prestare aiuto militare ai Visigoti del Nord Africa 38 . Ma 38
Secondo la storia che noi conosciamo le tribù di Visigoti germanici
non vuole che l'ambasciatore senta il suo rifiuto, perché non vuole che quest'ultimo immagini che lui non ha truppe da inviare perché è troppo debole. È molto più facile prendere tempo servendosi della scusa di un 'insulto'.» Ash voleva dire qualcosa per aiutare Asturio Lebrija, il cui volto arrossiva mentre le due guardie lo sollevavano, ma non le venne in mente niente di intelligente. «Non vi farò decapitare» sbottò l'imperatore, indispettito. «Verrete rispediti a casa, e dite alla Cittadella che la prossima volta dovrà mandare degli ambasciatori civili!» Ash lanciò un'occhiata intorno a sé senza neanche rendersi conto che tutta la sua postura era cambiata. Improvvisamente era in stato di allerta e aveva bilanciato il peso del corpo in modo da essere pronta a colpire in qualsiasi momento, un comportamento del tutto inusuale per una donna in abito da sposa. Il golem era immobile alle spalle dei due ambasciatori. Se quello dovesse muoversi... pensò Ash, mentre le sue dita si chiudevano in prossimità del fianco come se stessero stringendo l'elsa della spada. Fernando del Guiz, che fino a quel momento aveva osservato tutta la scena appoggiato contro una colonna, si drizzò. Ash lo guardò. È proprio come tutti i giovani cavalieri germanici, pensò tra sé, ma questo è una miniera d'oro. La luce del sole gli illuminò il volto mentre lui si girava per sghignazzare alla battuta di uno dei suoi scudieri. Ash ebbe una fugace visione che sembrò riscaldare l'atmosfera fredda della cattedrale. Vide un giovane forte che indossava un'armatura dal disegno aggraziato con la naturalezza di chi aveva fatto mesi e mesi di vita da campo e gioiva come lei a ogni battaglia. Perché mi disprezzi quando siamo così uguali? Dovresti capirmi più di qualsiasi altra donna che avresti potuto sposare! «Lasciate che sia io a scortare gli ambasciatori, Vostra Maestà Imperiale» disse Fernando del Guiz. «Ho appena acquisito delle nuove truppe che hanno bisogno di un po' di disciplina. Vi prego di affidarmi questo compito e concedermi la vostra fiducia.» Qualche decimo di secondo dopo Ash ripeté mentalmente 'nuove truppe' e si rese conto che il marito parlava della sua compagnia. Scambiò un'occhiata torva con Robert Anselm e Godfrey Maximillian, che ricambiarono con lo stesso sguardo. non si stabilirono mai nel Nord Africa. Anzi, nel 711 successe il contrario con l'invasione araba della Spagna visigota.
«Sarà il tuo regalo di nozze, del Guiz» concordò Federico d'Asburgo, assumendo un'espressione velatamente sardonica. «Sarà anche la luna di miele per te e la tua sposa.» Raccolse lo strascico lungo più di due metri con l'aiuto dei paggi e, senza voltarsi, disse: «Vescovo Stephen.» «Sì, Vostra Maestà Imperiale?» «Esorcizzate questa cosa» ordinò indicando il golem. «E quando avrete finito ordinate ai carpentieri di ridurla in ghiaia a martellate!» «Certo, Vostra Maestà Imperiale.» «Barbari!» esclamò, incredulo, Daniel de Quesada. «Siete solo dei barbari!» Asturio Lebrija alzò la testa a fatica e disse: «Non mi ero sbagliato, Daniel: questi maledetti Franchi39 sono dei bambini che giocano a distruggere tutto ciò che capita loro tra le mani! Asburgo, voi non avete idea del valore di...» I cavalieri che lo tenevano fermo gli fecero sbattere la faccia contro il pavimento. Il tonfo echeggiò sulle pareti e il soffitto della cattedrale. Ash fece un passo avanti per avvicinarsi, ma inciampò in un lembo del vestito e afferrò il braccio di Godfrey per non cadere. «Lord del Guiz,» disse l'imperatore «scortate questi uomini al porto più vicino e assicuratevi che salgano su una nave diretta a Cartagine. Voglio che vivano per portare in patria la loro sventura.» «Vostra Maestà.» Fernando si inchinò. «Avrete bisogno di prendere il comando delle vostre nuove truppe. Non tutte, però. Non tutte. Questi uomini,» Federico d'Asburgo indicò con un movimento impercettibile del dito gli ufficiali e i soldati di Ash che affollavano il fondo della cattedrale, «ora vi appartengono per diritto feudale, Mio Lord. Ed essendo la nostra persona vostro signore feudale, appartengono anche a noi. Prenderete solo una parte dei vostri nuovi soldati, e gli altri rimarranno con noi per espletare alcuni compiti alla loro portata: l'ordine non è stato ristabilito del tutto a Neuss e la città non è ancora sicura.» Ash aprì la bocca, ma Robert Anselm le assestò una gomitata tra le costole senza farsi notare. «Non può farlo!» sibilò Ash. «Certo che può. Adesso taci, ragazza.» Ash era tra Godfrey e Anselm, il vestito cominciava a darle fastidio e sentiva le ascelle fradice di sudore. I cavalieri, i lord, i mercanti, i vescovi, 39
Un termine usato in questo testo per definire gli abitanti del Nord Europa.
i preti che facevano parte della corte imperiale si accodarono a Federico d'Asburgo che usciva dalla cattedrale e il loro vociare si levò fino ai santi nelle nicchie e al soffitto della chiesa. «Non può dividerci in questo modo!» La mano di Godfrey le strinse il gomito. «Non muoverti mai, se non puoi fare nulla. Ascoltami bene, figliola! Se ti metti a protestare adesso tutti vedranno quanto poco conti. Aspetta. Aspetta il momento propizio.» La corte degnò la sposa e il gruppo di soldati della stessa attenzione che riservavano ai santi della cattedrale: quasi nessuna. «Non posso lasciarla!» Ash parlò con un tono di voce che poteva essere udito solo da Anselm e dal prete. «Ho creato questa compagnia dal nulla. Se aspetto, cominceranno a disertare o si abitueranno a essere comandati da del Guiz.» «Lasciali andare. È un loro diritto» la blandì Godfrey, mite. «Forse, non vorranno più fare i guerrieri.» Ash e Robert Anselm scossero la testa all'unisono. «Li conosco.» Ash si passò una mano su una guancia. «Sono a centinaia di leghe dal cazzo di fattoria o città dove sono nati e non sanno fare altro che combattere. Sono la mia gente, Godfrey.» «Adesso sono i soldati di del Guiz. Non hai pensato che questa potrebbe essere la soluzione migliore per loro, figliola?» Questa volta fu Robert Anselm a dissentire. «Conosco questi giovani cavalieri che poggiano il culo su un cavallo da guerra per la prima volta! Sono dei sacchi pieni di piscio e vento che non sanno trattenersi in battaglia e non si curano dei loro uomini! Quello non è altro che uno dei tanti eroici disastri che vanno in giro su due gambe. Abbiamo tempo, capitano. È meglio che andiamo via da Colonia.» Anselm fissò Fernando del Guiz che si allontanava lungo la navata in compagnia di Joscelyn van Mander senza girarsi a guardare la sua sposa. «Vedremo quanto ti piacerà la strada, ragazzino di città.» Merda, pensò Ash. Non ho più la mia compagnia. La stanno smembrando, io sono sposata a una persona che mi possiede e non ho alcun modo di imparare i giochi di corte per far cambiare idea all'imperatore, perché devo scortare un paio di ambasciatori in disgrazia Cristo solo sa dove... Ash lanciò un'occhiata all'ala ovest40 della cattedrale, che si trovava oltre 40
Proprio come successe con la navata, anche questa parte venne lasciata incompleta fino al diciannovesimo secolo.
le porte. «Qual è il porto imperiale più vicino a noi?» «Genova» disse Godfrey Maximillian.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduto della Borgogna, (Ratcliff, 2001), British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce
#5 (Pierce Ratcliff) Ash: documenti storici 02/11/00 ore 20,55 Longman@
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Mi dispiace disturbarti fuori dall'orario di lavoro, ma 'devo' parlarti riguardo la traduzione di questi documenti. Ho un ricordo molto bello di quando studiai Ash a scuola e devo dire che la tua traduzione mette in luce una delle caratteristiche che già allora mi avevano entusiasmato: Ash è un vero soldato. Sa combattere e, pur essendo analfabeta, possiede un carattere molto complesso. Mi piace quella donna! Continuo a pensare che una traduzione dei documenti inediti che tu hai scoperto, unita a una revisione delle traduzioni precedenti, sia una delle migliori idee commerciali degli ultimi tempi. Sai bene che, sebbene tu non mi abbia ragguagliata a fondo sul tuo lavoro, ti sto sostenendo con tutte le mie forze. Comunque. Queste fonti... Posso capire gli strani errori di datazione e le leggende medievali. Dopo tutto era questo il modo in cui quella gente 'percepiva' ciò che accadeva loro. Quello che abbiamo tra le mani è la prospettiva di una tua nuova teoria sulla storia dell'Europa, è materiale di ottima qualità! - Ma proprio per questo motivo ogni discrepanza con la storia fino a oggi conosciuta deve essere comprovata con un lavoro di documentazione inattaccabile. A condizione che le leggende vengano riferite come tali, verrà fuori un ottimo libro di storia. *Ma*... *golem*???!!! Nell'Europa medievale?! Cosa devo aspettarmi la prossima volta - zombie e non morti?! Questa è fantasia. AIUTO! — Anna
————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna
#1 (Anna Longman) Ash: documenti storici 03/11/00 ore 18,30 Format dell'indirizzo Ratcliffe@ e altri dettagli cancellati
Ecco cosa succede a comunicare tramite e-mail, si dimentica di consultarla! Mi dispiace 'moltissimo' di non averti risposto ieri. Veniamo ai 'golem'. Mi sto attenendo alla traduzione di Charles Mallory Maximillian (ho aggiunto un po' dei dati del FRAXINUS). Nel 1890 Mallory parla degli 'uomini di terracotta' che somigliano molto ai servitori magici creati dal leggendario Rabbino di Praga (non dobbiamo dimenticare che la traduzione venne fatta nel pieno del revival occultistico che imperversava nei salotti vittoriani dell'Europa fin de siècle). Nel 1930 Vaughan Davies si riferisce ai golem chiamandoli 'robot', un termine piuttosto inusuale per quei tempi. Io avevo intenzione di usare il termine 'golem' in questa terza edizione, a meno che tu non pensi che sia poco storico. So che vuoi rendere questo libro accessibile a tutte le fasce di lettori. Comunque, dal punto di vista storico credo che questi 'golem' o 'uomini di terracotta' siano nati da un misto tra una realtà storica, l'alto livello tecnologico raggiunto dagli Arabi nel Medio Evo, e storie di vario genere. Sarai sicuramente al corrente che gli Arabi non erano solamente ingegneri abilissimi, ma avevano costruito fontane, orologi, automi e tantissimi altri meccanismi molto sofisticati. È ormai assodato che al tempo di alJazari esistevano ottimi mezzi di traino, cambi a segmenti ed epicicli e pompe. Sia le riproduzioni animate del moto della volta celeste che quelle del corpo umano erano alimentate dall'acqua. Sebbene nessuna di queste creazioni potesse spostarsi nello spazio, molti viaggiatori europei di quel periodo riferirono di 'modelli' mobili di uomini, cavalli e uccelli canterini. Le mie ricerche mi hanno portato alla conclusione che all'interno dell'opera di del Guiz siano confluite le storie dei viaggiatori e le leggende ebraiche sul golem. Infatti non c'è nessuna prova storica dell'esistenza di tali creature magiche.
Se ci fosse stato un 'uomo di terracotta' o un 'servitore' di qualche tipo, immagino che potesse essere una sorta di veicolo spinto dal vento come i sofisticati carri dell'epoca, ma allora ci sarebbero volute ruote, strade ben pavimentate e un conducente umano come per tutti i carri, e sicuramente non avrebbe assolutamente potuto essere impiegato al coperto. Tu potresti obiettare, giustamente, che parlando dei golem si estenderebbe fin troppo una speculazione storica senza alcuna giustificazione. Non è mai stato scoperto nulla di simile. È una licenza del cronista. Mi piacciono i miei 'golem' perché li ritengo parte delle leggende che fanno da corollario alla vita di Ash e spero che tu me li voglia far tenere. Comunque, non intendo porre troppa enfasi sugli aspetti 'leggendari' della vicenda a discapito delle verità storiche contenute nel testo di del Guiz. Non ho problemi a eliminare i golem nel caso non risultassero confacenti al taglio del libro. — Pierce Ratcliff —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: — Pierce
#6 (Pierce Ratcliff) Ash: documenti storici 03/11/00 ore 23,55 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
Non saprei riconoscere un cambio a segmenti neanche se mi mordesse! Ma sono d'accordo con te quando sostieni che questi 'golem' sono il frutto di qualche leggenda medievale basata su un qualche tipo di realtà. Ogni studio sulla storia delle donne, degli afro-americani o della classe operaia ti fa subito capire quanto tutti questi argomenti siano strettamente legati alla storia convenzionale: perché la storia dell'ingegneria dovrebbe essere tanto diversa? Ritengo che sia meglio lasciare fuori le leggende per evitare confusione con i fatti realmente accaduti. Oggi una delle mie assistenti ha sollevato alcune riserve riguardo i 'Visigoti.' Come facevano a essere ancora in circolazione nel 1476, considerato che erano una tribù germanica scomparsa con la caduta dell'Impero Roma-
no d'Occidente? L'altra domanda sono io a porla: non ho fatto studi classici, ma se ben ricordo Cartagine non venne 'fatta sparire dalla faccia della terra' ai tempi dei Romani? Il tuo manoscritto parla come se al tempo fosse ancora esistente, ma non fa alcuna menzione della cultura araba nel Nord Africa. Si chiarirà tutto, vero? Presto? TI PREGO?! — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: — Pierce
#3 (Anna Longman) Ash: una teoria 04/11/00 ore 09,02 Format dell'indirizzo Ratcliff@ e altri dettagli ancellati
Non sapevo che gli editori lavorassero così tanto. Spero che tu non stia lavorando troppo duramente. Mi chiedi qualcosa riguardo la mia teoria - molto bene. Molto probabilmente non possiamo continuare il nostro rapporto lavorativo senza che prima ti abbia chiarito alcuni punti. Sopportami ancora per qualche tempo, così potrò darti le informazioni necessarie. L'arrivo di quel personaggio che nel testo è chiamato l'ambasciatore dei 'Goti' rappresenta effettivamente un problema, che, tuttavia, credo di aver risolto e, come tu hai intuito, si tratta del fattore chiave nel mio processo di rilettura della storia dell'Europa. Mentre per la presenza dell'ambasciatore alla corte di Federico ho trovato dei riferimenti sia nelle CRONACHE DELLA BORGOGNA che nella corrispondenza tra Filippo de Commines e Luigi XI di Francia, ho trovato molto arduo scoprire da dove saltassero fuori questi 'Goti' (o, visto che preferisco la traduzione di Charles Mallory Maximillian, che trovo più accurata, 'Visigoti': i 'nobili Goti'). La tua collaboratrice sbaglia nell'affermare che le tribù barbariche della Germania 'scomparvero' visto che vennero assorbite nel gigantesco calderone etnico che era l'Europa dopo la caduta dell'Impero Romano. In Italia, per esempio, troviamo gli Ostrogoti; i Burgundi nella valle del Reno e i
Visigoti in Iberia (Spagna). Essi continuarono a regnare su questi territori in alcuni casi anche per secoli. Tuttavia, Maximillian azzarda l'ipotesi che gli ambasciatori siano Spagnoli. Questa sua affermazione non mi ha mai soddisfatto. La giustificazione logica addotta da CMM è che, a partire dall'ottavo secolo, la Spagna è divisa tra un'aristocrazia gotica di stampo cavalleresco e le dinastie arabiche approdate sulla penisola iberica con l'invasione del 711. Le casate minori, sia quelle arabe che quelle gotiche, governavano su una grande massa di contadini iberici e mori. Quindi, Maximillian dice: «Visto che esistevano dei 'Visigoti' in circolazione fino al tardo quindicesimo secolo, è probabile che ci fossero anche delle voci riguardo al fatto che sia i Visigoti cristiani che i 'Saraceni infedeli' (musulmani) fossero in possesso di alcune macchine e di parte della tecnologia dell'Impero Romano.» Gli ultimi Musulmani vennero cacciati del tutto dalla Spagna con la 'Reconquista' (1488 - 1492) , quindici anni dopo la morte di Ash. Quindi, è lecito supporre che l'ambasciatore visigoto alla corte dell'imperatore Federico provenisse dalla penisola iberica. Comunque, io stesso trovai molto curioso che i testi sulla vita di Ash dicessero chiaramente che i due diplomatici arrivavano da una città che si trovava sulle coste del Nord Africa. (Ancor più stupefacente perché quelle zone non appartenevano agli Arabi!) Vaughan Davies, l'autore della seconda storia della vita di Ash (1939), basa la SUA teoria sul fatto che i testi si riferiscono agli abitanti del Nord Europa come 'Franchi' trattando i Visigoti come se fossero i cavalieri saraceni delle leggende arturiane - i 'Saraceni' nascono da un'idea tutta europea della cultura araba mista ai racconti fatti dai Crociati tornati dalla Terra Santa. Non penso che Vaughan Davies abbia fatto qualche studio per risolvere il problema. Adesso passiamo all'altro problema: Cartagine. Cartagine venne fondata dai Fenici e, come tu mi hai fatto notare, venne rasa al suolo dai Romani che in seguito costruirono un'altra città nello stesso luogo. Il fatto più interessante è che, dopo che l'ultimo Imperatore romano venne deposto nell'anno 476, furono i Vandali a impossessarsi dei territori romani del Nord Africa e i Vandali, proprio come i Visigoti, erano una tribù germanica. Quella che prese possesso delle regioni in questione era una piccola elite militare che, guidata dal suo primo re, Genserico, voleva godere dei frutti del grande regno africano. Sebbene i Vandali continuassero a restare in
qualche modo 'germanizzati', Genserico portò con sé una casta sacerdotale ariana che fece diventare il Latino lingua ufficiale e fece erigere dei bagni pubblici simili a quelli dei Romani. La Cartagine vandalica tornò a essere il grande porto di un tempo: Genserico non controllava solo il Mediterraneo, ma, a un certo punto del suo regno, saccheggiò Roma. Come puoi vedere una specie di 'Tunisia gotica' è effettivamente esistita. L'ultimo re, Gelimero (un usurpatore), perse l'Africa vandalica contro i Bizantini nel volgere di tre mesi nell'anno 530 (si dice che in seguito si fosse ritirato in uno dei grandi possedimenti donatigli dai Bizantini). I Bizantini cristiani vennero cacciati dai regni berberi circostanti e dall'Islam (più che altro per l'uso militare del cammello) nel 630. Da quell'anno in poi tutte le tracce della cultura gotica vennero fatte sparire da quell'area dell'Africa, tanto che non ci sono più neanche dei richiami nella lingua. Secondo te, dove è possibile che sia sopravvissuta la cultura goticogermanica dopo il 630? In Spagna, vicino al Nord Africa, 'con i Visigoti.' Come ti renderai conto dopo la pubblicazione del mio Ash, tutto il campo di ricerca sulla storia del Nord Europa dovrà essere rivisto. In breve: intendo dimostrare che fino al tardo quindicesimo secolo sulle coste dell'Africa del Nord c'era ancora un insediamento di Visigoti. Che il loro 'ristabilirsi' ebbe luogo molto dopo il Nord Africa vandalico, dopo la fine del Primo Medio Evo e che il loro periodo di massimo fulgore militare fu il 1400. Intendo provare che nell'anno 1476 c'era un insediamento medievale popolato dai sopravvissuti delle tribù Vandale che non avevano 'golem' né 'crepuscoli'. Penso che l'Africa del Nord sia stata oggetto di un'incursione dei discendenti iberici dei Visigoti provenienti dalle 'taifa' (confini/misti) spagnole. Sono arrivato a tali conclusioni dopo la lettura delle descrizioni trovate nei testi. Nel Fraxinus l'insediamento è chiamato 'Cartagine' perché molto probabilmente doveva sorgere nei pressi del sito dell'antica Cartagine. Io credo che questo insediamento gotico, influenzato dalla cultura araba (ci sono moltissimi termini militari usati dagli Arabi nei manoscritti dell'Angelotti e di del Guiz) abbia prodotto qualcosa di unico. E io non credo che la controversia verta sull'esistenza o meno di questo luogo, quanto (potremmo dire) su quello che fece tale cultura e sul contributo fornito alla cultura europea come la viviamo oggi. Forse ci sarà una prefazione o una postfazione, che spiegherà tutte le
implicazione insite nei documenti su Ash, ma non l'ho terminata. Mi dispiace di essere così vago riguardo tali implicazioni, Anna, ma non voglio che qualcuno le pubblichi prima di me. Ci sono dei giorni in cui non posso proprio credere che nessun altro abbia letto il 'Fraxinus' prima di me e il mio incubo è aprire il GUARDIAN e scoprire che qualcun altro ha fatto una nuova traduzione. Al momento non ho voglia di mettere in rete la mia teoria perché chiunque potrebbe scaricarla. Infatti, finché non avrò tradotto e corretto tutto, nonché scritto la postfazione alla prima stesura, sono piuttosto riluttante a discutere di questioni editoriali. Abbi pazienza, ti prego. Dobbiamo lavorare a compartimenti stagni, altrimenti mi rideranno tutti in faccia e sarò espulso dal mondo accademico. Per il momento ti trasmetto un altra parte della traduzione: la seconda parte della VITA, scritta da del Guiz. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#12 (Pierce Ratcliff) Ash: una teoria 03/11/00 ore 14,19 Longman@
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— Pierce Passino i Vandali, ma non riesco a trovare 'nessuna' indicazione nei miei libri di storia europea o araba sui Visigoti, abitanti del Nord Africa. Sei SICURO di non esserti sbagliato? Devo essere onesta e dirti che non abbiamo bisogno di nessuna controversia sull'attendibilità di questo libro. 'Per favore', dammi altri dati entro oggi, se possibile! ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#19 (Anne longman) Ash: una teoria 04/11/00 ore 18,37 Ratcliff@
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Anna — Anch'io, inizialmente, nutrivo i tuoi stessi dubbi. Anche i Vandali erano scomparsi del tutto dalla Tunisia islamica da nove secoli. In un primo momento ho pensato che il problema fosse nel modo di pensare medievale. Lascia che ti spieghi. Per loro la storia non era una progressione, una sequenza di fatti che si susseguivano in un ordine particolare. Gli artisti del Cinquecento che fecero luce sulle imprese dei Crociati fecero indossare ai loro soldati del milleduecento degli abiti del millecinquecento. Nello scrivere 'La morte di Artù' (1460) Thomas Mallory mise addosso ai suoi cavalieri le stesse armature indossate dai soldati nella Guerra delle Rose e li fece parlare come si parlava nel 146 0. La storia è 'adesso'. La storia è il prototipo morale del momento presente. Il 'momento presente' dei documenti su Ash è il 1470. In un primo momento ho creduto che i 'Visigoti' di cui si parlava in questo testo fossero i Turchi. Ora, possiamo facilmente immaginare quanto fossero 'terrorizzati' i regni europei quando il vasto impero di Osmanli (la Turchia per te!) assediò e prese Costantinopoli (1453), la 'più cristiana tra le città'. Per loro quel fatto rappresentò la fine del mondo. Fino al momento in cui i Turchi Ottomani non vennero respinti alle porte di Vienna (1600), l'Europa visse per duecento anni un periodo di terrore. Tutti temevano l'invasione da est. Fu la loro Guerra Fredda. La prima cosa che pensai fu che i cronisti di Ash (solo perchè era un famosissimo capo mercenario) 'dovevano' averla fatta partecipare a qualche battaglia contro i Turchi. Temendo l'impero turco essi ne nascosero l'identità sotto il nome di 'Visigoti' Come ben saprai, dovrò revisionare anche queste fonti. Pierce Ratcliff, Ph. D. ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#14 (Pierce Ratcliff) Ash: 05/11/00 ore 08,43 Longman@
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Non ho la minima idea di come spiegherò al direttore editoriale, per non parlare delle vendite e del marketing, che i Visigoti sono i Turchi e che tutta la storia che ci hanno insegnato è un cumulo di menzogne! —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#20 (Anne Longman) Ash: 05/11/00 ore 09,18 Ratcliff@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
No, no, NON sono Turchi! Ho solo pensato che potessero esserlo. Mi SBAGLIAVO! La mia teoria pone un enclave visigoto sulle coste del Nord Africa nel corso del quindicesimo secolo. La mia opinione è che le prove di questo fatto siano state occultate sotto il tappeto accademico. È già successo con molti altri fatti storici. Gli eventi e le persone non solo sono deliberatamente cancellati dalla storia, come succedeva con lo stalinismo, ma sembra che vengano dimenticati del tutto quando i tempi sono contro di loro. La stessa Ash scomparve durante il periodo patriarcale e in anni più 'illuminati' venne fatta apparire come un 'simbolo', mai coinvolta negli scontri. Ma questo accadde anche con Giovanna d'Arco, Jeanne de Montfort, Eleonora d'Aquitania e centinaia di altre donne la cui bassa estrazione sociale le costringeva nel dimenticatoio per diversi anni. Sono sempre stato affascinato dal PROCESSO che fa accadere tutto ciò - vedi la mia tesi - e dai DETTAGLI che vengono cancellati. Se non fosse stato per Charles Mallory Maximillian e il suo Ash (che mi venne donato da una mia bisnonna che a sua volta probabilmente lo ricevette come premio a scuola) non avrei mai passato vent'anni ad esplorare la storia
'scomparsa'. E ora l'ho trovato. Ho trovato un pezzo di storia 'scomparsa' abbastanza attendibile da darmi una reputazione. Devo tutto al 'Fraxinus'. Più lo studio più penso che la sua provenienza dalla famiglia Wade (il baule dove l'ho trovato si suppone provenga da un monastero andaluso) sia attendibile. La Spagna medievale è complessa, lontana e affascinante; e se ci sono stati dei Visigoti superstiti - mischiati nei vari rami della classe dirigente di origine romano barbarica che al tempo governava la penisola iberica - io mi aspetto di trovarne le prove tra le pagine di questo semisconosciuto manoscritto medievale. Ovviamente nei manoscritti su Ash ci sono degli errori e delle esagerazioni, ma contengono molte verità storiche. È possibile che ci fosse almeno un città visigota sulle coste del Nord Africa e che esercitasse un'egemonia militare di un certo peso! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#18 (Pierce Ratcliff) Ash: una teoria 05/11/00 ore 16,21 Longman@
Pierce —
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Ottimo. FORSE. Come è possibile che fatti di una tale importanza siano SCOMPARSI dalla storia??? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#21 (Anne Longman) Ash: 06/11/00 ore 04,30 Ratcliff@
Anne —
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Mi scuso per la risposta telefonica. Avevo lasciato il commutatore di questa linea sul fax. Voglio solo rassicurarti. È FACILE sparire dalla storia. È successo con la BORGOGNA. Nel 1476 era lo stato più ricco, culturalmente avanzato e meglio organizzato dal punto di vista militare di tutta l'Europa e Charles Mallory Maximillian ha avuto ragione nello scrivere, quando nel gennaio del 1477 il loro duca venne ucciso, NON VENNE SCRITTO PIÙ NULLA SULLA BORGOGNA. Non è del tutto vero, ma anche per le persone più acculturate, i protagonisti della storia del nord ovest dell'Europa dopo la caduta dell'Impero Romano sono la Germania e la Francia, mentre Borgogna è solo il nome di un vino. Capisci? Sto cercando di dirti che: ci volle quasi una generazione per far scomparire del tutto la Borgogna. Maria, l'unica figlia di Carlo, sposò Massimiliano d'Austria dando origine agli Asburgo austro-ungarici, casata che regnò fino alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ma il punto è un altro. Se non sai che la Borgogna è stato uno degli stati più potenti dell'Europa e che il suo regno è durato per quasi cinquecento anni, beh, se non lo sai, non lo potrai mai imparare. È come se tutta la nazione fosse stata DIMENTICATA nel momento stesso in cui Carlo l'Intrepido morì sul campo di battaglia di Nancy. Nessuno ha mai fornito una spiegazione soddisfacente per tale scomparsa! Ci sono alcune cose che gli storici non citano. Io penso sia accaduto qualcosa di simile con l'insediamento dei 'Visigoti'. È mattino presto, sto straparlando e tu potresti pensare che io sia un idiota. Ti prego di scusarmi. Sono esausto. Ho prenotato un posto su un aereo che parte da Heathrow e ho solo un'ora per fare i bagagli, avevo appena chiamato il taxi quando ho deciso di controllare la segreteria telefonica e ho trovato il tuo messaggio. Anna, è successa la cosa più pazzesca che potresti pensare! La mia collega, il Dottor Isobel Napier-Grant, mi ha telefonato. È la responsabile di una serie di scavi archeologici fuori Tunisi - il GUARDIAN ha pubblicato
diversi articoli sulle sue ultime scoperte - e ha trovato un reperto che potrebbe essere uno degli 'uomini di terracotta' descritti da del Guiz! Lei pensa 'che potrebbe essere' un manufatto tecnologico 'mobile'!!! - di epoca medievale o post romana. O forse si tratta di una sciocchezza e basta, qualche strana invenzione dell'epoca vittoriana che è rimasta sotto terra per un centinaio d'anni. Tunisi si trova vicina alle rovine della Cartagine descritta dai Romani. È arrivato il taxi. Se questa cosa funziona ti spedirò un'altra parte della traduzione. Telefono appena torno dalla Tunisia. Anna, se i golem sono esistiti veramente, cos'altro può essere vero?
PARTE SECONDA 1 LUGLIO - 22 LUGLIO 1476 Nam sub axe legismus, Hecuba regina41 I La chiatta galleggiava sulle acque del Reno. Ash inclinò la testa all'indietro e slacciò la fibbia dell'elmo. «Che ora è?» «Il tramonto» le rispose Philibert. L'inizio della mia prima notte di matrimonio, pensò Ash. Si tolse l'armatura aiutata dai suoi due paggi, quindi fece un sospiro e stirò le braccia. L'armatura non era pesante appena indossata e dopo dieci minuti continuava a non pesare nulla, ma ogni volta che veniva tolta sembrava di piombo. Il trasporto sulle chiatte presentava molti problemi: duecento uomini della compagnia del Leone selezionati da Fernando del Guiz, che aveva cominciato subito a esercitare il suo diritto matrimoniale, per scortare gli ambasciatori visigoti da Colonia, attraverso i cantoni svizzeri e i passi alpini fino a Genova. Quindi bisognava organizzare duecento uomini, l'equipaggiamento, i cavalli e nominare un vice comandante da lasciare alla guida del resto della compagnia; in questo caso lei aveva nominato Angelotti e Geraint ab Morgan. Ash udì un lamento soffocato seguito dal tonfo di qualcosa di pesante che cadeva sul ponte: uno dei suoi uomini aveva ucciso l'ultimo manzo. Sentì il rumore dei passi, lo sciacquio dell'acqua usata per pulire il ponte dal sangue che non era colato nei recipienti e il rumore del coltello da macellaio che scuoiava la bestia. «Cosa vuoi da mangiare, capo?» gli chiese Rickard, ballonzolando da un piede all'altro, chiaramente impaziente di tornare sul ponte per unirsi al resto della compagnia: uomini che giocavano e bevevano e prostitute che 41
'Poiché sotto i mozzi ['Asse' della Rota Fortuna] è scritto, 'Ecate Regina' -un'interessante citazione dell'autore del manoscritto dell'Angelotti, secondo il quale nel 'tremendo esempio' medievale della Caduta dei Re, la regina Ecuba di Troia è stata sostituita da Ecate, la potente e a volte malvagia dea degli Inferi, della notte e della luna. È curioso notare che il termine 'Ecuba' in Greco viene tradotto con 'Ecabe'.
se la spassavano per tutta la notte godendosi la lenta discesa lungo il fiume. «Pane e vino.» Ash fece un gesto brusco. «Li prenderà Phili. Ti farò chiamare se ho bisogno di qualcosa.» Philibert le diede un piatto e Ash cominciò a passeggiare avanti e indietro per la piccola cabina masticando pane e bevendo vino con la fronte corrugata, muovendosi - in ricordo di Costanza nella sua solare Colonia non come una donna, ma come un ragazzo dalle gambe lunghe. «Avevo indetto un incontro con gli ufficiali! Dove diavolo sono?» «Il mio signore, Fernando, ha detto che si terrà domani mattina.» «Oh, davvero?» Ash sorrise torva per qualche secondo, poi tornò seria. «Ha detto: 'non stanotte', e ha fatto commenti pesanti sulla prima notte di nozze, giusto?» «No, capo.» Phili sembrava dispiaciuto. «Sono stati i suoi amici. Matthias e Otto. Matthias mi ha dato dei confetti poi mi ha chiesto cosa facesse il capitano-puttana. Non gli ho detto nulla. Posso mentire la prossima volta?» «Menti quanto vuoi, se ti va.» Ash sorrise con fare cospiratorio nel vedere il ghigno compiaciuto che compariva sulle labbra del ragazzino. «Lo stesso vale anche per Otto, lo scudiero di Fernando. Fa in modo che stia sempre sulla corda, bambino mio.» Cosa fa il capitano-puttana...? pensò. Già, cosa faccio? La vedova, ecco cosa faccio. Mi confesso e faccio penitenza come tutte le vedove. «Cristo!» Ash si buttò sul letto della cabina. Il fasciame della chiatta gemeva sommessamente. L'aria notturna rinfrescata dall'acqua del fiume conferiva alla cabina dal tetto telato un'atmosfera piacevole. Una parte della sua mente registrava il gemito delle gomene, i cavalli che battevano gli zoccoli, un uomo che chiedeva del vino e un altro che pregava santa Caterina, e gran parte dei rumori provocati dai duecento uomini a bordo delle chiatte che stavano risalendo il fiume per allontanarsi da Colonia. «Cazzo!» «Capo?» Philibert alzò gli occhi dal piastrone che stava sabbiando. «È già abbastanza brutto senza!» Senza che gli uomini abbiano chiaro da chi debbano prendere ordini: da me o da lui, concluse fra sé; quindi, tornando a parlare ad alta voce disse: «Non ci fare caso.» Ash si tolse il pantaloni e il farsetto lentamente, senza neanche rendersi
conto che il suo scudiero la stava aiutando. Uno scoppio di risa sul ponte infranse il silenzio e Ash sussultò senza accorgersene. Una mano le tirò un lembo della maglia che le scendeva oltre le ginocchia. «Vuoi che accenda le lanterne, capo?» Phili si sfregò gli occhi con le nocche. «Sì.» Ash osservò il paggio che appendeva le lanterne ai ganci. Un attimo dopo una luce giallastra inondò la cabina piena di cuscini di seta, pellicce, un letto incassato su un lato e un drappo di tela con i colori della famiglia del Guiz, il giallo, l'oro e il nero e quelli degli Asburgo, il giallo e il nero. I bauli da viaggio di Fernando erano aperti, parte del contenuto era sparpagliato per la cabina. Ash fece un inventario mentale di tutto quello che vedeva: capi di vestiario di vario tipo, una borsa, un corno per calzare le scarpe, uno spillone da capelli, della cera rossa, filo da calzolaio, una sacca, un cappuccio di velluto rivestito di seta, una cavezza di cuoio dorato, un rotolo di pergamena, un coltello da tavola con il manico in avorio... «Vuoi che ti canti qualcosa, capo?» Ash diede una leggera pacca sul sedere di Philibert. «Certo.» Il ragazzino si tolse il cappuccio, chiuse gli occhi e cominciò a cantare: «Il tordo cantava dal fuoco, 'La regina, la regina è il mio flagello'» «Non quella.» Ash si sedette sul bordo del letto. «E comunque non comincia così, quella strofa è verso la fine. Ma va bene lo stesso. Sei stanco. Va' a dormire.» Il ragazzino la fissò. «Io e Rickard vogliamo dormire con te come sempre.» Ash non aveva più dormito da sola da quando aveva tredici anni. «No, vai a dormire con gli altri scudieri.» Il ragazzino corse fuori. Le parole di una canzone molto più esplicita e sconcia di quella che Philibert aveva cercato di intonare per lei la raggiunsero per poi svanire quando il pesante drappo che fungeva da porta tornò a chiudersi. Probabilmente il piccolo sa anche questa, pensò Ash, ma è da stamattina che mi cammina intorno trattandomi come se fossi un vetro veneziano. Sentì dei passi sul ponte e riconobbe a chi appartenevano. Ebbe un fremito e si sdraiò sul letto.
Fernando del Guiz spostò il drappo berciando qualcosa alle sue spalle e Matthias, uno dei suoi ben poco nobili amici, come li definiva Ash, scoppiò a ridere. Fece ricadere il drappo alle sue spalle, chiuse gli occhi e dondolò a ritmo con la nave. Ash rimase sdraiata sul letto. Nessuno toccò il drappo. Nessuno scudiero, paggio o giovane cavaliere germanico pieno di boria? pensò lei. Niente scherzi in uso tra l'aristocrazia? Non li vuoi, vero? Non ti va di mostrare le lenzuola prive del sangue di una vergine? Non vuoi sentire dire che tua moglie è una puttana. «Fernando...» Il cavaliere si sbottonò il farsetto senza maniche e lo fece cadere con uno scrollone delle spalle. Fernando sorrise. «Devi chiamarmi 'marito'.» Il sudore gli impastava i capelli biondi sulla fronte. Armeggiò con i lacci ai fianchi e si tolse la maglia con un gesto brusco, strappandola. Sebbene non avesse ancora un fisico da adulto Ash pensò che fosse veramente grosso. Il petto era quello di un uomo e i muscoli delle cosce erano induriti da ore e ore passate in sella. Tirò fuori il membro eretto tenendolo con una mano senza preoccuparsi di calarsi i pantaloni e usò l'altra mano per issarsi sul letto. La luce della lanterna conferiva alla pelle di Fernando un colorito dorato. Lei inalò l'odore di maschio e di maglie di lino lasciate ad asciugare all'aperto. Ash tirò su i lembi della maglia. Fernando le posò una mano sulla vagina, le sollevò i fianchi con l'altra e la penetrò con un movimento goffo. Ash, che era già pronta a quel momento da quando l'aveva sentito camminare sul ponte, lo accolse ed ebbe un fremito come se fosse in preda alla febbre. Il volto di Fernando del Guiz era a pochissimi centimetri dal suo. «Baldracca...» le sussurrò quando si accorse che lei era pronta a riceverlo. Le passò un pollice sulle guance sfregiate, su una vecchia cicatrice alla base del collo e sul livido nerastro provocatole da un colpo sul piastrone durante una scaramuccia fuori Neuss. «Hai il corpo di un uomo» borbottò con voce impastata. Le crollò addosso rendendole difficile respirare. Ash piantò le dita nelle spalle del marito sentendo il contrasto tra la pelle morbida e la durezza dei muscoli sottostanti: velluto sopra l'acciaio. Poi abbandonò la testa sul cuscino ed emise un gemito gutturale. Fernando diede due o tre spinte. Ash sentì i muscoli della vagina che si
rilassavano ulteriormente per meglio accogliere il membro del marito. L'uomo sussultò un paio di volte come un coniglio ferito a morte e il suo seme caldo si riversò tra le cosce di lei, dopodiché le crollò addosso. Ash avvertì il forte odore di birra che appestava il fiato dell'uomo. Il membro le scivolò fuori dalla vagina, molle. «Sei ubriaco!» gli disse Ash. «No, ma vorrei esserlo.» La fissò con uno sguardo annebbiato. «Ho mantenuto fede ai miei doveri. Fatto, signora moglie. Adesso sei mia, la nostra unione è segnata dal sangue.» «Non credo» lo interruppe Ash, secca. Fernando del Guiz cambiò espressione, ma lei non riuscì a capire cosa provasse in quel momento. Arroganza? Repulsione? Confusione? Un desiderio semplice ed egoistico di non essere su quella barca in compagnia di quella donna problematica che somigliava a un uomo? Se fosse stato uno dei miei uomini avrei capito subito cosa gli passa per la testa. Cosa mi succede? si chiese Ash. Fernando abbassò lo sguardo e vide che sulle lenzuola c'era solo una macchia di sperma. «Tu sei stata con altri uomini. Speravo che fosse solo una voce incontrollata e che tu non fossi stata una puttana, come la moglie del re di Francia. Ma tu non sei vergine.» Ash si spostò per guardarlo in faccia. «Ho perso la mia verginità all'età di sei anni» lo informò in tono piatto e leggermente sarcastico. «Avevo otto anni quando mi violentarono per la prima volta, dopodiché mi guadagnai da vivere prostituendomi.» Non vide alcuna comprensione nello sguardo del marito. «Non sei mai stato con una ragazzina?» Fernando arrossì. «No!» «Mai con una bambina di nove o dieci anni? Saresti sorpreso di scoprire quanti uomini lo fanno. Anche se, a dire il vero, molti di voi non si preoccupano se hanno a che fare con una donna, una bambina, un uomo o una pecora, basta infilarlo in un posto caldo e umido.» «Angeli e Ministri di Grazia!» sbottò Fernando. «Taci!» Ash avvertì qualcosa che fendeva l'aria e alzò istintivamente il braccio deviando il pugno di lui, che tuttavia la sfiorò su una guancia facendole scattare la testa indietro. «Taci, taci, taci...» «Va bene!» Ash si allontanò da lui con gli occhi umidi di lacrime. Si allontanò da quella pelle vellutata e dai quei muscoli d'acciaio che tanto avrebbe voluto
toccare e abbracciare. «Come hai potuto farlo?» le chiese con il tono amareggiato di una persona tutta privilegi feudali e potere. «Con molta facilità» rispose Ash con il tono pragmatico, acerbo e venato di umorismo nero di un comandante. «Ho preferito passare la mia vita da puttana piuttosto che diventare la vergine che tu vorresti io fossi. Quando capirai il motivo di questa scelta, allora avremo qualcosa di cui parlare.» «Parlare? Con una donna?» Avrebbe anche potuto perdonarlo se avesse usato 'con te', ma il modo in cui aveva pronunciato la parola 'donna' le aveva fatto arricciare un angolo della bocca. «Ti dimentichi chi sono» gli ricordò con un tono privo di umorismo. «Io sono Ash. Io sono il Leone Azzurro.» «Lo eri.» Ash scosse la testa. «Fottimi, allora. Questa è la nostra prima notte di nozze.» Pensò di averlo conquistato, arrivò al punto di giurare a se stessa che Fernando stava per scoppiare a ridere, che stava per rivedere quel ghigno complice che aveva già visto a Neuss, ma lui si abbandonò sul letto, si coprì gli occhi con un braccio e cominciò a esclamare: «Christus Imperator! Perché mi hanno fatto unire a costei?» Ash sedeva a gambe incrociate, del tutto inconsapevole della sua nudità finché i suoi occhi non ricaddero sul ventre piatto, le cosce robuste e il sesso del marito e sentì l'eccitazione crescere in lei. Cambiò posizione e posò una mano sulla vagina per cercare di calmare i bollori. «Sei una fottuta contadina puttana!» esclamò lui. «Una cagna in calore! Ho avuto ragione fin dalla prima volta che ti ho incontrata.» «Oh, dannazione...» Ash arrossì, portò le dita alle guance e si accorse che anche le orecchie le si erano scaldate. «Non farci caso» si scusò in tutta fretta. Fernando afferrò la coperta e si avvolse dentro di essa senza togliere il braccio dagli occhi. Ash si strinse le caviglie per impedire alle mani di allungarsi e toccare quella pelle vellutata. Il marito cominciò a russare. Era scivolato subito in un sonno profondo. Ash attese ancora qualche attimo, quindi strinse il medaglione con l'effigie di san Giorgio su una faccia e la runa del suo nome sull'altra. Aveva l'impressione che il suo corpo urlasse. Non dormiva.
Sì, molto probabilmente lo farò uccidere, pensò. Non è molto diverso che uccidere sul campo di battaglia, continuò tra sé e sé. Non mi piace. Voglio solo scoparmelo. Molte ore dopo, molte più di quelle che potevano essere contate con una candela segna tempo, Ash vide della luce bordare il drappo che fungeva da porta. L'alba stava cominciando a illuminare la valle del Reno e il convoglio di chiatte. Cosa faccio? si chiese. Allungò una mano verso la cintura che aveva lasciato sopra il farsetto e i pantaloni e afferrò l'elsa del coltello. Passò il pollice sul pomello sferico, quindi estrasse dal fodero qualche centimetro di lama grigia e affilata. Fernando dormiva. Non aveva pensato di portarsi un paggio, uno scudiero o una guardia. Non c'era nessuno in grado di dare l'allarme, tanto meno di difenderlo. C'era qualcosa nell'ignoranza del marito, forse dovuta alla sua incapacità di arrivare a pensare che una donna potesse uccidere un cavaliere feudale, e nella sua facilità ad addormentarsi come se fossero una coppia qualunque, che la colpì profondamente. Cristo Verde, non ha mai pensato di essere ucciso da una prostituta? si chiese Ash. Si girò, estrasse del tutto la daga e ne saggiò il filo con il pollice. Era abbastanza affilata perché solo posandogliela sulla gola gli potesse lacerare il primo strato di pelle senza intaccare la carne. Dovrei pensare, si disse, che è stata la sua arroganza a ucciderlo, e farla finita. Un'occasione simile potrebbe non capitare mai più. No, non riuscirei ad andarmene. Nuda e coperta di sangue: sarebbe fin troppo facile capire chi è stato. No. Non è il momento. So molto bene che una volta fatto, a fait accompli come direbbe Godfrey, i miei ragazzi butterebbero il corpo nel fiume e direbbero a chiunque li interrogasse, imperatore incluso, che si è trattato di un incidente di navigazione. Ho ancora qualche remora a farlo. Solo Cristo e la sua pietà sanno perché non voglio ucciderlo. «Neanche ti conosco» sussurrò. Fernando del Guiz continuava a dormire con il volto scoperto e vulnerabile. Nessun confronto: nessun compromesso. Compromesso. Cristo, ma non sono io quella che ha passato metà della sua vita in cerca di compromessi
per fare in modo che ottocento persone potessero lavorare insieme? Non è necessario che mi dimentichi di avere un cervello solo perché sono in un letto. Allora? Siamo una compagnia che è stata divisa: gli altri sono a Colonia. Se uccidessi Federico qualcuno avrebbe da obiettare - c'è sempre qualcuno che ha da ridire su qualcosa: per esempio, se fosse per van Mander ci sarebbe una seconda divisione e lui e i suoi uomini seguirebbero mio marito. A lui piace del Guiz perché gli piace essere comandato da un uomo che oltre a essere un nobile è anche un cavaliere. A Van Mander non piacciono le donne neanche quando combattono bene come me. È meglio aspettare fino a quando non avremo mollato gli ambasciatori a Genova e saremo tornati a Colonia. Genova. Merda. «Perché l'hai fatto?» gli sussurrò, sdraiandosi al suo fianco. Fernando del Guiz si girò nel sonno e le diede le spalle. «Sei uno come Joscelyn, convinto che per quanto possa io fare bene, non sarà mai abbastanza perché sono una donna? Perché l'unica cosa che non posso fare è diventare uomo? O forse solo perché non sono una nobildonna? Una di voi?» Il respiro basso di Fernando del Guiz riempiva la cabina. Dopo qualche secondo il nobile si girò premendosi contro di lei che rimase immobile sotto il corpo muscoloso e sudato del marito. Ash gli spostò una ciocca di capelli dagli occhi con la mano libera. Non riuscivo a ricordare il suo volto, pensò, ma adesso sì. Il pensiero la stupì non poco, inducendola ad aprire gli occhi. «Ho ucciso i miei due primi uomini quando avevo otto anni» gli sussurrò per non svegliarlo. «A che età hai ucciso il tuo primo uomo? A quali battaglie hai preso parte?» Non posso uccidere un uomo che dorme, pensò. Non... Le mancarono le parole. Godfrey o Anselm avrebbero detto pique, ma entrambi gli uomini erano su altre chiatte e avevano trovato delle occupazioni che li avrebbero tenuti il più distante possibile dalla chiatta di testa, specialmente durante la prima notte di matrimonio. Ho bisogno di riflettere, si disse Ash. Devo parlarne con loro. Comunque, non posso dividere la compagnia, qualunque cosa farò è meglio che aspetti di tornare in Germania.
Ash tolse un secondo ciuffo di capelli dalla fronte del marito. Fernando del Guiz si agitò nel sonno. Il letto era così stretto che i corpi entravano in contatto per forza. Ash cominciò a baciarlo alla base del collo avvertendo il profumo della sua pelle. Le vertebre gli spuntavano tra le spalle. Fernando del Guiz emise un forte sospiro, si girò, l'afferrò per i fianchi e la trasse contro di lui. Ash premette il seno, il ventre e le cosce contro il corpo dell'uomo, provocandogli un'erezione. Fernando fece scivolare una mano fino alla vagina e cominciò ad accarezzarla. La luce dell'alba illuminava il bel volto del cavaliere. È così giovane, pensò Ash. Il marito la penetrò prima ancora che lei potesse rendersene conto, rimase fermo per qualche istante tenendola stretta tra le braccia dopodiché cominciò a ondeggiare i fianchi provocandole un orgasmo dolce, ma piacevolissimo. Fernando le posò la testa contro la spalla e lei avvertì il solletico delle ciglia sulla pelle. Le carezzò più volte la schiena. Era un tocco caldo e cauto che possedeva una venatura erotica, ma al tempo stesso gentile. È il primo uomo della mia età che mi tocca con gentilezza, pensò Ash, e quando aprì gli occhi si scoprì a sorridergli. Fernando cominciò a spingere con maggiore vigore, venne e tornò a sprofondare nel sonno. «Cosa?» chiese lei, dopo aver sentito il marito borbottare qualcosa. Fernando ripeté la frase e tornò a dormire. «Mi hanno fatto sposare con il cucciolo di un leone» pensò di aver sentito Ash. Delle lacrime di umiliazione brillavano sotto le ciglia dell'uomo. Ash si svegliò qualche ora dopo, sola nel letto. Quindici giorni e quindici notti solitarie più tardi, il giorno di san Swithum 42 , arrivarono a una decina di chilometri dalla città di Genova. II Ash alzò la ventaglia dell'elmo con un pollice. Il sole si era appena levato sopra l'orizzonte e l'aria era ancora fresca. Intorno a lei gli uomini avanzavano a piedi o a cavallo. Il vento le portò l'eco di una canzone. Era la voce di un pastore e non avrebbe cantato se il posto non fosse stato sicuro e tranquillo. 42
Festeggiato il 15 luglio; questo è il riferimento per la data di arrivo della compagnia fuori dalla città di Genova.
Robert Anselm la raggiunse dal fondo della colonna tenendo l'elmo sotto il braccio. Il sole del meridione gli aveva arrossato la testa calva. Uno degli uomini, un ronconiere, lanciò un fischio e intonò Bei capelli, bei capelli, sarai mai mia? nel momento stesso in cui passava Anselm, che lo superò senza farci caso. Ash sentì le labbra che si contraevano in un sorriso: il primo dopo giorni. «Tutto a posto?» «Ho trovato quattro stronzi addormentati in uno dei carri, stamattina. Erano ubriachi fradici. Non si sono presi neanche il disturbo di andare a dormire da qualche altra parte.» Anselm socchiuse gli occhi per proteggersi dal sole. «Ho detto al prete di impartire loro una punizione.» «E i furti?» «Ci sono state altre lamentale. Tre: Euen Huw, Thomas Rochester e Geraint ab Morgan prima che lasciassimo Colonia.» «Se Geraint ha ricevuto delle lamentele al riguardo prima che lasciassimo Colonia, come mai non ha preso provvedimenti?» Ash fissò il suo secondo. «Come se la sta cavando Geraint Morgan?» Anselm scrollò le spalle. «Per Geraint è già difficile rigare dritto da solo, figurati se deve comandare gli altri.» «Lo sapevamo quando l'abbiamo preso, giusto?» Ash vide la foschia che si addensava e aggrottò la fronte. «Euen Huw ha garantito per lui...» «So che venne sbattuto fuori dall'esercito di re Enrico dopo Tewkesbury. Era al comando di un'unità d'arcieri e venne trovato ubriaco durante lo scontro. Tornò alla sua famiglia che commerciava lana, ma non riuscì ad abituarsi a quella vita e finì per fare il mercenario.» «Non l'abbiamo preso solo perché era un vecchio Lancaster, Roberto. Deve fare la sua parte come tutti.» «Geraint non è un Lancaster. Ha combattuto per il conte di Salisbury a Ludlow a fianco degli York nel cinquantanove» aggiunse Anselm, non troppo fiducioso che il suo capo fosse a conoscenza delle guerre dinastiche tra i rosbif. «Cristo Verde, ha cominciato giovane!» «Non è il solo...» «Sì, sì» Ash avvicinò il suo cavallo a quello di Roberto. «Geraint è un figlio di puttana, ubriacone e violento...» «È un arciere» disse Anselm, come se le caratteristiche citate da Ash
fossero sottintese in quella definizione. «... e peggio ancora, è amico di Euen Huw» continuò Ash. «Sul campo di battaglia non ha pari, ma o si dà una mossa o se ne va. Dannazione. Beh, almeno l'ho lasciato al comando con Angelotti... Allora, Roberto, il ladro?» Robert Anselm alzò gli occhi al cielo, quindi tornò a fissarla. «L'ho beccato, capitano. È Luke Saddler.» Ash si ricordava di lui: un ragazzino che non aveva ancora quattordici anni e vagava per il campo quasi sempre ubriaco con la candela al naso. Era evitato dagli altri paggi e Philibert le aveva raccontato storie di braccia piegate dietro la schiena e mani che toccavano in mezzo alle gambe degli altri ragazzini. «Lo conosco. È il paggio di Aston. Cosa ha preso?» «Borse, coltelli, la sella di qualcuno, Cristo Santo» sottolineò Anselm. «Quella ha cercato di venderla. Va avanti e indietro dal magazzino, così mi dice Brant; ma più che altro si accanisce con l'equipaggiamento personale dei ragazzi.» «Questa volta tagliagli le orecchie, Roberto.» Anselm assunse un'espressione torva. «Tu, io, Aston, il prete... non possiamo impedirgli di rubare. Quindi...» Indicò la colonna di uomini sudati che marciava dietro di loro scambiandosi invettive. «Dobbiamo agire. Altrimenti lo faranno loro per noi e probabilmente lo sodomizzeranno: è un ragazzino carino.» Frustrata, Ash ricordò il giorno in cui aveva convocato Luke Saddler nella sua tenda per vedere se il peso del comando potesse avere effetto su di lui. Il ragazzino, tetro in volto, puzzava di vino e ridacchiava come un idiota. «Perché me ne hai parlato?» sbottò Ash, infastidita dalla sensazione di aver sbagliato tutto. «Luke Saddler non è un mio problema, adesso. Mio marito è il problema.» «Come se te ne importasse qualcosa!» Ash guardò la brigantina43 che indossava, non meno calda del piastrone, e Robert Anselm rise. «Come se volessi che fosse del Guiz a preoccuparsi di questa gente...» 43
Forma di armatura corazzata a protezione del torso in uso nella fanteria dal secolo XIV all'inizio del XVII, composto da una struttura di lamelle sovrapposte 'a tegole', disposte in fasce verticali e fissate in file parallele a un supporto di pelle o tela imbottita (N.d.T.).
aggiunse. «Stai impazzendo a stargli dietro, ragazza.» Ash guardò davanti a sé distinguendo appena le figure di Joscelyn van Mander e Paul di Conti che cavalcavano con Fernando, e sospirò senza rendersene conto. L'aria del mattino era pervasa dall'odore del timo che cresceva sul ciglio della strada e veniva schiacciato sotto le ruote dei carri. Fernando del Guiz cavalcava davanti ai carri. Era circondato da un gruppo di giovani e servitori che facevano parte del suo seguito e rideva. Al suo fianco c'erano un trombettiere e un cavaliere che reggeva lo stendardo della famiglia del Guiz. Il simbolo della compagnia di Ash si trovava qualche centinaio di metri più indietro, coperto da uno strato di polvere biancastra sollevata dai carri. «Dolce Cristo, sarà lunga tornare a Colonia.» Ash si aggiustò sulla sella per assecondare i movimenti del cavallo che ormai aveva soprannominato Bastardo. È agitato perché sente l'odore del mare, pensò. Genova e la costa sono a quattro o cinque chilometri da qui, dovremmo arrivare molto prima di mezzogiorno. La foschia umida schiacciava a terra la polvere sollevata da un gruppo di cavalieri e da diverse lance a piedi a che avanzavano verso di loro. «Chi è? Non riesco a riconoscerlo» disse, indicando. Robert Anselm affiancò la sua cavalcatura a quella di Ash e socchiuse gli occhi per mettere meglio a fuoco i carri con gli scudi attaccati alle fiancate e carichi di uomini armati di balestra e archibugi. «Anzi no» si contraddisse Ash, prima ancora che Robert potesse rispondere. «È Agnes. O uno dei suoi uomini. No, no, è l'Agnello in persona.» «Lo vado a prendere.» Anselm premette i talloni contro i fianchi del suo cavallo, che si lanciò in un trotto sostenuto tra le file dei carri. Malgrado la foschia faceva troppo caldo per indossare l'armatura. Ash cavalcava indossando una brigantina blu rivestita di velluto le cui borchie dorate brillavano insieme all'elsa della spada al suo fianco. Robert Anselm tornò indietro con il nuovo arrivato e lei spostò il peso all'indietro per fare rallentare il cavallo. Lanciò un'occhiata al marito, ma lui non se ne accorse. «Salve, donna-uomo!» «Salve, Agnes» rispose Ash. «Fa abbastanza caldo per te?» L'uomo dai capelli radi indicò con un gesto della mano l'armatura completa, l'elmo infilato sul pomello della sella e il martello da guerra assicurato alla cintura. «Ci sono stati dei problemi con le Gilde giù a Marsiglia e lungo la costa. Sai com'è fatta Genova, mura possenti, abitanti con la puz-
za sotto il naso e dozzine di fazioni che combattono l'una contro l'altra per far eleggere il rispettivo Doge. Ho staccato io stesso la testa a Farinetti durante una schermaglia la scorsa settimana.» Inclinò la mano e imitò il colpo. Il volto scarno era bruciato da anni di campagne in Italia. Sulla sopravveste spiccava il disegno di un agnello dalla cui testa partivano dei raggi di luce, sotto il quale, ricamata con il filo nero, c'era la scritta 'Agnus Dei'.44 «Noi siamo stati a Neuss. Ho guidato una carica di cavalleria contro il duca Carlo di Borgogna.» Ash scrollò le spalle come per dire: 'nulla di speciale'. «Ma il duca è ancora vivo. Così vanno le cose in guerra.» L'Agnello sogghignò mostrando i denti rotti e giallastri. «Eccoci qua, allora» continuò con un marcato accento italiano del nord. «Perché non ci sono spie qui intorno? Mi avete visto quando ormai vi ero addosso! Dove diavolo erano gli esploratori?» «Mi hanno detto che non erano necessari» rispose Ash, ironica. «Questo è un regno pacifico pieno di mercanti e pellegrini che prosperano sotto la protezione dell'imperatore. Non lo sapevi?» L'Agnello (Ash si era dimenticata quale fosse il suo vero nome) socchiuse le palpebre e fissò l'apice della colonna. «Chi è il cucciolo?» «Quello che mi sta facendo lavorare» rispose Ash, senza guardare Anselm. «Oh. Giusto. È uno di quei datori di lavoro.» Agnus Dei scrollò le spalle, gesto piuttosto complicato da fare in armatura, quindi tornò a concentrarsi su di lei. «Che iella nera, sto andando a Napoli per imbarcarmi. Vieni anche tu.» «No, non posso rompere il contratto. Inoltre, gran parte dei ragazzi sono ancora a Colonia sotto il comando di Angelotti e Geraint ab Morgan.» Una smorfia di dispiacere apparve per un attimo sulle labbra dell'Agnello. «Ah, capisco. Com'era il passo del Brennero? Ho dovuto aspettare tre giorni per far scendere i carri dei mercanti fino a Genova.» «Ha nevicato, ma era sgombro. Dimmi tu se deve nevicare nel mezzo di luglio, Cristo - scusami Agnello. Voglio dire, siamo a metà luglio. Odio attraversare le Alpi. Fortunatamente non ci è caduto addosso niente, questa volta. Ti ricordi la valanga del settantadue?» Ash continuò a parlare del più e del meno consapevole degli sguardi rabbiosi che Anselm le lanciava in tralice mentre cavalcava al suo fianco. Di tanto in tanto lasciava vagare gli occhi verso la testa della colonna dove 44
L'Agnello di Dio.
si trovava Fernando. Il marito cavalcava senza l'elmo e il sole faceva splendere l'abito di seta. Il suono delle voci e il cigolio dei carri echeggiava monotono intorno a lei. Qualcuno si mise a suonare un piffero. «Ci incontreremo di nuovo sul campo, Madonna. E Dio voglia che siamo dalla stessa parte!» disse Agnello, per porre fine alla conversazione. «Dio lo voglia» rispose Ash, ridendo. L'Agnello si diresse a sud est dove, forse, erano schierate le sue truppe. «Non gli hai detto che il nostro 'attuale datore di lavoro' è anche tuo marito» le fece notare Robert Anselm. «No, non l'ho fatto.» Un uomo tarchiato con i capelli scuri raggiunse Anselm, si guardò bene intorno e disse: «Dobbiamo essere vicini a Genova, capo!» «Credo» rispose Ash a Euen Huw. «Lo porto a caccia con me.» Il pollice del Gallese carezzò l'elsa della daga. «Molte persone muoiono per un incidente di caccia. Succede continuamente.» «Siamo un convoglio di duecento uomini e venti carri. Avremo spaventato la selvaggina per chilometri. Non ci crederà. Mi dispiace, Euen.» «Allora domani gli sello io il cavallo. Un pezzo di filo metallico intorno allo zoccolo, sotto il garretto e... capo, si continua!» Lo sguardo calcolatore di Ash fissò il marito per valutare quali ufficiali stavano cavalcando con lui e i suoi scudieri e quali erano invece dalla sua parte. I primi giorni di viaggio erano stati penosi, poi si erano presentati problemi in numero sufficiente a tenere occupati tutti, ma ora la situazione si era stabilizzata. Non puoi prendertela con loro, pensò Ash. Qualsiasi cosa mi chiedono, lui mi contraddice con i suoi ordini. Ma una compagnia divisa non può combattere. Ci farebbero a pezzi come un gregge di pecore. Un uomo con il volto simile a una patata e un ciuffo di capelli che spuntava da sotto il bordo dell'elmo fece affiancare il suo cavallo a quello di Ash. «Butta giù da cavallo quello stronzetto, Ash» esordì sir Edward Aston. «Se continua a farci avanzare senza esploratori rischiamo qualche brutta sorpresa, e il nostro collo. E ogni volta che ci fermiamo per accamparci non fa addestrare i soldati.» «E se continua a spendere quelle cifre per vino e cibo ogni volta che ci fermiamo in città, finiremo nei guai» la incalzò Henri Brant, un uomo di mezza età dal fisico tarchiato. «Ma lo conosce il valore del denaro, quello?
Quando saremo tornati non avrò il coraggio di farmi vedere alle Gilde. Negli ultimi quindici giorni ha speso più di quello che ho messo da parte per l'autunno!» «Hai ragione, Ned. Lo so, Henri.» Ash spostò il peso sulla sella e il suo cavallo morse il roano di Aston sulla spalla. Ash assestò un pugno in mezzo alle orecchie di Bastardo e si lanciò al galoppo. L'aria le rinfrescò il volto. Giunta vicina al carro nel quale erano tenuti i prigionieri rallentò. Le grosse ruote rivestite di metallo facevano ondeggiare vistosamente il mezzo e i due ambasciatori che erano stati buttati sul fondo del cassone legati mani e piedi rotolavano sulle tavole seguendo gli scossoni. «È stato mio marito a ordinare che fossero trattati così?» Un uomo a cavallo armato di balestra sputò di lato. «Sì» rispose senza guardarla. «Liberali.» «Non posso» rispose il soldato. Qual è la prima regola, ragazza? si rammentò Ash. Mai dare un ordine se sai che non verrà eseguito. «Liberali quando Fernando ti manderà l'ordine» disse Ash, dando un secondo pugno al suo cavallo che stava cercando di dare una spallata a quello del balestriere. «Cosa che farà» aggiunse. Un lampo maligno le balenò negli occhi per un attimo. «Tu hai bisogno di una bella galoppata per calmarti. Ahi!» Ash lanciò il cavallo prima al trotto poi al galoppo, passando tra i carri incurante dei colpi di tosse e delle bestemmie che i soldati le lanciavano contro per il polverone che stava sollevando. Scorse una dozzina di pennacchi alla testa della colonna. Il cavallo di Fernando trotterellava davanti a tutti con la testa alta e le redini pericolosamente molli. Ash notò che il marito aveva dato l'elmo al suo scudiero, Otto e la lancia a Matthias che non era né un cavaliere né uno scudiero. Una coda di volpe pendeva attaccata all'asta dello stendardo. Appena vide il marito ebbe un tuffo al cuore. Era il ritratto di un cavaliere. Cavalcava con destrezza e a testa scoperta. Il piastrone dell'armatura gotica era di ottima fattura. L'umidità si era condensata in goccioline sul metallo, sul bordo dei guanti e sui capelli biondi. Non sono mai stata così sventata, pensò Ash, con un pizzico d'invidia. Ha sempre avuto tutto questo fin da quando è nato. Non ci ha mai neanche pensato. «Mio signore.» Il marito girò la testa, il volto era coperto da una sottile
peluria biondiccia, quindi tornò a rivolgersi a Matthias discorrendo con lui della lunga spada da cavaliere che portava appesa al fianco del suo cavallo. L'animale scalpitò scocciato, il gruppo si allargò per qualche secondo poi tornò compatto. Gli scudieri che circondavano Fernando sembravano riluttanti all'idea di farla passare. Ash allentò leggermente la presa intorno alle redini di Bastardo, che morse immediatamente il fianco di uno dei cavalli che aveva vicino. «Merda!» Il giovane cavaliere tirò le redini e la bestia cominciò a muoversi in cerchio. Ash si infilò nell'apertura e si mise a fianco del marito. «È arrivato un messaggero. Ci sono stati guai a Marsiglia.» «Siamo a leghe di distanza da quella città.» Fernando cavalcava reggendo una borraccia piena di vino con entrambe le mani. Distese le braccia, inclinò la borraccia e un fiotto di vino lo centrò in bocca. Il nobile tossì e il vino color paglia si riversò sul piastrone. «Hai vinto, Matthias!» Fernando lanciò via la borraccia semi piena che scoppiò appena toccata terra, dopodiché tirò una manciata di monete. Otto e un altro paggio lo affiancarono immediatamente e gli sfilarono il piastrone. Il nobile, che continuava a tenere le protezioni per le braccia, estrasse la daga e tagliò i lacci che chiudevano il giustacuore bagnato, lo tolse e lo gettò via. «Otto! Fa troppo caldo per l'armatura. Fai montare il mio padiglione. Mi cambio.» Fernando del Guiz cavalcava solo con la maglia di seta che ricadeva sulla calzamaglia, la quale metteva in evidenza il profilo del membro. Una volta sceso da cavallo tutto sarebbe tornato a posto. Ash si assestò sulla sella. Avrebbe voluto mettergli una mano in mezzo alle gambe. Il trombettiere si fermò, portò lo strumento alla bocca e ne fece uscire uno squillo. «Ci fermiamo?» disse Ash, sussultando. Il sorriso di Fernando venne imitato dagli ufficiali di Ash che cavalcavano al suo fianco, dai paggi e dai suoi amici nobili. «Io mi fermo. I carri si fermano. Tu puoi fare quello che vuoi, mia signora moglie.» «Vuoi dar da bere e da mangiare agli ambasciatori mentre sostiamo?» «No.» Fernando fermò il cavallo. Ash rimase in sella a Bastardo guardandosi intorno. La foschia mattutina si era diradata del tutto rivelando un terreno giallastro e arido dal quale
spuntavano dei cespugli che difficilmente sarebbero stati scambiati per alberi. Un terreno rialzato a duecento metri da una strada larga. Un paradiso per gli esploratori e per i fanti. Anche dei banditi a cavallo avrebbero potuto attaccarli in quel punto. Godfrey la raggiunse in groppa al suo cavallo. «Quanto manca a Genova?» La polvere si era depositata tra le rughe sul volto del prete e gli aveva imbiancato la barba dando ad Ash un'idea di che aspetto avrebbe avuto l'amico una volta raggiunti i sessant'anni. «Sette chilometri? Quindici? Quattro?» Ash si diede un pugno sulla coscia. «Sono cieca! Mi ha vietato di mandare gli esploratori e di pagare delle guide locali: ha preso questo itinerario segnato per i pellegrini che si recano in Terra Santa e pensa che sia tutto quello di cui abbiamo bisogno! È un nobile! Un cavaliere! Nessuno può tendergli un'imboscata! E se quelli che abbiamo incontrato non fossero stati gli uomini dell'Agnello? Se fossero stati banditi?» Godfrey scosse la testa sorridendo. «Va bene, va bene, è vero,» riprese Ash «è difficile intravedere la differenza tra l'Agnello e un bandito! Ma, cosa vuoi, sono fatti così questi mercenari italiani.» «Una calunnia infondata, forse.» Godfrey tossì, bevve e passò la borraccia ad Ash. «Ci accampiamo due ore dopo che siamo partiti?» «Il mio signore vuole cambiarsi d'abito.» «Un'altra volta? Avresti dovuto buttarlo fuori bordo quando eravamo sul Reno, prima ancora che attraversassimo i cantoni, per non parlare delle Alpi.» «Non è un pensiero molto cristiano da parte tua, Godfrey.» «Matteo dieci, trentaquattro!» 45 «Non penso che Nostro Signore intendesse quello che stai pensando...» Ash portò la borraccia alle labbra e bevve una sorsata. La birra era calda, ma servì lo stesso a rinfrescarle un po' la bocca. «Non adesso, Godfrey. Non è ancora arrivato il momento di chiedere ai miei uomini di schierarsi. Si creerebbe solo un gran caos. Dobbiamo continuare così almeno finché non saremo tornati da questo stupido viaggio.» Il prete annuì lentamente. «Salgo sulla cima della prossima collina per vedere la situazione» disse Ash. «Quell'uomo cammina nella nebbia in più di un senso. Godfrey, mo45
Matteo 10: 34 'Non pensate che io sia venuto a mettere pace in terra: io non sono venuto a mettervi la pace, bensì la spada.'
stra un po' di carità cristiana ad Asturio Lebrjia e al suo compagno. Non penso che il mio caro marito abbia dato loro da mangiare stamattina.» Godfrey si allontanò. Jan-Jacob Clovet e Pieter Tyrrel raggiunsero Ash mentre Bastardo trotterellava di malavoglia su per la collina. I due Fiamminghi sembravano quasi identici e puzzavano di vino stantio e sperma. Ash pensò che entrambi gli uomini dovevano essersela spassata con una prostituta, forse la stessa, fino all'alba. «Capo,» esordì Jan-Jacob «fa qualcosa con quel figlio di puttana.» «Tutto a tempo debito. Se muovete un dito senza un mio ordine vi inchiodo le palle su un asse.» Normalmente i due Fiamminghi avrebbero riso della battuta, ma questa volta no. «Quando?» insisté Jan-Jacob. «Gli altri dicono che non lo ucciderai perché sei cotta. E dicono che non potevano aspettarsi altro da una donna» aggiunse Pieter. Ash sapeva che se avesse chiesto i nomi degli altri avrebbe ricevuto delle risposte evasive e si limitò a sospirare. «Ascoltate, ragazzi... abbiamo mai rotto un contratto?» «No!» risposero i due all'unisono. «Beh, non si può dire lo stesso per le altre compagnie mercenarie. Noi veniamo sempre pagati perché non rompiamo mai un contratto per passare dall'altra parte. La legge è l'unica cosa che abbiamo. Ho firmato un contratto quando ho sposato Fernando e questa è una delle ragioni per le quali non è facile.» Spronò Bastardo verso la cima dell'altura. «Sarebbe bello sperare che Dio lo facesse per me» disse, meditabonda. «Ci sono giovani nobili avvinazzati che cadono da cavallo e muoiono ogni giorno, perché non potrebbe succedere anche a lui?» «Balestra?» suggerì Pieter, battendo una mano sulla custodia che teneva appesa alla sella. «No!» «Scopa bene?» «Jan-Jacob, almeno per una volta nella tua vita potresti smettere di pensare con quello che hai in mezzo alle gambe, diavolo!» La brezza finì di diradare gli ultimi scampoli di foschia nel momento stesso in cui raggiunsero la cima della collina. Il sole splendeva sulle alture che circondavano la città di Genova e sulle onde del Mediterraneo. Da quel punto si vedevano chiaramente la costa e il mare.
E una flotta che costellava la baia. Non erano mercantili. Navi da guerra. Vele bianche e insegne nere, pensò Ash, là sotto c'è mezza flotta da guerra visigota! Il vento portò il sapore del sale, mentre lei rimase immobile per alcuni secondi che sembrarono dilatarsi all'infinito. Le prue taglienti come un coltello delle triremi fendevano la superficie argentea del mare. Il loro numero era imprecisato, ma Ash valutò a occhio e croce che poteva oscillare da dieci a trenta navi. In mezzo ai vascelli c'erano circa cinquanta o sessanta quinqueremi e vicino alla spiaggia i mezzi da sbarco dal pescaggio ridotto sparivano dalla sua vista oltre le mura di Genova, circondati da piccoli arcobaleni formati dalla luce del sole che attraversava gli spruzzi d'acqua sollevati dalle pale che fungevano da sistema propulsivo46 . Ash vide il fumo nero che si levava dai tetti dei magazzini del porto e vide diversi uomini correre lungo le strade tortuose della città. «Truppe che sbarcano, numero imprecisato, una flotta d'assalto e nessun vascello alleato a contrastarla; il mio contingente ammonta a duecento uomini.» «Ritirati o arrenditi» le rispose la voce nella sua testa. Ash continuava a fissare la costa a bocca aperta, quasi ignorando il consiglio. «L'Agnello sta per finire in bocca al nemico!» Jan-Jacob indicò, atterrito, lo stendardo bianco di Agnus Dei, qualche chilometro più avanti di loro. Ash fece un rapido calcolo mentale degli uomini che stavano scappando. «Vado a dare l'allarme» disse Pieter, che stava trattenendo a stento la cavalla. «Aspetta» gli ordinò Ash. «Ascoltatemi bene. Jan-Jacob, fa disporre gli arcieri a cavallo. Di' ad Anselm che li voglio in formazione e armati sotto 46
Questa è un'altra intrusione delle leggende medievali all'interno del testo. Oltre alla precedente inclusione del nome 'Cartagine', io sospetto che questo sia solo un oscuro ricordo, preservato in qualche dimenticato manoscritto monastico, della potenza marinara di Cartagine prima che i Romani ne distruggessero la flotta nella battaglia navale di Milazzo (263 A.C.) grazie, soprattutto, all'uso dei ponti per l'arrembaggio chiamati: 'corvi'. Non è strano che un cronista medievale abbia inserito tale anacronismo.
il suo comando! Pieter, di' a Henri Brant che devono abbandonare tutti i carri e che i passeggeri devono ricevere un'arma e scappare. Ignorate qualsiasi ordine proveniente da del Guiz e la sua cricca - adesso vado a parlare a Fernando.» Galoppò giù dalla collina in direzione del suo stendardo. Vide Rickard in mezzo agli altri uomini e gli urlò di andare a chiamare Godfrey e gli ambasciatori stranieri, dopodiché si diresse a rotta di collo verso il punto in cui stavano erigendo il padiglione di Fernando, che nel frattempo sedeva sul cavallo parlando allegramente con il suo seguito. «Fernando!» «Cosa?» Il nobile si girò sulla sella. Le labbra si piegarono in una smorfia colma d'arroganza e Ash si rese conto che il marito non era un uomo avventato, come aveva pensato fino a quel momento, bensì crudele. Saltò giù dalla sella e gli afferrò le redini del cavallo in modo che fosse costretto a prenderla in considerazione. «Cosa vuoi?» Si grattò in mezzo alle gambe. «Non vedi che aspetto di vestirmi.» «Ho bisogno del tuo aiuto.» Ash fece un respiro profondo. «Siamo stati ingannati. La flotta visigota non sta navigando verso il Cairo contro i Turchi. È qui.» «Qui?» Fernando la fissò meravigliato. «Ho contato almeno venti triremi e sessanta fottute quinqueremi! E mezzi da sbarco.» «Visigoti?» Il volto di Fernando assunse un'espressione innocente e divertita. «La flotta! I loro cannoni! L'esercito! È a una lega da qui su quella strada!» Fernando rimase a bocca aperta. «Cosa diavolo ci fanno i Visigoti qui?» «Bruciano Genova.» «Bruciano...» «Genova! È un contingente d'invasione. Non ho mai visto tante navi in un posto solo.» Ash staccò un grumo di terra dalle labbra. «Agnello è finito loro in bocca. Stanno combattendo.» «Combattono?» «Sì, Ferdie, combattono» disse Matthias parlando in un dialetto del sud della Germania. «Ricordi. L'addestramento, i tornei, le guerre? Qualcosa di simile.» «Guerra» ripeté Fernando.
Il giovane amico di del Guiz finse di guardarlo in cagnesco. «Se la cosa non ti disturba, mi sono addestrato più di te! Sei sempre stato pigro come un cinghiale...» «Mio Lord, marito,» lo interruppe Ash «devi venire a vedere. Andiamo!» Ash montò in sella a Bastardo e lo spronò senza pietà al galoppo, ma il cavallo la disarcionò a metà collina costringendola a terminare l'ultimo tratto di corsa. Raggiunse la cima qualche attimo dopo sudata e ansante. Ash si girò aspettandosi di trovare Fernando alle sue spalle, ma il marito arrivò qualche minuto dopo con l'armatura indossata alla bell'e meglio e la maglia che faceva capolino tra le piastre delle protezioni per le braccia. «Allora? Dove...» La voce gli si strozzò in gola. Le pendici della collina erano costellate da una folla di uomini in corsa. Otto, Matthias, Joscelyn van Mander, Ned Aston e Robert Anselm li raggiunsero un attimo dopo sollevando un nuvolone di polvere e terra e rimasero ammutoliti. Da Genova si levavano delle alte colonne di fumo nero. «Visigoti» dissero all'unisono Fernando del Guiz e Joscelyn van Mander. «Potevano attaccare noi o i Turchi. Alla fine hanno deciso di prendersela con noi» commentò Robert Anselm. «Ascoltate» disse Ash. «Una dozzina di uomini a cavallo possono muoversi più velocemente di questa compagnia. Fernando, Mio Lord marito, torna dall'imperatore per fargli sapere cosa sta succedendo! Prendi de Quesada e Lebrija con te come ostaggi! Tu puoi farcela in pochi giorni se cavalchi senza sosta.» Il nobile fissò gli stendardi che si avvicinavano. Alle sue spalle gli uomini del Leone Azzurro formavano una massa di elmetti, bandiere e punte di lance che sembrava ondeggiare per il calore dell'aria calda. «Perché non vai tu, capitano!» Ritta in sella su quella collina polverosa, sudata e con l'odore di cavallo che gli impregnava gli abiti, Ash ebbe l'impressione di aver stretto in pugno l'elsa della sua spada: era una sensazione di controllo che non aveva più provato da quando era partita da Colonia. «Tu non sei un contadino o un mercenario come me» spiegò Ash. «Sei un nobile. L'imperatore ti darà ascolto.» «Ha ragione, mio signore» incalzò Anselm, cercando di mostrarsi il più servile possibile. Roberto non fissò Ash negli occhi, ma lei sapeva bene quello che stava pensando il suo braccio destro perché ormai lo conosceva
da anni: non lasciare che a questo ragazzino venga in mente di comandare una carica del tipo 'gloria o morte' contro quelli! «Ci sono sessanta quinquiremi...» disse Van Mander, stupefatto. «Trentamila uomini.» Fernando fissò Ash. «Porterò la notizia a mio cugino l'imperatore!» declamò, come se nessuno avesse parlato e l'idea fosse stata sua. «Tu combatterai questi bastardi per me! È un ordine.» Sei mio! pensò Ash, esultante e fissò Joscelyn van Mander che aveva sentito l'ordine. Fecero girare i cavalli e cominciarono a scendere giù dalla collina. Il calore faceva sudare i fianchi delle bestie. La luce del sole dava fastidio ad Ash. Indicò a Godfrey Maximillian i due ambasciatori visigoti che avanzavano incespicando al suo fianco. «Trova loro un cavallo e incatenali ai polsi. Vai!» Ash diede una pacca sul collo di Bastardo. Non riusciva a smettere di ridacchiare. Il castrato girò la testa e le morse una delle protezioni delle caviglie. «Va bene, ti piace la gente, perché allora non vai d'accordo con gli altri cavalli? Uno di questi giorni finisci in padella. Stai fermo.» Un oggetto duro le rimbalzò tra le spalle facendo risuonare una delle piastre metalliche all'interno del brigantino. Ash imprecò. La freccia cadde a terra. Fece girare il cavallo con le ginocchia. In cima alla collina c'era una fila di soldati a cavallo con le divise nere. Arcieri. «Fermi!» urlò a Henri Brant e ai suoi uomini che stavano mettendo i carri in cerchio per formare una fortificazione. «Lasciate perdere. Prendete tutto quello che può essere caricato sui cavalli e filate.» Si diresse verso il punto in cui Anselm stava organizzando lo schieramento di arcieri a cavallo con Jan-Jacob e Pieter al comando delle due ali. Piantò le ginocchia con violenza nei fianchi di Bastardo e desiderò con tutta se stessa di essere in sella a Godluc. Quello stronzo di Fernando, pensò. 'Non portiamo i cavalli da guerra!' ha detto. 'Viaggiamo in pace!' Si rese conto di aver afferrato la spada, ma non avrebbe saputo dire da quanto. Le mani erano protette solo da un paio di guanti di cuoio. Si sentiva troppo vulnerabile e il pensiero delle lame seghettate dei Visigoti le fece chiudere lo stomaco. Lanciò un'occhiata alla dozzina di giovani cavalieri germanici che galoppavano verso l'entroterra come se avessero il diavolo
alle calcagna, quindi tornò a concentrarsi sul nemico. Diversi manipoli di soldati erano raggruppati intorno agli stendardi e si avvicinavano lentamente. Il sole si rifletteva su circa un migliaio di lance. Galoppò indietro fino allo stendardo del Leone Azzurro trovando Rickard che portava il suo stendardo personale. Raggiunse Robert Anselm e disse: «Sono a circa un paio di chilometri da qua! Henri, dovete cancellare le tracce dei cavalli e sparire. Quando raggiungerete la curva che si trova a un paio di chilometri da qui uscite dalla strada e salite sulle colline. Vi copriremo le spalle.» Ash fece girare Bastardo e tornò alla linea di difesa; circa un centinaio di uomini a cavallo e altrettanti sulle ali con gli archi. «Ho sempre detto che voi bastardi avreste fatto di tutto per vino, donne e canzoni e il vostro vino si sta ritirando verso il bosco alle nostre spalle! Tra un minuto lo seguiremo anche noi, ma prima faremo capire a questi bastardi del sud che non devono seguirci. L'abbiamo già fatto e lo rifaremo!» «Ash!» urlarono gli uomini in coro. «Gli arcieri su quella altura, muovetevi! Ricordate: non arretriamo finché lo stendardo non arretra, poi ci ritiriamo veloci! E se sono abbastanza stupidi da seguirci nella foresta riceveranno tutto ciò che meritano. Arrivano! «Incoccare! Tirare!» sbraitò Euen Huw. Il sibilo di una freccia fendette l'aria seguito un attimo dopo da altre duecento. Ash vide un cavaliere visigoto allargare le braccia e cadere dalla sella con un quadrello nel petto. Un gruppo di soldati armati di lance cominciò ad arretrare. «Mantenete le posizioni» urlò Anselm. Ash vide un altro gruppo di cavalieri visigoti armati di archi corti. «Circa sessanta uomini che possono tirare da cavallo» borbottò. «Se si radunano caricali con la cavalleria. Se scappano, ritirati.» «Chiaro» borbottò Ash. Segnalò al suo stendardo di arretrare e alla compagnia di montare a cavallo. Dopo circa un chilometro a passo di marcia si accorse che il nemico non li stava seguendo. «Non mi piace per niente» commentò. «C'è qualcosa di strano» Robert Anselm si fermò. «Mi aspettavo che quei bastardi ci attaccassero.» «Sono in inferiorità numerica. Li avremmo fatti a pezzi.» «Questo non ha mai impedito ai Visigoti di farsi ammazzare. Sono un branco di stupidi indisciplinati.»
«Lo so, ma oggi non si comportano come tali.» Ash abbassò leggermente la visiera dell'elmo per riparare gli occhi dalla luce del sole. «Grazie a Dio il mio maritino mi ha dato ascolto. Per un attimo ho avuto paura che ci ordinasse di caricare.» Vide le insegne dei Visigoti stagliarsi contro il cielo in lontananza. Sembravano, ma la distanza poteva trarre in inganno, sormontate da un'aquila dorata. Un movimento sotto una di quelle insegne attirò la sua attenzione. Visto da quella distanza poteva sembrare un uomo dal fisico snello, ma svettava di una testa buona sopra il gruppo di comandanti. Il sole risplendeva sulla pelle color ocra e rame. Ash osservò il golem che si allontanava verso sud est. Il passo non era più veloce di quello di un uomo, ma inesorabile. Non c'era roccia o pendio che potesse farlo rallentare. Quell'essere era più lento di un cavallo, ma non aveva bisogno di riposarsi o mangiare. Poteva viaggiare sia di notte che di giorno divorando più di un centinaio di chilometri in ventiquattro ore. «Merda» imprecò. «Stanno mandando dei messaggeri. Vuol dire che sono sbarcati anche in altri punti.» Anselm le toccò una spalla e le indicò un secondo golem che si dirigeva verso nord ovest lungo la costa. «Nessuno era preparato!» Ash si sistemò sulla sella. «Non hanno solo ingannato la nostra rete di spie, Robert. L'hanno fatta anche alle banche, ai preti e ai principi... Che Dio ci aiuti. Non volevano combattere i Turchi. Non hanno mai voluto farlo...» «Vogliono noi» borbottò Robert Anselm girando il cavallo. «Questa è una cazzo d'invasione.» III Ash raggiunse la colonna quando ormai la testa stava sparendo oltre le pendici della collina. Le ruote dei carri avevano smosso la terra e i carri abbandonati indicavano il punto in cui erano usciti dalla strada. Ash socchiuse gli occhi e si guardò alle spalle. L'aria era sempre più calda. Era probabile che un fiume scorresse lungo quel fondo valle, ma adesso doveva essere in secca. Robert Anselm, Euen Huw, Joscelyn van Mander, il suo paggio e Henri Brant si erano radunati sotto lo stendardo.
Ash batté un pugno sulla sella. «Se stanno bruciando Genova vuol dire che sono pronti a dichiarare guerra alla Savoia, alla Francia, alle città stato italiane e... all'imperatore... santo Cristo Verde!» «È impossibile!» replicò van Mander, torvo. «Sta succedendo. Joscelyn, voglio che tu prenda i tuoi uomini e formi un'avanguardia. Euen, tu ti occuperai degli arcieri. Robert, tu comanderai i fanti. I cavalli ce la faranno a stare al passo, Henri?» Il cuoco, che indossava un'armatura fuori misura, annuì entusiasta. «Abbiamo visto quello che c'è dietro di noi. Terranno il passo!» «Va bene, muoviamoci.» Ash si rese conto di quanto la brezza fosse stata forte mentre era sulla piana solo quando raggiunsero una valle laterale, dove il silenzio che aleggiava tra i pini era interrotto solo dall'occasionale clangore metallico delle corazze, dal battito degli zoccoli o dal borbottio degli uomini che avanzavano tra i pini illuminati dal sole. I fianchi delle alture che formavano la valle erano molto boscosi e le pendici erano ricoperte da un fitto strato di rovi. In quel momento Ash capì che cosa c'era che non la convinceva. Merda, pensò, ecco perché non ci hanno attaccati: ci hanno spinti in un'imboscata! Nel momento stesso in cui aprì la bocca per urlare, una salva di frecce oscurò l'aria. Alcuni dardi si conficcarono nel corpo di un uomo di van Mander. Per un secondo sembrò che non fosse successo niente, poi, quando l'eco del sibilo delle frecce si spense un uomo lanciò un urlo. Ci fu un altro lampo metallico e i dardi si conficcarono nei corpi dei cavalli e degli uomini. I cavalli nitrirono imbizzarriti e la testa della colonna divenne un caos di uomini che scendevano dalle loro bestie per cercare di calmarle. Ash perse il controllo di Bastardo che sgroppò e ricadde su una radice di pino con sei frecce dal piumaggio nero che gli spuntavano dal collo e dal petto, rompendosi una zampa posteriore. Ash scivolò dalla sella di lato per evitare di essere schiacciata. La rapida occhiata che riuscì a lanciare intorno a sé malgrado stesse cadendo le permise di scorgere i nemici che scagliavano frecce dalle falde della collina. Un'ennesima salva di dardi si abbatté sulla retroguardia comandata da Ned Aston falciando un gran numero di uomini e cavalli. Ash colpì violentemente il tronco di un albero e sentì le piastre della brigantina scricchiolare. Un uomo, che reggeva il suo stendardo in mano, l'aiutò ad alzarsi. Il suo cavallo continuava a nitrire dal dolore. Ash gli si avvicinò e gli ta-
gliò la vena del collo. La valle era piena di cavalli imbizzarriti e spaventati. Una cavalla corse verso la pianura, ma venne abbattuta da una freccia. Ogni uscita era bloccata. Ash si nascose a ridosso di un pino resinoso guardandosi intorno colma di disperazione. Più di una dozzina di uomini si rotolavano a terra, gli altri cercavano di guidare i cavalli verso un riparo inesistente. Le frecce dalle punte rinforzate penetravano le carni e spuntavano dai carichi buttati frettolosamente sulle schiene dei muli. La strada davanti a loro era bloccata. Sei uomini di van Mander cercavano di trascinare il loro capo al riparo nel letto secco del fiume. Ma quei pochi centimetri di terra non potevano schermarli da dardi muniti di punte affilate come rasoi. La Grande Isobel stava tirando le redini di un mulo quando spalancò le braccia e crollò seduta a cassetta. Un'asta di legno spessa quanto il pollice di un uomo le aveva trapassato la guancia per spuntare da dietro il cranio. Vomito e sangue imbrattarono il corpetto della donna. Ash abbassò la ventaglia. Ragazza, pensò fredda e pragmatica, non sei così speciale da non poter finire a pezzi in una stupida imboscata in mezzo a delle colline senza nome. Non possiamo usare gli arcieri, non possiamo contrattaccare. È come tirare a un pesce in un barile, siamo morti. No, non ancora. Era così semplice che non ebbe bisogno di ricorrere all'aiuto nella sua testa. Afferrò il braccio dell'uomo che reggeva lo stendardo. L'idea era ormai completa, chiara e semplice. «Tu, tu e tu; venite con me, adesso!» Corse così veloce che distanziò gli scudieri. Sentì il sibilo dell'ennesima salva di frecce e si acquattò dietro un mulo. «Tirate fuori le torce!» urlò, rivolta a Henri Brant. L'uomo la guardava a bocca aperta. «Prendi quelle cazzo di torce, adesso! Trova Pieter!» Rickard condusse da lei Pieter Tyrrel e i tre si acquattarono dietro un mulo. Il ragazzino reggeva lo stendardo con le mani protette dai guanti di un'armatura. L'aria puzzava di sterco, sangue e resina. «Prendi queste, Pieter.» Ash infilò la mano nel suo zaino per prendere la pietra focaia e l'acciarino indicando al tempo stesso a Henri Brant le torce con un cenno del mento. L'uomo capì immediatamente, estrasse il coltello e recise la corda che legava il fascio. «Prendi queste e sei uomini. Cavalca su per la valle come se avessi il diavolo alle calcagna - cerca di farla sem-
brare una fuga. Raggiungi la cima delle colline e dai fuoco ai pini trascinando le torce dietro i cavalli. Appena avrai appiccato l'incendio taglia verso nord ovest. Se non riusciamo a incontrarci, allora aspettaci al Brennero. Tutto chiaro?» «Il fuoco? Cristo, capo, vuoi dare fuoco alla foresta?» «Sì! Vai!» Sfregò l'acciarino contro la pietra focaia dando vita a una fiammella. «Fatto!» Pieter Tyrrel si girò e, continuando a rimanere acquattato, urlò una mezza dozzina di nomi. Ash si inerpicò su per il pendio. Un freccia visigota si piantò nell'albero creando una pioggia di schegge. Lei si acquattò e vide che alcuni frammenti di legno si erano conficcati nella stoffa della brigantina. Le suole degli stivali da cavallerizza scivolavano sul tappeto di aghi di pino che ricopriva il terreno. Si lasciò cadere a fianco di Robert Anselm che aveva trovato riparo dietro un pino semiabbattuto. «Prepara i ragazzi per l'attacco. Andiamo quando do l'ordine.» «Quello è un cacchio di pendio! Ci faranno a pezzi!» Ash si diede un'occhiata intorno e vide i suoi uomini che indossavano solamente i brigantini e gli stivali da cavallerizzo sopra le protezioni per le gambe. Erano tutti armati di lance e quelle armi sarebbero state praticamente inutili in mezzo agli alberi. I soldati si girarono a fissarla. Ash socchiuse gli occhi e prese a guardare le pendici che partivano dal letto del fiume asciutto. Non possono correre su per quel pendio, pensò, è troppo ripido. Dovrebbero usare una mano per tenere l'arma e l'altra per puntellarsi a terra, senza contare che ci sono pochissimi alberi per ripararsi. Gli uomini sarebbero esausti prima ancora di ricevere la copertura da qua sotto. «Attaccherete sotto la copertura degli archi e degli archibugi. Quegli stronzi saranno troppo impegnati per vedervi arrivare!» Era una menzogna e lo sapeva. «Aspetta il mio segnale, Robert.» Ash sfoderò la spada e cominciò a correre in terreno aperto con il fodero che le batteva contro la gamba. Qualcuno lanciò un grido da in cima alla valle. Una nuvola di polvere si sollevò da terra e Ash inciampò in una freccia che si era piantata a terra fino alle piume, ma riuscì a ripararsi lo stesso dietro una fila di muli. «Va bene!» Ash scivolò a fianco di Euen Huw, il capitano degli arcieri. «Olio, stracci e marmitte. Cercate di usare le frecce incendiarie.» «Non abbiamo portato le frecce adatte!» urlò Henri Brant. Ash rimase
sorpresa di trovarlo ancora al suo fianco. «Non ci aspettavamo un assedio, quindi non le abbiamo portate.» Ash calò il braccio sulle spalle dell'uomo. «Non importa! Fate del vostro meglio. Con un po' di fortuna non ne avremo bisogno. Come stai a munizioni, Euen?» «Poche palle per gli archibugi, ma ho molte frecce e quadrelle. Non possiamo stare qua, capo. Ci faranno a pezzi!» Un uomo con indosso la divisa del Leone Azzurro corse giù dal pendio urlando e giunto sul letto del fiume scivolò. Una dozzina di frecce lo colpirono alle gambe facendolo crollare a terra. Si girò e un attimo dopo cominciò a contorcersi urlando: una freccia gli aveva trapassato il volto. «Continuate a tirare! Il più veloce che potete. Fate faticare quei bastardi lassù!» Afferrò Euen Huw per un braccio. «Resistete ancora per cinque minuti e siate pronti a montare a cavallo appena vi do il segnale.» Ash mise una mano sulla daga con l'intenzione di finire il moribondo sul letto del fiume. Una figura con la testa coperta da un cappuccio la superò di corsa. Perché porta il cappuccio? si domandò Ash, che si trovava a metà strada tra i suoi uomini e gli alberi. In quel momento riconobbe la falcata. Merda, è Florian! Lanciò un'occhiata alle sue spalle e vide il chirurgo che posava il braccio dell'uomo sulle sue spalle trascinandolo dietro un tronco d'albero sul quale si abbatté una pioggia di frecce. Avanti, Pieter! Ancora due minuti e dovrò attaccare, altrimenti ci massacreranno qui dove ci troviamo. Sentì la gola che raschiava. Una vampata di fuoco si levò nel cielo. Ash tossì, si asciugò gli occhi che lacrimavano e guardò la cima dell'altura. Una colonna di fumo nero si levava tra gli alberi e un attimo dopo le fiamme avvamparono con un boato tra i rami, le foglie morte a terra e il sottobosco. Vide per un attimo un uomo che puntava l'arco ricurvo e una nuvola di frecce nere che oscurava il cielo. Le fiamme distrussero in pochi istanti la linea di alberi in cima all'altura, da dove cominciarono a sentirsi i nitriti terrorizzati dei cavalli. Grazie a Dio, pensò, non devo mandare i miei uomini su per quel pendio. «Andiamo!» La sua voce si levò imperiosa e acuta sopra i lamenti dei muli, le urla dei feriti e gli ultimi colpi degli archibugi.
Prese il portatore dello stendardo per un braccio e lo spinse verso l'uscita della valle. «Monta a cavallo! Vai! Veloce!» Nella valle regnava il caos più totale: uomini che correvano ai cavalli, il tonfo delle frecce, le urla di Ash, il nitrito dei cavalli e dei muli, Robert Anselm che ordinava ai suoi uomini di raggrupparsi intorno allo stendardo, Euen Huw che riversava un fiume di bestemmie in gallese e italiano contro i suoi arcieri, padre Maximillian che tirava i muli da carico. Su uno di essi c'era il corpo di Henri Brant con due frecce piantate tra le costole sotto il braccio destro. Un urlo distrasse Ash. Due uomini con la divisa nera uscirono allo scoperto lanciandosi alla carica verso di lei. «Tirate!» urlò Ash e un attimo dopo una dozzina di frecce trapassarono i corpi dei due Visigoti. Uno crollò a terra morto all'istante. L'altro scivolò sulla schiena rompendosi una gamba e morì un attimo dopo. Philibert le portò un cavallo, Ash ne afferrò le redini, balzò in sella e lo spronò verso l'uscita della valle, consapevole che anche i portatori degli stendardi stavano correndo ai loro cavalli. Gli arcieri a cavallo la superarono al galoppo incitati da Euen, una ventina di questi portavano dei feriti o dei morti di traverso sulla sella. Un attimo dopo passarono altri uomini. Le donne, Floria del Guiz e Godfrey trascinavano i muli sui quali avevano sistemato i feriti, incuranti delle masserizie che cadevano a terra. «Cosa diavolo ci fai qua?» urlò Ash, rivolta a Florian. «Pensavo che fossi rimasto a Colonia.» Il chirurgo, che teneva un braccio sulla schiena di un ferito in groppa a un mulo, le sorrise. «Ci deve essere sempre qualcuno a tenerti d'occhio!» Il grosso del suo contingente, circa centocinquanta uomini, la superò urlando; Ash rallentò per aspettare il porta bandiera e un'altra mezza dozzina di cavalieri. Il fumo denso le faceva lacrimare gli occhi. Si asciugò il volto con il guanto. La cima dell'altura era un inferno. Le fiamme lambivano ormai le cime dei pini che erano cresciuti altissimi per ricevere meglio la luce del sole. Un uomo in fiamme sbucò dalla foresta, crollò a terra e scivolò lungo il pendio fermandosi a pochi metri da Ash. La pelle annerita e bruciata ribolliva. Alle spalle di Ash il fondo valle era costellato di cadaveri, carri distrutti ed equipaggiamenti abbandonati. Il caldo le imperlò il volto di sudore e lei si asciugò nuovamente usando il dorso del guanto.
«VIA!» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il cavallo compì un giro su se stesso, quindi si lanciò nella scia dei duecento uomini che fuggivano lungo il corso del fiume in secca. C'era puzzo di fumo ovunque. Un cervo balzò fuori dal limitare del bosco e attraversò di corsa lo schieramento di arcieri a cavallo, mentre l'aria sopra gli alberi era lacerata dalle grida dei gufi, delle poiane e dei gheppi. Ash tossì. La vista cominciava a schiarirsi. A un centinaio di metri da lei il terreno prendeva a salire. Un debole vento dal nord le rinfrescò il viso. Il fuoco consumava la foresta alle sue spalle. Raggiunse Robert Anselm ed Euen Huw che continuavano a incitare i loro uomini a scappare. «Continuiamo a seguire il letto del fiume» urlò esultante Ash, malgrado il frastuono dei cavalli lanciati al galoppo. «Non dobbiamo fermarci per nessun motivo al mondo. Se il vento cambia siamo fottuti tutti quanti.» Anselm indicò con il pollice il pendio di fronte a loro e il corpo di un uomo. «Non siamo stati i primi a passare di qua. Sembra che tuo marito abbia avuto la stessa idea.» In quel cadavere c'era qualcosa che spinse Ash a controllare. Si sporse in fuori per guardare tra gli zoccoli e vide il corpo di un uomo appoggiato contro un pino. Dalla posizione in cui si trovava era chiaro che si era rotto la schiena. Il volto era ridotto a un grumo informe di sangue rappreso, quindi era impossibile stabilire il colore della pelle o dei capelli. Riconobbe un simbolo sui vestiti che fino a poche ore prima dovevano essere stati bianchi. «È Asturio Lebrija.» Ash tornò dritta per stabilizzare il cavallo che era ormai quasi allo stremo. «Forse il giovane del Guiz non ce l'ha fatta.» La voce di Anselm era venata da un sinistro compiacimento. «Può darsi che ci siano pattuglie di Visigoti ovunque. Non vorranno far sapere subito che è in corso un'invasione.» Il roano che montava scartò nel sentire lo scoppiettio delle fiamme. Ash lo fermò e si lasciò superare dagli ultimi due uomini di van Mander. I cavalli scivolavano sugli aghi secchi che ricoprivano il terreno e l'aria puzzava di pece e resina. Ce l'ho fatta! Li ho tirati fuori e non posso abbandonarli adesso! Possono ancora beccarci prima che raggiungiamo le montagne. Possiamo trovare i passi chiusi anche in questa stagione e se questo cacchio di
vento cambia finiamo tutti fritti. «Continuate in questa direzione e fa' in modo che nessuno si impantani! Fa' in modo che continuino a salire sulle colline. Voglio che ci togliamo dalla linea del fuoco in fretta.» Robert Anselm si allontanò ancor prima che lei avesse finito di parlare. Ash guardò il fondo valle. Tutto sembrava perdere di drammaticità da quel punto di vista: le spirali di fumo nero che si alzavano a solleticare il cielo e il balenare discontinuo delle fiamme. Il fuoco avrebbe distrutto tutta la vegetazione delle colline. Ormai era inarrestabile e Ash ne era pienamente conscia. L'incendio avrebbe distrutto gli uliveti e le vigne. Molte famiglie di contadini avrebbero maledetto il suo nome insieme ai cacciatori, ai pastori e a tutte le persone che traevano di che vivere da quella valle... Aveva il corpo indolenzito. La brigantina e gli stivali puzzavano di sangue di cavallo. Cercò di vedere se dalla costa erano partiti altri golem. Le aquile di metallo brillavano in lontananza, mentre il fumo che si levava da Genova nascondeva il resto del paesaggio. Un arciere a cavallo la superò. Aveva il sangue che gli colava dal polso. Era l'ultimo dei suoi uomini. «Jan-Jacob!» Ash lo raggiunse, afferrò il cavallo per le redini e l'uomo crollò contro il collo della bestia. Ash raggiunse la retroguardia della colonna tenendosi bassa per evitare i rami dei pini. Alle sue spalle il Nord Africa aveva cominciato l'invasione dell'Europa. IV Sette giorni dopo Ash si trovava sullo spiazzo di fronte al padiglione dell'imperatore, circondata dalle guardie. Alle sue spalle, distanziati di un paio di metri, c'erano i suoi ufficiali, il mastro artigliere, il chirurgo e il prete. Le bandiere imperiali garrivano al vento. L'odore di resina di pino che si levava dalle gradinate costruite nei pressi del padiglione di Federico la fece rabbrividire. Il clangore del metallo contro il metallo risuonò oltre le barriere dietro le quali si svolgeva il torneo. Anche se gli scontri di quel genere erano sufficienti a storpiare a vita un uomo, venivano relegati nella categoria dei giochi. Lasciò vagare lo sguardo sugli uomini che formavano il seguito dell'imperatore. Molti nobili germanici, alcuni rappresentanti della Lega di Co-
stanza, qualche Francese e dei Burgundi, ma non c'erano ambasciatori di Milano, della Savoia o di uno dei regni a sud delle Alpi. Non c'era neanche Fernando del Guiz. «Quella seduta di spalle sulla sinistra è Costanza, la mia matrigna» la informò Floria del Guiz con un sussurro. Ash spostò lo sguardo sui posti riservati alle donne e vide Costanza del Guiz, ma non il figlio. La donna sedeva da sola. «Perfetto. Facciamola finita. Voglio scambiare due parole con quella donna...» Le spade si incrociarono nuovamente e Ash provò un brivido colmo d'aspettativa che le chiuse lo stomaco. Il vento lambiva il suo volto e costeggiava le colline verdeggianti per poi calare verso le bianche mura di Colonia che racchiudevano i tetti blu delle case e i campanili delle chiese. C'erano dei cavalli sulla strada e in lontananza scorgeva dei contadini con il capo coperto da cappelli di paglia a tesa larga che abbattevano dei castagni per costruire recinti. Quante possibilità avrebbero avuto quegli uomini di falciare il grano quell'anno? Ash tornò a concentrasi sulla figura di Federico d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero che ascoltava uno dei suoi consiglieri. Terminato il rapporto l'imperatore aggrottò la fronte. «Avresti dovuto sconfiggerli, Ash!» La voce dell'imperatore era abbastanza alta perché potessero sentirla tutti i presenti. «Erano solo truppe di schiavi provenienti dalla terra della pietra e del crepuscolo!» «Ma...» «Come fai a definirti condottiero mercenario se non sei in grado di sconfiggere degli esploratori?» «Ma...!» «Avevo un'opinione migliore di te. Ma non è mai saggio fidarsi di una donna! Ne risponderà tuo marito!» «Ma... Oh, 'fanculo! Voi pensate che vi abbia fatto fare una brutta figura.» Ash incrociò le braccia e fissò l'imperatore dritto negli occhi. Poteva sentire Robert Anselm che si agitava dietro di lei senza bisogno di girarsi a guardarlo. Anche il volto di Joscelyn van Mander si era rabbuiato, ma poteva essere un'espressione dovuta al dolore alla gamba. «Perdonatemi se non sono impressionata. Ho appena ricevuto un rapporto sulle perdite che ho subito. Ho quattordici feriti nell'ospedale della città. Due hanno subito mutilazioni tanto gravi che dovrò metterli a riposo. Sono morti dieci dei miei uomini. Ned Aston è ferito gravemente.» Si fermò,
rendendosi conto che stava uscendo dal seminato. «Sono stata sui campi di battaglia fin da bambina e questa non è una guerra qualunque. Non è neanche brutta come le altre. È...» «Tutte scuse!» sbottò Federico. «No.» Ash fece un passo avanti e le guardie del corpo dell'imperatore si misero in allerta. «I Visigoti non hanno mai combattuto così!» Indicò i capitani di Federico. «Chiedete a chiunque abbia combattuto nel sud. Io credo che avessero degli squadroni di cavalleria che pattugliavano la costa e l'entroterra per circa quaranta o cinquanta chilometri. Ci hanno fatto passare. Hanno fatto passare anche l'Agnello. In questo modo impediscono alle notizie di uscire! Hanno anticipato tutte le nostre mosse. Non è il loro solito modo di combattere, sono troppo disciplinati per essere delle truppe composte di schiavi e contadini!» Ash posò la mano sinistra sul fodero. «Ho sentito notizie provenienti dal monastero del Gottardo. Si pensa che i Visigoti abbiano un nuovo generale, ma nessuno sa nulla. Nel sud regna il caos più completo! Ci abbiamo impiegato sette giorni per tornare. Sono già arrivati i messaggeri? C'è qualche notizia da oltre le Alpi?» L'imperatore Federico alzò la coppa di vino e la ignorò. Il monarca sedeva sul suo scranno dorato in mezzo a un manipolo di uomini con indosso abiti di velluto decorati con inserti di pelliccia e donne in lunghe tuniche di broccato. I più distanti continuavano a fissare il torneo con sguardi colmi d'avidità, i più vicini non staccavano gli occhi dall'imperatore, pronti a ridere o ad aggrottare la fronte a seconda dell'umore di Federico. Il padiglione imperiale era sormontato da una riproduzione di una grossa aquila nera: il simbolo araldico dell'imperatore. «Come possono tenere un cazzo di torneo con un cacchio d'esercito alla porta? Cristo!» borbottò Robert Anselm, sfruttando il brusio che si levava tra i servitori impegnati a lavorare sotto il padiglione. «Pensano di essere al sicuro finché i Visigoti non avranno superato le Alpi.» Florian del Guiz tornò dal giro che aveva fatto tra i nobili e le posò una mano sulla spalla. «Non ho visto Fernando e nessuno ne vuole parlare. Sono tutti muti come tombe.» «Merda!» Ash lanciò un'occhiata di sottecchi alla sorella di Fernando e notò che anche lei aveva le lentiggini sul viso, solo che i lineamenti del suo volto avevano perso la freschezza della gioventù. Se in questa compagnia c'è qualcuno che somiglia a una donna travestita da uomo, pensò Ash,
quello è proprio Angelotti e non Florian. Antonio è troppo bello per essere vero. «Puoi trovare qualcuno che mi possa dire se mio marito è tornato a Colonia?» domandò Ash, rivolgendosi a Godfrey Maximillian. Il prete spinse in fuori le labbra. «Non sono riuscito a trovare nessuno che abbia parlato con lui dopo che ha lasciato il rifugio sul passo del San Bernardo insieme ai suoi uomini.» «Cosa diavolo sta facendo? Non ditemelo: ha incontrato un'altra pattuglia di Visigoti e ha avuto la grande idea di sconfiggere l'esercito invasore da solo...» «Che impeto» borbottò Anselm, d'accordo. «Non è morto. Non sono così fortunata. Beh, almeno ho ottenuto di nuovo il comando.» «'De facto'47 » bofonchiò Godfrey. Ash spostò il peso da una gamba all'altra. Il fatto che stessero servendo da mangiare e da bere era studiato apposta per farla aspettare in piedi. Forse Federico stava pensando a quale punizione infliggerle per la sconfitta subita. «Stiamo giocando e basta!» «Cristo Santo, Madonna,» borbottò Angelotti «ma questo uomo sa cosa sta succedendo?» «Vostra Maestà Imperiale!» Ash attese che Federico si degnasse di fissarla. «I Visigoti hanno mandato dei messaggeri. Ho visto degli uomini di terracotta dirigersi a ovest verso Marsiglia e a sud est verso Firenze. Avrei mandato degli uomini a bloccarli se non fossi caduta nell'imboscata. Pensate veramente che gli invasori si limiteranno a conquistare Genova, Marsiglia e la Savoia?» L'imperatore sbatté le palpebre colpito da tanta rudezza. «È vero, lady del Guiz, ho ricevuto ben poche notizie dal sud da quando è stato chiuso il passo del Gottardo. Anche i miei banchieri non sanno dirmi molto. Lo stesso vale per i miei vescovi. Tu penserai che non hanno i loro informatori... Ma tu? Come hai potuto tornare e dirmi così poco?» La indicò con un dito. «Saresti dovuta rimanere e osservare per più tempo!» «Se l'avessi fatto ora potreste raggiungermi solo con le preghiere!» Ash valutò di essere a un passo dall'arresto, ma i suoi pensieri tornavano sempre a Pieter Tyrrel in una stanza dell'ospizio di Colonia con dieci luigi d'oro e il mignolo, l'anulare e il medio della mano sinistra amputati. A Philibert, scomparso una notte sul Gottardo, a Ned Aston che era morto e a 47
Latino: 'di fatto', contrapposto a de jure, 'per diritto di legge'.
Isobel, della quale non restava neanche il corpo per farle un funerale. Aspettò il momento giusto e riprese a parlare con cautela. «Vostra Maestà, oggi mi sono recata dal vescovo.» Osservò l'espressione interrogativa apparsa sul volto di Federico. «Chiedete ai vostri avvocati e ai preti, Vostra Maestà. Mio marito mi ha abbandonata senza consumare il matrimonio.» Floria represse un grugnito. L'imperatore si rivolse a Floria del Guiz. «È vero, mastro chirurgo?» «Vero come il fatto che esisto e mi trovo di fronte a voi, Vostra Maestà» rispose immediatamente Floria, senza, almeno apparentemente, provare disagio. «Quindi ho chiesto che il matrimonio venga annullato» incalzò Ash. «Non sono più legata da nessun obbligo feudale, Vostra Maestà Imperiale. E il contratto che avevo stipulato con voi è rescisso dal momento in cui le truppe borgognone si sono ritirate da Neuss.» Il vescovo Stefano si inclinò di lato e sussurrò qualcosa nell'orecchio dell'imperatore. Ash osservò i lineamenti di Federico che si indurivano. «Beh» disse Ash, con la sicurezza di un capitano con ottocento uomini da poter schierare in campo. «Fatemi un'offerta e io la sottoporrò ai miei uomini. Penso che la Compagnia del Leone. E con paghe ottime.» «Mer-da...» sussurrò Anselm. Sapeva di aver appena commesso una bravata. Giochi politici, cavalcate estenuanti e cibo pessimo, le battaglie e le morti inutili dell'ultimo mese non potevano essere ripagate parlando come un servitore maleducato, ma almeno si era sfogata. Antonio Angelotti rise. Van Mander le diede una pacca sul piastrone. Ash ignorò le attenzioni dei due uomini continuando a concentrarsi su Federico per godersi la vista dell'imperatore preso alla sprovvista. Sentì il sospiro di Godfrey Maximillian e sorrise raggiante, all'indirizzo dell'imperatore. Non ebbe il coraggio di aggiungere: 'Voi vi dimenticate che non vi apparteniamo. Siamo mercenari', ma lasciò che il concetto permeasse di sé l'espressione del suo viso. «Cristo Verde» borbottò il prete. «Non ti basta avere Sigismondo del Tiralo come nemico, adesso vuoi anche l'imperatore!» Ash chiuse le mani guantate intorno alle protezioni dei gomiti. «Non otterremo più nessun contratto dai Tedeschi, lo sai bene anche tu. Ho detto a Geraint di cominciare a smontare il campo. Andremo in Francia. Non rimarremo senza lavoro di questi tempi.»
Il tono brutale e incurante della sua voce era dovuto in parte al dolore per i morti e gli storpi e in parte alla gioia selvaggia e viscerale che provava per il semplice fatto di essere ancora viva. Prese il prete a braccetto. «Suvvia, Godfrey. È il nostro lavoro, ricordi?» «Sarà il nostro lavoro se non ti rinchiudono in una segreta di Colonia...» Godfrey Maximillian si interruppe improvvisamente. Un gruppo di preti si fece strada tra la folla e in mezzo al gruppo di religiosi, Ash scorse una testa pelata che le fece provare una sensazione molto spiacevole... Gli uomini cominciarono a spingersi, il capitano delle guardie del corpo di Federico urlò una minaccia che servì a creare uno spazio di fronte all'imperatore. Sei preti provenienti dal rifugio sul passo del San Bernardo si inchinarono davanti al monarca. «Quello è Quesada» disse Ash, aggrottando la fronte. «L'ambasciatore visigoto.» «Cosa ci fa qui?» Godfrey sembrava stranamente agitato. «Solo Cristo lo sa. Se lui è qui, dov'è Fernando? A che gioco sta giocando mio marito? Daniel de Quesada... Ecco la testa di un uomo che sta per tornare a casa in un cesto.» Controllò automaticamente la posizione dei suoi uomini: Anselm, van Mander e Angelotti indossavano l'armatura ed erano armati, Rickard reggeva lo stendardo, Floria e Godfrey erano disarmati. «È proprio conciato male... cosa diavolo gli sarà successo?» L'ambasciatore era in ginocchio di fronte a Federico d'Asburgo e i suoi principi. La testa pelata e le guance erano macchiate di sangue rappreso e qualcuno gli aveva strappato la barba con violenza. Il suo sguardo vagava qua e là e quando si posò su di lei sembrò non riconoscerla. Ash si inquietò. Non è una guerra qualunque. Non è neanche brutta come le altre - cos'è, allora? pensò, frustrata. Perché sono preoccupata? Mi sono tirata fuori da questi intrighi politici. Siamo conciati male, ma la compagnia ha già subito perdite in passato; ce la caveremo anche questa volta. Ho vinto. Si tratta solo di affari come al solito; qual è il problema? Ash era in piedi sotto il sole cocente, al limitare dell'ombra prodotta dal padiglione del torneo. Il rumore delle lance spezzate e le ovazioni della folla echeggiarono nell'aria. Una folata di vento portò con sé l'odore della pioggia in avvicinamento. Il Visigoto girò la testa e cominciò a squadrare i cortigiani. Ash vide il sudore imperlargli il capo e quando parlò si espresse con il tono febbrile ed eccitato di un uomo che si aspetta di morire entro pochi minuti.
«Uccidetemi!» invitò de Quesada, rivolgendosi all'imperatore. «Perché non farlo? Ho portato a termine la mia missione.» Parlava in un tedesco fluido. «Noi eravamo la menzogna che serviva a tenervi occupati. Il signore, il califfo-re Teodorico ha mandato altri ambasciatori alle corti di Savoia, Genova, Firenze, Venezia, Basilea e Parigi dando a tutti le stesse istruzioni.» «Cos'è successo a mio marito?» chiese Ash nel suo cartaginese colloquiale. «Quando ti sei separato da Fernando del Guiz?» Ash poté leggere sul volto dell'imperatore quanto fosse stata imperdonabile e irrilevante la sua interruzione, e si mise in allerta, pronta a subire l'ira del monarca o ad ascoltare la risposta di Daniel de Quesada. «Mastro del Guiz ha deciso di liberarmi nel momento in cui ha giurato fedeltà al nostro califfo-re Teodorico» rispose de Quesada, tranquillo. «Fernando? Lui, che giura di essere leale a...?» Ash lo fissò attonita. «Al Califfo dei Visigoti!» Ash, che in quel momento non sapeva se ridere o piangere, udì Robert Anselm alle sue spalle che scoppiava a ridere di gusto. De Quesada parlava fissando l'imperatore, pronunciando ogni parola con malizia. «Incontrammo una divisione del nostro esercito a sud del passo del Gottardo. Erano dodici uomini contro mille duecento. A del Guiz venne permesso di restare in vita con il pieno possesso del suo titolo e delle sue ricchezze, a patto che giurasse fedeltà a noi.» «Non l'avrebbe mai fatto!» protestò Ash. «Voglio dire, non l'avrebbe...» Non riusciva più a trovare le parole. «È un cavaliere. Sono falsità. Voci. È una tattica del nemico.» Né l'ambasciatore né l'imperatore le diedero ascolto. «Tu non hai nessun diritto di concedere delle ricchezze che sono mie, Visigoto!» Federico d'Asburgo si girò sullo scranno. «Mettete sotto sequestro tutti i beni e le ricchezze della famiglia del giovane» ringhiò «per tradimento.» Uno dei preti che avevano portato fin lì l'ambasciatore si schiarì la gola. «Abbiamo trovato questo uomo, Quesada, che vagava sperduto nella neve, Vostra Maestà Imperiale. Non riusciva a dire nessun altro nome se non il vostro. Pensavamo di compiere un atto di carità nel portarlo qui. Perdonate il nostro errore.» «Se hanno incontrato i Visigoti, come mai vagava nella neve?» borbottò Ash rivolgendosi a Godfrey.
Il prete allargò le braccia e scrollò le spalle. «Dio solo lo sa, figliola!» «Bene, allora fammi sapere appena ti dirà qualcosa!» Le labbra dell'imperatore si piegarono in una smorfia di disgusto nei confronti di Daniel de Quesada. «È ovvio che quest'uomo è pazzo. Cosa può saperne di del Guiz? Siamo stati precipitosi - il sequestro è revocato. Sta solo farneticando: sono menzogne costruite ad arte. Padri, vi prego di tenerlo confinato nel convento del vostro ordine in città. Esorcizzatelo, fate uscire il demonio da lui. Vediamo come va a finire questa guerra: egli sarà il nostro prigioniero, non il loro ambasciatore.» «Non è una guerra!» urlò Daniel de Quesada. «Se solo voi sapeste vi arrendereste adesso, non si tratterà di qualche schermaglia! Perderete il conto dei morti! In questo momento le città italiane stanno imparando la lezione...» Una delle guardie del corpo dell'imperatore si mise alle spalle di de Quesada e gli posò la lama di una daga vecchia e intaccata, ma ancora validissima, contro la gola. «Sapete cosa state affrontando?» farfugliò l'ambasciatore. «Vent'anni! Vent'anni di preparativi!» L'imperatore Federico rise. «Bene, bene, bene, non abbiamo niente contro di voi. Le vostre battaglie contro i mercenari non sono più affar mio.» Gratificò Ash con un sorrisetto secco, ripagandola con gli interessi di quanto gli aveva detto poco prima. «Voi vi definite 'Sacro Romano Impero'» continuò de Quesada. «Ma in realtà non siete neanche l'ombra dello Scranno Vuoto48 . Per quanto riguarda le città italiane le abbiamo depredate per l'oro e nient'altro. Perché dovremmo voler sottomettere i contadini tra Basilea, Colonia, Parigi e Granada? Se avessimo voluto degli schiavi, la flotta turca a Cipro sarebbe già in fiamme.» Federico d'Asburgo fece cenno ai nobili di calmarsi. «Ricorda che sei circondato da stranieri, per non dire nemici. Forse ti comporti così perché sei un pazzo?» «Non vogliamo il vostro Sacro Romano Impero» disse de Quesada scrollando le spalle. «Ma lo prenderemo. Prenderemo tutto ciò che si trova tra noi e la più grande delle ricchezze.» Gli occhi dell'ambasciatore si posarono sugli ospiti burgundi. Ash pensò 48
Il contesto mi porta a sospettare che l'ambasciatore si riferisse alla città di Roma, forse al trono papale, lo scranno di Pietro? Si tratta di un riferimento oscuro.
che stessero ancora festeggiando la pace di Neuss. Quesada si concentrò sul volto di un uomo che lei conosceva bene: Olivier de la Marche, il capitano delle guardie del duca Carlo di Borgogna. «Prima prenderemo tutto ciò che si trova tra di noi e il ducato di Borgogna» sussurrò de Quesada. «Poi prenderemo la Borgogna stessa.» Il più ricco di tutti i principati d'Europa. Ash ricordava che qualcuno una volta le aveva detto quella frase. Fece vagare lo sguardo dall'ambasciatore visigoto alla rappresentanza del duca di Borgogna, nella quale riconobbe più di un volto. Olivier de la Marche, un uomo robusto che indossava una divisa rossa e blu, rise di gusto con la sua voce abituata a farsi sentire sopra il trambusto infernale della battaglia. Una serie di risatine si levarono dagli uomini tutti armature lucidate, vestiti lussuosi, spade con pomelli d'oro, volti sbarbati e fiduciosi come a voler rendere tangibile la forza dei veri cavalieri, che affiancavano il capitano. Ash provò un momentaneo impulso di simpatia nei confronti di Daniel de Quesada. «Il mio duca ha recentemente conquistato la Lorena 49 » lo blandì Olivier de la Marche, in tono amabile. «Per non parlare delle sconfitte inflitte al nostro re di Francia.» Molto diplomaticamente evitò di guardare Federico d'Asburgo e menzionare Neuss. «Il nostro esercito è invidiato in tutta la cristianità. Metteteci alla prova, signore. Metteteci alla prova. Vi prometto un caldo benvenuto.» «E io vi prometto un saluto gelido.» Gli occhi di Daniel de Quesada erano lucidi. Ash mise la mano sulla spada senza neanche rendersene conto. Tutto il corpo di quell'uomo sembrava comunicare qualcosa di sbagliato, come se avesse abbandonato ogni sorta di freno inibitorio. Solo i fanatici e gli assassini si comportavano in quel modo. Ash lanciò una rapida occhiata al padiglione del torneo, al simbolo dell'imperatore, alle guardie, ai suoi ufficiali... Daniel de Quesada urlò. Aveva spalancato del tutto la bocca e le corde vocali gli sporgevano dal collo. L'urlo coprì le ovazioni della folla finché non ebbe ridotto tutti al silenzio. Ash sentì Godfrey che afferrava la croce che portava sul petto e avvertì i capelli che le si rizzavano alla base della nuca come mossi da una ventata gelida. Quesada continuava a urlare in preda a una rabbia incontrollata. Silenzio. L'ambasciatore visigoto abbassò la testa fissando la folla davanti a sé 49
Nel 1475.
con occhi infuocati e iniettati di sangue. Le guance avevano ripreso a sanguinare. «Conquisteremo la Cristianità» sussurrò, adirato. «Prenderemo le vostre città. Tutte. E prenderemo anche te, Borgogna, anche te... ora che tutto è cominciato ho il permesso di mostrarvi un segno.» Qualcosa indusse Ash ad alzare lo sguardo. Un attimo dopo si rese conto che stava seguendo gli occhi dell'ambasciatore visigoto, che fissavano il cielo con sguardo estatico. Daniel de Quesada teneva lo sguardo fisso sul sole di mezzogiorno. «Merda!» Gli occhi di Ash si colmarono di lacrime e si sfregò il viso con una mano per asciugarli. Non vedeva più nulla: era cieca. «Cristo!» urlò. Altre urla echeggiarono per il campo. Si strofinò gli occhi freneticamente. Non riusciva a vedere nulla... nulla... Ash rimase immobile per un attimo, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani. Oscurità. Il nulla. Premette con maggiore forza. Sentì le pupille che si muovevano contro il tessuto del guanto. Tolse le mani. Oscurità. Il nulla. Sentì del bagnato: lacrime o sangue? Non sentiva dolore... Qualcuno la urtò violentemente e lei afferrò un braccio: qualcuno urlava e lei non riusciva a distinguere le parole, poi: «Il sole! Il sole!» Ash era inginocchiata, senza guanti, con le mani premute contro il terreno secco. Un corpo era appoggiato contro il suo e lei si aggrappò a quell'individuo in cerca di sicurezza. «Il sole... è sparito» sussurrò una vocina che Ash impiegò qualche attimo prima di attribuire a Robert Anselm. Alzò la testa. Incominciò a intravedere qualcosa. Erano delle luci deboli. Dei puntini distanti che si stagliavano all'orizzonte. Abbassò gli occhi e riuscì a distinguere il contorno delle mani. Alzò nuovamente lo sguardo e vide delle costellazioni a lei sconosciute. Tutto era immerso nell'oscurità. «Ha fatto sparire il sole» sussurrò Ash.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduta della Borgogna (Ratcliff, 2001), British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#19 (Pierce Ratcliff) Ash: 06/11/00 ore 10,10 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
HA FATTO SPARIRE IL *SOLE*??? E tu dove sei? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#19 (Pierce Ratcliff) Ash: 06/11/00 ore 10,10 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
Sono confinato in una stanza di un hotel a Tunisi. Uno dei giovani assistenti di Isobel Napier-Grant mi sta spiegando come scaricare e spedire email attraverso le linee telefoniche della Tunisia e ti assicuro che, come potrai immaginare, non è facile come sembra. Il camion si recherà al sito solo stanotte con il favore delle tenebre. Gli archeologi diventano dei veri fanatici quando si tratta di sicurezza, ma se Isobel ha veramente trovato quello che dice non mi sento di biasimarla. Quando mi disse che sarebbe venuta fin qua, io speravo che potesse trovare delle prove per sostenere la mia tesi ma, mai e poi mai mi sarei aspettato QUESTO! 'Ha fatto sparire il sole'. Certo. Da quello che ho scoperto, tra il 1475 e il 1476 non c'è stata nessuna eclisse visibile. L'unica a cui riesco a pensare è quella del 25 febbraio 1476, a Pskov, ma siamo in Russia! Comunque, è
molto probabile che i cronisti l'abbiano usata come una sorta di licenza poetica per rendere il tutto più drammatico. Anch'io ho fatto lo stesso. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#20 (Pierce Ratcliff) Ash: sfondo storico della vicenda 06/11/00 ore 18,44 Longman@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
INSOMMA!!! Ho controllato, Pierce. Le uniche guerre che si sono svolte tra il 1476 e il 1477, sono legate al tentativo del duca Carlo l'Intrepido di Borgogna di conquistare la Lorena e di unire il suo 'Regno Intermedio' all'Europa. Poi c'è la sua sconfitta a opera degli Svizzeri a Nancy e la sua morte. Ci sono state le solite guerre tra le città stato italiane, ma non c'è *niente* che riguardi il Nord Africa! E non dirmi che questa è una concezione eurocentrica della storia! Non trovi che un'invasione dell'Italia e della Svizzera sarebbe un fatto un po' troppo ECLATANTE per farlo passare inosservato? *Te lo ripeto, Pierce, COS'È QUESTA STORIA DELL' INVASIONE VISIGOTA???!!! * — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#23 (Anna Longman) Ash: 06/11/00 ore 19,07 Longman@
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Ti avevo detto che quanto contenuto nel FRAXINUS avrebbe ridimensionato la storia come oggi la conosciamo. Molto bene: È mia intenzione dimostrare che un insediamento visigoto del Nord Africa in un certo momento della storia (AD 1475 - AD 1477) invase militarmente il sud dell'Europa. Sosterrò anche che l'interesse per quella incursione si perse nel panico suscitato dalla morte in battaglia di Carlo l'Intrepido (1477). Credo che bisognasse aspettarselo. Non trovi che questo fatto sia stato ignorato a causa dello strapotere di una classe accademica di storici bianchi e maschi, che non poteva concepire che il dominio dell'Europa Occidentale fosse stato messo in pericolo dall'Africa? E che una cultura fatta di meticci potesse provarsi militarmente superiore alla Cristianità Occidentale di origine Caucasica? — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#23 (Anne Longman) Ash: sfondo storico della vicenda 06/11/00 ore 19,36 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli cancellati
Il problema continua a essere che il testo cita un'invasione dell'Europa Occidentale nel 1476, quando neanche i Turchi RIUSCIRONO MAI A INVADERE L'EUROPA!!! So quello che mi risponderai: secondo la tua teoria, Ash ha combattuto contro i Visigoti dell'Africa del Nord. PERCHÉ QUESTO FATTO NON È MENZIONATO NEI MIEI LIBRI DI STORIA? — Anna ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anne —
#24 (Anne Longman) Visigoti 07/11/00 ore 17,234 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Sono nel sito! Il dottor Napier-Grant mi sta gentilmente permettendo di usare il suo PC satellitare. Ho così tanto da dire che non posso aspettare di raggiungere un telefono, senza contare che le linee telefoniche di quaggiù sono tremende. Isobel (scusa, è il dottor N-G, nel caso lo avessi dimenticato) Isobel mi dice che posso farti qualche anticipazione, ma non vuole che trapeli nulla, perché se qualcun altro dovesse leggere questo messaggio si troverebbe con tutti gli archeologi tra qui e il polo nord davanti al sito. Per non parlare di quelli che stanno già ronzando qua intorno da qualche giorno. So che non dovrei dirlo, ma si tratta di qualcosa di caldo e fumante e gli unici momenti in cui possiamo sopportarlo è quando siamo fuori dagli scavi - dei quali, ovviamente, *non* ti dirò l'ubicazione!! Ti basti sapere che si trovano molto vicini alla costa settentrionale di questa regione della Tunisia. (Vedo delle montagne a sud che mi fanno pensare al ghiaccio, al freddo e a luoghi in cui non devi stare sotto una tenda dall'una fino alle cinque del pomeriggio!) So che sentire tutto questo ti darà fastidio, ma non posso dirti quello che ti piacerebbe ascoltare e se non parlo scoppio. Isobel mi ha detto che visto che stiamo per pubblicare il libro *posso* riferirti qualcosa. Isobel è una donna fantastica. Ci conosciamo dai tempi di Oxford e lei è l'ultima persona che ritengo possa eccitarsi quando non è il caso. Basta guardare il taglio di capelli corto e le scarpe che porta. (No, non l'abbiamo mai fatto. Io volevo. Ma Isobel non è certo una che capisce al volo.) Da quando sono arrivato qui, ventiquattro ore fa, l'ho vista andare avanti e indietro per il sito come una scolaretta! *Potremmo* trovarci di fronte ad altri diari di Hitler, ma non credo. Cosa abbiamo trovato? (No, 'trovato' è inesatto, visto che è tutta opera di Isobel e del suo fantastico team.) I golem. Sono proprio come li descrive il testo. 'I golem messaggeri'. Uno è integro, l'altro a pezzi. Ti ricordi quando ti parlavo dell'alto grado di specializzazione raggiunto dall'ingegneria araba nel Medio Evo? Le fontane musi-
cali, gli uccelli meccanici che battevano le ali e tutti quegli oggetti di svago dell'epoca post-romana? Molto bene: I manoscritti sulla vita di Ash si riferiscono agli 'uomini di terracotta', 'robot', 'golem', come a riproduzioni meccaniche dell'uomo. È ovvio che si tratta di una stupidaggine bella e buona. Prova a immaginare qualcuno che costruisce un robot nel quindicesimo secolo! Al limite si poteva pensare a oggetti di carattere ornamentale, forse. *Solo* forse. Voglio dire, se puoi costruire un uccello metallico in grado di cantare che, come spiegano tutti i trattati di ingegneria romana, funzionava idraulicamente o pneumaticamente, ma non chiedermi altro perché non sono un ingegnere, allora, suppongo che sia possibile costruire un modello metallico di un uomo. Ruggero Bacone fece qualcosa di simile con la sua Testa d'Ottone. Non riesco a capire perché qualcuno dovesse prendersi tale disturbo. Questo era quanto pensavo fino a ventiquattro ore fa. Allora andavo di fretta: dovevo prendere un aereo per Tunisi ed essere scarrozzato su una stramaledetta jeep fino al 'campo' degli archeologi e farmi condurre sul sito a piedi da Isobel. Ci sono soldati a guardia del campo con tanto di kalashnikov e jeep, ma non sembrano molto allerta. Penso che sia un dono del governo per tenere lontani i curiosi. Credo che a Isobel vada bene così. Una visita dei militari al sito è l'ultima cosa che vogliamo. Potrebbero distruggere degli oggetti che hanno più di cinquecento anni. Sì, per Isobel risalgono a cinquecento anni fa. È sicura che siano rimasti sepolti per tanto tempo e credo che sia una teoria più che attendibile. Non mi trovo di fronte alla stramberia di epoca vittoriana che credevo di trovare. Questi sono i 'golem messaggeri' citati nei testi su Ash: riproduzioni a grandezza naturale in pietra di un uomo (Isobel sostiene che quello integro è fatto di marmo italiano) complete di articolazioni del ginocchio, delle spalle, delle braccia, delle mani, dei gomiti e delle anche. Del secondo sono rimaste solo le giunture metalliche. *Sono i golem*! Confesso di non riuscire a comprendere tutto ciò che si dicono Isobel e il suo team: per essere più preciso, non comprendo i dettagli tecnici. C'è un *gran* chiasso per cercare di capire se essi appartengono alla cultura araba medievale o a quella europea. Il marmo è italiano, ma la pietra di Carrara venne largamente esportata in tutta la Cristianità, come ho cercato di far notare. Ho dato a Isobel la mia copia della traduzione sottolineando che la cultura 'visigota' di cui faccio menzione nel testo *non* è solo goticoiberica, ma piuttosto un misto di cultura visigota, spagnola e araba. Sono arrivato a questo punto, ma non ti ho riferito la scoperta più impor-
tante. Tu sarai sicuramente seduta a Londra intenta a leggere questo messaggio pensando: 'E allora? Avevano degli uomini meccanici e degli uccelli meccanici, cosa importa?' Isobel mi ha permesso di esaminare con molta cautela il golem rimasto integro. Quello che ti dirò ora non deve trapelare finché lei non pubblicherà le sue scoperte. Ci sono resti di tessuto tra le giunture metalliche. E non è tutto. Ci sono resti di tessuto *sotto* i piedi! La pietra che costituisce la pianta del piede e il calcagno è consumata come se questo golem fosse stato in grado di camminare. Camminare. Come un uomo, come te e me, un uomo meccanico di pietra e ottone che *cammina*. Ciò che ho toccato, toccato, Anna!, corrisponde a quello che nei testi su Ash viene descritto come l'uomo di terracotta dei Visigoti. Sono *veri*. Devo lasciare il PC a Isobel perché ne ha urgente bisogno. Ti contatterò prima possibile. Ti invio l'altra parte della traduzione allegata a questo file. Non affossare il mio libro!! Potremmo avere tra le mani più di quanto chiunque possa pensare. *Quali* Visigoti? HA! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#28 (Pierce Ratcliff) Ash: progetti relativi ai media 07/11/00 ore 18,17 Longman@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
— Pierce Voglio parlare con il dottor Napier-Grant e persuaderla che voi due dovete lavorare in tandem a partire da ORA. Il mio Media Director, Jonathan Stanley, è *molto* favorevole a una collaborazione tra te e il dottor Napier-Grant. Sembra una di quelle inglesi eccentriche che di tanto in tanto
appaiono sul piccolo schermo. Intravedo la possibilità di una serie televisiva per lei, poi c'è la tua traduzione di 'Ash', senza parlare di quello che potreste fare insieme - che ne dici di un diario della spedizione? Pensi di poter scrivere il testo per un documentario sulla spedizione? Le possibilità sono *infinite*! Sono certo che si possa raggiungere un accordo. Di solito non dico queste cose ai miei autori accademici, ma ti consiglio di *trovarti un agente*! Hai bisogno di qualcuno che sappia trattare per i diritti sui film e le trasmissioni televisive, per non parlare dei diritti sulla traduzione del libro. È vero che abbiamo un testo che per metà si basa su leggende medievali e per metà su fatti storici (l'eclissi!) e che sono stupita dal fatto che un evento della portata di un'invasione sia stato omesso dai libri di storia. Come si MUOVEVANO i golem? Ma non vedo niente di tutto ciò come una barriera al successo editoriale. Parla con il dottor Napier-Grant dell'idea di un progetto in comune e rispondi appena puoi! Con affetto, Anna.
PARTE TERZA 22 LUGLIO - 10 AGOSTO AD 1476 'Come un Uomo Dovrebbe Armarsi'50 I Quaranta torce ardevano al vento sotto un cielo nero come l'inchiostro malgrado fosse pieno giorno. La folla di persone si aprì di fronte ad Ash mentre raggiungeva al galoppo il centro del campo eretto fuori dalle mura di Colonia. Arrestò bruscamente Godluc tirando le redini. Il silenzio regnava supremo, interrotto solo dallo schiocco delle bandiere che garrivano al vento. Le fiamme delle torce illuminavano i volti pallidi dei mercenari. «Geraint! Euen! Thomas!» I suoi ufficiali la raggiunsero immediatamente, pronti a ripetere le sue parole a beneficio dei soldati che si erano radunati dietro di loro. Dalla folla cominciarono a levarsi diverse domande. «Ascoltate,» disse Ash, con voce ferma «non avete nulla da temere.» In circostanze normali in quel momento il cielo avrebbe dovuto essere azzurro come in una comune giornata di metà luglio, e non un vuoto buio. Il sole era scomparso. «Io sono qua. Godfrey è qua ed è un prete. Non siete dannati e non siete in pericolo. Se lo fossimo io sarei già scappata!» La folla, un mare di volti impauriti, non pose nessuna domanda. La luce delle torce tremava sugli elmi, sulle armi e sulle armature che fasciavano i corpi. «Forse stiamo subendo lo stesso destino delle Terre Sotto Penitenza,» continuò Ash «ma Angelotti è stato a Cartagine e sa cos'è il Crepuscolo eterno. Vi posso assicurare che laggiù se la cavano benissimo e voi non permetterete a un mucchio di teste fasciate di dare fastidio al Leone!» Non ci furono ovazioni, ma qualcuno cominciò a borbottare parolacce e nessuno pronunciò la parola 'diserzione': almeno cominciavano a reagire. «Perfetto» disse in tono frettoloso. «Ci muoviamo. Leviamo le tende. 50
Titolo di un trattato molto popolare nel 1450 che contiene le istruzioni su come un uomo dovrebbe indossare un'armatura quando non combatte a cavallo: 'Come un uomo debba essere adeguatamente armato quando combatte a piedi.'
Avete già smontato un campo di notte e sapete come si fa. Voglio che tutto sia pronto e caricato per partire ai Vespri51 .» Malgrado la scarsa luce, Ash riuscì a scorgere la mano che si alzava dalla folla. Si inclinò in avanti per capire chi fosse. Era Henri Brant che usava Rickard come sostegno. «Henri?» «Perché ce ne andiamo? E dove?» Il giovane paggio di Ash dovette ripetere la domanda ad alta voce perché la voce dell'uomo, ancora molto indebolito dalle ferite, era troppo fioca. «Adesso ve lo dico.» Tornò a sedersi sulla sella controllando la folla davanti a sé, prendendo nota di chi stava sgattaiolando, di chi stava cominciando a fare i bagagli e dei volti familiari che mancavano. «Tutti voi sapete che mio marito è Fernando del Guiz. Beh, sembra che sia passato dalla parte del nemico.» «Davvero?» urlò un soldato. Ash, che ricordava ancora bene Costanza che veniva fatta allontanare dal trambusto scoppiato al torneo e che esitava a dire alla nuora di origini contadine che i nobili sapevano dove fosse suo marito, alzò la voce per farsi sentire da tutti. «Sì, è vero. «Per una ragione che non mi è ancora chiara» continuò, malgrado il vociare suscitato dalla conferma «Fernando del Guiz ha giurato fedeltà al Califfo dei Visigoti.» Lasciò che i suoi uomini si sfogassero, quindi riprese a parlare. «I suoi possedimenti si trovano nel sud in Bavaria, in un posto chiamato Guizburg. Beh, non sono più suoi. L'imperatore li ha messi sotto sequestro. Tuttavia continuano a rimanere i miei possedimenti. I nostri. Ecco dove andremo. Andremo a sud a prenderci quello che ci spetta, dopodiché affronteremo questa oscurità al sicuro dietro le mura del nostro castello!» Nei dieci minuti che seguirono l'aria risuonò di domande urlate, di liti personali trascinate nella discussione e della voce di Ash che urlava a squarciagola, riuscendo finalmente a ristabilire l'ordine. «Cristo, ragazza» le borbottò Robert Anselm in un orecchio sporgendosi dalla sella. «Se smontiamo il campo ci sarà un bel casino.» «È vero, sarà un bel caos» concordò Ash, torva. «Ma o facciamo così o rischiamo che gli uomini comincino a fuggire diventando dei profughi. C'è il rischio che la compagnia si sfasci. Fernando non c'entra nulla, sto solo cercando di dare loro qualcosa da fare. Qualcosa, non importa cosa!» 51
Le sei del pomeriggio.
L'oscurità che la sovrastava non aveva nessuna intenzione di cedere il passo all'alba o al crepuscolo. «Fare qualcosa» sentenziò Ash «è sempre meglio che non fare niente. Anche se questa fosse la fine del mondo... Io sto tenendo la mia gente unita.» II Il rintocco delle campane di Guizburg raggiunse Ash coprendo momentaneamente il suono intermittente dei cannoni. Quattro rintocchi. Quattro ore dopo quello che avrebbe dovuto essere stato un mezzogiorno. «Non è un'eclisse» commentò Antonio Angelotti senza alzare la testa, rimanendo seduto all'altro capo di un tavolino da campo. «Comunque, Madonna, un'eclissi dura al massimo qualche ora. Non dodici giorni.» Sul ripiano c'erano le tavole delle efemeridi e dei fogli pieni di calcoli. Ash posò un gomito sul tavolo e appoggiò il mento sulla mano. Godfrey Maximillian camminava su e giù per la stanza facendo scricchiolare le tavole del pavimento. La luce delle candele ebbe un sussulto. Ash guardò fuori dalla finestra sperando di avvertire una folata di vento, il freddo umido dell'alba, il canto interminabile degli uccelli e, soprattutto, la sensazione di freschezza, di inizio che dava il sole nascente. Niente. Solo oscurità. La testa di Joscelyn van Mander fece capolino tra le due guardie che sorvegliavano la porta. «Non vogliono ascoltare l'araldo, capitano, e continuano a sparare! La guarnigione non ha neanche il coraggio di ammettere che tuo marito è dentro il mastio.» Antonio Angelotti si inclinò all'indietro sollevando parzialmente la sedia. «Si vede che conoscono il proverbio, Madonna: 'un castello che parla e una donna che ascolta verranno entrambi conquistati.'» «Hanno issato lo stendardo della sua casata e le insegne dei Visigoti. È la dentro» fece notare Ash. «Mandate un araldo ogni ora e continuate a rispondere al fuoco! Joscelyn, voglio entrare e in fretta.» Mentre van Mander usciva, Ash aggiunse: «È sempre meglio stare qua fuori. Finché conteniamo del Guiz, che è un traditore, l'imperatore è contento. Inoltre abbiamo la possibilità di mettere alla prova l'esercito visigoto...» Si alzò e si avvicinò con passo deciso alla finestra. Le schegge dei colpi di cannone avevano scrostato l'intonaco vicino al davanzale mettendo a nudo il muro sottostante. Lo ripareremo facilmente, pensò Ash toccando la
pietra. «Angeli, non è possibile che tu abbia sbagliato i calcoli.» «No, perché nulla di quanto è successo coincide con le descrizioni del fenomeno.» Angelotti grattò il colletto della maglia dimenticandosi che teneva in mano la penna e macchiando la stoffa. Il mastro artigliere italiano guardò infastidito le dita sporche d'inchiostro. «Non c'è stata penombra, nessun raffreddamento graduale del disco solare, nessun segno di nervosismo da parte delle bestie. Solo una repentina scomparsa della luce.» Angelotti portava degli occhiali per leggere e mentre socchiudeva gli occhi, Ash notò le rughe tra le sopracciglia. Ecco come sarà il suo volto tra dieci anni, pensò lei, quando la pelle non sarà più tesa e i suoi capelli biondo grano saranno diventati grigi. «E Jan mi ha detto che prima che succedesse i cavalli erano tranquilli» concluse. «Una volta il sole si oscurò, quando ero in Italia.» disse Robert Anselm, entrando nella stanza dopo aver salito gli ultimi gradini con passo pesante. «La sua luce si indebolì, ma i cavalli avevano cominciato ad agitarsi quattro ore prima» terminò, togliendosi il cappuccio. Ash allargò le braccia. «Cos'altro può essere se non un'eclisse?» «Il regno dei cieli è in tumulto...» sentenziò Godfrey Maximillian senza smettere di camminare nervosamente su e giù per la stanza. Tra le mani stringeva un libro dalla copertina rossa e blu: Ash avrebbe potuto leggere il titolo se solo avesse avuto il tempo di mettere insieme le singole sillabe. Il prete si fermò vicino a una candela, aprì la copertina e cominciò a sfogliare le pagine rapidamente. Ash provò ammirazione, ma anche disprezzo per quell'uomo che aveva passato gran parte della sua vita a imparare a leggere. «E allora? Edward Conte di Marzo vide tre soli sul campo di Mortimer's Cross prima della battaglia. Rappresentavano la Trinità.» Robert Anselm esitò come suo solito nel sentire nominare lo York che sedeva sul trono d'Inghilterra in quel periodo. «Tutti sanno che a sud regna un crepuscolo eterno e nessuno ci può fare niente. Lo stesso vale per quanto sta succedendo qui. Ora dobbiamo combattere una guerra!» Angelotti si tolse gli occhiali. La montatura di osso aveva lasciato dei segni rossi sul naso. «Non posso distruggere quelle mura in mezza giornata.» La sua voce perse d'impeto nel pronunciare l'ultima parola. Ash si sporse dalla finestra e avvertì una strana tensione nell'aria. Il calore di quel crepuscolo eterno stava diminuendo, doveva essere tardo pomeriggio. La città immersa nell'oscurità era praticamente invisibile. Le fiam-
me dei fuochi che ardevano nella piazza del mercato balenavano contro le mura della casa. Ash non alzò gli occhi al cielo per fissare quel mare buio e impenetrabile, ma rivolse la sua attenzione al mastio. I falò ai piedi della fortezza proiettavano le ombre dei suoi uomini contro le pietre delle mura. Le finestre allungate sembravano gli occhi dell'oscurità. Le imponenti mura del mastio si innalzavano dalla cima di un'altura rocciosa perdendosi poi nell'oscurità. La strada che portava al cancello principale correva a ridosso di uno dei muri dai quali i difensori avevano riversato di tutto addosso ai suoi uomini. Ash non si era aspettata che disponessero di una simile potenza di fuoco. Fernando era là dentro. Asserragliato in qualche stanza tra quelle mura. Riusciva a immaginare le arcate, i pavimenti in legno dei piani inferiori sui quali i soldati avevano disteso le coperte per dormire, i cavalieri e gli ufficiali al quarto piano; forse Fernando era nel salone con le armi a portata di mano, circondato da mercanti, amici e cani... Siamo a meno di un miglio di distanza, ma a lui non importa niente di me, pensò. Perché? Perché l'hai fatto? Cosa ti ha spinto ad agire in questo modo? «Non voglio che il castello sia danneggiato al punto da non poterlo difendere quando saremo dentro» ammonì Ash. Tutti gli uomini che si trovavano nelle strade intorno al mastio avevano il simbolo del Leone Azzurro cucito sulla schiena delle giubbe. La maggior parte delle persone disarmate: bambini, prostitute e altre donne, avevano preso dei pezzi di stoffa azzurra e li avevano attaccati ai vestiti. Non c'era traccia dei cittadini che si erano rinchiusi nelle chiese a cantare. Il campanile che si trovava all'altro lato della piazza batté il quarto. Desiderava ardentemente di poter vedere della luce, era come se avesse sete di luce. «Pensavo che potesse finire con l'alba» disse. «Un'alba. Una qualsiasi.» Angelotti spostò il foglio sul quale aveva disegnato i simboli di Mercurio e Marte; erano calcoli balistici. «Questa è nuova.» L'artigliere si stirò. La sua bellezza e la sua forza facevano venire in mente ad Ash un leone. La giubba imbottita che indossava si stava scucendo all'altezza delle spalle. Il petto e le maniche della maglia erano costellati di piccoli buchi dai contorni anneriti causati dalle scintille dei cannoni. Robert Anselm si appoggiò sulla spalla del mastro artigliere, studiò gli appunti dopodiché cominciò a discutere a bassa voce con l'Italiano batten-
do più volte il pugno sul tavolo. Ash osservò Robert e provò un'improvvisa sensazione di fragilità: lui e Angelotti erano uomini molto forti e robusti e adesso che avevano alzato le voci, le loro parole echeggiavano contro le pareti della stanza. Sentiva che ogni volta che si confrontava con loro, una parte di lei tornava a essere la quattordicenne con indosso il suo primo piastrone decente che cercava Anselm tra i fuochi da campo dopo la battaglia di Tewkesbury e gli chiedeva di trovargli degli uomini per formare una compagnia. Glielo aveva chiesto al buio perché non avrebbe potuto sopportare un rifiuto in pieno giorno. Aveva quindi passato diverse ore a chiedersi se quel cenno gentile del capo era stato dettato dall'ubriachezza o dalla cortesia. Poi, un'ora prima dell'alba, Anselm si era presentato con una cinquantina di uomini infreddoliti, ma ben equipaggiati. Ash aveva fatto scrivere immediatamente i loro nomi sul libro paga da Godfrey e aveva zittito le loro incertezze e i commenti ironici con il cibo che aveva fatto preparare da Wat Rodway. I rapporti che si intrecciano tra i comandanti e gli ufficiali sono come la tela di un ragno. «Perché cazzo non torna il sole...?» Ash si sporse ulteriormente dalla finestra. Le bombarde e i trabocchetti di Angelotti avevano appena scalfito le mura della fortezza. Il fumo la fece tossire e si allontanò dal davanzale. «Gli esploratori sono tornati» disse Robert Anselm in tono laconico. «Colonia è in fiamme. L'incendio è incontrollabile. Dicono che sia colpa della peste. La corte è sparita. Ho ricevuto circa una trentina di rapporti diversi su quello che sta facendo Federico d'Asburgo. Gli uomini di Euen hanno trovato un paio di viandanti provenienti da Berna. Nessuno dei passi delle Alpi è agibile, per via dei Visigoti come per il brutto tempo.» Godfrey Maximillian smise di passeggiare e alzò gli occhi dal libro. «Gli uomini trovati da Euen facevano parte di una processione che da Berna voleva raggiungere il santuario dell'abbazia di Santa Walburga. Guardate le loro schiene. Quelle lacerazioni sono dovute alla frusta. Si flagellavano nella speranza di far tornare il sole.» L'unica cosa che rendeva simili Robert Anselm e Godfrey Maximillian era forse il tono di voce. Ash sentiva che negli ultimi tempi riusciva a giudicare con maggiore consapevolezza la mascolinità di un uomo. Prima di sposarsi aveva passato un lungo periodo di astinenza dal sesso e forse era stato proprio il giacere con il marito ad acuire la sua sensibilità a un punto che lei non avrebbe mai pensato raggiungibile. Ora poteva percepire delle differenze che erano dovute più alla fisicità che ai pregiudizi.
«Vado di nuovo da Quesada» disse Ash, rivolgendosi ad Anselm, quindi, mentre il suo luogotenente scendeva le scale con passo deciso, si girò verso Godfrey e chiese: «Se non è un'eclisse allora quale genere di miracolo oscuro potrebbe essere?» Il prete si fermò vicino al tavolo come se avesse trovato dei punti in comune tra gli appunti astrologici di Angelotti e le sue letture bibliche. «Non si sono viste stelle cadenti e la luna non è diventata rosso sangue. Escludo categoricamente che sia stato il fumo del Pozzo Infernale a oscurare il sole. Non si tratta della fine del mondo, il giorno in cui il sole si oscurerà, perché un terzo dell'astro non è andato in frantumi, né sono apparsi i Cavalieri dell'Apocalisse o sono stati infranti i Sigilli 52 .» «No, so anch'io che non sono le tribolazioni prima del Giorno del Giudizio,» insisté Ash «ma se fosse una punizione, un giudizio, un miracolo malvagio?» «Un giudizio? Per cosa? I principi della Cristianità sono malvagi, ma non più delle generazioni che li hanno preceduti. La gente comune è venale, debole, facilona e penitente, niente è cambiato. Le nazioni53 sono in subbuglio, ma non abbiamo mai vissuto nell'Età dell'Oro.» Le spesse dita del prete seguivano i contorni delle lettere maiuscole miniate e delle immagini dei santi circondate da piccoli santuari illuminati. «Non lo so.» «Allora è meglio che cominci a pregare per ottenere una risposta!» «Va bene.» Chiuse il libro tenendo il segno con un dito. «Come posso esserti utile se non ti porto l'aiuto di Dio? Tutto quello che posso fare è 52
Apocalisse 6: 12: 'Poi vidi, quando egli ebbe aperto il sesto suggello: ed ecco che si fece un gran tremuoto, e il sole divenne nero, come un sacco di perlo; e la luna divenne tutta come sangue.' Apocalisse 9: 2: 'Ed egli aperse il pozzo dell'abisso e di quel pozzo salì un fumo somigliante a un fumo di una gran fornace ardente: e' l sole e l'aria scurò per lo fumo del pozzo.' Apocalisse 8: 12: 'Poi sarà il quarto Angelo, e la terza parte del sole fu percossa, e la terza parte della luna e la terza parte delle stelle: sì che la parte loro scurò: e la terza parte del giorno non luceva né la notte simigliamente.' Matteo 24: 29: 'Hor, subito dopo l'afflition di quei giorni, il sole scurerà e la luna non darà il suo splendore, e le stelle caderanno dal cielo e le potenze de' cieli saranno scrollate.' 53 Luca 21: 25: 'Poi appresso, vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle: ed in terra, angoscia delle genti con ismarrimento: rimbombando il mare, e '1 fiotto.'
cercare di carpirlo dai Vangeli e il più delle volte mi sbaglio.» «Ti hanno ordinato prete e questo è più che sufficiente per me. Lo sai.» Ash aveva parlato in tono crudele. «Prega affinché ci venga concessa la grazia.» «Va bene.» Qualcuno urlò delle minacce al piano inferiore e dei passi echeggiarono sulle scale. Ash si guardò intorno e andò a sedersi su una sedia da campo. Lo stendardo del Leone Azzurro campeggiava alle sue spalle. Aveva lasciato l'elmo, i guanti e il fodero con la spada sul tavolo di fronte a lei. Il prete pregava in un angolo il Cristo Verde davanti una piccola pala d'altare, mentre il mastro artigliere faceva i calcoli per la polvere dei cannoni. Era tutto studiato alla perfezione. Ash sentì Floria del Guiz che faceva entrare Daniel de Quesada nella stanza, ma alzò gli occhi solo dopo una trentina di secondi dal loro arrivo. «Sappiate, capitano, che interpreto questo assedio come un'aggressione all'esercito del Califfo-Re» esordì de Quesada. Era la prima volta che parlava in maniera razionale da giorni. Ash attese che l'eco della voce si spegnesse nel silenzio. Le spesse mura dell'abitazione attutivano il rombo dei cannoni. Si rivolse quindi all'ambasciatore. «Voglio che il rappresentante del Califfo sappia che Fernando del Guiz è mio marito» gli rammentò in tono mite «e che tutte le sue proprietà sono state poste sotto sequestro e che io sto agendo nel tentativo di recuperare ciò che mi appartiene, visto che mio marito ne è stato privato dall'imperatore Federico in persona.» Daniel de Quesada aveva le guance coperte di croste e lo sguardo vacuo. «Quindi» riprese l'ambasciatore, con un certo sforzo «voi state assediando il castello di proprietà di vostro marito, che ora è un suddito del Califfo-Re Teodorico, solo perché egli si è asserragliato tra quelle mura e non perché volete aggredire la mia gente, giusto?» «Perché dovrei avercela con voi? Queste sono le mie terre.» Ash si sporse in avanti e intrecciò le mani sul tavolo. «Sono un mercenario. Il mondo è impazzito e io voglio che la mia compagnia sia al sicuro all'interno di solide mura di pietra. Dopo penserò da chi farmi assoldare.» Malgrado Floria avesse somministrato a de Quesada degli oppiacei per calmarlo e in quel momento gli tenesse una mano sul braccio, l'ambasciatore era ancora preda di un nervosismo febbrile. I pantaloni e il farsetto che
gli avevano dato, come anche il cappello, non gli si confacevano. «Non possiamo perdere» disse de Quesada. «Ho l'abitudine di trovarmi sempre dalla parte del vincitore.» La risposta era abbastanza ambigua da lasciare adito a sottintesi. «Ti farò scortare dalla tua gente, ambasciatore» disse Ash, ricorrendo a un tono più informale. «Pensavo di essere un prigioniero!» «Non sono Federico né un suo suddito.» Ash lo congedò con un cenno del capo. «Aspetta un attimo, Florian. Voglio chiederti un paio di cose.» Daniel de Quesada si guardò intorno, attraversò lo sconnesso pavimento di legno come se stesse camminando sul ponte di una nave che beccheggiava vistosamente, esitò qualche attimo quando passò di fronte alla porta, quindi si accomodò all'angolo opposto della stanza. Ash si alzò in piedi e servì del vino a Floria. «Quanto è pazzo, quello?» chiese al chirurgo, ricorrendo all'inglese, un idioma che molto probabilmente il diplomatico visigoto non conosceva. «Cosa gli posso chiedere riguardo l'oscurità?» «Non lo so!» Il chirurgo si sedette con una natica sul tavolo, lasciando penzolare una gamba nel vuoto. «Forse sono abituati a vedere i loro ambasciatori tornare in questo stato, visto che li mandano in giro ad annunciare portenti divini. Forse è ancora sano, ma non posso prometterti che rimarrà tale se cominci a fargli domande.» «Devo sapere.» Fece cenno all'ambasciatore di avvicinarsi e questi ubbidì. «Volevo solo chiederti ancora una cosa, mastro ambasciatore. Vorrei sapere quando torneremo a vedere la luce.» «La luce?» «Quando il sole tornerà a sorgere? Quando questa oscurità avrà fine?» «Il sole...» Daniel de Quesada rabbrividì e non si girò a guardare la finestra. «C'è la nebbia?» «Come faccio a saperlo? È nero come il tuo cappello là fuori!» Ash sospirò. È ovvio che mi devo scordare delle risposte sensate da costui, pensò. «No, mastro ambasciatore. È buio. Non c'è la nebbia» terminò ad alta voce. De Quesada si cinse il petto con le braccia. Qualcosa nell'espressione della sua bocca fece rabbrividire Ash: un adulto nel pieno possesso delle sue facoltà mentali non aveva quell'aspetto. «Ci siamo separati. Quasi in cima - c'era la nebbia. Io salivo.» Il cartaginese dell'ambasciatore era appena comprensibile. «Su, su, su. Una strada tortuosa. La neve. Il ghiaccio. Sono salito per un'eternità, alla fine striscia-
vo. Poi arrivò un grande vento e il cielo divenne porpora. Porpora e tutti i picchi erano così alti... Montagne. Io mi trascinavo. C'era solo l'aria. Le rocce mi facevano sanguinare le mani...» «Sta parlando del passo del Gottardo. È là che l'hanno trovato i monaci» disse Ash, ricordando con dolore il cielo azzurro e l'aria tanto fresca da fare male ai polmoni. Floria appoggiò una mano sul braccio dell'uomo. «Torniamo in infermeria, ambasciatore.» Daniel de Quesada fissò Ash. «Poi venne - la nebbia.» Mosse le mani come se volesse aprire una tenda. «Era sgombro un mese fa quando l'abbiamo attraversato con Fernando. C'era ancora neve sulle rocce, ma la strada era pulita. So dove devono averti trovato, ambasciatore. Sono stata anch'io in quel punto. È uno strapiombo alto più di duemila metri ai piedi del quale è possibile vedere l'Italia.» Il cigolio dei carri, i cavalli stanchi per la salita, il fiato condensato dei soldati, e lei, Ash, con il freddo che le penetrava dalle suole degli stivali, intenta a osservare la parete rocciosa che precipitava a capofitto verso i piedi della montagna. Le era sembrato sciocco definire parete il versante sud del passo, le montagne che si ergevano intorno a esso per chilometri e chilometri formavano una sorta di semicerchio. Per non parlare dello strapiombo di più di due chilometri. Rocce acuminate, muschio, ghiaccio e tanto di quel vuoto che la sola vista faceva vacillare la mente. «Se uno dovesse cadere da lassù toccherebbe il terreno solo ai piedi della montagna» terminò tranquilla. «Giù dritto!» esclamò de Quesada. I suoi occhi ebbero un guizzo di vitalità. «Mi sono trovato a fissare la strada sotto di me che serpeggiava lungo la parete. E il lago alla base della montagna? Da quella distanza non era più grosso di un'unghia delle mie dita.» Ash ricordava bene la paura che aveva provato durante tutta la lunga e interminabile discesa dal passo e come, una volta terminata, avessero scoperto che il lago non era in pianura, ma si trovava incastonato tra i primi contrafforti delle Alpi. «La nebbia scomparve e io guardai in basso.» Nella stanza era calato un silenzio di tomba. Dopo un minuto, Ash si rese conto che non avrebbero più saputo nulla da de Quesada, il quale conti-
nuava a fissare con sguardo vacuo le ombre contro le pareti. «Sapevo che c'erano persone che si bendavano gli occhi per non impazzire quando attraversavano i passi alpini54 ,» disse Angelotti, mentre Floria consegnava de Quesada nelle mani di un suo aiutante, «ma non credevo che ne avrei mai visto uno.» «Penso che ora tu l'abbia visto» commentò Ash, cinica, fissando de Quesada con sguardo torvo. «Beh, tirarlo fuori dal casino di Colonia nella speranza che ci potesse essere di qualche aiuto non è stata una delle mie idee migliori. Speravo che mi servisse a negoziare con del Guiz una volta arrivati qua.» «Quello se lo sono portato via le fate» le fece notare Floria. «Secondo il mio parere medico non è l'uomo più adatto a ricoprire l'incarico di araldo.» «Non me ne frega niente se è rincoglionito» ringhiò Ash. «Voglio delle risposte. Quest'oscurità non mi piace per niente.» «Sai dirmi a chi piace?» le domandò Floria, in tono retorico. «Vuoi sapere quanti uomini hanno avuto attacchi di mal di pancia da codardia, ultimamente?» «No. Perché credi che li tenga occupati con un assedio? Sono abituati a scavare le gallerie per le mine e a sparare con i cannoni, per loro sono attività rassicuranti, conosciute... Ecco perché ho mandato degli uomini di casa in casa a sequestrare delle provviste - se devono proprio saccheggiare questa città è meglio che lo facciano in maniera organizzata.» Il cinismo insito in quell'ultima frase fece sorridere il chirurgo e Ash sapeva che sarebbe stato così. C'era così poca differenza tra Floria e 'Florian', anche nella galanteria con la quale la donna si offriva di versarle del vino. «Non è diverso da un attacco notturno» continuò Ash, rifiutando il vino «che, come anche il buon Dio sa, è maledettamente complicato, ma possibile. Voglio che quel castello venga aperto dal tradimento e non da una nostra irruzione. A proposito,» l'agitazione dovuta al fallimento con Quesada la spingeva ad agire «vieni a dare un'occhiata a questo. Angelotti!» Lasciarono la stanza in compagnia dell'artigliere e prima di uscire Ash lanciò un'ultima occhiata alle spalle curve di Godfrey intento a pregare. Una volta usciti dalla casa rimasero fermi per qualche istante per abituare gli occhi all'oscurità che ammantava le strade. Il fabbro della città era stato preso dagli armaioli della compagnia, un gruppo di uomini sudati, dalle mani perennemente sporche, con i capelli 54
Un fatto ampiamente documentato in tutte le cronache di viaggiatori del quindicesimo secolo che hanno attraversato i passi delle Alpi.
dritti, che indossavano sempre un grembiule di cuoio senza maglia ed erano mezzi sordi a causa del rumore dei martelli. Fecero tranquillamente strada ad Ash, al chirurgo e alla sua scorta, una mezza dozzina di uomini e cani. Lei sapeva bene che essi consideravano tutti i comandanti meschini. L'ultimo progetto era il benvenuto poiché era inusuale. «Una trancia lunga tre metri?» chiese Floria, studiando le grosse maniglie di ferro. «Vanno bene le lame?» Il capo fabbro, Dickon Stour, terminava sempre le frasi con una venatura dubbiosa, anche quando non parlava nella sua lingua nativa, l'inglese. «Sopporteranno la pressione e taglieranno il ferro?» «E queste sono le scale» disse Ash. Indicò un massiccio palo di legno costellato di pioli, in cima al quale erano stati inseriti dei ganci metallici. «Sto per mandare degli uomini con la corazza rivestita di panni neri a tagliare le sbarre del cancello posteriore dall'interno. Direi di notte, ma...» scrollò le spalle e sghignazzò. «Guerrieri invisibili...» «Tu sei pazza. Quelli sono pazzi. Voglio parlarti!» Floria indicò silenziosamente la strada. Ash strinse le mani, diede delle pacche sulle spalle agli uomini e uscì con la scorta. Angelotti si mise a parlare di metallurgia. Ash trovò il chirurgo poco distante dalla forgia intento a fissare il castello che si ergeva sull'altura. Floria camminava con passo veloce. «Lo farai veramente?» «L'abbiamo già fatto. Due anni fa, a - dov'era?» Ash rifletté. «Da qualche parte nel sud della Francia?» «Quello là dentro è mio fratello.» La voce della donna aveva un che di mascolino, un registro roco che non abbandonava mai, poco importava se in quel momento il comandante della scorta potesse sentirla o no. «D'accordo, non lo vedo da quando aveva dieci anni. Va bene, era un marmocchio imprudente e ora è una merda di uomo, ma il sangue è sempre sangue. È la mia famiglia.» «Famiglia. Già. Dimmi quanto mi curo della famiglia.» «Cosa?» esordì Floria. «Cosa? Darò ordine di prenderlo prigioniero e non ucciderlo? Lo lascerò scappare affinché torni con degli uomini per riprendersi ciò che ritiene suo? Lo farò uccidere? Cosa?» «Tutto quello che hai detto.» «Mi sembra tutto irreale.» Già, continuò Ash tra sé, mi sembra irreale credere che quando avevo il suo corpo dentro di me qualcuno poteva pian-
targli una freccia in gola, aprirgli lo stomacò con un roncone o che, sotto mio ordine, ponesse fine alla sua esistenza con un colpo di daga. «Dannazione ragazza, non puoi andare avanti ignorando quanto è successo! Te lo sei scopato. È tuo marito. Siete carne della stessa carne agli occhi di Dio.» «È strano sentire una persona che non crede in Dio parlare in questo modo.» Ash poteva vedere l'espressione agitata del chirurgo. «Florian, non andrò a denunciarti al vescovo. I soldati o credono ciecamente o non lo fanno, e nella compagnia ce ne sono di tutti e due i tipi.» La donna continuava a camminare ondeggiando le spalle come se fosse un maschio e fece un gesto irritato quando uno dei cannoni d'assedio di Angelotti sparò un colpo. «Sei sposata!» «Avremo abbastanza tempo per decidere cosa fare di Fernando e della sua guarnigione quando l'avremo stanato dal castello.» Ash scosse la testa come se in qualche maniera volesse allontanare l'oscurità opprimente e innaturale che le attanagliava la mente. Raggiunsero nuovamente la casa che usava come comando e Ash disse ai soldati di dare un braciere e del cibo ai suoi uomini sulle strade, quindi salì le scale seguita da Floria e giunta in cima alla rampa si trovò nel mezzo della piccola folla che nel frattempo si era radunata nella stanza. «Zitti.» Tutti ubbidirono. C'erano Joscelyn van Mander, il cui volto rosso spiccava sotto l'elmo lucido, due dei suoi uomini, Robert Anselm, Godfrey, che aveva smesso di pregare, Daniel de Quesada e un nuovo arrivato che indossava un tunica bianca, dei pantaloni e un usbergo di maglia metallica. Non portava armi. Era un Visigoto e sulle spalle c'erano i segni del suo grado. Ash ricordava bene il significato di quei simboli dalle campagne in Iberia: era un Qa'id, un ufficiale posto al comando di circa un migliaio di uomini. Equivaleva più o meno a uno dei suoi ufficiali superiori. «Allora?» disse lei, sedendosi dietro il tavolo. Rickard comparve quasi magicamente e le versò una coppa di vino molto annacquato. Ash si mise a parlare nel dialetto che aveva imparato dai soldati tunisini senza neanche rendersene conto: per lei ormai era naturale chiamare 'arquebusier' un archibugiere quando era in Francia, e der Axst o lanza l'alabarda se stava parlando con un tedesco o con Angelotti. «Cosa vuoi, Qa'id?» «Capitano.» Il Visigoto si toccò la fronte con le dita. «Ho incontrato il mio connazionale de Quesada e la vostra scorta lungo la strada. Egli ha
deciso di tornare con me e parlarvi. Io vi porto delle notizie.» Il soldato visigoto, poco più alto di Rickard, aveva gli occhi azzurri e in lui c'era qualcosa di familiare. «Il cognome della tua famiglia è Lebrija, giusto?» domandò Ash. «Sì» rispose l'ufficiale, stupito. «Dimmi. Quali notizie mi porti?» «Verranno anche altri messaggeri appartenenti al tuo popolo.» Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm. «Sì,» confermò l'ufficiale «li ho incontrati. Stavo andando per la mia strada quando è arrivato Joscelyn.» «Tu potresti avere l'onore di dirmelo» disse Ash, rivolgendosi al qa'id. Odiava ricevere delle notizie, impreparata. Odiava non essere riuscita a ottenere quei preziosi minuti di anticipo che avrebbe avuto se Robert fosse stato il primo a parlarle. Visto che Joscelyn van Mander sembrava molto preoccupato, Ash decise di tornare a parlare in tedesco. «Cosa è successo?» «Federico d'Asburgo è sceso a patti.» «Merda» borbottò Floria e quella fu l'unica voce che si levò nel silenzio. «Cosa significa, capitano?» chiese van Mander. «Penso voglia dire che il Sacro Romano Impero si è arreso.» Ash intrecciò le dita davanti a sé. «E cosa dice il tuo messaggero, mastro Anselm?» «Federico si è arreso e tutto ciò che si trova tra il mare e il Reno è a disposizione dei Visigoti. Hanno bruciato Venezia. Le chiese, le case, i magazzini, le navi, i ponti sui canali, la basilica di san Marco, il palazzo dei Dogi, tutto. Milioni e milioni di ducati ridotti in cenere.» Il silenzio divenne palpabile: i mercenari erano stupefatti dall'entità della perdita e i due Visigoti mostravano la fiducia silenziosa che veniva associata a una forza in grado di portare una distruzione simile. Federico d'Asburgo deve aver sentito quello che è successo a Venezia, pensò Ash, stupefatta. Nella sua mente echeggiava la voce acuta del monarca del Sacro Romano Impero che diceva: «Ho deciso di non rischiare le Germanie.» Il suo sguardo tornò a posarsi frettolosamente sul soldato visigoto, il cugino di Asturio Lebrija, e comprese quanto stava succedendo. L'impero si è arreso e noi ci troviamo dalla parte sbagliata della barricata, pensò. Era l'incubo di ogni mercenario. «Suppongo» disse «che un distaccamento dell'esercito visigoto stia venendo qua per aiutare Fernando, giusto?» I suoi piani dovevano essere modificati. Non si trattava più di mettersi al
sicuro dietro le mura del castello. Ora la sua compagnia si trovava a metà strada tra l'esercito visigoto e i cavalieri e i cannoni di Fernando del Guiz dentro il castello. «Certo» confermò Daniel de Quesada. «Noi aiutiamo sempre i nostri alleati.» «Certo» fece eco il fratello o cugino di Lebrija. Quesada non gli ha ancora detto nulla della morte del suo parente, pensò Ash, o forse non sa nulla neanche lui. Decise di stare zitta per evitare di finire in altri guai. «Sarei molto contenta di parlare con il vostro capitano quando arriverà» affermò Ash. Diede un'occhiata di sguincio ai suoi capitani e vide che traevano conforto dalla sua tranquillità. «Il nostro comandante arriverà qua entro domani» disse il soldato visigoto. «È molto ansioso di parlare con voi. La famosa Ash. Ecco perché sta venendo.» Sole scomparso o no, pensò Ash, non perderò tempo a domandarmi cosa fare. Qualunque cosa stia succedendo, succede adesso. Quindi, sole scomparso o no, Giorno del Giudizio o no - tutto ciò non ha nulla a che fare con me - se sto con la mia compagnia, saremo abbastanza forti da superare anche questa prova. La filosofia non è un mio problema. «Bene» disse. «Sarà meglio che incontri il vostro comandante e apra delle trattative.» Rickard le presentò Bertrand, un probabile fratellastro di Philibert. Era un ragazzino di tredici anni un po' troppo grassottello per la sua età. Insieme, aiutarono Ash a indossare l'armatura e misero a Godluc la bardatura migliore. I ragazzini avevano gli occhi cerchiati. Non dormivano da troppo tempo. Si erano svegliati un'ora prima dell'alba, anche se ormai erano giorni che Guizburg non veniva rischiarata dalla luce del sole. «Da quello che ho sentito» disse Godfrey Maximillian «il nome del loro capitano corrisponde a quello del suo grado. Lei viene chiamata Faris55 . 55
Questa dovrebbe essere una traduzione errata da parte di del Guiz del termine Saraceno. In arabo, Faris significa 'cavaliere', ma indica il cavaliere come titolo nobiliare e non il comandante dell'esercito. Comunque ho scelto di usare faris come valida alternativa al manoscritto dell'Angelotti, nel quale veniva usato il termine musulmano al-sayyid, 'condottiero' o 'capo', poiché il termine già esiste nella storia dell'Europa vedi Rodrigo de Vivar: 'El Cid'.
Significa capitano-generale, comandante supremo dell'esercito o qualcosa di simile.» «'Lei viene chiamata?' Sono guidati da una donna?» In quel momento Ash ricordò Asturio Lebrija che le diceva di aver già visto una donna guerriero sottolineando la frase con quel senso dell'umorismo che sembrava del tutto assente nel cugino, Sancho (Godfrey aveva scoperto il suo nome). «Ed è qua? Il capo di tutta questa dannata invasione?» «È sulla strada per Innsbruck.» «Merda...» Godfrey si avvicinò alla porta. «Carracci, il capo vuole sentire quello che hai da dire» chiamò, sporgendosi nella stanza attigua. Un uomo con capelli di un biondo intensissimo e le guance rosse entrò nella stanza e fece un inchino. Aveva ridotto al minimo il suo equipaggiamento da fante per poter camminare più velocemente. «Sono stato nella tenda del loro comandante! È una donna, capo. È una donna che comanda il loro esercito; e sai come hanno fatto a farla diventare così brava? Ha una di quelle Teste di Ottone. È quella che pensa per lei durante le battaglie. Dicono che lei è in grado di sentirne la voce! La sente parlare!» «È ovvio che la senta parlare, visto che è una Testa di Ottone56 !» «No, capo. Non la porta con sé. La sente nella sua testa, come quando Dio parla con un prete.» Ash fissò il soldato. «È come se ci fosse la voce di un santo che le dicesse come combattere. Ecco perché una donna è riuscita a batterci.» Carracci smise di parlare improvvisamente, scrollò le spalle e sorrise, mesto. «Oops, scusami, capo!» La sente come se fosse la voce di un santo. Ash fu percorsa da un brivido gelido e sentì lo stomaco che si chiudeva. Era conscia di avere lo sguardo perso nel vuoto. Si inumidì le labbra. «Niente, niente...» Era ovvio che Carracci non aveva sentito la diceria sul fatto che lei udisse le voci dei santi. Era una storia messa in giro dai soldati che erano con lei da parecchi anni. Sente la voce dei santi questa Faris? O forse pensa che sia un pettegolezzo utile? Finire bruciata come strega non è il modo per... 56
Francis Roger Bacon (c. 1241 - 1292) fu uno dei primi scienziati nonché l'inventore europeo della polvere da sparo. Era molto popolare perché si supponeva fosse un mago e si diceva che avesse inventato delle teste meccaniche in grado di parlare, che vennero poi distrutte.
«Grazie, Carracci» aggiunse, in tono assente. «Unisciti alla scorta. Partiremo tra cinque minuti.» Mentre il soldato usciva, Ash si girò verso Godfrey. È difficile sentirsi vulnerabile quando si è dentro un'armatura. Cercò di dimenticare le parole del soldato e cominciò a camminare per la stanza sentendo che la fiducia le tornava a ogni passo. Si fermò un attimo a guardare dalla finestra i fuochi che illuminavano Guizburg. «Penso che tu abbia ragione, Godfrey. Credo che ci offriranno un contratto.» «Ho parlato con diversi viaggiatori che venivano dai monasteri su questo versante delle Alpi. Come ti ho detto, è impossibile fare una stima esatta del loro numero, ma c'è almeno un altro esercito che sta combattendo in Iberia.» «Dicono che sente le voci. Non lo trovi bizzarro?» «È una diceria che può tornare utile.» «Non lo sapevo!» «I santi sono una cosa» disse Godfrey. «Dire che una voce miracolosa sgorga dalla gola di una macchina è un'altra. Potrebbero pensare che lei è un demone. Forse lo è veramente.» «Già.» «Ash...» «Non abbiamo tempo per preoccuparci di questa storia, giusto?» Si voltò verso Godfrey fulminandolo con una occhiataccia. «Giusto?» Il prete la fissò calmo, ma non annuì. «Se i Visigoti ci fanno un'offerta dobbiamo decidere in fretta» disse Ash. «Fernando e i suoi uomini non aspettano altro che poterci prendere tra il martello e l'incudine. A quel punto abbasserebbero il ponte levatoio e noi saremmo presi nel mezzo. Yippeee» disse torva, quindi sorrise al prete. «Non pensi che a Fernando verrebbe un bel mal di pancia se fossimo dalla sua stessa parte? Noi siamo mercenari, lui rimane un traditore e io continuo a considerare quel castello mio.» «Non contare i tuoi castelli prima di uno scontro.» «Sembra un proverbio, non pensi?» Ash assunse un'aria più seria. «Siamo tra il martello e l'incudine. Speriamo che i Visigoti trovino più vantaggioso ingaggiarci piuttosto che farci sparire. Altrimenti avrei fatto meglio a decidere di andare via. Quello che ci sarà tra poco rischia di diventare un incontro molto breve e sanguinoso.» La grossa mano del prete si posò sulla sua spalla sinistra. «Mi hanno det-
to che il sangue è scorso a fiumi quando hanno combattuto contro le Gilde vicino al lago di Lucerna. È probabile che i comandanti visigoti vogliano ingaggiare qualsiasi contingente mercenario che incontrano, specialmente quelli che hanno una buona conoscenza del territorio.» «Così possono schierarci in prima linea e farci morire al posto dei loro uomini. So come vanno le cose.» Si muoveva con cautela. Era molto facile farsi male quando si indossava un'armatura. Fissò Godfrey. «È notevole come ci si abitua alle cose. Una settimana, dieci giorni... La domanda che uno si pone è: 'Cos'altro sparirà dopo il sole? Cosa può succedere ancora?'» Ash si inginocchiò con movimenti impacciati. «Benedicimi. Vorrei essere nella Grazia di Dio in questo momento.» La voce profonda del prete intonò una benedizione. «Vieni con me» disse lei, nel momento stesso in cui Godfrey finiva, quindi si alzò e scese le scale seguita dal prete. Ash montò a cavallo e si mise in marcia lungo le strade della città seguita dagli ufficiali e dalla scorta. Fermò Godluc per far passare una processione che bloccava la strada. C'erano uomini e donne, mercanti e artigiani, che piangevano con le vesti strappate e i volti coperti di cenere. Dei ragazzini camminavano a piedi nudi reggendo sulle spalle insanguinate un'immagine della Vergine attorniata dalle candele. I preti della città li flagellavano con le fruste. Ash si tolse l'elmo e attese che la processione di penitenti fosse passata. «Andiamo!» ordinò, appena le fu possibile farsi sentire. Uscirono dai cancelli di Guizburg illuminati dai falò e incrociarono alcuni dei suoi uomini che tornavano dalle foreste con un carico di rami di pino che avrebbero usato per fare delle torce. Vide che gli aghi erano ricoperti da uno strato argenteo. Gelo. A luglio. Le pale del mulino immerse parzialmente nel guado erano immobili. Ash vide delle vacche che pascolavano senza sapere se qualcuno sarebbe andato a mungerle. Il cinguettio incerto dei passeri echeggiava dall'alto dei tetti. Neanche loro sapevano se era il caso di dormire o continuare a delimitare il territorio con il loro richiamo. L'atmosfera era opprimente e prima ancora di scorgere le migliaia di fiaccole che ardevano a fondo valle e le aquile di metallo, Ash era già immersa in un bagno di sudore. «Non ho mai combattuto contro i Visigoti, come sono?» chiese Joscelyn van Mander. Nei suoi occhi aleggiava lo sguardo di chi voleva essere rassicurato. Ash appoggiò la lancia contro l'avambraccio. La coda di volpe che fun-
geva da pennacchio sul suo elmo penzolava inerte. Godluc agitava la coda intrecciata con foglie di quercia e dei campanelli. «Angelotti?» L'artigliere si fece avanti. Sull'armatura spiccava un medaglione con l'effigie di santa Barbara. «Quando ero con il Lord-Amir Cilderico ponemmo fine a una ribellione. Io avevo il comando degli archibugieri inglesi. I Visigoti sono predoni. Karr wa farr. attacchi ripetuti e ritirate. Mordi e fuggi, taglia le linee di rifornimento del nemico, rendi impossibili i guadi, metti sotto assedio una città per uno, due o tre anni, poi conquistala con un assalto violento. Non ho mai sentito che si fossero impegnati in battaglie campali. Hanno cambiato tattica.» «Mi sembra ovvio» rispose van Mander, il cui fiato puzzava di birra. Ash si girò sulla sella per controllare la colonna. Oltre il suo stato maggiore, aveva portato Euen Huw e i suoi uomini; Jan-Jacob Clovet e trenta arcieri, dieci uomini della banda di van Mander e Henri Brant che, pur essendo ancora in via di guarigione, aveva ricevuto il compito di organizzare il piccolo corteo di persone disarmate che reggevano le torce. «Avresti dovuto lasciare che aprissi una breccia nel mastio di Guizburg con le mie bombarde. Sarebbe stato molto più difficile stanarci da là dentro» disse Angelotti. «Cerca di non vederlo come una pila di macerie qualunque, ma come la nostra pila di macerie. Mi piacerebbe prenderlo integro!» Ash cavalcava tranquilla, lungo la strada fiancheggiata da campi ben coltivati e recinti per il bestiame. I suoi esploratori le avevano fatto dei rapporti dettagliati sulla disposizione dei Visigoti. Una cosa è essere informati della presenza di una divisione composta da circa otto o novemila uomini più i carri accampati lungo la strada per Innsbruck, un'altra cosa è vedere centomila torce, sentire i nitriti dei cavalli impastoiati, le urla delle guardie, le tende e i carri sistemati lungo il perimetro del campo per proteggerlo; ovvero, un esercito vero e proprio. Ash raggiunse l'incrocio previsto per l'incontro e fermò il cavallo. Il suo seguito indossava l'armatura completa e le cavalcature erano state bardate di tutto punto. I balestrieri tenevano le armi fuori dalle custodie e le quadrelle a portata di mano. «Siamo arrivati» disse, cercando di vedere qualcosa nell'oscurità. Un cavaliere che portava un pennacchio bianco uscì dall'accampamento visigoto. Ash riconobbe quasi subito l'armatura di fattura milanese e i capelli neri che spuntavano da sotto l'elmo. «È Agnes!» «Sporco bastardo! C'era da scommetterci che l'Agnello si sarebbe fatto
ingaggiare» ringhiò Robert Anselm. «Deve aver firmato il contratto nel mezzo di una cazzo di battaglia.» Ash scosse la testa. «Non trovi che siano stupendi, questi mercenari italiani?» Si incontrarono alla luce delle torce. L'Agnello sollevò lentamente la visiera dell'elmo. «Ti sei preparata a una rapida ritirata, giusto?» «A meno che l'intero esercito visigoto non decida di attaccarci, vorremmo riuscire a tornare dentro i cancelli della città.» Ash infilò la lancia nel suo alloggiamento sulla sella per avere le mani libere. «Non penso che il tuo capo voglia toglierci Guizburg, sempre che non voglia sedersi di fronte a un piccolo castello bavarese per le prossime dodici settimane.» «Forse» rispose l'Agnello, ambiguo. «Di' al tuo capo che non siamo molto ansiosi di entrare nel suo campo, ma se vuole venire fin qui, siamo più che disposti a negoziare.» «Queste erano le parole che volevo sentire.» L'Agnello girò il cavallo, alzò la lancia e fece cadere a terra il pennacchio bianco. Un nutrito manipolo di soldati a cavallo, una quarantina circa, uscì dal campo. Erano ancora troppo lontani e il buio era troppo denso per permettere di distinguere il tipo d'armamento. «Quanti soldi ti hanno dato in più per venire da me?» «Quanti bastano. Ma mi hanno detto che tu tratti bene gli ostaggi.» Una smorfia galante apparve sulle labbra del mercenario: le convinzioni religiosi di Agnus Dei non si estendevano solo al celibato. Ash rispose al sorriso pensando a Daniel de Quesada e Sancho Lebrija trattenuti a Guizburg fino al suo ritorno. «A parte Milano, nessuna delle altre città stato italiane ha resistito» aggiunse Agnello, ignorando l'improvvisa fiumana di imprecazioni che scaturì dalla bocca di Angelotti «e in Svizzera solo Berna non è ancora caduta in mano loro.» «Hanno fottuto gli Svizzeri?» domando Ash, stupita. «Le loro linee di rifornimento scendono fino al Mediterraneo al punto da poter approvvigionare un'armata simile sul campo e permetterle di continuare a spingersi a nord e tenere i territori conquistati?» Era molto scorretto cercare di carpire informazioni in quel modo, visto che le sue fonti le avevano riferito le stesse cose. Ash si concentrò sui soldati che si avvicinavano. «Penso che vent'anni di preparativi siano serviti a qualcosa, Madonna Ash» le borbottò Agnello.
«Vent'anni! Mi riesce difficile immaginare dei preparativi tanto lunghi. Hanno cominciato nell'anno in cui sono nata.» Aveva fatto capire apposta la sua età. Agnello aveva da poco superato i trent'anni. Così giovane e così famosa, pensò Ash. Meglio non essere troppo fiduciosi, concluse, continuando a osservare i cavalieri che risalivano la china. Una folata di vento spazzò i campi facendo ondeggiare i pini lontani. Ash aveva l'impressione di essere in sella a un cavallo focoso difficile da domare e di riuscire a tenerlo a bada, era una sensazione quasi fisica, piacevole. «Dolce Cristo,» mormorò, quasi rivolta a se stessa «è l'Armageddon. Tutto cambia. La Cristianità viene rivoltata come un guanto. Chi sarà il contadino adesso?» «O il mercante, o il lord?» Agnello tirò le redini. «Questo è l'unico affare a cui vale la pena di partecipare, mia cara.» «Davvero? So solo combattere.» I due si fissarono e per un momento si capirono molto chiaramente. «Combatti fino a trent'anni poi muori, così ti ordino» continuò Ash. «Rimani in comando fino a che non sarai vecchio, quaranta o più anni, poi muori. È il gioco dei principi» concluse, indicando Guizburg con la mano guantata. «Mmm?» L'Agnello si girò sulla sella per guardarla meglio. «Ho sentito, cara, che metà dei tuoi problemi sono dovuti al fatto che vuoi delle terre e un titolo. Per quanto mi riguarda...» Sospirò con un certo disprezzo. «Ho investito i guadagni delle due ultime campagne nella lana inglese.» «Investito?» «E sono anche padrone di una tintoria a Bruges. È molto comodo.» Ash si rese conto di essere rimasta a bocca aperta e la chiuse. «Chi ha bisogno della terra?» concluse Agnus Dei. «Uh... capisco.» Ash riportò l'attenzione sui Visigoti. «È due settimane che stai con loro. Come sono?» Il mercenario italiano toccò il simbolo dell'Agnello che portava sulla divisa. «Hai la possibilità di scegliere, Madonna? Chieditelo e dopo saprai se la mia risposta è importante.» «Quella è brava.» Ash osservò la processione illuminata dalle torce che si approssimava. Ora erano abbastanza vicini da cominciare a distinguere l'avanguardia: quattro uomini in sella a dei muli che tenevano in grembo degli oggetti ottagonali. C'era qualcosa che non andava nelle dimensioni delle teste e dei corpi e dopo qualche metro ancora, Ash si rese conto che erano dei nani intenti a suonare dei tamburi. Il suono fece abbassare le orecchie di Godluc.
«Ci ha presi a calci in culo a Genova» disse Ash, di getto. «Tu credi a quella storia della macchina di ottone? L'hai vista?» «No. I suoi uomini dicono che la testa di ottone, che loro definiscono 'il suo golem di pietra', non si trova qui, ma a Cartagine.» «Non può usarlo per ricevere informazioni sul campo nel corso di una battaglia. Cosa usa? Messaggi? Staffette a cavallo? Piccioni viaggiatori? No, non funziona.» «Ma i suoi uomini sostengono che lei la sente nel momento stesso in cui la testa parla nella Cittadella, a Cartagine.» Fece una pausa. «Non lo so Madonna. Dicono che è una donna, quindi può essere così brava solo se sente le voci.» Il commento finale di Agnello risultò piuttosto caustico. Ash lo ignorò. Era troppo impegnata a capire come potesse svolgersi la comunicazione tra il generale visigoto e i suoi capi che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza, e in tempo reale. «Un golem di pietra...» disse Ash, centellinando le parole. «Sentire la voce di Nostro Signore è una cosa, ma sentire la voce di una macchina...» «Probabilmente sono solo dicerie» sbottò l'Agnello. «La metà delle cose che loro dicono di avere in Nord Africa non esistono, sono solo manoscritti e ricordi dei loro nonni. Questa donna è nuova e comanda l'esercito. È ovvio che ci siano un sacco di storie ridicole su di lei. Va sempre a finire così.» L'Agnello era indubbiamente nervoso. Ash lanciò una rapida occhiata a Robert Anselm, Geraint ab Morgan e Angelotti: tutti i suoi ufficiali erano allerta. Poteva essere un negoziato come un'imboscata, ma dovevano andare fino in fondo per scoprirlo. Spostò lo sguardo sul prete che stava osservando il corteo di torce che si avvicinava. «Prega per noi» gli ordinò. Il religioso afferrò la croce e cominciò a salmodiare a bassa voce. Ash vide spuntare altre torce in mezzo al corteo ormai sempre più vicino. C'erano anche degli uomini a piedi. Robert Anselm pronunciò uno scongiuro. I portatori delle torce erano fatti di terracotta e ottone. La luce delle fiamme danzava sulla superficie rossa e ocra dei golem. «Carino» ammise Ash. «Anch'io userei tutto quello che ho a disposizione per impressionare un potenziale nemico.» I cavalieri visigoti avanzavano in mezzo a due schiere di golem. Le loro cavalcature, bestie basse e robuste nelle cui vene scorreva il sangue del deserto, avevano i finimenti di cuoio dorato. Le staffe, gli anelli e i morsi
erano stati lucidati. Le bestie avevano un odore speziato, diverso da quello dei cavalli da guerra europei. Godluc cominciò ad agitarsi e Ash afferrò saldamente le redini. Ci devono essere delle cavalle là in mezzo, pensò. Le ombre davano fastidio al cavallo di Godfrey e Ash fece cenno a un arciere di smontare e tenerlo per le briglie in modo che il prete potesse continuare a pregare indisturbato. Dietro i cavalieri visigoti giunsero lo stendardo nero e l'aquila dorata. Il cavallo del porta bandiera era bardato pesantemente. Ash sorrise. Aveva portato lo stendardo in più di una battaglia e aveva capito cosa intendeva dire la sua voce interna quando definiva la bandiera come un magnete che attira il fuoco. Un poeta con indosso tanto di armatura recitava dei versi che lei non riuscì a comprendere, ma la sua presenza non la stupì perché aveva già visto quel genere di artisti portati al seguito delle truppe a Tunisi: era un cantador e aveva il compito di tenere alto il morale. «Che gran casino. Mi chiedo se non stiano cercando di impressionarci» Ash sedeva sulla sella con le gambe dritte mantenendo il baricentro poco sotto i fianchi. Fece un movimento impercettibile per bloccare Godluc. I Visigoti si fermarono accompagnati dal clangore metallico delle armi... Ash prese a studiarli con attenzione. Portavano una divisa bianca sotto la quale si intravedeva un usbergo di anelli metallici calato sopra un'armatura imbottita. La testa era protetta da un elmo aperto sul viso. I Visigoti cominciarono a parlare tra di loro e alcuni indicarono apertamente i mercenari europei. «No» disse Ash ad alta voce in modo che tutti potessero sentirla. «Non ci hanno impressionati. Inoltre non ci sono capre in queste montagne. Né maschi né femmine.» Qualcuno rise, altri bestemmiarono, altri ancora si agitarono nel sentire quelle parole. Geraint ab Morgan si batté una mano sulla coscia. Un cavaliere visigoto che si trovava sotto lo stendardo parlò agli uomini che aveva di fianco quindi cominciò ad avanzare. Ash fece un cenno e Euen Huw portò la tromba alla bocca traendone tre note chiare. Ash avanzava seguita dai suoi sei ufficiali: Anselm, Geraint e Joscelyn van Mander indossavano la loro armatura di fabbricazione milanese tirata a lucido; Angelotti aveva il piastrone milanese e le protezioni per le gambe gotiche; Godfrey, che continuava a pregare con gli occhi chiusi, indossava la sua tonaca migliore e Floria del Guiz, che non somigliava certo a una donna, ma con sommo rammarico di Ash, neanche a un soldato portava una brigantina e un elmo da arciere.
«Io sono Ash» si presentò, dopo che l'eco della tromba si fu spento. «Agnus Dei mi ha detto che sei interessata a metterci sotto contratto.» Ash non riusciva a distinguere il volto del comandante visigoto. La donna indossava elmo e schinieri. Il piastrone, una sorta di giubba fatta di piastre metalliche sulla quale spiccavano un centinaio di teste di chiodi dorate a forma di fiore, era ricoperto di velluto. Sotto di esso c'era una maglia di anelli metallici che scendeva a protezione delle cosce. Ash suppose che il semicerchio metallico vicino alla gola fosse una specie di gorgiera e notò anche l'elsa trilobata della spada, le ghiere dorate del fodero della spada e della daga, il cinturone decorato con inserti in oro e il mantello a scacchi bianchi e blu bordato di vaio57 . Compì un rapido calcolo dell'ammontare in denaro dell'abbigliamento del comandante visigoto e rimase stupita. Malgrado la situazione, era contenta di trovarsi di fronte a un'altra donna che, come lei, comandava dei soldati e proveniva da una nazione abbastanza lontana da non rappresentare un concorrente. «Saresti disposta a combattere contro i Burgundi?» La donna parlava tedesco con un marcato accento cartaginese. Era chiaro che volesse farsi capire anche dagli uomini di Ash che non parlavano la sua lingua. «Combattere contro i Burgundi? Non per scelta. Sono dei duri, quelli. Veri bastardi.» Ash scrollò le spalle. «Non rischio la mia compagnia se non ho un buon motivo.» «Tu sei 'Ash'. La jund 58 » La donna fece avanzare ulteriormente il cavallo entrando nel cono di luce proiettato dalle torce al seguito di Ash. Indossava un elmo con il paranaso e le protezioni per le guance. Una sciarpa nera le copriva gran parte del volto. Ash poteva scorgere ben pochi dettagli di quel volto, ma quello che vide fu sufficiente a farle capire che la donna di fronte a lei era giovane. Mio Dio! pensò. Non è più vecchia di me! Quel fatto servì a spiegare in parte il nervosismo di Agnello: un malizioso desiderio di vedere quelle due stranezze al femminile, come sicuramente le considerava, che si incontravano. Ash rassicurò immediatamente il comandante visigoto. «Faris» disse Ash. «Generale. Fai un'offerta. Ho cercato di combattere sempre dalla parte dei Burgundi quando ne ho avuto la possibilità, ma, comunque, possiamo tenere loro testa.» «Un mio alleato è in quella città.» 57
Schiena e pancia della pelliccia dello scoiattolo europeo. Termine arabo per indicare un mercenario che combatte per denaro o per ottenere delle terre. 58
«È mio marito e credo che questo mi dia il diritto di accampare alcune pretese.» «Devi togliere l'assedio. Fa parte del contratto.» «Ah, ah. Corriamo un po' troppo. Prima devo consultare i miei uomini.» C'era qualcosa che la disturbava nella voce del generale visigoto. Si sarebbe avvicinata volentieri per guardarla meglio, ma la luce che balenava sulle punte delle frecce incoccate con noncuranza negli archi dei Visigoti e la vista dei suoi uomini che tenevano le lance in mano piuttosto che nell'apposito alloggiamento della sella, la indussero a rimanere ferma. Le armi avevano una vita propria, una loro tensione; Ash sapeva bene quanti cavalieri visigoti la stessero tenendo d'occhio in quel momento, valutando al tempo stesso l'esatta distanza di tiro. Poteva sentire quella connessione invisibile. «Quando rivedremo il sole, Faris?» chiese, al solo scopo di guadagnare uno o due minuti. «Quando lo riterremo opportuno» rispose la giovane donna di fronte a lei, calma. Ash aveva l'impressione che fosse una menzogna: lei ne aveva dette parecchie in pubblico e ormai aveva imparato a riconoscerle. Allora non lo sai neanche tu, vero? pensò. Il Califfo di Cartagine non dice tutto al suo generale. Gli uomini di terracotta che reggevano le torce avevano formato un semicerchio intorno al generale. «Qual è la tua offerta?» «Sessantamila ducati per tutta la durata della guerra.» Sessantamila Le sembrò di udire Robert Anselm che pensava: Se quella stronza ha soldi da buttare non ti mettere a discutere! Ash aprì il cinghiette dell'elmo e se lo sfilò per prendere altro tempo e far capire ai suoi uomini di rimanere tranquilli o almeno di non fare nulla finché i Visigoti non avessero lasciato capire chiaramente che stavano per attaccare. Agnello si sfilò un guanto. Ash lasciò che la chioma sudata per la lunga permanenza sotto l'elmo le scendesse lungo le spalle. Dopo un lungo istante di esitazione, il generale visigoto sfilò a sua volta l'elmo e si tolse la sciarpa. Uno dei cavalieri visigoti imprecò violentemente. Il suo cavallo si impennò e andò a urtare violentemente l'uomo al suo fianco. L'improvviso coro di urla costrinse Ash ad aumentare la presa intorno alle redini di Go-
dluc. Godfrey Maximillian aprì gli occhi. «Gesù Cristo!» esclamò il prete. La giovane faris fece avanzare il cavallo di un passo e rimase a fissare Ash. Le ombre provocate dalle torce danzavano sulla cascata di capelli quasi bianchi che le scendevano lungo le spalle. Le sopracciglia scure, fini e definite incombevano sugli occhi scuri. Ma fu la bocca che fece sussultare Ash. Ho visto quella bocca centinaia e centinaia di volte nello specchio, pensò. La donna di fronte a lei aveva il suo stesso fisico robusto e snello e, anche se lei non ci aveva ancora fatto caso, sedeva in sella come lei. Tornò a fissare il viso della Visigota. Non era sfregiato. Se avesse visto anche le cicatrici si sarebbe buttata giù dalla sella e avrebbe premuto il volto a terra pregando il Cristo affinché la salvasse dalla follia, dai demoni e da qualsiasi creatura fosse sbucata dal Pozzo infernale. Ma le guance della donna era integre. Il volto del generale visigoto era privo d'espressione. Ecco l'aspetto che avrei senza gli sfregi, pensò Ash, proprio mentre sia i cavalieri europei che quelli nord africani si avvicinavano per guardare meglio. Niente sfregi, continuò a pensare. Ma, per il resto, siamo uguali come due gocce d'acqua, siamo gemelle. III La faris alzò un braccio e disse qualcosa in tono secco, ma parlò troppo velocemente e Ash non capì nulla. «Ti manderò uno dei miei qa'id con un contratto!» aggiunse il generale visigoto. Fece girare il cavallo con un movimento del corpo e si lanciò al galoppo verso il campo, imitata un attimo dopo dal suo seguito che si allontanò in mezzo al rullo dei tamburi e al clangore metallico delle armi e delle corazze. «Torniamo in città» ordinò Ash, roca. In quanti l'avranno vista? pensò. Qualche uomo vicino a me che ha avuto una trentina di secondi per scorgere un volto nel buio. Le voci cominceranno a girare molto presto. «Andiamo.» Nei cinque giorni che seguirono l'incontro, Ash parlò almeno con due o
tre persone alla volta. Sempre. Godfrey le portò il contratto stilato dai Visigoti affinché lo controllasse e firmasse. Era scritto in ottimo latino. Firmò mentre riprendeva Gustav e i suoi fanti per aver tentato un ultimo assalto al castello di Guizburg, contando al tempo stesso le nuove cavalcature e i sacchi d'avena insieme a Henri Brant e ascoltando le lamentele degli archibugieri per la polvere da sparo che scarseggiava e quelle di Florian - Floria - riguardo i feriti che guarivano e quelli che peggioravano. Entro mezzanotte aveva consultato ogni unità della sua compagnia e tutti gli uomini avevano accettato i termini del contratto. «Ci muoviamo stanotte» annunciò Ash. Tale decisione era dettata in parte dal fatto che almeno di notte c'era un po' di luce, visto che l'ultimo quarto di luna era ancora visibile nel cielo, e in parte perché agli uomini non piaceva cavalcare sotto la cappa di buio innaturale che oscurava il cielo durante il giorno. Inoltre, secondo Ash, era molto più sicuro dormire durante il giorno e muoversi di notte. Spostare un campo di ottocento uomini più i carri era già abbastanza duro sotto il sole. Non rimase mai sola, neanche per un secondo. Si avvolse in un velo impenetrabile di autorità. Nessuno fece domande. Ash aveva l'impressione di essere una sonnambula. Si risvegliò da quello stato di apparente dormiveglia cinque giorni dopo sentendosi del tutto esausta. Ash si svegliò di scatto. Si era appisolata con la fronte premuta contro il collo della cavalla. Era perfettamente cosciente che la stava strigliando e che aveva appena parlato, ma cosa aveva detto? Alzò la testa e vide Rickard. Il ragazzo aveva un'aria molto stanca. Lady la toccò con il naso umido sbuffando. Ash si raddrizzò e carezzò i fianchi snelli e caldi della bestia. La cavalla emise un nitrito compiaciuto e premette con delicatezza la spalla contro Ash. La segatura sparsa a terra puzzava di sterco. Ash abbassò gli occhi. Gli stivali alti da cavallerizza erano legati alla gonna del farsetto per tenerli su ed erano sporchi di fango e letame fino alle ginocchia. «La vita gloriosa di un mercenario. Se avessi voluto passare la mia vita immersa nello sterco avrei scelto di fare la contadina. Almeno non devi spostare la fattoria ogni giorno di trenta chilometri. Perché sono finita nello sterco fino al culo?»
«Non lo so, capo.» Era la tipica osservazione retorica che poteva essere scambiata come un'espressione di arguzia; ma sembrava che Rickard fosse stato colto alla sprovvista. Era ovvio che fino a pochi istanti prima non stavano parlando di quello. «Arriverà qua tra una quindicina di giorni» concluse il paggio. Il suo corpo era stanco, escoriato e caldo. Le lanterne proiettavano la luce sulle pareti di tela della stalla e sulla mangiatoia piena d'avena di Lady. Era una luce dolce e piacevole, in quelle prime ore del mattino. Ma se me ne vado, pensò. Non vedrò spuntare l'alba. Ash sentì la voce dei soldati e l'uggiolio dei cani. Non aveva attraversato il campo senza scorta. Non sono così fuori dalla Grazia di Dio, allora. Aveva avuto l'impressione di essere tornata in quel momento da un lungo viaggio. «Quindici giorni» ripeté. Il bel ragazzino la stava fissando. La maglia era sempre più della sua misura e il volto, ormai più scarno e simile a quello di un uomo, aveva ormai perso la paciosità dell'infanzia. Ash gli sorrise in maniera rassicurante. «Bene, ascolta, Rickard, finisci di addestrare Bertrand. Fallo diventare un bravo paggio e dopo chiederò a Roberto di prenderti come scudiero. È arrivato il momento di cominciare l'addestramento.» Il ragazzino non disse nulla, ma il suo volto si illuminò. Ash cominciò a rendersi conto dei suoi muscoli che si rilassavano come succedeva alla fine di ogni sforzo fisico, del calore dell'abito imbottito che indossava sotto la brigantina e della sonnolenza che non serviva solo a far crescere il desiderio sessuale. Improvvisamente le sovvenne un ricordo chiaro e nitido, quasi palpabile: il profilo dei fianchi e delle spalle di Fernando del Guiz, la sua pelle calda sotto le dita e l'ondeggiare del suo pene eretto dentro di lei. «Merda!» Rickard sussultò. «Mastro Angelotti vuole parlarti» disse. Lady premette il muso contro Ash e lei glielo accarezzò senza neanche rendersene conto. «Dov'è?» «Fuori.» «Lo ricevo subito. Di' a tutti che per la prossima ora sono occupata.» Aveva viaggiato per cinque giorni in quella sorta di stato catatonico. Era passata vicino a ripide pareti rocciose spruzzate di neve. Non aveva idea di dove si stavano dirigendo. Giorni di boscaglie fredde, erica, erbe alpine e sassi che rotolavano negli strapiombi. Giorni illuminati solo dalla luce
della luna che si rifletteva sui laghi, sulle strade tortuose, sui torrenti. Ora, se ci fosse stato il sole lei avrebbe potuto guardare lontano e vedere i campi e i piccoli castelli che sorgevano in cima alle colline. L'oscurità era tale che non si vedeva quasi nulla. «Capo» la salutò Antonio Angelotti, interrompendo una discussione con le sue guardie del corpo. L'artigliere indossava un voluminoso mantello di lana rossa, un capo di vestiario che solitamente non si usava in pieno agosto. Lo scricchiolio che Ash sentiva sotto gli stivali non era erba secca, ma ghiaccio. Il cerchio difensivo di carri interno e quello esterno erano pieni di armi tenute al riparo dietro a dei pavesi grossi come le porte di una chiesa. I falò ardevano nel centro del campo dove gli uomini si riunivano per dormire e, dietro suo ordine, anche qualche metro oltre il perimetro difensivo esterno, per illuminare la campagna circostante e impedire che i fuochi da campo disegnassero le ombre dei suoi uomini offrendo un bersaglio a eventuali arcieri o archibugieri di passaggio. Sapeva che il campo visigoto distava un paio di chilometri dal loro perché vedeva il bagliore dei fuochi e sentiva l'eco delle canzoni intonate dai soldati in preda al vino o all'ardore marziale. «Andiamo.» Attraversò la zona riservata agli artiglieri parlando solo di argomenti strettamente legati alla loro professione, ma quando Ash e l'uomo incredibilmente bello che camminava al suo fianco entrarono nella sua tenda, lei seppe che il suo silenzio su quello che era successo qualche giorno prima stava per finire. «Rickard, rintraccia padre Godfrey e Florian e falli venire qui.» Si chinò ed entrò nella tenda, attese che gli occhi si abituassero alla penombra, quindi si sedette sul baule nel quale era contenuta abbastanza polvere da sparo da spedire all'inferno lei e gli artiglieri fermi fuori dalla tenda. «Cosa mi dovevi dire?» Angelotti si appoggiò contro il bordo del suo tavolo da campo e un foglio di carta coperto di calcoli scivolò a terra. Riesce sempre a essere aggraziato in ogni situazione, pensò Ash, ma non riesce a non sembrare imbarazzato. «Allora io sono una bastarda Africana, invece di essere una bastarda delle Fiandre, dell'Inghilterra o della Borgogna» esordì Ash, tranquilla. «Ha qualche importanza per te?» L'artigliere scrollò appena le spalle. «Dipende solo da quale famiglia nobile arrivi la nostra Faris e quanto loro possano trovare imbarazzante la
tua esistenza. No, in ogni caso sei una bastarda di cui la tua famiglia dovrebbe essere orgogliosa. Cosa importa?» «Org...?» si interruppe Ash, ansimando. Le bruciava il petto. Scivolò lungo un lato del baule e una volta toccata terra cominciò a ridere a crepapelle al punto di far cigolare le lamelle della brigantina con il movimento delle costole. «Oh, Angelo! Niente meno. 'Orgogliosi'. Che complimento! Tu... no, niente.» Si asciugò gli occhi dalle lacrime e tornò a sedersi sul baule. «Tu sai molte cose sui Visigoti, vero, mastro artigliere?» «Ho imparato la matematica nel Nord Africa.» Sembrava che Angelotti le stesse studiando l'espressione del viso. «Quanto tempo hai passato laggiù?» L'artigliere socchiuse le palpebre. Angelotti aveva il volto simile a quello delle icone bizantine. La luce delle candele e i giochi d'ombra davano l'impressione che la giovinezza si fosse posata su quei lineamenti come una pellicola bianca sulla superficie di una piuma. «Fui preso all'età di dodici anni.» Aprì gli occhi. «I Turchi mi tolsero da una galera vicino a Napoli, ma la loro nave da guerra venne catturata dai Visigoti. Ho passato tre anni a Cartagine.» Ash non aveva il coraggio di chiedere più di quanto Angelotti fosse disposto a dire. In quel momento le aveva confidato più notizie sul suo passato di quanto avesse fatto da quando si conoscevano. Si chiese se al momento della sua cattura non avesse maledetto il fatto di essere tanto bello. «L'ho imparata a letto» disse Angelotti, tranquillo, facendole capire che sapeva quello che le stava passando per la testa. «Con uno dei loro amir59 . Uno dei magi, uno scienziato. Lord-amir Cilderico. Fu lui a insegnarmi la balistica, la navigazione e l'astrologia.» Ash era abituata a vedere Angelotti sempre lindo e pulito, un vero e proprio miracolo visto il fango e la polvere presenti in ogni campo, e, soprattutto, molto riservato. Quanto ha bisogno di farmi parlare per dirmi queste cose, pensò Ash. «Roberto potrebbe avere ragione, questo potrebbe essere il loro crepuscolo che si... espande» disse lei, parlando in fretta. «Godfrey lo definirebbe un contagio infernale.» 59
'Amir' o 'emir': termine arabo che indica 'lord' o 'signore'. Non sono riuscito a trovare nessun elemento che li accomuni ai magi della Persia (uomini sacri o maghi) nel testo dell'Angelotti, quindi la parola scienziato venne aggiunta da qualcun altro.
«No, anche lui rispetta gli amir tanto quanto me.» «Cos'è che vuoi dirmi?» Angelotti si tolse il mantello e lo lasciò cadere sul tavolo. «I miei artiglieri sono in subbuglio. Non gli va che tu abbia tolto l'assedio a Guizburg. Dicono che l'hai fatto perché del Guiz è tuo marito e perché non sei più nelle grazie della dea Fortuna.» «O Fortuna!» rise Ash. «Volubile come una donna. È questo che dicono, giusto? Andrò a parlare loro. Pagali di più. So perché sono inquieti. Avevano scavato una galleria fin quasi ai cancelli del castello. So che non aspettavano altro che mandarlo in pezzi...!» «Ecco perché si sentono truffati.» Angelotti sembrava estremamente sollevato. «Per me va bene se parli con i miei uomini... perfetto.» «C'è dell'altro?» «La tua voce è quella che sente anche lei?» Dicono che un colpo non molto forte ma assestato nel posto giusto sia in grado di rompere un vaso di porcellana e Ash ebbe l'impressione di sentire il corpo che si crepava velocemente. Scattò in piedi. «Vuoi sapere se il mio santo è solo un'invenzione? Se il Leone è una diceria? Se parlo con un demone? Dicono che sento la voce di una macchina come lei? Non lo so.» Ash riprese fiato e allentò la presa intorno all'elsa della spada. Aveva stretto la mano al punto di farsi sbiancare le nocche. «Può fare veramente quello che dicono? È veramente in grado di ascoltare la voce di un marchingegno che si trova dall'altra parte del mare? Tu sei stato là, parla!» «Poterebbe essere una voce. Una menzogna.» «Non lo so!» Ash aprì la mano lentamente. In subbuglio o meno, gli artiglieri stavano festeggiando un santo oscuro60 e qualcuno aveva intonato una canzone molto volgare che parlava di un toro scambiato per una vacca. Ash si rese conto che il toro della canzone era chiamato Fernando e sollevò un sopracciglio. Forse non hanno così voglia di andarsene, pensò. «Gli uomini del faris stanno costruendo delle torri di osservazione lungo tutta la strada» disse Angelotti ad alta voce per cercare di coprire il coro dei suoi uomini. «Stanno inchiodando questa nazione.» Ash si chiese da che parte stesse60
Secondo i miei calcoli era il 9 agosto, la festa dedicata a re Osward di Northumbria. nato nel 605 circa, morto nel 642 a Masefeth. San Osward pregò per le anime dei caduti in battaglia con lui. Il culto di questo santo soldato era piuttosto popolare nella Germania del sud e in Italia.
ro loro ed ebbe un momento di panico, ma le paure scomparvero appena le tornarono alla mente i ricordi degli ultimi giorni. «Io credo che vogliano incoronare il loro viceré ad Aachen.» 61 «Il tempo è brutto. Mi hai detto che dovevano stabilirsi in un punto più vicino e avevi ragione, Madonna.» Ash udì il latrato dei cani e il benvenuto caloroso delle guardie. Un attimo dopo Godfrey Maximillian entrò nella tenda togliendosi la giubba di pecora, seguito a ruota da Floria. Il chirurgo fece un cenno e Bertrand creò spazio nella tenda, vi posò un braciere e aggiunse altri carboni ardenti, dopodiché, ubbidendo a un cenno di Angelotti, cominciò a servire birra e pane vecchio di due giorni muovendosi goffamente tra i presenti. Terminata l'operazione uscì dalla tenda. «Odio le brutte prediche.» Godfrey si sedette su un altro baule. «Stavo leggendo l'Esodo, capitolo dieci, verso ventidue, quando Mosé oscura il cielo dell'Egitto. Qualcuno che conosceva il passo salta su e mi chiede come mai in Egitto durò tre giorni e qua la cosa va avanti da tre settimane.» Il prete bevve e si asciugò la barba. Ash valutò la distanza tra il braciere e i vari bauli e otri pieni di polvere da sparo. Deve essere quella giusta, pensò. Non aveva molta fiducia nella scarsa attenzione con la quale Angelotti trattava gli esplosivi. Floria si scaldò le mani sul braciere. «Roberto sta per arrivare.» Ash si rese conto che era un incontro combinato senza il suo consenso. E scommetto che hanno aspettato cinque giorni per farlo. Diede un morso al suo pezzo di pane e prese a masticare, pensierosa. La voce di Anselm risuonò fuori dalla tenda e un attimo dopo anche l'ufficiale era all'interno. «Non posso restare, devo andare a dare il cambio alle guardie per stanotte - o per oggi.» Vide Ash e si tolse il cappello di velluto. La luce della candela brillava sulla testa pelata e sul simbolo del Leone cucito sul cappello. «Sei tornata, allora.» Il fatto bizzarro fu che nessuno lo riprese per quello che aveva detto. Tutti si girarono a fissarla. «Dov'è Agnus?» chiese improvvisamente Ash. «Dov'è l'Agnello?» «È accampato un paio di chilometri a nord est rispetto a noi, con cinquanta lance.» Robert Anselm spostò il fodero della sua spada e si mise a fianco di Floria. Si muoverebbe in maniera del tutto diversa, pensò im61
II luogo in cui veniva incoronato ogni imperatore del Sacro Romano Impero dai tempi di Ottone il grande.
provvisamente Ash, se sapesse che Florian non è un uomo. «Agnello lo sapeva» ringhiò Ash. «Bastardo! Deve averlo saputo dal primo momento in cui l'ha vista. E mi ha lasciata andare senza avvertirmi!» «Lo stesso vale per il loro generale» le fece notare Godfrey. «E quella non l'ha ancora impiccato?» «Mi hanno detto che ha dichiarato di non essersi mai reso conto di quanto vi somigliaste. Sembra che la faris gli creda.» «Merda.» Ash si sedette sul bordo del tavolino a fianco di Angelotti. «Gli mando Rickard con un messaggio di sfida.» «Non tutti sanno quello che ha fatto, ammesso che l'abbia fatto apposta. Il suo è un peccato d'omissione e basta.» Godfrey si leccò il burro dalla punta delle dita continuando a fissarla. «Non è necessario.» «Lo devo sfidare comunque» borbottò Ash. Incrociò le braccia. «Sentite. Quella non è il mio doppio etereo né io sono il suo demone. Sono solo lo scarto di qualche famiglia di amir. Solo Cristo sa quante volte la compagnia del Grifone d'Oro ha combattuto sull'altra sponda del Mediterraneo vent'anni fa. Sarò una sua cugina bastarda di secondo grado o qualcosa di simile.» Alzò la testa e vide Angelotti e Anselm che si scambiavano un'occhiata che non riuscì a interpretare. Floria armeggiava intorno alle braci con un attizzatoio e Godfrey beveva. «C'è qualcosa che dovremmo dirle.» Godfrey si pulì la bocca con la mano e fissò i presenti. «Riguardo la nostra completa fiducia nelle sue capacità di capitano.» «Allora parla, diavolo di un prete» bofonchiò Robert Anselm. La tenda fu pervasa da un silenzio carico d'aspettativa. Nel frattempo gli uomini fuori dalla tenda cantarono le ultime due strofe della canzone nella quale il toro veniva preso dalla vacca. Ash si accorse dell'occhiata di Anselm e, non sapendo se arrabbiarsi o scoppiare a ridere, cominciò a sogghignare nel vedere che anche Robert si trovava nella sua stessa situazione. «Non ho sentito nulla» disse Ash, allegra. Angelotti alzò gli occhi dal tavolino. «Tutto a posto, Madonna. Ho scritto tutto nel caso te ne dimenticassi!» Godfrey Maximillian sparpagliò briciole per tutta la tenda. «Voglio creare una nuova compagnia» annunciò Ash, mettendo fine allo scherzo, e rimase stupita quando Floria, che fino a quel momento era rima-
sta zitta, disse: «Va bene, se non hai fiducia in noi.» Ash vide il risultato dei suoi cinque giorni di 'assenza' nell'espressione di Floria. «Mi fido di voi.» «Speravo che lo dicessi.» Ash la punzecchiò con un dito. «Tu, Godfrey e Angelotti verrete con me.» «Dove?» domandò Florian. Ash prese a tamburellare con le dita sul fodero. «Il generale visigoto non può incoronare il suo viceré ad Aachen, troppo lontana. Stiamo dirigendoci a ovest. Ha intenzione di raggiungere la città più vicina, ovvero, Basilea.» «Una mossa saggia!» commentò Godfrey, eccitato. «Conferma il suo controllo sulla Lega e sul sud della Germania. Aachen può anche aspettare. Scusami. Continua, figliola.» «Sto per andare a Basilea. Vi spiegherò il motivo tra un minuto. Robert, ti affido il comando temporaneo della compagnia. Voglio che tu costruisca un campo fortificato cinque chilometri fuori della città. Scegli il lato ovest. Puoi far erigere il mio padiglione e tirare fuori i tavoli, i tappeti e l'argenteria, nel caso avessimo visite.» Anselm aggrottò la fronte. «Siamo abituati al fatto che ti assenti per discutere i termini di un contratto. Ma questo l'abbiamo già firmato.» «Lo so. Lo so. Non ho intenzione di cambiarlo.» «Non ci siamo mai comportati in questo modo prima.» «Adesso sì.» Ash allargò le braccia, si alzò, scrutò velocemente i volti dei presenti soffermandosi qualche secondo di più su Floria. Ci sono molte storie in questa tenda, pensò. E non tutte sono note. Accantonò il problema. L'avrebbe risolto in un altro momento. «Voglio parlare con il generale.» Ash esitò. Quindi riprese a parlare rivolgendosi singolarmente a ognuno dei suoi uomini. «Godfrey, voglio che tu parli con i tuoi contatti nei monasteri. Florian, parla con i medici visigoti. Angelotti, tu conosci la matematica e i loro artiglieri, va' e ubriacati con loro. Voglio sapere tutto di quella donna! Voglio sapere cosa mangia a colazione, cosa ci fa il suo esercito in Europa, a quale famiglia appartiene e se veramente sente le voci. Voglio anche sapere se ha idea di quello che è successo al sole.» Fuori, la luna che tramontava annunciava l'arrivo di un altro giorno privo di luce. «Roberto. Mentre sarò tra le mura di Basilea» disse Ash «me la dovrò
vedere con la stessa minaccia che c'è qua fuori.» Mentre entrava nella città di Basilea, Ash riusciva solo a pensare che il faris aveva il suo stesso volto. Sono orfana, non c'è nessuno al mondo che mi assomigli, ma io e lei siamo due gocce d'acqua. Le devo parlare. Vorrei che ci fosse la luce! Le urla dei soldati e il tonfo degli zoccoli dei cavalli da guerra echeggiavano nelle vie di Basilea. I cittadini si spostavano frettolosamente per mettersi al coperto. Dalle finestre più di una persona la ricoprì di insulti. Puttana, stronza e traditrice erano tra i più comuni. «Nessuno ama i mercenari» disse Ash, fingendosi dispiaciuta. Rickard rise di gusto, mentre i suoi uomini presero a pavoneggiarsi. Su molte porte era stata inchiodata una croce. Le chiese erano piene e Ash incrociò più di una processione di uomini che si flagellavano. Il palazzo del comune era chiuso, ma sul tetto del piccolo palazzo delle corporazioni sventolavano le bandiere nere. Ash riuscì a salire la stretta rampa di scale malgrado l'armatura. Le armi le erano d'impaccio. Mano a mano che si avvicinavano alla stanza in cima alla rampa il rumore delle voci diventava sempre più forte: un misto di tedesco svizzero, fiammingo, italiano e latino del Nord Africa. Il consiglio d'occupazione del faris: questo voleva dire che lei doveva trovarsi nelle vicinanze. «Prendi.» Ash passò l'elmo umido di sudore a Rickard. La stanza in cui entrarono era simile a tante altre in cui era stata. Le finestre erano incastonate nella pietra del muro e i loro vetri ovali permettevano di vedere la strada sottostante e le case a quattro piani dall'altra parte del vicolo bagnate dalla pioggia. Dei puntini bianchi cadevano nel raggio di luce delle lanterne nelle case di fronte e delle torce che illuminavano i soldati in strada. I ripidi tetti spioventi si stagliavano contro il cielo nero. La stanza puzzava a causa di un centinaio di candele di sego. Guardò la candela segna tempo e vide che era passato mezzogiorno. «Ash» tirò fuori un pezzo di cuoio sul quale era impresso il suo simbolo. «Condottiero del faris.» Le due guardie la fecero passare. Ash si sedette al tavolo e gli uomini della scorta si fermarono alle sue spalle. Era tranquilla per quanto riguardava il suo campo. Sapeva che Robert Anselm era in grado di trattare con Joscelyn van Mander e Paul di Conti, che avrebbe dato retta agli ufficiali che comandavano le unità minori e, se fosse stato necessario, sarebbe stato
in grado di guidare la compagnia all'attacco. Una rapida occhiata le permise di prendere nota dei presenti alla riunione: c'erano gli Europei e i Visigoti, ma non il faris. «Dobbiamo organizzare l'incoronazione. Mi rivolgo a tutti voi per la procedura» disse un Visigoto che Ash riconobbe come un amir. Un Visigoto in borghese cominciò a leggere con attenzione un manoscritto europeo. «Appena l'arcivescovo avrà posto la corona sulla testa del re, allora questi dovrà offrire la sua spada a Dio posandola sull'altare... Il duca più meritevole tra i presenti alla cerimonia... dovrà presentarla sguainata al re... 62 » Non è quello che volevo fare, pensò Ash. Come faccio a parlare al loro generale? Si grattò la nuca, poi si fermò perché non voleva attirare l'attenzione sul pezzo di cuoio della gorgiera morsicato dai topi. «Perché dovremmo incoronare il nostro viceré con una cerimonia pagana?» domandò un qa'id. «Neanche i loro re e i loro imperatori riescono a ottenere la lealtà dei propri sudditi, quindi, non vedo perché dovremmo attenerci ai loro usi.» Uno degli individui che si trovava al fondo del tavolo, un uomo con i capelli biondi tagliati corti alla maniera dei soldati visigoti alzò la testa e Ash si trovò faccia a faccia con Fernando del Guiz. «Ah, niente di personale, del Guiz» aggiunse lo stesso ufficiale. «Sarai anche un traditore, ma, dopotutto, sei il nostro traditore!» Un'ondata di umorismo macabro attraversò la tavolata, ma l'amir riportò immediatamente l'ordine senza riuscire a fare a meno di lanciare un'occhiata interrogativa a Fernando. Fernando del Guiz sorrise. La sua espressione era aperta, generosa e palesemente complice con l'ufficiale visigoto: come se anche Fernando si stesse divertendo per lo scherzo ai suoi danni. Era la stessa espressione che aveva fuori dalla tenda dell'imperatore a Neuss. Ash vide che il marito aveva la fronte imperlata di sudore. Non era certo un simbolo di forza di carattere. Tutt'altro. «Cazzo!» urlò Ash. «'E il re sarà...'» Un uomo dai capelli bianchi che indossava una tonaca 62
È una procedura simile a quella illustrata nel manoscritto 'Sull'ordinazione di un Cavaliere' del quindicesimo secolo, intitolato 'Il modo e la forma di incoronazione dei re e delle regine in Inghilterra.'
dello stesso colore dei capelli ornata con degli anelli metallici intorno al colletto, alzò gli occhi dal manoscritto che stava leggendo. «Scusatemi, frau?» «Cazzo!» Ash balzò in avanti posando una mano sul tavolo. Fernando del Guiz la fissava freddo e impassibile. Indossava un usbergo sopra una tunica bianca con i gradi di qa'id sulle spalle. In quel momento le sue labbra diventarono bianche. Ash lo fissò negli occhi ed ebbe l'impressione di ricevere un pugno nelle costole. «Sei solo un fottuto traditore!» La lama della spada era già uscita dal fodero e i muscoli si erano contratti, prima ancora di riuscire a formulare un pensiero cosciente. Sentì il corpo che si preparava ad assorbire l'impatto della punta che penetrava nel volto scoperto di del Guiz. Nel corso di tutta la sua vita Ash aveva sempre pensato che la forza bruta alle volte potesse risolvere dei problemi per i quali pensare era tempo sprecato. Un attimo prima che estraesse la spada, Agnus Dei, che si trovava dietro l'amir, scrollò le spalle come per dire: 'Donne!' «Risolvi le tue questioni private in un altro momento, Madonna!» aggiunse ad alta voce. Ash lanciò un'occhiata alla sua scorta. I sei uomini continuavano a rimanere impassibili in volto, ma pronti a ritirarsi. Solo Rickard si stava mordendo le unghie, atterrito dal silenzio. Fernando del Guiz la fissava privo d'espressione. Si sentiva al sicuro e protetto dai suoi nuovi alleati. «E sia» disse Ash, sedendosi. Tutti i presenti allentarono la stretta intorno all'elsa delle spade. «Risolverò le mie questioni private più tardi. Questo vale anche per te, Agnello.» «Forse i mercenari non dovrebbero prendere parte a questo incontro, condottieri» fece notare il Lord-amir, secco. «Credo proprio di no.» Ash posò le mani sul bordo del tavolo di quercia. «Ho bisogno di parlare con il faris.» «Lei è nel municipio.» Era la fine di ogni bega tra mercenari e Ash l'apprezzò. Si alzò in piedi e gratificò Agnus Dei di un sorriso. Anche il mercenario italiano si stava alzando per abbandonare la sala insieme ai suoi uomini. Ash si strinse nel mantello per ripararsi dal nevischio. «Tutti i mercenari in strada...» Quella frase avrebbe indotto Agnello a combattere o a ridere. L'uomo aggrottò la fronte. «Quanto ti paga, Madonna?» «Più di te. Qualunque sia la cifra, scommetto che è più alta di quella che
passa a te.» «Hai più lance» affermò Agnello, tranquillo, mentre si infilava i guanti. Ash mise l'elmo, si diresse nel punto in cui Rickard teneva le redini di Godluc e montò velocemente in sella. I ferri di un cavallo da guerra scivolavano sulla strada pavimentata tanto quanto i suoi stivali. Il fatto di essere tornata calma in maniera così repentina la disorientava. «Antonio Angelotti te l'ha detto?» la chiamò Agnello. «Hanno bruciato anche Milano. L'hanno rasa al suolo.» L'odore del pelo umido di cavallo pervadeva l'aria. «Tu non vieni da Milano, Agnello?» «I mercenari non hanno patria, Madonna, lo sai anche tu.» «Alcuni di noi ci provano, ad averne una.» Ripensò alle mura frantumate di Guizburg e al mastio che era ancora intatto. È in quella piccola stanza e vorrei che fosse morto, si disse. «Chi ha lasciato che le 'gemelle' si incontrassero senza avvertire nessuna delle due?» gli chiese. Agnello rise, cinico. «Pensi che sarei ancora vivo se il faris pensasse che è colpa mia?» «Ma c'è anche Fernando.» Il mercenario italiano la gratificò di uno sguardo che sembrava dirle: 'Ma non capisci proprio nulla, bambina mia.' «E se ti pagassi per uccidere mio marito?» chiese improvvisamente Ash. «Sono un soldato, non un assassino.!» «Ho sempre saputo che avevi dei principi, Agnello, se solo sapessi dove trovarli!» Così dicendo, Ash scoppiò a ridere, continuando a tenere d'occhio il mercenario perché l'espressione del suo volto dava chiaramente a intendere che lo scherzo non gli era piaciuto. «Comunque, sta per diventare il braccio destro del faris.» Agnus Dei si toccò il simbolo sul vestito e l'espressione del suo volto si ammorbidì. «Sarà Dio a giudicarlo, Madonna. Pensi di essere il suo unico nemico dopo il tradimento che ha compiuto? Il Giudizio Divino calerà su di lui.» «Mi piacerebbe arrivare prima» sentenziò Ash, sogghignando, mentre fissava Agnus Dei e i suoi uomini che salivano a cavallo. Il rumore degli zoccoli e delle voci echeggiava contro i muri delle case. Brutta strada per combattere, pensò Ash, quindi affondò il mento nella gorgiera e borbottò, giusto a scopo informativo e per la prima volta da Genova: «Sei cavalieri contro sette armati di martelli da guerra, spade e asce. Terreno pessimo.» Si fermò e abbassò la ventaglia dell'elmo per nascondere il volto, girò il
cavallo e lo spronò al galoppo lungo quel vicolo scivoloso, seguita immediatamente dai suoi uomini. Le urla di Agnello furono coperte dal tonfo degli zoccoli sul porfido. No! Non ho detto nulla! Non voglio sentire! Era preda di una paura irrazionale e non voleva capirne il motivo. È solo il santo che sentivo fin da bambina: perché... Non voglio sentire la mia voce. Fece rallentare Godluc e guidò la sua scorta lungo un dedalo di stradine scarsamente illuminate. Il campanile suonò le due di pomeriggio. «So dove trovare il chirurgo» disse a Thomas Rochester. L'uomo annuì e si mise in testa al gruppo insieme a un altro. Due balestrieri le si affiancarono e gli ultimi due chiusero il gruppo. Il selciato della strada lasciò il posto al fango ghiacciato. Le case su ambo i lati del vicolo avevano le finestre oscurate dalle tende, dietro le quali era possibile intravedere il bagliore fioco delle lanterne. Una macchia nera attraversò il suo campo visivo e Godluc ne seguì la traiettoria con la testa. Sono pipistrelli, comprese Ash. Sono usciti dai loro nidi a caccia di insetti. Qualcosa scricchiolò sotto gli zoccoli del cavallo. Un tappeto di insetti morti ricoperto da un sottilissimo strato di ghiaccio ammantava la strada. C'erano centinaia di migliaia di api, vespe e calabroni. Godluc continuò ad avanzare schiacciando corpi e ali. «Là.» Ash indicò una casa di tre piani con una fila di finestre sporgenti. Rochester annusò l'aria. La ventaglia nascondeva gran parte del volto del piccolo inglese, ma quando cominciò a studiare la casa, Ash fu sicura che sulle labbra dell'uomo fosse apparso un sorrisetto compiaciuto. Le finestre erano illuminate da un centinaio di lanterne, qualcuno cantava e qualcun altro suonava il liuto con grande arte. Nel centro della strada c'erano tre o quattro uomini con il mal di stomaco. I bordelli facevano sempre buoni affari durante le crisi. «Aspettatemi qui.» Ash scese di sella. La luce della casa si rifletté sull'armatura. «E quando dico qui, intendo in questo stesso punto. Quando torno non voglio scoprire che qualcuno di voi è sparito durante la mia assenza!» «No, capo!» Rochester sogghignò. I due buttafuori la videro arrivare e la lasciarono passare. Non c'era niente di nuovo in un cavaliere con la voce da ragazzino o in un soldato che
entrava in un bordello. Con un paio di domande e due monete spese per comprare il silenzio, riuscì a trovare la stanza nella quale si era appartato un chirurgo biondo dall'accento burgundo. Ash salì la scala con passo deciso, bussò alla porta ed entrò. Una donna era sdraiata sul lettino in un angolo della stanza. I seni le sporgevano dal corpetto slacciato e aveva la camicia da notte tirata su fino alle cosce. Il mento era piccolo e carnoso e i capelli erano tinti di biondo. Aveva un'età indefinita, tra i sedici e i trent'anni. La stanza odorava di sesso. C'era uno liuto a fianco della prostituta. Sul pavimento c'era una candela e un vassoio con del pane. Floria del Guiz sedeva sul letto con la schiena appoggiata al muro. Un capezzolo marrone spuntava da sotto la maglia. Ash fissava la prostituta che carezzava il collo di Floria. «È un peccato?» le chiese la ragazza. «Vero, sir? Ma anche la fornicazione è un peccato e io ho fornicato con moltissimi uomini. Sono come dei tori in un campo con i loro grossi affari. Lei è gentile e forte con me.» «Sssh. Margaret.» Floria si inclinò in avanti e la baciò sulla bocca. «Devo andare. Posso tornare a trovarti?» «Quando avrai i soldi.» Negli occhi della prostituta sembrò balenare un lampo. «Mamma Astrid non ti farebbe passare senza. E vieni vestita da uomo. Non voglio diventare legna da ardere per i fuochi della chiesa.» Floria fissò Ash e roteò gli occhi. «Questa è Margaret Schmidt. Le sue dita sono molto abili nel... suonare il liuto.» Ash diede le spalle alle due donne che finivano di vestirsi e cominciò a camminare su e giù per la stanza facendo scricchiolare le tavole del pavimento. Una voce profonda e maschile urlò qualcosa dall'androne, mentre da un'altra stanza giunse l'eco di false grida di piacere. «Non mi sono mai prostituita con un'altra donna!» disse Ash, girandosi. «Sono andata con gli uomini. Ma mai con gli animali o le donne! Come puoi farlo?» ' «Anche se si fa passare per un uomo è una donna!» borbottò Margaret. Floria finì di allacciare il mantello e si girò verso la ragazza. «Lei ha un gran cuore. Se hai voglia di vivere viaggiando, puoi unirti alla nostra compagnia: ce ne sono di peggiori.» Ash voleva urlare, ma vide l'espressione sul volto della prostituta e decise di stare zitta. Margaret si grattò il mento. «Vivere in mezzo ai soldati, non la considero una vita. E dai retta a lei, o lui, non posso venire con te, giusto?»
«Non lo so, dolcezza. Non sono mai stata con una donna» commentò Ash. «Torna prima di ripartire e ti darò una risposta.» Calma, Margaret Schimdt prese il liuto, il piatto e li posò sul ripiano di un mobile. «Cosa state aspettando? Mamma avrà sicuramente mandato qualcun altro. Sbrigatevi a uscire altrimenti vi farà pagare il doppio.» Ash non attese di vedere il bacio tra le due donne. Le prostitute non baciano, pensò. Io non ho mai... Si girò e scese giù per la scala stretta passando davanti alle stanze. Alcune porte aperte le permisero di farsi un'idea delle attività in corso in quel momento nel bordello. C'erano degli uomini impegnati in partite a dadi, altri bevevano e altri ancora copulavano con le prostitute. Raggiunta la fine della rampa, Ash si girò di scatto rischiando di dare una gomitata al chirurgo. «Cosa pensavi di fare? Avresti dovuto parlare con gli altri medici per cercare notizie!» «Cosa ti fa pensare che non l'abbia fatto?» L'alta donna controllò il cinturone, il borsellino dei soldi e la daga con un gesto automatico della mano, continuando a stringere una bottiglia di cuoio nell'altra. «Proprio qui ho trovato uno dei medici personali del cugino primo del califfo Teodorico. Era sbronzo marcio e mi ha detto in confidenza che il califfo ha il cancro. Gli restano pochissimi mesi di vita.» Ash la osservava dritta negli occhi. Sembrava che non stesse ascoltando. «Che faccia!» Floria rise e bevve. «Cristo, Florian, ti scopi le donne!» «Non c'è niente di sbagliato in Florian che si scopa le donne.» Tirò su il cappuccio. «Non sarebbe molto più sconveniente se cercassi di scoparmi un uomo?» «Pensavo che avessi pagato una stanza e il tempo della ragazza perché faceva parte della messa in scena!» L'espressione di Floria si ammorbidì, diede un buffetto sulla guancia ad Ash, e si mise le muffole per proteggere le mani dal freddo della strada. «Cristo santo. 'Non fare la stronza priva d'umorismo', come direbbe il nostro buon Roberto.'» Ash sospirò rumorosamente. «Ma tu sei una donna che va con un'altra donna!» «La cosa non ti disturba con Angelotti.» «Ma lui è...»
«Un uomo che va con un uomo?» concluse Floria. Ash sentiva le labbra che tremavano. «Sant'Iddio, Ash!» Una donna anziana con il volto scarno incorniciato da una cuffia sbucò dalle cucine. «Voi due state cercando una donna o siete solo dei perdigiorno? Chiedo scusa, si. cavaliere. Tutte le nostre ragazze sono pulitissime, vero, dottore?» «Proprio così.» Floria spinse Ash verso la porta. «Tornerò con il mio signore quando avrà sbrigato alcune faccende.» La strada era molto buia e il bagliore vivido delle fiaccole tenute da Thomas Rochester e gli altri uomini la accecarono per un attimo, non permettendole di vedere il volto del ragazzino che portava il cavallo a Floria. Ash montò in sella. Aprì la bocca come per urlare, ma poi si rese conto che non sapeva cosa dire. Floria non era affatto contrita e la stava fissando dritto negli occhi. «Godfrey sarà già tornato» disse Ash, mentre premeva i talloni sui fianchi di Godluc per segnalargli di mettersi in marcia. «E la faris sarà arrivata. Andiamo.» La testa del cavallo di Floria scattò verso l'alto. Un gufo bianco era planato a pochi centimetri dal cappello del chirurgo, chiaramente disorientato. «Guarda.» Floria indicò. Ash alzò lo sguardo e fissò i tetti delle case. Non aveva mai notato che il cielo estivo fosse pieno di vita perché non si era mai soffermata ad osservarlo. Ora i tetti e i davanzali delle case erano pieni di uccelli: piccioni, corvi, cornacchie e tordi gonfiavano il piumaggio nella speranza di ripararsi dal gelo innaturale. I passeri condividevano i tetti con i falchi pellegrini e le poiane in quella che sembrava una tregua alquanto improbabile. Una sorta di mormorio di disappunto si levava dai tetti, mentre le tegole e le travi cominciavano a ricoprirsi di uno strato di guano bianco. Sopra i volatili il cielo continuava a essere nero come la pece. Malgrado ci fosse un'ordinanza dei Visigoti che limitava il numero di uomini per una scorta a sei, il municipio di Basilea era stipato. L'aria puzzava di sego, dei resti di un grande banchetto e del sudore di circa due o trecento persone che attendevano di rivolgere le loro richieste al viceré. Il generale visigoto non era presente. «Merda!» imprecò Ash. «Dov'è quella donna?» L'aria viziata lambiva il soffitto a volta dal quale pendevano le bandiere
dell'impero e dei cantoni. Ash lasciò vagare lo sguardo tra il gruppo di Europei, quindi si concentrò su quello, decisamente più numeroso, dei Nordafricani: c'erano soldati semplici, arif, qa'id, ma nessuna traccia del faris. Ash abbassò leggermente la ventaglia in modo da far vedere solo la bocca e il naso. La chioma argentea era nascosta sotto l'elmo. Quando indossava l'armatura completa era molto difficile scambiarla per una donna, tanto meno per la gemella del generale visigoto. Intorno alla stanza c'era un cordone di golem. Ash si sollevò in punta di piedi e vide i golem alle spalle del viceré, che, con sua somma sorpresa, si dimostrò essere Daniel de Quesada. L'ex ambasciatore teneva in mano una testa di ottone che consultava di tanto in tanto. Floria prese del vino da uno dei servitori che passavano di gran fretta. «Come si può chiamare questo gruppo di persone? Orso, cigno, toro, unicorno e martora... È un bestiario!» Un rapido esame dei simboli sugli abiti degli astanti permise ad Ash di capire che erano presenti le delegazioni da Berna, Zurigo, Neuchâtel, Solothurn, Friburgo e Aargau... gran parte dei Lord della Confederazione svizzera, o come si facevano chiamare i Lord nella Lega di Costanza, avevano tutti il volto inespressivo. Le conversazioni erano condotte in tedesco della Svizzera, italiano, tedesco, ma la più importante, quella tenuta quasi urlando intorno al tavolo principale, era in cartaginese, o, quando gli amir o i qa'id si ricordavano dell'etichetta, anche se la loro posizione di conquistatori non glielo imponeva, in latino del Nord Africa. Dove la cerco, adesso? si chiese Ash. Thomas Rochester la raggiunse facendosi largo tra un gruppo di civili. Gli avvocati e i funzionari di Basilea si fecero da parte senza neanche pensare, come succede quando si vede passare un uomo in armatura, ignorandolo al tempo stesso. «È stata al campo e ti cercava» la informò l'uomo parlando a bassa voce. «Cosa?» «Il capitano Anselm ha mandato un messaggero. Il faris sta tornando.» Ash si dovette costringere a non chiudere la mano intorno all'elsa della spada, perché in una sala affollata quel gesto poteva essere facilmente male interpretato. «Anselm ha detto perché è venuta da noi?» «Per parlare con uno dei suoi jund.» Thomas sogghignò. «Siamo abbastanza importanti da farla scomodare.» «E io sono le tette di sant'Agata!» Ash provò un disgusto improvviso e
osservò la folla intorno a Daniel de Quesada che non sembrava diminuire affatto. Il volto dell'ambasciatore era ancora segnato dalle cicatrici, lo sguardo si spostava rapidamente per la sala e quando uno dei cani che stava annusando la segatura uggiolò, il corpo dell'uomo sussultò in maniera incontrollata. «Chi è il suo burattinaio?» disse Ash, esprimendo ad alta voce un pensiero. «E quella è venuta solo per darmi un'occhiata fuori da Guizburg? Forse. E adesso è andata al campo. Un bel disturbo solo per andare a dare un'occhiata a un probabile parente bastardo nato in una compagnia di mercenari vent'anni fa.» Antonio Angelotti, sudato e barcollante, apparve al suo fianco. «Capo. Torno al campo. È vero. Dieci giorni fa hanno sconfitto gli Svizzeri.» Sapere che doveva essere successo era una cosa, ma sentirselo confermare era un discorso ben diverso. «Sant'Iddio. Hai trovato qualcuno che ha partecipato alla battaglia?» chiese Ash. «Non ancora, ma so che hanno manovrato con maggiore abilità rispetto agli Svizzeri.» «Ho capito perché tutti stanno leccando il culo del re-califfo. Adesso si spiegano i banchetti. Figlio di puttana. Mi chiedo se Quesada dicesse il vero quando parlava di dichiarare guerra alla Borgogna.» Prese Angelotti per una spalla e lo scosse rudemente. «Va bene, torna al campo, sei pieno come un otre.» Mentre il mastro artigliere usciva, Ash vide Godfrey Maximillian che entrava nella sala e cominciava a guardarsi intorno in cerca delle insegne del Leone Azzurro. Il prete rivolse un inchino ad Ash, quindi lanciò una rapida occhiata a Floria del Guiz. «Odio quello sguardo» disse il chirurgo in tono aspro. «Mi guardi così ogni volta che mi devi rivolgere la parola. Non mordo, Godfrey. Da quanto mi conosci, Cristo?» Floria aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi. I capelli tagliati corti le stavano dritti in testa a causa dell'umidità. Un paio di servitori le passarono vicino dandole una rapida occhiata. Chissà cosa vedono? si chiese Ash. Un uomo, questo è poco ma sicuro. Non un soldato perché non porta la spada, ma dai vestiti è chiaro che è un professionista di qualche tipo. Inoltre devono pensare che sia al servizio di qualche Lord visto che porta un simbolo cucito sulla tesa del cappello. «Calmati! Ho già abbastanza problemi.»
«E io no? Sono una donna, cazzo!» Aveva alzato troppo la voce. Ash fece cenno a Thomas Rochester e a Michael, uno dei balestrieri, di avvicinarsi. «Portatelo fuori, è ubriaco.» «Va bene, capo.» «Perché tutto deve cambiare?» domandò Floria liberando le braccia con uno strattone dalla presa dei due uomini. Senza farsi notare, Thomas Rochester diede un pugno nella schiena del chirurgo e mentre questi si piegava leggermente in avanti per il dolore, lo afferrò al volo e lo portò fuori aiutato da Michael. «Merda.» Ash aggrottò la fronte. «Non volevo che lo picchiassero...» «Non avresti avuto nulla in contrario se non avessi saputo che è una donna» le fece notare Godfrey, che nel frattempo aveva afferrato la croce che portava al petto. Aveva tirato su il cappuccio della tunica e quindi non era possibile scorgere chiaramente la sua espressione. «Aspetteremo il ritorno del faris» affermò Ash, decisa. «Che notizie mi porti?» «Quello è il capo della gilda degli orafi.» Godfrey indicò, inclinando leggermente la testa. «Laggiù, quello che parla al de Medici.» Lo sguardo di Ash vagò lungo il tavolo nella direzione indicata finché non si soffermò su un uomo che portava una cuffia di lana nera dal cui bordo spuntavano dei ciuffi di capelli grigi. Stava sussurrando qualcosa all'orecchio di un altro uomo che indossava un abito di fattura italiana. Il de Medici aveva il volto pallido. «Hanno distrutto Firenze solo per ribadire un concetto.» Ash scosse la testa. «Lo stesso vale per Venezia. Vogliono farci sapere che non hanno bisogno dei soldi, delle armi e dei cannoni. Gli bastano quelli che arrivano dall'Africa... Penso che ci riescano.» «È importante?» Un uomo che indossava un abito da studioso si inchinò davanti ad Ash e quando si raddrizzò, sussultò e aggrottò la fronte nel sentire la voce di una donna. «Sir, voi siete?» si intromise Godfrey. «Sono, anzi ero, l'astrologo di corte dell'imperatore Federico.» «Sei stato licenziato, giusto?» chiese Ash in tono cinico, continuando a lasciare vagare lo sguardo per la sala. «Dio ha fatto sparire il sole» disse l'astrologo. «Dama Venere, la stella del mattino, può essere ancora vista in certe ore, così sappiamo che il giorno è prossimo, ma i cieli continuano a rimanere scuri e vuoti. Questa è la
seconda venuta del Cristo: il suo giudizio ci attende. Non ho vissuto come dovevo. Vorreste accogliere la mia confessione, padre?» Godfrey attese che Ash desse il benestare, quindi si appartò con l'uomo in un angolo tranquillo della sala. L'astrologo si inginocchiò, dopo qualche minuto il prete posò le mani sulla sua fronte in segno di perdono, quindi lo congedò e tornò da Ash. «Sembra che i Turchi abbiano pagato delle spie per sapere cosa sta succedendo. Dovrebbero essercene anche in questa sala» aggiunse Godfrey. «Il mio astrologo sa chi sono e dice che i Turchi si sentono molto sollevati.» «Sollevati?» «I Visigoti si sono accaniti sull'Europa Occidentale e li hanno lasciati in pace.» «Se dovessero decidere di dirigersi a ovest allora anche i Turchi sarebbero costretti ad affrontare i Visigoti piuttosto che l'Europa cristiana. Comunque» aggiunse Ash «sono sicura che il Sultano Mehmet ora si senta molto sollevato, visto che per anni ha creduto che i preparativi fatti dai Visigoti fossero mirati a un'invasione del suo impero!» Ash vide alcuni ambasciatori della Savoia e della Francia. Sebbene i due regni non fossero stati ancora toccati, essi erano là per capire quale sarebbe stato il prossimo bersaglio degli invasori. «Odio le città» disse Ash, con aria assente. «Sono troppo a rischio di incendi. Qui si può comprare olio e stracci praticamente ovunque e ridurre tutto in cenere nel giro di un paio di giorni.» Attese che il prete facesse qualche commento sulla sua irritabilità, ma non successe. «Parliamo come se non dovessimo più rivedere il sole» disse Godfrey. Ash rimase in silenzio. «Fa sempre più freddo. Sono passato vicino a dei campi mentre venivo qua. Il grano e le vigne sono bruciati dal gelo. Presto ci sarà una grande carestia... Forse mi sbagliavo. Siamo davvero al giorno del giudizio. La carestia e la pestilenza stanno arrivando, la morte e la guerra ci sono già. Dovremmo preoccuparci dello stato della nostra anima e non passare il tempo a razzolare tra le rovine.» «Voglio il generale visigoto» rispose Ash, ignorandolo. «Anche lei mi sta cercando.» «Sì.» Godfrey esitò nel vedere Ash che continuava a sorvegliare la folla. «Non stai per mandarmi via da qui, vero, figliola?»
«Me ne vado anch'io» sulle labbra di Ash apparve l'ombra di un sorriso. «Prendi Florian con te e fatti scortare al campo da Josse e Michael. Rimanete con Roberto finché non vi farò chiamare. Non ti si arruffano i capelli a stare qua? Vai.» Una delle cose che succedono quando si ha l'abitudine di dare ordini è che gli altri prendono l'abitudine di ubbidire. Ash intravide l'espressione preoccupata del prete malgrado il cappuccio. Sono rimasta con soli quattro uomini, concluse Ash, Adesso vedremo chi è la stronza inaffidabile. Posso rimanere in fondo alla sala senza che nessuno mi dia un panno e un catino per lavarmi le mani, per non parlare di uno dei piatti stranieri che si trovano sulle tavole. Potrei anche aspettare, concluse Ash, che i leccapiedi intorno a Daniel de Quesada perdano il loro ardore, ma potrebbero volerci dei giorni. Settimane, forse. Osservò i rappresentanti della Savoia e della Francia che si radunavano ansiosamente intorno al viceré. «Vorrei avere a disposizione le spie dei Francesi o i banchieri Fiamminghi.» Si girò verso Thomas Rochester. «Guido, Simon, andate alla dispensa, vedete cosa riuscite a sapere. Francis e tu, Thomas, venite con me. Appena le cose si mettono male corriamo dritti filati da Anselm, chiaro?» Rochester la fissò, dubbioso. «Ma, capo, questo è un inganno.» «Lo so. Dovremmo andare via adesso, ma... si può godere di qualche privilegio nell'essere la figlia bastarda di una famiglia di faris. Potremmo guadagnarci qualcosa.» Ash scosse la testa. «Voglio sapere.» Camminò lungo la sala per qualche tempo. Prese a contrattare con un mercante per rimpiazzare i muli e le attrezzature che aveva perduto fuori Genova, ma la cifra richiesta per i carri, per non parlare di quella per i cavalli già domati e addestrati, la lasciò di stucco. Alle volte sono dell'idea che rubare è meglio che comprare, pensò Ash. Un piccolo manipolo di servitori si affrettò a cambiare le candele consumate e le lanterne spente. Ash si premette contro il muro per farli passare, urtando qualcuno con il fodero della spada. «Chiedo scusa...» Si girò e si trovò faccia a faccia con Fernando del Guiz. «Figlio di puttana!» «Come sta la mamma?» chiese il nobile, mesto. Cerca di farmi ridere, pensò, mentre una sorta di ringhio le appariva sulle labbra. La vista di Fernando del Guiz con indosso una cotta e una divisa visigo-
ta la lasciò senza parole per qualche attimo. «Cristo che si fotte l'imperatore! Cosa vuoi?» sbottò Ash. Nello stesso istante vide Thomas Rochester che finalmente si era accordato con il mercante e si voltava a fissarla con un'aria interrogativa: Ash scosse la testa. «Fernando - no: cosa? Cosa? Cos'hai da dirmi?» «Sei molto arrabbiata» le fece notare lui. Il nobile le parlava continuando a osservare la folla riunita nella sala, ma quando abbassò gli occhi il suo sguardo sembrò impalarla. «Cosa avrei da dire a una contadina?» «Giusto, giusto. Il fatto di essere un nobile non ti impedisce di schierarti dalla parte dei Visigoti, vero? Sei un traditore. Pensavo che fosse una menzogna.» La rabbia che bruciava in lei venne estinta da uno sguardo del nobile e Ash rimase silenziosa per una manciata di secondi. Fernando del Guiz cominciò a girarsi. «Perché?» domandò Ash. «Perché?» «Tu - continui a non capire. Sei un nobile. Anche se ti avessero preso prigioniero avrebbero pagato il riscatto per riaverti. O ti avrebbero messo al sicuro in qualche castello. Diavolo, avevi una scorta armata con te, saresti potuto scappare.» «Da un esercito?» le chiese, divertito. Ash sbarrò la strada a Fernando posandogli un braccio contro il petto. Se voleva passare doveva spingerla via. «Non sei incappato in un esercito. Quella è solo una voce. Godfrey ha scoperto la verità. Ti sei trovato di fronte a una pattuglia di otto uomini - otto uomini. Non hai neanche cercato di combattere. Ti sei arreso e basta.» «La mia pelle vale molto di più della tua stima per me» rispose il nobile, in tono ironico. «Non pensavo che ti importasse qualcosa di me, mia signora moglie.» «A me non...! Beh, comunque ti sei guadagnato un posto in questa corte. Adesso sei con i vincitori.» Indicò gli astanti. «Subdolo. E ti era stata data una possibilità. Ma dovevo ricordare che i nobili che circondano l'imperatore sono tutti politicanti.» «Non è stato!» Fernando la fulminò con un'occhiataccia. «Non è stato cosa?» chiese Ash, tranquilla. «Non è stato un tradimento politico!» Il volto del nobile assunse un'espressione bizzarra. «Hanno ucciso Matthias! Gli hanno piantato una lancia nello stomaco e lui è caduto a terra urlando! Hanno ucciso Otto con una quadrella e tre dei cavalli...»
Ash si sforzò di tenere la voce bassa. «Cristo Santo, Fernando,» lo interruppe con un sussurro sprezzante «tu non sei come quello stronzo di Matthias. Ti avevano dato una possibilità. E cosa mi dici del tuo equipaggiamento tanto carino? Indossavi un'armatura completa, Cristo! Dovevi affrontare dei contadini visigoti vestiti con delle tuniche! Non ci hai neanche provato!» «Non potevo!» Ash fissò l'espressione franca che era apparsa sul volto del marito. «Non potevo» ripeté Fernando con un sorriso che lo fece sembrare più vecchio e appesantito. «Me la sono fatta sotto, sono caduto da cavallo e ho implorato il sergente di non uccidermi. Gli ho dato l'ambasciatore in cambio della mia vita.» «Tu...» «Ho avuto paura e ho ceduto» ammise Fernando. Ash continuava a fissarlo. «Cristo.» «Non mi sento in colpa.» Fernando si passò una mano sul volto. «E tu?» «Io...» Ash esitò. Tolse il braccio. «Non lo so. Niente. Suppongo. Sono un mercenario, non sono uno dei tuoi servitori o il tuo re. Non sono io quella che hai tradito.» «Non riesci a digerirlo, vero?» Fernando del Guiz non fece nulla per allontanarsi. «C'erano degli uomini con le balestre. Le quadrelle avevano delle punte d'acciaio spesse come il mio pollice. Ne ho vista una piantarsi nell'occhio di Otto e fargli esplodere il cranio. Matthias si teneva le viscere in mano. C'erano dei soldati con le stesse lance che io ho usato per sventrare gli animali durante le cacce, e che volevano fare lo stesso con me. Ero circondato da pazzi.» «Soldati» lo corresse Ash, senza neanche pensare, quindi scosse la testa, meravigliata. «Tutti se la fanno sotto quando si tratta di combattere. Anch'io. È successo anche a quell'uomo, Thomas Rochester, e lo stesso vale per la maggior parte dei miei soldati. Questo è un fatto che omettono sempre nelle cronache. Ma, diavolo, non devi arrenderti quando c'è una possibilità di combattere!» «Tu non capisci.» L'espressione intensa del suo volto lo fece sembrare più vecchio. Sono stata a letto con te, pensò improvvisamente Ash, ma non ti conosco affatto. «Tu hai il coraggio» continuò Fernando «che io pensavo di avere fino a quel momento. Ho partecipato ai tornei, a guerre... simulate. Ma è diverso.»
«Certo che lo è.» Ash lo guardava senza capire dove volesse andare a parare. Si fissarono a lungo in silenzio. «Vuoi dirmi che ti sei comportato così perché sei un codardo?» Fernando del Guiz si girò e si allontanò. La luce mutevole delle candele non le permise di scorgere l'espressione del volto. Ash aprì la bocca per richiamarlo, ma, non sapendo cos'altro aggiungere, la richiuse. Il rintocco delle campane che annunciavano le quattro del pomeriggio echeggiò sopra il brusio che pervadeva la sala. «Abbiamo aspettato fin troppo.» Fece un cenno a Rochester e si dimenticò di del Guiz. «Non so dove sia il faris, ma è chiaro che non verrà qui. Raduna i ragazzi.» Thomas Rochester trovò un uomo nelle cucine, uno nelle stalle e un altro ancora nel letto di una delle cameriere. Ash mandò Guido a prendere i cavalli, quindi uscì dalla sala accompagnata da Rochester e Francis, un balestriere alto e robusto che aveva l'aria di chi non ha bisogno della manovella per caricare la sua arma: forse poteva farlo con i denti. Il cielo era sempre nero. I nitriti dei cavalli e il battito degli zoccoli sul selciato non potevano coprire il silenzio che sembrava precipitare dal cielo. Francis si fece il segno della croce. «Spero nella venuta del Cristo. Sono le tribolazioni che mi fanno paura, non il Giudizio universale.» Ash si accorse che sulla protezione del braccio c'erano dei puntini arancione. Il nevischio si era sciolto al caldo della sala e aveva fatto comparire la ruggine. Borbottò una sfilza di imprecazioni e strofinò l'armatura con una mano guantata mentre aspettava i cavalli. «Capitano!» la chiamò un uomo in un latino dal forte accento visigoto. Ash alzò gli occhi e vide un arif, un comandante di quaranta soldati, con venti uomini alle sue spalle. Le spade erano fuori dai foderi. Ash fece un passo indietro, estrasse la sua spada e urlò un ordine a Thomas Rochester. Sei o sette uomini dotati di usbergo e cotta le piombarono addosso alle spalle schiacciandola a terra. Ash batté la fronte contro l'imbottitura della visiera. Si girò di scatto e tirò un pugno alla cieca colpendo qualcosa. Un urlo echeggiò nella via. Anche l'armatura è un'arma. Piegò il gomito e piantò il puntale che spuntava dalla piastra di protezione nella carne di uno degli assalitori. Si dimenò come un'ossessa cercando di piegare le gambe per paura di un fendente dietro il ginocchio. Due uomini le bloccarono le braccia e urlaro-
no qualcosa. Un attimo dopo altri tre corpi si premettero violentemente contro il suo, inchiodandola a terra. Non mi vogliono uccidere. Non riusciva a sollevare la testa dal fondo stradale coperto di paglia e insetti morti. Sentì un impatto e un urlo a circa un centinaio di metri da lei. Avrei dovuto prendere una scorta più nutrita. O mandare via Rochester... Aumentò la stretta intorno all'elsa della spada, quindi chiuse il pugno sinistro facendo sporgere una delle piastre che ricoprivano il guanto e sferrò un colpo contro quello che le sembrava il volto di un uomo. Non successe nulla. Un tallone le premette la mano destra intrappolandole le dita tra l'elsa della spada e le piastre metalliche dei guanti dell'armatura. L'uomo vi caricò sopra tutto il suo peso schiacciandole l'estremità contro il selciato. Ash urlò e aprì la mano. Qualcuno allontanò la spada con un calcio. La punta di una daga scivolò in una fessura della ventaglia e si fermò a pochissimi centimetri dal suo occhio. IV La luna al tramonto bagnava con la sua luce fioca il castello di Basilea e, più lontano, fuori dalle mura della città, le cime coperte di neve delle Alpi. I contorni dell'hortus conclusus brillavano a causa del ghiaccio. Ghiaccio in piena estate! pensò Ash, prima di ripiombare nel vuoto. Il gorgoglio di una fontana la risvegliò e udì il clangore metallico di molti uomini in armatura che camminavano. Mi hanno tolto la spada, ma ho ancora addosso l'armatura. È chiaro che intendono trattarmi con un certo riguardo, concluse. Non credo che vogliano uccidermi. «Cosa cacchio sta succedendo?» chiese Ash. La guardia non rispose. Il piccolo giardino era circondato da una siepe ottagonale. Il prato rasato scendeva fino a una fontana il cui getto ricadeva nella vasca di marmo. L'aria era pervasa dall'odore delle erbe. Ash identificò quello del rosmarino, del trifoglio e delle rose morte. Sono appassite a causa del freddo e stanno imputridendo sul gambo, suppose, mentre continuava a camminare in mezzo alle guardie. In fondo al prato vide una donna in piedi dietro un tavolo coperto di carte. Dietro di lei c'erano tre figure di pietra che tenevano delle torce. Ash osservò un rivolo di pece bollente che correva lungo il fusto della torcia e
colava sul braccio di un golem senza che questi battesse ciglio. Le fiamme delle torce illuminavano i capelli argentei della giovane Visigota. Ash scivolò sul sottile strato di ghiaccio che ricopriva il vialetto, riprese l'equilibrio e fissò il faris. Quello è il mio volto, pensò. È così che mi vedono gli altri? Pensavo di essere più alta. «Sei il mio datore di lavoro, Cristo» protestò Ash ad alta voce. «Non era affatto necessario. Io stessa ti stavo cercando. Bastava parlare e sarei venuta! Perché tutto questo?» «Perché posso» rispose il generale, alzando gli occhi dalle carte. Ash annuì pensierosa. Si avvicinò e giunta a un paio di metri dal tavolo, un arif la fermò allungando un braccio. Ash fece per estrarre la spada, un gesto automatico in quelle situazioni, ma la sua mano si chiuse intorno al nulla, quindi decise di immobilizzarsi e tenersi pronta a tutto. «Ascoltami, generale, sei il comandante di tutta l'invasione, questa dimostrazione di forza l'ho trovata del tutto inutile.» Il faris arricciò la bocca in una specie di ghigno. «L'ho creduto necessario, dato che penso che tu sia piuttosto simile a me.» Smise di scrivere, si sedette posando una testa d'ottone sulle carte per impedire che la brezza notturna le facesse volare via, quindi fissò Ash. «È vero, siamo molto simili» rispose Ash, tranquilla. «Hai voluto sottolineare un concetto. Perfetto. Tutto chiaro, nessun dubbio al riguardo, ma, adesso: dove sono Thomas Rochester e gli altri miei uomini? Sono feriti o li hai fatti uccidere?» «Non crederai che te lo dica? Lo saprai solo quando sarai abbastanza preoccupata da volermi parlare apertamente.» Ash la osservò sollevare un sopracciglio: anche lei faceva così in circostanze simili. Ormai aveva la netta sensazione di guardarsi allo specchio e per un attimo prese in seria considerazione l'idea di trovarsi di fronte a un demone. «Stanno bene, ma sono prigionieri» aggiunse il faris. «Mi hanno parlato benissimo della tua compagnia.» Il sollievo che provò nel ricevere quelle notizie rischiò di farla venire meno e per un attimo le si annebbiò la vista. «Penso che ti divertirai a leggere questo.» Il faris le porse un foglio con un sigillo di ceralacca. «Mi è stato inviato dal parlamento di Parigi. Mi chiedono di andare a casa perché sono uno scandalo.»
«Per cosa?» ringhiò Ash. «Leggi. È divertente.» Ash fece un passo avanti e allungò una mano. Gli arif si tesero pronti a intervenire. Portava ancora i guanti dell'armatura. Appena toccò la carta avvertì l'odore della sua gemella, un misto di sudore e spezie tipico dei soldati visigoti, che le fece tremare la mano. La vista le si annebbiò nuovamente e si affrettò a fissare il foglio di carta. «Leggi» disse alla gemella. «'Poiché, per non aver ricevuto il battesimo, non siete stata mondata del peccato originale, non siete stata sottoposta a nessuno dei sacramenti e non vi è stato dato il nome di nessuna santa; vi ingiungiamo, perentori, di tornare da dove siete venuta;'» lesse il faris ad alta voce «'non vogliamo che le nostre regine e le vedove dei nostri nobili abbiano a che fare con una concubina impura. Né vogliamo che le nostre vergini pure, le nostre mogli fedeli e le nostre vedove leali siano corrotte dalla presenza di un individuo che non può essere altro che una sgualdrina di strada o una moglie lasciva: quindi non entrate nelle nostre terre con i vostri eserciti.'» «Oh, mio Dio! 'Sgualdrina di strada'!» L'altra donna rise di gusto. Anch'io rido in quel modo? si chiese Ash. «È il ragno63 » borbottò Ash, divertita. «Autentico?» «Certo.» Ash alzò lo sguardo. «Di chi sono la bastarda?» chiese Ash. Il generale visigoto schioccò le dita e disse rapidamente qualcosa in cartaginese. Uno degli uomini mise uno sgabello di fronte al tavolo e tutte le guardie arretrarono disponendosi lungo il perimetro della siepe. Se adesso fossi veramente da sola, potrei essere scambiata per la regina di Cartagine, pensò Ash. Si crogiolò per qualche istante nell'idea di colpire la sua gemella (anche se concepita per proteggere il corpo, l'armatura era sempre un'arma), ma si ridimensionò rapidamente. Lasciò vagare lo sguardo per cercare di cogliere il bagliore delle punte delle quadrelle o delle frecce illuminate dalla luce delle torce. L'aria fresca della sera le carezzava il volto. «Questo posto mi ricorda i giardini della Cittadella dove sono cresciuta» esordì il faris. «I nostri giardini sono molto più luminosi di questi, è ovvio. Usiamo degli specchi per convogliare la luce.» Ash si leccò le labbra per cercare di inumidirle. Il punto del giardino in 63
Luigi XI di Francia. I suoi contemporanei lo definirono il 're ragno' a causa del suo amore per l'intrigo.
cui si trovava era stato ideato per garantire la riservatezza delle chiacchiere tra le dame di corte; infatti le siepi facevano trapelare ben pochi suoni dall'esterno. Il fatto che il buio del cielo fosse quello naturale della notte e che i soldati fossero arretrati di qualche metro la fece sentire più a suo agio. Lentamente stava cominciando a comportarsi come il comandante di una compagnia mercenaria e non come una ragazza spaventata. «Sei battezzata?» chiese Ash. «Certo. Secondo il rito di quella che voi chiamate l'eresia ariana.» Il generale allungò un mano. «Siediti, Ash.» Il fatto di sentire il proprio nome pronunciato quasi dalla sua stessa voce, ma con un accento visigoto, le fece rizzare i capelli sulla nuca. Tolse l'elmo e lo posò con gesti lenti e studiati sul tavolo, quindi sollevò l'ultima parte della maglia di anelli metallici e si sedette sullo sgabello. Il piastrone frontale e quello dorsale le imponevano una postura dritta e fiera. «Non è questo il modo per ottenere l'aiuto dei tuoi sottoposti» disse con aria assente, mentre si calmava. «No davvero, generale!» La donna di fronte a lei sorrise. Aveva la pelle chiara, solo il volto era abbronzato, segno che non portava mai un elmo con la ventaglia. Le mani avevano le unghie ben curate. Anche se l'armatura conferiva a tutti un aspetto tozzo, Ash intuì che quella donna doveva avere più o meno la sua stessa corporatura e per un attimo venne travolta dall'idea di trovarsi di fronte una persona praticamente identica a lei. «Voglio vedere Thomas Rochester» disse. Il faris alzò leggermente la voce e un cancello si aprì. Un soldato sollevò per qualche attimo una lampada illuminando il mercenario inglese che, a parte qualche livido ed escoriazione sul volto, sembrava stare bene. Il cancello venne richiuso. «Contenta?» «Non posso dire di essere proprio felice... Oh, merda!» esclamò Ash. «Non mi aspetto di piacerti!» «No» concordò la donna, arricciando gli angoli delle labbra come se stesse per ridere. «No. Neanch'io mi aspetto di piacere all'altro jund, il tuo amico, né a tuo marito.» «Agnello non è un mio amico» si limitò a rispondere, evitando accuratamente di affrontare l'argomento Fernando del Guiz. Cominciò a provare una sensazione familiare. Si trattava di un formicolio che la pervadeva ogni volta che doveva rinegoziare un accordo buono con gente che era sempre più potente di lei (altrimenti non sarebbe ricorsa all'aiuto dei mer-
cenari); era un gioco di equilibri, bisognava sapere cosa dire e cosa lasciare non detto. «Come ti sei procurata quegli sfregi?» le domandò il generale. «In battaglia?» Non si tratta di negoziare, pensò Ash. È curiosità pura e semplice. Bene, una debolezza che può tornarmi utile. «Quando ero bambina apparve un santo sotto forma di leone.» Ash si toccò le guance, un gesto che non faceva spesso. «Mi marchiò con i suoi artigli, facendo vedere a tutti che sarei diventata una leonessa sul campo di battaglia.» «Anche tu? Anch'io ho iniziato l'addestramento giovanissima.» «Di chi sono il bastardo?» domandò nuovamente Ash. «Di nessuno.» «Di ness...?» Il generale visigoto sembrava apprezzare di averla presa alla sprovvista. Dovremmo essere in grado di capirci a vicenda molto bene, pensò Ash. Ma è veramente così? Come faccio a saperlo? Potrei anche sbagliarmi. «Cosa vuol dire: 'nessuno'?» continuò. «Vuoi dire che sono una figlia legittima? Qual è la mia famiglia?» «Nessuna.» La donna la fissò con i suoi occhi scuri e Ash non vi notò nessuna traccia di malizia. Il faris appoggiò le braccia sul tavolo, si inclinò in avanti e la luce delle torce le illuminò il volto. «Non sei più legittima di me» le spiegò il generale. «Io sono figlia di schiavi.» E allora? pensò Ash. La rivelazione l'aveva scossa a tal punto che non era riuscita a pensare ad altro. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva cosa. «Chiunque fossero i miei genitori,» continuò il faris «erano degli schiavi a Cartagine. I Turchi hanno i Giannizzeri, bambini cristiani sottratti alle loro famiglie e cresciuti per diventare dei guerrieri fanatici. Mio - padre fece qualcosa di simile. Spero che tu non ti aspetti qualcosa di meglio. Mi dispiace.» Ash si rese conto che la sua gemella era sincera e smise di pensare a come portare avanti una trattativa e ai sotterfugi da impiegare. «Non capisco.» «E perché dovresti? Suppongo che l'amir Leofric non sarebbe contento di sapere che sto per dirti alcune cose. La sua famiglia ha cercato di alleva-
re un faris da generazioni. Io sono il loro successo. Tu devi essere...» «Uno scarto» tagliò corto Ash. «È questo che volevi dire?» Il cuore le batteva all'impazzata e trattenne il respiro. Voleva sentirla smentire la sua ultima affermazione. Il generale prese un caraffa di vino, riempì due coppe di legno e ne passò una ad Ash, che l'afferrò con le mani tremanti. Non sentì nessuna smentita. «Un piano di allevamento?» ripeté Ash. «Hai detto di avere un padre!» aggiunse, secca. «L'amir Leofric. No. Ho preso l'abitudine di chiamarlo in quel modo... ma non è il mio vero padre, è ovvio. Non si abbasserebbe mai a ingravidare una schiava.» «Non me ne frega niente, per me può anche fottersi un asino» rispose Ash in tono brutale. «È per questo motivo che volevi vedermi, giusto? Ecco perché sei venuta fino a Guizburg anche se stai dirigendo un cacchio di guerra, vero? L'hai fatto perché sono tua - sorella?» «Sorella, sorellastra, cugina, chi lo sa? Sei qualcosa. Guardami!» Il generale visigoto scrollò le spalle e quando alzò la coppa Ash vide che anche la sua mano stava tremando. «Non credo che mio padre - questo Lord-amir Leofric - capirebbe mai perché dovevo incontrarti.» «Leofric.» Ash fissò con sguardo vuoto la gemella e cominciò a rovistare tra i suoi ricordi. «È uno degli amir della corte del califfo-re, giusto? È un uomo molto potente.» Il faris sorrise. «La casata dei Leofric è stata legata a filo doppio a quella dei califfi-re fin dalla notte dei tempi. Siamo stati noi a fornire i messaggeri golem e, adesso, un faris.» «Cos'è successo alle... hai detto che eravamo in tante. Si tratta di un piano. Cosa è successo alle altre come noi? Quante...» «Suppongo che nel corso degli anni ce ne siano state centinaia. Non ho mai chiesto.» «Non hai mai chiesto?» domandò Ash, incredula. Svuotò la coppa senza accorgersi se il vino era buono o no. «Non c'è nulla di strano per te, vero?» «No, non ci trovo nulla di strano, ma suppongo che possa sembrarlo se non sei cresciuta in un certo ambiente.» «Cosa è successo a quelli che non erano come te?» «Se non erano in grado di parlare con la macchina64 di solito venivano 64
Nel testo originale viene impiegato il termine latino 'fabricato' che significa una struttura fatta dagli uomini, ma non necessariamente una macchina come la intendiamo oggi.
uccisi. Comunque anche se erano in grado di parlare con la macchina c'era sempre il rischio che potessero impazzire. Non hai idea di quanto mi senta fortunata per non essere impazzita quando ero bambina.» Ne sei così sicura? fu il primo pensiero di Ash, poi cominciò a valutare il significato di quanto aveva appena sentito. «Uccisi?» ripeté, annichilita. Prima che la gemella potesse rispondere comprese a pieno il significato della seconda parte della frase. «Cosa vuoi dire con: 'in grado di parlare con la macchina'? Quale 'macchina'?» Il faris strinse la coppa tra le mani. «Non mi dire che non hai mai sentito parlare del Golem di Pietra?» indagò la donna in tono sardonico. Ash ebbe il sospetto che la stesse prendendo in giro. «Perché pensi che abbia lasciato circolare quella voce? Voglio che i miei nemici siano terrorizzati all'idea di combattermi. Voglio che tutti sappiano che in patria ho una grande macchina da guerra 65 con la quale posso parlare ogni volta che mi aggrada. Anche nel mezzo di una battaglia, se necessario. Anzi, specialmente nel mezzo di una battaglia.» Ti sei scoperta, finalmente, pensò Ash. Ecco perché sono qui. Non perché ti somiglio. Non perché forse siamo parenti. Lei sente le voci e vuole sapere se lo stesso succede anche a me. E cosa se ne può fare di questa verità? Anche se sapeva che le sue conclusioni potevano essere affrettate, il panico e l'incertezza le fecero battere il cuore a tal punto che fu felice di indossare la gorgiera, altrimenti la gemella avrebbe potuto scorgere il riflesso del suo battito cardiaco nelle pulsazioni della gola. L'unica sua risorsa in quel momento era comportarsi come aveva sempre fatto fin dall'età di otto anni ogni volta che si era trovata in situazioni simili: tagliare il legame tra lei e le sue paure e far finta di niente. «Sì, ho sentito quella diceria» rispose in tono noncurante. «Ma è solo una voce. Mi hanno detto che a Cartagine c'è una specie di Testa di Ottone o qualcosa di 65
Il testo latino dell'Angelotti, nella sua breve e oscura menzione di questo episodio, parla di una machina rei militaris, una 'macchina tattica', e di una fabricari res militaris', '(qualcosa) fatto per (creato) per la tattica'. Il 'Fraxinus me fecit' parla di una computare ars imperatoria, o, in un bizzarro misto di latino e greco, di un computare strategoi, 'un computatore dell'arte dell'imperare' o 'della strategia'. In inglese moderno può essere tradotto come un 'computer tattico'.
simile. È una testa, giusto?» «Hai visto gli uomini di terracotta? Lei è il nonno, il loro progenitore. Il Golem di Pietra. Ma» specificò il generale «la distruzione degli eserciti italiani e svizzeri non è una semplice 'voce'.» «Gli Italiani! So che avete raso al suolo Milano solo per impedire i rifornimenti di armature. So tutto: sono stata l'apprendista di un armaiolo milanese. Tuttavia, devo ammettere che con gli Svizzeri avete fatto un bel lavoro. Ma perché non dovresti essere brava, visto che sei uguale a me?» Si bloccò e desiderò di essersi morsa la lingua. «Sì, sei brava» ammise il faris in tono piatto. «Mi hanno detto che anche tu senti delle 'voci'.» «No» disse Ash. «È una bugia bella e buona.» Cercò di ridere. «Chi credi che sia? La Pulzella?66 E adesso cosa mi dirai? Che sono vergine!» «Niente voci? Si tratta solo di una menzogna utile?» suggerì il generale in tono mite. «Beh, è sempre difficile negarlo per me, giusto? Più Divina posso sembrare, meglio è.» Ash cercò di essere il più convincente possibile, fingendo di vergognarsi per essere stata scoperta a raccontare fandonie. La donna si toccò una tempia. «Comunque, io sono in contatto con la nostra macchina tattica. La sento. Qua.» Ash fissò la donna intensamente. Si rese conto di dar l'impressione di non credere a una parola di quello che sentiva e do considerare il suo interlocutore un pazzo. Il suono delle chiacchiere tra i soldati visigoti era appena percettibile. Ash si avvinghiò a ciò che poteva sentire e vedere come se la sua sanità mentale dipendesse da quelle azioni. Se sono stata allevata come lei e anche lei sente le voci da una macchina tattica, allora ho scoperto la fonte della mia voce, pensò. No! Ash sì passò una mano sul labbro superiore e il fiato si condensò sul guanto. Sentiva che stava per vomitare, aveva l'impressione di essersi allontanata da se stessa. Vide la coppa di vino che tremava e si rovesciava riversando il contenuto sul tavolo e sulle carte. Il faris imprecò, scattò in piedi, chiamò qualcuno e ribaltò il tavolo in un unico movimento. Quattro o cinque ragazzini corsero nel giardino, raccolsero i documenti, pulirono il tavolo e asciugarono il vino che era colato sull'usbergo del generale. Ash fissava la scena con lo sguardo perso nel nulla. 66
Giovanna d'Arco (AD 1412 - 1431).
Schiavi allevati come soldati, stava pensando. È quello che mi sta dicendo? E io non sarei altro che uno scarto che per qualche strano motivo non è stato ucciso. Oh, Gesù, e io che ho sempre disprezzato gli schiavi... E la mia voce non è... Non è cosa? Non è il Leone? Non è un santo? Non è un demone? Cristo, mio dolce salvatore, questo è peggio dei demoni. Ash chiuse la mano sinistra a pugno facendo sì che la piastra del guanto premesse contro il palmo della mano. Voleva sentire del dolore per non svenire. «Mi dispiace. Ero a stomaco vuoto e il vino mi ha dato alla testa.» Non lo sai, continuava a pensare. Non sai se sentite la stessa cosa. Ash fissò la mano nel punto in cui la piastra aveva lasciato una striscia rossa. L'ultima cosa che voglio in questo momento è continuare a parlare con questa donna. Mi chiedo cosa succederebbe se mi limitassi a dirle che anch'io sento una voce che mi suggerisce la tattica da impiegare in battaglia. E poi? Se non conosco la risposta è meglio che non faccia nessuna domanda! In quei momenti le succedeva spesso di stupirsi del modo in cui il tempo sembrava rallentare quando la vita veniva scossa in un modo o nell'altro. Una coppa di vino in un giardino durante una notte di agosto, era un evento che veniva dimenticato in fretta. Ora stava registrando tutto, dalle gambe dello sgabello che sparivano tra l'erba, lo scorrere delle piastre metalliche mentre allungava la mano per prendere la bottiglia di vino, fino al lungo e intenso momento prima che i servi finissero di ripulire il generale visigoto e questi tornasse a concentrare la sua attenzione su di lei. «È vero» ammise il faris. «Io parlo con una macchina da guerra. I miei uomini la chiamano il Golem di Pietra. Non è di pietra né si muove come questi...» Indicò i golem che reggevano le torce con uno scrollone delle spalle. «... Ma a loro piace quel nome.» Ash posò la bottiglia con cautela. Meglio che non le dica che anch'io sento la voce finché non so come potrebbe andare a finire, pensò. E finché non avrò avuto il tempo di parlarne con Godfrey, Florian e Roberto... Merda, non posso! Loro pensano che io sia una bastarda, come posso dire loro che sono figlia di schiavi?
«A cosa servirebbe una macchina simile?» chiese Ash. «Potrei portarmi la mia copia di Vegezio67 sul campo e leggerla, ma non mi aiuterebbe a vincere.» «Ma se fosse sempre con te, vivo, e tu potessi chiedere consiglio a Vegezio in persona, non pensi che allora potresti vincere?» La donna abbassò lo sguardo e grattò via qualcosa dalla cotta. «Finirà per arrugginire. Questo maledetto paese è troppo umido.» Le torce sibilavano e scoppiettavano in mano ai golem, che rimanevano immobili come statue. Un filo di fumo che odorava di pino si levava verso il cielo. L'ultimo quarto di luna stava scomparendo oltre il bordo delle siepi. Ash si sentiva tutta indolenzita. L'arresto era stato piuttosto violento. Il vino cominciava a fare effetto. Se non sto attenta, pensò, mentre cominciava a ondeggiare sullo sgabello, rischio di dirle la verità senza neanche rendermene conto. E poi? «Sorelle» disse con voce impastata. Lo sgabello scivolò in avanti e Ash si alzò posando una mano sulla spalla del generale per non cadere a terra. «Cristo, donna, potremmo essere gemelle! Quanti anni hai?» «Diciannove.» Dalla bocca di Ash scaturì una risata tremante. «Beccata. Se sapessi l'anno in cui sono nata te lo direi volentieri. Devo avere tra i diciotto e i vent'anni. Forse siamo gemelle. Cosa ne pensi?» «Mio padre incrociava i vari gruppi di schiavi. Penso che tutte abbiamo lo stesso aspetto.» Il faris aggrottò la fronte e toccò la guancia di Ash. «Ho visto qualcun altra di noi quando ero bambina, ma sono tutte impazzite.» «Impazzite!» Ash sentì una vampata di calore e si accorse di essere arrossita. «Cosa pensi che possa dire alla gente? Cosa devo dire faris? Che a Cartagine c'è un Lord-amir pazzo che si diverte a incrociare gli schiavi come se fossero animali e che io sono il risultato di uno di quegli esperimenti?» «Potrebbe sempre essere una coincidenza» cercò di rassicurarla il generale. «Forse ci sono delle probabilità...» «Oh, al diavolo, donna! Siamo gemelle!» Ash fissò gli occhi della ragazza che si trovavano alla stessa altezza dei suoi, poi si concentrò sulla curva delle labbra, sulla forma del naso e del mento: era una donna straniera dai capelli chiari, la pelle abbronzata e una 67
De Rei Militari, scritto dal romano Vegezio, divenne il manuale d'addestramento alla guerra lungo tutto il tardo Medio evo e il primo Rinascimento.
voce che lei pensava fosse simile alla sua, o almeno credeva che agli altri potesse fare lo stesso effetto. «Vorrei non averlo saputo» disse Ash, secca. «Se è vero, allora vuol dire che non sono una persona. Sono un animale. Uno scarto. Posso essere comprata o venduta da chiunque senza avere voce in capitolo perché così è stabilito dalla legge. Anche tu sei come una bestia da tiro. La cosa non ti preoccupa?» «Non mi hai detto niente di nuovo.» Quella frase pose fine a ogni speculazione. Ash strinse la spalla della gemella con una mano e si allontanò. Barcollava, ma riusciva ancora a rimanere dritta. Le alte siepi dell'hortus conclusus la allontanavano dal mondo e Ash rabbrividì malgrado l'armatura fosse imbottita. «Non importa per chi combatto» disse. «Ho firmato un contratto con te e suppongo che questo non sia abbastanza per romperlo, sempre che anche gli altri miei uomini stiano bene. Sai già che sono brava anche se non quanto il tuo 'Golem di Pietra'.» Aveva mentito male, se fosse stata in una recita non avrebbe ingannato nessuno, ma Ash sentiva che non poteva fermarsi, quindi continuò. «So che avete raso al suolo una mezza dozzina delle città commerciali più importanti dell'Italia, so che avete spazzato via gli Svizzeri e così facendo avete spaventato Federico e i Tedeschi al punto da costringerli ad arrendersi. So anche che il sultano di Costantinopoli non si aspetta dei problemi da voi perché il vostro esercito serve per conquistare questa parte d'Europa.» Fissò il volto del generale per vedere se tradiva qualche emozione, ma i lineamenti del faris immersi nel chiaroscuro creato dalle torce rimasero del tutto impassibili. «Anzi, per conquistare la Borgogna, almeno così ha detto Daniel de Quesada, ma io credo che volesse intendere anche la Francia. E poi? Chi altro? I rosbif? Finirete per essere troppo sparpagliati anche se siete in tanti. So quello che faccio, perché lo faccio da sempre, lasciami in pace. Chiaro? E un giorno, quando non sarò più sotto contratto con te, farò in modo che il tuo Lord-amir Leofric sappia esattamente cosa ne penso del suo allevamento di bastardi.» ... E questo vale per tutti, concluse mentalmente Ash. Quanto siamo uguali? È in grado di capire quando mento? Per quello che ne so tutti potrebbero prendere quello che ho detto per una spacconata, figuriamoci una sorella che non sapevo di avere.
Cazzo. Una sorella. Il generale prese la testa d'ottone da terra, la pulì e la rimise sul tavolino accanto all'elmo di Ash. «Mi piacerebbe tenerla come mio luogotenente.» Ash aprì la bocca per rispondere, poi si rese conto che il faris aveva detto 'tenerla' e non 'tenerti'. Il fatto che avesse parlato in quel modo e che avesse lo sguardo come appannato le provocarono una fitta allo stomaco. Non stava parlando con lei. Cadde in preda al panico. Ash fece due passi all'indietro, scivolò sull'erba gelata, rimase in piedi per miracolo, ma colpì il bordo della fontana con la schiena. Il piastrone dorsale scricchiolò e sentì un sapore metallico in bocca. Cominciò ad arrossire come un peperone, come se fosse stata scoperta a fare sesso in un luogo pubblico. Non è vero, non lo è mai stato! pensò. Non avrei mai pensato di vedere qualcun altro che lo faceva! I golem la fissavano da in fondo al prato. Il più vicino ad Ash aveva una ragnatela che partiva dal braccio e terminava su una siepe. La giuntura del gomito era coperta da un sottile strato di ghiaccio. Ash fissò il volto ovoidale della macchina. «Ma vorrei usare lei e la sua compagnia adesso, non dopo» protestò il faris. Non sta parlando con me, si disse Ash. Si sta rivolgendo alla voce. «Abbiamo un contratto» bofonchiò Ash. «Dobbiamo combattere per te. Gli accordi sono questi!» Il generale incrociò le braccia sul petto continuando a fissare le costellazioni che splendevano sopra Basilea. «Se è un ordine, allora non mi resta che ubbidire.» «Non ci credo che senti le voci! Sei solo una fottuta pagana! È tutta una messa in scena!» Cercò di raggiungere la donna, ma scivolò nuovamente e finì carponi. «Mi stai fregando! Non è vero!» Stava continuando a protestare in maniera sconnessa perché non voleva sentire la sua voce interna per paura che la sua gemella potesse accorgersene. Il flusso continuo delle sue parole e la concentrazione che si era imposta per non sentire la voce, non le permisero di seguire tutto il dialogo che la faris stava conducendo con il nulla. «La manderò a sud con la prossima galera.» «No!» Ash si alzò in piedi con cautela. Il generale visigoto abbassò lo sguardo.
«Mio padre Leofric vuole vederti» disse. «Tra una settimana sarai a Cartagine. Non ci vorrà molto, sarai di ritorno prima che il sole sia entrato nella Vergine68 . Saremo un po' più a nord, ma io posso continuare a usare la tua compagnia. Rimanderò i tuoi uomini al campo.» «Baise mon cul!69 » sbottò Ash. Si era trattato di un riflesso puro e semplice: come a nove anni aveva giocato a fare la mascotte del campo, ora che ne aveva diciannove giocava a fare il capitano mercenario che bluffava. Sentiva la testa che le girava. «Non era previsto nel contratto! Se porti i miei uomini sul campo ti costerà parecchio. E se vuoi mandarmi fino in Nord Africa nel bel mezzo di una guerra...» Ash cercò di scrollare le spalle. «Anche questo non era previsto dal contratto.» E appena mi togli gli occhi di dosso, io me ne vado, pensò. Il generale visigoto prese l'elmo di Ash dal tavolo e vi passò sopra una mano, quindi batté le nocche contro il metallo con aria pensierosa e chiuse la visiera. «Darò alcuni di questi ai miei uomini.» Accennò un sorriso. «Ho fatto radere al suolo Milano solo dopo averla svuotata.» «Non c'è niente di meglio delle armature milanesi. Anche quelle degli Asburgo non sono male, ma non penso che tu abbia lasciato molte fonderie nel sud della Germania.» Ash si riprese l'elmo. «Fammi sapere quando vuoi che mi imbarchi. Sono al campo.» Per un secondo ebbe l'impressione di avercela fatta. Pensava che le sarebbe stato permesso di uscire dal giardino, attraversare la città e rinchiudersi nel suo campo in mezzo a ottocento uomini armati fino ai denti, per poi poter dire ai Visigoti di andare in quello che la loro religione ariana considerava l'inferno. «Cosa devo fare con una persona che mio padre vuole vedere, ma che non credo rimanga a disposizione se la lascio andare?» chiese il faris a voce alta. Ash non disse nulla, ma in lei scattò qualcosa. Era come un riflesso condizionato e un attimo dopo si ritrovò ad ascoltare passivamente una voce che le era fin troppo familiare. «Privala delle armi e dell'armatura. Tienila sotto stretta sorveglianza. Falla scortare immediatamente alla nave più vicina.» 68 69
Il 24 agosto. Francese: 'baciami il culo'.
V Un nazir 70 e i suoi uomini la presero in consegna e la condussero fuori dai giardini del castello fino a un edificio di tre piani che Ash riconobbe, grazie alle indicazioni dei suoi esploratori, come il quartiere generale dei Visigoti a Basilea. Oltre il frontone dell'edificio le stelle venivano lentamente inghiottite dall'oscurità. L'alba era vicina. Ash non fece nessun tentativo di fuggire. La maggior parte dei soldati che la stavano scortando era giovani quanto lei e possedevano dei corpi snelli e muscolosi. Guardò i loro volti mentre la facevano entrare nel quartier generale e concluse che se non fosse stato per le divise visigote avrebbero potuto essere tranquillamente scambiati per membri della sua compagnia. «Va bene, va bene!» disse Ash fermandosi. «I quasi quattro marchi che ho nel mio borsellino vi garantiranno una bella bevuta e dopo potrete dirmi come stanno i miei uomini» concluse, sfoderando un sorriso. I due soldati che la trattenevano la lasciarono andare e Ash cominciò a cercare il borsellino con le mani che le tremavano. Il nazir, che doveva avere più o meno la sua stessa età, disse: «Puttana mercenaria.» Ash non ci fece caso. Beh dovevo essere così o come il doppio del nostro capo! Comunque mi trattano come un demone... «Fottuta sgualdrina franca» aggiunse71 . Delle guardie e dei servitori con candelabri entrarono nella stanza. Ash sentì una mano che le tirava la cintura e seppe con certezza che non avrebbe mai più trovato il suo borsellino. Qualcuno urlò degli ordini in cartaginese e lei venne spinta verso il retro della casa attraverso stanze piene di uomini armati fino ai denti, giù per un corridoio dal pavimento in pietra fino a una piccola stanza con una porta di quercia spessa due centimetri e chiusa con una pesante sbarra. C'era solo una finestra larga una trentina di centimetri. Due paggi visigoti la fissarono con aria solenne facendole capire che e70
'Nazir': comandante di una squadra di otto uomini, l'equivalente di un moderno caporale. Era probabilmente subordinato a un 'arif: un sottufficiale che comandava un plotone di quaranta individui menzionato poco sopra. 71 'Franco' è il termine con il quale gli Arabi di quel periodo indicavano gli abitanti del Nord Europa.
rano venuti ad aiutarla a togliersi l'armatura. Ash non protestò e quando ebbero finito fece richiesta di una tunica o qualcosa di simile, ma non servì a nulla. La porta di quercia si chiuse e sentì il rumore della sbarra che veniva fatta scivolare nella sua sede. Una candela colava cera sul candelabro posato a terra. Cominciò a esaminare la stanza camminando a piedi nudi sul pavimento freddo. La stanza era spoglia, non c'erano né un tavolo né un letto e la finestra aveva le sbarre. «Stronzi!» Sapeva che se avesse dato un calcio alla porta si sarebbe fatta male, quindi la percosse con il palmo della mano. «Fatemi vedere i miei uomini!» La sua voce echeggiò contro le pareti. «Fatemi uscire, coglioni!» La porta era talmente spessa che una guardia, ammesso che l'avessero lasciata, non avrebbe potuto sentirla. Usò lo stesso tono di voce che impiegava sul campo di battaglia per dare gli ordini. «Succhiacazzi! Posso pagare il riscatto, Cristo! Fatemi mandare un messaggio.» Silenzio. Ash stirò le braccia sopra la testa e massaggiò i punti dove la corazza le aveva irritato la pelle. Le mancavano così tanto la spada e le sue protezioni metalliche che aveva l'impressione di sentirsele ancora addosso. Arretrò e si sedette sul pavimento a fianco della candela lasciandosi scivolare con la schiena contro la parete. Le mani le formicolavano. Aveva l'impressione che il sangue fosse diventato freddo come l'acqua di un ruscello di montagna. Strofinò le mani. Una parte della sua mente continuava a dirle che non era vero, che quella non era la vita reale. Sei un soldato di scarto, ecco tutto, pensò. È solo una coincidenza. Forse tuo padre era un nazir visigoto qualunque che ha combattuto per il Grifone d'Oro e tua madre era una puttana. Ecco tutto: niente di straordinario. Sei solo uguale al faris. La parte stupefatta della sua mente continuava a ripeterle che anche il generale sentiva la voce. «All'inferno» sbottò Ash ad alta voce. «Non può tenermi prigioniera. Ho un cacchio di contratto con quella donna. Cristo Verde. Non andrò a Cartagine. Possono anche...» Non voleva pensarci. Cercò di farsene una ragione: presto l'avrebbero
portata in Nord Africa, ma non ci riuscì, i suoi pensieri la conducevano sempre altrove impedendole di concentrarsi su quell'eventualità. È come cercare di radunare le anguille in branco, pensò Ash, ridacchiando. Forse il Leone non era mai venuto. No, quello era successo, era stato il prete a fare il miracolo. Forse non mi è successo nulla quel giorno. Forse ho raccontato la storia della cappella a modo mio così tante volte che ho finito per crederci. Aveva freddo. Si rannicchiò e mise le mani sotto le braccia per scaldarle. La faris era stata allevata per ascoltare una macchina tattica. È la mia stessa voce. E io cosa sono? Una sorella? Una cugina? Qualcosa? Gemelle. Sono solo qualcosa che hanno scartato dal loro progetto. E tutto quello che faccio è... origliare. Che sia proprio così? Uno scarto che sta fuori dalla porta intenta ad origliare le risposte da una macchina da guerra e a usarle per piccole e brutali guerre che il potente impero visigoto non nota nemmeno... Volevano un faris, ma anche lei è una schiava. Rimase seduta da sola senza cibo e acqua, intenta a osservare il fumo della candela che, simile all'inchiostro spruzzato da una seppia, si levava nell'aria per confondersi con le ombre che popolavano il soffitto. Il battito del suo cuore sembrava scandire i minuti e le ore. Ash si cinse le ginocchia con le braccia e vi seppellì la testa. Sentiva qualcosa di umido e caldo sulla pelle del viso. Dopo una ferita sul campo si cade preda di una sorta di stordimento. Anche se alle volte ci vuole parecchio tempo prima che succeda, tale reazione è inevitabile. Ora stava cominciando a provarlo e sapeva bene che Fernando del Guiz non sarebbe mai corso a liberarla da quella stanza angusta. Si asciugò il naso con la manica. Il pagamento di un riscatto, un atto di pietà o la violenza non l'avrebbero fatta uscire di prigione; almeno, non per il momento. Aveva annullato il matrimonio impostole dall'imperatore e lui se n'era liberato alla prima occasione. Le faceva male il petto. Stava per mettersi a piangere, ma non se lo concesse. Alzò il volto e fissò la candela. La presenza di Fernando nella sala del municipio prima della mia cattura non è stata una coincidenza, pensò. Era per confermare dov'ero. Per loro. Per lei.
Beh, l'hai avuto, te lo sei scopato: hai ottenuto quello che volevi e ora sai che è un gran codardo. Qual è il problema? Non volevo solo scoparmelo. Dimenticalo. La candela si ridusse a un moncherino. Sono in prigione. Questo non è un romanzo di Artù o Peredur. Non sto per scalare i muri, sconfiggere i soldati a mani nude e cavalcare sotto il sole splendente. La prima cosa che infliggono ai prigionieri di guerra è il dolore, poi vengono le torture, infine un funerale senza i sacramenti e una tomba senza nome. Sono nella loro città. Sono i padroni di tutto. Sentì un disturbo al basso ventre. Posò le braccia sulle ginocchia e tornò ad adagiarvi la testa. Probabilmente si aspettano un tentativo di salvataggio da parte della mia compagnia. Presto. Un attacco condotto senza i cavalli da guerra perché non vanno bene in queste strade. Meglio che stia calma. Il suono più assordante che avesse mai sentito fece tremare la casa. Si paralizzò e un attimo dopo si buttò sul pavimento riconoscendo immediatamente il rumore. Cannoni. I nostri! Il cuore le balzò in gola e gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe potuto baciare i piedi dei suoi soldati. Udì un secondo boato e il tonfo dell'esplosione echeggiò contro il tetto. Per un lungo istante le sembrò di essere tornata in una di quelle gole tra le montagne dove il rumore dei torrenti è così forte da coprire il suono della voce, poi l'oscurità e la polvere vennero maculate dalle fiamme delle torce tenute dai mercenari che si facevano strada tra le macerie e i corpi dei soldati. La polvere cominciò a posarsi a terra. La parete della sua prigione che affacciava sull'esterno era scomparsa. Una grossa trave si spezzò e cadde come un albero abbattuto. Pezzi di intonaco le sporcarono il volto. Fuori dalla breccia c'erano due carri e due cannoncini posati a terra con le bocche ancora fumanti. Ash socchiuse gli occhi e vide Angelotti che si avvicinava a lei a grandi passi con un sorriso stampato sulle labbra. «Abbiamo distrutto il muro! Vieni!» le urlò. L'ultima fila di case della città formava con i suoi muri una parte della
cinta difensiva, quindi gli uomini di Ash oltre a liberarla dalla prigione avevano aperto un vistoso varco nelle difese dell'abitato. Oltre le mura c'erano i campi, le colline e i suoi uomini che si muovevano gridando il suo nome sia come grido di battaglia sia per farsi riconoscere. Ash avanzò incespicando tra le macerie. Il boato dell'esplosione l'aveva intontita, le fischiavano le orecchie e aveva qualche problema d'equilibrio. Rickard le tirò una manica del vestito tenendo i finimenti di Godluc nell'altra. Ash afferrò le redini e premette per un attimo il volto contro i fianchi del cavallo. Una quadrella colpì la parete sollevando una pioggia di frammenti. Una fiumana di uomini vestiti di bianco stava avanzando tra le macerie. Ash balzò in sella a Godluc. Il vestito che indossava non l'avrebbe protetta come la sua armatura. Un uomo le saltò addosso, la afferrò per la vita e la tirò giù da cavallo. Non sentì nessun colpo. Era successo qualcosa. Quello che vedeva davanti ai suoi occhi non era lo stendardo del Leone Azzurro, ma qualcosa di piatto e dorato. Sentì il gelo che le pervadeva il corpo. C'erano dei piedi su entrambi i lati del suo corpo e delle caviglie rivestite con delle piastre di metallo. Erano di fattura europea, non visigota. Un lampo le balenò davanti agli occhi e qualche attimo dopo qualcosa di umido le colò sulla guancia. Un urlo atterrito la assordò; era il grido di un uomo devastato in un istante dal fendente di una spada, che vedeva la sua vita riversarsi sui detriti intorno a lui. Udì un altro uomo urlare: «Mio Dio, mio Dio, no, no...» e poi «Cristo, cos'ho fatto. Cos'ho fatto, Cristo, fa male» e altre urla ancora. Floria imprecava in lontananza. La donna le fu subito vicino e prese a tastarle il cranio. Ash non ne sentiva più una parte. «Non ha l'elmo né l'armatura...» Un altra voce maschile disse «Portala fuori dal casino...» Ash si sentiva cosciente anche se non poteva ricordare quello che era successo un attimo primo. I cavalli da guerra lanciati al galoppo, le salve degli archibugieri e la corsa sotto la luna.. Era stata legata a una barella, ma quanto tempo prima era successo? Stava urlando. Anche gli altri urlavano. Qualcuno la stava caricando su un carro in mezzo a un convoglio che viaggiava lungo una strada fangosa. Una benda sugli occhi le impedì di vedere la luna. Tutto intorno a lei i
carri si muovevano trainati dai buoi e il ragliare dei muli si mischiava con gli ordini e il rivolo di olio caldo che le colava lungo la fronte: Godfrey Maximillian aveva indossato la cappa verde e le stava impartendo l'Estrema Unzione. Era troppo. Lasciò che tutto scivolasse via da lei: gli uomini armati, il campo che veniva smontato e tutti gli altri rumori. Floria le teneva la testa tra le dita sporche. Ash vide delle macchie di grasso che le sporcavano i polsini della camicia. «Non ti muovere» le ordinò il chirurgo. «Rimani immobile!» Ash inclinò la testa di lato, vomitò, lanciò un urlo, quindi cercò di rimanere il più possibile ferma malgrado il dolore alla testa. Si sentiva preda di una strana forma di stordimento. Osservò Godfrey inginocchiato al suo fianco che pregava con gli occhi aperti. Il tempo era diventato solo vomito, dolore, i sobbalzi del carro sulla strada sconnessa, la luce della luna, il giorno sempre buio, la luna coperta dalle nuvole, l'oscurità e la notte. Si risvegliò senza sapere se erano passate ore o giorni dalla sua liberazione e scoprì di versare in uno stato sognante che comunque le permetteva di avere un contatto con il mondo esterno. Udì un borbottio diffuso seguito da un'esclamazione che passava di bocca in bocca per tutta la compagnia. Qualcuno stava gridando. Godfrey si tenne a una delle sponde del carro e sporse la testa fuori. Rickard sedeva a cassetta. Finalmente Ash riuscì a distinguere un nome. Borgogna. Il più potente tra i regni, ripeté mentalmente. Aveva rivelato la sua intenzione di recarsi in Borgogna a Robert Anselm, subito prima di entrare a Basilea. Udì il suono delle trombe. Qualcosa brillò davanti ai suoi occhi. Sono alle porte del purgatorio, pensò Ash. La luce inondò l'interno del carro illuminando le venature del legno e fece risaltare il volto di Floria del Guiz che armeggiava con le mani tra i contenitori d'erbe mediche, i divaricatori, i bisturi e le seghe che teneva nella sua borsa di chirurgo. Non era la luminosità stentorea della luna. Era una luce gialla e forte. Ash cercò di muoversi, ma emise un lamento e sentì la bocca che le si riempiva di saliva. La grossa mano di un uomo le premette sul petto facendola sdraiare. La luce le permise di vedere lo sporco tra le pieghe della pelle. Godfrey non la stava guardando in volto. Una luce calda brillava sulla pelle rosea e sulla barba del prete e poté vedere nei suoi occhi il riflesso di quella luminosità crescente.
Improvvisamente qualcosa separò la barella dal fondo del carro. Vide un'ombra calare sul suo corpo. La luce splendeva sulla coperta che le avvolgeva le gambe e sobbalzava a ritmo con il carro. Era un raggio di sole. Cercò di alzare la testa, ma non ci riuscì. Poteva muovere solo gli occhi. Dal retro spalancato del carro erano visibili una miriade di colori. Sentì gli occhi che le si riempivano di lacrime. Riuscì a mettere a fuoco un collina lontana sulla quale spiccavano le mura bianche di una città fortificata. Il profumo delle rose, del miele e l'afrore pungente dello sterco di vacca la raggiunsero e le pervasero le narici. Il sole. Fu colta da un'ondata di nausea e vomitò riversando un rivolo di liquido maleodorante sul mento. Il dolore che provava per la frattura al cranio le fece lacrimare nuovamente gli occhi. Sebbene agonizzante e terrorizzata dal dolore, riusciva solo a pensare al sole che stava vedendo. Uomini induriti da dieci anni di massacri sui campi di battaglia si gettarono in ginocchio a battere il terreno con le mani seppellendo il volto nell'erba umida. Donne che non facevano differenza tra cucire una ferita e un vestito li imitarono. I cavalieri balzarono giù dalle selle. Erano tutti a terra immersi nella luce calda del sole e cantavano: 'Deo gratias, Deo adiuvante, Deo gratias72 !'
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Latino: 'Grazie Dio', 'con l'aiuto di Dio'.
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ask: La storia perduta della Borgogna (Ratcliff, 2001), British, Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#47 (Anna Longman) Ash: scoperte archeologiche 09/11/00 ore 00,03 Format dell'indirizzo Ngrant@ e altri dettagli ancellati
Prima di tutto voglio scusarmi per essere sparito per due giorni. Qui sono sembrati poco più che minuti! Sono successe un mucchio di cose e c'è una troupe televisiva che sta cercando di entrare. Grazie all'aiuto delle autorità locali. Il dottor Isobel ha creato un formidabile cordone di sicurezza intorno al sito. È probabile che tu non abbia visto niente di tutto ciò in televisione. Se fossi in Isobel non sarei così felice di avere tutti questi soldati che ronzano intorno al sito. Quando penso a quello che potrebbero distruggere inavvertitamente mi si gela il sangue nelle vene e non solo in senso figurato. Prima di continuare *devo* scusarmi per le cose che ho scritto giovedì riguardo il dottor Napier-Grant. Io e Isobel siamo amici da molti anni, ma c'è sempre una certa distanza tra noi. Temo che il mio entusiasmo riguardo le scoperte mi abbia ridotto a un idiota farneticante. Spero che tu consideri tutto ciò che ho scritto come confidenziale. Non dispongo delle conoscenze tecniche che Isobel ha nel campo dell'archeologia, ma lei vuole che rimanga e le fornisca notizie storiche sul tardo quindicesimo secolo. Lei è una specialista del periodo classico e quei manufatti risalgono al Medio Evo. Il golem 'messaggero' è stato esaminato con strumenti avanzatissimi e posso assicurarti, Anna, che questa cosa un tempo camminava. Non so dirti *come*, però. Non abbiamo trovato ancora una fonte propulsiva o qualcosa che gli somigli. Isobel e la sua squadra sono perplessi. Lei non può credere che la descrizione dei golem riportata negli scritti su Ash sia solo una coincidenza o una favola medievale. Non ci vuole proprio credere. Anch'io sono confuso. In un certo senso non avremmo dovuto trovare quello che abbiamo scoperto in questo luogo. Certo, ho tra le mani la prova di un insediamento tardo gotico sulla costa del Nord Africa, ma ho
sempre saputo che i riferimenti a Cartagine riportati sui manoscritti non erano solo una licenza poetica. NON C'È CARTAGINE! Dopo le guerre puniche, Roma cancellò Cartagine dalla faccia della terra. Cartagine e i Cartaginesi smisero di esistere nell'anno 146 AC. Il successivo insediamento romano che sorgeva sullo stesso punto, chiamato dai Romani stessi Cartagine, venne distrutto dalle invasioni dei Vandali, dei Bizantini e degli Arabi nell'ultima parte del settimo secolo DC e le rovine che ora si trovano fuori Tunisi sono solo una bella attrazione turistica. 'Delenda est Cartago' come usava dire Catone durante le sedute del Senato romano ogni volta che gli si presentava l'occasione: 'Cartagine deve essere distrutta'. E così fu. Due generazioni dopo che l'armata cartaginese guidata da Annibale era stata spazzata via da Scipione a Zama, Roma aveva deportato gli abitanti di Cartagine, dopodiché aveva demolito la città, fatto arare il terreno per poi ricoprirlo di sale affinché non potesse crescervi più nulla - un po' eccessivo, forse, ma a quel punto della nostra storia si trattava di avere un impero romano o un impero cartaginese e i Romani, in quanto vincitori, fecero in modo di non avere più problemi da quella zona. La storia cancella tutto. Fino a dieci anni fa non eravamo certi che le rovine che si trovavano sulla costa vicino a Tunisi fossero quelle di Cartagine! Io devo supporre che la spedizione visigota giunta dall'Iberia si fermò, proprio come i Romani prima di loro, in un luogo chiamato Cartagine che si trovava a una distanza ragionevole dal sito originale. Se questo è successo solo nell'Alto Medio Evo, allora è probabile che ci siano dei riferimenti nelle cronache del tempo e io intendo vagliare con molta attenzione le fonti islamiche in cerca di prove. La mia teoria rimane la stessa. E ora ho una prova inconfutabile della sua veridicità! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#48 (Anna Longman) Ash: progetti per i media 09/11/00 ore 00,27 Format dell'indirizzo Nagrat@ e altri dettagli ancellati
Scusa, ho dimenticato di controllare la posta! Isobel ha appena scaricato la tua e-mail e ha trovato molto interessante la tua proposta ed è rimasta molto compiaciuta di come la descrivi. Ha detto: 'Questa donna mi fa somigliare a Margaret Rutherford!' Hai ragione, malgrado abbia solo quarantuno anni e una predilezione per le commedie in bianco e nero *somiglia* a Margaret Rutherford. (Fortunatamente per noi, Isobel è più chic.) Stiamo decidendo cosa è meglio fare, data una certa tensione tra l'effetto riduttivo che la televisione esercita sulla ricerca scientifica e l'indubbia pubblicità per l'archeologia e la letteratura. E, se posso essere onesto, stiamo discutendo dell'attrazione che la pubblicità esercita su di me. Non vorrei perdere i miei quindici minuti di gloria, per niente al mondo. Specialmente se penso che qualcun altro mi pagherebbe per il privilegio. Credo che riceverò un compenso di qualche tipo, giusto? Isobel desidera considerare le possibilità e consultarsi con il suo team. Dovrei essere in grado di scriverti qualcosa già tra qualche ora. Ora che riesco a capire come funziona INTERNET ti spedisco la prossima sezione di 'Ash'. Leggila, mentre noi continuiamo a cercare. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Ms Longman —
#49 (Anna Longman) Forse un messaggio? Ash: progetti. – Copia mancante 02/11/00 ore 20,55 Format dell'indirizzo Longmant@ e altri dettagli cancellati
Provo una certa riluttanza a parlare con il suo comitato editoriale in teleconferenza. Le linee telefoniche non sono buone e ho i miei seri dubbi che siano sicure. Le verrò a parlare di persona appena potrò allontanarmi dal sito. Le sarei grata se potesse mettermi in contatto con un'associazione di agenti letterari o televisivi, ammesso che ne esista una. La mia Università è in grado di entrare nelle trattative. Non vedo nessuna ragione per la quale non dovremmo raggiungere un
accordo. Il metraggio della nostra squadra addetta alle riprese è stato spedito per via digitale al mio dipartimento all'università di.......... e lo stanno analizzando. Le suggerisco di mettersi in contatto con il mio dirigente di dipartimento, Stephen Abawi, per accordarvi su come usare i filmati e per pubblicizzare il lavoro del dottor Ratcliff. Seguendo un suggeriemento del dottor Ratcliff, sto incoraggiando il team addetto alle riprese a filmare anche ciò che 'circonda' la nostra scoperta archeologica. Intendo parlare di come la vivono i singoli componenti della spedizione. Non sarà una sezione molto lunga perché i soldati di guardia non amano farsi riprendere neanche dietro un piccolo compenso in denaro. Comunque sono d'accordo con il dottor Ratcliff che quel materiale sarà comunque utile per un documentario su quanto è successo qua. È possibile che io e il dottor Ratcliff collaboriamo alla stesura di un testo per il documentario. Sto pensando di usare delle citazioni dal vecchio materiale edito su Ash. Conosce l'edizione del 1890 di Charles Mallory Maximillian? ... la grande ruota medievale della Fortuna è sempre in movimento; la dea Fortuna è sempre all'opera per sollevare un uomo dalla povertà, incoronarlo re e scagliarlo nella follia e nell'oscurità che albergano sotto la ruota, ovvero la morte e l'oblio. Nel 1477, la Borgogna sparisce dalla storia e dai ricordi sul campo di Nancy. Giace fredda e immota come il cadavere gelato di Carlo l'Intrepido, uno dei più fulgidi principi della Cristianità, il cui corpo decapitato era stato straziato e martoriato a tal punto che i nemici pensarono per due giorni che fosse quello di un contadino soldato. Ricordiamo un regno d'oro. Tuttavia, la ruota della storia gira, e il passato si perde... Qui sulla costa della Tunisia la Ruota ha ripreso a girare. — Salve. Napier-Grant —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#63 (Pirce Ratcliff) Ash: documenti 10/11/00 ore 13,55
Da:
Longman@
Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Pierce — Ringrazia il dottor Napier-Grant per la sua e-mail. Le tue notizie riguardo il golem messaggero sono stupefacenti. Non so neanche bene come usarle. Te lo dico perché non sono sicura su cosa farne. Voi avete trovato il golem. Io ho perso il manoscritto dell'Angelotti. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#50 (Longman) Ash: 10/11/00 ore 14,38 Ngrant@
Anna —
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Non capisco. Come hai fatto a PERDERE il testo dell'Angelotti? È custodito in una delle quattro maggiori collezioni di libri al mondo! Spiegati meglio! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#66 (Pierce Ratcliff) Ash: 10/11/00 ore 14,51 Longmant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
No. Non è scomparso. Volevo controllare di persona le notizie sull'invasione dimenticata di cui parli. Se non fossi a Tunisi con il dottor Grant - e se quello che avete trovato non fosse un golem - avrei già bocciato il tuo libro. Davvero. NON ESISTE NESSUN MANOSCRITTO DELL'ANGELOTTI! Il problema non è rappresentato da un'invasione dell'Europa da parte dei Visigoti spazzata sotto il tappeto della storia. Il PROBLEMA è che volevo consultare il manoscritto dell'Angelotti di persona e ho telefonato al Metropolitan Mueseum of Art e al Glasgow Museum. Quest'ultimo non ha più una copia latina del manoscritto attribuito ad 'Antonio Angelotti'. Sia la British Library che il Metropolitan Museum ora lo classificano tra le Letteratura Romanza del Medio Evo. È un ROMANZO, Pierce! COSA STA SUCCEDENDO? —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#54 (Longman) Ash/Agelotti 10/11/00 ore 16,11 Ngrant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Ho contattato Bernard al Glasgow Museum. Mi ha detto che non sa dove sia il testo dell'Angelotti, non lo tengono più tra gli scaffali o 'forse' l'hanno prestato a qualche altra istituzione. Mi ha chiesto come mai volevo studiare un testo tanto inutile per gli storici visto che è considerato un FALSO che risale al diciassettesimo secolo. Non so cosa stia succedendo! Sia Charles Mallory Maximillian che Vaughan Davies non hanno dubbi sulla veridicità del manoscritto! Nel 1890 e nel 193 9 era catalogato come documento del quindicesimo secolo. E quando l'ho consultato era ancora nel CATALOGO sotto quella voce! Non mi è mai successo niente di simile nel corso della mia carriera accademica! Non possono averlo riclassificato negli ultimi sei mesi!
Non sono riuscito a trovare qualcuno che volesse parlarmi e non posso andare via di qui. Se esco dal sito non potrei più rientrare. Devi occuparti tu di questa storia. Per il nostro libro. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#69 (Pierce Ratcliff) Ash, testi 10/11/00 ore 16,55 Longmant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Cos'altro ci aspetta, Pierce? Uno dei manoscritti che citi è un falso e i golem sono veri? Cercherò di fare il possibile. Non riesco a capire. Dammi una lista di documenti da controllare. Capisco che gli storici vittoriani non fossero rigorosi come quelli moderni. In quel periodo hanno falsificato più di un manoscritto. Ma ci sono state due edizioni precedenti prima della tua: possibile che anche Vaughan Davies si sia fatto ingannare? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#50 (Anna Longman) Ash, testi 13/11/00 ore 00,45 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Sono d'accordo con te sul fatto che Vaughan Davies dovrebbe essere stato in grado di scoprire se i documenti erano falsi. Tu sei abbastanza gentile
da non dirlo, quindi devo farlo io. Quella che segue è una lista dei principali documenti su cui ho lavorato. Sono tutti autentici: Il WINCHESTER CODEX, 1495 circa, traduzione in inglese da un testo originale in latino (1480?). Infanzia di Ash. La vita di del Guiz, 1516 circa, ritirato, epurato e pubblicato nuovamente nel 1518. Originale tedesco. Più una versione di Ortense Mancini, diciassettesimo secolo circa, un'opera teatrale, che l'autrice dice di aver tradotto da un manoscritto in latino del sedicesimo secolo di cui non esistono tracce. Copre la vita di Ash dal 1472 al 1477. Il CARTULARIO del monastero di santa Herlaine, 1480 circa, tradotto dal francese. Breve menzione di Ash come novizia dal 1467 circa al 1498. 'PSEUDO-GODFREY', 1478 (?), un testo germanico di dubbio valore, trovato a Colonia nel 1963; la carta e l'inchiostro sono originali, ma forse è un apocrifo del tempo che cercava di sfruttare la popolarità del ciclo di Ash. Copre la vita di Ash dal 1467 al 1477. Il manoscritto dell'ANGELOTTI, Milano, 1487, posto alla fine di un trattato sulle armi appartenuto alla famiglia Missaglia. Copre la vita di Ash dal 1473 al 1477. *FRAXINUS ME FECIT', forse è una autobiografia di Ash, quindi deve essere stata scritta non più tardi del 1477; se si tratta' invece di una biografia, tra il 1477 e il 1481 (?). Copre il periodo che va dall'estate del 1475 (6?) all'autunno 1476. Due edizioni del materiale su Ash sono: Charles Mallory Maximillian (ed.) ASH: LA VITA DI UN CAPITANO MERCENARIO DEL MEDIO EVO, J Dent & Son, London, 1890, ristampato 1892, 1893, 1896, 1905.
Traduzione dei documenti che ho appena menzionato tranne lo 'Pseudo-Godfrey' (e, chiaramente, il - 'Fraxinus'). CMM ha incluso un poema del - diciassettesimo secolo scritto da Lord Rochester - probabilmente basato su un episodio della vita di - Ash, ma delle ricerche fatte in seguito hanno dimostrato che probabilmente quell'evento non è mai - accaduto. CMM era titolare della cattedra di storia a - Oxford in quel periodo, quindi è possibile che abbia - avuto accesso a un gran numero di testi. Vaughan Davies (ed.), ASH: UNA BIOGRAFIA DEL QUINDICESIMO SECOLO, Victor Gollancz Ltd, 1939. Mai ristampato a causa della scomparsa delle matrici. Stessi documenti presenti nell'opera di CMM. Si - diceva che ne esistesse un'edizione pirata in formato - tascabile stampato dalla Starshine Press di San - Francisco (1968), ma io non l'ho mai vista. Questa edizione originale del 1939 esiste, anche se - incompleta, solo alla British Library. Il - magazzino - dell'editore venne distrutto da un bombardamento - durante la guerra che bruciò le scorte di libri e - diede un taglio alla carriera di Vaughan Davies come - scrittore. Non sempre tutti i libri di storia sono - scritti da un uomo con tali credenziali - scientifiche e storiche. Questo è tutto quello che ho a disposizione, penso che ci possano essere un paio di conferme nella letteratura moderna, ma non ho con me quei dati. Ho appena completato la traduzione di una sezione del materiale di del Guiz/Angelotti e te la spedisco in allegato. Isobel insiste nel farmi finire immediatamente il 'Fraxinus me fecit' per lei e vuole che sia una traduzione molto meticolosa. Io penso che lo sia, ma solo lei può confermarmelo. Contattami al più presto. NON SO COSA STIA SUCCEDENDO. Sono stato un accademico per vent'anni: non credo di aver commesso un errore o una serie di errori - di tale portata.
— Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#73 (Pierce Ratcliff) Ash, documentazione 13/11/00 ore 22,03 Longmant@
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Ho preso un giorno di ferie e mi sono chiusa nella British Library. Non volevo dare troppe spiegazioni in ufficio visto che il tuo libro è stato messo tra le novità del catalogo primaverile. Ho avuto dei gravi problemi. Non riesco a trovare alcuni dei documenti di cui parli. Lo Pseudo Godfrey e il. Cartolario (il registro, credo) del monastero di santa Herlaine. A dire il vero non ho trovato neanche una traccia di quel monastero. Ho trovato alcune parti della vita di Ash scritta da del Guiz, ma non ti piacerà leggere quanto segue. Nel 1890 era classificato sotto la voce 'Storia del tardo Medio Evo'. Charles Mallory Maximillian era chiaramente tranquillo quando fece la sua traduzione, ma nel 1939 il testo in latino venne classificato nuovamente, ma sotto la voce 'Letteratura Romanza' insieme ai Nibelunghi! Ho trovato un riferimento alla tua edizione americana di Vaughan Davies del 1968 che contiene parte del manoscritto di del Guiz e tutto viene classificato sotto la voce 'Romanzi'! E per guanto riguarda la British Library, non ne hanno neanche una copia. E non hanno neanche una copia del manoscritto di Angelotti. Da quello che ho capito nel 1890 pensarono che questo materiale fosse originale; nei tardi anni trenta scoprirono che era una raccolta di falsi, ma Vaughan Davies decise di ignorare tali scoperte. Quello che mi chiedo e non capisco, Pierce, è perché anche TU hai deciso di ignorarle? Andrò a parlarne con il direttore generale, a meno che tu non mi dia una spiegazione convincente. — Anna Longman
—————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#730 (Anna Longman) Ash, scoperte archeologiche 13/11/00 ore 00,45 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli cancellati
Non ho ignorato niente. Quando ho consultato quei documenti alla British Library, due mesi fa, erano classificati sotto la voce 'Storia Medievale'. Non c'era NIENTE che facesse supporre che fossero altro. Ti prego di non fare nessun gesto avventato. Se quei documenti sono inaffidabili come mai abbiamo trovato delle PROVE ARCHEOLOGICHE che dicono il contrario?! — Pierce
PARTE QUARTA 13 AGOSTO - 17 AGOSTO AD 1476 Il Giardino della Guerra I Il corpo della ragazza giaceva su un materasso imbottito di piume d'oca. Era impossibile dire se il giaciglio era troppo morbido o se era lei che non vi era abituata. La ragazza era in stato di incoscienza. Di tanto in tanto dondolava la testa. Il cranio era stato rasato sopra l'orecchio sinistro, ma una fine peluria stava cominciando a ricrescere. L'avevano legata al telaio del letto per impedirle di muoversi. Sembrava agitata e febbricitante. Qualcuno le aveva lavato e intrecciato i capelli in modo che non diventassero una massa sudaticcia e inestricabile. A volte sentiva una voce che imprecava per scacciare i diavoli, altre volte un litigio a bassa voce tra donne. Qualcuno le versò sulla fronte dell'olio che le colò sul naso e su una guancia sfregiata. Quando sollevarono le lenzuola di lino vide che metà del suo corpo era ricoperta di escoriazioni. Il polso e la caviglia destri erano fasciati con una benda imbevuta di una poltiglia curativa. Qualcuno la lavò con l'acqua presa da un catino d'argento. Le api volavano per la stanza e si posavano sui fiori tenuti sul davanzale. Il verso basso e ritmico delle colombe echeggiava fuori dalla finestra. Mentre la giravano per finire di lavarla vide una di queste con il capo e il becco avvolti da un'aureola di luce e gli occhi dorati: lo Spirito Santo albergava nella piccionaia insieme alle altre colombe. Poi sentì un forte bruciore e urlò. La legarono nuovamente al letto e le voci intorno a lei ripresero a litigare. C'era sempre la luce. All'inizio era un pallore roseo che filtrava attraverso le imposte e cresceva di intensità fino a diventare giallo brillante con il passare del tempo. La luce si rifletteva sull'acqua contenuta nella brocca posata sul baule e screziava il soffitto bianco. Una volta sentì un'ala che la carezzava. Le piume erano bianche e rigide come quelle dei cigni, ma con le punte dorate come quelle riprodotte nei manoscritti. Due persone discutevano vicino a lei degli angeli e degli altri
spiriti dell'aria che sono i diavoli o forse antichi dèi pagani indeboliti dalla mancanza di adoratori. Vide oltre il soffitto della cella una serie di cerchi concentrici ognuno dei quali era bordato di volti e ali. Dietro le figure dei santi spiccavano altri cerchi dorati e sottili come il graffio di un coltello. Erano le aureole, calde come il metallo che colava dalla fornace di un fabbro. Cercò l'immagine del Leone, ma non la trovò. La stanza era illuminata da una luce dorata. Prese a tremare e delle mani risollevarono la coperta. Un volto dai lineamenti duri e la pelle chiara si avvicinò al suo. I capelli erano biondi e corti. Ash non riusciva a parlare. Qualcuno le versò in bocca dell'acqua che finì in parte sulle lenzuola e in parte nella gola riarsa. Sentì una fitta di dolore. Aveva male a un braccio e a una gamba, la mano sana sussultò afferrando la cinghia che la tratteneva al letto. Delle dita la liberarono. Si tastò il corpo fin dove riusciva da quella posizione. Era di nuovo integra. La testa le doleva ancora. Si toccò la guancia e provò una fitta di dolore. Sondò l'interno della bocca con la lingua e scoprì di essersi rotta due denti posteriori. «Thomas...» «Thomas Rochester e gli altri sono vivi, ragazza.» Le diedero da bere altra acqua ma in questa erano state disciolte delle erbe e lei, volente o nolente, dovette inghiottire. Cercò di resistere al sonno finché non rivide la luce che tornava a far capolino tra le imposte. Ricordava un'oscurità che sembrava non finire mai, un cielo nero, la notte eterna, il terreno che gelava come in inverno anche se erano nel pieno della stagione del raccolto. «Ci seguiranno.» «Zitta...» Si addormentò improvvisamente, quasi senza rendersene conto. «Non mi porteranno a Cartagine!» biascicò prima di sprofondare in un sonno profondo. II Si svegliò calda e sudata. Un incubo scivolò via da lei come un'onda che si ritira dalla battigia. Ash aprì gli occhi e il delirio si tramutò in consapevolezza.
Merda! pensò. Quanto tempo sono stata così? Quanto tempo ci vorrà prima che il faris mi insegua o mandi una squadra a rapirmi? «Sei stata calpestata da un cavallo» le spiegò la voce di Floria del Guiz. «Facciamo tanto per la gloria della battaglia...» Ash cercò di mettere a fuoco la vista. «Seppellita a causa di uno scherzo tra soldati73 » «Stupida idiota.» Il telaio del letto scricchiolò sotto il peso del chirurgo che si sedeva e Ash sentì il suo corpo che veniva sollevato da un paio di braccia calde e robuste. Pensò di sentire un altro corpo contro il suo poi si rese conto che i seni che premevano contro la sua guancia erano quelli di Floria, che la donna chirurgo la stava cullando e che il suo corpo era debolissimo. La voce tranquilla di Florian le ronzava nell'orecchio, ma Ash percepì le parole più attraverso le vibrazioni trasmesse al suo corpo che direttamente dalla voce. «Suppongo che tu voglia sapere in che condizioni di trovi, giusto? Sei il capo.» «No...» «Giusto.» Dovresti lavarti, pensò Ash sentendo l'odore del sudore che impregnava gli abiti del chirurgo. Abbandonò la testa contro il petto di Florian e la cella cominciò a ondeggiare. «Oh, merda...» Il peso dei due corpi abbracciati aveva infossato il materasso. Ash alzò gli occhi al soffitto e seguì la traiettoria di un'ape che ronzava nella stanza. L'abbraccio del chirurgo era il benvenuto. «Sei molle come una palla di sterco» le disse la voce roca del medico. «E non posso fare di più.» Ash udì un coro di donne che cantava in lontananza. La piccola stanza era pervasa dal profumo della lavanda. Deve crescere qua vicino, pensò. Non c'era niente di suo nella stanza. «Dov'è la mia cacchio di spada? E l'armatura!» «Ah, questa è la ragazza che conosco!» Ash fissò Floria. «So che morirò prima di raggiungere i trent'anni. Non possiamo essere tutti Colleoni74 o Hawkwood75 . Quanto ci sono andata 73
Hoc futui quam lude militorum. Cito la traduzione idiosincratica di Vaughan Davies dal Latino rozzo del testo. 74 Bartolomeo Colleoni (1403 -1475) era morto l'anno prima. Un famoso condottiero che i Veneziani assoldarono più volte a partire dal 1455, visse fino all'età di settantadue anni conservando il grado di generale delle forze veneziane e scoraggiò la Serenissima ad andare a nord delle Alpi dal suo
vicina?» «Non penso che il cranio sia rotto... l'ho ricucito e ho pronunciato gli incantesimi del caso. Se ascolti i miei consigli rimarrai a letto per tre settimane. Se succedesse sarebbe la prima volta in cinque anni che mi dai ascolto!» Il chirurgo l'abbracciò con più forza. «Non posso fare altro per te, davvero. Riposa.» «A quante leghe distiamo da Basilea?» chiese Ash. «Cosa è successo alla mia compagnia?» Floria del Guiz sospirò. «Perché non sei come tutti gli altri miei pazienti e cominci con chiedermi: 'dove sono?' Sei in un convento fuori Digione, in Borgogna, e la compagnia è accampata a circa un chilometro in quella direzione.» Il lungo dito della donna fendette l'aria davanti al naso di Ash indicando fuori dalla finestra. «Digione?» Ash strabuzzò gli occhi. «Ma siamo lontanissimi dai cantoni. Siamo dall'altra parte del France-Comté. Mio Dio. Digione... Tu sei una fottuta Burgunda, Florian, aiutami. Conosci il posto?» «Dovrei.» La risposta di Floria sembrava piuttosto acida. Si sedette. «Ho una zia che vive a sei leghe da qui. Zia Jeanne dovrebbe essere a corte insieme al duca.» «Il duca Carlo è qua?» «Oh è qua con tutto l'esercito e i mercenari. I prati fuori la città sono coperti di tende!» Florian scrollò le spalle. «Suppongo che sia venuto direttamente qui dopo l'assedio di Neuss. Questa è la capitale meridionale del regno.» «I Visigoti hanno attaccato la Borgogna? Come procede l'invasione?» «Come faccio a saperlo visto che sono stata tutto il tempo qui a curarti, stupida stronza!» Il disprezzo che il chirurgo aveva per le questioni familiari fece sorridere Ash. «Non si parla così al tuo capo.» Floria si girò in modo che potessero guardarsi in faccia. «Io lo faccio quando mi pare e piace, hai capito 'stupida stronza di un capo'?» castello di Malpaga, perché temeva che in sua assenza Milano avrebbe attaccato Venezia! Quelli che volevavano veramente incontrarlo, per esempio re Edoardo IV di Inghilterra nel 1474, dovevano andare da lui. 75 Sir John Hawkwood, famoso mercenario inglese comandate della Compagnia Bianca (1363 -1375), prestò un lungo e profiquo servizio in Italia e morì vecchio nel 1394.
«Così va meglio. Cavolo.» Ash cercò di sedersi, ma ricadde all'indietro con una smorfia di dolore. «Che razza di chirurgo sei? Sono mezza morta.» «Posso mettere in sesto l'altra metà quando vuoi...» Floria le tastò la fronte con il palmo della mano ed emise una sorta di grugnito preoccupato. «Ogni giorno tre quarti degli uomini vengono in pellegrinaggio fin qua per cercare di parlarti» aggiunse il medico. «Cos'hanno? Non riescono a riconoscere un convento neanche quando lo vedono? Non riescono a pulirsi il culo da soli senza che ci sia tu a dire loro come fare?» «Sono soldati.» Ash premette le mani contro il materasso per cercare di alzarsi di nuovo. «Merda! Sei hai detto loro che non posso riceverli perché ho il cranio rotto...» «Non ho detto niente. Questo è un convento e loro sono uomini.» Floria sorrise sorniona. «Le sorelle non li fanno entrare.» «Cristo! Penseranno che sia moribonda o già morta! Andranno a cercarsi un altro capitano prima ancora che tu possa dire condotta! 76 » «Non credo.» Floria emise un lungo sospiro, si alzò dal letto, le sollevò il dorso e le mise dei cuscini sotto le spalle e la testa. Ash si morse le labbra per evitare di vomitare. «Non credi? Perché?» «Oh, tu sei un eroe.» Floria sghignazzò e si avvicinò alla finestra della cella. La luce del giorno mise in evidenza gli occhi cerchiati e le rughe intorno alla bocca. «Tu sei la Leonessa! Li hai salvati dai Visigoti, li hai portati via da Basilea e li hai guidati fino in Borgogna, gli uomini credono che tu sia fantastica!» «Cosa?» «Joscelyn van Mander aveva gli occhi umidi. L'ho sempre detto che voi soldati siete dei dannati sentimentali.» «Diavolo.» Ash sentì il cuscino che cedeva sotto il suo peso ed ebbe un capogiro. «Non avevo nessun diritto di andare a Basilea in cerca del faris, ho messo in pericolo i miei uomini. Mi ha fottuta, Florian. Gli altri devono saperlo.» «Attenta, che se metti il naso fuori di qui lanceranno petali di rosa sul tuo cammino, ma è anche vero che se oggi provi a scendere dal letto è molto probabile che ti seppelliamo entro domani.» 76
Il 'contratto' italiano dal quale deriva la parola condottiero.
«Un eroe!» «Non l'hai notato?» Il chirurgo indicò il cielo. «Il sole. Li hai riportati dove splende il sole.» «Li ho portati...» Ash non riuscì a terminare la frase. «Quando è tornato il sole? Prima che raggiungessimo la Borgogna?» «È ricomparso appena abbiamo attraversato il confine.» Floria aggrottò la fronte. «Credo che tu non mi abbia capito. Il sole splende solo su questo regno. Solo sulla Borgogna. Il resto dell'Europa continua a essere immerso nel buio.» Ash si leccò le labbra. Le sentiva secche. No, non può essere. Non solo qui! Ash spinse via la scodella piena d'acqua che il chirurgo stava cercando di portarle alle labbra, quindi la prese con le mani e ne sorseggiò il contenuto aggrottando la fronte a sua volta. Hanno fatto riapparire il sole, ma solo in Borgogna. Perché solo qua? A meno che il Crepuscolo Eterno si espanda fino... Fino a dove le armate della terra Sotto Penitenza riescono a invadere. No, come potrebbe essere? Forse il Crepuscolo Eterno non ha ancora raggiunto le regioni del nord come la Francia e la parte bassa dell'Inghilterra. Merda, ho bisogno di parlare con qualcuno! «Se i ragazzi pensano che sono stata io a tirarli fuori dai guai, e solo il Cristo Verde sa cosa li ha indotti a farlo» continuò Ash, dando voce ai suoi pensieri «a me va bene. Più stanno dalla mia parte, meglio è. Dannazione, Florian, tu sei borgognone, vero? Quante possibilità abbiamo di ottenere un contratto qua, visto che non molto tempo fa ho cercato di uccidere il duca?» Ash abbozzò un sorriso. «La tua zia Jeanne potrebbe introdurci a corte?» Florian assunse un'espressione severa. «Meglio che parli con Robert Anselm entro oggi» le rammentò. «Probabilmente tu non morirai se non lo fai, ma lui sì.» Ash batté le palpebre e per un attimo la sua attenzione fu distolta dal pensiero dei Visigoti. «Robert? Perché?» «Chi pensi ti abbia calpestato a Basilea.?» «Oh, merda.» Florian annuì. «È seduto fuori dai cancelli del convento. Lo so perché ha dormito là.»
«Da quanto tempo sono qua?» «Tre giorni.» «Da quanto tempo è là fuori? Non dirmelo. Tre giorni.» Prese la testa tra le mani e sussultò dal dolore non appena le dita sfiorarono la ferita. Si fregò gli occhi e si rese conto di indossare solo una maglia e di avere bisogno di un vaso da notte. «Chi è che manda avanti la compagnia, allora?» «Geraint-il-Gallese-bastardo.» Floria strabuzzò gli occhi. «O almeno gli altri credono che sia quello il suo nome. Lavora in coppia con padre Godfrey. Sembra che abbiano tutto sotto controllo.» «Davvero! Mio Dio! Allora è meglio che mi sbrighi a riprendere il comando se non voglio che il Leone Azzurro si trasformi nella compagnia di Geraint ab Morgan mentre sono seduta con il culo in un letto dentro un convento!» Ash strofinò i palmi delle mani contro il volto. «Hai ragione. È meglio che mi alzi. Mi sento come se il cavallo stesse continuando a calpestarmi. Vedrò Roberto e anche la padrona di questo posto. Voglio vestirmi.» «E visto che i tuoi uomini non possono entrare ti aspetti che io faccia le veci del tuo paggio, giusto?» chiese Floria, in tono ironico. «Potresti anche imparare a fare il paggio visto che come chirurgo fai schifo.» Floria del Guiz scoppiò in una risata aperta e liberatoria, molto diversa dal suo solito sghignazzo controllato e si batté una pacca sulla coscia. «Sei una puttana ingrata!» «Nessuno ama una donna onesta.» Un ricordo le fece affiorare un sorrisetto scontento sulla bocca. «O forse sono solo una sgualdrina di strada.» «Una cosa?» «Non farci caso. Cristo, adesso sono ben lontana da lì.» E intendo mantenere sempre il massimo della distanza tra me e il faris. Va bene, per il momento siamo abbastanza lontani e posso tranquillizzarmi. Cosa faccio adesso? Non so nulla di quello che è successo ultimamente! Ash spostò con fatica le gambe e si sedette sul bordo del letto. Il sangue cominciò a martellarle le tempie con tanta violenza da non farle più udire le colombe che tubavano fuori dalla finestra. Ondeggiò vistosamente. «Povero Robert. Doveva proprio essere lui. Trovami una sedia o uno sgabello. Non voglio che mi veda conciata come se dopo di lui dovessi ricevere il Sinistro Mietitore!» Ash si interruppe per un attimo. «Questo è
un convento, giusto? Non dovrò mettermi l'abito?77 » Florian rise di nuovo e si diresse verso un baule carezzandole la testa mentre le passava accanto, con un gesto gentile e colmo d'affetto: Ash se ne accorse appena. «Ho mandato Rickard a prendere la tua roba. La sorella non mi avrebbe permesso di portare una spada entro i confini del convento, ma» Floria tirò fuori una maglia, un farsetto e dei pantaloni «ho fatto prendere quello verde e oro e un vestito di velluto. Il capo è contento?» «Il capo è più che contento.» Finito il rituale fastidioso dei bisogni nel vaso da notte, Ash si fece aiutare a vestirsi e cominciò a trovare meno imbarazzante avere una donna come paggio. «Perché in tutti questi anni ti ho pagata come chirurgo» chiese ridendo «quando...» Vide entrare una suora e si interruppe. «Sorella?» La donna posò le mani sui fianchi. Era di corporatura robusta e indossava un abito da monaca. L'unica parte del corpo in mostra era il viso. «Sono Sorella Simeon» si presentò con voce grave. «Torna a letto, ragazza.» Ash fece scivolare un braccio dentro la manica del farsetto e si appoggiò allo schienale dello sgabello mentre Floria le stringeva i lacci dietro le spalle. Parlò come una persona che non vedesse girare la stanza intorno a sé. «Prima di tutto, Sorella, sto per ricevere il mio secondo in comando.» «Non penso, figliola.» La Sorella strinse con forza le labbra. «Gli uomini non sono ammessi all'interno del convento e tu non sei ancora in grado di uscire.» Ash sentì Floria che si alzava. «Permettetegli di entrare per qualche minuto, Soeur Simeon» intervenne il chirurgo. «Dopo tutto voi mi avete permesso di entrare e io so cosa è importante per la salute del mio paziente. Buon Dio, donna, sono un chirurgo!» «Buon Dio, sei anche una donna» ribatté secca la suora. «Perché pensi che ti abbia lasciata entrare?» Ash sghignazzò nel sentire lo sbuffo appena percettibile che fuoriuscì dalla bocca di Floria. «Questo fatto, Soeur, è del tutto confidenziale. So che posso fidarmi di una donna di Dio.» Ash posò le mani all'interno delle cosce e cercò di as77
Nel testo originale veniva usata la parola 'tunica'.
sumere una postura che la facesse sembrare il più sicura possibile. «Fate entrare Robert Anselm in segreto, se dovete, ma fatelo entrare. Farò il più in fretta possibile.» La Sorella, il cui vestito da suora le conferiva un'età indefinita che poteva essere compresa tra i trenta e i sessant'anni, socchiuse gli occhi e sondò la cella e il suo occupante malato. «Sei stata abituata a fare di testa tua per parecchio tempo, vero, ma fille?» «Oh, sì, Sorella Simeon. È troppo tardi per porvi rimedio.» «Cinque minuti» concesse la religiosa, torva. «Una delle petites soeurs assisterà all'incontro per decenza. Vado a organizzare una preghiera.» La porta della cella si chiuse alle spalle della donna. Ash fischiò. «Però! Quella è nata per fare il colonnello di un reggimento! 78 » «Senti chi parla.» Floria del Guiz tornò nuovamente a rovistare nel baule e un attimo dopo tirò fuori un paio di stivaletti, si inginocchiò davanti ad Ash e glieli infilò. Ash osservò la testa bionda del chirurgo, allungò una mano come se volesse toccarla, ma all'ultimo momento ci ripensò e la ritrasse. «Ho tutti i capelli annodati» disse. «Vorresti pettinarmi?» La donna prese un pettine di corno dalla sua borsa, le liberò la treccia e cominciò a pettinarla. Ash avvertì i colpi delicati del pettine e i leggeri ma dolorosi strattoni che servivano a districare i nodi che si formavano alla fine di ogni ciocca. La testa cominciò a pulsarle dolorosamente. Chiuse gli occhi e si godette il calore del sole e la brezza estiva che le lambivano il viso. Prima di tutto, pensò, devo trovare un modo per far sopravvivere la compagnia in Borgogna. Come stiamo tirando avanti? Cristo, mi sento così male. Il pettine smise di muoversi. Floria le toccò una guancia umida di pianto. «Fa male? Succede con le ferite alla testa. Potrei tagliarti i capelli.» «No.» «Va bene, va bene... non mi uccidere!» Passò altro tempo. Floria prese a parlare con qualcuno che era entrato nella stanza. Ash aprì gli occhi e vide un'altra suora che indossava un abito verde e bianco. La novizia la fissò negli occhi e le si avvicinò porgendole una scodella piena 78
Nel testo originale veniva usato il termine 'triari' (veterano delle legioni), ma un vocabolo moderno permette una comprensione più immediata.
d'acqua. «Io ti conosco.» Ash aggrottò la fronte. «È difficile dire chi sei con i capelli nascosti, ma ti ho già vista, vero?» Floria, che stava guardando fuori dalla finestra, ridacchiò. «Schmidt» si presentò la suora. «Margaret Schmidt.» Ash arrossì. «Sei una suora?» disse con voce flebile, ma incredula. «Adesso sì.» Floria attraversò la stanza, carezzò le spalle della donna e tastò la fronte di Ash. «Siamo a Digione, capo. Sei nel convento delle filles de joie che sono diventate filles de pénitence79 .» Ash fissò la suora che fino a poco tempo prima aveva fatto la prostituta a Basilea. «Oh.» Fece uno sforzo e disse: «Se dovessi cambiare idea prima di prendere i voti definitivamente, Margaret, sappi che sarai la benvenuta nella compagnia. Diciamo come assistente chirurgo.» Ash si accorse che sul volto di Floria era apparsa un'espressione che era un misto di stupore, cinismo, disagio, ma, più di tutto, sorpresa. Ash scrollò le spalle, avvertì un formicolio al cranio e portò una mano alla testa. La donna che un tempo viveva a Basilea fece un inchino. «Non prenderò nessuna decisione finché non avrò capito cosa vuol dire vivere come una suora, signora. Fino a questo momento è molto diverso dalla casa di piacere.» Qualcuno bussò alla porta. «Fuori» disse Ash. «Voglio parlare con Robert da sola.» Chiuse gli occhi per un attimo e provò una sensazione riposante, lasciando che la porta si aprisse e chiudesse senza il suo aiuto. Oltre la ferita alla testa, il danno che considerava più grave era la debolezza che provava in quel momento. Sapeva bene che sarebbe passato molto tempo prima che potesse ristabilirsi del tutto. Cosa sono? Il faris dice che sono solo immondizia. Sono paragonabile a un vitello maschio che viene ucciso perché non può dare latte. Però senti la voce. E allora? È solo una testa di ottone che si trova in Nord Africa; una... una macchina che sputa Vegezio e Tacito e tutti gli altri classici sulla guerra? È solo una... una biblioteca? Niente di più che un archivio di tattiche al quale basta chiedere? 79
L'esistenza di un convento simile è comprovata anche da documenti contemporanei.
Ash si trattenne dallo sghignazzare per non ricominciare a lacrimare. Cristo Santo, e io ho messo la mia vita in mano a quella cosa! Quanto volte ho letto dei pezzi del De Rei Militari e ho pensato, no, è impossibile applicare queste tattiche in simili circostanze e alla fine che cosa ho ascoltato per tutti questi anni? Ash provò un forte istinto di parlare e fare quelle domande alla sua voce, ma decise di aprire gli occhi per trattenersi. Robert Anselm era in piedi di fronte a lei. Il robusto mercenario era senza armatura e indossava un paio di pantaloni rattoppati alle ginocchia e una maglia sopra il farsetto: le pieghe della lana blu facevano capire che aveva dormito all'aperto con i vestiti addosso per diverse notti. Il fodero della daga, legato allo stesso laccio dal quale pendeva il borsellino del denaro, era vuoto. «Uhh...» Robert Anselm portò improvvisamente una mano alla testa, si tolse il cappello e prese a girarlo e rigirarlo tra le mani, premendo con le dita il simbolo della sua compagnia cucito sul velluto. Abbassò gli occhi. «Ci siamo accampati? Siamo al sicuro?» gli domandò Ash. «Com'è la situazione? Chi è il Lord locale che comanda in nome del duca?» «Uh.» Robert Anselm scrollò le spalle. Ash alzò la testa per guardarlo meglio e la sentì formicolare. L'uomo cadde in ginocchio di fronte a lei con la testa bassa e le braccia posate sulle ginocchia della donna. Ash si ritrovò a fissare il cranio quasi calvo del suo attendente. Potrei dirti che sei un fottuto idiota, pensò Ash. Potrei picchiarti. Potrei chiederti cosa pensavi di fare lasciando la compagnia abbandonata a se stessa. Il suo stomaco la avvertì con un gorgoglio che aveva fame. Pane, vino e un mezzo cervo, grazie... continuò a pensare. Ash alzò una mano per ripararsi gli occhi dal sole che cominciava a diventare troppo forte. L'aria era più calda. Doveva essere quasi mezzogiorno. «Non hai mai saputo di quello che ho fatto a Tewkesbury, vero?» gli chiese. Anselm alzò la testa. Aveva il visto sporco e stanco. Si grattò il collo. «Cosa?» «Tewkesbury.» «No.» Anselm cominciò a rilassare le spalle e si puntellò su un ginocchio. «Non vidi nulla perché ero sull'altro lato dello schieramento. Alla fine ti ho vista sanguinante e avvolta nello stendardo.»
Già, colavo sangue. Rammentò la sensazione del tessuto che le graffiava la pelle e l'esaltazione di tenere in mano un'alabarda: una lama tagliente quanto un rasoio montata in cima a un'asta di quasi due metri e accoppiata a una scure che lacerava il metallo e le carni con la stessa facilità di un'ascia per spaccare la legna. «Funzionò» disse misurando le parole. «Sapevo che dovevo fare qualcosa per farmi notare. Ero troppo giovane per comandare, ma se avessi aspettato di fare qualcosa di eclatante a sedici o diciassette anni, non avrebbe avuto lo stesso peso. Così decisi di prendere e tenere lo stendardo dei Lancaster sul Prato Insanguinato.» Abbassò lo sguardo per fissare il volto angosciato di Robert Anselm. «Ho fatto uccidere due dei miei migliori amici per quel gesto» disse Ash. «Richard e Crow. Ci conoscevamo da anni. Sono stati seppelliti in qualche punto su quella collina nella fossa comune che la Rosa Bianca fece scavare dopo la battaglia. Mi hai calpestata per sbaglio. Uccidere delle persone che conosciamo e venire uccisi fa parte del nostro mestiere. E non mi dire che è dannatamente stupido. Non ci sono modi intelligenti di essere uccisi!» «Sto invecchiando!» urlò Anselm. Ash rimase a bocca aperta. «Sai come mi chiamano quelle piccole merde là fuori? Vecchio! Ecco come mi chiamano!» continuò a urlare Robert. «Ho il doppio dei tuoi anni e sto diventando troppo vecchio per tutto questo! Ecco perché è successo!» «All'inferno.» Gli prese le mani tremanti tra le sue cercando di stringerle per confortarlo, ma si accorse che aveva meno forza di quanto si fosse aspettata. «Non fare lo stupido!» L'uomo liberò le mani. Ash ebbe un capogiro e si afferrò allo sgabello. La porta della cella si aprì violentemente e sbatté contro la parete. Floria del Guiz fece irruzione nella stanza urlando e afferrò il braccio di Anselm, che si liberò con uno strattone e spinse via il chirurgo con violenza... Ash aveva portato le mani alla testa per cercare di non sentire i rumori che le stavano provocando un gran dolore. «Adesso basta» ordinò, perentoria, togliendosi le mani dalle orecchie. Fece un respiro profondo e alzò la testa. Margaret Schmidt era in piedi sulla porta e di tanto in tanto lanciava delle occhiate colme d'ansia al corridoio. Floria aveva stretto entrambe le mani intorno al braccio di Anselm e cercava di trascinarlo fuori. Il mercenario stava in piedi piantato a terra con un'espressione sul viso che ricordava
quella di un toro infuriato. Ci vorrebbero almeno sei uomini per portarlo fuori di qui, pensò Ash. «Tu, vai dalla Superiora e dille che non è successo nulla. Tu» indicò Floria «lascialo andare; tu...» fu il turno di Robert Anselm «... chiudi quella fottuta bocca e fammi parlare.» Attese qualche secondo. «Grazie.» «Vado» accettò Floria, provando un certo disgusto per il suo stesso imbarazzo. «Falle avere una ricaduta e ti castro» disse, rivolgendosi a Robert. Floria uscì chiudendo la porta e bloccando la visuale a Margaret Schmidt e a un certo numero di suore che si erano riunite fuori dalla cella, attratte dal trambusto che aveva interrotto la monotonia della vita in convento. «Adesso che ti sei sfogato ti senti meglio?» gli chiese Ash, tranquilla. Il robusto mercenario annuì, mite, e prese a fissare il pavimento. «Hai dormito veramente sui gradini del convento?» Robert Anselm scrollò appena le spalle. «Quest'anno compio quarant'anni e ho due scelte» disse, rivolgendosi apparentemente al pavimento. «Uscire dal gioco e rimanere vivo o continuare. Stare sotto il comando di una donna o creare una mia compagnia. Cristo, donna, comincio a sentirmi vecchio e ti prego, non dirmi che Colleoni è sceso in battaglia fino all'età di settant'anni!» Ash chiuse la bocca. «Beh... era proprio quello che stavo per dire. Mi hai detto che sei stato qua fuori, giusto? Ubriaco?» «Sì.» «Bene, bene, bello stronzo. Ho bisogno di te, Robert. Se vuoi crearti una tua compagnia questo è un altro discorso, ma non lascerai la mia solo perché ti sei spaventato. Chiaro?» Robert Anselm prese la mano tesa. «Ash...» «Portami a letto altrimenti rischio di vomitare di nuovo. Cristo Santo, odio le ferite alla testa. Non andrai via, Robert. A volte penso che non riuscirei a mandare avanti la baracca senza di te.» Gli strinse la mano e si alzò dallo sgabello. Barcollava vistosamente. «Già, hai ragione,» borbottò Robert, sarcastico «sei un povera donna debole e indifesa.» La prese in braccio e la adagiò sul letto. «Non avrai più fiducia in me dopo quello che è successo. Dirai che ne hai ancora, ma non sarà vero.» Ash si rilassò sul materasso. Il soffitto cominciò a girare e lei inghiottì la saliva. Il fatto di essere nuovamente distesa le procurò una piacevolissima sensazione di sollievo che le fece chiudere gli occhi ed esalare un lungo
respiro. «Va bene, hai ragione. Non avrò fiducia in te per un certo tempo. Poi tutto tornerà come prima. Ci conosciamo troppo bene. Come ti ha detto lei: 'vattene e ti castro'. Siamo nella merda fino al collo ed è necessario uscirne il più velocemente possibile.» Robert la sistemò bene nel letto, non era la prima volta che accudiva un ferito. Ash aprì gli occhi. Robert si sedette sul bordo del lettino, la fissò per qualche secondo dopodiché aggrottò la fronte. «'Come ti ha detto lei'?» «No, hai ragione, non è stata la suora a parlare. È stato lui, Florian.» «Mmm» disse Robert Anselm in tono assente. Il mercenario sedeva con le braccia larghe puntellandosi con le mani e sembrava occupare tutto lo spazio a disposizione nella cella. Quell'atteggiamento era così tipico di Anselm che Ash sorrise. «È tutto chiaro, vero?» disse Ash. «Torna e prendi la guida della compagnia. Se funziona vuol dire che non hanno perso fiducia in te. Appena sarò in grado di camminare senza cadere dopo un paio di passi, verrò al campo per vedere cosa fare. Non abbiamo molto tempo.» Robert si alzò dal letto e lei si sentì improvvisamente priva di speranza. Aveva male alla testa. «Siamo scappati come degli stronzi e non abbiamo un contratto in questo ducato. Sbaglia qualcosa e i ragazzi cominceranno a disertare a decine entro domani... e se mi fotti la compagnia, ti stacco le palle» sbottò Ash, debole. Robert Anselm la fissò. «Terrò tutto sotto controllo, ma la prossima volta» disse, mentre si avviava verso la porta «mettiti un elmo, donna!» Ash fece un gestaccio. «Allora portamene uno, la prossima volta!» Robert Anselm si fermò sulla soglia. «Cosa ti ha detto il faris?» Ash venne travolta dalla paura. Sorrise, falsa. «Non adesso! Dopo. Mandami quello stronzo di Godfrey, voglio parlargli!» Quella che fino a pochi attimi prima era stata una lieve pulsazione nella testa divenne così intensa da farle lacrimare gli occhi. Notò appena la scodella che le veniva portata alle labbra. Ingollò avidamente la bevanda a base di vino ed erbe, quindi si sdraiò pregando finché, sempre troppo tardi, cadde in un sonno profondo che divenne molto disturbato nel volgere di un'ora. Il dolore la tormentava. Era sudata e sofferente. Cercava di rimanere il più possibile immobile, imprecando contro Floria ogni volta che le si avvicinava. Quando vide che la luce diventava più fioca avvertì anche un calo dal dolore alla testa. Una voce maschile le ripeteva in continuazione quan-
do era sera, il tramonto, la notte, o quando il cielo era rischiarato dalla luce della luna. Ash aveva l'impressione di essere sdraiata su un letto di carboni ardenti con il dolore che piantava le fauci nella sua testa. Si ficcò il pugno in bocca stringendo al punto di farsi sanguinare le nocche. Quando cedette e cominciò a urlare, quando il dolore fu troppo forte, si sentì scagliare in un luogo che riconobbe; un luogo che le dava fortissimi sensazioni fisiche, un luogo dove si sentiva completamente impotente e non riusciva a spiegare nulla. Provò delle sensazioni fuggenti come un attimo, dimenticandole l'attimo dopo; le riconosceva come ricordi, ma non sapeva quale ne fosse l'oggetto. «Leone...» L'implorazione le si strozzava in gola riducendosi a un sussurro. «Vicino a Santa Gawaine. Vicino alla Cappella.» Niente. «Zitta, bambina.» La voce era dolce, ma non riuscì a distinguere se fosse di uomo o di donna. «Zitta, zitta.» «Sei una fottuta macchina? Rispondi! Golem...» «Non è un problema consono. Non ne conosco la soluzione.» La voce nella sua anima era fredda come sempre. In essa non c'era nulla del predatore o del santo. Il dolore investì ogni cellula del suo corpo. «Merda!» sussurrò. «Dalle ancora quell'intruglio. Non morirà» disse la voce di Robert Anselm. «Cristo, uomo, sbrigati!» «Perché non lo fai tu? Sempre che tu ci riesca!» ribatté secca la voce di Florian. «Non intendevo dire che...» «Taci allora. Non la sto perdendo.» III Doveva aver dormito, ma se ne rese conto solo dopo qualche tempo. La luce che precedeva l'alba aveva ridotto la finestra a un quadrato grigio. Ash emise un lamento. Aveva le mani madide di sudore e le lenzuola del letto puzzavano. Mosse una spalla, sentì la lana che le grattava la guancia e si accorse che l'avevano messa distesa quando era ancora vestita, limitandosi ad allentare i lacci del farsetto. Ogni movimento, anche il più impercettibile, le provocava delle fitte di dolore lancinanti. «Se fa male vuol dire che sto migliorando» disse. «Cosa?» Un'ombra si alzò e si piegò su di lei. L'alba illuminò il volto di
Floria del Guiz. «Hai detto qualcosa?» «Ho detto che sto migliorando perché comincio a sentire il male.» Ash si accorse di essere senza fiato. Floria le portò la ciotola alle labbra e lei bevve riversando metà del contenuto sulle lenzuola. Ash udì un rumore bizzarro poi comprese che stavano bussando alla porta, che un attimo dopo si aprì prima ancora che Floria potesse alzarsi. Il nuovo arrivato teneva in mano una lanterna con il parafiamma perforato. Ash fece un respiro e sentì una fitta alla testa. Aprì lentamente gli occhi e fissò la porta. «Oh, sei tu» borbottò Ash, riconoscendo il nuovo arrivato. «Non so di cosa si possa lamentare la Sorella - questo fottuto convento è pieno di uomini.» «Sono un prete, figliola» le fece notare Godfrey Maximillian in tono mite. «Buon Dio, sono così malata?» «Non ora.» Floria le posò una mano sulla spalla. Ash soffocò un urlo. «Ieri ti sei sforzata troppo» aggiunse il chirurgo. «Cosa che non succederà oggi. Questa è la parte lunga e noiosa. La parte che non ti è mai piaciuta. La parte nella quale il capo cerca di alzarsi anche se non deve. Ricordi?» «Sì. Ricordo.» Ash fece un sorriso in risposta a quello del chirurgo. «Ma mi sto annoiando.» Il chirurgo socchiuse gli occhi e sul suo volto apparve un'espressione tale da indurre Ash a temere che se non fosse stata gravemente ferita avrebbe ricevuto un ceffone dietro le orecchie. «Ti ho portato un visitatore» le disse Godfrey. Il chirurgo lo fissò in cagnesco alzando un dito. «So quello che sto facendo. Lei è molto ansiosa di incontrare Ash, ma è arrivata al convento stamattina. Le ho detto che avrebbe potuto parlare con il capitano solo per pochi minuti.» Floria cominciò a parlare con il prete e ad esporre il suo scetticismo. La luce sempre più intensa illuminò il prete barbuto e l'uomo laconico che in realtà era una donna. Ash ascoltava. «Sono sempre io, Flo..., figliola. Un tempo credevi che avessi una certa abilità nella mia arte» disse Godfrey Maximillian. «Fare il prete non è un'arte,» borbottò il chirurgo «è una truffa ai danni dei creduloni. Va bene. Fa' entrare il visitatore.» Ash non fece nessun tentativo di alzarsi e Floria posò la lanterna a terra per non darle fastidio. Un corvo gracchiò fuori dalla finestra. Un tordo gli rispose seguito da un fringuello e nel volgere di pochi attimi il cinguettio
di una miriade di uccelli echeggiò nell'aria. Ash sentiva la testa che le pulsava dolorosamente. «Fottuti uccelli canterini!» si lamentò. «Capitano» disse la voce chiara di una donna. Ash riconobbe il suono prodotto dallo sfregamento delle piastre di un'armatura e il cigolio di una maglia di anelli metallici in movimento. Alzò gli occhi e vide una donna di circa trentacinque anni a fianco del letto. Indossava un'armatura bianca forgiata a Milano. Al suo fianco pendeva una spada dal pomello sferico e sotto il braccio teneva un elmo piumato. Era una figura dalla quale emanava una certa autorità. «Siediti» la invitò Ash, schiarendosi la gola. «Mi chiamo Onorata Rodiani, capitano 80 . Il tuo prete mi ha detto che non devo stancarti.» La donna si tolse i guanti dell'armatura e si avvicinò allo sgabello sull'altro lato del letto. Il dito medio e il mignolo della mano destra erano malandati, segno evidente che erano stati rotti e rimessi a posto più volte. La donna si sedette tenendo il busto eretto e la testa dritta in modo da far spuntare il mento dalla gorgiera e poterlo girare per controllare che il fodero della spada non raschiasse la parete della cella. Soddisfatta della posizione, si girò e sorrise. «Non mi perdo mai l'occasione di incontrare un'altra donna guerriera.» «Rodiani?» Ash socchiuse gli occhi malgrado il dolore alla testa. «Ho sentito parlare di te. Vieni da Castelleone. Eri una pittrice, vero?» La donna portò una mano al volto e Ash impiegò qualche attimo prima di capire che doveva parlare più forte perché la sua ospite aveva messo la mano a conca vicino all'orecchio. La guancia della condottiera era sporca di nero. Era diventata sorda a causa del fuoco delle artiglierie. «Una pittrice?» ripeté Ash. «Sì, prima di diventare mercenaria facevo la pittrice» confermò con un sorriso Onorata Rodiani. «Fu allora che uccisi il primo uomo. Ero a Cremona e stavo dipingendo un affresco per il Tiranno. Qualcuno cercò di stuprarmi. Dopo averlo ucciso decisi che mi piaceva di più combattere che dipingere.» Ash sorrise come faceva ogni volta che udiva una storia creata per essere 80
Onorata Rodiani è stata incorporata in questo testo in base alla convinzione che molto probabilmente le due donne dovevano essersi incontrare. Infatti, si sa che la Rodiani morì dopo una lunga carriera come mercenaria difendendo la propria città natale, Castelleone, nel 1472.
data in pasto alla gente. Non è così facile, pensò. I lineamenti del volto della mercenaria facevano capire che in vecchiaia sarebbero diventati cadenti. Sempre che tu ci arrivi, continuò a pensare Ash, mentre allungava una mano. «Posso vederlo?» «Sì.» Onorata Rodiani le passò l'elmo. Ash lo prese in mano e il solo sforzo di tenerlo sollevato le causò un forte dolore alla testa. Passò un dito sulle cinghie, i rivetti e sul contorno a T dell'apertura. «Ti piacciono questi? Io non sono mai riuscita a vedere niente! Vedo che gli hai fatto mettere dei rivetti a testa di rosa.» La donna carezzò il pomello della spada. «Mi piacciono i rivetti di ottone sull'elmo perché rimangono più lucidi.» Ash le restituì l'elmo. «E gli avambracci milanesi? Io ho sempre usato armature germaniche.» «Ti piacciono le armature gotiche?» «Riesco a muovere meglio le braccia. Per il resto sono tutte scanalature e spigoli - no. È un'armatura con troppi fronzoli.» Giunse uno sbuffo dal punto in cui Floria e Godfrey stavano parlando a bassa voce. Ash li fulminò con un'occhiata. «Vuoi vedere la mia spada?» le chiese Onorata Rodiani. «Vorrei poterti far vedere il mio cavallo da guerra, ma devo partire stamattina per la guerra in Francia.» La donna si alzò in piedi ed estrasse l'arma. Il sibilo del metallo che scivola fuori dal fodero echeggiò nella stanza. Ash riuscì a puntellarsi sui gomiti, si appoggiò con la schiena contro la testiera del letto e allungò le mani verso l'elsa ignorando il dolore che le faceva lacrimare gli occhi. Francia? pensò Ash. Ma sì, i Visigoti hanno più rifornimenti di quanto io abbia mai visto in vita mia e non si fermeranno certo adesso. Dopo gli Svizzeri e i Tedeschi... la Francia non è così male. Il faris si è equipaggiato per una crociata su vasta scala. «Quante lance hai?» Ash menò un fendente con l'arma e la lama lunga quasi un metro scivolò nell'aria come l'olio sull'acqua. Era come se fosse viva e la sensazione di tenere tra le mani un oggetto simile le dava la forza di resistere al dolore. «Venti» disse la donna. «Giusto?» «Vedo che l'hai fatta affilare.» «Sì, così non devo stare con il fiato sul collo dell'armaiolo per farlo lavorare bene!» «Ah, mai fidarsi degli armaioli.» Ash abbassò la lama e la fissò per tutta
la lunghezza con occhio esperto. Vide il volto sorridente di Godfrey Maximillian. «Cosa c'è?» «Niente. Niente...» «Allora procurami del vino! Non vorrai che pensino che siamo un branco di cafoni da queste parti?» Floria del Guiz prese sottobraccio il prete. «Andiamo a prendere il vino, capo» borbottò. «Torneremo in un batter d'occhio.» Ash ruotò la lama puntandola verso l'alto e lasciando che un raggio di sole si rifrangesse sull'acciaio tirato a lucido. Notò che vicino all'elsa un taglio della spada era leggermente incurvato. Avevano limato una tacca. Un uomo avrebbe potuto farsi la barba con quella spada. «Mi piace l'elsa» commentò Ash. «Cos'è? Filo di rame sopra il velluto?» «Filo d'oro.» Il prete disse qualcosa al chirurgo che Ash non riuscì a capire, ma vide Floria che scuoteva la testa sghignazzando. Abbassò la spada e la posò sulla mano sinistra. «Tende un po' verso il basso... anche a me piacciono le lame pesanti. Scommetto che è molto tagliente.» Alzò la testa fissando Floria e Godfrey in cagnesco. «Cosa c'è?» «Vi lasciamo sole, figliola. Madonna Rodiani» Godfrey fece un inchino. Alle sue spalle, Floria rideva per un motivo che Ash non riusciva a capire, ma che era certa fosse meglio sapere. Anche Godfrey le sorrideva. «Io e Florian ce ne andiamo subito.» Ash ebbe l'impressione che Floria stesse mormorando: «Tutti se ne andrebbero! Mio Dio, queste due potrebbero annoiare l'intera Europa...» «Voi» li rimproverò Ash «state interrompendo una discussione tra professionisti. Sparite! E mentre andate a prendere il vino portate anche qualcosa da mangiare. Diavolo, sembra che non vi ricordiate più che sono ferita.» Era bellissimo poter dimenticare l'esercito al confine, l'incubo vissuto a Basilea anche solo per qualche minuto. «Non si può combattere la battaglia nella tua testa ogni ora del giorno, o si rischia di non poter vincere quando è il momento.» Ash rise e decise di rimandare ogni decisione. «Rimani per colazione, Madonna Onorata? Mentre mangiamo vorrei un tuo parere su una cosa che ho letto sul libro di Vegezio. Egli dice che è necessario affondare la spada perché cinquanta centimetri di lama nello stomaco sono sempre fatali, ma il tuo uomo non cade immediatamente e
ha il tempo di ucciderti. Io uso spesso i fendenti, che sono più lenti, è vero, ma staccano di netto la testa e di solito non ho più problemi con l'avversario. Tu cosa preferisci?» Non aveva paura delle ferite. Sebbene sapesse di gente che era andata in giro con una ferita alla testa per giorni, per poi cadere morta senza nessuna ragione apparente (malgrado il medico li avesse curati), e pur avendo subito la perdita di due denti posteriori, Ash giunse alla conclusione che non sarebbe morta quel giorno e fece di tutto per dimenticare la ferita. Era solo una delle tante. Questo la lasciò senza nulla a cui pensare. Ash posò i gomiti sul davanzale della finestra osservando la confusione che regnava in cortile nel giorno dedicato al bucato. Il puzzo dell'aro le riempì le narici dandole una sensazione di pace che la fece sorridere mesta. Qualcuno entrò nella cella, ma Ash non si girò perché aveva riconosciuto il passo. Godfrey Maximillian si avvicinò alla finestra. Notò che stava guardando verso l'alto con aria riflessiva proprio come aveva fatto Florian, Roberto e la piccola Margaret. Aveva le guance scottate. «Flori... Florian dice che stai abbastanza bene per parlare di lavoro.» «Lo stai già facendo! Lei lo fa già, vero? È bello sentirlo dire da lei» disse Ash. Un passero le atterrò sul palmo e cominciò a mangiare le briciole arruffando le piume e fissandola al tempo stesso con gli occhi privi di pupille. «Suppongo che abbiamo rotto de facto il contratto con i Visigoti» esordì Ash. «Con il suo comportamento il faris ha annullato ogni accordo che aveva stipulato con me. Credo che sceglierò di stare con chi rimarrà neutrale.» «Vorrei che fosse tanto semplice» commentò Godfrey. Il becco duro del passero le pungolava il palmo. Ash alzò la testa per fissare il prete. «So che non basterà tenersi fuori dalla mischia. I Visigoti stanno marciando verso nord.» «Sono arrivati fino ad Auxonne.» Godfrey scrollò le spalle. «Ho le mie fonti. Noi siamo passati da Auxonne quando siamo scappati da Basilea. È a circa una settantina di chilometri da qui.» «Settanta chilometri!» La mano di Ash fu scossa da un tremito e il passero si lanciò in volo volteggiando sopra il cortile pieno di donne. Le voci delle suore e lo sciabordio dell'acqua nelle tinozze giungeva fino alla stanza.
«Ciò... mi ricorda che devo fare qualcosa. La domanda è: cosa? Prima di tutto devo pensare alla compagnia. Devo rimettere in riga i ragazzi...» Un'ombra passò sul tetto d'ardesia. Ash alzò gli occhi e vide un martin pescatore. Oltre le mura del convento e i campi vedeva i tetti bianchi e azzurri della città illuminati dal sole pomeridiano. «Ti devo chiedere una cosa, Godfrey. Tu sei il mio dotto 81 . Puoi prenderla come una confessione. Posso guidarli in combattimento se non posso più fidarmi della mia voce?» Uno sguardo all'espressione preoccupata del prete era più che sufficiente. «Ah, sì» Ash annuì. «Il faris ha una macchina da guerra, una machina rei militaris. Ho visto che le parlava e dovunque fosse, Cartagine o nelle vicinanze, non era nello stesso posto dove si trovava lei. Ma lei la sentiva e... anch'io la sentivo. È la mia voce, Godfrey. È il Leone.» Aveva la voce salda, ma rischiava di scoppiare in lacrime da un momento all'altro. «Figliola!» Il prete la prese per le spalle. «Oh, mia cara figliola!» «Posso sopportarlo. Fu un miracolo vero e proprio, la Bestia era vera, ma i bambini immaginano molte cose. Forse non ero neanche presente, e ho sentito gli uomini che ne parlavano. Forse ho inventato di aver visto il leone quando ho cominciato a sentire le voci.» Ash si liberò dalla presa. «I Visigoti staranno più attenti, adesso. Prima non avevano nessun motivo di pensare che qualcuno potesse usare la macchina. Adesso... potrebbero essere in grado di impedirmi di usarla. Potrebbero farla mentire. Dirmi di fare la cosa sbagliata e farci uccidere tutti...» «Cristo sull'Albero!» esclamò Godfrey, sconvolto. «È tutta la mattina che ci penso.» Ash sorrise, non le rimaneva altro da fare per cercare di tirarsi su. «Anche tu capisci il problema.» «Capisco che sarebbe saggio non dire niente a nessuno. Quanto mi hai detto è Sotto l'Albero.» Godfrey fece il segno della croce. «Gli uomini al campo sono agitati. Il morale può crescere o crollare, non so. Puoi combattere senza l'aiuto della voce, figliola?» Il sole si rifrangeva contro le mura del convento. Una ventata d'aria calda portò l'odore del timo, del rosmarino, del cerfoglio e dell'aro dall'orto officinale. Ash fissò il prete con sguardo inespressivo. «Ho sempre saputo che prima o poi avrei dovuto scoprirlo. Ecco perché 81
Prete: la maggior parte delle persone che avevano studiato erano preti, allora.
durante la battaglia di Tewkesbury non feci mai ricorso alla voce per tutto il giorno. Se dovevo guidare degli uomini in un combattimento dove potevano venire uccisi, non volevo che dipendesse da qualche dannato santo o da un qualunque Leone-nato-da-una-Vergine, volevo che dipendesse da me e basta.» Dalla bocca di Godfrey scaturì un suono soffocato. Ash, interdetta, fissò il prete barbuto. L'espressione dell'uomo era in bilico tra il riso e un'esplosione di pianto. «Cristo e la Santa Madre!» esclamò il prete. «Cosa c'è, Godfrey?» «Non volevi che dipendesse da qualche 'dannato santo'!» scoppiò in una risata tanto fragorosa da far alzare la testa ad alcune suore inducendole a osservare la finestra con gli occhi socchiusi a causa del sole. «Non vedo cosa ci sia...» «No» la interruppe Godfrey, asciugandosi gli occhi. «Credo che tu non capisca proprio.» Le sorrise, caloroso. «I miracoli non sono abbastanza per te. Tu devi essere certa di poterli fare con le tue mani.» «Sì, quando sono responsabile della vita dei miei uomini.» Ash esitò. «È successo cinque o sei anni fa. Ora non so cosa potrei fare senza la voce. Tutto quello che so è che non mi posso più fidare di lei.» «Ash.» Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo serio del prete. Il religioso indicò la città. «Il duca Carlo è a Digione. Si è stabilito là con la sua corte da quando si è ritirato da Neuss.» «Me l'ha detto anche Florian. Credevo che fosse andato più a nord. A Bruges.» «Il duca è qui insieme alla corte, all'esercito.» Godfrey le posò una mano sulla spalla. «E altri mercenari.» Ash si rese conto che quella che aveva preso come una continuazione delle mura di Digione non era altro che un vastissimo accampamento. Centinaia di tende. Migliaia. Il bagliore delle armi e delle armature. Le attività degli uomini, i cavalli, gli stendardi troppo distanti per capire a chi appartenessero. Ash suppose che ci fossero le compagnie di Rossano, di Monforte e i soldati del duca Carlo sotto il comando di Olivier de la Marche. «Là fuori tu hai ottocento uomini che appartengono al Leone Azzurro, per non parlare dei carri. Gli uomini non parlano d'altro» aggiunse il prete, torvo. «Sanno tutti che hai avuto un colloquio con il faris. Di conseguenza
ci sono molte persone che sono ansiose di parlare con te una volta che ti sarai ripresa e sarai uscita di qua.» «Merda. Merda!» «E non so quanto tempo ancora saranno disposte ad aspettare.» IV Il mattino dopo il calore sembrava ammantare gli alberi con una foschia bluastra. Il cielo aveva un colorito grigio polvere. Ash camminava con le maniche del vestito arrotolate, lungo la strada bordata da margherite e piante di prezzemolo che portava al suo campo, un chilometro circa dal convento. Si avvicinò di soppiatto passando attraverso un boschetto di betulle e percorrendo la zona in cui erano state impastoiate le capre e le vacche della compagnia. Ash grattò uno dei pavesi di vimini attaccati a un carro non lontano dal cancello principale e prese nota mentalmente di ricordare a Geraint che la distanza tra un picchetto e l'altra era sbagliata. «Non dovrei essere in grado di farlo...» Fissò il campo oltre i carri, i larghi corridoi tra le tende per impedire il dilagare degli incendi e gli uomini del Leone, per lo più intenti a mangiare il porridge intorno ai fuochi dalle loro scodelle di legno. Va bene, pensò, cos'è cambiato? Cosa c'è di diverso? Chi... «Ash!» Ash inclinò la testa all'indietro facendosi ombra con una mano per vedere meglio chi si trovava sul carro. Il caldo le fece arricciare la pelle delle guance e del naso. «Bianche? Sei tu?» Due gambe bianche balzarono giù dal carro e la donna abbracciò Ash con le lacrime agli occhi. L'impeto dell'ex prostituta dai capelli biondi fu tale da spingerla indietro. «Whoa! Tranquilla, ragazza! Sono tornata, ma non vorrai uccidermi prima che sia entrata.» «Merda!» esclamò Bianche felice. Il sole evidenziava lo sporco delle guance. «Pensavamo che stessi per morire. Pensavano che avremmo dovuto continuare a sopportare il Gallese bastardo. Henri! Jan-Jacob! Venite!» Ash si issò oltre la barra del carro e saltò sulla paglia che ricopriva il terreno del campo non lontano dalle tende dei cavalieri, poi si raddrizzò ritrovandosi tra le braccia di Henri Brant e Jan-Jacob Clovet: quest'ultimo cercava di allacciarsi i pantaloni con una mano mentre con l'altra le dava
delle pacche sulla schiena. Baldina, la figlia di Bianche, una donna dai capelli rossi, si abbassò la gonna con calma e si alzò dalla paglia sopra la quale stava occupandosi dei due soldati. «Sei tornata capo?» le chiese con voce roca. Ash scompigliò i capelli rosso fuoco della prostituta. «No, sto per sposare il duca Carlo di Borgogna. Dopo passeremo tutta la vita a mangiare fino a scoppiare e a scopare su materassi di piume d'oca.» «È giusto» approvò Baldina, divertita. «Ti renderemo vedova, così potrai farlo. Sempre che quel cazzo moscio che ti sei sposata sia ancora vivo.» Ash non riuscì a rispondere perché Euen Huw l'abbracciò ricoprendola di una fiumana di complimenti e lamentele in gallese. Nel volgere di qualche attimo il gruppo intorno a lei cominciò a farsi sempre più numeroso. Musicisti, lavandaie, prostitute, stallieri, cuochi e arcieri, tutti volevano parlarle e pian piano cominciarono a portarla verso il centro del campo come era nelle sue intenzioni. Thomas Rochester le buttò le braccia al collo con le lacrime agli occhi, imitato da metà degli inglesi. «I soliti rosbif sentimentali.» Ash gli batté la schiena. Josse e Michael si strinsero a lei. Quindici minuti dopo stava stringendo la mano di Joscelyn van Mander, malgrado il dolore alla testa l'avesse quasi accecata. Anche il Fiammingo aveva gli occhi lucidi. «Sia lode a Cristo!» bofonchiò il lanciere. Si guardò intorno per osservare il gruppo sempre più numeroso di soldati che cominciavano a sgomitare per raggiungere Ash. «Sei viva! Sia lode a Cristo!» «Non per molto» disse Ash sotto voce. Cercò di liberare le mani. Posò un braccio sulla spalla di Euen Huw e strinse la mano di Baldina che le stava tamponando il volto con un lembo della gonna. «Ho parlato in favore della compagnia con il visconte, abbiamo avuto dei problemi a fare entrare i cavalieri in città» le disse Joscelyn van Mander in tono confidenziale e a voce bassa. Oh, pensò Ash, sei andato a parlare in favore della compagnia? Ma senti questo. «Sistemerò tutto io» disse Ash, illuminandosi in volto. Sorrise alle persone che la circondavano. «È il capo!» «È tornata!»
«Allora - dov'è Geraint-il-Gallese-bastardo?» indagò Ash, divertita. Geraint ab Morgan si fece spazio tra la folla in mezzo a una pioggia di risate. Il robusto Gallese si stava infilando la maglia nel dietro dei pantaloni e quando vide Ash nel mezzo di una folla di ammiratori deliranti i suoi occhi azzurri iniettati di sangue ebbero un guizzo. Geraint le cadde davanti in ginocchio, allargando le braccia. «È tutto tuo, capo!» Ash sorrise nel sentire la venatura di sollievo nella voce dell'uomo. Il Gallese era davvero contento di vederla. «Sei sicuro di non volere il mio lavoro?» Sapeva bene cosa avrebbe risposto l'uomo di fronte a lei. Ash aveva deciso di entrare dal campo senza passare dal cancello centrale perché voleva farsi vedere per prima dal personale non militare che componeva la sua compagnia, persone che non erano interessate in alcun modo alle lotte per il comando. La gioia genuina di quelle persone si era trasmessa immediatamente anche agli altri uomini e ai cavalieri rimanenti ai quali, visto il voltafaccia repentino di van Mander, non restava altro che dimenticare le ambizioni che avevano coltivato, le promozioni e le degradazioni non autorizzate ed esultare per l'arrivo del vero condottiero. «Riprenditi il tuo fottuto lavoro, capo» disse Geraint parlando in gallese. «Portatrice di luce!» urlò qualcuno alle sue spalle. «Leonessa!» aggiunse qualcun altro. Ash pensò di aver riconosciuto la voce di Jan Jacob Clovet. «Ascoltate!» Ash alzò entrambe le mani per ottenere silenzio. I servizi del campo potevano aspettare per un'ora. «Sono qua, sono tornata e sto per andare alla cappella. Chiunque voglia ringraziare Dio per essere stato liberato dall'oscurità mi segua!» Non riuscì a farsi sentire per un minuto abbondante. Improvvisamente si fermò, diede una pacca sulla schiena di Euen Huw e indicò con l'altra mano. Almeno quattrocento persone si diressero verso il cancello principale del campo guidate da Ash che rispondeva alle domande, chiedeva notizie e si congratulava con i feriti che stavano guarendo. Ash camminava su per la collina seguita dai suoi uomini, facendo loro strada verso la cappella dedicata al culto di Mitra82 che si trovava ovvia82
Sono del tutto d'accordo con la supposizione di Vaughan Davies che si trova nel suo libro del 1939, quindi non mi resta altro che citarlo direttamente: 'Il grandissimo numero di religioni praticate nel quindicesimo secolo non ha nessuna somiglianza con la pratica del Cristianesimo moderno. Un'epoca più stabile, un'epoca meno bisognosa di
mente al di fuori dei territori conventuali. Le chiome rigogliose degli alberi splendevano al sole. Ash fece un lungo respiro rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse rimasta stupita dal caldo e dalla luce. Abbassò lo sguardo e fissò l'entrata della cappella davanti alla quale si trovavano Floria, Godfrey, Angelotti e Robert: fece un cenno lievissimo con il capo e gli ufficiali si rilassarono. Floria le andò incontro insieme a Godfrey. Angelotti si inchinò e Robert si fece da parte. Ash lanciò un'occhiata interrogativa ai due uomini. C'erano anche dei preti di fronte all'entrata del piccolo tempio. Ash prese Floria e Godfrey sotto braccio. I soldati alle sue spalle cominciarono a inginocchiarsi posando le armi e togliendosi i cappelli e gli elmi, ben sapendo che non sarebbero potuti entrare in quel luogo sacro. Tutti ridevano e parlavano ad alta voce. Dei giovani preti del culto di Mitra si allontanarono dal tempio e si diressero verso la folla in modo da potere officiare un rito anche per loro. Ash entrò nel tempio sempre a braccetto di Godfrey, abbassando la testa per non picchiare contro l'architrave e passando dall'odore di foresta secca che regnava all'esterno a quello di terra umida che permeava il corridoio. «Allora? Cosa ti hanno detto a corte? Il duca vuole combattere?» «Ho sentito delle voci, ma niente di affidabile. Sicuramente non può ignorare un esercito a settanta chilometri dai confini del suo regno, ma... Ma non ho mai visto tanta magnificenza!» esclamò Godfrey. «Devono esserci almeno trecento libri nella sua biblioteca!» «Oh, libri. Certo, certo.» Ash strinse la mano intorno al braccio del prete mentre scendeva l'ultimo gradino ed entrava nella cappella di Mitra. I raggi del sole penetravano tra le travi creando i più strani giochi di luce e ombra all'interno della caverna. Il pavimento a mosaico riproduceva i Camminatori Orgogliosi e Le Piogge d'Aprile. «Cosa pensi che me ne possa imporprotezione divina della nostra, può permettersi delle religioni caricatura che noi definiremmo tranquillamente blasfeme. Queste rappresentazioni scurrili (che si trovano solo nel manoscritto dell'Angelotti) sono pura satira degna di Rabelais e devono essere considerate alla stessa stregua dei racconti nei quali gli Ebrei venivano descritti come avvelenatori di pozzi e rapitori di bambini. Tutto il brano, con i suoi riferimenti, è una satira contro il papato che intorno al 1470 non era certo un esempio di rettitudine; ed è un sentore di quello che nel secolo a seguire diventerà la Riforma.'
tare dei libri del duca Carlo, Godfrey?» «No, non credo che te ne possa importare qualcosa, almeno non al momento.» Inclinò la testa di lato, sorridendo. «Ma ha i salteri più belli che abbia mai visto. Uno è illustrato niente meno che da Rogier van der Weyden. Ha anche una copia della Chanson du Geste, bambina - Tristano, Artù. Jacques de Lalaing...» «Oh, ma non mi dire! Davvero?» Godfrey rise. «Davvero» rispose imitando il tono di Ash. «Ecco cosa non va nella guerra» disse Ash, mentre si inginocchiavano davanti all'altare del Toro. «Eh? Cosa c'è che non va? Jacques de Lalaing è la guerra?» mormorò Godfrey, interdetto. «Buon Dio, figliola, quell'uomo è morto da trent'anni.» «No.» Ash gli diede un buffetto amichevole. Il prete che si trovava sull'altare la gratificò di un'occhiataccia 83 . Si rese conto di essere più entusiasta del suo ritorno alla compagnia di quanto avesse previsto e abbassò la voce accorgendosi del brusio provocato dai soldati alle sue spalle. «Voglio dire che quello che gli è successo è la cosa che non va nella guerra. Un cavaliere perfetto, ha vinto tutti i tornei per anni e ha preso parte a tutte le battaglie più importanti. Un vero guerriero, un cavaliere. Difese un guado armato di lancia 84 e cosa gli successe?» Godfrey dovette fare uno sforzo di memoria. «È stato ucciso durante uno degli assedi di Ghent, giusto?» «Già, da una palla di cannone.» La scodella piena di sangue cominciò a passare tra i presenti. Ash bevve, chinò il capo per ricevere la benedizione e recitò la frase di rito: «Ringrazio per la mia guarigione e dedicherò la mia vita a continuare la battaglia della Luce contro l'Oscurità.» A mano a mano che la scodella passava il numero di persone presenti nella cappella continuava ad aumentare. «Capisci quello che voglio dire, Godfrey. Un esempio di virtù cavalleresca e cosa gli è successo? Qualche dannato artigliere gli ha staccato la testa dal collo con una cannonata!» Godfrey Maximillian l'aiutò ad alzarsi e Ash accettò di buon grado. «Non che abbia mai pensato che la guerra abbia un senso» aggiunse, secca. «Perché Robert e Angelotti mi evitano, Godfrey?» 83
Le donne e i soldati semplici non avevano permesso di essere presenti ai misteri mitraici. 84 Anno Domini 1450.
«Davvero?» Ash si trattenne dal rispondere male.. Conclusa la benedizione attese che i ragazzini che indossavano le tuniche bianche e verdi finissero di cantare, quindi uscì dal tempio in mezzo a due ali di soldati e si incamminò per il bosco scacciando gli insetti con gesti decisi delle mani. Tutti i suoi uomini volevano parlare con lei. «I cavalli hanno bisogno di movimento!» disse il maniscalco. «Venti carcasse di maiale e ne devo scartare nove» si lamentò Wat Rodway. «Gli arcieri di Huw si sono attaccati con i miei uomini!» le disse Carracci, un sergente italiano. «Dannati artiglieri italiani,» sbottò Euen Huw «volevano fregare i miei ragazzi!» «Ho perso metà della mia polvere a Basilea» si lagnò una delle donne archibugiere. Ash si fermò, rimanendo immobile come una statua. «Aspettate.» Bertrand, il suo nuovo paggio, le passò il cappello di velluto. Sentì lo sbuffare dei cavalli e guardò nella direzione dalla quale era giunto il suono. Oltre gli alberi e i rovi qualcuno stava strigliando dei cavalli da guerra. «Dopo» ordinò. Un gruppo di uomini erano in piedi all'ombra degli alberi. Non riusciva a capire bene a quale casata appartenessero perché scorgeva appena il simbolo riprodotto sulla bandiera che pendeva inerte contro l'asta. Socchiuse gli occhi e riuscì a distinguere un motivo a scacchi rossi e gialli bordati di bianco, un muggine85 e, da quella distanza non ne era molto sicura, delle croci o delle daghe. Le divise dei soldati erano bianche e rosso porpora. Una mano la prese sotto un braccio e la allontanò dal gruppo che le si era formato intorno guidandola per parecchi metri lungo il sentiero. «Ho trovato un contratto» le disse Robert Anselm, tenendo gli occhi bassi. «Adesso incontrerai il tuo nuovo capo.» «Un nuovo capo?» Ash si bloccò nuovamente sul posto. Non aveva abbastanza forza per fermare Anselm, ma l'inglese le lasciò andare il braccio e le cadde in ginocchio davanti. Un secondo uomo si inginocchiò sul tappeto di foglie secche: era Henri Brant. Antonio Angelotti lo imitò senza battere ciglio. Ash fissò l'addetto 85
Non si tratta del pesce. In araldica il muggine è una stella a cinque punte.
ai rifornimenti, il suo secondo in comando e il mastro artigliere. «Scusate un attimo, il nuovo cosa? E da quando?» domandò, portando le mani ai fianchi. Anselm e Angelotti si scambiarono una rapida occhiata. «Da due giorni?» azzardò Robert Anselm. «È un nuovo datore di lavoro» esordì Henri Brant. «Nessuno voleva farmi credito a Digione. L'esercito al confine ha fatto salire i prezzi. E non posso approvvigionare i cavalli e gli uomini con quello che ci ha lasciato Federico!» Ash fissò Henri e notò che tendeva a piegarsi leggermente verso destra quando si inginocchiava. «Alzati, idiota. Vorresti dirmi che nessun mercante voleva darti il cibo se la compagnia non aveva un regolare contratto con qualcuno?» Henri Brant si alzò annuendo. Proprio mentre la notizia che l'ultimo nostro datore di lavoro erano i Visigoti... Chiunque sia stato, pensò Ash, non ha perso tempo a fare la sua mossa. Ash batté il tacco dello stivale sulle foglie. «Roberto.» I due uomini inginocchiati di fronte a lei non avrebbero potuto essere più dissimili: Anselm indossava ancora il farsetto di lana blu e aveva il volto non rasato; Angelotti aveva i capelli biondi che gli ricadevano sulle spalle e la maglia senza neanche una macchia. L'unica cosa che li accomunava in quel momento ero lo sguardo carico d'apprensione. «Mi hai detto di prendere il comando della compagnia e l'ho fatto» si giustificò Robert, scrollando le spalle. «Abbiamo bisogno di soldi e questo è un buon contratto...» «Con un uomo che già conosciamo.» Stranamente Angelotti cominciò a incespicare sulle parole. «Che Roberto conosce, conosceva, cioè... voglio dire... conosceva il padre, ecco...» «Cristo, non vorrai dirmi che è un altro dei tuoi maledetti goddams86 !» Ash lo fulminò con un'occhiata. «Quello è un posto dove non voglio proprio tornare! Solo pioggia e barbari. Questa volta ti inchiodo le orecchie al palo, Roberto.» «È qua. Meglio se lo incontri.» Robert Anselm si alzò districando il fodero da un cespuglio di rovi. Angelotti si drizzò a sua volta. 86
Insieme a rosbif, goddam era un'altro dei soprannomi affibbiati agli inglesi. Si suppone che a quel tempo la gente comune fosse molto sboccata.
«È uno dei tuoi fottuti, Lancaster, vero? Oh, dolce Cristo! E alla fine di tutto vuoi che vada a combattere re Edoardo d'Inghilterra per buttarlo giù dal trono. Non credo proprio.» Ash si rese conto di un'implicazione legata a quel contratto e improvvisamente si interruppe. Se accettassi mi troverei a centinaia di leghe di distanza dal faris e dal suo esercito, pensò. Senza contare che in mezzo c'è anche un bel tratto di Mare del Nord. Forse c'è del buono in tutto questo. Se vado in Inghilterra il peggio che mi può capitare è morire sul campo di battaglia. Chi lo sa cosa potrebbero farmi a Cartagine se scoprissero mai che sono in grado di sentire - no! «Chi sono quelli in bianco e rosso porpora?» borbottò, iniziando al tempo stesso a cercare nel suo archivio mentale per ricordarsi chi fossero i Lancaster esiliati dagli York. Robert Anselm tossì. «John de Vere. Il conte di Oxford.» Ash prese la spada dalle mani di Bertrand e la assicurò al fianco con fare assente. Il sole si screziò sul cuoio consumato del fodero. Il suo farsetto verde e argento aveva sempre un bell'aspetto malgrado non fosse stato lavato e spazzolato da quasi una settimana. «Il cazzo di conte della fottuta Oxford, sembra che io valga dieci scellini all'anno. Grazie, Robert. Grazie.» Scosse i fianchi per sistemare la spada e fissò intensamente il suo luogotenente. «Tu hai combattuto per la sua casata, giusto?» «Per suo padre e per suo fratello maggiore, poi con lui dal '71» confermò Robert, a disagio. «Ho preso quello che c'era. Dice di aver bisogno di una scorta.» Ash cercò Godfrey con gli occhi e lo vide impegnato a parlare con un soldato del Conte di Oxford. Non era il momento adatto per avvicinarsi al prete e chiedergli come mai un Lancaster si trovasse alla corte di Carlo di Borgogna, cosa volesse da un contingente mercenario armato di tutto punto e cosa ne pensasse dell'esercito visigoto a pochi chilometri da loro! «Suo padre, il tuo vecchio capo, è morto in battaglia, giusto?» «No. Suo padre e Sir Aubrey - lo zio - sono stati giustiziati.» «Evviva» esultò Ash, torva. «Adesso vengo assoldata da un nobile che ha i suoi beni sotto sequestro, perché è così, vero?» «Sta arrivando, Madonna» si intromise Antonio Angelotti. Drizzò le spalle senza neanche rendersene conto. Gli insetti continuavano a ronzare tra gli alberi, infastidendola. Un cavallo sbuffò. Il tintinnio delle maglie di anelli metallici sotto le livree dei de Vere annunciò l'avvicinarsi dei soldati. Molti dei volti erano scottati dal sole. Ash sospettò che
la scorta fosse composta da uomini che ultimamente avevano dato dei problemi a qualche sergente. Non riusciva a vedere bene l'uomo al centro dello schieramento, tuttavia si tolse il cappello e si inginocchiò imitata dai suoi ufficiali, mentre la scorta si apriva per far passare il nobile. «Mio Conte» disse Ash. Era consapevole che tutti i suoi uomini riuniti fuori della cappella la stavano osservando ed era contenta che non potessero sentirla. Il terreno era duro e provò una fitta alla testa. «Signora, capitano» disse una voce dal marcato accento inglese. Ash alzò lo sguardo. L'uomo poteva avere un'età compresa tra i trenta e i cinquantacinque anni: aveva dei bei capelli, gli occhi azzurri e il volto di chi era abituato a stare all'aperto. Indossava alti stivali da cavallerizzo che quasi toccavano i lembi inferiori di uno sbiadito farsetto di lino. Si avvicinò a lei allungando una mano. Aveva i polsi gracili. Il conte la sollevò senza alcuno sforzo, facendo svanire tutti i dubbi che Ash poteva avere sulla sua forza fisica. Ash si sfregò le mani per pulirle e gratificò il nobile con un'occhiata sagace. Il panciotto era di fattura italiana, non così barbarico come aveva temuto e sembrava che fosse stato indossato per tutto il giorno durante la caccia. Al fianco del nobile pendeva una daga. Ash si trattenne dall'esprimere ad alta voce il suo parere sulla pazzia degli Inglesi. «Siamo al vostro comando, mio Conte» disse Ash, evitando di aggiungere: 'almeno così mi hanno detto.' «Vi siete ripresa, signora?» «Sì, mio signore.» «I vostri ufficiali mi hanno parlato della forza della vostra compagnia. Voglio vedere come la comandate.» Il conte di Oxford si girò e si diresse verso il cavallo. Ash borbottò un rapido comando ad Anselm, che si diresse rapidamente verso il campo, mentre lei seguiva de Vere. Il fatto che il conte non le avesse detto di seguirlo e che lei avesse ubbidito lo stesso perché così doveva essere la divertì e la impressionò allo stesso tempo. Ash trovò il suo paggio con il cavallo al limitare del bosco. Montò in sella senza problemi e dovette trattenere Godluc dal lanciarsi al galoppo, facendolo invece affiancare al castrato del conte di Oxford. «Siete una donna piuttosto insolita» disse il nobile e sorrise. Gli mancava un dente laterale. Sui polsi spiccavano delle cicatrici che sparivano sotto il polsino della manica e sulla guancia si intravedeva uno sfregio provocato da una freccia. «I vostri uomini mi sembrano molto fedeli a voi. Siete una vergine pro-
stituta?» Ash rischiò di scoppiare a ridere nel sentire la traduzione inglese del termine pulzella. «Non vedo come la cosa vi possa interessare, sir» rispose, divertita. «Avete ragione.» Si sporse dalla sella e le offrì nuovamente la mano. «John de Vere. Potete chiamarmi 'Vostra Grazia' o 'Mio Lord'.» Maniere da campo e non da corte, pensò Ash. Bene. È sempre meglio quando uno di questi sa qualcosa della vita militare. Devo aver incontrato il padre di questo tizio perché il suo volto non mi è nuovo. Gli strinse la mano. La presa era forte. Rimandiamo le domande a dopo, continuò a pensare Ash. Finché non avrò il tempo di pensare alle risposte. «Cosa volete che faccia con i miei uomini, Vostra Grazia?» «Prima di tutto, sono qui per fare una richiesta a Carlo di Borgogna. Se egli dovesse rifiutarla, voi sarete la mia scorta fino ai confini e in Inghilterra. Vi pagherò una volta arrivati a Londra.» «Quante probabilità ci sono di un rifiuto?» chiese Ash, pensierosa. «Vostra Grazia vuole che il Leone Azzurro combatta contro tutto l'esercito burgundo? Forse posso condurvi fino al porto sulla Manica, ma non voglio perdere tutti i miei uomini nell'impresa, cosa che sicuramente succederebbe.» John de Vere si girò verso di lei. Il grosso cavallo del nobile aveva un che di fiero e lo sguardo spiritato, ma il suo padrone lo guidava con piglio sicuro. Per Ash quelli erano indizi che le permisero di classificare immediatamente l'uomo al suo fianco: un soldato. «Sono qui per cercare un pretendente Lancaster al trono d'Inghilterra» spiegò, quasi timoroso. «Henry, sempre sia lode alla sua memoria, è stato assassinato e suo figlio è morto sul campo di Tewksebury 87 . Gli York non sono così sicuri del trono che hanno conquistato. Un erede legittimo potrebbe detronizzarli.» Ash aveva preso parte alle guerre dinastiche dei rosbif cinque anni prima e da allora non aveva saputo quasi più nulla di quello che succedeva tra le casate dei nobili d'oltre Manica. Lanciò un'occhiata piuttosto confusa a de Vere. 87
4 maggio 1471: il principe Edoardo, l'unico figlio ed erede di re Enrico VI, muore in battaglia contro Edoardo di York (in seguito re Edoardo IV di Inghilterra) sul campo di Tewkesbury. Enrico VI morì pochissimo tempo dopo in circostanze molto sospette.
«Sì. So che il duca Carlo ha sposato una delle sorelle di Edoardo di York» disse, tranquilla. «Edoardo di York che al momento è Edoardo quarto, re d'Inghilterra, per volontà divina. «Re usurpatore» si affrettò ad aggiungere con voce colma d'autorità. «Quindi, se ho capito bene, voi siete qui, alla corte di un principe che ha sposato la sorella dell'attuale re d'Inghilterra, una York, per cercare un pretendente Lancaster al trono d'Inghilterra, che abbia voglia di invadere l'Inghilterra e combattere per riprendersi ciò che gli spetta?» Ash si inclinò leggermente all'indietro per frenare l'impeto di Godluc, che avrebbe voluto lanciarsi al galoppo sulla distesa d'erba verde nella quale stavano cavalcando. Per un minuto non fissò il conte di Oxford e quando tornò a farlo non era più sicura che l'uomo stesse ancora sorridendo. «Ricordatemi di rinegoziare il nostro contratto se si dovesse arrivare a tanto, Vostra Grazia. Sono piuttosto sicura che Robert Anselm non abbia firmato anche per questo.» Anche se non desidera altro, pensò. Dannazione, Robert! Non ha mai smesso di pensare alle guerre dinastiche del suo paese, ma non mi trascinerà in quel casino! Non che non voglia essere lontana miglia e miglia da qui... «Non pensate al mio progetto come a una follia, capitano» disse il conte di Oxford. «Altrimenti comincerò anch'io a credere che sia una follia assumere una compagnia mercenaria guidata da una donna in aggiunta alle mie truppe regolari.» Ash cominciò a pensare che sotto quella scorza di soldato inglese, John de Vere, conte di Oxford, potesse essere incauto quanto un cavaliere di quindici anni alla prima campagna. E pazzo come un cane con le palle in fiamme, concluse. Robert, Angelotti, siete nei guai fino al collo. «Voi venite da sud, Capitano, ed eravate al servizio del comandate visigoto. Cosa potete dirmi? Sempre rispettando i termini della vostra condotta!» Eccola qua, pensò Ash. Ed è solo la prima. Questa sì che è una domanda interessante, non solo se a rivolgerla è un conte inglese pazzo che si dà il caso sia il mio datore di lavoro... «Allora?» chiese de Vere. Ash fissò la scorta guidata da Thomas Rochester che reggeva lo stendardo della compagnia. I suoi uomini si erano mischiati con quelli del conte.
Il resto della sua compagnia, arcieri, ronconieri e cavalieri, si stava dirigendo al campo in compagnia degli ufficiali. «Sì, Vostra Grazia.» Ash socchiuse gli occhi e fissò la colonna alle loro spalle, che da quel punto d'osservazione sembrava immobile: una foresta di alabarde, lance che ondeggiavano dolcemente e una moltitudine di elmi d'acciaio e lame di ronconi che brillavano al sole burgundo. «Se desiderate ispezionare la mia compagnia ho del vino nella mia tenda. Penserò a cosa posso dirvi senza tradire il mio ex datore di lavoro.» Esitò per un attimo, quindi chiese: «Cosa volete sapere?» Il nobile non sembrò offendersi e lei si era comportata in maniera abbastanza irrispettosa da provocarlo. Adesso vediamo dove vuole arrivare, pensò Ash, e attese tenendo le redini tra le mani e il corpo rilassato per seguire l'andatura ondeggiante di Godluc. «Dichiaro che da quando sono arrivato qua ho dovuto cambiare i miei piani.» John de Vere era passato a parlare il francese borgognone. «Con questa Crociata a sud che si sta srotolando su tutta la Cristianità come un tappeto e il mio signore principe di Borgogna e il re di Francia che litigano invece di unirsi, ho pensato che la causa dei Lancaster può attendere, per ora. A cosa servirebbe avere un Lancaster per poi ritrovarsi con delle galere nere che risalgono il Tamigi?» Ash fece in modo di far rallentare e arretrare la sua cavalcatura per poter osservare il volto dell'Inglese. Il nobile aveva socchiuso gli occhi per proteggerli dal sole, ma non stava fissando né lei né la rigogliosa campagna che li circondava. «Questi Visigoti sono in gamba» disse il conte di Oxford. «Disuniti come siamo ci conquisteranno sicuramente, ma se anche dovessimo unirci sarebbe lo stesso una guerra bruttissima. Senza contare i Turchi a est che si avventerebbero su di noi per impossessarsi di quello che resta.» Strinse le redini al punto di farsi sbiancare le nocche delle dita. La testa del cavallo scattò all'indietro. «Buono!» «Vostra Grazia mi ha ingaggiata perché sono stata là?» «Sì.» L'Inglese riportò il cavallo sotto controllo e fissò Ash. «Mia signora, voi siete l'unico soldato che abbia trovato qui in Borgogna che sia stato in contatto con i Visigoti. Parlerò con i vostri ufficiali e in particolare con il vostro mastro artigliere. Prima voglio sentire tutti i dettagli possibili sulle armi che portano e il loro modo di combattere. Poi voi mi parlerete delle voci che li precedono. Come questa insulsaggine del cielo privo di sole sopra le Germanie.»
«È vero.» Il conte di Oxford la fissò a lungo. «È vero, mio signore.» Ash scoprì che sapendolo in esilio era più portata a rivolgersi a quell'uomo con il suo titolo. «Ero là, mio signore, e li ho visti far sparire il sole. Solo da quando siamo arrivati qui...» Agitò la mano indicando i campi verdi, i torrenti, i carri, le tende del suo campo, le acque brillanti del fiume Suzon e i tetti di Digione che splendevano come specchi sotto il sole estivo. «...solo allora abbiamo rivisto il sole.» Il nobile fermò il cavallo. «Sul vostro onore?» «Sul mio onore, come se si trattasse di un contratto.» L'onestà con la quale aveva parlato stupì la stessa Ash. Mise le redini sotto il braccio e tirò su le maniche della maglia. La pelle sì era già arrossata, ma lei era contenta, non ne avrebbe avuto mai abbastanza del sole, non le importava nulla di scottarsi. «Il sole splende ancora sulla Francia e l'Inghilterra?» «Sì» rispose semplicemente John de Vere. Godluc lasciava ciondolare la testa. Il sudore gli imperlava i fianchi. Ash lanciò un'occhiata esperta al punto in cui erano stati impastoiati i cavalli (nella parte del campo vicino agli alberi e al fiume) e valutò se fossero calmi e all'ombra. I cavalli da guerra erano separati dagli altri cavalli. Una figura uscì di corsa dal campo e Ash la guardò correre verso Thomas Rochester e poi verso di lei. «E quella macchina da guerra di cui parlano?» le chiese il conte, fissando la figura in corsa. «L'avete vista?» «Non ho visto nessuna macchina» rispose Ash, cauta. La figura era Rickard. «Vi dirò tutto quello che so» disse, decisa. «Mi avete ingaggiata per quello che so, Vostra Grazia» aggiunse, divertita. «I miei uomini e io vi diremo la verità.» «È chiaro che sarete leali con me quanto lo siete stati con l'ultimo che vi ha ingaggiati» sottolineò il conte. «Non meno leali» Ash lo corresse, e spronò Godluc verso Rickard. Il ragazzino si fermò e si inclinò in avanti stringendosi le cosce, quindi dopo qualche attimo si raddrizzò e le passò una pergamena. «Cos'è?» chiese afferrando il rotolo. Il ragazzino si leccò le labbra secche. «Una convocazione del duca di Borgogna» disse ansimando.
V Ash si accorse che il cuore aveva cominciato a batterle più forte, che la bocca si stava seccando e che aveva un'urgente bisogno di andare nelle latrine da campo. Strinse con forza l'invito del duca di Borgogna. «Quando?» chiese. Non voleva farsi vedere intenta a sillabare ogni parola della pergamena davanti a un nuovo datore di lavoro. Vide il volto arrossato di Rickard e gli passò la borraccia. Il paggio bevve, si versò dell'acqua sulla testa per poi scuoterla violentemente. «La quinta ora dopo mezzogiorno. È quasi mezzogiorno, capo!» Ash sorrise per rassicurarlo. «Vai a chiamare Anselm, Angelotti, Geraint Morgan e padre Godfrey: corri!» Aveva la voce incrinata. Si drizzò sulla sella e vide Anselm e Angelotti che uscivano dal campo. Il ragazzino li superò entrambi di corsa mentre i due camminavano con passo deciso verso di lei e il conte di Oxford. «Eccoli che tornano - i miei due ragazzi candidi come un giglio» commentò a bassa voce. In quale casino mi hai ficcata, Robert? pensò. «Conte di Oxford, il mio signore sarebbe così gentile da accettare la mia ospitalità?» L'inglese si affiancò ad Ash fissando il campo del Leone Azzurro che in quel momento aveva l'aspetto di un nido d'api preso a calci da un mulo. «Il conte di Oxenford 88 » mormorò l'uomo con un sorrisetto stampato sulle labbra «farebbe meglio a tornare tra un'ora in modo che i vostri uomini possano mettersi in ordine.» «No» rispose Ash, torva. Il suo sguardo era fisso sui due ufficiali sempre più vicini. «Siete il mio capo, mio signore. Spetta solo a voi darmi il permesso di rispondere a questa chiamata e presentarmi davanti al duca. E se vado dovete spiegarmi cosa dire e fare. Ora è come. se avesse convocato voi.» Il nobile sollevò le sopracciglia. «Certo, certo, mia signora. Potete andare. Devo decidere cosa potete dire. Sfortunatamente sembra che vi abbia privato dell'opportunità di ottenere un contratto più ricco di quello che vi posso offrire, visto che le mie 88
Era uno dei nomi con il quale al tempo veniva chiamata la città di Oxford.
terre sono nelle mani di Riccardo di Gloucester89 » E quanto ci pagherai? pensò Ash. Non un centesimo in più di quanto potrebbe offrire Carlo il Téméraire 90 . Questo è poco ma sicuro. Merda. «Rimanete a pranzo da noi, mio signore. Dovete darmi degli ordini. Anche il vostro seguito è invitato.» Ash prese fiato. «Intendo far fare un appello in modo da potervi comunicare la nostra forza esatta. Probabilmente mastro Anselm vi ha detto che abbiamo lasciato Basilea di gran carriera. Avete fatto un buon affare. Mio signore.» «La povertà è un padrone peggiore di quanto possa esserlo io, signora.» Ash diede un'occhiata al farsetto e pensò a cosa significasse avere i propri beni posti sotto sequestro ed essere mandati in esilio. «Lo spero» borbottò sotto voce. «Scusatemi, Vostra Grazia!» Mentre gli uomini del seguito raggiungevano il conte, Ash spronò Godluc verso i suoi ufficiali conscia del fatto che Floria stava correndo al suo fianco. Cominciava ad aver mal di testa. Si fermò di fronte alle figure ansimanti di Robert Anselm e Angelotti e di Geraint ab Morgan, che nel frattempo li aveva raggiunti. Guardò il campo e si rese conto che versava nel caos più totale. «Cristo sull'Albero!» La situazione era peggiore di quello che sembrava a prima vista. Gli uomini giacevano sdraiati intorno ai fuochi spenti intenti a bere. Le lance e le alabarde erano state impilate alla meno peggio e sembrava dovessero cadere da un momento all'altro. Dei soldati a torso nudo spostavano delle pentole annerite dal fumo. Le prostitute sedute sui carri mangiavano mele e ridevano sguaiate. La vista del patetico tentativo dei lancieri di Euen Huw di montare di guardia la fece imbestialire ulteriormente. I bambini giocavano troppo vicini ai cavalli e il muro formato dai carri scendeva fino al fiume riducendosi a un guazzabuglio di ripari improvvisati fatti per lo più di coperte tese sopra due bastoni. Nessuno aveva cercato di rispettare le regole contro gli incendi o aveva provato a organizzare una difesa degna di questo nome... 89
Sette anni dopo le vicende narrate nei libri sulla vita di Ash, Riccardo di Gloucester è incoronato re d'Inghilterra, come Riccardo HI (1483 1485). 90 Il duca Carlo di Borgogna, come i suoi predecessori - Filippo l'Ardito, Giovanni il Senzapaura e Filippo il Buono - era conosciuto con il suo cognome. Téméraire venne tradotto in seguito in modo da sembrare 'Carlo il Temerario'.
«Geraint!» «Sì, capo?» Ash fulminò il balestriere gallese che stava suonando un flauto in do seduto su un carro, con i pantaloni slacciati e una cuffia sporca sulla testa. «Cosa pensi che sia tutto questo? Rimetti in quadro questo casino prima che Oxford ci licenzi! O i Visigoti ci piombino addosso e ci prendano a calci in culo! Muoviti!» Il sergente gallese era abituato a sentirsi urlare addosso, ma il tono di voce di Ash lo fece girare immediatamente sul posto e lo indusse ad attraversare il campo con passo deciso sbraitando ordini a ogni squadra di uomini che incontrava. Ash, ritta sulla sella, lo osservò con i pugni piantati sui fianchi. «Per quanto ti riguarda» disse rivolgendosi ad Anselm senza abbassare la testa. «Sei con il culo a terra. Dimentica di mangiare con il tuo signore. Quando saremo usciti dalla mia tenda voglio che questo campo risponda in tutto e per tutto a una delle descrizioni fatte da Vegezio e che questi cialtroni abbiano l'aspetto di soldati, altrimenti sei fuori gioco. Chiaro?» «Sì, capo.» «Era solo una fottuta domanda retorica, Robert. Fai l'appello, voglio sapere chi abbiamo perso e chi abbiamo guadagnato. Una volta che sono a posto falli esercitare un po' con le armi. La metà degli uomini è sdraiata a terra sbronza marcia, ma la cosa finisce, adesso. Voglio avere una scorta degna di questo nome quando entrerò nel palazzo del duca Carlo!» Anselm sbiancò in volto. «Hai un'ora» ringhiò Ash. «Muoviti!» Florian fece una profonda risata. «Il capo abbaia e tutti scattano.» «Non mi chiamano la vecchia scure da battaglia per niente!» «Allora lo sapevi! Non ne sono mai stata sicura.» Ash fissò Anselm che correva verso il campo. Sapeva bene che la paura che stava provando in quel momento era dovuta a due fattori. Il primo era lo stato di abbandono in cui versava il campo. Il secondo era il fatto di dover entrare nella prima corte d'Europa. Tuttavia c'era una vocina dentro di lei che esultava esclamando: «Dio, quanto mi piace questo lavoro!» «Rimani qua, Antonio. Voglio che tu faccia vedere all'Inglese i tuoi cannoni. Tienimelo lontano per un'ora. Non ho mai visto un lord che non fosse interessato all'artiglieria. Dov'è Henri?» L'addetto ai rifornimenti si avvicinò al cavallo zoppicando, aiutato da Bianche.
«Henri, sto per accogliere un conte inglese e il suo seguito nella mia tenda. Fa' stendere uno strato di segatura pulita, tira fuori l'argenteria e facciamo in modo che il cibo sia decente, chiaro? Vediamo se riusciamo a imbandire una tavola degna di un conte.» «Con quello che cucina Wat, capo?» L'espressione terrorizzata di Henry cambiò dopo qualche secondo. «Ah, già, sono Inglesi. Non sanno niente della buona cucina e non potrebbe importagliene di meno. Dammi un'ora.» «Concessa! Vai, Angelotti!» Girò Godluc esercitando una leggera pressione con un ginocchio e tornò lentamente verso il conte. La bandiera del nobile continuava a penzolare inerte per la mancanza di brezza. I soldati avevano il volto madido di sudore. Ogni maledetto contadino, pensò Ash, a quest'ora si sta riparando dal sole per uscire solo a tardo pomeriggio. Ogni mercante di Digione è tra quattro mura di pietra intento ad ascoltare i musicisti e scommetto che anche il Duca sta facendo la siesta. E a noi cosa danno? Meno di cinque ore per prepararci. «Capitano» urlò de Vere. Ash lo raggiunse. Il conte di Oxford indicò i cavalieri al suo seguito. «Questi sono i miei fratelli, Thomas, George e Richard; e il mio buon amico visconte Beaumont.» I fratelli del nobile dovevano aver superato da poco la ventina; il visconte era di qualche anno più vecchio. Tutti avevano i capelli lunghi fino alle spalle. Le armature e le spade erano simili. Quello che sembrava il più giovane dei fratelli de Vere si drizzò sulla sella e parlò in un inglese dell'East Anglia: «È una sfrontata, John! Si veste come un uomo. Non abbiamo bisogno di una come lei per buttare giù dal trono Edoardo!» Un altro fratello socchiuse gli occhi e disse: «Guardate che faccia! Cosa importa chi è!» Ash sedeva in sella al suo cavallo da guerra squadrando tranquillamente i quattro fratelli. Si girò verso il visconte Beaumont. «Adesso capisco perché tutti parlano in un certo modo dell'educazione degli Inglesi» gli disse nell'inglese che aveva imparato durante le campagne in quel paese. «Non avete nulla da aggiungere, visconte?» Il nobile alzò le mani come se volesse arrendersi. Negli occhi c'era un'espressione di chiaro apprezzamento. «Niente, signora!» Gli mancava uno dei denti davanti e la voce aveva un che di flautato.
«Mi dispiace che Dickon 91 sia stato tanto scortese.» John de Vere fece un inchino, quindi, apparentemente fiducioso nella capacità di Ash di sapersela cavare, disse: «Sono sicura che sapete benissimo come affrontare questa situazione, capitano.» «Ma è una donna debole!» esclamò Richard de Vere, stupefatto. «Cosa sai fare?» ringhiò, rivolgendosi ad Ash. «Capisco... Voi pensate che il mio signore non mi abbia ingaggiato per la mia abilità» rispose Ash, secca. «Voi pensate che mi ha ingaggiata solo per farmi delle domande sul generale visigoto e l'invasione e siete convinti che sia Robert Anselm a dare gli ordini sul campo. Mi sbaglio, forse?» Uno dei fratelli de Vere, Tom o George, disse: «Il duca Carlo deve essere della stessa opinione. Sei una donna, cos'altro sai fare se non parlare?» «Questo è mio fratello George, signora» lo presentò educatamente il duca di Oxford. Ash si avvicinò al fratello più giovane. «Vi dirò io cosa so fare, mastro de Vere. Posso ragionare, parlare, fare il mio lavoro e combattere. Ma se un uomo non crede che io possa comandare o pensa che sia debole o non vuole rimanere a terra dopo uno scontro leale, cosa che di solito succede con le reclute, o pensa che l'unico modo per rispondere alle donne sia uno stupro... allora posso anche ucciderlo.» Il giovane de Vere arrossì dal collo alla punta dei capelli, in parte per l'imbarazzo e in parte perché, almeno così pensò Ash, si era reso conto che le sue parole rispondevano alla verità. «Rimarreste molto sorpreso di scoprire quanti guai vi siete risparmiato.» Rise e abbandonò per un attimo l'etichetta. «Non ho bisogno di convincerti che non sono una nullità, dolcezza. Devo solo combattere i nemici di tuo fratello abbastanza bene da rimanere in vita ed essere pagata.» Dickon de Vere si irrigidì sulla sella. Ash si girò verso il conte di Oxford. «Non devo piacere loro, mio signore. Solo che non voglio essere considerata come la figlia di Eva.» Il visconte Beaumont borbottò qualcosa in inglese. Aveva parlato troppo velocemente e lei non riuscì a capirlo, ma il più giovane dei fratelli arrossì ulteriormente e scoppiò a ridere e il conte si passò una mano sulla bocca, molto probabilmente per nascondere un sorriso. Solo i due fratelli di mezzo continuavano a fissarla in cagnesco. 91
'Dickon' è un diminutivo affettuoso in uso tra gli Inglesi per indicare il nome 'Richard'.
Ash socchiuse gli occhi per ripararsi dal sole. Il sudore le impastava i capelli sotto il cappello di velluto. L'odore di cuoio dei finimenti e quello del cavallo le diede un senso di sicurezza. «È tempo che mi diate i primi ordini, mio signore» gli disse, allegra. «Questa è la mia compagnia, conte. Ottanta lance. Mi piacerebbe sapere una cosa. Siamo troppo grossi per una scorta e troppo piccoli per essere un esercito, quindi come mai ci avete ingaggiati?» «Dopo, signora. A pranzo. C'è ancora abbastanza tempo prima che vi rechiate dal duca.» Ash stava per insistere, quando vide Godfrey davanti ai cancelli del campo che finiva di parlare con due uomini vestiti alla meno peggio e una donna che indossava un abito verde e si dirigeva a grandi passi verso di lei. «Credo che il mio prete voglia parlarmi. Sarebbe così gentile da seguire mastro Angelotti? Egli sarà ben contento di mostrarvi i nostri pezzi d'artiglieria. Sono all'ombra...» Indicò gli alberi vicino al fiume. Osservò l'espressione di de Vere e si rese conto che il nobile aveva capito che si trattava di uno stratagemma, ma, essendo abituato a tali cortesie, accettò di buon grado. Ash si alzò sulla sella e fece un inchino, mentre Angelotti prendeva le redini del cavallo del conte e lo guidava verso il campo. «Godfrey?» «Sì, figliola?» «Seguimi! Dimmi tutto quello che sai della situazione a Digione mentre ispeziono il campo. Tutto! Non ho idea di cosa sta succedendo a corte e tra quattro ore devo presentarmi davanti al duca!» La tenda di Ash era piena di servitori che entravano e uscivano, preparavano la tavola e spargevano un nuovo strato di segatura. Ash si appartò dietro un paravento e cominciò a vestirsi in fretta e furia per presentarsi di fronte al duca. «È la Borgogna, Florian! Non si può avere di meglio!» Floria del Guiz sedeva a gambe incrociate su un baule, tranquilla. «Non sai nemmeno se combatterai con il Duca, visto che Robert-il-conte-pazzo potrebbe portarci Dio solo sa dove.» «De Vere vuole combattere i Visigoti.» Ash alzò un braccio senza rendersi conto che Rickard e Bertrand stavano cercando di abbottonarle i polsini del farsetto. Le maniche si gonfiavano all'altezza delle spalle. Bertrand emise un singhiozzo e Ash si dimenò.
«Non potrò apparire al mio meglio - quella stronza mi ha preso l'armatura!» Il chirurgo bevve da una coppa di vino tolta a uno dei servitori di Henri Brant. «Ah, indossa quello che vuoi! È solo un duca.» «Solo un - 'fanculo, Florian!» «Ci sono abituato.» La donna si asciugò il sudore dal volto. «Non hai preso l'armatura?» «Fottiti!» Ash non poteva spiegare a Floria cosa si provasse a indossare un'armatura. Uno si sentiva come Dio! Non voglio far sfigurare la compagnia davanti a quei fottuti Burgundi, pensò Ash. «Era un'armatura completa! Ho dovuto risparmiare per due anni!» Un quarto d'ora dopo ogni baule era stato svuotato e Bertrand era in lacrime al pensiero di dovere rimettere tutto a posto. Ash aveva indossato delle protezioni per le gambe di fattura germanica, schinieri milanesi e un brigantino di velluto azzurro con le borchie e una placca di metallo finemente lavorata che arrivava fino allo sterno. «Oh, merda» disse. «Oh, merda, sto per avere un'udienza con Carlo di Borgogna, merda, merda...» «Non pensi di prendere la cosa un po' troppo sul serio?» «Loro vedranno quello che sono. E sono piuttosto preoccupata al riguardo...» Ash aprì uno specchietto rotondo e cercò di guardarsi. Bertrand le tirò i capelli con il pettine. Ash imprecò, gli lanciò addossò una bottiglia e coprì la ferita al cranio con una lunga ciocca di capelli bianchi. Il sole le aveva brunito appena le guance facendo risaltare ancora di più gli sfregi. La degenza l'aveva fatta dimagrire e il volto aveva perso un po' di rotondità, ma per il resto quello che la stava fissando dallo specchio era sempre il suo viso. Non preoccuparti dell'armatura, pensò, non guarderanno se ce l'hai o no. Floria scese dal baule osservando Ash, che dava ordini ai suoi ufficiali e li congedava, con un sorrisetto sardonico stampato sulle labbra. «Andrai a corte con i capelli schiacciati? Ormai sei una donna sposata.» Ash rispose al chirurgo con la frase che aveva ideato mentre giaceva a letto malata. «Il mio matrimonio è stato una frode. Giuro su Dio che sono la stessa che ero prima di sposarmi.» Floria produsse un verso scurrile e prolungato. «No, capo! Non provarci neanche a dirlo là dentro, altrimenti rischieresti di far ridere anche Carlo di Borgogna.» «Non credi che valga la pena di provarci?»
«No. Credimi. No.» Ash rimase ferma qualche istante per permettere a Bertrand di assicurarle la spada al fianco. Le piastre metalliche del brigantino cigolavano a ogni respiro. «E cosa dirai al nostro nobile duca riguardo il tuo incontro con il generale visigoto?» le chiese Floria. «Più di quello che hai detto a me? Cristo, donna, pensi che sia possibile che io tradisca la tua fiducia? Siamo sempre...» «Siamo?» la interruppe Ash. «... Io, Godfrey e Robert... Quanto tempo pensi di farci aspettare ancora?» Floria passò un pollice sul bordo di una delle coppe d'argento fissandola con gli occhi lucidi. «Cosa ti è successo? Cosa ti ha detto? Sai che il tuo silenzio è assordante.» «Sì» rispose Ash in tono piatto, non volendo reagire alle provocazioni della donna. «Ci sto pensando. Non serve a niente servirvi un piatto cotto solo a metà. Potrebbe influenzare il futuro della compagnia e il mio. Quando avrò tutto chiaro convocherò gli ufficiali per spiegare loro la situazione. Nel frattempo abbiamo a che fare con il più grande duca di tutto l'Occidente e con un conte inglese completamente pazzo.» Un paio di ordini secchi e il padiglione esterno venne riordinato in un batter d'occhio. Terminata l'operazione tolsero i pannelli di tela laterali lasciando entrare farfalle, libellule e altri insetti. Il vento fresco carezzava il volto di Ash. Lanciò una rapida occhiata alla tavola imbandita. Sopra la tovaglia gialla erano stati disposti i piatti d'argento tirati a lucido. Un manipolo di uomini della squadra di van Mander formava un picchetto d'onore e di guardia intorno all'area centrale del campo. Tre delle donne suonavano un'aria italiana con dei flauti dolci. Henri e Bianche cantavano con trasporto. Ash gli lanciò un'occhiata e l'addetto ai rifornimenti si pulì il volto arrossato con la manica e annuì. Un attimo dopo Ash colse un lampo biondo vicino alla tenda e si rese conto che Angelotti stava riportando il conte al campo. Vide che John de Vere registrava con un certo stupore la presenza di Bianche come cameriera e di Ludmilla e Katherine armate di balestra a guardia della tenda di comando. «Ci sono molte donne nel vostro campo, signora» sottolineò il nobile. «Certo. Sono solita giustiziare gli stupratori.» La risposta fece sussultare il visconte di Beaumont che cambiò d'espres-
sione, mentre il conte di Oxford annuì pensieroso. Ash presentò Godfrey Maximillian e Floria del Guiz. Il nobile si rivolse al chirurgo parlando al maschile. «Sedetevi, prego» disse in tono formale lasciando che i servitori li facessero accomodare a seconda del loro grado. Ash stessa cedette il posto di capo tavola a John de Vere. La musica cessò. Ash si accomodò a sua volta e cominciò a pensare che i Visigoti avevano avuto altri sei giorni per avanzare e che avrebbe fatto meglio a comportarsi bene una volta giunta davanti al duca Carlo. «Bene, bene» disse Ash, mentre Bianche e le altre donne servivano la prima portata. «Ora mi ricordo. Ho già sentito parlare di voi. Voi siete quel Lord Oxford!» Il conte emise un verso che dopo un secondo Ash riconobbe come una risata. «'Quel Lord Oxford'.» «Vi avevano rinchiuso a Hammes!» Floria alzò gli occhi dal piatto. «Hammes?» «È una fortezza» la informò Ash, quindi arrossì e cominciò a servire personalmente John de Vere. «Si trova fuori Calais. Ha il fossato e tutto il resto... Si pensa che sia un castello dal quale è impossibile scappare!» Il conte di Oxford allungò una mano e diede una pacca affettuosa sulla spalla del visconte Beaumont. «E così sarebbe stato se non fosse per quest'uomo, Dickon, George e Tom. Però vi sbagliate su una cosa, signora. Non sono scappato. Sono andato via.» «Andato via?» «Sì, portando con me il capo carceriere, Thomas Blount, come alleato. Abbiamo lasciato sua moglie a dirigere il castello finché non sarò tornato con delle truppe dei Lancaster92 .» John de Vere sorrise. «Padrona Blount è una donna che anche voi trovereste formidabile. Potrei tornare tra dieci anni a Hammes e scoprire che il castello è ancora nostro, non ho dubbi al riguardo!» «Il mio signore di Oxenford è famoso. Ha invaso l'Inghilterra due volte» disse Ash rivolta a Floria, cercando di reprimere un sorriso. «La prima volta con gli eserciti di Margherita d'Angiò e re Enrico. La seconda volta da solo.» 92
Questi eventi successero esattamente come vengono narrati, ma circa otto anni dopo, nel 1484. Durante il periodo coperto da questi testi il conte di Oxford rimase prigioniero nel castello di Hammes. Sospetto che il cronista abbia aggiunto Oxford al testo solo dopo il 1486.
«Da solo!» Floria del Guiz fissò incredula il duca. «Dovete scusare i modi del mio capo, mio signore di Oxford. Alle volte è maleducata.» «Non ero del tutto solo» protestò il conte. «Avevo ottanta uomini.» Floria del Guiz si aggiustò sulla sedia e fissò il nobile sorridendo. «Ottanta uomini93 per invadere l'Inghilterra. Capisco...» «Il mio signore prese il monte Michael in Cornovaglia» disse Ash «e lo tenne per... un anno, giusto?» «Non proprio. Dal settembre del '73 al febbraio del '74.» Il conte fissò i suoi fratelli che parlavano tranquilli tra di loro ad alta voce, «Avevo degli uomini fedeli con me, ma a un certo punto non ricevemmo più alcun aiuto dalla Francia 94 .» «Dopodiché, Hammes.» Ash scrollò le spalle. «Per quel Lord di Oxford. È chiaro.» «Ma la terza volta riuscirò a mettere un uomo migliore sul trono di Edoardo95 .» Si appoggiò allo schienale della sedia in quercia e aggiunse in tono deciso: «Sono il tredicesimo conte di una dinastia che risale ai tempi del duca Guglielmo, un'era tanto lontana dove esistevano lord e cancellieri del regno d'Inghilterra. Ma, visto che sono in esilio e non sono più vicino a un re Lancaster di quanto voi siate vicina a Papa Giovanni, signora, e visto che dobbiamo affrontare questi Visigoti, allora sono 'quel Lord Oxford.'» Alzò il calice in direzione di Ash. Lode agli dèi! Poiché questo è il più grande conte-soldato d'Inghilterra... La mente di Ash continuava a galoppare a briglia sciolta, mentre lei sorseggiava il vino rosso. «Voi avete riconciliato Warwick il Creatore di Re con la regina Margaret96 . Buon Dio!... Mi dispiace dirlo, mio signore, ma al tempo combattevo per il vostro nemico. Ci siamo scontrati sul campo di Baraet nel '71. Niente di personale. Si tratta solo di affari.» «Lo so. E ora, signora, passiamo ai nostri, di affari» disse de Vere, sec93
Alcune fonti parlano di quattrocento. Il fatto risponde a verità. Re Edoardo d'Inghilterra offrì il perdono ai soldati, ma solo la vita al conte di Oxford e ai fratelli. Oxford venne incarcerato ad Hammes poco tempo dopo. 95 Nel 1485 riuscì nell'impresa vincendo la battaglia di Bosworth per Henry Tudor. Oxford mise sul trono Enrico VII (1485 - 1509). Sul fatto che fosse stato un re migliore del precedente il dibattito è ancora aperto. 96 Richard Neville, conte di Warwick, e Margherita d'Angiò, figlia di Enrico VI d'Inghilterra, furono nemici implacabili per quindici anni. Nel 1471 John de Vere riuscì a far siglare loro una pace. 94
co. «Certo, mio signore.» Ash osservò la scena che si svolgeva oltre il padiglione. Il brigantino che indossava non era pesantissimo, ma il caldo la stava stancando e sentiva che la testa aveva ripreso a pulsare. Osservò il pendio erboso che si trovava tra le tende degli uomini di Geraint e di van Mander. Un lampo azzurro attirò la sua attenzione e vide Robert Anselm a petto nudo che faceva addestrare i soldati con la spada e la lancia. I ragazzi portavano l'acqua agli uomini. L'urlo roco di Geraint ab Morgan echeggiava sopra il tonfo delle frecce che colpivano i bersagli di paglia. Lasciamo che si addestrino al caldo, pensò Ash. Domani saranno più disciplinati. È tempo che questo posto cominci a somigliare a un campo militare... Stavano iniziando a pensare di non essere più una compagnia militare. Mi domando quanti sono rintanati nei bordelli di Digione. La candela segna tempo marcava le tre del pomeriggio. Ignorò il gorgoglio allo stomaco e prese una coppa di vino annacquato. «Posso chiamare gli ufficiali, mio signore?» «Sì. Adesso.» Ash si girò verso Rickard che attendeva dietro la sua sedia tenendole la spada. «Il duca Carlo ama la guerra» esordì inaspettatamente Floria del Guiz. «Adesso vorrà attaccare l'esercito visigoto.» «Lo spazzeranno via» rispose Ash, torva, mentre Rickard parlava a bassa voce con uno dei ragazzini che fungeva da paggio. I servitori, i paggi, gli uomini di guardia con i cani al guinzaglio assicuravano una certa tranquillità nell'area intorno alla tenda del comandante. Ash appoggiò un gomito sul tavolo ignorando le macchie sulla tovaglia e fissò John de Vere. «Avete ragione, mio conte. I principi europei si devono unire altrimenti non avranno nessuna possibilità di sconfiggere i Visigoti. Non c'è dubbio al riguardo. Devono sapere già quello che è successo in Italia e in Germania, ma credo che non riescano a concepire che possa accadere anche a loro.» Robert Anselm entrò nella tenda coperto di sudore, seguito un attimo dopo da Angelotti e Geraint. Ash fece loro cenno di avvicinarsi al tavolo e il visconte Beaumont e i fratelli de Vere si sporsero in avanti per ascoltare meglio. «Ufficiali a rapporto» spiegò Ash, allontanando il piatto. «Dovrete abituarvi, Vostra Grazia. È sempre meglio controllare le cose due volte.»
E ti servirà a capire chi siamo veramente... pensò Ash, in modo che non ci siano dubbi su chi stai assoldando! Geraint, Anselm e Angelotti si sedettero a tavola: il capitano degli arcieri fissava i resti del cibo con sguardo famelico. «Abbiamo ricostruito il perimetro.» Robert Anselm allungò un braccio, prese un pezzo di formaggio dal piatto di Ash, cominciò a masticarlo con vigore e disse: «Geraint?» «Ha ragione, capo.» Geraint ab Morgan lanciò ai fratelli Oxford un'occhiata cauta. «Ho fatto erigere le tende dei vostri uomini sul lato del fiume, Vostra Grazia.» Ash si asciugò la fronte. «Bene. Dov'è Joscelyn? Di solito è sempre nelle vicinanze quando si tratta di fare rapporto.» «Oh, è alle tende dei nuovi arrivati e sta dando loro il benvenuto a nome del Leone.» Il capitano degli arcieri aveva parlato con tono innocente e quando vide che Bertrand, solo dopo un cenno di Ash, stava cominciando a servire il vino, alzò gli occhi ed emise una sorta di grugnito di soddisfazione. Robert Anselm fissò Ash. «Dovevi proprio mettere insieme tutti i Fiamminghi?» borbottò Ash tra sé e sé. A giudicare dai simboli sulle bandiere, Ash poteva dire con assoluta sicurezza che gran parte della zona più interna del campo era formata dalle tende dei Fiamminghi. Il resto del campo era come al solito un misto promiscuo di nazionalità. Ash annuì assente, lasciando vagare lo sguardo sulle donne che stavano dirigendosi verso i cancelli del campo, molto probabilmente per andare a Digione. «Per ora va bene» commentò. «Ma finché siamo qui voglio un doppio perimetro di guardie a partire da oggi. Non voglio che gli uomini di Monforte o i Burgundi vengano a romperci le scatole e non voglio neanche che i nostri uomini entrino ed escano quando vogliono per andare a ubriacarsi. Fateli andare in città a piccoli gruppi. Non più di venti alla volta. Cerchiamo di ridurre al minimo i pretesti per le risse.» «Certo, capitano» rispose Robert Anselm, sogghignando. «Questo vale anche per i capi squadra, sia chiaro.» Ash squadrò gli ufficiali intorno al tavolo. «Cosa ne pensano gli uomini del contratto con gli Inglesi?» Godfrey Maximillian si asciugò il sudore con un rapido gesto della ma-
no e, dopo aver lanciato uno sguardo di scusa ad Anselm, disse: «Gli uomini avrebbero preferito che fossi stata tu in persona a portare avanti le trattative, capitano. Penso che stiano aspettando di capire da che parte starai.» «Geraint?» «Sai come sono fatti gli arcieri, capo» disse il Gallese in tono dimesso. «Per una volta combattono per qualcuno che si pensa sia più sboccato di loro! Non intendevo offendere, Vostra Grazia.» John de Vere lanciò un'occhiata torva al capitano degli arcieri, ma non commentò. «Nessun dissenso?» insisté Ash. «Beh... la squadra di Huw dice che avremmo dovuto provare a stringere un altro contratto con i Visigoti» confessò Geraint, senza curarsi di Oxford. «Anch'io la penso come loro, capo» continuò. «Gli eserciti inferiori di numero al nemico non vincono mai e quello del duca è di parecchio inferiore. C'è solo un modo per essere pagati: stare dalla parte dei vincitori.» Ash lanciò un'occhiata interrogativa ad Angelotti. «Conosci gli artiglieri» esordì il mastro artigliere. «Mostraci qualcosa contro cui sparare e saremo tutti felici. Non vedo la metà dei miei uomini da due giorni perché sono spariti nel campo dei Burgundi a studiare le loro artiglierie.» «I Visigoti non hanno molta artiglieria» gli fece notare Geraint. «Non credo che piacerebbero ai tuoi ragazzi.» Angelotti si permise un sorriso. «C'è sempre qualcosa da dire quando ci si trova dalla stessa parte dei cannoni.» «E i soldati?» Ash si rivolse a Robert Anselm. «Ho parlato con circa la metà di loro. Carracci e gli Italiani, gli Inglesi e quelli dell'est sono contenti per il contratto. Ai Francesi non va molto a genio di trovarsi dalla stessa parte dei Burgundi, ma lo sopporteranno. Pensano tutti che devono farla pagare alle teste di tela per Basilea.» «Ho dato un'occhiata al baule» sbuffò Ash. «Ci devono dei soldi!» «Li infilzeremo, ma a tempo debito» continuò Anselm, mentre l'espressione del volto passava da divertita a corrucciata. «Non so cosa dire per i Fiamminghi. Non sono riuscito a parlare con di Conti e gli altri, ho scambiato qualche parola con van Mander, ma lui dice che deve dare degli ordini.» «Uh, huh. Va bene, continuiamo» disse Ash, comprendendo a pieno la
preoccupazione di Anselm. «Queste lance che non sono d'accordo rappresentano un problema, capitano?» chiese John de Vere, intervenendo per la prima volta nella conversazione. «Nessun problema. Ci sarà qualche cambiamento.» Ash fissò de Vere dritto negli occhi e qualcosa nella sua espressione convinse il nobile del fatto che avrebbe risolto il problema. «Bene, arrangiatevi come sapete, capitano.» «Perfetto, cosa abbiamo adesso...?» domandò Ash lasciando cadere l'argomento. Digione si trovava a qualche chilometro dal campo. Oltre il limitare del bosco i pendii verde e marrone splendevano sotto il sole. Lo sguardo di Ash si spostò sull'astro cercando di capire se il Sole in Leone stava ancora brillando con la stessa intensità del giorno prima. «Allora,» disse «il punto è cosa fare.» Ash lanciò un'occhiata a Oxford e si scoprì intenta a punzecchiare con la punta del coltello la patina annerita che aveva avvolto la bistecca e la focaccia al formaggio. Dei frammenti le caddero sul vestito. «È come vi ho detto poco fa, mio signore. Questa compagnia è un po' troppo grossa per essere una scorta, ma non siamo assolutamente in grado di fronteggiare l'esercito burgundo, tanto meno quello visigoto.» Il conte inglese sorrise in un modo che fece sussultare gli ufficiali di Ash. «Così... ho pensato, Vostra Grazia...» Ash agitò un pollice oltre la spalla indicando il pendio in cima al quale spiccava il tetto del convento «... e lassù ho avuto parecchio tempo per farlo, e mi è venuta un'idea che vorrei sottoporre al duca. La domanda è: anche voi avete avuto la mia stessa idea mezza cotta?» Robert Anselm si passò una mano sul volto per nascondere un ghigno; Geraint Morgan farfugliò qualcosa. Angelotti fissò Ash con gli occhi socchiusi che gli donavano un'aria ambigua. «Mezza cotta?» indagò il conte di Oxford, mite. «'Folle', se preferite.» L'eccitazione per quanto stava per dire le rese possibile non sentire per qualche attimo il dolore alla testa. Si sporse sul tavolo. «Non attaccheremo l'esercito visigoto, giusto? Ci vorrebbero tutti gli uomini del duca Carlo e qualcun altro! Ma che bisogno avremmo di attaccarli a testa bassa?» De Vere annuì. «Un'incursione.»
Ash piantò il coltello nel tavolo. «Esatto! Un'incursione per staccare la loro testa... un gruppo formato da, diciamo, settanta o ottanta lance: ottocento uomini. Più grosso di una scorta, ma abbastanza piccolo da muoversi velocemente e allontanarsi dai guai nel caso incontrasse il loro esercito. E quelli saremmo noi, giusto?» Oxford si inclinò leggermente all'indietro facendo cigolare l'armatura. I suoi tre fratelli lo fissarono intensamente. «Non è un'idea folle» commentò il conte d'Oxford. «È folle quanto una delle altre imprese che abbiamo compiuto insieme, John» balbettò il visconte Beaumont. «E di quale utilità sarebbe per la causa dei Lancaster?» si intromise il più giovane dei fratelli de Vere. «Tranquillo! Teppistello.» Il conte di Oxford diede una pacca sulla spalla a Beaumont e scompigliò i capelli di Dickon. Il volto bruciato dal sole del nobile aveva un'espressione vivace quando si voltò a fissare Ash. «Esatto, signora» confermò. «Abbiamo pensato la stessa cosa. Un'incursione per uccidere il comandante, il generale. Il loro faris.» Per un momento Ash smise di vedere il campo bruciato dal sole della Borgogna e tornò al giardino gelato di Basilea dove aveva incontrato la sua gemella. «No.» Per la prima volta da quando si erano conosciuti Ash vide che sul volto del nobile era apparsa un'espressione stupita. «Non il loro comandante» ripeté Ash, pragmatica. «Non qui in Europa. Credetemi quando vi dico che il faris se lo aspetta. Sa benissimo che ogni principe nemico vorrebbe la sua testa in cima a una picca e per questo è ben sorvegliata. È circondata da dodicimila soldati. Attaccarla adesso è impossibile.» Ash fissò i volti intorno al tavolo e tornò a concentrarsi su de Vere. «No, mio signore - ho detto che era un'idea folle per un buon motivo. Voglio attaccare Cartagine.» «Cartagine?» tuonò Oxford. Ash scrollò le spalle. «Scommetto che non se lo aspettano.» «Per delle ottime ragioni!» esclamò uno dei fratelli de Vere. «Cartagine!» sussurrò Godfrey Maximillian, stupefatto. Angelotti mormorò qualcosa nell'orecchio di Robert Anselm. Floria era immobile come un cane da caccia che abbia annusato il sangue e fissava Ash con un'espressione sul volto che era un misto di stupore e disprezzo.
«Signora, avete intenzione di chiedere a Carlo di Borgogna di pagarvi per attaccare il califfo-re a Cartagine?» le chiese John de Vere con lo stesso tono di voce carico di scetticismo che lei aveva usato quando poco prima l'aveva sentito parlare dei suoi progetti per la casata dei Lancaster. Ash fece un respiro profondo, si appoggiò allo schienale della sedia scaldato dal sole e allungò la coppa per farsela riempire da Bertrand. «Dobbiamo considerare due fattori, Vostra Grazia. Uno: il loro califfore, Teodorico, è malato, sta morendo. Ho avuto queste notizie da fonti attendibili.» Incrociò rapidamente lo sguardo con Floria e Godfrey. «Un recaliffo morto sarebbe molto utile! Un morto di quell'importanza lo è sempre! Se dovesse scoppiare una lotta intestina per la successione non credo che l'esercito continuerebbe l'invasione verso nord e forse potrebbe venire richiamato in Nord Africa. Sarebbero costretti a fermarsi a causa dell'inverno e non attraverserebbero il confine.» «Adesso capisco perché volevate parlare con Carlo, signora.» Il conte aveva un'aria pensierosa. Dickon de Vere farfugliò qualcosa. «Sei impazzita?» le domandò Floria del Guiz, sfruttando il vociare degli inglesi. «De Vere è un soldato e non pensa che sia una follia. Almeno non del tutto» si corresse. «È un'idea disperata.» Robert Anselm aggrottò la fronte, rifletté per qualche attimo quindi si asciugò il sudore sulla testa e disse: «Disperata, ma non stupida.» «Cartagine» ripeté Angelotti a bassa voce con un'espressione inintelligibile sul volto. La cosa preoccupò Ash perché voleva sapere con certezza da che parte sarebbe stato l'artigliere italiano. «E?» la pungolò Godfrey Maximillian. «E...» spinse via la sedia e si alzò in piedi. I Lord inglesi erano tanto impegnati a discutere tra di loro che non si accorsero di lei, mentre i suoi ufficiali non la persero di vista neanche un istante. John de Vere batteva il pugno sul tavolo. Ash percepì la sfiducia crescente nei suoi uomini, ma fu la sola a farlo perché ormai li conosceva da anni. I fratelli de Vere non si erano accorti di nulla, ma per lei era chiara come il sole. «Hai intenzione di dirci quello che ti passa per la testa adesso, capo?» le chiese Geraint ab Morgan. «Se il califfo-re muore potremo tirare il fiato» disse Ash rivolgendosi ai suoi ufficiali.
Quando vide lo sguardo incredulo negli occhi di Godfrey Maximillian non riuscì più a trattenersi e si allontanò dal tavolo. Si appoggiò a uno dei pali della tenda e prese a osservare la luce che si rifletteva e frammentava in migliaia di scintille sulle armi e le corazze. Rimase ferma per qualche tempo, quindi tornò indietro. «D'accordo, hai ragione. Non il re-califfo.» Posò una mano sulla spalla di Robert Anselm e la strinse. «Anche se sarebbe un punto a nostro favore.» Lasciò vagare lo sguardo sul volto di Godfrey che si carezzava la barba, su quello di Floria, su quello di Angelotti che fissava la scena con un'espressione solenne degna di un'icona bizantina e infine sul viso perplesso di Geraint. Beuamont disse qualcosa in inglese, ma parlò troppo rapidamente per farsi capire. «Giusto» rispose Oxford e si girò nuovamente verso Ash. «Signora, voi avete parlato di due fattori da considerare: qual è il secondo?» Ash fece un cenno a Henri Brant che fece uscire immediatamente i paggi dalla tenda. Un comando secco echeggiò nell'aria e il cerchio di guardie si allontanò di qualche metro. Sorrise tra sé e sé scuotendo la testa. Comunque, pensò, le voci cominceranno a girare prima di stasera. «Il secondo fattore» disse, tornando seria «è il Golem di Pietra.» Ash si sporse sul tavolo fissando il nobile e i suoi ufficiali. «La machina rei militaris, la macchina tattica. Ecco quello che voglio distruggere.» Ash fissò il prete prima di riprendere a parlare e lo vide sbattere le palpebre perplesso, con la fronte corrugata in un'espressione che poteva essere di paura o di preoccupazione. «Sei sicura...» iniziò il religioso. Ash gli fece cenno di tacere e vide l'occhiata che Floria del Guiz lanciò al prete. «Sappiamo che il faris sente una voce» disse Ash, tranquilla. «Tutti voi avete sentito le dicerie che corrono sul Golem di Pietra dei Visigoti. Le parla direttamente da Cartagine e le dice come vincere le battaglie. Ecco perché dobbiamo distruggerlo. Il califfo-re non è l'obiettivo più importante. Voglio fare a pezzi quella macchina. Voglio far scomparire quel dannato 'Golem di Pietra' dalla faccia della terra. Farlo tacere per sempre!» Un picchio cominciò a martellare uno degli alberi che cresceva sulla riva del fiume. Il suono echeggiò nell'aria più secco e nitido di quelli provocati dagli uomini che si stavano addestrando con le spade. Oltre il fiume la luce
del sole rendeva il paesaggio uniforme. «In che misura la loro forza dipende da quella macchina e dall'abilità dei generali al comando del faris? Tale perdita sarebbe veramente così grave per lei?» chiese il visconte Beaumont. «Ho sentito di tutto da quando sono sbarcato a Calais, ma il 'Golem di Pietra'? Anche se fosse solo una diceria è una di quelle voci che valgono quanto un esercito» si intromise John de Vere prima che Ash potesse rispondere. «Ma se è solo una diceria» gli fece notare suo fratello George «non può essere distrutta. Sarebbe come cercare di tagliare il fumo con una spada.» «E dove si troverebbe? Sempre che esista. A Cartagine, o con il loro generale donna? Può essere ovunque. Chi ne conosce con certezza l'ubicazione?» Ash sentì che il picchio aveva smesso di lavorare. Oltre le tende e la palizzata vide i ragazzi che si addestravano con le fionde. «Se la macchina fosse al suo seguito, l'avremmo saputo» spiegò Ash. «Non è con lei, quindi vuol dire che è da qualche altra parte, ovvero nel cuore dell'impero visigoto, sorvegliata da un numero incredibile di guardie. Ecco perché può essere solo nella loro capitale.» Ash fece una pausa e sogghignò. «Proprio la città che avevo intenzione di razziare.» «'Se'» disse, laconico, il conte di Oxford. «Una cosa talmente unica può essere solo in quel luogo, Vostra Grazia. Riuscite a immaginare il califfo-re che la tiene fuori dalla città? Comunque possiamo procurarci le informazioni che ci servono. Godfrey è in contatto con i de Medici in esilio. Si può ricavare qualunque informazione da una banca.» «Di solito li ho sempre trovati piuttosto restii a cooperare con un Lancaster in esilio. Spero che il vostro prete abbia più fortuna» commentò John de Vere. «L'invasione è guidata dal faris. Quella donna è d'importanza vitale per tutta l'operazione, ma voi non riuscireste mai a raggiungerla. Quella donna è convinta a sua volta che la macchina sia d'importanza vitale per tutta l'invasione. Potete pensarla come volete» disse Ash tornando a sedersi «ma lei è convinta che sia stata la macchina a spiegarle come battere gli Italiani, i Tedeschi e gli Svizzeri.» Porse il bicchiere, poi, ricordandosi di aver fatto uscire tutti i paggi, lo posò sul tavolo. Allungò un braccio, prese la brocca, si versò una dose generosa di vino annacquato e ne bevve una lunga sorsata, consapevole
che il suo volto doveva essere rosso quanto quello di Anselm e Oxford. Riuscirò a cavarmela anche questa volta con poco, senza dovermi sbottonare troppo? si chiese Ash. «Siete molto ansiosa di andare a morire» le fece notare Oxford, tranquillo. «Sono molto ansiosa di combattere, vivere e venire pagata. Ho pochissimo denaro e...» Ash indicò con un dito la città e i campi degli altri mercenari che sorgevano vicino alla confluenza dei due fiumi «... ci sono un mucchio di altri posti dove i miei ragazzi possono guadagnarsi da vivere. Abbiamo bisogno di combattere. Ci hanno preso a calci in culo a Basilea e abbiamo bisogno di rispondere.» «Una battaglia contro qualcosa che potrebbe essere una diceria, un fantasma... niente?» insisté il nobile. No, questa volta non me la cavo con poco, concluse Ash. «E va bene» si arrese Ash. Fece roteare il vino che era rimasto nella coppa e alzò gli occhi per incontrare lo sguardo di sfida di de Vere. «Se voglio portare a termine il mio piano devo avere un'autorità che mi supporti con il denaro. E voi non mi darete né il denaro né l'autorità a meno che non siate convinto. È inutile negarlo, le cose vanno in questo modo, Vostra Grazia.» Godfrey Maximillian toccò la Croce di Rovi. Ash capì immediatamente quello che passava nella testa del religioso dall'espressione del suo volto e si meravigliò del fatto che anche gli altri non se ne fossero accorti. Solo la presenza del conte di Oxford stava impedendo al prete di chiederle ad alta voce se per caso aveva intenzione di dire che anche lei aveva sentito una voce fin da quando era bambina. «Capitano» esordì il giovane Dickon de Vere prendendo tutti alla sprovvista. «È vero quello che dicono i vostri uomini riguardo al fatto che anche voi sentite le voci proprio come la vergine francese?» L'occhiataccia del fratello maggiore lo fece zittire e arrossire. «Sì» confermò Ash. «È vero.» Gli inglesi cominciarono a discutere ad alta voce i loro punti di vista contrastanti e Ash nascose il volto per un attimo tra le mani. E se distruggendo il Golem di Pietra morissi anch'io? si chiese. «Guardatemi, Vostra Grazia» lo invitò Ash. Il conte la accontentò e lei riprese: «Io e il faris abbiamo lo stesso viso. Siamo praticamente gemelle.» «Siete un bastardo della sua famiglia?» Oxford arcuò le sopracciglia. «Sì, suppongo che sia possibile. Dovrebbe essere preoccupante?»
«Per dieci anni ho pensato di sentire la voce di un Leone.» Ash si fece il segno della croce senza neanche rendersene conto. Per un attimo i suoi occhi scivolarono sull'espressione pensierosa di Robert Anselm, sul volto inespressivo ed enigmatico di Angelotti, sull'espressione confusa di Geraint, quindi incrociarono l'occhiataccia di Floria e lo sguardo indagatore del conte. «Per dieci anni ho sentito la voce del Leone che mi parlava nel mezzo della battaglia. Ecco perché vengo chiamata la 'Leonessa'.» Sulla bocca di Ash apparve un sorriso obliquo. «Ci sono già state delle campagne causate da santi che dicevano di sentire la voce di Dio, non è un fatto così raro.» Risero tutti. Ash si concentrò sul conte. «Questa è una cosa che ho sempre cercato di tenere il più possibile segreta, ma anche voi sapete bene come sono i campi» disse Ash. «Mio signore, so che il faris sente una voce. L'ho sentita parlargli. Non ho mai sentito un Leone, ma la loro macchina da guerra. Lei può sentirla perché è stata allevata per farlo e io la sento perché in un certo senso siamo sorellastre.» Oxford la fissò e andò dritto al punto. «E loro lo sanno, signora?» «Oh, se lo sanno» rispose torva. Tornò a sedersi e posò le mani sull'armatura. «Ecco perché a Basilea mi hanno imprigionata.» Oxford schioccò le dita come per dire: «Ma certo!» «Se la voce è dalla parte di quella donna, voi potete ancora combattere?» chiese Dickon de Vere in tono candido. L'effetto della domanda era visibile anche sui volti dei suoi ufficiali. Sulle labbra di Ash apparve un sorrisetto. «Non so se posso combattere,» affermò, rispondendo al giovane nobile «ma posso provarvi che si tratta della stessa voce, della stessa macchina. Se non lo fosse,» concentrò lo sguardo su John de Vere «non sarebbero stati tanto ansiosi di imprigionarmi per portarmi a Cartagine e interrogarmi.» Uno sbuffo di vento portò l'odore dell'erba umida, del fiume, del sudore e del puzzo del campo. Ash allungò le mani e strinse una spalla di Godfrey e un braccio di Floria. «Cartagine mi vuole» affermò. «Non scapperò. Ho ottocento uomini con me e questa volta li porterò da loro.» Aveva gli occhi lucidi. Era una donna brillante, chiara e tagliente come una lama, con un sorriso che atterriva. Lo stesso che sfoderava in battaglia
e che spaventava i nemici perché era sereno, il sorriso di una persona a cui andava bene qualsiasi cosa. «Mi vogliono a Cartagine? Allora andrò a Cartagine!»
Fogli sparsi trovati inseriti tra la prima e la seconda parte di Ash: La storia perduta della Borgogna (Ratcliff, 2001), British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#135 (Anna Longman) Ash.i 15/11/00 ore 07,16 Ngrant@
Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Scusa, ma non ho dormito perché sono stato collegato tutta la notte con delle università in diverse parti del mondo. Hai ragione. È successo con tutti i manoscritti. Il CARTULARIO di St. Herlaine è scomparso del tutto. Esiste una copia dello Pseudo-Godfrey nella galleria dei falsi al V&A. Il testo dell'Angelotti e quello di del Guiz sono considerati romanzi medievali, leggende. Sono stati tolti dai documenti medievali dopo gli anni '30! Da quello che ho potuto scaricare, i testi sono rimasti invariati. L'unica cosa che è cambiata è la loro CLASSIFICAZIONE, da storia a romanzi. Ti posso solo chiedere di credermi quando ti dico che non sono un truffatore. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#80 (Pirce Ratcliff) Ash: documenti storici 10/11/00 ore 13,55 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli ancellati
Ti credo. Ho fiducia in te. Abbiamo controllato le fonti storiche prima di firmare il contratto. Sei onesto, Pierce. Ma anche gli onesti prendono degli abbagli. Mandami qualcosa sulle scoperte del dottor Napier-Grant. Scaricami delle immagini, ho bisogno di qualcosa da mostrare al MD o tutto va al
diavolo! — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#136 (Anna Longman) Ash: Scoperte archeologiche 15/11/00 ore 10,17 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Isobel non ha la minima intenzione di mettere delle foto del sito o dei golem su Internet. Dice che sarebbero di dominio pubblico in tutto il mondo in meno di mezz'ora. Suo figlio, John Monkham, tornerà dalla Tunisia la prossima settimana. Sono riuscita a persuadere Isobel a usarlo come corriere. Porterà delle copie delle foto fatte ai golem; ma rimarranno sempre in suo possesso. Isobel ti autorizza a mostrarle al tuo MD prima che John torni al sito. È il massimo che posso fare. —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#81 (Pirce Ratcliff) Ash: scoperte acheologiche 10/11/00 ore 10,30 Longman@
Pierce — Da' a John Monkman il numero di telefono, gli andrò incontro all'aeroporto. Anche se muoio dalla voglia di vedere questi goletti, so che dovrò attendere ancora un po'. Mentre aspetto vorrei sapere se hai qualche spiegazione per quello che sta succedendo.
— Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#136 (Anna Longman) Ash: testie 16/11/00 ore 11,49 Ngrant@ Format dell'indirizzo e altri dettagli ancellati
Francamente, no. Non ho la MINIMA idea del motivo per il quale quegli scritti sono stati classificati sotto la categoria 'Narrativa'. Ho esaurito tutte le spiegazioni possibili. Comunque HO un'idea. Io penso che c'entri la filosofia. Si tratta del Rasoio di Occam - se la più semplice delle spiegazioni per ogni evento è probabilmente quella vera, potrebbe essere che la RICLASSIFICAZIONE dei testi su 'Ash' sia stata un errore? Sai come vanno le cose con i database on line; se una delle università dovesse decidere che quel documento è un falso si produrrebbe un 'effetto cascata' che coinvolgerebbe tutte le università collegate in rete. E il documento si perderebbe o verrebbe mal classificato. Ho passato una notte insonne con questo pensiero come mia unica consolazione. Ho verificato. Purtroppo stamattina, svegliato dal rumore ormai familiare dei camion che arrivavano al sito, mi sono reso conto di aver lavorato troppo con la fantasia. È impossibile che si sia verificato un effetto cascata tra i database perché non avrebbe influito su quelle biblioteche che non sono collegate in rete. No, non ho nessuna idea di quello che sta succedendo. Quando sono riuscito ad avere accesso alla sezione 'manoscritti' della British Library, i documenti che ho consultato erano semplicemente classificati sotto la voce 'Storia Medievale'. Non so spiegare come mai, a quanto pare, questi documenti siano stati riclassificati negli anni trenta. Non so che cosa stia succedendo, ma so che corriamo il rischio di vedere Ash scomparire come una bolla di sapone dalla storia per essere relegata nell'immaginario popolare diventando un personaggio la cui veridicità storica sarà pari (se non inferiore) a quella di re Artù o Lancillotto. Tuttavia, ero e rimango convinto che abbiamo a che fare con essere umano in carne
e ossa, sotto la concrescenza del tempo. Inoltre, ciò che mi rende veramente perplesso è che quanto è stato ritrovato in questo sito non solo avvalla la mia teoria di una cultura visigota nel Nord Africa, ma anche gli aspetti più STRANI di quella cultura come la padronanza della tecnologia post-romana nove secoli dopo. Se pensavo che l'idea dei Visigoti in questa zona dell'Africa potesse essere improbabile, ero addirittura sicuro che la loro tecnologia fosse mitologia pura! E invece eccola qua! Non riusciamo ancora a capirne il funzionamento. È abbastanza per farmi pensare a Vaughan Davies. Forse non sai guanto suona strana la sua introduzione ad ASH: UNA BIOGRAFIA. È qualcosa che si tende a ignorare a causa dell'alto grado culturale dello scrittore e dell'accuratezza delle sue traduzioni. Riguardo alle 'concrescenze' sui vari testi sostiene che la difficoltà non erano i miti cresciuti intorno ad Ash, ma il fatto che era lei stessa a disseminarli. Ti copio la parte più interessante: (...) L'ipotesi che io {Vaughan Davies} trovo più accettabile è che nella storia di 'Ash', o in quella che si suppone tale, lo storico si trovò di fronte, tra le altre cose, al prototipo della leggenda della Pulzella, Giovanna da Domremy, che la storia ci ha tramandato con il nome di Giovanna d'Arco. Questa teoria può sembrare in contrasto con la ragione. Le vicende di Ash si svolgono chiaramente nel terzo quarto del quindicesimo secolo. È impossibile datare i manoscritti a un periodo precedente al 1470. Giovanna d'Arco fu messa al rogo nel 1431. Accettare il fatto che Ash sia una prefigurazione di Giovanna come archetipo della donna-guerriero è una follia pura e semplice poiché Giovanna visse prima di lei. Comunque, io credo che sia stata la leggenda di Ash, redentrice della sua terra, ad essere accollata alla rapida carriera della giovane francese che, è necessario ricordarlo, divenne soldato a diciassette anni e morì a diciannove dopo avere cacciato gli Inglesi dalla Francia, e non la storia di Giovanna a diventare il ciclo di 'Ash'. Il lettore si chiederà come sia successo. La spiegazione è piuttosto semplice. Se le narrazioni non risalivano al tardo, bensì al primo Medio Evo, allora le riproduzioni nel 1480 possono averle portate alla conoscenza di tutti. Con l'invenzione della stampa, gli autori si limitarono semplicemente a riscrivere le loro narrazioni in termini più moderni. In quel periodo riprodurre, per esempio, scene dalla Bibbia o
dalla letteratura classica, adattandole agli usi e ai costumi del quindicesimo secolo era un'operazione piuttosto comune. In questo caso, comunque, ci sì può chiedere come mai non esistessero manoscritti sulla vita di Ash prima del 1470. Come possiamo spiegarlo? Io credo fermamente che le storie su Ash non siano frutto di invenzioni, che siano storia e che interessino non solo la nostra storia. Sono convinto che la Borgogna sia effettivamente 'scomparsa'. Quando dico scomparsa non voglio dire che ci fu un calo d'interesse riguardo quel regno, cosa a cui avrebbe potuto porre rimedio uno storico diligente, ma intendo dire che ne venne cancellata ogni traccia. Quello che rimane nei nostri libri è solo un'ombra. Ma tale scomparsa molto probabilmente lasciò una traccia nell'inconscio collettivo dell'Europa: e uno dei risultati fu un'oscura contadina francese. Sono più che consapevole che quanto ho affermato richiederebbe la creazione spontanea della documentazione su Giovanna d'Arco. Accettando questa realtà si comincia a capire come si sono svolti veramente i fatti, a partire da alcuni frammenti sulla scomparsa della Borgogna conosciuta da Ash. Frammenti che si spingono avanti e indietro nel tempo, impalati lungo lo scorrere della storia e che per sopravvivere presero una 'connotazione locale' creando dozzine di leggende. La storia di questa prima Borgogna ci circonda ancora. È ovvio che la mia teoria si può smontare, ma io la considero valida e razionale; (...) Sono sempre stato attratto da questa teoria stravagante - l'idea che la Borgogna scomparve dalla storia dopo il 1477, come effettivamente successe, ma che possiamo trovarne tracce tramite le vicende di altri personaggi storici: nelle azioni di uomini o donne. Il ritratto della Borgogna si fa strada nella storia come una sorta di rompicapo che può diventare visibile per coloro che hanno voglia di guardare. È ovvio che non si tratta di una teoria nel senso stretto del termine. Davies dice chiaramente che è una sua 'credenza'. Era solo un accademico che si divertiva a speculare su un argomento basandosi sul concetto di 'Borgogna perduta' espresso da Charles Mallory Maximillian per portarlo poi a una conclusione logica. Il problema è che questa è solo metà della sua introduzione di 'ASH: UNA BIOGRAFIA.' La teoria è incompleta - quali sono le basì razionali sulle quali l'ha enunciata? Non abbiamo nessuna idea di quale fosse la teo-
ria di Vaughan Davies. Ho consultato l'edizione economica del libro di Davies, pubblicata durante la guerra, custodita nella British Library e, come ben sai, sembra che non ci siano altre copie esistenti di questa seconda edizione. (Presumo che le scorte siano state distrutte dopo il bombardamento del 1940.) Dopo sei anni di ricerche approfondite non sono riuscito a trovarne nessuna copia integrale. Se ti metti a cercare delle prove su questa teoria potresti cominciare a pensare che il professore fosse un eccentrico. Comunque, è meglio non liquidarlo così su due piedi. Nel 1930 non erano molte le persone che avevano un dottorato in storia, uno in fisica e la cattedra a Cambridge. Molto probabilmente era fortemente interessato alla teoria fisica dei mondi paralleli. Posso capire come mai: in un certo senso, la storia è come, un universo fisico, e, se dobbiamo credere agli scienziati, allora è tutto fuorché concreta. Si sa così *poco*. E io, come altri miei colleghi storici, cerchiamo di scrivere la storia partendo da quel poco. Nelle università insegnano che la gente si sposava a una certa età, che molte donne morivano di parto, che molti facevano un particolare apprendistato, che i mulini ad acqua segnarono l'inizio della 'rivoluzione industriale del Medio Evo' - ma se qualcuno chiedesse a uno storico cosa successe a una persona in quel tal giorno, allora non saprebbe rispondere. *Facciamo congetture.* C'è spazio per moltissime cose nelle pieghe della storia. Se non avessi *toccato* il golem con le mie mani mi sarei arreso e avrei abbandonato il progetto (non ho bisogno di vedere rovinate la mia reputazione accademica e la possibilità di pubblicare). Comunque, quello che sto per dire è una sorta di avviso. In seguito alla pressante insistenza di Isobel sto continuando la traduzione del nucleo di questo libro - il documento al quale qualcuno, diversi anni dopo, aggiunse una frase buffa, 'Fraxinus me fecit': 'Fui fatto da Ash'. Essendo Ash praticamente analfabeta è molto probabile che questo documento sia stato dettato a un monaco o a uno scriba, quindi non possiamo sapere cosa sia stato aggiunto e cosa sia stato omesso. Detto questo credo che il documento sia veritiero. Colma il vuoto tra la presenza di Ash all'assedio di Neuss e quella in Borgogna negli ultimi mesi del 1476 e la sua morte a Nancy il 5 gennaio 1477. Risolve il problema conosciuto da tutti come quello 'dell'estate mancante.' Sono arrivato al punto nel quale si fa maggiore luce sulla permanenza di Ash a Digione già descritta negli scritti di Angelotti e del Guiz. Tradurla
ora, con un golem a pochi metri da me, nella tenda accanto, dall'altra parte di una parete di tela, fa sorgere in me una domanda. Una domanda molto seria che quando me la sono posta tempo fa mi era sembrata uno scherzo. Se i golem messaggeri sono veri, cos'altro lo è? — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
(Pierce Ratcliff) Ash: documenti storici 16/11/00 ore 24,08 Format dell'indirizzo Longman@ e altri dettagli ancellati
Se 'l'Angelotti' e il resto degli altri manoscritti non sono veri, cos'altro c'è di falso? — Anna
QUINTA PARTE 17 AGOSTO - 21 AGOSTO AD 1476 Il campo di battaglia I Il frastuono prodotto dai mulini ad acqua aleggiava sulla città di Digione. Il sole splendeva sui fiori gialli. Le matasse dei viticci si avvinghiavano al terreno marrone. I contadini lavoravano nei campì. Ash fece superare a Godluc una lunga fila di carri trainati dai buoi e imboccò il ponte che portava a Digione nel momento stesso in cui le campane battevano le cinque meno un quarto del pomeriggio. Bertrand le infilò i guanti imbottiti e arretrò nuovamente a fianco di Rickard. I due paggi correvano dietro al drappello avvolti nella nuvola di polvere sollevata dai cavalli. Ash si allontanò dagli uomini della compagnia che aveva mandato in esplorazione e tornò il più velocemente possibile da John de Vere per fare rapporto. «Mio signore, Oxford.» Ash alzò la voce e sollevò appena la testa. I vari odori che permeavano l'aria, sudore, sterco di cavallo, alghe e pietra surriscaldata, le fecero rizzare i capelli sulla nuca. Alzò la visiera per rinfrescarsi il viso con la brezza proveniente dal fiume che fungeva anche da fossato naturale per la città. «Ho ricevuto un rapporto sullo schieramento visigoto fuori di Auxonne» esordì il conte. «Sono circa dodicimila uomini.» Ash confermò la notizia con un cenno del capo. «Lo stesso numero che si trovava fuori Basilea. Non so a quanto ammontino gli altri due contingenti. Dovrebbero essere uguali, forse più grandi. Uno si trova sui territori di Venezia per spaventare i Turchi e impedirgli di muoversi, l'altro è in Navarra. Nessuno dei due ci può raggiungere velocemente. Ci impiegherebbero più di un mese anche se avanzassero a marce forzate tutti i giorni.» La ruota di un mulino girava rapidamente permeando l'aria con un odore di bruciato e una nebbiolina dorata. Le maglie di anelli metallici delle guardie al cancello e gli abiti della gente che lo attraversava in entrata e in uscita erano di ottima fattura. Digione è una miniera d'oro, pensò Ash per cercare di rilassarsi.
«Ecco la nostra scorta» annunciò John de Vere lasciando al tempo stesso che suo fratello George lo superasse per andare a parlare con i nove o dieci cavalieri burgundi in corazza completa che li aspettavano per condurli a palazzo. De Vere si girò verso Ash. «Avete pensato, signora, che sua grazia il duca di Borgogna potrebbe offrirvi un contratto? Io non posso finanziare questa incursione a Cartagine.» «Ma tra noi c'è già un contratto» rispose Ash, in tono tranquillo. «Mi state dicendo di trovare qualche pretesto per non tenere fede alla mia parola - che non ho dato personalmente - con un conte inglese in esilio, perché il ricchissimo duca di Borgogna vuole la mia compagnia...?» John de Vere la fissò con aria risoluta. «La Borgogna è un regno ricco» rispose in tono piatto. «Io sono un Lancaster. Forse sono l'ultima possibilità data alla mia fazione e al momento, mia signora, sono al comando di tre fratelli e quarantasette uomini. Ho abbastanza denaro da sostentarli ancora per sei settimane. Questo fatto non fa pendere l'ago della bilancia dalla mia parte visto che il duca di Borgogna è abbastanza ricco da potersi comprare tutta l'Inghilterra, se volesse...» «Voi siete il mio lord, non prenderei in considerazione un'offerta da parte dei Burgundi neanche per un minuto» disse Ash con lo stesso tono di voce del nobile. «In quanto capitano mercenario la vostra merce più preziosa è la parola e la reputazione.» «Non ditelo ai miei ragazzi. Devo ancora trovare il modo di far accettare loro l'idea di Cartagine...» bofonchiò Ash. George de Vere stava prendendo gli ultimi accordi con i cavalieri della scorta per decidere chi dovesse marciare davanti e altre questioni gerarchiche. La pavimentazione delle strade faceva dolere gli zoccoli di Godluc e Ash gli posò una mano sul collo per rassicurarlo. Il cavallo nitrì e rizzò la testa di scatto: aveva voglia di mettersi in mostra davanti agli abitanti di Digione. Intorno a loro le mura bianche e i tetti azzurri della città brillavano sotto il sole. Ash parlò ad alta voce per farsi udire sopra il frastuono dei mulini. «Questo luogo sembra uscito dal mio breviario, mio signore.» «La stessa cosa vale per voi e per me, signora!» «Dannazione. Lo sapevo che avrei sentito la mancanza della corazza...» George de Vere si girò e fece loro cenno di avanzare. Ash si affiancò al conte di Oxford che, sorridente, si andò a posizionare tra i cavalieri bur-
gundi. Si avviarono con calma. Sebbene i cavalieri della scorta portassero le insegne rosse del duca Carlo, il drappello si aprì la strada con una certa fatica tra i gruppetti di apprendisti fuori dei laboratori, le donne che compravano al mercato e i carri che andavano avanti e indietro dai mulini. Ash alzò la ventaglia dell'elmo e sorrise di rimando ai commenti e ai saluti dei cittadini. «Thomas!» sibilò. Thomas Rochester piantò i talloni nei fianchi del castrato e si riunì rapidamente al gruppo. Una ragazza sporta da una finestra al secondo piano di una casa lo osservò allontanarsi. «Calmati, ragazzo.» «Sì, capo!» Fece una pausa. «Non c'è tempo per un po' di divertimento?» «Non per te...» disse Ash, quindi esercitò una leggera pressione sui fianchi del cavallo e si portò alla sinistra del conte di Oxford. «Pensavo che non avreste mai rotto una condotta, signora. Tuttavia, vedo che ci state pensando.» «No, io...» «Invece sì. Perché?» Ash non rispose immediatamente al nobile. Non si sentiva in soggezione, ma non voleva farsi udire dai cavalieri burgundi. Si diede un'occhiata sospettosa intorno e sussurrò: «Sono la prima a dire che dovremmo fare un'incursione a Cartagine, ma questo non significa che la cosa non mi spaventi! Ricordo bene l'esercito di Carlo di Borgogna fuori delle mura di Neuss: ventimila uomini ben addestrati, con armi e viveri di ottima qualità. Devo dire che se mi fosse dato di scegliere, preferirei avere quei ventimila uomini tra me e il califfo-re piuttosto che quarantasette soldati e i vostri fratelli! La cosa vi sorprende?» «Solo gli stupidi non hanno paura, signora.» Arrivarono in un punto in cui il baccano provocato dai mulini era tale da rendere impossibile una conversazione a bassa voce. Digione si ergeva sulla lingua di terra simile alla punta di una freccia formata dalla confluenza tra i fiumi Suzon e Ouche. Ash cavalcava lungo le sponde del fiume che in quel punto scorreva all'interno della cinta muraria. Osservò le pale dei mulini che brillavano alla luce del sole a causa del sottilissimo velo d'acqua che le ricopriva. Il fiume aveva un colore nerastro e sembrava avere la stessa consistenza di una lastra di vetro. Ash avvertiva il richiamo esercitato dall'acqua.
Superarono il mulino più vicino. Non potendo parlare, Ash si limitò a studiare le strade che stavano calcando. Alcuni uomini con i pantaloni rivoltati fino quasi alle ginocchia erano intenti a fissare al mozzo la ruota di un carro. Videro il manipolo, si fecero da parte e si tolsero i cappelli di paglia. Ash notò che il gesto non era stato né rapido né timoroso. Un membro della scorta fermò il cavallo e si mise a parlare con uno degli uomini. Ash vide di sfuggita che poco più avanti la strada si allargava per poi sfociare in una piazza triangolare circondata da palazzi sui quali spiccavano delle vetrate bellissime e colorate. I fiumi passavano su entrambi i lati della piazza che era stata costruita proprio in prossimità della confluenza dei due corsi d'acqua. Le guardie che si trovavano sulle alte mura si sporsero dai bastioni osservando la scena con interesse. Erano puliti, ben armati e dai loro volti si capiva che nessuno di loro aveva patito la fame da lungo tempo. «Dovete capire, Vostra Grazia» disse Ash «che si sta spargendo la diceria che io sento le voci, che non le sento, che il Leone Azzurro è ancora sotto contratto con i Visigoti perché io sono la sorella del faris e un sacco di altre stupidaggini del genere.» «Voi non volete abbandonarmi?» le chiese de Vere fissandola dritta negli occhi. «Non ne ho la minima intenzione.» «Gli obblighi di un contratto funzionano a doppio senso, signora.» Il tono di voce indurito dal campo di battaglia di de Vere non diede un'enfasi particolare alla frase, ma Ash non riuscì a rispondere con il suo solito cinismo. Il sole l'abbagliava. Cercò di assumere un tono il più risoluto possibile e disse: «Il loro generale, il faris, è nata da una famiglia di schiavi. Lei non fa nulla per nasconderlo. Io... le somiglio come una goccia d'acqua. Cosa sono, quindi?» «Una persona coraggiosa» rispose il nobile, gentilmente. La fissò negli occhi, ma lei distolse lo sguardo. «Visto che» continuò il conte di Oxford «il vostro modo per nascondervi da quella donna è propormi di attaccare la loro capitale. Una simile iniziativa potrebbe farmi dubitare della vostra fedeltà nei miei confronti, ma non è così. In ogni modo i pensieri sono per loro stessa natura delle astrazioni. Speriamo che il duca sia d'accordo.» «Se non dovesse esserlo» disse Ash fissando i cavalieri della scorta «c'è ben poco che possiamo fare. Siamo cotti e panati. Quello è un uomo molto
ricco e potente. Il suo esercito si trova appena fuori delle mura della città. Guardiamo in faccia la verità, due ordini e io divento il suo comandante mercenario, non il vostro.» «Ho delle responsabilità nei confronti dei miei fratelli e nei confronti dei miei parenti acquisiti 97 ! E per qualcuno che ho preso sotto la mia protezione» sbottò il nobile. «Non tutti la pensano così a riguardo di una condotta...» Ash tirò le redini in modo da rallentare e poter guardare in volto il suo datore di lavoro. «Ma per voi è diverso, giusto?» Ash lo fissò e in quel momento il suo sospetto che la gente avrebbe seguito John de Vere anche nella più folle delle imprese chiedendosi solo in seguito, quando era ormai troppo tardi, il motivo di tale decisione, trovò una conferma. Fece un respiro profondo. Si sentiva strana con indosso la brigantina. Aveva l'impressione che le andasse stretta. Godluc dilatò le grosse narici e sbuffò sonoramente. Ash spostò il peso all'indietro senza neanche pensarci per fermare il cavallo e capire cosa lo preoccupasse. A circa duecento metri da loro, una fila di papere uscì dall'acqua e attraversò la strada. I piccoli anatroccoli preceduti dalla mamma si diressero verso il mulino che si trovava sulla riva dell'altro fiume. Dodici cavalieri burgundi, un conte inglese con i fratelli al seguito, un visconte e un capitano mercenario donna con tanto di scorta si fermarono e attesero che le nove papere fossero passate. Ash si sporse dalla sella per rivolgersi a John de Vere, ma in quel momento la sua attenzione fu attratta dalle bianche mura gotiche, dai tetti di ardesia blu, dalle torri e dagli spalti sui quali garrivano centinaia di bandiere del palazzo ducale di Digione. «Bene, signora» disse il conte, accennando un sorriso. «La corte burgunda non ha rivali in tutta la Cristianità. Vediamo cosa pensa di fare il duca della mia pulzella e delle sue voci.» Ash scese da cavallo e fu accolta da Godfrey Maximillian che la seguì insieme con Thomas Rochester e gli altri uomini della scorta. Il palazzo era una costruzione imponente che la lasciò senza parole. Le colonne alte e sottili incorniciavano le lunghe finestre che terminavano a sesto acuto. Tutta la pietra era di colore bianco e biscotto. Sembra che tutto 97
Per parenti acquisiti di un potente signore feudale si intendevano i signori alle sue dipendenze mantenuti nella sua tenuta, altri signori feudali che erano i suoi alleati politici.
il palazzo sia stato decorato con il miele, pensò Ash nel vedere i riflessi provocati dalla luce del sole sulle pareti. Chiuse la bocca e seguì John de Vere. Udì uno squillo di tromba e una voce che pronunciava i loro nomi e il loro livello nella scala sociale. La voce dell'araldo era abbastanza forte da far vibrare le bandiere che pendevano ai lati della sala. Un centinaio di volti si girarono a fissarla. I presenti erano tutti vestiti in blu. Lanciò una rapida occhiata alle tonalità zaffiro, acquamarina, blu reale, indaco e blu, alle signore eleganti e al lungo abito color azzurro acqua indossato da Margherita di York. Ash continuava a rimanere nella scia del conte di Oxford e provava la netta sensazione che le sue gambe si stessero muovendo spinte da una volontà propria. Godfrey le si avvicinò. «Ci sono dei Visigoti» le sussurrò all'orecchio. «Cosa?» «Sono una delegazione di ambasciatori, ma non è chiaro a nessuno quale sia il loro rango vero e proprio.» «Proprio qua? A Digione?» «Sono arrivati a mezzogiorno, o almeno così mi hanno detto.» «Chi sono?» Il prete lanciò una rapida occhiata alla folla. «Non sono riuscito a sapere i loro nomi.» Ash aggrottò la fronte e smise di osservare la profusione di spille tempestate di gioielli appuntate sui copricapo delle donne, le collane d'oro e d'argento al collo dei nobili, le piastre di rame cucite sui farsetti dei cavalieri più giovani e gli abiti quasi trasparenti delle nobildonne. «I nomi, Godfrey! Non dirmi che non li sai. Hai una rete di informatori molto efficiente in questa città. Chi sono?» Il prete rallentò in modo da rimanere indietro e Ash non chiese altro altrimenti avrebbe attirato troppo l'attenzione. Strinse un pugno e per un attimo che sembrò durare un'eternità il suo unico pensiero fu quello di voler colpire il religioso. «Vostra Grazia era al corrente della presenza di una delegazione di ambasciatori visigoti in questa corte?» domandò Ash rivolgendosi al nobile inglese senza guardarlo in volto. «Per le palle di Dio!» «Devo prenderlo come un no, giusto?» La scorta continuò a guidarli lungo la sala. Ash non era dell'umore giusto per apprezzare i quadri all'interno delle nicchie ricavate nelle pareti o
gli arazzi sui quali erano state raffigurare epiche battute di caccia. Sopra il salone le finestre ogivali e i gruppi di colonne lasciavano intravedere i tetti del palazzo ducale e i pinnacoli di pietra bianco-oro che si innalzavano verso il cielo. Delle colombe passarono davanti ai vetri. Ash abbassò lo sguardo e si fermò di scatto. Dickon de Vere la urtò. Entrambe le scorte si aprirono per lasciare passare i fratelli de Vere in modo che potessero affiancarsi al conte di Oxford. Godfrey continuava a rimanere in disparte. L'espressione del volto era calma e i suoi occhi, come quelli dei nobili e degli altri uomini di chiesa presenti nella sala, non lasciavano trapelare nulla. Ash continuava a guardarsi intorno in cerca dei Visigoti, ma non vide nessuno. John de Vere si inginocchiò imitato dai fratelli e da Ash. Sul trono ducale sedeva un uomo dall'aria giovanile. Il nobile indossava un farsetto e teneva la testa leggermente inclinata di lato per conferire con l'uomo al suo fianco. Ash fissò quel volto dall'espressione tetra, i capelli lunghi fino alle spalle e si rese conto che doveva trovarsi al cospetto di Carlo, duca di Borgogna, vassallo di Luigi XI, il più splendido dei re 98 . «Un giorno infausto, allora?» esordì tranquillo il duca, come se non si preoccupasse per nulla di farsi sentire. «No, sire.» L'uomo al suo fianco fece un inchino. Indossava un abito lungo con le maniche arrotolate e teneva tra le braccia un fascio di carte sulle quali spiccavano dei diagrammi di ruote e quadrati. «Diciamo che ci potrebbe essere l'opportunità di raddrizzare un antico torto.» Il duca gli fece cenno di allontanarsi e concentrò la sua attenzione sugli inglesi inginocchiati di fronte a lui. Indossava un abito bianco che, colore a parte, spiccava per la semplicità del taglio. Deve rappresentare una virtù, pensò Ash, Nobiltà, Cavalleria o Castità, forse. Mi chiedo se anche noi siamo così. «Mio signore di Oxenford» disse il duca in tono piacevole. «Sire.» De Vere si alzò in piedi. «Ho l'onore di presentarvi il mio capitano mercenario che Vostra Grazia aveva desiderio di vedere. Ash.» «Sire.» Ash si alzò in piedi. Alle sue spalle Thomas Rochester ed Euen Huw reggevano lo stendardo del Leone Azzurro e Godfrey stringeva un salterio. Ash si lisciò i capelli sul lato sinistro del volto per coprire la cicatrice ancora in via di guarigione. 98
Nato a Digione nel 1433, all'epoca dei fatti narrati il duca Carlo aveva quarantatré anni.
L'uomo relativamente giovane che si trovava sul trono, doveva avere circa una trentina d'anni, si sporse in avanti posando un braccio sul bracciolo e fissò Ash con i profondi occhi neri. Un debole accenno di colore gli comparve sulle guance pallide. «Voi avete cercato di uccidermi!» Ash intuì che quello non era il momento giusto per sorridere. Non sembrava che il Valois che ora sedeva sul trono di Borgogna fosse un uomo facile da affascinare, quindi continuò a mantenere un'espressione seria, umile, rispettosa e rimase in silenzio. «Vi siete procurato un guerriero degno di nota, de Vere» si congratulò il duca, quindi distolse lo sguardo dal condottiero mercenario e si rivolse brevemente alla donna al suo fianco. Ash aveva notato che la moglie del nobile non aveva tolto gli occhi di dosso al conte di Oxford neanche per un istante. «Forse» esordì Margherita di York, parlando ad alta voce «è giunto il momento che quest'uomo ci dica il motivo della sua visita, sire.» «Avete ragione, mia signora.» Il duca fece un rapido cenno a due consiglieri, conferì con loro per qualche attimo e tornò a fissare il gruppo di fronte a lui. Ash valutò rapidamente quanto costasse la semplicità del duca: i bottoni dell'abito erano dei diamanti e il filo delle cuciture sembrava essere d'oro... Quell'uomo spiccava come un fiocco di neve in quel mare di blu. L'elsa della daga era d'oro e tempestata di perle. «È nostra intenzione scoprire» disse il duca «cosa sapete di questo faris, signora Ash.» Ash deglutì e cercò di parlare in un tono di voce che fosse udibile in tutto il salone. «Per il momento quello che sanno tutti, sire. Quella donna è al comando di tre eserciti, uno dei quali si trova al confine meridionale di questo regno. Combatte ispirata da una voce che lei sostiene provenire da una Testa di Ottone o un Golem di Pietra che si trova dall'altra parte del Mediterraneo, a Cartagine» spiegò Ash. Aveva una certa difficoltà a rimanere lucida sotto lo sguardo di Carlo. «Io stessa l'ho vista parlare con quella macchina. Per quanto riguarda il resto: i Goti hanno bruciato Venezia, Milano e Firenze perché non ne avevano bisogno. Hanno un flusso di rifornimenti via nave apparentemente interminabile che attraversa in continuazione il Mediterraneo.» «Questo faris sa cosa sia l'onore? È una sorta di Bradamante99 ?» chiese 99
Leggendaria donna guerriero di cui parla l'Ariosto nel suo Orlando Furioso (1516).
il duca Carlo. Ash decise che era giunto il momento di mostrare il lato meno formale del suo carattere. «Bradamante non mi avrebbe mai rubato la mia armatura migliore per tenersela, sire!» rispose in tono piuttosto amareggiato. Un'ondata di tenue ilarità sembrò dilagare per la corte, ma il tutto si spense nell'attimo stesso in cui i presenti si accorsero che il duca non stava sorridendo. Ash sostenne lo sguardo del nobile, che, vista la bruttezza del viso e il colore degli occhi non poteva essere altro che un Valois, e aggiunse: «Per quanto riguarda i cavalieri, sire, non mi sembra che il punto di forza del loro esercito sia la cavalleria pesante. Hanno una cavalleria media, un grandissimo numero di fanti e i golem.» Il duca Carlo lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche che fece un cenno con il capo ad Ash e scese dalla predella sulla quale si trovava. Il duca gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Il militare annuì, si inginocchiò, baciò la mano del suo sovrano e uscì dalla sala a grandi passi. «Questi uomini privi di onore che vengono dal Sud» disse Carlo, rivolgendosi anche ai presenti «hanno osato privare del sole noi Cristiani per farci piombare nel Crepuscolo Eterno che oscura le loro terre. Essi non hanno espiato il peccato dello Scranno Vuoto. Noi non siamo mondi dal peccato! Ma non meritiamo di essere privati del sole che è il Figlio.» Ash decifrò quella frase dopo aver lanciato un'occhiata a Godfrey e annuì. «Quindi..» il duca si interruppe a causa del brusio insistente della moglie che sedeva al suo fianco su un trono più piccolo. Ci fu uno scambio di opinioni breve e piuttosto secco. «Se servirà a farvi sentire più tranquilla, allora potete chiedere» disse il duca di Valois dopo aver gratificato la moglie con uno sguardo magnanimo. «De Vere!» chiamò. «Lady Margaret desidera parlarvi.» «Questa sarebbe la prima volta che succede!» commentò sottovoce, George de Vere che si trovava poco dietro Ash. Dickon represse una risatina. La nobildonna inglese fissò de Vere, i suoi fratelli e Beaumont, ignorando Ash, il prete e lo stendardo. «Perché siete venuto qua, Oxford? Sapete bene di non essere il benvenuto. Mio fratello, re Edoardo, vi odia. Perché mi avete seguita fin qua?» «Non ho seguito voi, signora.» John de Vere parlò in tono secco senza rivolgersi alla donna con il suo titolo nobiliare. «Sono venuto per vostro marito. Devo fargli una domanda ma, dato che c'è un esercito al confine, la
domanda può aspettare.» «No! Parlerete adesso!» Ash, conscia del fatto che ci fossero molte questioni in gioco in quel momento, pensò che Margherita di York non doveva essere una donna solitamente così impetuosa. Ci deve essere qualcosa che le rode dentro, concluse. «Non è il momento» tagliò corto il duca di Oxford. Carlo di Borgogna si inclinò in avanti aggrottando la fronte. «Se la mia duchessa pone una domanda, vuol dire che è il momento di rispondere, de Vere. La cortesia è una delle virtù dei cavalieri.» Ash lanciò una rapida occhiata a de Vere. L'Inglese strinse per un attimo le labbra poi l'espressione del volto si rilassò e abbozzò un sorriso. «Parlerò, visto che è desiderio di vostro marito. Sua grazia re Enrico VI è morto senza lasciare nessun erede diretto100 . Sono venuto a chiedere al primo discendente dei Lancaster di attrezzare un esercito e tornare in patria in modo che in Inghilterra ci sia un re legittimo invece che vostro fratello.» E io che credevo di essere priva di tatto, pensò Ash. Ash sfruttò il trambusto creato dalla dichiarazione per girarsi rapidamente e valutare la distanza che la separava dalle porte e dalle guardie. Grandioso, pensò. Il faris mi ha messo in prigione. Sono arrivata qua, stipulo una condotta con de Vere e lui ci fa imprigionare tutti. Non volevo che andasse a finire così! Il suono di uno strappo echeggiò nell'aria: Margherita di York aveva stretto il velo del suo vestito con tanta forza da lacerarlo. «Mio fratello Edoardo è un grande re!» «Vostro fratello Edoardo ha fatto sbudellare mio fratello Aubrey, dopodiché, mentre era ancora in vita, gli ha strappato il pene e glielo ha bruciato davanti agli occhi. Tipica esecuzione yorkista. Vostro fratello ha fatto tagliare la testa di mio padre senza avere il minimo appoggio della legge inglese visto che non ha alcun diritto di sedere su quel trono!» tuonò il conte di Oxford facendo sobbalzare Ash. «Il trono d'Inghilterra ci spetta di diritto» replicò Margherita scattando in piedi. 100
Enrico VI e Margherita d'Angiò ebbero un solo figlio, Edoardo che fu ucciso nella battaglia di Tewkesbury. Ogni pretesa al trono d'Inghilterra da parte di un Lancaster doveva essere fatta solo appellandosi a un parente alla lontana (Enrico Tudor, il cui nonno gallese sposò la vedova di re Enrico V). Nel frattempo Edoardo IV, uno York, sedeva sul trono.
«Ma il vostro diritto non è altrettanto legittimo quanto quello di vostro marito!» Il silenzio calò sulla sala come un colpo di spada. Ash si rese conto che stava trattenendo il respiro. I fratelli de Vere osservavano la folla impettiti e con le mani posate sui foderi. Il conte di Oxford fissò per qualche attimo ancora la donna sul trono con uno sguardo degno di un uccello predatore, quindi si concentrò su Carlo e inclinò leggermente la testa in segno di saluto. «Voi dovreste sapere, sire, che essendo il pronipote di John di Guant e Bianche dei Lancaster in questo momento siete l'unico Lancaster che possa accampare dei diritti sul trono d'Inghilterra 101 .» Siamo morti, pensò Ash, mentre stringeva le mani dietro la schiena per impedirsi di toccare la spada che portava al fianco. Siamo fatti, continuò a pensare. Siamo belli che morti. Cristo, Oxford non potresti tenere la bocca chiusa quando qualcuno ti chiede di dire la verità? «Se la cosa non funziona possiamo sempre invadere la Cornovaglia...» disse Ash senza quasi rendersene conto. L'istante di silenzio che seguì fu abbastanza lungo da mozzarle il fiato. Il duca Carlo accennò un sorriso e la sala scoppiò in una risata generale. «Nobile duca» incalzò Ash «il Delfino di Francia ha avuto la sua Pulzella. Mi dispiace di non poter essere altrettanto per voi, ma dopotutto sono una donna sposata. Tuttavia spero di essere anch'io nelle grazie di Dio come è stato per Giovanna. Se voi mi darete non delle truppe, ma un finanziamento allora cercherò di fare quello che lei ha fatto per la Francia. Ucciderò i vostri nemici, sire.» «E cosa potrebbero fare le vostre settantuno lance per la Borgogna, signora?» chiese il duca. Ash arcuò un sopracciglio: neanche Anselm era riuscito a darle un computo tanto esatto delle loro forze. Continuò a tenere la testa alta consapevole del fatto che in quel momento poteva contare solo sull'espressione del suo volto e che se avesse indossato l'armatura completa avrebbe fatto una figura migliore. «Sarebbe meglio non parlarne davanti a tutti, sire.» Il duca di Borgogna batté le mani e il suono delle trombe echeggiò nella sala. Le dame che sedevano ai lati della sala si alzarono e furono accom101
Infatti, Carlo registrò la sua richiesta formale di ascendere al trono di Inghilterra nel 1471, cinque anni prima di questo incontro, ma la cosa non ebbe alcun seguito.
pagnate all'uscita dai loro cavalieri. Ash, Godfrey e i fratelli de Vere furono fatti entrare in una stanzetta laterale. Qualche minuto dopo Carlo di Borgogna li raggiunse in compagnia di una manciata di consiglieri. «Avete sconvolto la regina di Bruges» disse, rivolgendosi a Oxford. Ash guardò stupita i due nobili. «Mia moglie è il governatore di quella città e di tanto in tanto è chiamata regina» spiegò il duca di Valois accomodandosi su una sedia. Si era sbottonato parte del vestito rivelando la maglia dorata sottostante. «Non le piacete per niente, mio caro conte di Oxford.» «Mi sarei stupito del contrario» disse Oxford. «Siete stato voi a costringermi a parlare.» «È vero.» Il duca si concentrò su Ash. «Mi avete portato una folle interessante. È giovane» aggiunse. «So comandare, sire» Ash, che non sapeva se coprirsi la testa, come faceva ogni donna rispettabile, o scoprirla come facevano gli uomini, decise di rimanere a testa nuda e stringere il cappello in mano. «Voi avete l'esercito migliore di tutta la Cristianità. Mandatemi a fare quello che non farebbe mai un esercito - mandatemi a strappare il cuore dell'invasione visigota.» «E dove si troverebbe questo cuore?» «A Cartagine» rispose Ash. «Non è folle, sire» intercesse Oxford. «È solo audace.» Le pareti della stanza erano ricoperte di arazzi sui quali spiccava l'immagine di un cervo maschio, il simbolo della casa regnante burgunda. La bestia bianca e dorata era in un bosco inseguita dagli adoratori e dai cacciatori. Ash si spostò per sottrarsi al caldo sole del tardo pomeriggio e vide che tra le corna del cervo spiccava una croce verde. «Voi siete un uomo onesto e un buon soldato» commentò il duca di Borgogna mentre un paggio serviva una coppa di vino prima a lui poi al conte di Oxford. «Altrimenti sospetterei di un trucco dei Lancaster.» «Io sono astuto solo sul campo di battaglia» replicò l'Inglese. Ash avvertì un certo divertimento nel tono di voce del suo datore di lavoro. «Abbiamo le prove che questo Golem di Pietra si trovi veramente al di là del mare e parli con questo faris?» «Io credo di sì, sire.» «Dovrebbe bastare.» Quante cose dipendono da questo uomo, pensò improvvisamente Ash.
Questo ragazzone brutto dai capelli neri che ha ventimila uomini e più artiglieria dei Visigoti. Dipende tutto da lui. «Io ho lo stesso sangue del faris» disse Ash. «Così mi hanno detto i miei consiglieri. Inoltre» aggiunse il nobile «mi hanno riferito che la somiglianza tra voi è davvero notevole. Siete stata mandata da Dio o dal diavolo?» «A questo può rispondervi il mio prete, sire.» Ash fece un cenno della mano e Godfrey Maximillian avanzò. «Nel corso degli ultimi otto anni questa donna ha seguito la messa, preso la comunione e si è confessata da me, Vostra Grazia.» «Pur essendo un principe» disse il duca di Borgogna «non posso zittire le voci. Si comincia a dire che la voce del generale visigoto proviene da un meccanismo infernale dal quale non possiamo difenderci. Non so per quanto tempo ancora il nome del vostro condottiero sarà tenuto al di fuori di tutto ciò, lord Oxford.» «Può darsi che il faris non sappia che lei...» de Vere esitò in cerca della parola giusta. «Che lei origlia. Non possiamo sperare che le cose rimangano così. Ha già cercato questa ragazza per interrogarla. Dobbiamo agire il più in fretta possibile. È questione di settimane, di giorni, se siamo sfortunati, sire.» «Siete disposto a far cadere la faccenda della successione?» «Per il momento la metterò da parte, sire. Prima dobbiamo affrontare il pericolo che viene da sud.» «Fuori tutti» ordinò il duca senza voltarsi. Trenta secondi dopo nella stanza erano rimasti solo Ash, Godfrey, Maximillian, Oxford e i suoi fratelli. «Non siamo quello che vorremmo essere, de Vere» disse Carlo di Borgogna. Una folata di vento portò nella stanza l'odore del fieno e delle rose. «Se avessi a disposizione gli armaioli di Milano per forgiarmi la migliore delle armature» continuò il duca «e se potessi, signori, vi assicuro che mi armerei come si addice a un uomo, mi parerei dinanzi a quell'esercito di predoni e sconfiggerei in duello il loro campione, così la faccenda sarebbe conclusa una volta per tutte. Ma in questo mondo decadente tale onore e cavalleria non esistono più.» «Si risparmierebbero un mucchio di morti» commentò Ash in tono piatto. «Sire» aggiunse un attimo dopo, apparentemente soprappensiero. «Succederebbe lo stesso con un'incursione a Cartagine» incalzò de Vere.
«Una volta tagliata la testa il corpo non serve più a nulla.» «Voi conoscete l'esatta ubicazione del Golem di Pietra? Sempre che sia a Cartagine.» «Possiamo sempre scoprirlo, sire» fece notare Godfrey Maximillian. «Con duecento corone d'oro posso procurarvi le notizie in brevissimo tempo.» Carlo di Borgogna si concentrò su de Vere. «Parlate.» Oxford si rivolse al duca usando il linguaggio telegrafico e conciso dei militari. Ash non interruppe perché sapeva che per essere accettato un piano doveva essere esposto da un uomo e se questi era uno dei famosi comandanti d'Europa era ancora meglio. Vide con la coda dell'occhio Godfrey che si rilassava. Il prete era contento che lei avesse tenuto la bocca chiusa. Chi sono i Visigoti della delegazione? pensò Ash. Perché non me lo dici? Il prete fissava attonito gli arazzi della stanza. Ash non poteva parlargli in nessun modo. Fissò il cielo oltre la finestra e desiderò essere all'aria aperta. «No» disse il duca di Borgogna. «Fate come credete meglio» tuonò John de Vere. «Denti di Dio, uomo Vostra Grazia. A cosa ci può servire una battaglia? A cosa ci può servire una vittoria se il cuore del nemico rimane intatto?» Il duca tornò a sedersi eretto e fece cenno a John de Vere di allontanarsi. «Sono determinato a combattere i Visigoti e presto. I miei astrologi mi hanno consigliato di farlo prima che il sole esca dal Leone. Il ventuno di agosto è la festa di san Sidonio e quello sarebbe un buon auspicio.» Ash notò lo sguardo del duca che si posava su Godfrey, il quale, dopo aver assunto un'espressione consona alla situazione, si affrettò a spiegare. «Direi che è un giorno perfetto, sire. È giunto il momento di vendicare Sidonio Apollinare uno dei primi santi cristiani martirizzato dai Visigoti.» «Anch'io la penso così» replicò il duca, soddisfatto. «Ho cominciato a prepararmi fin dal mio ritorno da Neuss.» «Ma...» Ash si morse un labbro. «Capitano?» «Volevo dire, sire» riprese Ash, riluttante «che secondo me neanche l'esercito burgundo può sconfiggere l'esercito al confine per non parlare dei rinforzi che arrivano giornalmente dal Nord Africa. Anche se voi vi alleaste con l'imperatore Federico e re Luigi...»
Ash si zittì immediatamente. Era abituata a cogliere sui volti delle persone le espressioni che davano a intendere che non era saggio continuare oltre sull'argomento e l'aver menzionato Luigi XI aveva fatto apparire tale espressione sul volto di Carlo di Borgogna. «Non raccoglierete il denaro per finanziare un attacco a Cartagine?» chiese il conte di Oxford. «No. Secondo me non è saggio. È un'impresa destinata al fallimento. Combatteremo qua e vinceremo.» Fissò Ash e lei si sentì improvvisamente a disagio. «Capitano Ash» riprese il nobile «ci sono dei Visigoti a corte. Sono arrivati stamattina in veste di ambasciatori. Hanno molte pretese o richieste umili come le definiscono loro. Una di queste vi riguarda. Hanno visto lo stendardo della vostra compagnia fuori della città e mi chiedono di consegnarvi a loro.» Gli occhi scuri del regnante erano inchiodati su di lei. La costernazione che serpeggiò tra i giovani de Vere sembrò farle capire che la delegazione era arrivata a palazzo in gran segreto. Un segreto che non durerà a lungo, pensò Ash. «I Visigoti hanno infranto la loro condotta quando mi hanno imprigionata» proclamò ad alta voce «ma non credo di potervi resistere se voleste consegnarmi a loro, sire. Non potrei fermare l'esercito burgundo.» Il duca ruotò con aria grave gli anelli che portava alle dita e non rispose. La notizia dell'arrivo dei Visigoti aveva scosso Ash. «Cosa avete intenzione di fare con me, sire?» chiese. «Ripenserete all'idea di un'incursione contro Cartagine?» «Pondererò entrambi gli argomenti» promise il duca. «Devo parlare con de la Marche e i miei consiglieri. Saprete tutto entro... domani.» Dannazione, ancora ventiquattro ore d'attesa, pensò Ash. Il duca si alzò ponendo fine all'udienza. «Sono un principe» disse. «Siete nella mia corte e se vi capitasse di incontrare qualcuno di quegli uomini proveniente da Cartagine e i loro alleati rinnegati, state tranquilla che nessuno di loro potrà farvi del male.» Ash non lasciò trapelare il suo scetticismo. «Grazie sire.» Ma tornerò al mio campo il più velocemente possibile, concluse tra sé. L'espressione del duca si incupì notevolmente. «Capitano Ash, in quanto schiava bastarda di una casata visigota voi siete legalmente una loro proprietà. Essi non vi reclamano come loro capitano o prigioniero, ma come proprietà. Tale reclamo è legittimo e del tutto legale.»
II Ash e i suoi uomini si fermarono alla fine di una rampa di scale. Avevano distanziato il conte di Oxford e i suoi fratelli, ignorato l'etichetta di corte ed eseguito i saluti di rito in maniera meccanica. La scoperta di poter essere venduta e comprata come una merce l'aveva scossa profondamente. Il duca mi cederà sicuramente, pensò Ash. È una mossa politica. O, se non si tratterà di politica, lo farà per rispettare la legge, visto che è la legge a tenere lontana l'anarchia dal suo regno... Il Vespro echeggiò per tutto il palazzo. Forse ho bisogno di pregare. Si chiese quale fosse la cappella più vicina, si rivolse a Godfrey e non si accorse delle persone che stavano andando loro incontro. «Capo...» l'avverti Thomas Rochester fingendo di tossire. La luce che penetrava dalle piccole finestre si rifletteva sul pavimento e sui muri coperti di calce bianca illuminando a giorno l'intera stanza. Non era un posto dove era facile passare inosservati. I Visigoti la videro e cominciarono a rallentare. «Come vorrei che vi avessero lasciato portare i cani» mormorò Ash. «Una bella muta di mastini tornerebbe molto utile in questo momento...» «Adesso vedremo se la pace del duca è duratura o se dovremo prendere qualcuno a calci in culo, capo» commentò cupo Thomas Rochester. Ash lanciò una rapida occhiata alle guardie presenti nel locale e cominciò a sorridere. «Ehi, ragazzi. Siamo noi quelli che sono a casa qua, non quei fottuti Goti.» «Hai ragione, capo» convenne Euen Huw sghignazzando. «Spacchiamo loro il cranio con una cazzo di alabarda» suggerì uno degli uomini della lancia di Rochester. «Non fate niente a meno che sia io a dirlo. Chiaro?» «Sì, capo» risposero i suoi uomini in tono riluttante. Ash era consapevole della presenza di Thomas ed Euen alle sue spalle. Il primo uomo che componeva il gruppo allungò il passo andandole incontro. Era Sancho Lebrija. «Qa'id» lo salutò prontamente Ash. «Jund.» L'uomo alto e robusto alle spalle di Lebrija era Agnus Dei. L'agnello, che indossava un'armatura milanese, sorrise. I denti ingialliti spiccarono
sulla barba nera. «Madonna» la salutò. «Che brutta ferita.» Ash, che aveva ancora il cappello in mano, si toccò il taglio alla testa con un gesto automatico. «Ash...» le sussurrò Godfrey in un orecchio per cercare di metterla in guardia. La delegazione era scortata da quattro o cinque soldati. Appena il piccolo manipolo si fermò, Ash poté scorgere il giovane in mezzo che portava l'elmo sotto il braccio e lo riconobbe immediatamente. «... È chiaro!» sussurrò Godfrey in tono vendicativo. «Non poteva essere altrimenti! Lui può aver pagato qualche ciambellano per sapere quando e con chi Carlo avrebbe parlato.» Fernando del Guiz. «Guarda chi è arrivato» disse Ash ad alta voce. «Non è questa la piccola merda che ha detto al faris dove mi trovavo quando ero a Basilea? Euen, Thomas: ricordatevi questa faccia. Molto presto dovrete romperla.» Fernando sembrò ignorarla. Agnus Dei disse qualcosa all'orecchio di Lebrija e il Visigoto emise una sorta di risata. Agnello continuava a sorridere. «Spero che tu abbia fatto un bel viaggio da Basilea a qua.» «È stato veloce.» Ash non staccava gli occhi di dosso a Fernando. «Stai attento anche tu, Agnus. Un giorno potrebbero rubarti la tua armatura migliore se non stai attento!» «Il faris vuole conferire ancora con voi» disse Sancho Lebrija, rigido. Cosa diresti se sapessi che anch'io sono molto ansiosa di parlare di nuovo con lei? pensò Ash concentrandosi sugli occhi chiari dell'ambasciatore, che non erano neanche lontanamente affascinanti come quelli del suo defunto cugino. Una sorella, una sorellastra, una gemella. «Allora speriamo in una tregua» disse ad alta voce in modo da farsi sentire dai vari intriganti che alloggiavano in ogni corte. «La guerra è meglio quando non si combatte. Ogni vecchio soldato lo sa - vero, Agnus?» Sulla bocca del mercenario apparve un sorriso ironico. Alle sue spalle i soldati visigoti non fecero nessuna mossa ostile. Ash riconobbe l'udqa102 della scorta e cercò il nazir che l'aveva portata via dai giardini di Basilea. Il visigoto la stava guardando male da sotto l'elmo. 102
L'uqda era uno stendardo portato da un nazir al comando di otto uomini.
Sul locale era calato un silenzio carico di tensione. Sancho Lebrija si girò parzialmente, fulminò con un'occhiataccia Fernando del Guiz, quindi tornò a rivolgersi ad Ash. «Tuo marito vorrebbe parlarti, jund.» «Davvero?» domandò Ash, scettica. «Non mi sembra che voglia farlo.» Il qa'id appoggiò una mano sulla schiena del cavaliere tedesco e lo spinse avanti con decisione. «Certo che vuole farlo.» Fernando del Guiz indossava la divisa bianca e la maglia di anelli metallici tipica dei Visigoti. Non dovevano essere passati più di dieci giorni da quando l'aveva visto a Basilea. Il pensiero la scosse parecchio perché in quel breve lasso di tempo erano successe un sacco di cose. Il volto era più smunto e i capelli biondi erano stati tagliati corti e non gli ricadevano più fluenti sulle spalle muscolose come quando l'aveva incontrato a Neuss. Ash lasciò vagare lo sguardo sulle mani forti. L'odore del marito fece breccia in lei in un attimo: quell'aroma le ricordò il caldo delle lenzuola di lino, la morbidezza della pelle del suo petto, della pancia e delle cosce, le spinte del suo membro eretto dentro di lei. Sentì i capezzoli che si inturgidivano, la gola che si seccava e le guance che arrossivano. Avrebbe voluto carezzare quel volto, ma strinse il pugno e rimase immobile. «Meglio se parliamo» borbottò Fernando del Guiz, senza guardarla in volto. «Stronzo!» lo insultò Thomas Rochester. «Andiamo via» disse Godfrey Maximillian tirandola per un braccio. Ash non si mosse di un centimetro continuando a studiare l'espressione inintelligibile di Sancho Lebrija e quella maliziosa dell'Agnello. «No» borbottò a sua volta. «Voglio parlare con del Guiz. Devo dire un paio di cose a questo uomo!» «Non farlo, figliola» la scongiurò Godfrey. Sfuggì alla presa del prete senza sforzo e indicò un punto della stanza a qualche metro dal gruppo. «Andiamo in ufficio, maritino mio. Thomas, Euen, sapete cosa fare.» Attraversò la stanza e si fermò in un punto in cui la luce rossa e blu che penetrava da una finestra colorata screziava il pavimento sotto un vecchio stendardo che i Burgundi avevano usato in una delle guerre contro i Francesi. Erano abbastanza lontani per non essere ascoltati né dalla delegazione visigota né dalle guardie del duca Carlo. Se dovesse provare a farmi del male siamo abbastanza in vista e tutti
possono vedere, però vale anche il contrario. Si affrettò a togliersi i guanti, posò la mano sulla spada e attese. Fernando del Guiz si allontanò da Lebrija e si diresse verso di lei. Il rumore prodotto dagli stivali che battevano sul pavimento consumato echeggiò contro le pareti. Il calore del tardo pomeriggio giustificava il velo di sudore che gli imperlava il volto. «Allora?» lo pungolò Ash. «Cosa hai da dirmi?» «Io?» Fernando del Guiz la fissò dritta negli occhi. «Non è stata una mia idea!» «Smettila di farmi perdere tempo» gli intimò, parlando in tono autoritario senza neanche rendersene conto. Ash vedeva che Fernando stava lanciando delle rapide occhiate a Lebrija che si trovava alle sue spalle. «È tutto così goffo...» disse Fernando dopo qualche attimo. «Goffo!» Fernando posò una mano sul braccio di Ash. Un gesto che la colse alla sprovvista e attrasse la sua attenzione sulle unghie ben curate, la pelle morbida e la peluria bionda che ricopriva il polso. «Andiamo a parlare da qualche altra parte. Da soli.» Fernando le carezzò una guancia. «Perché?» Ash mise la mano sopra di quella di Fernando. Era partita con l'intenzione di strappargliela via, invece intrecciò le dita con quelle del marito. Il calore di quella mano era più che benvenuto. «Cosa vuoi, Fernando?» «Voglio solo parlare» spiegò abbassando la voce. «Non farò nulla che tu non voglia io faccia.» «Questa l'ho già sentita.» Fissò il volto del marito e pensò di vedere ancora il giovane nobile dal portamento fiero che andava a caccia con i falchi e i cani circondato da amici e parenti, senza dover lavorare per permettersi i cavalli e il vino, senza dover scegliere se cambiare i ferri al cavallo o comprare le scarpe. Ora aveva il viso un po' smunto, ma quell'uomo continuava a rimanere una miniera d'oro. Il contatto con il marito la faceva tremare. Aprì la sua mano, si allontanò e in quell'istante sentì freddo. Portò la sua mano con un gesto disinvolto alla guancia. Voleva conservare ancora per qualche attimo la sensazione della pelle di Fernando del Guiz contro la sua. «Dai, smettila.» Scettica, Ash serrò le labbra. Sentì un tremore allo stomaco e non seppe dire se si trattasse di nausea, dolore o piacere. «Non
posso crederci. Stai cercando di sedurmi?» «Sì.» «Perché?» «Perché è più facile.» Ash rimase a bocca aperta senza sapere cosa rispondere. Si sentiva oltraggiata. «Sei - cosa vorrebbe dire: 'perché è più facile'? Più facile di cosa?» «Di rifiutare il faris e i suoi ufficiali.» La voce di Fernando del Guiz aveva perso ogni venatura di umorismo. «Dicono che una bella scopata potrebbe farti tornare nelle loro mani, perché non farlo, allora?» «'Una bella scopata...'?» sbraitò Ash. Agnus Dei posò una mano sul braccio di Sancho Lebrija per trattenerlo. Entrambi gli uomini li stavano fissando in cagnesco. Era ovvio che avessero sentito l'ultima frase. Ash vide con la coda dell'occhio Godfrey che, pallido in volto, faceva un passo verso di lei. «Sedurmi?» ripeté Ash. «Fernando... è ridicolo!» «Hai ragione, è ridicolo, ma cosa mi suggeriresti di fare con una mezza dozzina di pazzi assassini armati fino ai denti che mi sorvegliano mentre parlo con te?» Era più alto di lei di una quindicina di centimetri e la fissava tenendo il capo chino. «Grazie a te, in questo momento sono considerato il pappone del faris. Il minimo che puoi fare è non scoppiare a ridere.» «Co...» Ash non riuscì a terminare la frase, l'onestà di quella dichiarazione l'aveva lasciata senza parole. «Il pappone del faris?» «Questo è l'ultimo posto in cui vorrei essere!» urlò Fernando. «Voglio solo tornare a Guizburg e rintanarmi nel castello finché questa fottuta guerra condotta da un branco di folli non finirà. Ma loro mi hanno fatto sposare con te, giusto? E dopo si scopre che sei in qualche modo imparentata con il faris. Secondo te quando i Visigoti l'hanno scoperto a chi pensi si siano rivolti credendo che quella persona sapesse tutto sul comandante mercenario chiamato Ash? A me. Chi credi che loro pensino possa influenzarti? Io.» Riprese fiato. «Non me ne importa nulla della politica. Non voglio far parte della famiglia del faris. Non voglio stare nella corte visigota. Non voglio stare qua. Sono qua perché pensano che io sia una valida fonte di informazioni su di te! Io voglio solo tornare nella fottuta Bavaria!» Fernando del Guiz terminò ansimando con la saliva che faceva capolino dagli angoli della bocca. Ash si rese conto che il marito aveva parlato in Tedesco e che i suoi due accompagnatori, Agnus Dei e Lebrija, non ave-
vano capito nulla a causa della velocità della tirata. «Cristo» disse Ash. «Sono impressionata.» «Sono qua solo per te!» Il disprezzo e la furia che venavano la voce di Fernando del Guiz avevano indotto Euen Huw e Thomas Rochester a posare la mano sull'elsa della spada e osservare il loro comandante con la coda dell' occhio per capire se fosse stato il caso di intervenire. Ash notò che Godfrey aveva stretto i pugni al punto di farli sbiancare. «Pensavo che volessi entrare nelle grazie del faris» affermò Ash, con tono mite. «Credevo che ti fossi fatto catturare per crearti una posizione all'interno della corte visigota.» «Non voglio un posto a corte!» si infuriò Fernando. «Certo, certo» rispose Ash, in tono sarcastico. «Ecco perché in questo momento sei a Guizburg e non di fronte a me! Come dire che non sei al fianco di Lebrija per ottenere dei vantaggi politici o perché sei stato promosso.» Il nobile prese fiato e la fulminò con un'occhiata carica di rabbia. «Adesso ti dirò perché sono qua. Il faris avrebbe fatto piantare la mia testa in cima a una lancia molto volentieri come monito per i nobili minori della Germania. Non l'ha fatto perché le ho dato un'occhiata da vicino e le ho detto che aveva una gemella.» «Sei stato tu a dirglielo.» «Suppongo che essere il marito di una visigota bastarda sia molto meglio che essere sposato con una puttana francese che fa il soldato.» «Sei stato tu?» «Tu pensi che io sia un cavaliere uscito dalle cronache. Beh, mi dispiace deluderti, ma non è così. Quando mi hanno puntato contro le lance mi sono reso conto che ero solo un altro uomo con un titolo al quale erano stati intestati alcuni acri di terra che si trovava di fronte degli uomini con un'aquila cucita sugli abiti. Non avevo nessun valore. Non ero degno di nota. Non ero differente dagli altri come me che avevano massacrato a Genova, a Marsiglia o nelle altre città.» Ash lo fissò in volto e per un attimo ebbe l'impressione di veder balenare nella sua espressione il ricordo di quel trauma. «Roberto mi disse che eri uno di quegli stupidi ragazzetti con la testa piena di ideali del tipo morte o gloria. Si è sbagliato, vero? Hai dato un'occhiata alla gloria e hai deciso che era meglio salvare la pelle!» Fernando la fissò. «Dolce Gesù. Ti vergogni di me!»
Dal tono di voce sembrava che il nobile si stesse prendendo in giro da solo. «Non l'hai detto al tuo amico Agnello. O sì? Gliel'hai detto? Perché non gli dici come mai non hai combattuto contro i Visigoti a Genova? Voi eravate in duecento e loro solo in trentamila.» Aveva azzardato quel numero senza neanche rendersene conto. Arrossì in volto e aggiunse: «Agnello ha negoziato una condotta perché è il suo mestiere. Anch'io faccio quel mestiere, mentre tu ti sei cagato sotto e ti sei inginocchiato a implorare pietà...» Fernando del Guiz le serrò una spalla con la mano, lei gliela afferrò e cercò di toglierla, ma non ci riuscì e cominciò a tremare. Una parte di lei non voleva perdere quel contatto. «Sei stata fu a mandarmi via! Sei stata tu a consegnarmi a loro.» «Stai cercando di incolparmi per quanto è successo? Ehi. Io volevo tornare al comando della mia unità. Non volevo che tu ordinassi alle mie lance di intraprendere una battaglia persa in partenza.» Ash sbuffò. «Non credi che ci sia una certa ironia in tutto ciò? Avrei dovuto lasciarti dare un ordine. Sicuramente avresti gridato: 'Scappiamo veloci come degli stronzi!'» Fernando del Guiz arrossì mettendo in evidenza le efelidi che gli chiazzavano il volto. «E ci saresti riuscito!» urlò Ash. «Non sarebbe stato difficile. Su dritto per le colline e poi al sicuro tra le montagne. Si erano appena attestati sulla costa non avevano intenzione di dare la caccia a dodici uomini a cavallo!» La rabbia non ha bisogno di essere tradotta per essere capita. Nel momento in cui Fernando arretrò di un passo, una tunica verde si parò tra lui e la moglie. Ash afferrò Godfrey Maximillian e lo spinse via, nonostante il religioso fosse grosso il doppio di lei. «BASTA!» sbraitò Ash. Un attimo dopo Thomas ed Euen erano alle sue spalle con le mani sulle spade. Ash vide che gli uomini di Lebrija avevano cominciato ad avvicinarsi con passo deciso e distese le mani in avanti con le dita ben aperte e visibili. «Va bene! Adesso è troppo! Distanziatevi!» tuonò un soldato burgundo, un capitano, forse. «C'è una tregua in corso! In nome di Dio, non estraete le armi in questo luogo!» I Visigoti si fermarono incerti sul da farsi. Un cavaliere burgundo fermo vicino alla porta assunse la posizione di combattimento. Ash agitò un pol-
lice e con la vista periferica vide Thomas, Euen e il riluttante Godfrey che arretravano nuovamente. Continuò a fissare Fernando. «Ash...» disse il marito tradendo un certo nervosismo «... quando tu sei prudente si tratta di cautela; quando cambi parte per schierarti con il più forte, sono affari. Sai cosa sia la paura?» Esitò per un attimo, quindi aggiunse: «Pensavo che potessi capirlo. Mi sono comportato in quel modo perché avevo paura di essere ucciso.» Aveva parlato in tono tranquillo marcando le parole con un'enfasi pacata. Ash aprì la bocca per replicare, ma un attimo dopo la richiuse. Lo fissò e vide che le mani stavano stringendo l'elmo con tanta forza che le nocche erano sbiancate. «L'ho vista in faccia - il faris» disse Fernando. «E ora sono vivo perché ho detto a una puttana cartaginese che aveva una cugina bastarda nell'esercito franco. Ero troppo spaventato per non dirglielo.» «Saresti potuto scappare» insistette Ash. «Diavolo, almeno avresti potuto provarci!» «No, non potevo.» Il pallore del volto di Fernando del Guiz fece comprendere ad Ash che quell'uomo stava ancora subendo gli effetti di un trauma da combattimento. Non è mai sceso in battaglia, ma è comunque traumatizzato, pensò. «Non te la prendere troppo» gli disse ad alta voce, in tono tranquillo. «Infatti.» Replicò Fernando fissandola in volto. «Cosa?» «Non me la prendo.» «Ma...» «Se lo facessi» disse Fernando «dovrei pensare che i folli come te sono nel giusto. In quei momenti ho capito tutto. Tu e quelli come te siete completamente pazzi. Ve ne andate in giro a uccidere la gente e a farvi uccidere e per voi non c'è nulla di sbagliato in tutto ciò.» «Hai fatto qualcosa quando hanno ucciso Otto, Matthias e gli altri tuoi compagni? Sei almeno riuscito a dire qualcosa?» «No.» Ash lo fissò dritto negli occhi. «No» rispose Fernando. «Non ho pronunciato neanche una parola.» Se fosse stato un altro lei gli avrebbe detto che quella era la guerra, un affare di merda, d'accordo, ma il mondo andava così e che qualsiasi cosa avesse detto in quei momenti non sarebbe servito a nulla. «Qual è il problema?» lo punzecchiò. «Pisciare addosso a una ragazzina
di dodici anni è più nel tuo stile?» «Forse non l'avrei fatto se avessi capito quanto sei pericolosa.» Fernando del Guiz cambiò espressione. «Sei una donna malvagia. Una macellaia psicopatica.» «Non essere ridicolo, per favore. Sono un soldato.» «Perché secondo te i soldati possono essere altro?» ribatté pronto Fernando. «Forse è come dici tu» rispose Ash. «Ma si tratta della guerra.» «Beh, io non voglio più avere nulla a che fare con la guerra. Mai più.» Fernando del Guiz la gratificò con un sorriso mesto. «Vuoi sapere la verità pura e semplice? Non voglio avere nessuna parte in tutto ciò. Se avessi possibilità di scegliere, tornerei a Guizburg, tirerei su il ponte levatoio e uscirei dal castello solo alla fine di questa dannata guerra lasciando il tutto alle puttane assetate di sangue come te.» Sono stata a letto con questo uomo, pensò Ash, meravigliandosi della distanza tra loro. E se adesso me lo richiedesse... «Posso suggerire di uscire?» Ash agganciò la cintura con le mani. Il cuoio azzurro era decorato con delle borchie a forma di testa di leone. Non era certo una cintura che si addiceva a una donna. «A seduzione andiamo piuttosto male.» «Già.» Fernando lanciò un'occhiata a Sancho Lebrija alle sue spalle. Sembrava che il giovane nobile tedesco si sentisse terribilmente imbarazzato all'idea che qualcuno potesse assistere al suo tentativo fallito di sedurre la moglie errante. «Ultimamente il mio stato di servizio non è il massimo.» Ha l'aria stanca, pensò Ash. Un impeto di simpatia nei confronti del marito distrusse il castello di rabbia che aveva costruito pazientemente fino ad allora. No, si riprese, molto meglio se continuo a odiarlo. «Il tuo stato si servizio è perfetto. L'ultima cosa che hai fatto è stato tradirmi. Perché non sei venuto a trovarmi quando mi hanno messa in prigione a Basilea?» gli domandò. «Perché avrei dovuto farlo?» rispose Fernando del Guiz in tono piatto. Ash lo colpì. Era stato più forte di lei. Non era riuscita a controllarsi. Non aveva estratto la spada per non essere infilzata da una delle guardie del duca, ma, soprattutto, perché un attimo prima di agire aveva avuto una visione fugace ma nitidissima del volto di Fernando del Guiz insanguinato a causa di
una vistosa ferita al cranio. Quell'immagine le aveva provocato un senso di nausea. Non per il fatto di uccidere un uomo, quello faceva parte del suo mestiere, ma per il semplice pensiero di far del male a quel corpo, quel corpo che lei aveva carezzato con le sue mani. Lo aveva colpito con un pugno in faccia dopodiché aveva serrato la mano sotto l'ascella imprecando sonoramente e fissando al tempo stesso Fernando che ondeggiava con gli occhi spalancati per lo stupore. Non si trattava di rabbia. Era solo sconvolto dall'idea che una donna avesse osato picchiarlo. Ash udì dietro di lei il rumore dei piedi contro il pavimento, il clangore delle corazze, il fondo delle lance che battevano a terra e gli uomini pronti a entrare in azione. Fernando del Guiz non si mosse. Un piccolo segno rosso cominciava a gonfiarsi sotto il labbro. Il giovane nobile tedesco ansimava pesantemente, rosso in volto. Ash continuò a guardarlo flettendo le dita che pulsavano. Qualcuno, un visigoto non uno dei suoi uomini, proruppe in una roca risata. Ash fissò il volto del marito e qualcosa di simile alla pietà, ammesso che la pietà possa bruciare e tagliare allo stesso modo dell'odio e porti all'assoluta incapacità di reggere la vergogna e il dolore di un altro, penetrò in lei come una lama affilata. Sussultò e si passò una mano tra i capelli toccando i punti della ferita e sentì nuovamente l'odore del marito sulla sua pelle. «Cristo.» Ebbe una sorta di conato di vomito. Trattenne le lacrime sbattendo furiosamente le palpebre, rizzò la testa e disse. «Euen! Thomas! Godfrey! Andiamo!» Si allontanò velocemente seguita dai suoi uomini. Passò vicina ad Agnus Dei a Sancho Lebrija e ai soldati visigoti ignorandoli e si diresse verso le grandi porte di quercia senza voltarsi; non voleva vedere l'espressione di Fernando del Guiz in quel momento. Uscì dal palazzo ducale e si incamminò per Digione senza una direzione precisa. Superò degli uomini della sua compagnia ignorandoli deliberatamente. Qualcuno la chiamò, ma lei non si fermò e cominciò a salire dei larghi gradini di pietra che la portarono in cima ai massicci spalti che circondavano la città.
Si fermò per riprendere fiato e, sebbene la sua mente fosse concentrata su altre questioni, prese a osservare le difese di Digione che incombevano sulle strade piene di gente. Gli uomini della scorta la raggiunsero. «Merda!» Ash si sedette sui merli e prese a contemplare i campi oltre le mura. In lontananza i contadini con i pantaloni tirati su fino alle ginocchia erano intenti a caricare balle di fieno sui carri tirati dai buoi. Ora che il sole era meno caldo riuscivano a lavorare più alacremente. «Va tutto bene, figliola?» Godfrey Maximillian la raggiunse ansimando. «Cristo sull'Albero, quel dannato codardo, figlio di puttana!» Sentiva il cuore che le batteva all'impazzata e le mani che formicolavano. «Fottuti Visigoti! E io dovrei essere consegnata a quelli? Non se ne parla nemmeno!» «Cristo, capo, calmati!» le suggerì Thomas Rochester, rosso in volto. «Fa troppo caldo per correre in questo modo» commentò Euen Huw sfilandosi l'elmo mentre si issava sui merli per godersi la brezza del tardo pomeriggio, fissando al tempo stesso il campo dell'esercito burgundo. «Dobbiamo preoccuparci anche di quel ragazzo, giusto?» Ash lanciò loro una rapida occhiata. «Ho ventiquattro ore per decidere se attendere il verdetto del duca o fare armi e bagagli e andare...» Gli uomini risero. C'era del trambusto ai piedi delle mura. Una decina di metri più in basso alcuni uomini del Leone Azzurro stavano nuotando nell'acqua cristallina del fossato con i cani del campo che abbaiavano loro contro. Ash vide una prostituta che spingeva il secondo di Euen Huw, Thomas Morgan, in acqua dal ponte che dava accesso a Digione. Il tonfo echeggiò nell'aria calda. «Ecco il duca Carlo.» Ash indicò un gruppo di cavalieri che uscivano dalla città in direzione dei boschi. Erano tutti abbigliati con abiti eleganti e alcuni di loro avevano dei falchi posati sugli avambracci. Il gruppo era accompagnato da un piccolo manipolo di suonatori la cui musica arrivava fino alle mura. «Viene da pensare che non abbia nulla di cui preoccuparsi! Beh, forse è così visto che probabilmente mi consegnerà ai Visigoti.» «Posso parlarti da solo, capitano?» le chiese Godfrey Maximillian. «Certo! Perché no?» Ash fissò Thomas Rochester ed Euen Huw. «Pausa, ragazzi. Ho visto una locanda ai piedi della scalinata. Ci troviamo là.» «Con i Visigoti in città, capo?» le domandò Rochester, torvo in volto. «Con metà dell'esercito di Carlo che pattuglia le strade?» Il cavaliere inglese scrollò le spalle, scambiò un'occhiata con Euen Huw
e insieme scesero le scale seguiti dagli altri uomini della scorta. Ash sapeva bene che non sarebbero andati oltre l'ultimo gradino della rampa. «Allora?» Si sporse dalla merlatura per offrire il volto alla brezza fresca. Alzò un ginocchio e vi posò sopra un gomito. Le dita le tremavano ancora leggermente e osservò la sua mano destra con un certo stupore. «Cosa ti preoccupa, Godfrey?» «Ho altre notizie.» Il prete guardava fisso davanti a sé. «Questo 'padre' del faris, Leofric, è uno dei nobili più importanti di Cartagine. Molto probabilmente vive nella Cittadella stessa. Il resto sono solo voci prive di fondamento. Non ho nessuna idea dell'aspetto che può avere questo 'Golem di Pietra'. Purtroppo non sono riuscito a sapere altro. E tu?» C'era qualcosa nel tono di voce del prete che la preoccupava. Ash alzò lo sguardo e batté una mano sullo spazio tra due merli per invitarlo a sedersi. Godfrey Maximillian rimase in piedi. «Siediti» lo invitò Ash. «Cosa ti preoccupa?» «Non posso ottenere altre informazioni senza denaro. Quando ha intenzione di pagarci lord Oxford?» «Non si tratta di quello, Godfrey. Cosa succede?» «Perché quell'uomo è ancora vivo?» tuonò il prete. Gli uomini che stavano facendo il bagno nel fossato si girarono. Ash sussultò e si girò verso l'interno degli spalti. «Chi, Godfrey?» «Perché quell'uomo è ancora vivo?» ripeté il religioso, con un sussurro deciso. «Dolce Cristo!» Ash batté le palpebre e si stropicciò un occhio con il palmo della mano. «Parli di Fernando, vero?» Il prete si asciugò il volto sudato. «Cosa sta succedendo, Godfrey? È uno scherzo o qualcosa di simile. Non ucciderò un uomo a sangue freddo.» Godfrey cominciò a camminare avanti e indietro senza neanche guardarla. «Potresti farlo uccidere!» «Certo. Ma perché dovrei? Domani partiranno e ci sono molte probabilità che io non lo riveda più.» Ash posò una mano su Godfrey per fermarlo, ma lui la ignorò. Il tessuto ruvido della tunica del prete le sfiorò le dita. Lei sentiva ancora l'odore di Fernando su di sé e lo inalò. Improvvisamente alzò lo sguardo e fissò l'omone con la barba. Non è vecchio, pensò. Non ho mai pensato a Godfrey come a un giovane, ma non è neanche vecchio. Il religioso si fermò di fronte a lei. La luce che inondava gli spalti conferiva alla barba castana del prete dei riflessi fulvi. Gli occhi sembravano
avere un'espressione addolorata, ma Ash pensò che fosse un effetto del sole calante. «Che importanza ha, Godfrey? Uno di questi giorni ci sarà una battaglia e mi diranno che sono vedova» cercò di rassicurarlo Ash. «Ha importanza se domani il duca ti consegnerà nelle mani di tuo marito!» «Lebrija non ha abbastanza uomini da costringermi a seguirlo. Per quanto riguarda il duca Carlo...» Ash posò le mani sul bordo della merlatura e saltò sugli spalti. «Cagarmi addosso a morte per tutta la notte non mi servirà a sapere cosa sta decidendo il duca! Quindi, ti ripeto: cosa importa?» «Importa eccome!» Ash studiò il volto del prete. Non sono stata molto con te da quando siamo scappati da Basilea, pensò e fece un sorriso per scusarsi. In quel momento si rese conto che l'uomo aveva un'aria sciupata. I lati della bocca erano segnati da piccole rughe e alcuni capelli bianchi avevano cominciato a striare la chioma castana. «Ehi» gli disse, tranquilla. «Sono io, ricordi? Racconta. Cosa succede, Godfrey?» «Piccola...» Gli prese le mani. «Sei un mio buon amico e non devi aver paura di dirmi qualcosa di brutto.» Lo fissò negli occhi e aumentò la stretta. «Va bene, non sono nata libera. Credo che qualcuno a Cartagine possa accampare dei diritti di proprietà su di me.» Fece un sorriso contrito, ma Godfrey non rispose e continuò a fissarla come se fosse la prima volta che si incontravano. «Capisco.» Ash sentì il battito del cuore che aumentava. «A te importa. Dannazione, Godfrey! Pensavo che fossimo tutti uguali agli occhi di Dio.» «Cosa ne sai tu?» urlò improvvisamente il prete. Aveva gli occhi lucidi. «Cosa ne sai, Ash? Tu non credi in nostro Signore! Tu credi nella tua spada, nel tuo cavallo, nei tuoi uomini che paghi per combattere e in tuo marito che vorresti ti infilzasse con il suo uccello. Non credi in Dio o nella grazia divina e non l'hai mai fatto!» «Cos...» Ash rimase senza parole e non poté fare altro che guardare. «Ti ho osservata quando eri con lui! Ti ha toccata - tu l'hai toccato, gli hai permesso di toccarti - volevi che lo facesse...» «Cosa te ne importa?» Ash scattò in piedi. «Sono affari tuoi, per caso? Sei un cavolo di prete, cosa nei sai tu di come si fotte?» «Puttana!» sbraitò Godfrey.
«Verginello!» replicò Ash. «Sì!» sbottò. «Sì. Ma quale altra scelta avevo?» Ash ansimava e fissava l'uomo di fronte a lei. Il volto di Godfrey sembrò deformarsi e dalle sue labbra uscì uno strano verso. Attonita, Ash lo fissò scoppiare a piangere come solo gli uomini piangono, in maniera profonda, viscerale. Allungò una mano e gli sfiorò la guancia. «Ho lasciato tutto per te» sussurrò Godfrey. «Ti ho seguita per mezza Cristianità. Ti ho amata fin dalla prima volta che ti ho vista. Me lo ricordo benissimo, come se fosse successo ieri. Tu con indosso l'abito da novizia e la Sorella che ti sculaccia a sangue. Una mocciosa spaventata dai capelli bianchi.» «Oh, merda, ti voglio bene, Godfrey. Sai che è così.» Ash gli afferrò le mani e gliele strinse con vigore. «Sei il mio più vecchio amico. Sei sempre con me. Ho fiducia in te. E sai che ti voglio bene.» Lo stringeva con forza come se dovesse salvare un uomo che stava annegando, come se aumentando la presa al massimo potesse sottrarlo alla sua angoscia. Lo sforzo le aveva sbiancato le mani. Lo scosse delicatamente cercando di guardarlo in volto. Godfrey Maximillian si liberò dalle mani di Ash e gliele strinse. «Non posso sopportare di vederti con lui.» Aveva la voce rotta dal pianto. «Non posso sopportare di sapere che sei sposata con quello, che sei un'unica carne...» Ash provò a sottrarsi alla presa, ma non ci riuscì. «Posso sopportare le tue fornicazioni saltuarie» disse. «Ti confessi con me e ti assolvo, non vogliono dire niente. Senza contare che sono state poche. Ma il talamo nuziale - e il modo in cui lo guardi...» Ash sussultò. «Ma Fernando...» «Fanculo a Fernando del Guiz!» tuonò Godfrey. Ash lo fissò rimanendo in silenzio. «Non ti amo come dovrebbe fare un prete.» Godfrey la fissò negli occhi. «Ho preso i voti prima di incontrarti. Se potessi vi rinuncerei immediatamente. Se potessi violare il mio voto di celibato lo farei.» Ash provò uno stretta allo stomaco e si liberò dalla presa. «Sono stata stupida.» «Ti amo come un uomo. Oh, Ash...» «Godfrey...» si interruppe. Non sapeva più cosa dire, sapeva solo che il mondo le stava crollando intorno. «Cristo, questa è una decisione che non voglio prendere! Non sei un prete qualunque, non posso buttarti fuori a
calci in culo e assumere un altro. Sei con me fin dall'inizio - addirittura prima ancora di Roberto. Sant'Iddio, dovevi proprio dirmelo adesso!» «Non sono in stato di grazia! Io dico messa tutti giorni pur sapendo che lo vorrei vedere morto!» Godfrey cominciò ad aggrovigliare il cordone che portava al fianco tra le dita. «Sei un mio amico, mio fratello, mio padre. Godfrey... Sai che io non...» Ash si interruppe per trovare le parole giuste. «Non mi vuoi» concluse per lei Godfrey, con un'espressione che sembrò sgretolargli il volto. «No! Voglio dire - non voglio - non desidero - oh, merda, Godfrey!» Il prete si mise a correre verso gli scalini e lei cercò di fermarlo. «Godfrey! Godfrey!» urlò. Il prete era corso giù dalle scale alla massima velocità che poteva permettergli la sua mole e si era incamminato per le strade di Digione. Ash si fermò a guardare l'uomo robusto con indosso la tonaca che si faceva strada tra le donne con i cesti, i soldati, i cani e i bambini che giocavano a palla. «Godfrey...» Ash notò, come aveva previsto, che sia Rochester sia Huw non erano molto distanti dagli ultimi gradini della scalinata. Il piccolo gallese aveva una pinta di qualcosa, mentre Thomas Rochester stava dando una moneta al ragazzino della locanda che aveva portato loro da bere e mangiare. «Oh, merda, Godfrey...» Mentre Ash pensava se fosse il caso di inseguire Godfrey vide una testa bionda in fondo alla scalinata. Le sembrò che il cuore avesse smesso di battere. Rochester alzò la testa, disse qualcosa e fece passare l'uomo che dopo pochi gradini si rivelò essere Floria del Guiz e non suo fratello Fernando. III Ash borbottò un'imprecazione e tornò con passo ciondolante verso la merlatura. Una mezza luna pallida spiccava bassa sull'orizzonte azzurro del cielo pomeridiano. Un carro entrò cigolando a Digione e Ash si sporse per osservarlo meglio. I fasci di spighe di grano che riempivano il cassone erano carichi di chicchi e lei si scoprì a pensare ai mulini all'altro capo della città, ai raccolti e ai territori che a meno di cento chilometri da quella città erano spazzati da un rigido inverno malgrado fossero in pieno agosto.
Floria la raggiunse. «Quel folle di un prete a momenti mi faceva cadere dai gradini! Dove stava andando Godfrey?» «Non lo so!» Ash si accorse che il suo tono di voce angosciato aveva sorpreso la donna. «Non lo so» ripeté con calma. «Ha saltato i Vespri.» «Vuoi qualcosa?» chiese Ash. «Adesso che sei ricomparsa vorresti dirmi quale cavolo di parente stai cercando di evitare questa volta? Ne ho già avuto abbastanza di quello che è successo a Colonia! A cosa diavolo mi serve un chirurgo se non è mai nelle vicinanze?» Floria arcuò le sopracciglia. «Pensavo di poter avvicinare mia zia Jeanne, ma devo farlo con una certa cautela. Sono passati cinque anni dall'ultima volta che ci siamo viste, quindi potrebbe rimanere un po' scossa dalla mia visita, anche se sa che mi vesto da uomo quando viaggio.» L'alta donna scosse la testa e sottolineò le ultime parole con una venatura sardonica. «Non mi piace costringere le persone a capire delle questioni che sono al di fuori della loro portata.» Ash lanciò una rapida occhiata alla brigantina e ai pantaloni da uomo che aveva indosso. «Mentre io lo faccio, è questo che vuoi dirmi?» «Whoa!» esclamò Floria allungando le mani. «Va bene, smettila e vai a addestrarti. Sant'Iddio vai a colpire qualcosa, dopo ti sentirai meglio!» Ash proruppe in una risata tremante e sentì che cominciava a rilassarsi. Una folata di aria fresca le carezzò il volto provocandole una sensazione piacevole. Spostò la spada perché sentiva il bisogno di grattarsi una gamba nel punto in cui il fodero batteva contro i pantaloni. «Sei felice di essere tornata in Borgogna, vero?» Floria accennò un sorriso e Ash non riuscì a capire cosa si nascondesse dietro quell'espressione. «Non del tutto» rispose il chirurgo. «Io penso che il faris sia pazzo come un cane rabbioso. Mi sembra un'ottima idea quella di farsi proteggere dall'esercito più potente del mondo, sempre che riesca a tenermi lontana da quell'individuo. Comunque, sono abbastanza felice di essere tornata.» «Qua c'è la tua famiglia.» Ash fissò la luna che si alzava sempre di più nel cielo. Il color oro che aveva sfumato le nuvole fino a pochi attimi prima stava cedendo il passo al rosa. Strinse i pugni e distese le braccia. La brigantina che le fasciava il corpo le faceva provare una sensazione familiare e rassicurante. «Non che quella famiglia sia una benedizione del cie-
lo... Cristo, Florian! Fino a questo momento ho sentito Fernando dirmi che vuole il mio magnifico corpo. Godfrey dare fuori di testa e il duca Carlo che non sa se consegnarmi o no ai Visigoti!» «Che non sa cosa?» «Non lo sapevi?» Ash scrollò le spalle e si girò verso la donna che si era appoggiata a un merlo con un'espressione interrogativa dipinta sul volto. «Il faris ha mandato una delegazione alla corte del duca. E tra le altre facezie quali la dichiarazione di guerra a noi o alla Francia, lei, il faris, vuole che io sia restituita perché sarei una sua schiava.» «Stronzate» ribatté Floria, colma di fiducia. «La legge potrebbe darle ragione.» «Non quando gli avvocati della mia famiglia avranno visto la documentazione. Dammi una copia della condotta. La porterò dagli avvocati di zia Jeanne.» Ash notò che il chirurgo aveva evitato accuratamente di pronunciare la parola schiava e disse: «Ti importerebbe qualcosa se io non fossi una figlia legittima?» «Mi stupirei molto se lo fossi.» Ash stava per mettersi a ridere, ma si trattenne, lanciò una rapida occhiata a Floria del Guiz e si leccò le labbra. «E se non fossi nata da genitori liberi?» Silenzio. «Vedi che importa» disse Ash. «I bastardi puri e semplici vanno bene finché sono figli di nobili o almeno di cavalieri. Ma se si nasce da schiavi allora cambia tutto. Diventi una proprietà. Molto probabilmente la tua famiglia compra e vende donne come me, Florian.» La donna rimase impassibile. «È probabile. C'è qualche prova che tua madre fosse una schiava?» «No, non c'è nessuna prova» Ash abbassò lo sguardo. Passò un dito sul pomello della spada raschiando le tacche con l'unghia. «Solo che adesso c'è un mucchio di gente che sa come vengono usati gli schiavi a Cartagine. Servono per dare alla luce soldati. Per far nascere un generale. E, come Fernando si è divertito a farmi notare, quelli che non soddisfano le loro aspettative vengono buttati nella spazzatura.» «Ma è come se selezionassero del bestiame» sbottò Floria. continuando a sfoderare la sua solita noncuranza. «Non credo che agli uomini della compagnia possa importare qualcosa» continuò Ash. «Continueranno a vedermi come una donna anche se mia
madre era una schiava. Finché riuscirò a farli uscire sani e salvi da una battaglia potrei anche essere la puttana di Belzebù in carne e ossa per quello che a loro può importare!» E quando sapranno che non sento la voce di un santo o di un Leone Azzurro e che in verità origlio quello che viene detto a qualcun altro? Si chiese tra sé e sé. La voce di una macchina? Che sono solo un errore, uno scarto del progetto che ha portato alla nascita del faris? Cosa succederà? Sarà diverso? La loro fiducia nei miei confronti è sempre stata sottile come un filo. Sentì un peso sulle spalle, alzò la testa e vide che Floria del Guiz vi aveva posato sopra un braccio. «Non tornerai nelle mani dei Visigoti» la rassicurò Floria. «Ascolta, c'è la parola di quella donna contro la tua...» «Fanculo, Florian, è la mia gemella e sa di essere nata da schiavi. Cos'altro posso essere io?» La donna sollevò una mano e le carezzò la guancia con le dita ruvide. «Non importa. Rimani qua. Zia Jeanne aveva degli amici a corte e probabilmente ne ha ancora, è nel suo stile. Farò in modo che tu non venga mandata da nessuna parte.» Ash scrollò le spalle a disagio. La brezza era calata e anche gli spalti erano diventati caldi come il resto della città. Udirono le canzoni degli ubriachi nella taverna ai piedi della scalinata e il rumore delle lance che battevano contro l'assito del ponte durante il cambio della guardia. «Non importa.» Floria girò la testa di Ash costringendola a guardarla. «A me non importa!» Le dita del chirurgo le premettero la mascella. Ash era abbastanza vicina da sentire l'alito dolce della donna, vedere lo sporco tra le rughe vicino agli occhi e il bagliore che in quel momento balenava nelle iridi castano-verdi. Sulle labbra di Floria apparve un sorriso furbo, quindi mollò la mascella di Ash e le passò un dito su una cicatrice. «Non preoccuparti, capo.» Ash fece un sospiro e si rilassò contro Florian, quindi le diede una pacca sulle spalle e disse: «Hai ragione! Fanculo, hai proprio ragione. Andiamo.» «Dove?» «Ho deciso» annunciò Ash, sogghignando. «Torniamo al campo e beviamo fino a cadere sotto il tavolo. È un ordine.» «Ottima idea!» Raggiunsero la scorta ai piedi della scalinata e si avviarono verso il can-
cello meridionale della città. Ash camminava a braccetto del chirurgo che a un certo punto della strada si paralizzò improvvisamente. Gli uomini di Thomas ed Euen portarono le mani sulle armi e si fecero avanti. «Dovevo immaginare che se il moccioso di Costanza era in giro dovevi esserci anche tu. Dov'è il tuo fratellastro?» domandò una donna attempata, in tono glaciale. La nuova arrivata, che indossava un lungo abito marrone con un soggolo bianco, stringeva una borsa tra le mani. I vestiti, tutti molto costosi, erano di seta ricamata e il colletto della maglia che spuntava sotto l'abito era di lana. L'unica parte visibile di quel corpo era il volto sudato, paffuto, con il doppio mento sul quale spiccava un naso camuso. Gli occhi verdi avevano ancora un'aria giovanile. «Sei tornata per portare altra onta alla tua famiglia?» domandò nuovamente. «Mi hai sentita? Dov'è mio nipote Fernando?» Ash sospirò. «No. Adesso, no...» borbottò. Florian arretrò di un passo. «Chi è il vecchio pipistrello?» domandò un ronconiere della scorta. «Fernando del Guiz si trova nel palazzo del duca, signora» si intromise Ash, anticipando Floria nella risposta. «Penso che lo troverete in compagnia dei Visigoti!» «L'ho chiesto a te, abominio?» La donna aveva parlato con noncuranza. Gli uomini del Leone Azzurro cominciarono a guardarsi intorno. Non c'erano soldati nelle vicinanze e la donna anche se nobile, era uscita priva di scorta. Qualcuno cominciò a sghignazzare. Uno degli arcieri estrasse la daga e qualcun altro le diede della puttana. «Vuoi che ci occupiamo della vecchia troia, capo?» domandò Euen Huw ad alta voce. «È vecchia e brutta, ma Thomas si scopa qualsiasi cosa abbia due gambe, vero?» «Sempre meglio di te, bastardo di un Gallese. Almeno io non mi scopo qualsiasi cosa abbia quattro gambe.» I mercenari, uomini robusti con tanto di armature indosso, cominciarono a muoversi e a portare le mani sui coltelli. «Fermi!» ordinò Ash mettendo al tempo stesso una mano sulla spalla di Florian. La vecchia socchiuse gli occhi per osservare meglio Ash che stava dando le spalle al sole che si rifletteva sui tetti delle case. «Non ho paura dei tuoi furfanti armati.»
«Allora siete molto stupida» replicò Ash, calma. «Questi uomini non ci penserebbero due volte a uccidervi.» La donna sussultò. «Siamo sotto la protezione della pace del duca! La chiesa vieta l'omicidio!» Ash sapeva quanto rapidamente quella donna avrebbe potuto finire sul selciato con gli abiti strappati brutalmente e le gambe aperte. Fu quella consapevolezza che la spinse a parlare in tono gentile. «Noi uccidiamo per vivere e alla fine diventa un'abitudine. Potrebbero uccidervi per le scarpe per non parlare del borsellino o più semplicemente per divertimento. Thomas, Euen, credo che il nome di questa donna sia Jeanne? - e che sia in qualche modo imparentata con il nostro chirurgo. Giù le mani. Chiaro?» «Sì, capo...» «E non fare quella faccia!» «Merda, capo» ribatté Thomas Rochester. «Cerca di capire! Sono alla disperazione!» I mercenari sembravano occupare tutta la strada e parlavano ad alta voce. «Non potete rintanarvi in un bordello con una scorta di luigi d'oro?» disse Ash. «Questa è tua zia, Florian?» Florian fissò l'anziana nobile con sguardo impassibile e disse: «È la sorella di mio padre Filippo. Capitano Ash, posso presentarti mademoiselle Jeanne Châlon...» «No» rispose Ash, sincera. «Non puoi. Non adesso. Per oggi ne ho avuto abbastanza!» La vecchia si fece largo tra i soldati dimentica di quanto era successo qualche attimo prima, afferrò il farsetto di Florian e lo scosse due volte con la mano tremante. Ash, come anche Thomas ed Euen assistettero alla scena, una vecchia piccola e grassa che umiliava il loro chirurgo, un giovane alto, forte e sporco, e questi che rimaneva immobile a fissarla impotente. «È meglio che la portiamo via» propose Thomas Rochester rivolgendosi a Florian «se non vuoi che le facciamo male. Dove abita?» «Le insegneremo un po' di educazione strada facendo.» Euen Huw rinfoderò la daga e afferrò la donna per un gomito. Appena avvertì la stretta del mercenario, Jeanne Châlon sbiancò in volto, sussultò e crollò contro il Gallese. «Lasciala.» Ash piantò gli occhi addosso al Gallese finché non lo vide rilassarsi.
«Fatemi vedere! Zia Jeanne!» Floria del Guiz afferrò il gomito della donna. «Dannazione! Vedrai la prossima volta che capiti nella mia tenda, Euen Huw...» L'ufficiale gallese spostò la presa consapevole del fatto che la donna gravava ancora contro il suo petto. Pur essendo ancora mezza svenuta Jeanne Châlon si girò e gli diede uno schiaffo con la mano libera. Euen Huw cercò si sorreggerla senza cingerla alla vita o ai fianchi abbondanti, accompagnandola come meglio poteva mentre scivolava sul selciato. «Cazzo, Florian» grugnì «sbrigati a liberarti di questa vecchia vacca! Tutti abbiamo una famiglia a casa, giusto? Ecco perché siamo qua!» «Dolce Cristo impalato!» Ash spinse via i suoi uomini senza tante cerimonie rompendo il cerchio soffocante che si era formato intorno alla zia di Florian. «È una nobile, sant'Iddio! Ficcatevi nella testa che se dovesse succederle qualcosa il duca potrebbe farci cacciare da Digione! Inoltre è anche la zia del mio cazzo di marito!» «Davvero?» chiese Euen, dubbioso. «Davvero.» «Merda. Lui è con i suoi amici Visigoti, adesso. Non che ne avesse bisogno, visto che ora è rimasto con le pezze al culo.» «Buoni» sbottò Ash continuando a fissare Jeanne Châlon. Florian tolse dalla testa della zia la cuffietta bianca con un gesto deciso. La vecchia sbatté leggermente le palpebre e un ciuffo di capelli grigi le ricadde sulla fronte. La carnagione sudata cominciò a riprendere colorito. «Acqua!» ordinò Florian senza alzare la testa, stringendo la mano della parente. Thomas Rochester le passò velocemente la sua borraccia. «Va tutto bene?» «Nessuno ci ha visti.» «Merda, ho l'impressione che stiano arrivando dei Burgundi!» Ash fece un cenno che fece cessare ogni commento. «Ricau, Michael andate all'imbocco della strada e fate in modo che non entri nessuno. Allora, Florian? È morta o cosa?» «È fin troppo vestita per questo caldo, l'avete fatta cagare sotto dalla paura ed è svenuta» borbottò il chirurgo. «Riuscirai a cacciarmi in qualche altro guaio?» Malgrado la donna avesse parlato in tono caustico, Ash aveva percepito la vena d'agitazione che le faceva tremare la voce in maniera impercettibile. «Non ti preoccupare, metterò tutto a posto» la rassicurò Ash, anche se
non aveva la minima idea di cosa potesse fare per mettere a posto quel disastro. Vide che il suo tono aveva calmato il chirurgo che probabilmente non si era accorto della sua mancanza di risorse. «Alzatela» aggiunse Ash. «Simon, vai a prendere del vino. Corri.» Ci volle qualche minuto prima che il paggio di Euen tornasse dalla locanda e nel frattempo i mercenari tornarono a rendersi conto di essere in una città affollata con un esercito accampato fuori dalle mura e cominciarono ad agitarsi. Ash osservò i loro volti e ascoltò i commenti, mentre rimaneva inginocchiata a fianco di Florian. «Io ti ho cresciuta» disse la vecchia con voce impastata. Aprì gli occhi e fissò Florian. «Cosa sono stata per te? Niente di più di una nutrice? Tu, che piangevi sempre per la morte di tua mamma! Come hai saputo ringraziarmi?» «Siediti, zia.» La voce di Floria era decisa. Le mise un braccio dietro la schiena e l'aiutò ad accomodarsi. «Bevi.» La donna sedeva sul selciato senza neanche rendersi conto di essere a gambe aperte. Sbatté le palpebre per proteggersi dalla luce del sole e scorse le gambe degli uomini che la circondavano. Florian le aprì le labbra e le versò in bocca del vino. «Se riesce a farti la predica allora vuol dire che sta bene e vivrà» commentò Ash, torva. «Andiamo, Florian. Togliamoci di qua.» Prese un braccio del chirurgo per tirarlo su, ma Florian si divincolò dalla presa. «Lascia che ti aiuti, zia...» «Toglimi le mani di dosso!» «Ho detto che andiamo via» ripeté Ash in un tono carico d'urgenza. Jeanne Châlon trattenne un urlo, raccolse la cuffietta dalla strada e la sistemò alla meno peggio sui capelli grigi. «Vigliacchi!» I soldati risero. Ash li ignorò fissando Florian in cagnesco. «Sei un abominio schifoso! L'ho sempre saputo! Anche quando avevi tredici anni e seducesti quella ragazzina...» Le altre parole della vecchia vennero seppellite dai commenti scurrili dei soldati. Thomas Rochester diede una pacca sonora sulle spalle del chirurgo. «Tredici anni, eh? Piccolo sporco bastardo!» Florian incurvò la bocca in un sorriso privo d'umorismo. «Lizette» spiegò controvoglia. «Sì, proprio lei. Suo padre ci teneva i cani. Capelli neri e ricci... proprio una bella ragazzina.» «È un vero donnaiolo il nostro chirurgo!» commentò ridendo uno dei ba-
lestrieri. «... Basta!» urlò Jeanne Châlon. Ash si inclinò in avanti e tirò su Florian senza fare tanti complimenti. «Smettila di discutere. Andiamo.» La donna seduta sul selciato cominciò a urlare come un'ossessa prima ancora che il chirurgo avesse fatto un passo. I soldati che la circondavano si zittirono all'istante. «Basta con questa vile messa in scena. Dio non ti perdonerà mai, piccola puttana, piccolo abominio!» Jeanne Châlon ansimava vistosamente fissando la nipote con gli occhi umidi di pianto. «Perché tollerate la sua presenza? Non sapete che lei vi farà dannare tutti quanti, che vi inquina solo per il fatto di essere tra voi? Perché altrimenti non potrebbe tornare a casa sua? Siete ciechi? Guardatela!» Il volti di Euen, Thomas e dei ronconieri spostarono gli sguardi su Ash poi su Florian che a sua volta si mise a fissare Ash. «Va bene, adesso è troppo» disse Ash, sperando di poter trarre vantaggio dalla confusione che regnava in quel momento nel vicolo. «Andiamo.» Thomas fissò Florian. «Chi è la 'lei' di cui sta parlando, uomo?» Ash si riempì i polmoni. «In formazione...» Jeanne Châlon fu scossa da un tremito, quindi si alzò in piedi da sola. Ansimava vistosamente, allungò una mano e afferrò il corsetto di Euen Huw. «Sei cieco?» La nobile si girò verso Florian. «Guardatela! Non riuscite a vedere chi è veramente? È una puttana, un abominio. Lei si veste con abiti da uomo, ma è una donna...» «Cazzo» imprecò Ash a bassa voce, senza neanche rendersene conto. «Dio mi è testimone» urlò mademoisselle Châlon «lei è mia nipote e anche la mia fonte di vergogna.» Sulle labbra di Floria del Guiz apparve un sorriso tirato. «Mi ricordo che dopo la faccenda con Lizette mi minacciasti di chiudermi in un convento» disse in tono assente. «Ho sempre pensato che fosse una soluzione abbastanza illogica. Grazie, zia. Dove sarei senza di te?» I mercenari avevano cominciato a scambiarsi dei commenti fra di loro. Ash sgranò un rosario di oscenità a voce bassa. «Va bene, in formazione e andiamo via. Veloci.» Gli uomini si erano raggruppati nuovamente intorno a Floria e a sua zia, come se non esistesse altro al mondo. Le ombre di alcune colombe in volo
passarono sul gruppo. Il silenzio che aleggiava nella strada era rotto solo dal rumore dei mulini. «Dove sarei senza di te?» ripeté Florian. Ingollò un lungo sorso di vino dalla fiasca portata dal paggio di Euen, quindi si pulì la bocca con una manica. «Sei stata tu a cacciarmi. È difficile passare per un uomo, studiare con gli uomini. Sarei tornata indietro da Salerno dopo la prima settimana, se avessi avuto una casa dove tornare. Ma non l'ho fatto, così sono diventata un chirurgo. Sei stata tu, zia, a farmi diventare quello che sono.» «Sei una creatura del diavolo» disse Jeanne Châlon. «Tu andasti a letto con quella ragazzina, Lizette, come un uomo» continuò in tono glaciale. Sui volti degli uomini era apparsa un'espressione tra il disgustato e lo stupefatto. «Avrei potuto farti bruciare» continuò la vecchia. «Ti ho tenuta tra le braccia quando eri una bambina. Ho pregato per non vederti mai più. Perché sei tornata? Non potevi rimanere lontana da qua?» «C'era qualcosa...» disse Floria. La voce aveva perso la sua solita inflessione roca e suonava più simile a quella di una donna «... c'era qualcosa che volevo chiederti da sempre, zia. Hai pagato per farmi liberare dalle prigioni dell'abate di Roma, quando avrei dovuto essere bruciata per aver amato un'ebrea. Avresti potuto riscattare anche lei, zia? Avresti potuto riscattare anche la vita di Ester?» Gli uomini riportarono l'attenzione su Jeanne Châlon. «Avrei potuto, ma non ho voluto. Era un'ebrea!» La donna sudava copiosamente e nel frattempo, senza farsi notare, nascose il borsellino dei soldi spostandolo con un piede sotto le gonne. Distolse lo sguardo dalla nipote e per la prima volta sembrò rendersi conto di avere degli spettatori. «Era un'ebrea!» ripeté ad alta voce la nobile burgunda. «Bene... sono stata a Parigi, Costantinopoli, Bokara, in Spagna e ad Alessandria.» La voce del chirurgo era colma di disprezzo: ormai aveva perso ogni speranza. In quel momento Ash si rese conto che Floria aveva atteso a lungo quell'incontro, ma non era andato come lei se l'era aspettato. «Non ho mai incontrato nessuno che potessi disprezzare quanto te, zia.» «E si veste come un uomo!» urlò la nobildonna burgunda. «Ha ragione capo» ringhiò Thomas Rochester «e nessuno l'ha ancora bruciata.» Ash si rese conto che la situazione era comunque in equilibrio, era un momento cristallizzato nel tempo. Non sanno cosa pensare, si disse. Florian è una donna - ma la Châlon non è una di noi...
Si accorse del segnale di Ricau. Un certo numero di operai dei mulini stavano per entrare nella strada. «Filippo non avrebbe mai dovuto metterti al mondo!» urlò la donna. «Per questo peccato sta soffrendo in Purgatorio!» Floria del Guiz si girò di scatto e diede un pugno in faccia alla zia. Rochester, Euen Huw, Katherine e il giovane Simon esultarono. Mademoiselle Châlon cadde a terra gridando: «Au secours103 !» «Va bene» disse Ash continuando a fissare i cittadini di Digione che si avvicinavano «è arrivato il momento di andare: portiamo via il chirurgo.» Nessuno esitò, il manipolo di soldati si chiuse intorno al medico, quindi si incamminò verso i cancelli della città con passo deciso e nessuno osò sbarrare loro la strada. «Se qualcuno dovesse chiedere» disse Ash, rivolgendosi a Jeanne Châlon «il mio chirurgo è in arresto sotto la custodia del prete e sto decidendo quale sanzione disciplinare adottare a suo carico.» La vecchia singhiozzò portando una mano alla bocca. Ash corse dietro ai suoi uomini e lanciò un'occhiata all'ultimo sole che spariva dietro i tetti di Digione. Perché siamo venuti in Borgogna? pensò. E cosa mi dirà il duca? IV «Perché quando succede un casino io devo essere sempre nelle vicinanze104 ?» si chiese Ash sottovoce. «Credo che si tratti solo di fortuna, capo...» rispose Thomas Rochester, scrollando le spalle. Ash trattenne una risata e si affiancò a Floria del Guiz. Sopra di loro il cielo cominciava a perdere colore e si intravedevano i puntini bianchi che formavano le costellazioni di Orione e Cassiopea. L'oro del sole morente bordava i tetti di Digione. I corvi gracchiarono nel vedere il gruppo che si avvicinava al perimetro difensivo del campo e si levarono in volo sbattendo le ali. «Non lasciare il campo per nessun motivo al mondo, mastro chirurgo» le ordinò Ash, calma. Il sole calante conferiva al farsetto e ai pantaloni di Floria una tonalità calda e le tingeva i capelli di rosso oro. La donna, che stava camminando 103 104
Francese: aiuto (N.d.T.). Nel testo originale: 'fortuna imperatrix mundi'.
con le braccia strette intorno al petto, alzò la testa. «Non ti preoccupare.» Ash le diede una pacca sulla spalla. «Se dovesse arrivare la milizia cittadina ci penso io. Rimani nella tua tenda per stanotte.» La donna abbassò la testa e riprese a camminare senza fissare i soldati. Gli uomini e le donne della scorta parlavano tranquillamente tra loro tenendo le armi sulle spalle e le mani sui foderi per non farli ballonzolare troppo. Ash ascoltò i discorsi. Qualcuno parlava dell'esercito burgundo accampato fuori della città, alcuni stavano organizzando delle bevute con gli amici mercenari delle altre compagnie impegnate in quella campagna, ma nessuno parlava del chirurgo. Ash prese una decisione. Non dirò nulla. Tutto dipende da Carlo. Tra qualche ora potremmo avere dei problemi più grossi di un chirurgo donna... I muri della città erano ormai avvolti dalle ombre e i margini dei tetti avevano assunto delle sfumature rossastre. L'umidità cominciava a bagnare i muri e il fieno nei campi. Una vacca muggì e un branco di cani prese ad abbaiare e uggiolare. Il tramonto portò un piacevole venticello fresco. Ash vide che davanti al cancello del campo si era riunito un gruppetto dei suoi uomini. Avevano i volti rossi e sghignazzavano nel tentativo di controllare l'eccitazione. «Cosa è successo questa volta?» domandò, sospirando rassegnata. Due quindicenni tutti muscoli e gambe furono spinti davanti a lei dal centro della piccola folla. Avevano entrambi i capelli lunghi e a giudicare dalla somiglianza del volto dovevano essere fratelli. Appartenevano alla lancia di Euen Huw. «Tydder» disse Ash, ricordandosi il nome. «Capo...» borbottò il ragazzo. Il fratello gli diede una gomitata al costato. «Zitto!» Entrambi avevano la maglia e il farsetto arrotolati giù fino alla vita. I petti erano rossi e i pantaloni erano tenuti su a stento dal cinturone della daga. Ash stava per infuriarsi quando notò che uno dei due rotoli di vestiti era più spesso dell'altro e lo indicò senza dire nulla. Il giovane afferrò il pezzo di stoffa che aveva nascosto tra i suoi abiti e lo srotolò tenendolo tra le grosse mani. Era una bandiera rossa e blu di circa due metri di grandezza sulla quale spiccavano due corvi e altrettante croci. Ash avvertì un lieve trambusto alle sue spalle e qualcuno che rideva:
l'atmosfera era carica d'attesa. «Questa, mi sembrerebbe proprio una bandiera, vero?» esordì. Non aveva nessuna intenzione di privare i suoi uomini dello spettacolo pregustato fino a quel momento. Il ragazzo che teneva la bandiera annuì e l'altro fratello ridacchiò. «Lo stendardo personale di Cola di Monforte?» indagò Ash. «Proprio quello, capo!» disse un terzo fratello, arrossendo. Ash cominciò a sorridere. Floria, che si trovava alle sue spalle, ruppe il silenzio che era sceso sul campo. «Cristo su un palo, come lo spiegherai?» Ash vide l'espressione atterrita del chirurgo e rise di gusto. «Oh, io non dovrò spiegare un bel niente» rispose Ash divertita. «Non è compito mio. Infatti... spetta a voi due... Mark e Thomas, giusto? E al giovane Simon. Adesso ascolterete il mio suggerimento: Euen Huw e la sua lancia... Carracci, Thomas Rochester...» Ash indicò una dozzina di uomini «farete un bel pacchetto di questa bandiera, vi presenterete al cancello del campo di Monforte e restituirete lo stendardo a mastro Cola in persona con i nostri omaggi.» «Cosa?» esclamò Floria. «Perdere la propria bandiera può essere un fatto molto imbarazzante. A noi è capitato di averla trovata da qualche parte» continuò Ash «e l'abbiamo subito riportata da loro nel caso fossero preoccupati...» Una cascata di risate sommerse l'ultima parte della frase. Gli uomini della lancia indicata andarono a cercare le loro armature migliori per recarsi al campo di Monforte come era stato loro ordinato. «E come spiegheranno di essere incappati accidentalmente nella bandiera?» chiese Florian. «Questo non chiederlo a me.» Ash scosse la testa, ridacchiando. «Ricordami di dire a Geraint di raddoppiare le guardie lungo il perimetro e intorno allo stendardo del Leone. Credo che ci saranno altre di queste...» «... stronzate!» ringhiò Floria. «Sono solo delle perdite di tempo! Giochi da ragazzini.» Ash fissò Ludmilla Rostovnaya e la sua compagna di lancia, Katherine, che mettevano gli archibugi in spalla per andare a comporre parte del picchetto d'onore che doveva andare a restituire la bandiera. «Se vogliono giocare a ruba bandiera che facciano pure. Sia il duca decida di finanziare la mia impresa, sia decida di scendere in battaglia contro i Visigoti, entro qualche giorno molti di loro potrebbero essere nella tua
tenda o sottoterra e loro lo sanno.» Fece l'occhiolino a Florian. «Diavolo, se pensi che questo sia male, dovresti vederli dopo che hanno vinto una battaglia...!» La donna sembrò essere sul punto di rispondere, ma uno dei suoi assistenti, un diacono, le fece cenno dalla tenda del chirurgo e lei si allontanò da Ash dopo averla salutata con un brusco cenno del campo. Ash la lasciò andare. «Se dovessimo ricevere una visita dalla milizia cittadina» disse al capitano che comandava le guardie al cancello «mandami a chiamare immediatamente e non farli entrare per nessuno motivo, chiaro?» «Certo, capo. Siamo di nuovo nei guai?» «Ne sentirai parlare presto. In questo campo tutti sentono tutto...» «Già, sembra di essere in un cazzo di villaggio» concordò l'ufficiale, un grosso Bretone con le spalle da contadino. Mi chiedo cosa pensino che sia più scandaloso, pensò Ash. Che gli avvocati del duca sono convinti che io sia una proprietà dei visigoti o che il nostro cavolo di dottore sia una donna? «Notte, Jean.» «Notte, capo.» Ash si diresse a grandi passi verso la sua tenda. Ora che erano all'interno del campo la scorta si era sciolta e Ash camminava circondata da una mezza dozzina di mastini uggiolanti che saltavano intorno a lei. Geraint ab Morgan le andò incontro per ricevere la parola d'ordine per la notte, Angelotti le fece rapporto cammin facendo sulle riparazioni delle artiglierie (si era rotta una stanga del cannone a organo chiamato la Vendetta di Santa Barbara) e Henri Brant le domandò del denaro. Tutte queste incombenze le fecero raggiungere il suo padiglione, che si trovava ormai a pochi metri da lei, dopo circa mezz'ora da quando aveva lasciato i cancelli. Dentro la tenda Bertrand era intento a sabbiare l'armatura sotto la direzione impaziente di Rickard. Ash si tolse la brigantina, ne annusò le ascelle, passò il comando ad Anselm, fischiò ai cani e si diresse verso il fiume per una nuotata accompagnata da Rickard. «Non mi devo preoccupare di Florian.» Grattò il grosso collo del mastino annusando l'odore del cane. «Chiunque avesse dei problemi a essere comandato da una donna non si unirebbe alla mia compagnia, giusto?» Rickard sembrava confuso e Bonniau, un grosso e robusto mastino, sbuffò sonoramente. Raggiunsero la sponda del fiume e Ash si spogliò completamente. I ma-
stini si sedettero sulla riva e poggiarono le grosse teste sulle zampe. Uno dei cani, Brifault, una femmina pezzata, annusò gli abiti inzuppati di sudore e le scarpe. «Ho portato la fionda» disse Rickard. Ash sapeva bene che nessuna volpe, puzzola o topo era al sicuro se si avvicinavano alla spazzatura del campo. Era stato un colpo di fionda del paggio a procurarle la coda di volpe che portava sull'elmo. «Voglio che rimanga qua con i cani, anche se siamo nel campo.» Ash entrò in acqua e si immerse. L'acqua fredda la ghermì e sembrò tirarla verso il fondo. Si alzò ansimando, dopodiché si diresse sorridendo verso una piccola ansa dove l'acqua era più tranquilla. «Capo?» disse Rickard. «Sì.» Ash immerse nuovamente la testa sott'acqua e i suoi capelli si agitarono mossi dalla corrente. Si alzò in piedi e la chioma le ricadde fino alle ginocchia brillando alla luce del sole morente. Strofinò le scottature dovute al sole e i punti in cui la pelle si era arrossata. «Lo sai anche tu che se non mangio, mi lavo e dormo, questo campo non può funzionare alla perfezione... cosa succede?» Non riuscì a scorgere i lineamenti del ragazzino, ma il tono di voce non lasciava dubbi. «Sento del rumore.» Ash aggrottò la fronte. «Metti il guinzaglio ai cani.» Uscì dall'acqua e spostò i capelli dalle orecchie. Sentiva le gambe pesanti. Dal campo echeggiavano i suoni della gente indaffarata intorno ai fuochi e i canti degli ubriachi. Non c'era nulla di strano. «Cos'hai sentito?» Prese la maglia e cominciò a usarla come asciugamano. «Ecco!» «Merda!» imprecò Ash e si diresse verso il campo. Quello che aveva udito pochi attimi prima non era il solito baccano provocato dagli ubriachi, era un suono troppo aspro. Si vestì di fretta e furia senza terminare di asciugarsi, afferrò la spada con una mano, i guinzagli dei mastini con l'altra e si avviò verso il campo con i vestiti che le si appiccicavano alla pelle e Rickard alle calcagna. «È il dottore!» esclamò il ragazzino. Una folla di uomini urlanti si era riunita nella luce del crepuscolo. Ash arrivò sul posto e prese a farsi strada tra la folla nel momento stesso in cui i pali cadevano sradicando i picchetti e le corde e i teli si afflosciavano.
Un bagliore giallastro spiccò nitido nell'oscurità crescente. Qualcuno aveva incendiato la tenda. «FUOCO!» urlò Rickard. «Bisogna contenerlo!» ordinò Ash. Si fiondò in mezzo alla folla senza pensare, tenendo i guinzagli dei mastini con entrambe le mani. «Cosa cacchio stai facendo, Anhelt! Pieter, Jean, Henri...» riconobbe diversi volti nella folla. «- indietro e andate a chiamare gli addetti agli incendi! Prendete i secchi e buttate sabbia sulla tenda.» Si rese conto di avere Rickard alle sue spalle che cercava di estrarre la spada consumata. Qualcuno li urtò violentemente. I cani ringhiarono e si lanciarono in avanti. «Bonniau! Brifualt!» urlò Ash, lasciando loro un po' di guinzaglio. Gli uomini arretrarono di fronte ai mastini liberando uno spazio intorno alla tenda crollata. Una figura stava cercando di uscire da sotto il cumulo di stoffa - Floria? «Fermi!» urlò Ash. «PUTTANA!» gridò un ronconiere all'indirizzo della tenda crollata. «Uccidiamo la troia!» «Va a letto con le donne!» «Puttana pervertita!» «Scopiamolo e dopo uccidiamolo!» «Scopiamola e uccidiamola!» Ash intravide gli uomini con i secchi d'acqua e le torce tra gli spazi che si aprivano e chiudevano nella folla. Il calore delle fiamme le scaldava la schiena. Dei frammenti di tela annerita volteggiavano nell'aria superandola. «Spegnete il fuoco prima che si propaghi al resto del campo!» urlò Ash a squarciagola. «Trasciniamola fuori dalla tenda e scopiamola» urlò un uomo: era Josse. «Fottuto chirurgo! Tagliamole la figa!» riprese a urlare dopo aver sputato. «Tira fuori Florian dalla tenda: muoviti» disse Ash, rivolgendosi al suo paggio e fece qualche passo tenendo i mastini davanti a sé. In quel momento si rese conto che la maggior parte dei presenti erano membri delle lance fiamminghe e provò una certa sorpresa nel vedere che in mezzo a loro c'era anche Wat Rodway con in mano un coltellaccio da macellaio. Tutti urlavano rossi in volto e l'odore della birra permeava l'aria. Stavano per cedere a un eccesso di violenza incontrollata. Non si limiteranno a urlare e a spaccare qualcosa, pensò Ash.
Merda! Non dovrei stare di fronte a questi pazzi. Questi mi passano sopra senza pensarci due volte. La mia autorità è bella che andata. Josse si fece avanti e allungò una mano per spostare bruscamente la donna con i capelli lunghi fino alle cosce che gli si parava d'innanzi e avvicinò l'altra all'elsa della sua arma. Quell'uomo era un balestriere fiammingo e un secondo dopo Ash si ricordò che aveva partecipato alla sua liberazione da Basilea e che era stato uno dei primi a salutarla quando era tornata al campo. Ash mollò i guinzagli. «Merda!» urlò Josse. I sei cani smisero di abbaiare all'istante e balzarono in avanti: un uomo arretrò con un mastino che gli mordeva il braccio, altri due caddero a terra con le bestie attaccate alla gola. Si levò un coro di imprecazioni e urla seguito da un guaito: qualcuno doveva aver ucciso un mastino. «INDIETRO E POSATE LE ARMI!» urlò Ash. Era ricorsa al tono di voce che impiegava in battaglia. Sentì qualcuno che parlava dietro di lei: erano Florian e Rickard e alcuni degli assistenti del chirurgo. Non pensò neanche per un attimo di distogliere l'attenzione dagli uomini davanti a lei. I feriti venivano tirati via dallo spiazzo e la folla cresceva sempre di più. Molti uomini protestavano. Dietro di lei il crepitio delle fiamme aumentava d'intensità. «Brifault!» Il mastino tornò da lei. Ash si accorse che lo scenario era cambiato: la folla non era più una massa di persone che avrebbero potuto spostarla senza neanche vederla per via della confusione, ma uomini protetti dalle maglie di anelli metallici, armati e con delle torce in mano. Uno di questi, Josse, aveva estratto la spada e la stava affrontando. Ash sapeva bene che la realtà nasceva da ciò che stabiliva il consenso generale, sentì di non essere più padrona della situazione: era passata da condottiero di un'unità mercenaria che esercitava il suo comando per concessione di tutti i suoi uomini a semplice ragazza che si trovava da sola in un campo, di notte, circondata da uomini che erano più grossi e vecchi di lei, armati e ubriachi. «Rivolta armata nel campo, trenta uomini...» borbottò automaticamente Ash. «Ristabilire il comando e il controllo...»
«Chi cazzo ti credi di essere!» urlò Josse, sputacchiando. La voce dell'uomo tuonò nell'aria. «Sei morta.» L'uomo la fissò in cagnesco e alzò la spada. I riflessi di un combattente scattano immediatamente quando vedono un'arma in movimento. Ash afferrò il fodero con la sinistra e l'elsa con la destra estraendo la spada con un unico movimento. Josse aveva alzato la spada in un attimo. La luce delle torce balenò sulla lama prima che questa cominciasse a calare. Ash intercettò l'arma del fiammingo con la sua, la deviò facendola scendere a terra con tanta forza che l'impatto sollevò una nuvoletta di polvere, quindi la bloccò con un piede e calò la spada sulla gola scoperta dell'uomo. «Merda...» sussurrarono quasi all'unisono i presenti. Ash sentì qualcosa di umido sulle mani e ritrasse l'arma. Josse portò entrambe le mani alla trachea recisa e cadde sulla paglia schiacciata. Scalciò per un'ultima volta, le sue interiora si rilassarono, un ultimo rantolo sembrò fuoriuscire direttamente dalla gola tagliata poi giacque immobile. Gli uomini che si trovavano dietro spingevano per avanzare urlando, mentre quelli che avevano assistito alla scena si zittirono. «Merda» ripeté Pieter Tyrrel, quindi alzò gli occhi velati dall'alcol e fissò Ash. «Merda, gente.» «Sapeva bene di non dover estrarre la spada» commentò uno dei ronconieri. Un gruppo di uomini in corazza completa sotto il comando di Anselm comparve sulla scena. Ash vide il suo luogotenente che si apriva un varco tra la folla che in quel momento stimò essere, nonostante l'oscurità, di cinquanta o sessanta persone. «Ben fatto.» Ash annuì in direzione di Anselm. «Fai seppellire... quest'uomo.» Diede la schiena ai suoi uomini deliberatamente lasciando che fosse Anselm a mettere a posto tutto, passò la mano guantata sul pomello della spada macchiato di sangue per pulirlo e la rinfoderò. I mastini le si avvicinarono. Rickard e Florian del Guiz la fissavano in piedi tra i resti anneriti della tenda. Entrambi avevano la stessa espressione sul volto. «Stava per ucciderti!» protestò Rickard. Il ragazzino che, fermo a gambe divaricate e testa bassa, sembrava voler imitare una delle posture tipiche di Anselm, osservava gli uomini che si allontanavano con un misto di spac-
coneria e paura. «Come hanno potuto? Tu sei il capo!» «Sono dei duri. E se sono ubriachi non hanno nessun capo.» «Ma tu li hai fermati.» Ash scrollò le spalle e prese i guinzagli. Carezzò il muso di Bonniau riempiendosi le dita tremanti di bava. Floria si allontanò da ciò che rimaneva della sua tenda e dei suoi strumenti chirurgici. Aveva una manica del farsetto strappata e un labbro sanguinante. Qualcuno doveva averla picchiata prima di dare fuoco al suo padiglione. «Va tutto bene?» «Stronzi!» Florian fissò gli uomini che trascinavano via il corpo di Josse avvolto in una coperta. «Quante volte li ho avuti sotto il mio bisturi? Come hanno potuto farmi questo?» «Sei ferita?» insistette Ash. Florian si fissò le mani tremanti. «Dovevi proprio ucciderlo?» «Sì. Loro mi seguono perché posso uccidere senza pensarci due volte senza alcun tipo di rimorso.» Ash sollevò il mento del chirurgo e studiò le escoriazioni. La pelle della donna era segnata da alcune ditate nere nei punti in cui l'avevano afferrata. «Vai a chiamare uno dei diaconi, Rickard. Non ho nessuna remora a uccidere. Se ne avessi sarei già finita dalla prima volta in cui una trentina di bastardi armati si presentarono davanti alla mia tenda dicendomi: 'I soldi del baule sono nostri, sparisci, bambina'. Non trovi?» «Sei folle.» Florian tornò a fissare ciò che rimaneva della tenda e una lacrima le rigò la guancia. «Siete tutti dei pazzi fottuti! Non c'è differenza tra un maniaco e un soldato!» «Sì, sono pazza, ma sono dalla tua parte» commentò Ash in tono asciutto. Vide arrivare il diacono con una lanterna e gli disse: «Fate dormire il dottore nella cappella da campo. Padre Godfrey è tornato?» «No, capitano.» «Va bene. Datele da mangiare e tenetela d'occhio. Non penso che le abbiano fatto troppo male.» Vide Robert Anselm che tornava verso di lei preceduto dal clangore metallico dell'armatura che indossava. «Voglio che Florian sia segregato nella cappella da campo e sia sorvegliato» ripeté, rivolgendosi al suo luogotenente. «Consideralo fatto.» Anselm impartì gli ordini ai suoi uomini, quindi si
girò verso Ash e le chiese: «Cosa diavolo è successo, ragazza?» «È stato un errore.» Ash fissò la paglia schiacciata e macchiata di sangue. Non molto, ma visibile alla luce delle lanterne. L'odore della tela e delle erbe mediche bruciate riempiva l'aria della notte. «Non potevi disarmarlo» disse Thomas Rochester, che si trovava alle spalle di Robert. «Pesava il doppio di te. Avevi solo una possibilità e l'hai sfruttata.» Robert Anselm fissò il chirurgo che si allontanava. «Lui - lei è una donna e va con le donne?» «Sì.» «E tu lo sapevi?» Ash esitò per qualche attimo. Robert sputò sulla paglia, imprecò a bassa voce e la fissò con gli occhi privi d'espressione. «Hai combinato un bel casino.» «Già. Josse era bravo sul campo. Avevo un fottuto bisogno di lui.» Ash aggrottò la fronte. «Ho bisogno di tutti gli uomini migliori! Se avessi saputo che le cose sarebbero finite così, mi sarei comportata altrimenti.» «Merda» imprecò nuovamente Anselm. «Sono d'accordo.» «Pulite tutto» ordinò Anselm agli uomini che si stavano avvicinando. Ash camminò a fianco del suo luogotenente, mentre i soldati si occupavano di rimettere in ordine l'area in cui fino a poco prima era sorta la tenda del chirurgo. «Devo indire una riunione per parlare con loro?» si chiese Ash, pensando ad alta voce. «O devo aspettare fino a domattina quando avranno le idee più chiare? Ho ancora un chirurgo di cui loro si fidano?» «È con noi da cinque anni» disse Anselm stuzzicando un filo di fieno con lo stivale. «Metà di loro sono stati rimessi insieme nella sua tenda. Da' loro una possibilità di lavorare e vedrai che avrai ancora un dottore. La prima volta che qualcuno si farà del male correrà da lei di gran carriera.» «E quelli che non lo faranno?» Ash vide il padrone del pennacchio che aveva svettato dietro la folla per quasi tutto il tempo del trambusto e assunse un'espressione tetra. «Mastro van Mander» lo chiamò. «Vorrei scambiare un paio di paroline con te.» Joscelyn van Mander, Paul di Conti e altri cinque o sei comandanti di lancia fiamminghi si fecero strada nella confusione. Van Mander era pallido in volto.
«Perché hai permesso che i tuoi uomini facessero tutto questo casino?» «Non sono riuscito a fermarli, capitano» si giustificò il fiammingo. Si tolse l'elmo e arrossì in volto. L'alito puzzava di vino. «Non potevi fermarli? Tu sei il loro ufficiale!» «Io comando solo perché loro me lo permettono. Lo stesso vale per tutti noi. Siamo una compagnia mercenaria, capitano Ash. Come potevo fermarli? Ci hanno detto che il chirurgo è un diavolo, un demone; una creatura pervertita e lussuriosa; un'offesa per il genere umano...» Ash arcuò un sopracciglio. «È una donna: e allora?» «È una donna che è andata a letto con altre donne, che le ha conosciute carnalmente!» La voce dell'ufficiale aveva assunto un tono oltraggiato. «Anche se io potrei arrivare a tollerarlo perché lui, lei è il tuo chirurgo e tu sei il comandante...» «Basta» tagliò corto Ash. «Il tuo dovere era quello di controllare i tuoi uomini e non sei stato all'altezza del tuo compito.» «Come potevo controllare il loro disgusto?» sbottò l'uomo. L'odore della birra aleggiò nell'aria per qualche attimo. «Non prendertela con me, capitano. Lei è il tuo chirurgo.» «Torna alla tua tenda. Domani mattina ti farò sapere la sanzione.» Ash osservò il comandante che si allontanava ignorando per il momento gli altri comandanti con lui, prendendo nota però nel momento in cui si girava di chi lo seguiva e di chi prendeva parte all'opera di pulizia. «Dannazione!» imprecò Ash. «Siamo nei casini» commentò Anselm flemmatico. «Sì, come se non ne avessi già abbastanza.» Ash lisciò una manica della maglia. «Forse dovrei essere ansiosa di essere consegnata ai Visigoti... a questo punto potrebbe essere solo un miglioramento!» Robert Anselm ignorò il suo sfogo come al solito. «Domani mattina voglio fare delle indagini. Voglio fermare tutto prima di perdere il controllo.» Quando alzò la testa vide che Anselm la stava fissando. «E mi piacerebbe sapere se qualcuno della lancia di van Mander ha origliato un qualsiasi 'commento casuale' di Joscelyn prima del casino.» «La cosa non mi sorprenderebbe.» «Meglio che vada a controllare Florian.» «Senti, per quanto riguarda Josse.» Robert Anselm si fermò. «Perché dopo non passi nella mia tenda e ti fai una coppa di vino?» Ash scosse la testa. «No.» «Potremmo brindare alla memoria di Josse.»
«Già.» Ash sospirò grata ad Anselm per la sua comprensione e sorrise. «Va tutto bene. Non preoccuparti per me, Roberto. Non ho bisogno del vino. Dormirò.» Il mattino dopo il paesaggio era avvolto da una nebbia fitta e umida. Anche all'interno del palazzo si erano formate delle gocce d'acqua. La nebbiolina che permeava la sala delle udienze si tinse di rosso al sorgere del sole. Ash, ferma a fianco del conte di Oxford, era contenta di quel fresco mattutino. A de Vere e i suoi fratelli era stato dato un posto poco distante dal trono ducale e da quella posizione Ash poteva osservare la corte burgunda, i dignitari stranieri e la delegazione visigota. Ai rintocchi delle campane il coro cominciò a cantare l'inno del mattino. Ash si tolse il cappello e si inginocchiò sul pavimento di marmo bianco. «Non ho la minima idea di quale possa essere la decisione del duca» le disse John de Vere al termine dell'inno. «Io sono uno straniero qua, signora.» «Avrei potuto stringere un contratto con quell'uomo» sussurrò Ash. «Già» ammise il conte di Oxford. «Già.» Si guardarono negli occhi, scrollarono le spalle con un sorrisetto sulle labbra e si alzarono in piedi nel momento stesso in cui il duca Carlo di Borgogna si sedette sul trono. Ash si guardò intorno aspettandosi di trovare Godfrey al suo fianco che le sussurrava all'orecchio i suoi preziosi consigli, ma rimase delusa. Questa volta c'era Robert Anselm. Godfrey Maximillian sembrava sparito nel nulla. Robert crede che Godfrey abbia passato la notte a Digione, pensò Ash, ma anche lui si sta chiedendo dove sia finito. Lo capisco dalla sua espressione e io non so cosa dire. Dove cavolo sei andato, Godfrey? Tornerai? «Al diavolo» aggiunse, credendo di parlare sottovoce, ma, a giudicare dallo sguardo interdetto di de Vere doveva aver fatto l'esatto opposto. Il nobile inglese sfruttò i discorsi del ciambellano e del cancelliere del duca per conferire con Ash. «Non preoccupatevi, signora. Se dovesse succedere, troverò il modo di tenervi qua, lontana dalle grinfie dei Visigoti.» «Come?» L'Inglese sorrise fiducioso, apparentemente divertito dal tono caustico della donna. «Penserò a qualcosa. Lo faccio spesso.»
«Vi fa male pensare troppo... mio signore.» Ash sembrò appiccicare il titolo alla fine della frase. Alzò la testa e prese a osservare la folla intorno a lei. L'argento e il blu, il rosso e l'oro, lo scarlatto e il bianco dei complicati stemmi araldici della Borgogna e della Francia erano ovunque. Lo sguardo di Ash si posò sui nobili raggruppati negli angoli della sala o su quelli intorno ai camini. C'erano mercanti vestiti con abiti di seta, dozzine di paggi con le giubbe bianche a sbuffo e preti con le tuniche verdi e marroni. I servitori si muovevano rapidamente tra i vari gruppi. Il fresco del mattino rendeva le voci più nitide, ma, notò Ash, venate di un tono solenne, greve e riverente. Dove sei Godfrey, ho bisogno di te. Cominciò a origliare in cerca di notizie utili: uno vicino a lei esaltava le virtù dei cani da caccia femmina, due cavalieri discutevano di un torneo e una grossa donna con indosso un abito italiano parlava del maiale in gelatina di miele. L'unica conversazione politica che riuscì a sentire fu quella tra l'ambasciatore francese e Filippo di Commines105 : i due stavano parlando di alcuni duchi francesi che non conosceva. Allora dove sono tutti questi intrighi di corte? si chiese. Forse non ho bisogno di Godfrey per conoscere i dettagli, non qua, almeno. Ma io ho bisogno di lui. Ash si girò per assicurarsi che Joscelyn van Mander non fosse solo presente, ma anche sobrio e abbastanza sottomesso e che i suoi uomini indossassero le giubbe della compagnia sopra le armature lucide, per quanto potevano esserlo dopo una fuga di qualche centinaio di chilometri in pieno inverno. Antonio Angelotti e Robert Anselm erano al suo fianco. Robert stava chiacchierando educatamente con uno dei fratelli de Vere e non notò la sua occhiata. Angelotti le sorrise e lei gli fece cenno di mettersi davanti al gruppo. Almeno facciamo una bella figura, pensò Ash. Un lieve trambusto in fondo alla sala attirò la sua attenzione. Ash resistette all'impulso di alzarsi in punta di piedi. Vide uno stendardo che svettava sull'uscio dalle grandi porte di quercia e udì il latino cartaginese parlato dai Visigoti. Portò automaticamente una mano sulla spada come per rassicurarsi. Rimase in quella posizione e spostò il peso sui tal105
Filippo di Commines o Commynes (1447 - 1511), storico e politico. Fu il primo a servire i Burgundi per poi tradirli a favore della Francia. Divenne consigliere di Luigi XI quattro anni prima nell'AD 1472.
loni, mentre il ciambellano e i suoi servitori annunciavano e facevano entrare Sancho Lebrija, Agnus Dei e Fernando del Guiz. Lo sfarzo della corte ducale sembrò avere un certo effetto su Fernando del Guiz che portò le mani tremanti dietro la schiena. La presenza fisica del marito le seccò immediatamente la gola e la confuse, ma ormai era una reazione alla quale si era abituata. Ciò che la confuse e la stupì veramente fu il dolore che provò nel vederlo vittima degli eventi, opportunista e isolato da se stesso. Al suo fianco il conte di Oxford assunse un portamento eretto. Ash uscì dal suo sognare a occhi aperti, ma impiegò qualche secondo prima di riuscire a concentrarsi sulla voce del duca. La nebbia delle prime ore del mattino aleggiava ancora nell'aria, avvolgendo i presenti in una sorta di coperta umida. I raggi del sole cominciavano a penetrare dalle finestre poste a oriente riscaldando il volto di Oxford che stava ascoltando un commento di Robert Anselm. La luce dell'astro infuocò la bellezza italiana di Angelotti donando alle armature di Jan-Jacob Clovet e Paul di Conti un'aria antica che li fece somigliare a due angeli usciti da un dipinto di Mynheer van Eyck, intenti a sognare l'eternità al cospetto di Dio. Ash avvertì una stretta al cuore. La sensazione della loro permanenza in aggiunta agli affari terreni scomparve. Fu colta da una sensazione di fragilità come se i suoi compagni fossero imperdibili e a rischio allo stesso tempo. Il sole continuava a levarsi sull'orizzonte. La luce cambiò d'angolazione portando via quella sensazione. Ash girò il capo verso il duca nel momento stesso in cui diceva: «Mastro Lebrija, ho ponderato la vostra richiesta con i miei consiglieri. Voi ci chiedete una tregua.» Sancho Lebrija fece un inchino rigido e formale. «Esatto, mio signore e principe di Borgogna.» Il volto lugubre del duca era quasi del tutto nascosto dal cappello, dal colletto a sbuffo e dalle collane d'oro che portava al petto: una ierofania che era l'immagine della regalità. Improvvisamente il regnante si chinò in avanti e Ash vide in lui l'uomo ricco e potente, appassionato di artiglieria, che passava più mesi possibili sul campo. «La vostra tregua è una menzogna» disse chiaramente il duca Carlo. La sala fu pervasa da un forte brusio. Ash si girò e zittì i suoi uomini con un gesto, quindi si sporse in avanti per meglio ascoltare le parole del duca. «Vi siete fermati ad Auxonne non per domandare una tregua, ma per spiare le mie terre e ricevere i rinforzi. Sostate ai nostri confini avvolti
nell'oscurità, armati di tutto punto con le atrocità dell'estate alle vostre spalle e venite a chiedere la pace - ci chiedete di arrenderci in nome di non si sa cosa. No» negò perentorio Carlo di Borgogna. «Se ci fosse rimasto anche solo un uomo della mia gente a difendere queste terre egli direbbe la stessa cosa, direbbe che noi siamo nel giusto e dove c'è giustizia c'è anche Dio. Noi vinceremo poiché Egli sarà al nostro fianco in battaglia.» Ash represse il commento cinico che solitamente avrebbe rivolto a Robert Anselm. Il suo luogotenente si era tolto il cappello e stava osservando con gli occhi sbarrati il fulgore del duca circondato dai vescovi, dai cardinali e dai preti. La voce del nobile tornò a echeggiare contro le volte della sala. «La giustizia può anche cadere in letargo, ma non marcisce nella terra come i corpi degli uomini, o arrugginisce come i tesori di questo mondo. Essa rimane immutata nel tempo. La vostra è una guerra ingiusta. Preferisco morire sulla terra governata da mio padre e dal padre di mio padre prima ancora di lui, piuttosto che firmare una pace con voi. Tutti coloro che vivono in Borgogna, non importa se poveri, contadini o profughi, difenderanno questa terra con tutti i loro mezzi e le preghiere che potranno innalzare a Dio.» L'ambasciatore francese si fece avanti e Ash vide che aveva stretto l'elsa della spada. «Mio duca» disse, quindi lanciò un'occhiata a Filippo di Commines che si trovava ancora tra la folla e continuò, «cugino del nostro re di Valois, quelli che ho appena udito sono dei sofismi. Sono parole per giustificare un tradimento.» Nessuno ribatté. Ash aveva la bocca secca e lo stomaco chiuso. Il nobile francese assunse un'espressione tetra. «Con questa minaccia voi sperate di far sembrare la Borgogna uno stato pericoloso da attaccare in modo che il nemico si rivolga contro le terre di re Luigi! È questa la vostra strategia? Voi sperate che il faris, questa meretrice, si sfianchi a combattere per dei mesi contro di noi per poi sconfiggerla e prendervi quello che rimane della Francia. Dov'è finito il tuo voto di lealtà al tuo sovrano, Carlo di Borgogna?» Già, dov'è finito? pensò ironica, Ash. «Il vostro re» disse Carlo di Borgogna «si ricorderà che io in persona ho bombardato Parigi 106 . Se volessi il suo regno me lo prenderei e voi ora non parlereste.» Ash si rese conto che i ciambellani e gli altri funzionari di corte si stava106
1465.
no avvicinando all'ambasciatore, mentre il duca tornava a rivolgere la sua attenzione a Sancho Lebrija. «Non accetterò la vostra richiesta» sentenziò Carlo ih tono deciso. «La vostra affermazione equivale a una dichiarazione di guerra» gli fece notare il qa'id visigoto. Ash lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche e notò che il robusto comandante dell'esercito burgundo sorrideva pienamente soddisfatto. «Avevamo detto che ci serviva una battaglia» ringhiò Robert Anselm all'orecchio di Ash. «Già, credo che ne avremo una molto prima di quanto ti aspettavi.» Ash fissava Sancho Lebrija per non guardare il marito. «Non mi consegneranno ai Visigoti.» L'occhiata di Anselm valse più di cento parole. Era come se le avesse detto: «Cerca di essere realista, ragazza! Non hai scelta.» «No» rispose Ash, tranquilla «non capisci. Io non andrò con loro neanche se ci vanno di mezzo tutta la corte, l'esercito di Carlo e Oxford. Attraverserò il Mediterraneo solo in compagnia di ottocento uomini armati di tutto punto.» Anselm assunse l'aria di qualcuno che stava pensando intensamente. «Se dovesse essere necessario ti tireremo fuori noi» borbottò improvvisamente qualche attimo dopo. Tu lo faresti anche, pensò Ash, ma non sono altrettanto sicura di van Mander. Si avvicinò al conte di Oxford che nel frattempo era stato convocato dal ciambellano del duca. «Sire?» disse il nobile in tono mite. «Io non sono il vostro signore legittimo» esordì Carlo di Borgogna sporgendosi in avanti, ignorando deliberatamente la delegazione visigota «ma credo che sarete contento di schierarvi insieme alla vostra compagnia sotto le nostre insegne quando ci recheremo ad Auxonne.» Merda, imprecò mentalmente Ash. Al diavolo l'incursione. «Facciamo da noi» mormorò ad Anselm. «Se paghi!» «Non posso pagare niente. I commercianti di Digione ci fanno credito solo perché siamo al soldo di Oxford.» Angelotti fece un commento scurrile in italiano a voce abbastanza alta da attrarre l'attenzione di Agnus Dei. «Ne sarò onorato» accettò cortesemente il conte di Oxford. «Sire.» Sancho Lebrija si fece avanti. «Principe di Borgogna, prima ancora della
guerra c'è la legge. Il nostro generale ha chiesto che le sia restituita una sua proprietà, una schiava che si trova in questa sala.» Il dito guantato indicò Ash. «La casata dei Leofric reclama il possesso di quella donna. I suoi genitori erano schiavi» ripeté. «Quella donna è una proprietà della casata dei Leofric.» Ash respirò profondamente, inalando l'odore dolce della segatura e dei petali di fiori che ricoprivano il pavimento della sala. L'apprensione le provocò uno strano senso di vertigine, ma riuscì a controllarsi. Alzò gli occhi per fissare il duca burgundo. «Mi consegnerà, ne sono sicura» mormorò all'indirizzo di Anselm e Angelotti. Per la seconda volta da quando si erano incontrati Ash vide un sorrisetto apparire sulle labbra di Carlo di Borgogna. «Ash» chiamò. Lei fece un passo avanti per affiancarsi a Oxford e scoprì con sommo stupore di avere le gambe molli. «Ho sempre assoldato mercenari con gran piacere» affermò grave il duca. «Per nessuna ragione al mondo permetterei a un comandante esperto e capace di abbandonare le mie forze. Tuttavia, in questo caso, non sono io quello che detiene il vostro contratto. Siete al servizio di un lord inglese sul quale le leggi della Borgogna non hanno alcun effetto.» «Non potrei mai andare contro i desideri del primo principe d'Europa, sire» incalzò prontamente John de Vere. «Voi avete richiesto la mia presenza sul campo di battaglia...» «Sento il suono dei soldi che passano di mano in mano» borbottò Ash. Dovette sforzarsi per non sorridere. «Avete chiamato in causa la giustizia» la voce di Sancho Lebrija tuonò nella sala. «Avete parlato della giustizia, principe di Borgogna. 'La giustizia può anche cadere in letargo, ma non marcisce'.» Il conte di Oxford cambiò postura mettendo Ash in allarme. Lei continuò a mostrarsi sicura di sé, consapevole che i suoi soldati stavano facendo vagare lo sguardo da lei al duca Carlo, al Visigoto e di nuovo su di lei. «Quali sono le vostre obiezioni?» domandò il duca. «La giustizia non cade in letargo. Il diritto, la legge, sono dalla nostra parte.» Il sole illuminò la figura dell'ambasciatore obbligandolo a socchiudere gli occhi e fece brillare gli anelli metallici delle corazze leggere e le else delle spade consumate dall'uso degli uomini della scorta. «State ricorrendo a un espediente di bassa lega, principe di Borgogna.
Voi state sfidando la legge solo perché desiderate avere qualche centinaio di uomini in più dalla vostra parte. Questa è cupidigia, non diritto. È un atto degno di un despota e non ha nulla a che fare con la legge.» L'ambasciatore esitò per qualche attimo. Fernando del Guiz gli suggerì qualcosa all'orecchio ed egli annuì. «Nessuno vi può biasimare, principe, quando dite che la guerra contro di noi è giusta. Ma dov'è la vostra giustizia, se voi la mettete da parte quando più vi aggrada? La donna appartiene alla casata dei Leofric. Voi, come ormai anche tutti i presenti, saprete che ella ha lo stesso volto del mio generale. Non potete negare che sia figlia degli stessi genitori. Non potete negare che sia una schiava.» Lebrija si interruppe fissando il duca. Il nobile non proferì parola e il Visigoto terminò: «In quanto schiava non ha il diritto di firmare una condotta, quindi non importa sotto di chi sta servendo in questo momento.» Sulla bocca di Oxford apparve una smorfia amara. Aggrottò la fronte senza parlare con l'aria di chi stesse pensando a una soluzione in fretta e furia. «Lo farà» sussurrò Ash ai due uomini al suo fianco. Anselm sudava copiosamente e teneva la testa bassa con fare aggressivo, mentre Angelotti aveva posato la mano sulla daga con un gesto carico di grazia letale. «Forse non lo farà per ottenere un vantaggio politico - forse è diverso da Federico - ma ascolterà sicuramente le parole di Lebrija. Mi consegnerà a loro per non trasgredire la legge.» Dietro di lei i suoi uomini cominciarono ad allargarsi leggermente, alcuni di loro valutarono a quanto distavano dalle porte e dove si trovavano le guardie. «Avete qualche idea?» aggiunse Ash, rivolgendosi a Oxford. Il conte la fissò in cagnesco. «Datemi un minuto!» Uno squillo di chiarina echeggiò chiaro e cristallino nella sala delle udienze. Un manipolo di cavalieri in corazza completa e armati di asce da guerra entrò dalla porta e si posizionò lungo le pareti. Ash vide de la Marche che approvava con un cenno del capo. «Cosa farà il vostro faris alla donna di nome Ash, una volta riavuta?» domandò Carlo di Borgogna dall'alto del suo trono. «Cosa farà?» ripeté Lebrija, colto alla sprovvista dalla domanda. «Esatto! Cosa ne sarà di lei?» Il duca poggiò le mani in grembo, quindi in tono leggermente pomposo aggiunse: «Vedete, è mia opinione che le
farete del male.» «Farle del male? No, mio principe, no.» L'espressione di Lebrija era quella di un uomo che sapeva di non essere convincente. «La cosa non vi deve preoccupare, principe. La donna di nome Ash è una schiava. È come se mi chiedeste se ho intenzione di far del male al mio cavallo quando scendo in battaglia.» Alcuni soldati della scorta di Lebrija sghignazzarono. «Cosa ne sarà di lei?» «La cosa non vi deve preoccupare, principe. Voi dovete attenervi alla legge. E la legge stabilisce che lei è nostra.» «Fatto sicuramente accertato» concordò Carlo di Borgogna. La frustrazione degli uomini di Ash era quasi tangibile. Fissavano i soldati burgundi intorno alla sala con occhiate ferali, imprecando a bassa voce. Tutti i loro disaccordi erano stati messi da parte per il momento. Anselm disse qualcosa per trattenere Angelotti. «No» sbottò l'Italiano. «Sono stato schiavo di uno dei loro amir. Farò tutto ciò che è in mio potere per impedire che ti portino con loro, madonna.» «Mastro artigliere, zitto!» ringhiò Anselm. Ash fissò Agnus Dei che dava una pacca sulla schiena di Sancho Lebrija per congratularsi. Dietro il mercenario italiano, Fernando del Guiz ascoltò il commento di un uomo della scorta e rise di gusto reclinando il capo all'indietro. Ash prese una decisione. «Sarò molto contenta di uccidere tutti i Visigoti presenti.» Aveva parlato in modo da farsi sentire da Anselm, Angelotti, van Mander, Oxford e i suoi fratelli. «Sono in nove. Uccidiamoli adesso. Dobbiamo essere veloci, dopodiché gettiamo a terra le armi e lasciamo che il duca ci dichiari fuorilegge. Se quelli moriranno ci sbatteranno fuori della Borgogna, ma non saremo consegnati.» «Facciamolo.» Anselm fece un passo avanti seguito dagli uomini del Leone. Ash udì van Mander che borbottava qualcosa in tono allarmato riguardo alle guardie. Avremo delle perdite, è ovvio, pensò. Carracci imprecava eccitato, mentre Euen Huw e Rochester avevano portato le mani sulle armi sghignazzando soddisfatti. «Aspettate!» ordinò il conte di Oxford. Uno squillo di chiarina echeggiò nell'aria e il duca Carlo di Borgogna si alzò in piedi come se nella sala non ci fosse un gruppo di mercenari a soli
dieci metri dal suo trono e i soldati armati fino ai denti non si fossero mossi perché Olivier de la Marche aveva ordinato loro di stare immobili con un segnale brusco. «No. Non vi consegnerò la donna di nome Ash» dichiarò il duca. «Ma è nostra per legge» ribatté Lebrija, visibilmente oltraggiato. «È vero. Tuttavia, non ve la consegnerò.» Ash si rese appena conto della mano di Anselm che le stringeva con forza un braccio. «Cosa?» sussurrò. «Cos'ha appena detto?» Il duca diede un'occhiata ai suoi consiglieri, ai legali, ai suoi sudditi. Un velo di soddisfazione calò sul suo volto quando Olivier de la Marche si inchinò profondamente e indicò gli uomini armati nella sala. «Comunque, se tenterete di portarla via con la forza, faremo tutto ciò che è in nostro potere per impedirvelo.» «Siete un folle, principe.» «Mi pigliasse un colpo se non ha ragione» commentò Ash a bassa voce. De Vere scoppiò a ridere di gusto e diede una pacca sulla spalla di Ash con la stessa forza che usava con i suoi fratelli. Lei fu molto contenta di aver indossato la brigantina perché l'impatto fece scricchiolare le piastre metalliche. Gli uomini di Ash esultarono e il duca Carlo si rivolse alla delegazione visigota. «È mio desiderio che la donna di nome Ash rimanga nella mia corte. E così sarà.» «Ma state infrangendo la legge» esclamò Sancho Lebrija come se la persona che aveva davanti non fosse il principe più potente della Cristianità, ma un paggio recalcitrante. «Sì, lo so. Portate questo messaggio ai vostri padroni - al vostro faris: io continuerò a infrangere la legge ogni volta che questa si dimostrerà sbagliata. L'Onore» continuò affettato e nuovamente un po' pomposo «è al di sopra della Legge. L'onore e la cavalleria ci impongono di difendere i deboli. Sarebbe moralmente sbagliato consegnarvi la donna quando ogni uomo presente in sala sa bene che voi la massacrerete.» Sancho Lebrija lo fissò stupefatto. «Non ci capisco niente.» Ash scuoteva la testa attonita. «Quale vantaggio può trarne il duca da questa mossa?» «Nessuno» le spiegò il conte di Oxford, serrando le mani dietro la schiena come se anche lui non le avesse posate sulle armi un attimo prima. Le
lanciò un'occhiata furba. «Assolutamente nessuno, signora. Nessun vantaggio politico. La sua azione non può essere difesa in alcun modo.» Ash ignorò la gioia dei suoi uomini e fissò la delegazione visigota che veniva scortata fuori della sala, quindi spostò l'attenzione sul trono e sul duca. «Non ci capisco niente» disse. V Ash raggiunse la sua tenda per la strada lunga, fermandosi di fuoco in fuoco per parlare con un centinaio di giovani che bevevano e parlavano dei loro successi con le donne e della loro bravura con l'arco lungo o il roncone. «È guerra» diceva loro, contenta. Ascoltava quello che avevano da dire bevendo una pinta di birra qua, mangiando un piatto di patate là, per ascoltare i commenti eccitati dei suoi uomini. Voleva sapere cosa ne pensavano della guerra, del chirurgo e della morte di Josse. Prestò particolare attenzione alle opinioni di quella parte del campo dove si erano accampate le dodici o tredici lance di Joscelyn van Mander. Arrivata alla tenda controllò quali erano gli ufficiali presenti alla riunione. Aggrottò leggermente la fronte e uscì di nuovo, formò una scorta di sei uomini presi da una lancia inglese e si incamminò con tanto di cani per il campo. «Di Conti» chiamò. Paul di Conti saltò fuori della tenda con un largo sorriso sul volto arrossato dal sole e si inginocchiò di fronte a lei. «Non ho visto né te né i tuoi comandanti di lancia alla riunione nella mia tenda. Infila il culo in una corazza e raggiungimi.» Il savoiardo sorrise nuovamente e disse: «Sieur Joscelyn ha detto che verrà a sentire al posto nostro. A me e agli altri non importa. Sieur Joscelyn ci dirà tutto ciò di cui avremo bisogno.» E di Conti non è neanche Fiammingo, pensò Ash sorridendo. Il ghigno del mercenario si affievolì. «Così non ci schiacciamo nella tua tenda come acciughe in un barile, capo!» aggiunse. «Anch'io credo che questo risparmi alla metà di voi di trovarsi seduta in grembo a me! Va bene.» Ash si girò di scatto e tornò verso il centro del campo con passo deciso. Era così concentrata a pensare che non si accorse dell'uomo alto e robusto dai capelli scuri che la stava seguendo da un certo tempo. La sua pelle
continuava a rimanere pallida malgrado fosse stata esposta al sole della Borgogna e gli spessi sandali schiacciavano gli steli di fieno sotto i piedi. Ash si girò e fissò l'uomo alto quasi due metri. Uno dei cani gli uggiolò contro ed egli si spostò di lato. «Tu sei... Faversham» ricordò Ash. «Richard Faversham» confermò l'Inglese. «Sei l'assistente di Godfrey.» Non era riuscita a trovare la traduzione del termine in inglese. «Diacono. Volete che dica messa fino al ritorno di Godfrey?» le chiese Richard Faversham in tono solenne. L'Inglese doveva essere poco più vecchio di lei e sudava copiosamente. Su una guancia spiccava il tatuaggio di una croce blu. Intorno al collo aveva diverse medagliette di santi. Una delle immagini più ricorrenti era quella di santa Barbara107 . «Sì. Ha dato l'incarico a te quando è tornato da Digione?» chiese Ash incrociando le dita dietro la schiena. Il diacono sorrise benevolo. «No, capo. Faccio le mie scuse a nome di padre Godfrey per il suo comportamento scortese. Quando incontra un malato o un povero si ferma finché non ha posto rimedio alle sue tribolazioni.» Ash si fermò di colpo. «Scortese? Godfrey?» Richard Faversham socchiuse gli occhi per proteggersi dal sole. «Mastro Godfrey» continuò con voce sicura «verrà sicuramente santificato, un giorno. Non rifiuta il Pane e il Vino Divino neanche al più infame dei ronconieri o alla più laida delle prostitute. L'ho visto accudire un bambino malato per quaranta ore di fila. Una volta fece lo stesso con un cane. Diventerà un santo una volta morto.» «Beh, al momento ho bisogno di lui sulla terra!» riuscì a rispondere Ash. «Se dovessi vederlo digli che il suo capo ha bisogno di lui, adesso, nel frattempo vai pure a preparare la messa.» Tornò alla sua tenda fermandosi a scambiare poche parole con John de Vere e Olivier de la Marche che si era recato in visita al campo ospite del conte inglese, quindi si piazzò sotto lo stendardo del Leone Azzurro e convocò i suoi ufficiali. 107
Santa Barbara, una santa romana che in principio aveva il compito di proteggere contro i fulmini, venne adottata come santa patrona degli artiglieri presumibilmente basandosi sul fatto che un'esplosione è uguale a un'altra.
Geraint arrivò barcollando con i pantaloni mezzi slacciati, Robert Anselm lo raggiunse poco dopo con indosso solo il piastrone della corazza. Arrivò anche Angelotti. Come fa a essere sempre così lindo e perfetto? si domandò Ash nel vedere il farsetto di seta bianca indossato dall'artigliere. Joscelyn van Mander fu l'ultimo. Ash alzò un mano, Euen Huw portò la tromba alla bocca e dallo strumento scaturì uno squillo. La riunione stava cominciando. Ash non rimase troppo sorpresa di vedere che gli uomini si precipitavano nello spiazzo senza farsi troppo pregare. A volte, pensò Ash, le voci di quello che sto per fare cominciano a girare per il campo prima ancora che io ci abbia pensato... «Va bene!» Ash cacciò una gallina da un barile, vi saltò sopra e portò le mani sui fianchi. Lo stendardo penzolava sopra di lei contro il palo. Fece vagare lo sguardo sulle persone che si stavano radunando. «Signori» esordì. Il tono di voce non era altissimo perché voleva che stessero zitti. «Signori... e uso questo termine liberamente... sarete contenti di sapere che siamo di nuovo in guerra.» Un misto di piacere e delusione pervase la folla. Ash non sapeva che impressione poteva fare il sorriso che aveva stampato sul volto, non si rendeva conto che le dava un'espressione radiosa. Esso diffondeva intorno a lei, specialmente prima di una battaglia, la sua certezza assoluta (forse inconscia) che in quel momento il mondo stava girando per il verso giusto. «Stiamo per combattere contro i Visigoti» disse. «In parte perché ci piace il sole della Borgogna! In parte perché il mio signore conte di Oxford ci paga per farlo. Ma, soprattutto» aggiunse con enfasi «soprattutto stiamo per combattere contro quella puttana visigota perché rivoglio indietro la mia armatura!» Le risate e le ovazioni fecero tremare il terreno. Ash allungò le braccia sopra la testa e ottenne il silenzio. «E Cartagine?» chiese Bianche da uno dei carri. Cosa dicevo delle voci, pensò Ash. «Quella può aspettare!» dichiarò sghignazzando. «Tra tre o quattro giorni combatteremo contro le teste di tela. Riceverete un anticipo. I vostri compiti per il resto del giorno sono quelli di ubriacarvi e scopare due volte ogni puttana di Digione! Non...» L'ovazione della folla le impedì di continuare e la fece sorridere soddisfatta. «Stanotte non ci deve essere neanche un uomo del Leone Azzurro sobrio, chiaro! Non voglio vederne neanche
uno!» «Non c'è pericolo, capo!» urlò una voce dal marcato accento gallese. Ash arcuò un sopracciglio e fissò Geraint ab Morgan. «Ho parlato anche degli ufficiali? Non credo.» Un coro di ottocento voci maschili manifestarono il loro dissenso. Ash sentì l'adrenalina che le saliva in corpo. «Va bene! Ho detto, va bene! Zitti!» Ash riprese fiato. «Così va meglio. Andate a ubriacarvi e a divertirvi. Tutti! Quelli che torneranno dovranno far credere alle teste di tela di essere finite nel fottuto inferno.» Batté la mano sul palo dello stendardo. «Ricordatevi ragazzi. Non voglio che moriate per la vostra bandiera - voglio che facciate morire i Visigoti per la loro!» La folla esultò e cominciò a diradarsi. Ash si girò sul barile. «Mynheer van Mander!» Tutti si fermarono. Joscelyn van Mander uscì dal gruppo degli ufficiali con passo incerto e si guardò intorno. Ash lo vide lanciare delle occhiate a Paul di Conti e a una mezza dozzina di altri comandanti di lancia fiamminghi. «Vieni.» Gli fece cenno di venire avanti con insistenza e appena gli fu vicino si chinò in avanti, gli strinse la mano con vigore, si girò verso gli altri e alzò le braccia del cavaliere fiammingo insieme alle sue. «Sto per fare una cosa che non ho mai fatto prima!» annunciò. Si inclinò in avanti e baciò van Mander sulla guancia ruvida. I commenti caustici e pepati echeggiarono immediatamente nell'aria. I soldati che avevano cominciato ad andarsene tornarono sui loro passi ponendo domande ai compagni. «Va bene!» Ash si girò continuando a stringere le mani dell'ufficiale. «Voglio che tutti sappiano che ho un debito nei confronti di questo uomo! Adesso! Egli ha fatto molto per il Leone Azzurro. Il fatto è che non ho più nulla da insegnargli!» Gli uomini delle lance fiamminghe esultarono colmi d'orgoglio battendo i pugni sui piastroni delle corazze. Erano raggianti. Sulla faccia di van Mander era apparsa un'espressione che era una via di mezzo tra l'orgoglio e l'apprensione. Ash si trattenne dallo scoppiare in una torva risata. Vediamo come te la cavi adesso, bello mio... pensò. Sfruttò il momento d'esaltazione dei Fiamminghi per vedere le reazioni di Paul di Conti, degli altri ufficiali e studiare l'espressione di van Mander. Adesso i tuoi ufficiali non prendono più ordini da me, ma da te, pensò
Ash. Quindi non più i miei ufficiali... Quindi non ha più nessun motivo per rimanere nel mio campo. «Sir Joscelyn» disse Ash in tono formale e ad alta voce «giunge sempre il tempo in cui l'apprendista e il viaggiatore devono lasciare il loro maestro. Ti ho insegnato tutto quello che sapevo. Non è più necessario che ti comandi. È ora che tu guidi una tua compagnia.» Valutò l'impatto che la sua dichiarazione aveva avuto sulla folla e, a giudicare dal brusio che si era levato, lo trovò soddisfacente. «Joscelyn, ci sono venti lance, duecento Fiamminghi che ti seguiranno. Io ho dato vita al Leone Azzurro con lo stesso numero di uomini.» «Ma non voglio andarmene dal Leone Azzurro» borbottò van Mander. Ash sorrise. Certo che non vuoi. Preferisci stare all'interno della compagnia con un bel numero di uomini al tuo servizio e cercare di mettermi i bastoni tra le ruote. Ecco perché hai sempre voluto un capo debole: ti tieni il potere e scarichi le responsabilità. Da solo hai pochi uomini e nessuna influenza sulle persone. Sei finito. Ne ho abbastanza di questa compagnia dentro la compagnia. Ne ho abbastanza di persone o cose inaffidabili... Golem di Pietra incluso. Tra quattro giorni dobbiamo andare in battaglia e non voglio una compagnia disunita... «Non andrò via» dichiarò van Mander aggrottando la fronte. «Ho parlato con il mio signore, il conte di Oxford e Olivier de la Marche, il Campione del duca di Borgogna.» Fece una pausa per lasciare che quei nomi penetrassero nelle menti dei soldati. «Se lo desideri, sir Joscelyn, il mio signore Oxford è disposto a firmare un contratto anche con te. O, se vuoi essere assunto alle stesse condizioni di Cola di Monforte e dei suoi uomini» - vide che dei nomi così famosi facevano un certo effetto sui Fiamminghi e van Mander - «allora potresti farti assumere direttamente da Carlo di Borgogna.» I Fiamminghi esultarono. Ash si diede una rapida occhiata intorno e capì immediatamente quali sarebbero stati i Fiamminghi che sarebbero rientrati di soppiatto nel campo del Leone Azzurro la notte stessa sotto falso nome e quali ronconieri inglesi avrebbero cominciato a parlare un Vallone fluente sotto il comando diretto di Olivier de la Marche. Ash spostò il peso sui talloni. Il barile era stabile sotto i suoi piedi. Lasciò che l'aria calda le carezzasse il volto e spostò il colletto della maglia con un dito per arieggiare il collo. Joscelyn van Mander la fissava con la
bocca chiusa. Ash poteva bene immaginare le parole che l'uomo stava trattenendo, che doveva trattenere altrimenti il tutto sarebbe finito in una scenata pubblica. Cosa che non cambierebbe la mia decisione, pensò Ash. Lui e le sue lance devono andarsene. Osservò la folla davanti a lei e il suo occhio esperto valutò immediatamente l'entità della separazione. Meglio avere cinquecento uomini fidati che ottocento inaffidabili, concluse. Qualcuno le tirò un lembo del farsetto. Ash abbassò lo sguardo e vide Richard Faversham. «Proporrei una propiziatoria in favore della nuova compagnia dei cavalieri fiamminghi» disse il diacono. Ash osservò per un attimo l'espressione da ragazzino di Faversham. «Sì. Buona idea.» Alzò un pugno per chiedere silenzio, lo ottenne e annunciò la proposta del prete a tutti i presenti. La sua attenzione continuava a essere incentrata su van Mander che si era appartato con i suoi ufficiali. Controllò con la coda dell'occhio dove si trovavano la sua scorta, i cani, Anselm, Geraint e Angelotti, che avevano assistito a tutto il discorso impassibili. Non scorgeva da nessuna parte i volti familiari di Florian de Lacey e Godfrey Maximillian. Merda! imprecò mentalmente e si girò. Paul di Conti aveva attaccato sull'asta di un roncone uno dei primi stendardi appartenuti a van Mander: la nave e la mezza luna. Lo stendardo venne sollevato e i duecento uomini che Ash aveva valutato in precedenza avrebbero lasciato la sua compagnia, cominciarono a radunarsi intorno all'asta. «Prima di lasciare il campo» disse Ash «parteciperemo alla messa e pregheremo per le vostre e le nostre anime. E pregheremo di incontrarci di nuovo tra quattro giorni sul campo di battaglia con l'esercito visigoto distrutto ai nostri piedi.» Il diacono cominciò a impartire le istruzioni per preparare il rito. Ash saltò giù dal barile e si trovò a faccia a faccia con John de Vere. Il conte aveva appena terminato di conferire con Olivier de la Marche. «Porto notizie fresche, capitano. Le spie del duca hanno detto che le linee dei Visigoti si sono estese fino al loro limite e che è possibile troncare le loro linee di rifornimento. Ci sono truppe turche a meno di quaranta chilometri da qua.» «I Turchi?» Ash fissò l'Inglese che, compito, la guardò di rimando con
un bagliore colmo d'eccitazione negli occhi azzurri e mormorò: «Seicento unità appartenenti alla cavalleria del sultano.» «Turchi. Cazzo.» Ash fece due passi in avanti e si girò con lo sguardo perso nel nulla intenta a pensare, incurante delle persone che si affaccendavano intorno a lei. «No! Ha senso! Anch'io farei la stessa cosa se fossi nel sultano. Aspettare che i Cartaginesi ingaggino una battaglia, tagliare i loro rifornimenti e poi avventarmi su ciò che rimane... Il duca Carlo sarà poi così contento di avere l'esercito turco alla porta il giorno dopo che avremo sconfitto i Visigoti?» «È ansioso di partire con l'esercito e sta richiamando i preti» disse il conte in tono grave. Ash fece il segno della croce. «Per quanto riguarda il resto» aggiunse de Vere «il grosso dell'esercito si muoverà oggi e domani: noi partiremo con il resto dei mercenari dopodomani. Lasciamo un campo base qua e preparatevi a una marcia forzata. Ora vedremo, signora, se siete un bravo comandante anche senza l'aiuto dei santi.» Le ventiquattr'ore successive passarono nel caos più completo che gli ufficiali del Leone Azzurro gestirono grazie alla loro esperienza. Sia Ash che i suoi uomini non dormirono per più di due ore. Cumuli di nuvole gialle si ammassavano a ovest striate dai lampi. Il caldo umido aumentò notevolmente. Gli uomini con indosso le armature si grattavano in continuazione imprecando. Scoppiò anche una rissa durante l'operazione di carico dei cavalli da trasporto. Ash era ovunque. Ascoltava tre, quattro, cinque persone contemporaneamente, controllando al tempo stesso armi e vettovagliamento, occupandosi dei preti e delle guardie ai cancelli. Tenne la riunione finale nella tenda che fungeva da armeria. Era un luogo che puzzava di carbone, fumo e fuliggine. L'aria era pervasa dal clangore metallico dei martelli che si abbattevano sulle punte delle frecce. «Cristo Verde!» imprecò Robert Anselm, asciugandosi la fronte sudata. «Perché non piove?» «Preferiresti marciare sotto la pioggia? Siamo fortunati!» L'approssimarsi della tempesta faceva pulsare la testa di Ash. Dickon Stour chiuse l'ultima cinghia che bloccava lo schiniere sulle caviglie e lei piegò la gamba a novanta gradi. «No, mi taglia il retro del ginocchio» disse Ash. L'armiere provò ad al-
lentare le cinghie. «Lascia perdere: ho gli stivali. Indosserò solo le protezioni superiori delle gambe.» «Ti ho preparato un piastrone.» Dickon Stour si girò e glielo porse con le mani sporche di fuliggine. «Devo modificare i fori per le braccia?» Non c'era tempo per forgiare una nuova armatura. Ash si girò, l'armiere le infilò il piastrone senza chiudere le cinghie e lei tese le braccia in avanti come se stesse maneggiando la spada. Il movimento fece salire i bordi del piastrone contro l'interno delle braccia. «Troppo largo. Taglialo ancora. Non importa se non smussi i bordi, voglio qualcosa che posso indossare per quattro ore e che sia in grado di proteggermi dalle frecce.» L'armiere emise un grugnito deluso. «Gli uomini del duca sono partiti?» «All'alba» urlò Geraint ab Morgan per farsi udire sopra il baccano prodotto dai martelli. Durante quelle ultime ore quasi ventimila uomini erano partiti per i confini meridionali del regno e ci avrebbero impiegato diversi giorni per coprire i sessanta chilometri fino ad Auxonne. Il terreno intorno a Digione era diventato una distesa di terra rivoltata e calpestata. I magazzini della città erano stati svuotati per approvvigionare le truppe. I tuoni echeggiavano nel cielo. Il rombo era udibile nonostante il frastuono nella tenda. Ash pensò brevemente alla strada che portava a sud. Una manciata di chilometri da percorrere lungo la valle del fiume poi la città sarebbe scomparsa alle loro spalle, dopodiché avrebbero trovato solo qualche fattoria, dei villaggi eretti nelle radure della foresta e le grandi distese dei pascoli vuoti o dei terreni incolti. Un mondo vuoto. «Partiamo tra due ore.» Più si avvicinavano al Sud, più il clima diventava rigido. In serata si trovavano a circa venti chilometri da Digione. Ash raggiunse la cima di una collina e vide delle colonne di fumo levarsi dai campi. «Cosa succede?» chiese rivolgendosi a Rickard che l'aveva seguita di corsa. «Stanno cercando di salvare le viti!» «Le viti?» «Ho chiesto a uno del posto e mi ha detto che la scorsa notte c'è stata una gelata. Hanno acceso dei falò tra i filari per impedire che gelino, altrimenti tutta la vendemmia andrebbe perduta.» Due o tre uomini erano usciti dalla colonna e si stavano dirigendo verso
di lei: forse c'era bisogno di altri ordini. Ash lanciò un'ultima occhiata alle pendici delle colline sulle quali crescevano le vigne e ai contadini che cercavano di salvarle. «Dannazione, niente vino» disse. Si girò e vide che Rickard aveva quattro o cinque conigli appesi alla cintura. «Sarà una brutta annata» disse il conte di Oxford, affiancandosi ad Ash. «Dirò ai ragazzi che stiamo combattendo per la vendemmia e vedrete come prenderanno i Visigoti a calci in culo!» Il nobile inglese socchiuse gli occhi e osservò la campagna a sud. Il campanile di una chiesa segnalava la presenza di un piccolo villaggio, per il resto c'erano solamente foreste e terreni incolti. La larga fascia d'erba calpestata e costellata di rifiuti e sterco di cavallo indicava chiaramente la strada per Auxonne. «Almeno non corriamo il rischio di perderci» azzardò Ash. «Un contingente di ventimila uomini è difficile da gestire, signora.» «Sono più dei Visigoti.» A mano a mano che il cielo imbruniva a est era possibile scorgere a sud un'ombra che non spariva mai, neanche in pieno giorno. «Così, quello sarebbe il Crepuscolo Eterno» disse il conte di Oxford. «Più ci avviciniamo e più diventa evidente.» Alla vigilia del ventuno agosto, la compagnia del Leone Azzurro si era accampata al limitare di un bosco a circa cinque chilometri a ovest di Auxonne. Ash passò tra i ripari improvvisati e si avvicinò agli uomini incolonnati per la cena stando molto attenta a sembrare serena e allegra. Henri Brant le si avvicinò in compagnia del capo stalliere e chiese: «La battaglia è dopodomani mattina, giusto? Devo cominciare a nutrire i cavalli da guerra in modo particolare?» Pur essendo addestrato un cavallo da guerra rimaneva comunque un erbivoro che aveva bisogno di essere nutrito per rimanere in forze, altrimenti bastava un'ora di combattimento per sfiancarlo irrimediabilmente. Il cielo color porpora era appena visibile tra le foglie delle querce e l'aria umida rendeva la pelle appiccicosa. Ash si asciugò il viso. «Calcola che i cavalli dovranno combattere dall'alba fino alle nove. Comincia a dare loro il cibo speciale.» «Sì, capo.» Thomas Rochester e la scorta si erano fermati sotto gli alberi a parlare con Bianche e altre donne. Nessuno che mi fa domande! pensò Ash. Stupe-
facente! Fece un lungo sospiro. Merda, preferisco in momenti in cui ho tanto da fare che non ho tempo per pensare. C'è sempre qualcosa da fare. «Non mi allontano di molto» disse all'uomo della scorta che le era più vicino. «Di' a Rochester che sono nella tenda del medico.» Il padiglione di Floria si trovava a pochi metri da lei. Ash scavalcò le corde e i tiranti legati intorno al tronco di un albero e alle radici che spuntavano dal terreno, mentre dal cielo cadevano le prime gocce di pioggia. «Capo?» chiese il diacono Faversham uscendo dalla tenda. Ash nascose la sua apprensione e chiese: «Il mastro chirurgo è dentro?» «Sì» rispose l'Inglese senza scomporsi. Ash annuì in segno di saluto ed entrò. Come aveva temuto la tenda non era vuota: sui lettini c'erano una mezza dozzina di uomini che smisero di parlare ad alta voce tra di loro appena la videro, dopodiché, passato qualche attimo, ripresero la conversazione, ma a voce più bassa. «Ci stiamo muovendo troppo in fretta» si lamentò Floria del Guiz senza sollevare gli occhi dal braccio fratturato che stava bendando. «Nel mio studio, capo.» Ash scambiò qualche parola con i feriti: due fratture a un piede mentre caricavano una cassa di spade su un cavallo, una bruciatura, un ubriaco che era caduto sulla propria daga ferendosi, quindi li superò e spostò la tenda che separava l'area riservata al chirurgo dal resto del padiglione. La pioggia tamburellava sul tetto della tenda. Ash usò la pietra focaia per accendere il moncone di una candela e le lanterne. Il chirurgo la raggiunse nel momento stesso in cui lei terminava l'operazione e si sedette emettendo una sorta di grugnito. «Vedo che i feriti continuano a venire da te» esordì Ash andando dritta al punto. Floria alzò la testa e una ciocca di capelli le scivolò via dalla fronte. «Ci sono stati diciannove feriti negli ultimi due giorni. Viene da pensare che nessuno di loro abbia mai cercato di picchiarmi!» Il chirurgo giunse le mani facendo combaciare le punte delle dita. «Sai cosa è successo, Ash? Hanno deciso di non pensarci, almeno per il momento. Forse quando saranno feriti non si preoccuperanno molto di chi li sta ricucendo o forse sì.» Floria lanciò un'occhiata severa ad Ash. «Non mi trattano né come un uomo né come una donna. Come un eunu-
co, forse. Un animale castrato.» Ash prese uno sgabello e si sedette. Entrò uno degli assistenti, servì loro del vino e portò a Floria un mantello leggero per proteggersi dall'aria fredda. «Domani ci sarà la battaglia» disse Ash, cauta. «Adesso sono tutti troppo impegnati nei preparativi. La maggior parte dei piantagrane sono andati via con van Mander. Gli altri possono decidere di linciarti o farsi salvare la vita da te quando saranno feriti. Non c'è che dire: abbiamo bisogno di questa battaglia per un mucchio di motivi.» La donna chirurgo sbuffò e prese la coppa di vino. «Ne abbiamo bisogno veramente, Ash? Abbiamo veramente bisogno che questi giovani vengano mutilati o trapassati dalle frecce?» «È la guerra» rispose Ash, impassibile. «Lo so. Potrei sempre lavorare da qualche altra parte. Le città appestate. I lazzaretti. Curare i bambini ebrei che i medici cristiani si rifiutano di toccare.» Le ombre che le lampade proiettavano sul volto di Floria del Guiz le conferivano un'espressione impietosa. «Forse domani varrà la pena di combattere.» «Non è l'ultima battaglia di Artù» disse Ash, cinica. «Non è Camlann. Anche se li battiamo quelli non fanno i bagagli e tornano a casa. Vincere una battaglia non ti fa vincere una guerra. Non importa se domani cancelleremo l'esercito del faris dalla faccia della terra.» «Cosa succede, allora?» «Noi siamo in vantaggio di due a uno. Avrei preferito un vantaggio di tre a uno, ma li batteremo. L'esercito di Carlo è il migliore di tutta la Cristianità.» In quel momento si ricordò che il faris aveva sconfitto gli Svizzeri, ma non disse nulla. «Forse uccideremo il faris, forse no. Comunque se la sconfiggiamo il suo esercito ne risulterà notevolmente decimato e le avremo fatto perdere lo slancio. È come recita il detto: 'Una volta battuti, possono essere sconfitti'.» «E poi?» «E poi ci sono gli altri due eserciti cartaginesi.» Ash sogghignò. «Molto probabilmente rivolgeranno le loro attenzioni a un bersaglio più semplice la Francia forse - oppure si fermeranno per l'inverno o si scontreranno con l'esercito del sultano. L'ultima opzione sarebbe quella ideale. Non sarebbe più un problema della Borgogna o di Oxford e lui potrebbe tornare alle sue
guerre tra goddams.» «E tu ti faresti pagare dal sultano?» «Con chiunque tranne che con quella donna» confermò Ash. «Vuoi parlarle ancora, vero?» azzardò Florian. «Posso cavarmela anche senza i suggerimenti di una macchina in testa. Combatto dall'età di dodici anni» si difese Ash, infastidita dall'acume del chirurgo. «Cosa importa in termini pratici? Cosa può dirmi quella donna che io non sappia già, Florian?» «Come e perché sei nata?» «Cosa importa! Io sono nata nei campi» disse Ash «come un animale. Non sai nulla di cosa significhi. Sono sempre stata tra i carri dei rifornimenti, non li ho mai fatti affondare o depredare dai soldati. L'unico momento in cui si moriva di fame era quando tutti morivano di fame.» «Ma il faris è tua...» Floria fece una pausa interrogativa. «Sorella.» «Forse» rispose Ash in tono ironico. «È pazza, Florian. Sedeva tranquilla e beata e mi diceva che suo padre faceva generare figli maschi per l'accoppiamento e femmine per procreare. Mi diceva che i figli venivano fatti accoppiare con i genitori. Generazioni che hanno vissuto nel peccato dell'incesto. Cristo, vorrei che Godfrey fosse qua.» «È una cosa che succede in ogni villaggio.» «Ma non in maniera tanto...» Ash non riuscì a pronunciare la parola sistematica. «I loro scienziati hanno insegnato alla Cristianità la maggior parte delle tecniche mediche che ho imparato» disse Floria «e Angelotti ha appreso la balistica da un amir.» «E allora?» «E allora la tua machina rei militaris non è un marchingegno demoniaco.» Floria scosse la testa. «Godfrey non ha mai detto che era un peccato, giusto? Sarebbe triste se non potessi più usarla, ma, non preoccuparti, tutti sanno che sei capace di massacrare anche senza l'aiuto di quell'aggeggio.» «Mmm» «È vero che Godfrey ha lasciato la compagnia?» chiese Floria in tono secco. «Non - lo so. Sono giorni che non lo vedo. Da quando abbiamo lasciato Digione.» «Faversham mi ha detto di averlo visto in compagnia dei Visigoti.» «I Visigoti? Con la delegazione?» «Parlava con Sancho Lebrija.» Quando vide che Ash non diceva nulla,
aggiunse: «Non riesco capire come mai Godfrey sia andato con loro. Cosa è successo tra te e lui?» «Se potessi dirtelo, lo farei.» Ash si alzò in piedi e cominciò a camminare su e giù nervosamente. «La milizia cittadina non si è fatta vedere al campo» disse, cambiando deliberatamente argomento. «Mademoiselle Châlon deve aver tenuto la bocca chiusa.» «Certo che l'ha fatto» sbottò Floria. «Se non l'avesse fatto avrebbe dovuto ammettere che ero sua nipote. Non lo farà. Finché rimango lontana da Digione sono abbastanza al sicuro. Basta che non le chieda nulla.» «Continui a pensare di essere Burgunda, vero?» comprese Ash. «Certo.» Ash fissò il chirurgo dritto negli occhi e vide che aveva un'espressione strana, di nessuno di loro si poteva dire che avesse una nazionalità. Sorrise. «Non penso a me stessa come a una Cartaginese. Non dopo tutto questo tempo. Ho sempre pensato di essere uno dei tanti bastardi della Cristianità.» Floria ridacchiò di gusto e versò altro vino. «La guerra non ha nazionalità» decretò. «La guerra è un patrimonio del mondo intero. Avanti, mia piccola amazzone scarlatta. Bevi.» Là donna si alzò barcollando, si mise a fianco di Ash, le appoggiò una mano sulla spalla e con l'altra le porse la coppa. «Non ti ho ancora detto grazie per averli fermati» disse. Ash scrollò leggermente le spalle, appoggiandosi contro Floria. «Beh, grazie lo stesso.» Florian inclinò la testa e posò le labbra su quelle di Ash dandole un bacio rapido e leggero. «Cristo!» Ash scattò allontanandosi da quello che sembrava essere l'abbraccio di una donna. «Cristo!» «Cosa?» Ash si passò il dorso di una mano sulla bocca. «Cristo!» «Cosa?» Ash non si rese neanche conto dell'espressione cinica e tesa che aveva assunto. Aveva l'impressione che davanti ai suoi occhi ci fosse qualcosa di diverso dal chirurgo della compagnia. «Non sono la tua piccola Margaret Schmidt! Cos'era? Pensavi di sedurmi come credeva tuo fratello?» Floria del Guiz si alzò lentamente. Stava per dire qualcosa, ma si fermò e parlò in tono controllato. «Stai dicendo un sacco di stupidaggini, Ash. E lascia fuori mio fratello da quanto è successo!»
«Tutti vogliono qualcosa.» Ash scosse la testa e abbandonò le braccia lungo i fianchi. Sopra la sua testa la pioggia faceva tremare il telo della tenda. Floria del Guiz allungò una mano per toccarla, poi rifletté che forse era meglio trattenersi. «Ah.» Il chirurgo si fissò i piedi per qualche secondo, quindi rialzò la testa e disse: «Non seduco le amiche.» Ash la fissava in silenzio. «Un giorno» aggiunse Floria «ti racconterò di quando a tredici anni sono stata buttata fuori di casa e sono andata a Salerno vestita da uomo, perché avevo sentito che là le donne potevano studiare. Beh, mi sbagliavo. Le cose erano molto cambiate dai giorni di Trotula108 . E ti dirò perché Jeanne Châlon che è solo la mia madre putativa non mi vuole vedere. Sei a pezzi, capo. Avanti!» Floria fece un ghigno furbo. «Su, Ash. Onestamente.» Il tono irriverente del chirurgo fece arrossire Ash che sospirò sollevata e scrollò le spalle per sembrare disinvolta. «Hai ragione, Floria, sono state delle giornate molto dure per tutti. Mi dispiace. Ho detto una cosa molto stupida.» «Mmm - hmm.» Floria arcuò un sopracciglio. «Dai, dimmi.» Ash si girò verso l'entrata della tenda. I fuochi da campo dell'esercito burgundo brillavano nell'oscurità e nel cielo splendeva il disco argenteo della luna. Circa due giorni prima del primo quarto, pensò, stimando automaticamente il rigonfiamento del suo profilo. Sono passate poche settimane. «Cristo, sono successe così tante cose! Adesso siamo a metà agosto, giusto? E la schermaglia di Neuss è avvenuta a metà giugno. Due mesi. Diavolo, sono solo sei settimane che mi sono sposata...» «Sette» precisò Floria alle sue spalle. «Altro vino?» Ash vide la luna che si sfocava. «Capo?» Ash si girò, lanciò un'occhiata alle tavole anatomiche appese nella tenda, al sorriso tranquillo di Floria e tutto divenne improvvisamente chiaro e netto. Uno si sente così solo quando è scosso o sta combattendo, pensò. «Ho avuto le perdite quando ero ferita, Floria?» domandò. 108
Trotula di Salerno fu un medico donna dell'undicesimo secolo che tra i vari trattati medici scrisse il Passionibus mulierum curandorum (Le malattie veneree). Era considerata una delle più alte autorità in campo medico del Medioevo. A Salerno studiarono altre 'mulieres Salernitanae' (donne medico), ma nel quindicesimo secolo tale usanza era finita.
Floria del Guiz scosse la testa e aggrottò la fronte. «No. Ho controllato e non c'era nessuna perdita di sangue. Non era quel genere di ferita.» Ash scosse la testa. «Cristo!» esclamò. «Non quel genere di sangue. Il sangue mensile. Sono due mesi che non lo perdo. Sono incinta.» VI Le due donne si fissarono. «Non hai preso delle precauzioni?» le domandò Floria. «Certo che le ho prese! Credi che sia una stupida? Baldina mi ha dato un amuleto. Un regalo di nozze. L'ho tenuto in un sacchettino al collo le due volte che... ogni volta.» Ash avvertì la fronte che si imperlava di sudore e la ferita che pulsava. Vide Floria del Guiz che la fissava: non sapeva che la donna stava vedendo una ragazza in pantaloni e farsetto, spada al fianco, i guanti infilati nella cintura. Una figura che se non fosse stata per la cascata di capelli e il volto che in quel momento aveva l'espressione di una bambina di dodici anni poteva essere scambiata tranquillamente per un uomo. «Hai usato un amuleto» ripeté Floria in tono piatto e basso per paura che qualcuno stesse origliando. «Non hai usato una spugna, una vescica di maiale o delle erbe. Hai usato un amuleto.» «Ha sempre funzionato!» «Grazie a Cristo io non mi devo preoccupare di questi inconvenienti! Non toccherei un uomo neanche se...» Floria fece tre o quattro passi avanti e indietro con le braccia strette intorno al corpo, quindi si fermò di fronte ad Ash. «Ti senti male?» «Pensavo che fossero i postumi della ferita alla testa.» «Il seno è turgido?» Ash rifletté un attimo. «Credo di sì.» «A quale quarto di luna ti vengono le perdite?» «Negli ultimi anni è sempre stato all'ultimo.» «Quando è successo l'ultima volta?» Ash aggrottò la fronte e tornò a pensare. «Poco prima di Neuss. Il sole era ancora in Gemelli.» «Devo visitarti. Comunque, sei incinta» sentenziò Floria in tono brutale. «Devi darmi qualcosa!» «Cosa?»
Ash allungò una mano alle sue spalle, toccò lo sgabello e si sedette sistemando il fodero in modo che non la intralciasse. Chiuse i pugni sulla pancia, quindi afferrò l'elsa della spada. «Devi darmi qualcosa per sbarazzarmi del bambino.» La donna chirurgo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Il vento faceva ondeggiare il cordame della tenda e la lanterna appesa al piolo. Floria socchiuse gli occhi per osservare il volto di Ash. «Non ci hai pensato.» «L'ho fatto!» rispose Ash, terrorizzata. Strinse spasmodicamente l'elsa e fissò il pomello come per ribadire a se stessa che era ancora lei e che non era cambiato nulla. Cercò di sentire le sensazioni all'interno del suo corpo, di avvertire delle differenze, ma non carpì nulla. Niente che le potesse far capire che un feto stava crescendo in lei. «Posso darti delle erbe e del vino per calmarti» disse Floria. Il tono professionale del chirurgo fece infuriare Ash che scattò in piedi. «Non mi faccio trattare come una puttana di strada qualunque! Non avrò il bambino.» «Eccome se l'avrai.» Floria del Guiz la afferrò per un braccio. «No. Dovrai eliminarlo.» Ash si liberò dalla stretta. «E non dirmi che non esiste un intervento per farlo. Quando crescevo sui carri, se una donna rimaneva incinta e il chirurgo pensava che la gravidanza sarebbe stata fatale per la madre asportava il feto.» «No. Ho fatto un giuramento» ribatté Floria, in tono adirato. «Ricordi la tua condotta? Bene, questa è la mia: 'Mai procurare un aborto'. Per nessuno!» «Vuoi sapere cosa pensa di te la tua confraternita di dottori, adesso che conoscono la tua vera identità? Pensa che non hai il diritto di pronunciare un giuramento!» Ash fece uscire qualche centimetro di lama dal fodero quindi la rinfoderò violentemente. «Non avrò il figlio di quell'uomo!» «Allora sei sicura che sia il suo?» Ash assestò un violento schiaffo sulla guancia del chirurgo. «Sì, lo è!» urlò. Il volto sporco di Floria si contrasse in una smorfia che Ash non riuscì a interpretare. «È un figlio legittimo. Cristo, Ash. Potrebbe essere mio nipote! Non puoi chiedermi di ucciderlo.» «Non si è mosso, non scalcia, non è niente!» Ash la fulminò con un'occhiataccia. «Non mi capisci, vero? Ascolta: non avrò questo bambino. Se non vuoi farmi abortire, troverò qualcuno che lo voglia fare, ma, io non avrò questo bambino.»
«No? Ti ricrederai. Abbi fiducia.» Floria scosse la testa. Del moccio le colò del naso e lei si passò la manica sul volto lasciando una striscia di pelle pulita, dopodiché rise e disse: «Non lo vuoi, vero? Non lo vuoi perché è suo e non puoi tenere le mani lontano da lui?» Ash socchiuse la bocca, ma non disse nulla. Stava cercando una risposta e improvvisamente ebbe la visione di un bambino di circa tre anni con gli occhi verdi e i capelli biondi. Un bambino che correva per il campo, cadeva da cavallo, si tagliava con le armi, si ammalava di febbre e forse moriva di stenti qualche anno dopo: un bambino che avrebbe avuto gli stessi lineamenti di Fernando del Guiz e lo stesso umorismo di Floria. «Sei gelosa» disse fissando il chirurgo dritto negli occhi. «Tu pensi che io voglia un bambino.» «Sì! E non potrai mai averlo.» Pur essendo cosciente che stava per dire qualcosa di imperdonabile Ash si abbandonò lo stesso a un sarcasmo tagliente come un rasoio: «Cosa farai? Metterai incinta Margaret Schmidt? Un nipote o una nipotina è il massimo a cui puoi aspirare.» «È vero.» «Uh.» Ash, che si era aspettata di dover fronteggiare uno scoppio d'ira, rimase confusa dalla reazione di Floria. «Mi dispiace di aver parlato in quel modo, ma ho ragione, vero?» «Gelosa?» Floria la fissò con un'espressione che avrebbe potuto essere sarcastica, sollevata, tradita o tutte e tre le cose insieme. «Gelosa, perché non voglio liberarti di un figlio? Donna, non voglio vederti morire dissanguata o di febbre puerperale, no, Cristo Santo, devi avere quel bambino. Non morirai. Sei forte come un fottuto contadino. Molto probabilmente il giorno dopo il parto sarai nuovamente in sella al cavallo. Capisci che liberarsi di un bambino è pericoloso?» «Un campo di battaglia non è un luogo sicuro!» le fece notare Ash in tono aspro. «Ascolta, non andrò da un dottore in città perché li ritengo solo un branco di bastardi succhia soldi, inoltre non ho neanche il tempo. Non voglio prendere i rimedi che usano sui carri a meno che non sia costretta. Mi fido di te perché mi hai rimessa insieme ogni volta che qualcuno mi staccava un pezzo!» «Santa Maddalena! Sei stupida? Potresti morire?!» «Credi di impressionarmi? È un'eventualità con la quale convivo ogni giorno e domani devo combattere.» Floria del Guiz aprì la bocca e la richiuse. «Non costringermi a ordinartelo» disse Ash, amareggiata.
«Un ordine?» Gli occhi le lacrimavano ancora per lo schiaffo ricevuto poco prima. «E cosa farai se non voglio farti abortire? Mi sbatterai fuori dalla compagnia? Dovrai farlo, comunque» disse Floria senza guardarla in volto. «No, Florian. Cristo!» Il chirurgo le afferrò nuovamente un braccio. «Non sono 'Florian'. Mi chiamo 'Floria'. Sono una donna e amo le donne!» «Lo so» rispose Ash, infastidita. «Senti, io...» «Tu non sai niente!» Floria mollò la presa, abbassò la testa per qualche attimo, quindi la rialzò. «Non ne hai la minima idea e non dirmi che non è vero. Cosa dovrei fare quando la gente perde il senno perché sono andata a letto con una donna? Cosa? Non posso combatterli. Non potrei fare loro del male neanche se lo volessi! Devo fingere di essere qualcosa che non sono. Cosa dovrei fare se qualcuno decidesse di bruciarmi perché amo le donne e pratico la medicina?» Ash non seppe rispondere. Floria del Guiz alzò le mani in modo che i palmi fossero illuminati dalle lanterne. Ash osservò le cicatrici sulle dita del chirurgo. Conosceva bene quei segni. «Sono bruciature» spiegò Floria. «Sono vecchie. Me le feci nel tentativo di prendere - di prendere qualcosa da un fuoco, quando era troppo tardi. Visto che non potevo averla viva con me, volevo un suo ricordo.» Floria si passò le mani sul volto inumidendo i capelli con le lacrime e il sudore. «Un uomo ti ha pisciato addosso e tu pensi di sapere tutto? Taci. Te lo ripeto: non sai niente! Non ti sei mai sentita indifesa nella tua vita!» Le parole echeggiarono nell'aria. Ash udì le guardie fuori della tenda che si agitavano e uscì per tranquillizzarle. «Così adesso avrai un bambino» continuò Floria, brusca. «Benvenuta nel mondo delle donne!» «Floria!» protestò Ash. «Forse» la interruppe il chirurgo «non avresti dovuto essere tanto ansiosa di scoparti mio fratello!» Ash non riusciva a guardarla in faccia. Aveva l'impressione di essere stata presa a calci nello stomaco e non riusciva a pensare in maniera lucida. Non sapeva cosa rispondere. «Ho sempre fatto di tutto per te, ma questo, no!» Floria alzò la voce. «E non stare lì seduta senza dire niente! Parla!»
Ash la fissava in silenzio, cercò di dire qualcosa, quindi abbassò la testa per fissare la segatura gettata a terra. Non poteva reggere lo sguardo adirato della donna. Dovrei dirlo a Fernando, pensò. Ma se è un figlio me lo porterà via. Comunque, non posso averlo. Più di una donna è scesa in battaglia incinta. Già, e più di una donna ha preso la febbre puerperale dopo il parto ed è morta senza che il chirurgo potesse fare qualcosa. No, no avrò il bambino perché è di Fernando, decise. «Ash!» ringhiò Floria. Ash la ignorò. Molto cautamente cominciò a prendere in considerazione l'idea di portare a termine la gravidanza. Non è poi un periodo così lungo, pensò. Mesi. Però siamo in un brutto momento. Almeno se non fossimo in guerra... beh ci sono state altre donne che hanno combattuto nelle mie condizioni. Mi seguiranno comunque. Farò in modo che lo facciano. L'intensità della paura che provava all'idea che il suo corpo cambiasse senza che lei potesse controllare la situazione e l'enormità di quella realtà la lasciarono stupita. Ma una volta nato? continuò a pensare. Ash provò a immaginarsi un bambino o una bambina anche se sapeva che stava sognando a occhi aperti. Almeno avrò un consanguineo. Qualcuno che mi somiglia. Un brivido gelato le fece rizzare i capelli sulla nuca. C'è già qualcuno che ti somiglia, si disse. Siamo uguali. E chi lo sa cosa metterò al mondo? Uno scemo del villaggio deforme? Cristo e tutti i santi, no! Non voglio dare alla luce un mostro. Sono passati poco più di quaranta giorni... Devo sbarazzarmene adesso prima che cominci a muoversi. Prima che abbia un'anima. La voce di Floria interruppe i suoi pensieri. «Sono fuori. Cosa devo fare? Aspettarti in eterno? Rimanere qua seduta finché quegli stronzi la fuori non avranno deciso se un dottore donna che ama le donne va bene per loro? Tieniti la tua dannata compagnia.» Floria si avviò verso l'uscita della tenda. «Per quanto riguarda il bambino, quello è un problema tuo, Ash. Risolvilo da sola. Non hai bisogno di me. Ash non ha bisogno di nessuno! Io
sarò con i chirurghi del duca dove potrò mettere in pratica i miei studi.» Ash raggiunse il campo di battaglia insieme agli altri comandanti poco prima dell'alba, quando c'era già abbastanza luce per camminare senza correre il rischio di inciampare. L'aria le carezzava il volto e la condensa che si era formata sulla ventaglia dell'elmo odorava di ruggine e armeria. Gli stivali scivolavano sulle foglie bagnate e rischiò di cadere addosso al conte di Oxford che si trovava in fondo al gruppo di ufficiali del duca. Si erano riuniti sulla strada che da Digione portava ad Auxonne. «I Visigoti sono sempre in posizione? Qual è il piano del duca?» chiese Ash, tranquilla. «Sì, sono ancora in posizione. Il duca li ingaggerà fuori Auxonne» riassunse velocemente Oxford. «Gli esploratori» aggiunse «hanno visto i loro fuochi da campo a circa due chilometri da qua lungo la strada principale. Noi, signora, saremo sull'ala sinistra dello schieramento insieme agli altri mercenari.» «Non si fida, vero? Altrimenti ci avrebbe posizionati sulla destra, dove i combattimenti sono più violenti109 .» Ash aggiustò una delle fibbie dell'armatura: anche se aveva fatto praticare un buco in più le protezioni delle gambe continuavano a essere scomode. «Potremo provare almeno a incunearci nelle linee avversarie per uccidere il faris?» «Il duca dice di no: ci saranno sicuramente dei sosia da battaglia sul campo110 .» I contorni delle spalle degli ufficiali si muovevano nell'oscurità. Alla loro sinistra la strada curvava bruscamente a est allontanandosi dal pendio che bloccava la valle del fiume a sud. Gli uomini uscivano dalla strada e si addentravano nei pascoli sulla collina di fronte a loro. Il cielo cominciava a rischiararsi. Ash si rese conto che c'erano anche i fratelli de Vere, si guardò alle spalle e vide Anselm e Angelotti. «Va bene» insistette Ash, mentre seguiva Oxford «forse dovremmo stanarla più volte! Fatemi organizzare una squadra, mio signore. Scendiamo lungo il fianco della battaglia con un centinaio di uomini. Entriamo e usciamo in un batter d'occhio ed è fatta.» 109
Visto che la maggior parte dei soldati erano destri, le battaglie corpo a corpo tendevano a ruotare in senso anti orario. 110 Persone che indossavano la stessa armatura e le stesse insegne del comandante.
«Il duca ha chiesto che io porti la vostra compagnia sul campo sotto il suo stendardo» le ricordò Oxford. «Faremo come ci è stato ordinato e speriamo che per stasera non sia più necessario organizzare un'incursione a Cartagine.» Il terreno cominciava a salire. La rugiada le macchiava gli stivali e la punta del fodero. La pioggia era cessata. L'aria era limpida e fredda. «Mio signore, le mie fonti...» i contatti di Godfrey ora facevano rapporto direttamente a lei «... mi hanno detto che i Visigoti continuano a ricevere rifornimenti nonostante l'oscurità. Dovremmo cogliere l'occasione» suggerì Ash. «Alcuni dei carri sono trainati dai golem. Forse sono alla disperazione!» «Sappiamo che le loro linee sono troppo estese» rispose de Vere, torvo. Ash raggiunse la cima dell'altura e scrutò l'oscurità. Un gruppo di colline si protendeva nella valle del fiume. Essi si trovavano su un poggio a ovest. Alla loro destra c'era un bosco molto antico e fitto. Gli esploratori avevano detto che era impraticabile. Il tappeto di foglie morte era talmente insidioso che i soldati avrebbero potuto avanzare solo per qualche metro. Questo dovrebbe portarci a nord rispetto al loro campo, pensò Ash. Mi chiedo se gli araldi sono già scesi. Beh, almeno siamo riusciti a trovarci tutti...! Abbiamo corso il rischio di cavalcare in questa desolazione per giorni. La tentazione di chiedere alla voce nella sua mente l'esatta ubicazione del comandante nemico era quasi irresistibile. Cosa mi risponderebbe la machina rei militaris? si chiese. Mi mentirebbe? Sarebbe in grado di riconoscermi? Non serve a nulla chiederselo. Comportati come se sapessi tutto. È la cosa più sicura da fare. Ash scese lungo il pendio dietro i comandanti del duca di Borgogna, consapevole del fatto che il nobile si era recato su quella collina per capire se era adatta ai fanti e agli artiglieri. Ash non era impressionata più di tanto. Gli ufficiali parlavano tra di loro rapidamente. Raggiunse le pendici dell'altura con le caviglie doloranti. Notò immediatamente che il terreno era fangoso e che un muro di canne e cespugli le impediva di osservare l'alba. Che sia una palude? si chiese. Su questo lato del fiume? La luce grigiastra che precedeva l'alba non accennava ad aumentare d'intensità.
Il profilo nero di una foresta si stagliava contro l'orizzonte. Il suono di una campana, forse quella dell'abbazia di Auxonne, echeggiò nell'aria. E se anche il nemico sta esplorando il territorio e ci incontriamo? si domandò Ash. Gli ufficiali del duca si spostarono. Cola di Monforte disse qualcosa in tono tranquillo ma lei riuscì solo a udire le parole 'strozzatura perfetta'. Tornarono indietro in direzione est e si ritrovarono sulla strada che costeggiava il fiume. La terra battuta rese i movimenti più facili. Ash lanciò un'occhiata al ripido pendio a est che incombeva sulla strada per Digione. Se ci piazziamo lassù saremo sempre sulla sinistra dello schieramento, valutò mentalmente Ash. È un punto perfetto. Se dovessero cercare di superare la strada, noi piombiamo loro addosso alle spalle. Se cercassero di affiancarci e salire su per la collina... Non so come se la caverà l'esercito burgundo, ma noi faremo la nostra bella figura. A meno che non si stiano preparando al combattimento e ci arrivino addosso da quel pendio a sud... «Signori» disse il duca Carlo di Borgogna. «Torniamo al campo. Adesso è tutto chiaro. Combatteremo al sorgere del sole. Sidonio ci aiuterà!» Una decisione, evviva, esultò Ash tra sé e sé. «Ragazzi» disse. «Capo?» Robert Anselm, Antonio Angelotti e Geraint ab Morgan comparvero immediatamente al suo fianco. Il conte di Oxford impartì degli ordini rapidi e concisi. Dickon, George e Tom de Vere si affrettarono a raggiungere le loro posizioni. John de Vere disse qualcosa al visconte Beaumont che rise di gusto. Il gruppo era pervaso da una sorta di elettricità: tutti sapevano che quel giorno sarebbero morti oppure sarebbero sopravvissuti alla battaglia guadagnando onore, denaro e la vita. «Dio mi perdoni se ti ho mai offeso» disse Ash in tono formale e allungò le braccia per abbracciare Robert Anselm. L'Inglese la strinse a sé quindi arretrò di qualche passo fino al limitare della strada. «Io ti perdono, così come spero di essere perdonato, nel nome di Dio. Stiamo per andare, vero?» domandò Robert Anselm. Ash strinse l'avambraccio di Angelotti e diede una pacca sulla spalla a Geraint. «Andiamo» disse con gli occhi lucidi. «Questo è il lavoro per il quale il Leone Azzurro è pagato. Buttarsi nella mischia.» Terminò la sua ispezione personale e, anche se non era molto sicuro
camminare a quella velocità con così poca luce, si avviò verso il campo con passo deciso. Raggiunse il conte di Oxford e indicò il duca di Borgogna. «Mio conte, se lui non vuole che prendiamo il faris..., vorrei consultarmi con voi riguardo il piano di battaglia. Ho un'idea.» «Le tre parole più terribili di una lingua. Una donna che dice: 'Ho un'idea'» commentò ironico George de Vere che si trovava alle spalle di Ash. «Oh, no» lo smentì Ash rivolgendogli un sorriso dolce. «Ci sono due parole che sono ancor più spaventose. Il capo che dice: 'mi annoio'. Chiedetelo a Flo... al mio chirurgo.» John de Vere sembrò sogghignare. «Abbiamo la superiorità numerica» spiegò Ash. «Non penso che i Turchi si schiereranno dalla nostra parte. Sono qua in veste di osservatori. Noi abbiamo i cannoni. Dovremmo vincere, ma i Visigoti hanno battuto gli Svizzeri e nessuno è sopravvissuto per dirci cosa è successo. Solo delle voci: 'Diavoli sbucati fuori dai sulfurei pozzi dell'inferno...'» «E?» la pungolò il conte di Oxford. «Guardate il cielo, mio signore» lo invitò Ash. «Oggi ci sarà poco sole. Combatteremo all'ombra dell'oscurità che si trascinano dietro. Farà freddo. Sarà come combattere in inverno.» Ash strinse il pugno e piantò le unghie nel palmo della mano senza farsi vedere. «Dovremmo parlare con i nostri preti.» Ash indicò la Croce di Rovi che pendeva dal collo del conte. «Ho un'idea. È tempo che Dio operi un miracolo per noi, Vostra Grazia.» Due ore dopo Ash era a fianco di Godluc. Bertrand teneva le redini del cavallo e Rickard le portava l'elmo e la lancia. Si era fatta prestare le protezioni per le gambe da un uomo al seguito di de Vere, ma non le andavano bene. Metà del cielo sopra le loro teste era nero. A est, dove il sole sarebbe dovuto sorgere per illuminare il grande esercito, regnava l'oscurità. Alle loro spalle una strana luminosità aveva indotto uno dei galli sui carri a salutare l'alba con il suo richiamo. Ash guardò a sud, ma non scorse i fuochi del campo nemico. Alle sue spalle il cielo che non era stato ancora coperto dall'oscurità che seguiva i Visigoti cominciava ad annuvolarsi. Ora sia il Sud che l'Est erano
al buio. Nuvole gialle e grosse come castelli continuavano ad ammassarsi nel firmamento. Cristo! pensò Ash. Cinquecento uomini organizzati nel punto in cui devono stare. «Sono troppo stanca per combattere» borbottò. Rickard sorrideva, mesto. Godluc sbuffava, Ash alzò gli occhi al cielo, quindi si concentrò sull'esercito burgundo. La cosa che si vede di più in una battaglia sono le gambe, pensò, in uno di quei momenti di pigrizia dovuti alla stanchezza. Quando non era a cavallo, Ash aveva l'impressione che il campo di battaglia fosse solo una distesa infinita di gambe. Centinaia di zampe di cavalli, alcune delle quali coperte dai paramenti che pendevano immoti dai fianchi delle bestie nell'aria fredda e umida del mattino. Erano quasi tutti roani o bai bianchi e neri che si schieravano sulla cresta della collina guidati dai loro cavalieri. C'erano anche le gambe dei fanti snellite dalle corazze. Anche gli arcieri avevano delle ginocchiere di metallo. Centinaia di gambe: piedi e zampe che rivoltavano il terreno di quello che doveva essere stato il campo di grano di qualche signore locale e che ora si era trasformato in una distesa di fango e sterco di cavallo. I minuti passavano e con essi l'ora terza del mattino. Una folata di vento gelido le lambì il volto. Il suono acuto delle trombe echeggiò nell'aria. Ash lanciò una rapida occhiata a Angelotti, Anselm e Geraint ab Morgan circondati dai rispettivi sergenti e comandanti di batteria ai quali stavano impartendo le ultime istruzioni. Il tono di voce degli ufficiali era concitato. «In sella» borbottò. Prese l'elmo dalle mani di Rickard e lo infilò con cautela in testa. Lasciò che le cinghie penzolassero libere nell'aria, quindi infilò un piede nella staffa e montò a cavallo. Dall'alto la prospettiva del campo di battaglia cambiava. Il mare di gambe si era trasformato in una distesa di elmi e stendardi. La cavalleria, una massa di spalle protette dalle corazze, le bloccava la visuale. I cavalieri erano radunati in piccoli gruppetti che comunicavano tra di loro urlando. Sugli elmi di fattura italiana o tedesca spiccavano le piume e i simboli delle casate di appartenenza: colori tenui ripresi sulle bandiere e gli stendardi. Robert Anselm batté le mani e le sfregò con energia. «Cavoli se fa freddo!» «È tutto chiaro?» «Certo.» Anselm la fissò da sotto l'elmo. «Tutti i ventimila uomini a no-
stra disposizione sanno cosa fare per...» «Perfetto» lo interruppe Ash. «Non pensarci. Nessun piano ha retto più di dieci minuti dall'inizio della battaglia... ci sposteremo sul lato.» Ash vide l'esercito burgundo, ventimila uomini, che si posizionava sulla collina. «Credo che quello che campeggia sull'ala destra sia lo stendardo di Olivier de la Marche» disse Ash, rivolgendosi a Rickard. Il ragazzo annuì tremante. «I mercenari sono sulla sinistra, e lo stendardo di Carlo è là, in mezzo alla cavalleria pesante, nel centro dello schieramento. Dovresti studiare araldica. Potremmo fare molte cose con un buon messaggero.» Il ragazzo arcuò le sopracciglia castane. «Quanti di loro sanno combattere veramente, capo?» «Hmm. Sì. Questa è una buona domanda. Non mi sembra il momento adatto per imparare a chi appartiene il Corvo o il Leone Acquattato...» Ash sentì un gorgoglio all'altezza dello stomaco. «Circa due terzi, direi. Il resto sono contadini e componenti della milizia cittadina.» Fece spostare Godluc di qualche passo perché non riusciva più a vedere Angelotti, che, in base agli ordini del duca, si era spostato nel centro dello schieramento con gli altri artiglieri dove erano state posizionate le serpentine111 . «È dissenteria» concluse decisa Ash. «Ecco perché continuo ad avere voglia di cagare. È dissenteria.» «Proprio così, capo. Ce n'è parecchia stamattina» disse Geraint ab Morgan, che si trovava poco distante da lei. Ash fece un cenno ai suoi ufficiali e tutti si incamminarono lentamente su per il pendio. Robert Anselm portò lo stendardo personale del condottiero a fianco di quello del Leone Azzurro, nel centro dello schieramento forte di cinquecento uomini. Il pomello della spada batteva contro le piastre della corazza. Un sottile strato di umidità cominciò a imperlarle il volto e le mani scoperte. Dov'è il nemico? si chiese. Ah. Eccolo. Ai piedi del pendio, in apparenza molto facile da risalire, delle ombre nere si muovevano nell'oscurità. Ogni tanto era possibile vedere il luccichio del puntale di un'asta di bandiera o udire il nitrito di una cavalla che avvertiva l'odore dei cavalli da guerra dei Franchi. «Quanti?» borbottò Robert Anselm. «Non saprei... Troppi» disse Ash. 111
Piccoli cannoni da campo.
«Sono sempre 'troppi'» puntualizzò l'ufficiale. «Due contadini con un bastone sono già 'troppi'!» Il diacono sbucò di corsa dalla massa di soldati. Ash cercò immediatamente la figura di Godfrey a fianco di Richard Faversham. Anche se erano passati ormai dei giorni non si rassegnava all'idea che il prete fosse andato via. «Cosa ha detto il vescovo?» chiese Ash. «Ha acconsentito!» rispose il diacono. Il suo tono di voce era talmente basso che Ash dovette sporgersi dalla sella, movimento non facile con indosso una brigantina. «Quanti preti abbiamo a disposizione?» «Quattrocento al seguito dell'esercito. La compagnia ne ha due. Io e il giovane Digorie qua presente.» Continua a non menzionare Godfrey, pensò Ash. Forse tutti e due sappiamo che lui ha lasciato la compagnia. Senza dire niente? Possibile? Ash calò il pugno sul pomello della sella, fissò la pelle bianca delle mani e le tese verso Rickard. Il paggio si alzò in punta di piedi e cominciò a infilarle i guanti, mentre lei continuava a fissare Richard Faversham e il ragazzo magro che le era stato presentato con il nome di Digorie. «Sei stato ordinato?» gli chiese Ash. Digorie allungò una mano ossuta e le strinse con vigore la mano non ancora avvolta nel guanto. «Digorie Paston 112 , signora» disse in inglese «sono stato ordinato a Digione dal vescovo del duca Carlo. Non deluderò né voi né Dio, signora.» Ash arcuò le sopracciglia e si trattenne dal commentare. «Digorie, Richard, voi dovrete vincere questa battaglia per noi» disse Ash. «Bene, andate a unirvi agli altri trecentonovantotto...» Premette leggermente i talloni sui fianchi del cavallo e Godluc rispose immediatamente al comando portandola in un punto della collina dove poteva osservare lo schieramento nemico. «Merda» commentò appena si rese conto della situazione. «Proprio quello di cui avevamo bisogno.» Nonostante la luce fosse scarsa, Ash vide migliaia di fanti e cavalieri posizionarsi a est sulla strada che da Digione portava ad Auxonne. Ogni unità si stava raggruppando intorno al proprio stendardo. Socchiuse gli occhi per proteggerli dal vento umido e tracciò uno schema mentale dello schieramento nemico. Hanno ancorato l'ala destra alla palude a nord, pensò, per 112
Non c'è alcuna relazione.
poi occupare l'avvallamento a sud con quattro compagnie di fanteria e... E. «Ottimo» disse «siamo fottuti. Questa volta siamo veramente fottuti.» Robert Anselm la raggiunse e diede un'occhiata giù dalla collina. «Figli di puttana.» Arretrò di qualche passo. Ash rimase ferma ancora per qualche istante per essere sicura di quello che stava vedendo. Non c'era possibilità di sbagliarsi. Sull'ala destra dello schieramento visigoto c'erano un migliaio di uomini tra arcieri e cavalleria leggera. Sui loro elmi spiccava un pennacchio bianco. Il vento srotolò una bandiera sulla quale spiccava la mezza luna rossa. «Sono truppe turche» confermò Ash. «Bel modo di tagliare i rifornimenti ai Visigoti...» borbottò Robert Anselm. «Già, non solo non tagliano loro i rifornimenti, ma schierano un contingente in prima linea. Fanculo!» esclamò Ash. «Devono aver firmato un trattato, un alleanza, qualcosa di simile. Comunque il sultano e il califfo adesso se la spassano nello stesso letto.» «Ne dubito fortemente» disse John De Vere, mentre li raggiungeva. «Voi lo sapevate, mio signore?» Il volto di de Vere era pallido dall'ira. «Perché le spie del duca Carlo dovrebbero riferire certi fatti a un semplice duca inglese? Le sue spie sono troppo in gamba, è ovvio che lo sapeva. Deve pensare che possiamo batterli» concluse bruscamente il nobile. «Denti di Dio, quell'uomo pensa di poter sconfiggere i Turchi e i Visigoti contemporaneamente! Più grande è il nemico più grande è la gloria.» «Siamo morti» cantilenò Ash a bassa voce. «Siamo morti... va bene, mio signore. Se volete un mio consiglio: atteniamoci al piano. Lasciamo che i preti preghino.» «Se avessi voluto un consiglio, signora, ve lo avrei chiesto.» Ash sogghignò. «Beh, questo non lo dovete pagare. Non è una cosa che faccio tutti i giorni. Sapete bene che sono un mercenario.» John de Vere rise a tal punto che gli vennero le rughe intorno agli occhi. Fu una risata breve. Intanto, sfruttando il favore del crepuscolo, le battaglie113 visigote e turche si stavano posizionando nel punto indicato dalle 113
Nel gergo militare del Medioevo una 'battaglia', oltre a essere un combattimento, era anche un'unità di uomini. Gli eserciti medievali erano solitamente divisi in tre battaglie, ovvero tre grosse unità di uomini pronte
spie burgunde. «I vostri uomini vi seguiranno lo stesso?» chiese il conte. «Sono molto più spaventati da me che dai Visigoti. Sanno che possono sfuggire da loro, ma non da me.» «Dipende molto da questo, signora.» Ash provò una forte sensazione di rilassamento. Strinse una delle cinghie che chiudevano la protezione della pancia e pensò con nostalgia alla sua armatura completa. Posò la mano sull'elsa della spada e controllò la catenella che assicurava il fodero alla cintura. «Mi sono sbarazzata dei piantagrane» disse Ash, guardandolo dritto negli occhi. «La maggior parte di questi uomini ha combattuto con me nel corso degli ultimi tre anni. A loro non fotte niente del duca Carlo e chiedo scusa, neanche del conte di Oxford. A loro importa dei compagni di lancia e di me perché li ho tirati fuori interi da campi di battaglia peggiori di questo. Quindi la risposta è: sì. Tutto il resto non importa.» Il nobile inglese la fissò incuriosito. Ash distolse lo sguardo e continuò: «Va bene, stiamo per affrontare quelli che hanno battuto gli Svizzeri: il morale non è dei più alti. Chiedete a Cola di Monforte!» Il suono di una chiarina echeggiò nell'aria. Il brusio tra gli uomini cessò per qualche istante per lasciare il posto allo scricchiolio delle bardature, agli sbuffi dei cavalli, alle grida lontane dei sergenti degli arcieri e alle canzoni scurrili che si levavano dalle batterie d'artiglieria. Ash si drizzò sulla sella puntellandosi sulle staffe. «Comunque» commentò «non è tutto così disperato, visto che ho ottenuto un contratto con voi.» Il conte di Oxford vide i suoi fratelli che si avvicinavano gli ufficiali della compagnia che andavano da Ash. Tutti avevano bisogno di ordini e istruzioni e il tempo sembrò volare via. John de Vere le offrì la mano e Ash gliela strinse. «Dopo, se saremo ancora vivi, vorrei farvi alcune domande, signora.» «È un bene che non abbiano artiglieria» borbottò Ash, rivolgendosi a Robert Anselm. «Altrimenti ci farebbero fare la fine che Richard Gloucester ha fatto fare ai tuoi Lancaster a Tewkesbury. Non mi va di essere spazzata via dalla collina a cannonate.» Anselm approvò con un cenno del capo. «Il duca si è posizionato bene.» «Quel sodomita!» disse Ash. «Perché devo combattere una stupida batal combattimento.
taglia senza speranza prima di poter fare qualcosa di utile? Non sono quelli il nostro obbiettivo e il loro cazzo di Golem. È quell'affare che spiega loro come vincere. Questa è solo un'inutile perdita di tempo.» «Specialmente se ci uccideranno» borbottò Anselm. I due rimasero in sella a osservare la cavalleria leggera visigota che terminava di posizionarsi all'interno dello schieramento. La bandiera del faris si trovava nel centro. I suoi esploratori le avevano detto che il simbolo della sua gemella era una testa di ottone in campo nero. Ash posò con noncuranza una mano sulla pancia. Improvvisamente sentì la mancanza di un commento caustico di Florian sulla stupidità della guerra e sull'inutilità di finire a pezzi per chissà quale motivo. «Florian direbbe che io devo combattere con più violenza perché sono una donna» disse Ash, mentre osservava i suoi ufficiali che tornavano dai loro uomini. «Penso che volesse dire che un comandante maschio è preso prigioniero, mentre una donna viene stuprata in gruppo.» Anselm sbuffò. «Davvero? Ricordi che sono stato io a trovare Ricardo Valzacchi dopo Molinella, vero? Era legato su un carro con l'asta di un'alabarda nel culo. Io credo che lui - lei abbia confuso la guerra con qualcos'altro...» Ash non riuscì a scorgere bene l'espressione di Anselm. Il suo luogotenente aveva il volto parzialmente nascosto dalla celata e dalla gorgiera dell'elmo e la luce era calata improvvisamente. La nuvola nera responsabile di quel fenomeno privò di brillantezza i colori degli stendardi e smorzò il luccichio sulle punte e sui ganci dei ronconi. Gli arcieri e i balestrieri cominciarono a imprecare a bassa voce. Una folata di pioggia gelida mista a neve portata dal vento raggiunse Ash in pieno volto. Schioccò leggermente le redini e Godluc cominciò a muoversi a fianco dello schieramento. «Le corde si stanno inumidendo, capo!» le urlò Ludmilla Rostovnaya. «Toglietele e mettetele sotto l'elmo» ordinò Ash. «Verrà anche il vostro momento, ragazzi. Sarà una brutta battaglia.» Il suono della campana di Auxonne echeggiò nuovamente tra le colline. Un coro di voci si levò da dietro lo schieramento burgundo. Ash alzò la testa. Uno sbuffo d'incenso le fece dilatare le narici. Un po' più in alto rispetto al punto in cui si era posizionata la compagnia del Leone Azzurro, Richard Faversham e Digorie Paston si inginocchiarono nel fango strin-
gendo il crocifisso tra le mani. Il giovane Bertrand era con loro e teneva una grossa e puzzolente candela di sego. Gli uomini intorno ad Ash cominciarono a intonare il Miserere. Lei colse un lampo nero e bianco con la coda dell'occhio. Era una gazza ladra che planava sul campo di battaglia. Si fece il segno della croce e sputò. Un batuffolo blu grosso come il suo pugno schizzò tra l'erba umida passando sotto il naso di Godluc che dilatò le narici. Ash osservò il martin pescatore che volava via. Premette i fianchi del cavallo e si avvicinò a Rickard che le passò la lancia e l'ascia. Nel momento stesso in cui stava per chiudere la gorgiera per poi abbassare la ventaglia vide un fiocco di neve posarsi sulla bardatura blu del cavallo. Alzò gli occhi e vide che il cielo era costellato di puntini bianchi Un attimo dopo una cascata biancastra si riversò dalle nuvole. La corazza di Ash e la bardatura del cavallo vennero ricoperte in breve tempo da uno strato di neve. La visibilità calò bruscamente e Ash riuscì a scorgere solo Anselm, Rickard, Ludmilla e Geraint ab Morgan perché le erano vicini. «Trattienili!» ordinò bruscamente al Gallese. Il vento continuava a soffiare deciso e il fango sotto gli zoccoli di Godluc era passato da marrone a bianco nel volgere di pochissimi secondi. Cavalcò per qualche metro per contattare i suoi ufficiali, quindi si fermò poco lontano dal punto in cui, a giudicare dall'intensità delle preghiere in latino, si trovava Richard Faversham. Infilò l'asta della lancia nell'apposito alloggiamento della sella, si tolse l'elmo e si fermò ad ascoltare. Gli ordini degli ufficiali burgundi echeggiarono alla sua destra. Ci fu la pausa di un secondo poi udì lo schiocco inconfondibile degli archi seguito dal sibilo delle frecce che fendevano l'aria. Una sola salva e non si sentirono più ordini. Un silenzio inumano calò sulle linee. «Merda, questi sono bravi» sussurrò Ash. In un punto imprecisato di fronte a lei sentì un Visigoto che urlava. Digorie Paston strinse il diacono al suo fianco continuando a pregare con il volto stravolto. Ash girò la testa. Il vento le frustò le spalle togliendole il respiro. Si passò un guanto sul volto e si sporse dalla sella. «Ludmilla! Va' avanti!» ordinò. La Russa ubbidì. Ash inclinò la testa di lato per ascoltare meglio. Il sibilo rabbioso delle frecce pervase l'aria un attimo dopo e lei si pisciò addos-
so. Quel suono scuoteva i nervi, ma il peggio veniva quando cessava. Ash rimise l'elmo. Intorno a lei gli uomini abbassavano le visiere e si chinavano in avanti per presentare la parte rinforzata degli elmi alle punte delle frecce. «Merda, merda, merda» imprecò Geraint ab Morgan. Il fatto che il sibilo delle frecce fosse cessato significava che avevano colpito qualcosa. Ash si spinse avanti, ma non sentì nessuno che urlava o cadeva. Una figura ricoperta di neve le si avvicinò alla staffa. «Hanno colpito il terreno!» urlò Ludmilla Rostovnaya. «A circa dieci metri da noi!» «Va bene!» Ash si guardò alle spalle e sputò la neve che le era entrata in bocca. «Rickard!» Il ragazzo, che nel frattempo aveva indossato l'elmo e assicurato una spada al fianco, la raggiunse di corsa. «Capo?» «Raduna i portaordini! Non riesco a vedere la bandiera del Cinghiale Blu 114 . Dovremo affidarci ai portaordini. Vai!» «Sì, capo!» «Ludmilla, corri dal conte di Oxford e digli che sta funzionando! Voglio sapere se lo stesso vale per il resto del campo.» La donna alzò una mano e cominciò a correre giù dal pendio reso scivoloso dal fango e dalla neve. Ash rabbrividì. Il freddo cominciava a farsi strada sotto l'armatura malgrado avesse indossato pantaloni e farsetto imbottiti. Si girò e cominciò a cavalcare lungo lo schieramento del Leone Azzurro. Affidò il comando della fanteria ad Anselm, gli arcieri toccarono a Geraint e la cavalleria a Euen Huw. Un sibilo echeggiò nell'aria. Ash si accorse del fremito che pervadeva Godluc e usò le redini per tenerlo fermo. Aveva lo stomaco in subbuglio, tuttavia riprese a fiancheggiare molto lentamente avanti e indietro il suo schieramento. Una freccia cadde a pochi centimetri da lei. Lo schiocco delle corde degli archi tagliava l'aria. Gli impennaggi delle frecce fischiavano. Il suono crebbe d'intensità al punto che Ash cominciò a pensare che in quel momento si stava dando fondo a tutte le riserve di frecce della Cristianità. Salva dopo salva i dardi lanciati dagli archi ricurvi dei Visigoti volarono nell'aria. Salva dopo salva le frecce delle truppe imperiali si abbatterono sul nemico. 114
Il simbolo personale del conte di Oxford.
Il vento alle spalle dello schieramento burgundo soffiava così forte da far cadere la neve quasi in orizzontale. «Continuate a pregare!» gridò Ash, rivolgendosi a Digorie e Richard. L'avanguardia dello schieramento di Carlo cominciò a muoversi. «Adesso...» disse Ash. Non sarà un gran miracolo, viste le condizione del tempo e l'assenza del sole, ma è pur sempre un miracolo, pensò. La neve e il vento. Il muro bianco di fronte a lei era così spesso che sembrava bloccare l'aria e le fece perdere il senso della profondità e della distanza. Il calore del cavallo le dava conforto e cominciò a vagare per le linee scambiando qualche parola con un uomo che aveva il cognato nel contingente di Cola di Monforte, con una donna arciere che aveva bevuto con le prostitute al seguito di un gruppo di cavalieri tedeschi profughi. Non voleva informazioni. Quelle chiacchiere servivano a far sapere ai suoi uomini che lei era in mezzo a loro. «Noi siamo qua per questo» ripeté un'infinità di volta. «Lasciamoli tirare. Sprecano frecce e basta. Ancora qualche minuto e gli faremo la più grande sorpresa della loro vita. L'ultima!» La nevicata cominciò a diminuire d'intensità. Digorie Paston e Richard Faversham si sorreggevano a vicenda continuando a rimanere inginocchiati nel fango. Bertrand, bianco in volto dalla paura, versava nelle loro bocche dei sorsi di vino. Cristo, pensò Ash, dove sei Godfrey? Abbiamo bisogno di te! Digorie Paston crollò a faccia in avanti nella neve. «Preparatevi a tirare!» urlò Ash all'indirizzo di Geraint ab Morgan. La nevicata diminuì ancora d'intensità e il cielo cominciò a rischiararsi. Il vento calò. Ash girò Godluc, lo spronò lungo il pendio seguita immediatamente dalla scorta, dai paggi e dagli scudieri, si fermò a fianco dello schieramento d'arcieri ed estrasse la spada tenendola ben alta sopra la testa. Durante la cavalcata aveva osservato lo schieramento burgundo in cerca dello stendardo con il Cinghiale Blu. Richard Faversham svenne. La nevicata cessò bruscamente e l'aria divenne limpida. Ash scorse lo stendardo del conte di Oxford. Non attese il ritorno dei portaordini. A ovest la luce aumentava d'intensità e la neve si stava riducendo a una polvere molto fine. Abbassò la spada. «Incordare e tendere gli archi.»
«Incoccare! Scoccare!» gli ordini di Geraint ab Morgan risuonarono lungo il pendio. Ash udì altri ordini che venivano passati tra le loro linee. Gli arcieri e i balestrieri del Leone Azzurro incoccarono nuovamente i dardi e Geraint ordinò loro di lanciare la seconda salva. Quasi duemila frecce oscurarono il cielo, un migliaio delle quali dovevano essere sicuramente partite dagli archi degli uomini di Filippo di Poitiers e Ferry de Cuisance. Gli stessi arcieri della Piccardia e dell'Hainault, rifletté Ash, notando l'ironia della sorte, che hanno cercato di colpirci fuori Neuss. Sentiva il corpo che fremeva e alzò gli occhi al cielo per osservare la traiettoria delle frecce. La seconda salva aveva già annerito il cielo. Le balestre scricchiolavano selvaggiamente. Gli arcieri prendevano le frecce che avevano piantato di fronte a loro scoccando dai dieci ai dodici dardi al minuto. Il lamento di un cavallo raggiunse Ash che si drizzò sulle staffe. Qualche centinaio di metri più in basso il terreno era costellato da migliaia di frecce visigote. La prima salva di frecce lanciata dall'esercito burgundo raggiunse il bersaglio. Ash scorse appena le figure dei Visigoti che cadevano a terra stringendosi il corpo o portando le mani al volto. I cavalieri cercarono di controllare le bestie imbizzarrite. Molti cavalli nitrirono impauriti, disarcionarono i cavalieri e scapparono verso sud aprendo grossi buchi negli schieramenti della fanteria. Vide un soldato cadere a terra con la testa fracassata dal calcio di un cavallo. Il caos cominciava a serpeggiare tra le linee nemiche. Ash girò la testa nel momento stesso in cui Angelotti e gli altri artiglieri del duca Carlo aprivano il fuoco. Il boato scosse il terreno sotto gli zoccoli di Godluc e lo stallone si impennò alzandosi da terra di mezzo metro abbondante, malgrado indossasse la bardatura completa. Loro sparano controvento e finiscono corti, pensò Ash. Noi tiriamo con il vento a favore e li colpiamo, ma loro non lo capiscono. «Deo gratias!» urlò Ash. Le artiglierie si zittirono per qualche attimo. Era un punto morto nel quale il nemico avrebbe potuto caricare. Ash trattenne Godluc che scalpitava per partire all'attacco. «Messaggeri!» urlò Ash all'indirizzo della sua scorta che stava finendo di riformarsi. Ci volle un minuto per riportare Godluc nello schieramento. La scorta si chiuse intorno a lei. Vide un uomo che correva verso la compagnia e girò il cavallo.
Un violento spostamento d'aria la piegò in avanti sulla sella. Un uomo della scorta la tirò su. Ash spostò bruscamente Thomas Rochester, sputò, scosse la testa per allontanare il senso di vertigine e vide il buco nel terreno nel quale spiccava la mano di un uomo mozzata di netto. Non dovrebbero avere l'artiglieria, pensò. Un attimo dopo un secondo tonfo sollevò una pioggia di fango e terriccio che si abbatté su un gruppo di cavalieri e le sporcò il volto «Capitano!» la chiamò uno dei messaggeri. «Il conte dice di ritirarsi in cima alla collina!» «ANSELM!» urlò Ash dopo essersi tolta la terra dalla bocca. «Portali in cima a quella collina, adesso! Tu e tu, andate da Geraint e ditegli di ritirarsi in cima alla collina.» Le trombe squillarono e sia gli ufficiali che i comandanti di lancia presero a urlare ordini per spronare i loro uomini a risalire il pendio reso scivoloso dal fango e dalla neve. Ash si assicurò che tutti si stessero ritirando, quindi girò il cavallo e cominciò ad allontanarsi a sua volta. Ai piedi del pendio lo schieramento visigoto si era aperto per fare spazio a dei carri. I mezzi erano trainati senza sforzo apparente da alcune figure molto più grosse di un uomo normale. Giunti in posizione, i serventi abbassarono le sponde costellate di punte per impedire che qualcuno potesse salire sui carri e distruggere le catapulte montate sul pianale. Il grosso cucchiaio scattò in avanti e un masso grosso quanto il petto di un uomo volò in aria. Ash spostò il peso di lato, fece girare Godluc, si inclinò in avanti per indurlo a salire il più rapidamente possibile la collina. Un tonfo echeggiò nell'aria seguito un attimo dopo dalle urla degli uomini colpiti dalle schegge di pietra. Ash alzò la testa e vide il grosso varco che si era creato nel loro schieramento: una macchia scura di corpi martoriati e terreno rivoltato che spiccava sotto il cielo. Gli zoccoli di Godluc erano sporchi di sangue e visceri. Gli uomini urlavano e le donne cercavano di trascinarli verso la cima della collina. Thomas Rochester le si avvicinò con le lacrime che colavano da sotto la ventaglia dell'elmo. Bang! «Corri, Cristo! Corri!» urlò Rochester.
Ash si girò e guardò giù dalla collina. C'erano circa venti o trenta carri intorno ai quali i serventi facevano scattare i mangani e aggiustavano l'alzo, mentre i golem sollevavano le pietre e le posavano nei cucchiai senza fare il minimo sforzo, molto più rapidamente di qualsiasi uomo. Cinque massi si abbatterono alla destra di Ash sollevando una nuvola di terra e qualche attimo dopo ne caddero altrettanti riducendo una fila di cavalieri a un ammasso di corpi e divise insanguinate. I pochi superstiti cercavano di alzarsi in piedi. «Rickard!» chiamò Ash, che nel mentre osservava meravigliata l'eccezionale cadenza di tiro del nemico «Va' a chiamare Angelotti! Digli di ritirarsi! Non mi importa cosa fanno gli altri, ma il Leone si ritira! Ci attestiamo in cima alla collina!» In testa allo schieramento lo stendardo del Leone si piegò in avanti, si drizzò nuovamente e tornò a salire per il pendio. «Forza Euen. Forza!» borbottò Ash, quindi piantò i talloni nei fianchi di Godluc. Il castrato scivolò, riguadagnò rapidamente l'equilibrio e scattò in avanti facendole raggiungere in pochi attimi le massa di arcieri e ronconieri in fuga. «Merda! Merda!» urlava Thomas Rochester. Una grossa lingua di fuoco spazzò la collina alla destra di Ash che lanciò un urlo. Godluc si impennò e ricadde sulle gambe anteriori con tanta violenza da farle sbattere i denti. Il fango ribolliva e sibilava investito da una fiammata blu e bianca. La fiamma scomparve improvvisamente. Nonostante il lampo improvviso l'avesse abbagliata, Ash riuscì a vedere i suoi uomini che continuavano a correre su per il pendio. Ai piedi della collina le frecce dei Visigoti bruciavano. Trenta o quaranta golem avanzavano precedendo l'avanguardia nemica, con un braciere sulla schiena e degli ugelli stretti tra le mani dai quali scaturivano le fiammate. «Chiama Angelotti!» urlò Ash, rivolgendosi a Thomas Rochester. I sobbalzi di Godluc che saliva a fatica il pendio le tolsero il fiato. Raggiunse la cima della collina dove il terreno si appiattiva, si fermò guardandosi intorno, si assicurò che i suoi uomini fossero in salvo e si diresse nel punto in cui spiccava lo stendardo degli artiglieri. «Angeli!» chiamò, sporgendosi dalla sella. «Raduna gli archibugieri. Quei golem sono di pietra, le palle degli archibugi possono distruggerli.» «Capito, madonna!» urlò il mastro artigliere.
«Cristo Santo! Golem da guerra! Fuoco Greco115 . Dovevano avvertirci. Possibile che gli esploratori non ne facciano una giusta?» Ash si rese conto che sul fianco destro la battaglia continuava: un caos di bandiere al vento, soldati che rivoltavano il terreno e un unico e tremendo coro di voci maschili che doveva essere la cavalleria pesante che si lanciava giù dalla collina tra le braccia delle catapulte e i golem con il Fuoco Greco. «Merda, no!» esclamò Thomas Rochester, fermandosi al fianco di Ash. «Questo non è il momento per una carica eroica!» «Se Oxford non ci fa avere degli ordini...» Ash si drizzò sulle staffe cercando di scorgere lo stendardo del conte, mentre una folla di soldati burgundi la superavano. «Merda!» esclamò. «Siamo in rotta e nessuno ci ha avvertiti.» Gli uomini venivano accuditi dalle donne dei carri. Ash vide teste che pendevano di lato, capelli sporchi di sangue, bocche aperte; poco lontano da lei, un uomo urlava con l'osso del femore che spuntava dalla gamba riverso nel fango. Erano tutti volti conosciuti, ma lei non provava nulla. Sentiva solo l'urgenza di uscire da quella situazione il più integra possibile. Anselm la raggiunse. «Cosa facciamo, capo?» «Manda gli esploratori sulla cresta! Voglio sapere se stanno avanzando. Riordina le battaglie. Per il momento non si scappa.» È molto più facile farsi ammazzare in fuga, pensò. Il sole era coperto dalle nuvole e Ash non sapeva che ora fosse. Galoppò lungo lo schieramento del Leone Azzurro in parte per farsi vedere e in parte per scoraggiare chiunque volesse scappare. Raggiunse rapidamente la cresta e fissò l'orizzonte. È pericoloso, lo so, ma devo sapere cosa sta succedendo! Robert Anselm la raggiunse. «Fanculo, Robert!» «Guarda là!» Ash seguì il dito e vide che la cavalleria pesante di de la Marche stava caricando a testa bassa giù per il pendio. Dietro di loro sciamavano i fanti. Nello schieramento visigoto ai piedi della collina apparve per qualche i115
In uso tra i Romani, i Bizantini e gli Arabi, il 'Fuoco Greco' veniva impiegato durante gli scontri navali e gli assedi. La sua composizione è ancora sconosciuta, sebbene si pensi che venisse usata della nafta, petrolio, pece, salnitro, zolfo e catrame. La sua natura di arma che incuteva un terrore psicologico è ben riportata in tutte le cronache del tempo.
stante una bandiera verde e gialla a fianco di quella di Lebrija. «L'Aquila dei del Guiz» urlò Robert, con voce eccitata. «Guardalo là... ecco che parte!» Anselm si drizzò sulle staffe e cominciò a urlare come se stesse dando la caccia a una volpe. Un ronconiere con indosso la divisa del Leone fissò il punto indicato dal capitano inglese. «Capo, tuo marito sta scappando!» strillò Carracci. «Già!» disse Anselm, digrignando i denti. «Bisognerebbe dire all'imperatore di assegnargli un'altra bestia araldica... il Cane Accucciato!» Provo vergogna per Fernando, pensò Ash. Perché? Dopodiché tornò a concentrarsi sulla battaglia. «Capitano Ash!» la chiamò un cavaliere con una X rossa sulla divisa. «Il duca vuole conferire con voi!» Ash fece un cenno con la mano per far sapere che aveva capito. «Prendi il comando! Togliti di qua!» urlò ad Anselm, quindi spronò Godluc verso le retrovie. Attraversò un torrente ed entrò in un granaio dentro il quale trovò una piccola folla di uomini e cavalli. Queste sono le retrovie, pensò atterrita. Possibile che ci abbiano spinto tanto indietro così in fretta? Alzò la ventaglia e cominciò a cercare freneticamente con lo sguardo lo stendardo con il Cinghiale Blu e il Cuore Bianco di Carlo. Cavalcò in mezzo ai soldati le cui divise sporche di sangue e fango erano inutili per capire a quale contingente appartenessero. Un uomo cercò di sbarrarle il passo. «Per il duca, stronzo!» urlò Ash. Il soldato riconobbe la sua voce e la fece passare. Carlo di Borgogna indossava l'armatura completa ed era in piedi in mezzo a un gruppo di nobili. I paggi si occupavano dei cavalli. Un roano castrato lambì con le labbra la superficie del ruscello perché non voleva bere quell'acqua sporca di fango e fluidi corporei. Ash saltò giù dalla sella e appena toccò terra si rese conto di essere molto stanca. Un uomo con il simbolo del Cinghiale Blu sulla corazza si girò appena sentì la sua voce. Oxford. «Mio signore!» Ash si fece largo a gomitate tra un gruppo di cavalieri. «Dobbiamo ricompattare le linee e distruggere le catapulte e il Fuoco. Cosa vuole che faccia il duca?» Il nobile alzò la ventaglia con un pollice rivelando gli occhi azzurri dallo sguardo rabbioso. «I mercenari sul vostro lato sinistro si stanno ritirando. Non vuole che avanzino. Vuole che voi li seguiate.»
«Cosa?» Ash lo fissò attonita. «Nessuno gli hai mai detto di non rafforzare un fallimento?» Si rese conto che stava ansimando e parlando ad alta voce malgrado fosse lontana dal campo di battaglia. «Se raduniamo i cannoni e gli archibugi» spiegò con più calma «possiamo distruggere gli uomini di pietra...» Le sue mani descrissero i contorni dei golem di pietra la cui forza risiedeva più che altro nel fatto di riuscire a far arretrare gli uomini piuttosto che nella loro vera destrezza nel maneggiare le armi. «... ma non lo faremo un pezzo alla volta. Il duca deve darci degli ordini!» «Non lo farà» disse il conte di Oxford. «Il duca vuole ordinare un'altra carica di cavalleria pesante.» «Oh, al diavolo, la cavalleria! Questa è l'unica cosa che sa fare. Lassù ci stanno masticando...» Il campo di battaglia non era il posto giusto per discutere. «Sì, mio signore. Cosa...» Ash colse un turbinio nero vicino a lei e alzò istintivamente un braccio. Una freccia rimbalzò contro la protezione della spalla e si piantò nel terreno. La violenza dell'impatto le intorpidì il braccio destro per qualche secondo. Ash afferrò le redini di Godluc. Il paggio con il farsetto rosso che le teneva il cavallo cadde a terra con una freccia nel collo. Ash comprese che il farsetto del giovane era rosso perché imbrattato di sangue. «Oxford!» Ash afferrò l'ascia che pendeva dalla sella. Quando i comandanti devono estrarre le armi vuol dire che siamo nei guai, pensò. Il nemico spuntò da dietro una cresta urlando a squarciagola e si ammassò rapidamente all'interno del recinto: dieci, cinquanta forse due o trecento uomini in sella ai cavalli del deserto. Una fiammata balenò di fronte ad Ash. Lei non vide mai l'artigliere che aveva sparato il colpo, ma rimase assordata prima di rendersi conto di quello che stava succedendo. Un cannone a organo sparò. Nonostante il fumo grigiastro, Ash scorse i serventi al pezzo che scovolavano, caricavano, puntavano e facevano fuoco con una rapidità impressionante. Si girò e vide che il recinto era pieno di cavalieri visigoti e uomini con le livree color prugna. John de Vere incitava i soldati ad andare all'attacco. Godluc schiacciò sotto gli zoccoli un Visigoto che si era avvicinato troppo. Ash calò l'ascia e staccò di netto il
braccio di un nemico. Il rumore degli zoccoli dei cavalli che battevano sul terreno le faceva tremare il petto. Avvertì le vibrazioni di un altro colpo di cannone. Strinse con forza l'ascia, si radicò a terra e chiamò Godluc con tutto il fiato che aveva in corpo. Si girò e spostò di lato una lancia, cercò di colpire la gamba del Visigoto, ma la mancò e rischiò di cadere. «Non chiederò niente!» singhiozzò ad alta voce. «Niente voci!» Non c'era nessuno di fronte a lei. Il recinto era diventato una massa di cavalli, divise gialle e blu e cavalieri burgundi. Ash impiegò tre secondi per balzare in sella, sistemare l'ascia ed estrarre la spada, ma in quel breve lasso di tempo i Burgundi avevano eliminato ogni Visigoto presente in quell'area. La scorta si era chiusa intorno al duca per proteggerlo da quello che solo in quel momento lei comprese essere stato un tentativo di eliminare il nobile. Ash vide che di fronte al suo cavallo c'era il corpo di un Visigoto con un una spada spezzata piantata nell'occhio. Era quello che portava lo stendardo. «Il duca!» John de Vere la fissava inginocchiato nel fango, stringendo tra le braccia il nobile. Un rivolo di sangue arterioso scaturiva da una giuntura dell'armatura. «Chiamate i chirurghi! Subito!» Un manipolo di uomini decisi a morire pur di riuscire a far sì che almeno uno di loro uccidesse il duca Carlo di Borgogna, pensò Ash scuotendo la testa, mentre cercava di capire quello che le stava dicendo il conte di Oxford. «I CHIRURGHI!» L'urlo del nobile la raggiunse appena. «Mio signore!» Ash girò Godluc. Il cielo cominciava a rabbuiarsi pervaso da quell'oscurità che ormai lei aveva cominciato a considerare come un fenomeno naturale. A nord il sole continuava a splendere. Una folata di vento freddo la raggiunse al volto. Ash abbassò la visiera e spronò il cavallo lungo il pendio seguita dalla scorta. La luce a nord cominciava ad affievolirsi. Godluc rallentò nell'istante stesso in cui si accorse che la sua padrona aveva distolto l'attenzione da lui e lasciò penzolare la testa. Il grosso petto della bestia era coperto da uno strato di sudore che gli sbiancava il pelo. Thomas Rochester la raggiunse e lei indicò con un dito senza dire nulla. Il cielo sopra Digione stava cominciando a scurirsi. «Un chirurgo per il duca!» ordinò Ash. «Veloce!» La collina che s'innalzava di fronte a lei era coperta di fango e detriti. La
tenda del chirurgo si trovava a una cinquantina di metri oltre la cresta. Godluc non sarebbe riuscito a superare il pendio. Ash lo fece girare e iniziò a cavalcare lungo le pendici della collina per raggiungere i carri dei medici da dietro. I cavalli di Rochester e degli altri componenti la scorta erano più freschi e in breve tempo Ash si trovò isolata dai suoi uomini. Non ci fu nessun avvertimento. Un quadrello centrò in pieno il fianco della cavalla di Rochester e i pezzi di carne umida la raggiunsero in faccia e sul petto. Godluc si imbizzarrì. Una mano avvolta da un guanto d'armatura spuntò dal nulla e le afferrò redini. Il castrato nitrì spaventato. Qualcuno l'aveva ferito. Un fendente di spada tagliò la staffa. Ash barcollò bruscamente e afferrò il pomello con la mano libera per rimanere in equilibrio. Sessanta cavalieri visigoti si avventarono su di lei e sulla sua scorta. Una lancia si piantò nella coscia di Godluc che la disarcionò facendola cadere in avanti. Lo strato di fango sul terreno era abbastanza spesso da attutire l'impatto, altrimenti si sarebbe rotta il collo. Ash non sentì nulla e si rese conto di essere sdraiata a terra. Sentiva il petto che le doleva e aveva la bocca pervasa da un sapore acido. Si rese conto che qualcosa non andava, che la spada si era spezzata e che il braccio e la gamba sinistra erano in cattive condizioni. Un Visigoto si sporse dalla sella e Ash vide l'espressione soddisfatta sul suo volto. Il soldato alzò una mazza con la sinistra, smontò da cavallo e calò l'arma sul ginocchio facendo cedere la protezione. Ash avvertì una fitta alla giuntura della gamba. Il Visigoto alzò nuovamente la mazza e gliela calò sulla tempia. Da quel momento in avanti non seppe più con chiarezza ciò che successe. Sentì che la sollevavano e per un po' di tempo pensò che potessero essere i suoi uomini o i Burgundi, poi sentì parlare in visigoto e si accorse che il sole era scomparso. Il terreno sotto di lei ondeggiava in continuazione e passò altro tempo prima che si rendesse conto di essere sdraiata sul ponte di una nave. Il primo pensiero chiaro le sovvenne giorni dopo. Questa è una nave diretta in Nord Africa.
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash: — (Pierce-Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#155 (Anna Longman) Ash, scoperte archeologiche 18/11/00 ore 10,00 a.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Penso che tu abbia provato a mandarmi una e-mail e non ci sia riuscita. Cercherò di rispondere alle domande che potresti farmi sull'ultima sezione: no, non sono riuscito a trovare nessuna fonte storica che menzionasse una battaglia nei dintorni di Auxonne il 21 agosto 1476 o in quei giorni. Tuttavia il racconto di Ash fa venire in ménte la battaglia combattuta a Bosworth che mise fine alla dinastia dei Plantageneti in Inghilterra. Successe qualcosa di simile anche sul campo di Towton il 29 marzo 1461, quando le forze dei Lancaster non riuscirono a valutare bene la distanza di tiro per gli arcieri a causa del vento e della neve. Fu per quel motivo che persero, consegnando l'Inghilterra in mano agli York. Anche Charles Mallory Maximillian pone l'accento su queste somiglianze con delle note a piè di pagina alla sua edizione del 1890. Egli afferma che è uno dei casi nei quali i documenti su 'Ash' erano stati 'guarniti' dai suoi contemporanei (specialmente nell'opera di del Guiz scritta intorno ai primi anni del 1500) con dettagli di altre battaglie famose. Credo che in questo caso la spiegazione sia più che sufficiente. Tuttavia non riesco a conciliare i due generi di prove che abbiamo trovato. Dei manoscritti che a quanto sembra oggi sono considerati romanzi e delle prove archeologiche tangibili. Sto spiegando a Isobel quale era la situazione dell'Europa cinquecentesca e continuo a lavorare alla traduzione, ma l'unica cosa che posso ancora fare è pensare. Come posso spiegare tutto ciò? Quale teoria posso enunciare al riguardo? Non ne ho nessuna. Forse avrei dovuto ascoltare Ash quando si riferiva alla scomparsa del sole come a un 'miracolo nero'! Comincio a pensare che solo un miracolo può darci la spiegazione di cui abbiamo bisogno. — Pierce —————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#95 (Pierce Ratcliff) Ash 18/11/00 ore 11,09 a.m. Longman Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Non so come mai ci troviamo di fronte a prove contrastanti e dovrò parlarne con il mio direttore. Non si tratta solo del mio lavoro e della tua carriera. Non possiamo pubblicare qualcosa che sappiamo essere una frode accademica... aspetta, niente panico... e NON possiamo pubblicare qualcosa di tanto pazzesco come i golem cartaginesi nel corso del quindicesimo secolo. Mentre leggevo la tua ultima e-mail, ho cominciato a chiedermi cosa avrebbe detto Vaughan Davies... forse non sarebbe d'accordo con te riguardo la somiglianza tra la battaglia di Auxonne e quella di Bosworth. Forse lui affermerebbe che non si tratta di una somiglianza, ma di un eco della sua storia alternativa della 'Borgogna Perduta'. Tutto ciò è molto poetico e mi ha dato da pensare perché lui oltre a essere uno scienziato era anche uno scrittore. Forse non si tratta di un pensiero poetico, ma di un pensiero scientifico. Nadia, una mia amica, mi ha detto qualcosa di molto interessante. Stavo leggendo i tuoi ultimi appunti e abbiamo cominciato a parlare della teoria che tu hai menzionato... quello che sostiene l'esistenza di universi paralleli infiniti che sono creati ogni secondo, nei quali ogni scelta o decisione dà origine in ogni momento a differenti 'ramificazioni' etc. (Tutto ciò che so al riguardo l'ho appreso dai racconti e dai libri scientifici di divulgazione.) Nadia afferma che non le dispiace per le occasioni perdute, ma per il fatto che se questa teoria degli universi infiniti è vera allora lei non potrà mai condurre una vita moralmente corretta. Assicura che se lei decidesse di non picchiare una vecchietta per rubarle i soldi, il fatto stesso di rifiutarsi di compiere quel gesto darà origine a un universo parallelo nel quale lei lo farà. Non si può non agire. Non sto dicendo che in qualche modo tu hai avuto accesso a un universo parallelo e a una storia alternativa... non sono così disperata... ma che le speculazioni di Davies siano solo delle teorie senza delle basi scientifiche che possano comprovarle. Stavo pensando che se riuscissimo a trovare il
resto dell'introduzione al suo libro forse troveremmo anche una spiegazione sensata e SCIENTIFICA che ci potrebbe aiutare. La scienza è sempre scienza anche se risale al 1939. — Anna ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#156 (Anna Longman) Ash 18/11/00 ore 11,20 a.m. Nagrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
La teoria della tua amica Nadia è molto interessante dal punto di visto filosofico, ma non si addice a ciò che ho appreso dai nostri fisici (tengo a precisare che sono un profano al riguardo, te l'assicuro) Se quello che le prove in nostro possesso sembrano dirci è vero, allora non ci troviamo di fronte a un numero possibile di universi, ma solo a un numero di FUTURI possibili i quali collassano e si concretano in un unico momento presente reale e concreto: l'ADESSO che in seguito diventerà un unico e concreto PASSATO. Quindi la tua amica sceglie di non picchiare la vecchietta ed è questa non azione che diventa un passato inalterabile. La scelta avviene solo nel momento di transizione tra il fatto di pensare di poter compiere un atto e il compimento. Quindi è possibile anche non agire. Scusa: solleva una questione filosofica con un accademico e questi non perderà l'occasione per confutarla! Torniamo a noi. In questo momento accetterei l'aiuto di chiunque o di qualsiasi cosa, anche di un teoria sugli universi paralleli che risale agli anni Trenta! Ho cercato in tutti i modi di trovare il libro di Vaughan Davies, ma non ci sono riuscito, non penso di poter far molto da una tenda fuori Tunisi. Voglio provare a rivolgermi ai miei colleghi e agli amici scienziati di Isobel per vedere se riescono a trovare una teoria valida. Ora non oserei perché attirerebbe troppa attenzione indesiderata sul sito, provocherebbe molto stress a Isobel e, a dirla tutta, perderei l'occasione di essere stato il primo uomo a tradurre il 'Fraxinus'. So di essere venale, ma le possibilità
di un successo spettacolare non capitano tutti i giorni; è una cosa che scoprirai invecchiando. Forse potremmo riuscirci in un mese. Comincio a chiedere tra gli esperti per ottenere le risposte. E questo avverrebbe prima ancora della data di pubblicazione. — Pierce ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#96 (Pierce Ratcliff) Ash 18/11/00 ore 11,37 a.m. Longman Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Ma non prima dell'editing e della stampa! Cosa stai cercando di farmi, Pierce? Che ne dici di Natale? Se questo problema non sarà risolto o per allora o non abbiamo almeno qualche traccia allora dovrò andare da Jonathan. Prima settimana di gennaio al PIÙ TARDI. — Anna ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#157 (Anna Longman) Ash, i testi 18/11/00 ore 04,18 p.m. Nagrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Molto bene. Sono d'accordo. Non diamo l'allarme prima della prima settimana di gennaio. In ogni modo, se non saremo arrivati a una risposta prima di allora (sono solo sette settimane!) io sarò impazzito. Ma se sarò
impazzito non avrò molto di cui preoccuparmi, giusto? John Monkham è appena partito. Le foto dei golem sono splendide, vanno al di là di ogni immaginazione. Mi dispiace che tu non possa farne una copia o tenerle; Isobel diventa più attenta alla sicurezza a ogni ora che passa. Penso che se John non fosse suo figlio non gli avrebbe mai permesso di portarle fuori dal sito. Ho avuto tutta la mattina per rifinire la traduzione. Ecco la versione definitiva del 'Fraxinus' come ti avevo promesso. O almeno la prima sezione. Scusami ma ho avuto pochissimo tempo e le note a piè di pagina sono ridotte all'osso. — Pierce ————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#163 (Anna Longman) Ash 18/11/00 ore 09,51 p.m. Nagrant@ Indirizzo precedente cancellato e password irrecuperabile
Ci sono. Ho trovato la RISPOSTA. Avevo ragione: la spiegazione più semplice di solito è quella giusta. Ci siamo complicati la vita senza che fosse necessario! Non c'è bisogno di preoccuparci della teoria di Davies qualunque essa sia: non c'è bisogno di fare affidamento a quanto classificato nei cataloghi della British Library. Solo adesso ho capito che se un documento viene CLASSIFICATO sotto la voce miti o leggende NON SIGNIFICA CHE NON NARRI LA VERITÀ. È così semplice! Stavo parlando con Isobel riguardo i nostri problemi con la teoria di Vaughan Davies e lei si è limitata a dirmi: «Cos'è questo mucchio d'insulsaggini, Pierce?» quindi mi ha ricordato che... Nel 1871, l'archeologo Heinrich Schliemann (sebbene i suoi metodi lasciassero alquanto a desiderare) scoprì i resti di Troia scavando ESATTAMENTE NEL PUNTO IN CUI OMERO AVEVA NARRATO SOR-
GESSE LA CITTÀ. Tutti sanno che l'ILIADE non è un documento storico, ma un POEMA! Con tanto di dèi e dee e tutte le licenze poetiche possibili e immaginabili che si trovano nei romanzi! È stato un fulmine a ciel sereno! Non riesco ancora a capire come ho fatto a non accorgermi della riclassificazione dei documenti su Ash, ma a questo punto non ha più importanza. La cosa veramente importante è che in questo sito, per quanto gli esperti possano sostenere il contrario, abbiamo trovato le prove tangibili che quanto è descritto nelle precedenti biografie di Ash è vero. Noi abbiamo trovato i 'golem' di fattura postromana menzionati in quegli scritti e non si può discutere quando si hanno davanti le prove. La verità ci giunge dalla STORIA. È tutto a posto, Anna. Sai cosa succederà? Le biblioteche dovranno riclassificare nuovamente le opere su Ash. La spedizione di Isobel e il mio libro forniranno le prove inconfutabili del perché è necessaria tale operazione. — Pierce
SESTA PARTE 6 SETTEMBRE - 7 SETTEMBRE AD 1476 'Fraxinus me fecit' I Ash sentiva la mancanza del peso familiare dei capelli. Non avendoli mai tagliati non si era mai resa conto che la sua chioma aveva un peso tanto consistente. Il vento diventava sempre più freddo a mano a mano che veleggiavano verso sud. C'è qualcosa che non va, pensò Ash. Angelotti mi ha detto che il clima del Crepuscolo Eterno è caldo, non così freddo. La temperatura dovrebbe alzarsi... Per un momento si scordò di essere su una nave e rivide Angelotti seduto sul trasporto di un cannone a organo fuori Pisa che diceva: «Le donne si vestivano con abiti di seta trasparente, non che a me importasse qualcosa! E ci sono dei giardini pensili nei quali il calore è convogliato tramite degli specchi. I ricchi hanno le vigne. Quante notti interminabili passate a bere vino. Fa più caldo di qua!» In quel momento Ash aveva inspirato l'aria salmastra dell'Italia sognando il calore del Sud. Uno spruzzo gelato la colpì in pieno volto. Prima di quei momenti non si era resa conto di quanto le avessero tenuto caldo i capelli. Ora sentiva la testa leggera e il collo freddo. I soldati le avevano lasciato i capelli lunghi fino alle orecchie. Il resto della sua chioma setosa era stata tagliata in un deposito di Genova o Marsiglia, non avrebbe saputo dire, e buttata nel fango prima che la trascinassero a bordo semisvenuta. Ash fletté senza farsi vedere il ginocchio e provò una forte fitta di dolore. Strinse il labbro tra i denti per non urlare e continuò l'esercizio. La prua della nave si scontrò contro le onde fredde del mar Mediterraneo. Ash aveva le labbra e i capelli incrostati di sale. Strinse la balaustra di poppa che ondeggiava seguendo il rollio della barca e guardò a nord. La nave aveva appena attraversato il riflesso della luna sull'acqua lasciandosi dietro una scia argentea che sfumava a mano a mano che si allontanavano. Due marinai la spinsero da parte bruscamente per passare. Ash barcollò,
ma si accorse che le gambe cominciavano a riacquistare vigore. Cosa sta succedendo? pensò. Piantò le unghie nel legno della balaustra. Cosa è successo a Robert, Geraint, Angelotti, Florian e Godfrey? Digione esiste ancora? Merda, merda, merda! Calò un pugno carico di frustrazione sul legno. Il vento fece sbattere le vele sopra la sua testa. Ash rischiò di soccombere all'ennesima ondata di nausea. Sono stufa di sentirmi male ogni giorno! Imprecò tra sé. La botta alla testa le aveva riaperto la ferita e Ash aveva ricominciato a soffrire degli stessi disturbi di quando era stata calpestata dal cavallo: inappetenza e la sensazione di avere la testa svuotata. In passato si era rotta più volte le costole, la tibia e, in un'occasione, quasi tutte le dita della mano sinistra in un colpo solo, ma il danno più pericoloso che aveva subito fino a quel momento era quello al ginocchio inflittole dal nazir. Quel genere di lesioni potevano dare origine a una menomazione permanente. Sto meglio oggi di qualche giorno fa? Sì, concluse tentennante. Direi proprio di sì... Ash guardò nel pozzetto della nave oltre i rematori. Teodiberto, il nazir che l'aveva colpita, le sorrise. Un richiamo secco da parte del comandante della squadra che l'aveva catturata, l'arif Alderico, lo indusse a tornare ai suoi doveri, che, da quello che Ash aveva capito consistevano nell'impedire che lei si gettasse fuori bordo o fosse stuprata e uccisa dall'equipaggio. Forse lo stupro passerebbe ancora, pensò Ash, ma se mi dovessero uccidere credo che ti troveresti in un mare di guai, caro Teodiberto. Un altro dei compiti del Visigoto era quello di tenerla lontana dagli altri prigionieri a bordo. Ash era riuscita a parlare solo una volta con qualcuno di loro. I prigionieri erano quattro donne e sedici uomini, che, a giudicare dagli abiti scuri, dovevano essere stati dei mercanti di Auxonne, tranne uno che indossava una divisa da soldato e due vecchie contadine. Nessuna delle due valeva il denaro che stavano spendendo per portarle dall'altra parte del Mediterraneo visto che erano conciate talmente male che non sarebbero servite neanche come schiave. Cartagine. Deve essere Cartagine 116 . 116
Vista la data, l'AD 1476, il testo non si può riferire all'insediamento originale costruito dai Fenici, né a quella romana, vandala o bizantina. Poiché non si tratta di una cultura islamica, questo deve essere un riferimento all'insediamento visigoto che, molto probabilmente, doveva sorgere vicino al punto in cui si trovava la prima Cartagine, dalla quale ha
Non ho mai sentito nessuna voce. Non so cosa voglia dire. Non ho mai sentito nessuna voce! Intravide qualcosa davanti alla nave, tra la vela latina e la prua, ma l'oscurità le impedì di capire se si trattava di terra o di una massa di nuvole. Le costellazioni in cielo indicavano che stavano continuando a navigare verso sud-est. Dieci giorni? si chiese. No ne devono essere passati quattordici o quindici. Cristo Verde, de profundis, che cosa è successo da quando mi hanno catturata? Chi ha vinto? Il suono di un passo la mise in allarme, alzò gli occhi e vide l'arif Alderico accompagnato da un soldato che reggeva una scodella piena di una zuppa viscosa di colore bianco. «Mangia» le ordinò l'arif. L'uomo era di corporatura robusta, aveva la barba e doveva avere più o meno quarant'anni. Ash aveva impiegato cinque giorni prima di riuscire a sussurrare qualche parola. Ora, quando non sbatteva i denti per il freddo, riusciva a parlare senza problemi. «Non finché non mi avrai detto dove siamo diretti e cosa è successo ai miei uomini.» Non ha molto senso fare lo sciopero della fame, pensò Ash, visto che non riesco a trattenere nulla. Ma devo riuscire a mangiare altrimenti non avrò le forze per scappare. Alderico aggrottò la fronte. Sembrava più interdetto che arrabbiato. «Ho ricevuto istruzioni molto precise al riguardo. Non posso dirti nulla. Tieni: mangia.» Cercò di immaginarsi come poteva sembrare agli occhi dell'arif: una donna magra con le spalle di un nuotatore117 . Un ginocchio e una spalla fasciati. I capelli tagliati corti e la testa bendata. Una donna con indosso solo una maglia di lino e delle brache, sporca, puzzolente e tremante, la pelle arrossata dai morsi degli insetti. Non c'è da stupirsi se la sottovalutava. «Hai servito il faris?» gli chiese Ash. L'arif prese la scodella dalle mani del soldato che lo accompagnava e gli fece cenno di allontanarsi. Le porse la scodella silenzioso e determinato. Ash prese la scodella e cominciò a mangiare il pastone con le dita. Ne ereditato il nome. 117 In latino era scritto 'le spalle forti come quelle di uno spadaccino'. La mia traduzione è quella che più si avvicina all'originale.
ingoiò un boccone e attese. Lo stomaco si contrasse, ma trattenne il cibo. Si leccò le dita schifata dal sapore blando del cibo. «Allora?» «Sì, ho servito con il nostro faris.» L'arif Alderico la osservò mangiare e quando vide che Ash stava mangiando senza vomitare, sul suo volto comparve una fugace espressione di soddisfazione. «Sono stato sotto il suo comando nelle nostre terre e in Spagna nel corso degli ultimi sei anni, quando lei combatté nella Reconquista per liberare quelle terre dai Bretoni e i Navarresi118 .» «È brava?» «Sì.» Alderico sembrava sempre più divertito. «Grazie a Dio e al Golem di Pietra, lei è molto brava.» «Ha vinto la battaglia di Auxonne?» Alderico fece per parlare. Sei mio! pensò Ash. Ma un attimo dopo il comandante si ricordò delle istruzioni ricevute e scosse la testa. «I miei ordini sono molto precisi. Non devi sapere nulla. Non era un disturbo quando eri ferita, ma ora che ti sei ripresa lo trovo in qualche modo...» l'arif rifletté un attimo in cerca della parola giusta. «Sgarbato.» «Vogliono ammorbidirmi prima dell'interrogatorio. Io farei lo stesso.» Ash fissò con attenzione Alderico, ma l'arif non le chiese a chi si stesse riferendo. «E sia.» Ash sospirò. «Mi arrendo. Non hai niente da dirmi. Posso aspettare. Tra quanto attraccheremo a Cartagine?» L'arif arcuò entrambe le sopracciglia, inclinò la testa con fare molto educato, ma non disse nulla. Ash sentì un brontolio all'altezza dello stomaco, si sporse oltre la murata e vomitò tutto ciò che aveva mangiato. Non si trattava di una tattica. Un misto di terrore e pietà le attanagliava lo stomaco. Temeva che Digione fosse caduta e Carlo morto, ma quest'ultima eventualità non la sconvolgeva per niente. Quello che voleva sapere veramente, ma che al tempo stesso temeva, era sapere se gli uomini del Leone Azzurro erano ancora vivi o erano stati spazzati via e giacevano morti in qualche campo nel Sud del ducato. Ebbe un secondo conato e un fiotto di bile le sprizzò dalla bocca. 118
La cosa è del tutto stupefacente! La Reconquista venne attuata dalle forze ispano-cristiane per scacciare ciò che rimaneva della cultura araba in Spagna (dopo che gli Arabi l'avevano conquistata e nell'AD 1492, circa sedici anni dopo gli eventi citati nei testi su Ash). Posso solo supporre che ci troviamo di fronte a una manomissione. Dopo cinquecento anni è impossibile capire cosa il cronista del 'Fraxinus' intendesse veramente.
Si tirò su e si tenne alla balaustra per rimanere dritta. «Il tuo generale è morto?» chiese improvvisamente. «Il faris? No.» rispose Alderico. «Allora i Burgundi hanno perso, vero?» Ash fissò il Visigoto dritto negli occhi e riprese a parlare con il tono di chi parla per certezze. «Non sarebbe viva se aveste perso. Sono passate due settimane, cosa importa se me lo dici? Cosa è successo ai miei uomini?» «Mi dispiace» Alderico l'afferrò per un braccio e la fece sedere sul ponte, lontana dai punti di passaggio dei marinai. Ash sentiva il ponte che rollava sotto di lei e deglutì. Alderico si voltò a guardare il capitano che si trovava vicino al timoniere a poppa e disse qualcosa, ma Ash non riuscì a capire. «Mi dispiace» ripeté Alderico. «Anch'io ho comandato uomini coraggiosi e so quanto vorresti avere notizie dei tuoi. Se ti dicessi qualcosa verrei condannato a morte...» «Ah, sì? Allora, fanculo al califfo-re Teodorico!» borbottò Ash. «... comunque, non so nulla.» Ash lo vide lanciare un'occhiata nel punto in cui si trovava il nazir Teodiberto per capire se poteva sentirlo o no. No. «Non conosco il simbolo della tua compagnia, né sapevo in quale parte del campo fosse schierata. Inoltre io ero con i miei uomini e presidiavamo la strada a nord per bloccare i rinforzi da Bruges.» «I rinforzi!» «Un contingente di quattromila uomini. Mio cugino, il lord amir Sisnandus li ha sconfitti. Credo che sia successo poco prima della battaglia di Auxonne. Adesso basta. Rimani seduta qua e stai zitta. Nazir!» Alderico si alzò in piedi, attese che il caporale lo raggiungesse quindi gli ordinò: «Tu e i tuoi uomini continuate a sorvegliare questa donna. Non badate agli altri prigionieri. Non deve scappare durante le operazioni di attracco.» «No, arif!» Teodiberto si portò una mano sul cuore. Ash si ritrovò circondata da un cerchio di uomini. I rematori avevano cambiato ritmo. Rinforzi! Cos'altro non ci aveva detto Carlo? Diavolo, non siamo mercenari, siamo funghi. Ci tengono al buio e ci concimano con sterco di cavallo... Le costellazioni a lei familiari cominciarono a sbiadire nel cielo che si rabbuiava sempre di più con il calare della luna. Ash pregò senza quasi rendersene conto. Per il Leone, fatemi vedere l'alba, fate che il sole sorga
ancora. L'oscurità calò sul mondo. Il vento freddo fischiava trapassandole la maglia di lino. Cominciò a battere i denti. Ma non era stato Angeli a dirmi che nelle terre del Crepuscolo Eterno faceva caldo? Qualcuno urlò degli ordini e i marinai accesero un centinaio di lanterne illuminando la nave. Ash sentì che i soldati avevano cominciato a borbottare tra di loro e si alzò in piedi barcollando. I soldati la afferrarono per le braccia e lei riuscì a vedere la costa del Nord Africa. Gli ultimi bagliori della luna delineavano i contorni di un'altura. Un rigonfiamento nero più scuro del cielo e del mare che doveva essere terra. Un promontorio? Il ponte ondeggiò sotto di lei e la nave virò di prua variando di velocità. Ore? Minuti? Ash sentiva sempre più freddo. Qualcuno le aveva imprigionato le mani. La terra era sempre più vicina. Gli odori tipici della costa, alghe in decomposizione, pesci morti e guano, la raggiunsero. Il rollio del ponte rallentò. Il legno scricchiolava sonoramente e le vele vennero ammainate e altri remi scivolarono in acqua. Gli spruzzi freddi le intorpidirono la pelle. Una congerie di lanterne brillava sulle onde e il mare si era calmato. Siamo al riparo? Forse è un istmo? pensò Ash. Le lanterne si rivelarono le luci di posizione di due navi in avvicinamento. No, non erano delle navi. Il primo battello fendeva l'acqua con un movimento sinuoso e irregolare. Ash strinse le braccia al petto per proteggersi dal freddo e fissò le imbarcazioni. Il vento le faceva lacrimare gli occhi. Il primo battello, che in un primo momento era parso molto lontano, raggiunse rapidamente la nave e la superò. Era un natante dalla carena curva, lungo e slanciato. Le fiancate erano di legno e di un altro materiale lucido. Ash rifletté per qualche secondo e giunse alla conclusione che non poteva essere ferro perché troppo pesante. Il modo in cui la luce si rifletteva su quel materiale le ricordò il sole che si rifrangeva sui tetti di Digione. È ardesia! Comprese Ash. Cristo santo! Una corazzatura fatta di sottili strati di ardesia. Non era dotata né di vele né di rematori. A poppa una grossa barra ondeggiava a destra e sinistra, mossa dall'instancabile e vigorosa azione di un golem. L'imbarcazione, composta da diversi segmenti snodati, scivolava sulla superficie dell'acqua simile a un grosso serpente. «Un battello messaggero» le spiegò Alderico, alle sue spalle. «Deve portare le notizie rapidamente.»
Ash non rispose, le battevano i denti. Dietro il battello messaggero comparve una seconda imbarcazione più grossa. Ash ci impiegò un poco a riconoscere il mezzo da sbarco. Era uguale identico a quelli che aveva visto dall'alto delle colline di Genova. Si trovava troppo in basso per poterne vedere il ponte, ma lei stimò che potesse contenere più di cinquecento soldati. Ebbe una fugace visione dei bordi ricurvi che torreggiavano su di loro e delle grosse pale che si immergevano nell'acqua mosse dai golem che si trovavano all'interno della ruota. Il battello scomparve in direzione nord-est119 . Quante navi come queste saranno andate a nord? si chiese. Il pensiero la intontì quanto il freddo e non pensò ad altro finché non si accorse che l'andatura della nave era cambiata. Era passata un'ora dal tramonto della luna, quindi doveva essere l'alba. Ma quel fenomeno non si verificava nel Crepuscolo. Ash alzò gli occhi al cielo. I rematori si fermarono. La nave entrò nella baia di Cartagine. Le luci del porto disegnavano i contorni degli alberi delle navi con le vele ammainate. Un migliaio di navi attraccate ai moli ondeggiavano dolcemente. Triremi, quinquiremi, trasporti truppe, galee europee e caravelle. Le grosse navi dei mercanti dalle quali venivano scaricate vacche, manzi, vitelli, maiali, melograni, capre, uva e grano: tutte cose che non potevano essere coltivate o allevate in quelle terre. I remi si immergevano e risalivano lentamente dall'acqua scura. La nave scivolò in mezzo a due promontori le cui sommità erano coperte di edifici. I tetti erano rischiarati da fiaccole di Fuoco Greco. Ash inclinò la testa all'indietro per guardare la gente sui bastioni del porto: schiavi che corre119
Si tratta ovviamente di una credenza popolare riguardo la supremazia cartaginese sul mar Mediterraneo al tempo delle guerre puniche (216 - 164 a.C), o il dominio che i Vandali esercitarono sul Mediterraneo nel VI secolo AD. Un passaggio molto simile appare nello 'Pseudo-Godfrey'; è molto probabile che sia stato copiato da questo. Se l'autore dello 'PsuedoGodfrey' è stato un monaco, allora probabilmente deve aver avuto accesso a testi classici e in questo caso è ricorso al mito medievale del serpente di mare per descrivere la nave a segmenti e il mezzo da sbarco. Era un tipo di operazione molto comune agli scrittori medievali. Possiamo supporre che Ash abbia visto una galera a due o tre ponti carica di rematori.
vano, uomini e donne che camminavano tranquilli con indosso abiti di seta spessa. Udì i rintocchi distanti di una campana che annunciavano l'inizio di una messa. I muri le occlusero nuovamente la visuale. La pietra nuda e semplice era stata completamente ricoperta dai mattoni. Vide le sponde cupe del passaggio grazie alle lanterne della mezza dozzina di navi mercantili che li superarono e udì il suono del tamburo che echeggiava contro l'acqua e le pareti. La sommità delle mura si trasformava in una serie di fortificazioni dalle pareti costellate di feritoie per i cannoni, per gli arcieri e postazioni per le artiglierie. Il collo le faceva male. Deglutì e distolse lo sguardo da quelle costruzioni titaniche. Annusò l'odore salmastro del mare pervaso dal puzzo dei rifiuti che galleggiavano tra le navi ancorate in porto. Commercianti di frutta, canditi, vino e coperte di lana remavano per mantenere a galla i loro gusci. Ash notò una dozzina di cargo vuoti ancorati al largo e le figure scure degli uomini nei magazzini che si stagliavano contro la luce prodotta dai bracieri. Il vento freddo faceva lacrimare loro gli occhi. Una lacrima le si gelò su una guancia. Le dita sudaticce che le stringevano il braccio aumentarono la presa. Diede una rapida occhiata per capire chi la stesse tenendo e incontrò lo sguardo del nazir Teodiberto che le infilò la mano libera tra le cosce pizzicandole l'interno. Ash sussultò, fissò Alderico, quindi si sentì arrossire. Il fatto di dover chiedere aiuto a qualcun altro la fece sentire umiliata. In un altro frangente avrebbe afferrato il polso di Teodiberto e gli avrebbe spezzato il gomito calandolo violentemente sul suo ginocchio, ma erano in troppi a tenerla e non si poteva muovere. Le dita la pizzicarono di nuovo. Non lo sa, pensò a un certo punto, non ho ancora il pancione. Sono magra e non riesco a mangiare perché ho il mal di mare. Forse se mi stupra mi libero del bambino e finisce che gli sono grata. «Questa non è una baia» le fece notare Teodiberto «questa è la baia.» Ash non poteva fare altro che guardare davanti a sé. I rematori stavano guidando la nave in mezzo a una moltitudine di imbarcazioni più piccole. La nave arrivò in vista di quattro grossi attracchi separati dal resto della baia da poderose mura, sormontate da un edificio imponente privo di finestre che doveva essere una fortezza. Ai moli erano attraccate delle grosse triremi e delle galere da guerra. Migliaia di persone lavoravano sulle banchine e sulle navi, intente a issare le vele, a guidare i carri trainati dai muli lungo le ripide discese dei
moli, ad accendere altre lanterne, urlare, caricare cesti sulle lance. Una mezza dozzina di donne dal volto coperto fissava la scena da una balconata in cima a un muro. Non mi aiuterebbe nessuno se mi mettessi a urlare. L'odore delle spezie, dello sterco e di qualcos'altro che non le piaceva le raggiunse le narici. Ash cercò di divincolarsi per sfuggire dalla presa del soldato, ma non ci riuscì. Ora che era diventato tutto vero, ora che la nave era giunta in porto si sentì travolgere da un'ondata di paura. Sentì i muscoli delle cosce e delle ginocchia che cedevano. Deglutì per cercare di inumidire la bocca improvvisamente secca. Adesso è tutto vero. Fino adesso ero su una nave e poteva succedere di tutto. Forse ce l'avrei anche fatta a fuggire, ma ora... Avrebbe dato di tutto pur di avere un'arma e anche solo una dozzina di uomini... Il soldato sudaticcio che la tratteneva indossava una maglia di anelli metallici e portava la spada al fianco, ma era circondato dai suoi compagni e particolare più importante di tutti, vicino al suo comandante che avrebbe fatto accorrere centinaia di soldati con un semplice urlo. «La puttana smorfiosa non è più tanto ribelle, adesso?» le sussurrò una voce all'orecchio. L'alito dell'uomo puzzava di riso. Sapeva che molto probabilmente sarebbe stata stuprata o storpiata in maniera permanente e tale consapevolezza le chiuse lo stomaco raggelandola. Osservava i magazzini che si avvicinavano inesorabilmente e sentiva le mani che le formicolavano. La paura le seccò la bocca. Quasi senza rendersene conto comprese la natura dell'odore che non le era piaciuto. Il vento era freddissimo. Se fosse stata sulle montagne svizzere avrebbe pensato all'avvicinarsi della neve. Un'improvvisa folata di vento umido spazzò la baia. Dei fiocchi di neve gelata le lambirono le guance sfregiate e le gambe nude. I remi vennero alzati e ritratti, i marinai saltarono sulla banchina e afferrarono le gomene. Il legno grattò contro la pietra. La galea venne ormeggiata al molo di pietra sul quale si era già formato un sottile strato di ghiaccio. Il nazir le diede un pugno all'altezza dei reni per spingerla insieme agli altri prigionieri. Ash barcollò in avanti e cadde sulla passerella graffiandosi le mani sui gradini di pietra che portavano alla banchina. Il primo fiocco
di neve si sciolse sotto i palmi delle mani. Un calcio la colpì alle costole e lei avvertì l'odore del suo stesso vomito. «Merda!» imprecò in tono lamentoso. Non posso scappare dalla realtà, adesso. Io sento e ho sempre sentito una voce. La stessa del faris. Non lo sanno, ma hanno ragione. Non si tratta di un errore. Hanno preso la persona giusta. E tra un po' scoprirò cosa ne sarà di me. II I Visigoti continuarono a tenere Ash separata dagli altri prigionieri anche quando imboccarono il dedalo di vie strette e ripide illuminate da lampade a Fuoco Greco120 che partiva dalla zona dei magazzini. Ash non ebbe tempo di osservare la città intorno a lei. I piedi nudi grattavano sul selciato. Era consapevole delle mani che la tenevano sotto le ascelle. Le alabarde dei soldati sbatterono contro lo spesso arco di pietra che fungeva da cancello nella cinta muraria che circondava la collina. Il muro era talmente alto che era impossibile per chiunque vedere cosa ci fosse oltre. Gli altri prigionieri vennero condotti verso la città. «Cosa succede?» chiese Ash. Girò la testa e inciampò. L'arif Alderico disse qualcosa a due soldati che prelevarono dal gruppo di prigionieri una vecchia, un vecchio e un giovane grasso che vennero immediatamente circondati dagli altri soldati. Il passaggio nel muro era lungo una ventina di metri abbondanti. Ash inciampò nuovamente e Teodiberto la tirò su bruscamente, visibilmente soddisfatto di poter ricorrere alla violenza. Ash si scostò dalla parete. Una folata di vento freddo le lambì il viso e lei si rese conto che il cancello si era trasformato in un passaggio stretto. Nessuno dei palazzi che fiancheggiavano il vicolo aveva le finestre. Quattro soldati accesero delle lanterne e le tennero alte. La luce creò dei giochi d'ombre contro le pareti. Una strada? Un vicolo? Ash socchiuse gli occhi e alzò la testa. Vide le ultime stelle che sbiadivano nel cielo ed ebbe la certezza di essere ancora all'aria aperta. Un pugno nella schiena la spro120
Credo che si tratti di una variante del Fuoco Greco usato per scopi bellici. Forse bruciava solo la nafta, combustibile che deve il suo nome agli Arabi (al-naft) e che nel corso della storia venne largamente usato a questo scopo, per esempio nell'Inghilterra industriale.
nò ad andare avanti. Superarono una porta nera rinforzata da sette spesse barre di metallo. Una cinquantina di metri dopo ne incontrarono un'altra. Nessuno degli edifici che aveva visto fino a quel momento era costruito in legno o cannicci ricoperti di fango. Erano tutte costruzioni in muratura prive di finestre. Si inoltrarono in una sorta di labirinto, svoltando a ogni angolo per imboccare dei vicoli bui come il cielo sopra le loro teste. Ash strinse le braccia intorno al corpo. Tremava. Il freddo le intorpidiva i piedi nudi, le sbiancava le dita delle mani e faceva uscire dalla sua bocca vistose volute di fiato condensato. Anche i soldati avevano i brividi. Quattro soldati si affrettarono a precederli e andarono ad aprire una porta. È abbastanza larga da permettere le sortite, pensò Ash. Il nazir la spinse oltre la soglia. Ash batté il ginocchio bendato e urlò. La luce delle lanterne danzò intorno a lei, delle mani la sollevarono da terra, avvertì dei corpi che si premevano contro il suo e la spingevano ad avanzare lungo quel passaggio oscuro. Una mano rugosa e piccola le afferrò una delle sue. Ash vide che una delle vecchie le aveva preso la mano. La donna alzò la testa per guardarla. Le ombre e le rughe rendevano impossibile capire l'espressione del viso. Le mani ricordarono ad Ash le ossa di un pollo. Erano fredde. Ash le premette contro il vestito di lino per cercare di riscaldarle. La vecchia le passò una mano sulla pancia. «Proprio come pensavo» disse in francese. «Non si vede, ma aspetti un bambino, figlia mia. Posso farti da levatrice se vuoi... Oh, cosa ci faranno?» «Zitta!» «Cosa vogliono da noi?» Ash udì il suono di un pugno che colpiva la carne. La mano della donna si rilassò e scivolò via dalla sua. Fece per riafferarla, ma i soldati le furono subito intorno e la spinsero dentro un grande cortile. Un'entrata di servizio, pensò Ash. Adesso mi trovo in una tenuta. Il cortile, ricavato all'interno di un palazzo alto tre piani con le porte ad arco e finestre con le sbarre di pietra, era illuminato a giorno dalle lanterne. Il bagliore era così intenso che Ash non riuscì più a scorgere il cielo. C'era moltissima gente. Alcune guardie del corpo armate di spade. Una o due di loro erano meglio vestite delle altre. La maggior parte erano uomini e donne che indossavano delle tuniche semplici e avevano un collare metallico intorno alla gola. Ash rimase a bocca aperta nel vedere gli schiavi e
sentì lo stomaco che si chiudeva. Quasi tutti avevano un elemento in comune: capelli bianchi molto simili ai suoi. Si guardò intorno in cerca della vecchia, mancò un passo e cadde carponi sulla pavimentazione bianca e nera. Sentì il ginocchio che si scaldava e si gonfiava. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Vide Alderico farsi avanti insieme al capitano della nave e parlare con delle guardie del corpo e degli schiavi. Ash si alzò. I prigionieri maschi vennero spinti in mezzo ad altri prigionieri. Poco lontano una fenice meccanica cantava nel centro di una fontana. Ash afferrò i lembi della maglia e li tirò giù per coprirsi le cosce. Sentiva il sudore che le scendeva tra le scapole. Cristo, aiutami a tenere il mio bambino, pregò in silenzio. Non voglio morire di parto... Quando si pensa di aver raggiunto il culmine di ogni paura si scopre che non è così. Strinse i pugni per cercare di non far vedere le mani che tremavano. Le immagini mentali di un bambino o di una bambina non avrebbero retto a lungo il confronto con quel cortile pieno di uomini che parlavano un cartaginese troppo rapido perché lei potesse capirli. Le rimaneva solo la vulnerabilità della sua pancia che si notava appena e l'assoluta, ma in quelle condizioni inconcepibile, necessità di mantenere il segreto. «Povera ragazza» disse la vecchia contadina tenuta in piedi da un soldato. Sanguinava. Insieme alla donna c'erano anche due prigionieri maschi. I loro volti erano molto diversi, ma avevano la stessa espressione spaventata. «Vieni con me!» le ordinò l'arif Alderico, spingendola avanti. Ash rabbrividì, ma tuttavia riuscì a sfoderare un ghigno sarcastico. «Cosa succede? Vi siete resi conto che non sono quella che volevate? Beh, avrei potuto dirvelo subito a Digione! O forse avete fatto tutto questo casino perché volete stipulare un contratto con la mia compagnia? Consideratemi ammorbidita, credo che farete un buon affare!» Ash capì dall'espressione delle guardie che le erano vicine e dagli sguardi di uno o due uomini che potevano essere dei liberti del califfo-re Teodorico che doveva puzzare parecchio, ma lei non se ne rendeva conto. Continuò a zoppicare dietro Alderico sul pavimento freddo. «Ho sempre pensato» continuò «che facesse caldo nelle terre del Crepuscolo Eterno. Invece, fa un freddo fottuto! Cosa sta succedendo? La Penitenza sta diventando troppo pesante anche per voi? Forse Dio si è rotto i coglioni di aspettare che qualcuno vada a occupare lo Scranno Vuoto. For-
se si tratta di un portento.» «Zitta.» La paura rende volubili e Ash ubbidì. Alderico aprì una porta che dava accesso a uno stretto passaggio, fece un inchino, disse qualcosa e la spinse davanti a sé. La luce all'interno dell'edificio abbagliò Ash. «È lei?» chiese una voce decisa. «Forse» rispose una seconda voce più secca. Ash sbatté le palpebre per cercare di abituare gli occhi alla luminosità. Lo zoccolo della stanza era percorso da tubi e lampade di vetro colorato dalle quali scaturiva il Fuoco Greco. In un angolo della stanza dei bruciatori d'olio spandevano nell'aria un'essenza delicata che le schiarì la testa dandole l'impressione di essere tornata indietro di qualche anno in Italia, quando si era trovata in compagnia di mercenari visigoti. Ma ora non era in una tenda. Sentiva le protuberanze delle piastrelle rosse e nere sotto i piedi. Le tessere di un mosaico la fissavano illuminata dalla luce di venti lampade. Le pareti brillavano, dipinte a scacchi di diversi colori. Le immagini dei santi e le icone la fissavano, severe, dalle loro nicchie: Caterina e la sua ruota, Sebastiano e le frecce, Mercurio con il bisturi da chirurgo e il coltellaccio dei tagliaborse, san Giorgio e il drago. Le ombre si perdevano contro la volta del soffitto. Oltre all'odore pungente del Fuoco Greco, Ash avvertì quello della terra. Tutta una parete della stanza era occupata da un immenso mosaico che raffigurava il Toro, l'Albero, un'effigie di Cristo che sembrava guardarla, santa Herlaine ai suoi piedi e santa Tanitta121 che osservava il tutto. L'immagine era abbastanza oppressiva da non farle sentire quello di cui stavano parlando le persone presenti nella stanza. Diresse lo sguardo verso i massicci tavoli e sedie di marmo lucidato e vide due uomini che la fissavano. Uno era magro e indossava una tunica bianca da amir. Doveva avere circa cinquant'anni. Acquattato ai piedi della sedia c'era un uomo dal volto grasso, i capelli radi, gli occhi azzurri e l'espressione da idiota che la guardava sbavando. «Vai.» L'amir posò una mano sul braccio del ritardato. «Mangia. Ascolterai dopo quello che ci diciamo. Vai, Ataulf. Vai. Vai...» L'idiota, che poteva avere un'età compresa tra i venti e i sessant'anni, la 121
Forse si tratta di una versione cristianizzata di Tanit, dea cartaginese alla quale venivano sacrificati i bambini.
superò lanciandole una rapida occhiata con la bava che continuava a colargli dalle labbra spesse. Ash fece un passo di lato per farlo passare e colse l'occasione di guardarsi alle spalle. L'arif Alderico era di fronte all'unica porta d'accesso. «Hai mangiato?» chiese l'amir. Ash fissò l'uomo dalla barba ben curata. Poteva intravedere qualche lontanissima somiglianza con il ritardato, ma gli occhi erano quelli di una persona estremamente intelligente. Sapeva che la gentilezza era una tattica per cercare di ammorbidirla. «No, lord-amir» rispose Ash in tono mesto facendo ricorso al suo migliore latino cartaginese. «Fai portare del cibo, arif» ordinò l'uomo quindi le indicò la sedia più bassa che si trovava a fianco della sua. Alderico fece un inchino e uscì dalla stanza. «Io sono l'amir Leofric e ti trovi nella mia casa.» Fin qua tutto a posto, pensò Ash. Lei mi ha parlato di te. Diciamo che sei il suo quasi padre. «Siediti.» Ash sentì i piedi che si scaldavano nel momento stesso in cui cominciò a camminare sui tappeti che ricoprivano il pavimento. Un uomo dai capelli molto simili ai suoi la superò, posò un piatto di ceramica pieno di cibo fumante sul tavolo e uscì dalla stanza senza dire una parola. Ash valutò che doveva avere più o meno la sua età. Deve essere uno schiavo, pensò. Ha un collare e sia Alderico che il lord-amir Leofric gli hanno prestato la stessa attenzione che riserverebbero a una lampada. Cercò di nascondere la paura che le attanagliava lo stomaco e si accomodò sulla sedia imbottita. Lo schienale sembrava avvolgere la sedia per poi risalire a formare i braccioli. Per un attimo Ash non seppe come sedersi. L'amir Leofric, che la stava studiando attentamente, non sembrava per nulla preoccupato dal fatto che la prigioniera potesse avere le pulci. Il cibo, due o tre oggetti gialli e morbidi a forma di borsellino, fumavano nell'aria fredda. Ash ne prese uno con le mani sporche e lo morse. Sapeva di patata, pesce e zafferano. «Merda!» Il bianco di un uovo era schizzato fuori dall'impasto e aveva cominciato a colarle lungo il polso e l'avambraccio. Ash si leccò la pelle con un unico e rapido movimento della lingua. «Bene, sir...» Aveva alzato la testa con l'intenzione di cominciare a parlare, ma quello che vide la fece scattare in piedi incurante del fatto che la maglia che indossava le copriva appena le gambe.
«Cristo, è un ratto!» Indicò la pancia dell'amir. «È un ratto della peste 122 !» «Niente di simile, mia cara.» Il nobile visigoto sfoderò un sorriso sorprendentemente piacevole che lo ringiovaniva. I denti spiccavano bianchi sulla barba bionda striata di grigio. L'amir chinò il capo e fischiettò per incoraggiare il roditore. Un naso rosa e un musetto peloso emersero dalle pieghe della tunica bianca con le cuciture dorate. I piccoli occhi neri privi di pupille fissarono Ash che arretrò. Il pelo del roditore era bianco e candido. L'immobilità di Leofric lo incoraggiò a uscire dall'abito e ad arrampicarsi cautamente sulla coscia. Dietro le anche robuste spiccava una coda priva di peli e dei testicoli grossi come delle noci. Solo il corpo era più lungo di una quindicina di centimetri. «E quello non sarebbe un ratto? Portatelo via!» Il ratto sentì la voce di Ash e incurvò la schiena. I ratti sono solitamente neri e grossi più o meno come un topo. Quello che stava guardando Ash era grosso nella parte posteriore e si stringeva verso la testa. Il muso era più piatto di quello dei topi e aveva delle orecchie piccole, molto sproporzionate rispetto alle dimensioni della testa. «È una specie differente di ratti. La mia famiglia li portò qua da un viaggio nel Regno di Mezzo123 .» L'amir Leofric cominciò a mormorare tranquillo e grattò con un dito il pelo dietro le orecchie del roditore. Il ratto si drizzò sulle zampe posteriori facendo tremare i baffi per sondare l'aria e fissò l'uomo. «È un ratto, mia cara, ma di una razza differente.» «I ratti sono i lacchè del diavolo!» Ash arretrò di un paio di passi. «Ti mangiano metà delle provviste a meno che tu non abbia una muta di cani. Solo Cristo sa i problemi che mi hanno dato queste bestiacce...! Schifose, sporche... e portano la peste 124 !» 122
Questo, come altri particolari, sono delle aggiunte al manoscritto originale. Anche se non compaiono in altri manoscritti il contesto le pone come accettabili: il ruolo del Rattus Rattus come portatore della 'pulce della peste' non venne scoperto fino al 1869. Io sospetto che un collezionista vittoriano abbia messo mano a questi documenti. Forse si tratta di un discendente dell'uomo che scrisse il 'Fraxinus me fecit'. 123 Forse si tratta della Cina. Dalla descrizione del testo, questo non è un Rattus Rattus, il ratto nero, ma il Rattus Norvegicus, il ratto marrone che è di origini asiatiche. 124 La preoccupazione di Ash riguardo al potenziale distruttivo dei
«Un tempo, forse.» L'amir fischiò nuovamente. Era un suono veramente puerile per un adulto e Ash ebbe la netta impressione di sentire uno sbuffo disgustato da parte dell'arif Alderico che continuava a sorvegliare la porta. La tunica di Leofric si mosse. «Chi sei, piccolino...?» sussurrò. Altri due ratti gli apparvero sulle spalle. Uno aveva il pelo giallo chiazzato con macchie marrone seppia sulle anche, sulle zampe e sul muso. L'altro, e Ash se la luce fosse stata migliore sarebbe stata pronta a giurare di aver visto bene, era color ardesia, ma era di una tonalità così tenue da sembrare blu. Altre due paia di occhi privi di pupille presero a fissarla. «Una volta, forse» ripeté Leofric. «Un migliaio di generazioni fa. Si riproducono molto più velocemente di noi. Ho degli scritti che risalgono a decenni fa nei quali questi ratti erano descritti come marrone. Non erano belli neanche quanto la metà di te, mia cara» aggiunse, rivolgendosi a un roditore. «Questa specie è più di un secolo che non sa cosa sia una malattia. Ne ho di diversi tipi. Ratti di ogni colore e misura. Dovresti vederli.» Ash osservò paralizzata uno dei topi che girava la testa e mordicchiava l'orecchio dell'amir. Il morso di una di quelle bestie portava la febbre e a volte la morte. Senza contare che era molto doloroso. Ash sussultò, ma Leofric non si mosse. Il ratto blu gli strinse delicatamente il lobo delle orecchie tra le zampe, lo leccò per qualche istante, quindi premette il muso sulla barba dell'uomo, ricadde sulle quattro zampe e sparì tra le pieghe della tunica. «Sono i tuoi famigli!» esclamò Ash, disgustata. «Sono il mio passatempo.» L'amir Leofric aveva cominciato a parlare in francese. «Riesci a capirmi, mia cara? Voglio essere sicuro che ci capiamo a vicenda.» Rimasero a guardarsi per un altro momento in silenzio. Uno schiavo entrò e versò dell'olio in una lampada. Qualche secondo dopo l'aria venne pervasa dall'odore dolce dei fiori. Ash lanciò un'occhiata ad Alderico che bloccava la porta. «Cosa vi aspettate che vi dica, lord-amir?» gli chiese. «Sì, è ovvio che somiglio al vostro generale. Lei mi ha detto che l'avete allevata da una coppia di schiavi. Adesso capisco che potete farlo. Ci sono un mucchio di persone in questa casa che mi somigliano... ma è poi così importante? Ho cinquecento uomini di cui devo rispondere e malgrado quello che il vostro roditori proviene dal 'Fraxinus' e deve essere stata condivisa da tutti i comandanti di un esercito.
generale mi ha fatto a Basilea, sono più che disposta a firmare un altro contratto. Cos'altro posso dire?» Ash cercò di terminare scrollando le spalle malgrado fosse vestita come una Stracciona e avesse i capelli sporchi. «Dolcezza» disse Leofric. Qualche attimo dopo Ash comprese che l'amir si era rivolto al ratto. L'uomo chinò la testa in avanti, strofinò il naso contro quello del ratto, quindi gli carezzò la schiena. Il roditore si girò e prese a leccargli le dita. «Toccala. Non ti farà del male.» Fa di tutto per evitare le domande, pensò Ash torva mentre tornava a sedersi sulla sedia. Riluttante, allungò un dito e toccò il pelo che si rivelò sorprendentemente morbido, asciutto e caldo. La bestia si girò. Ash sussultò. Il ratto le aveva preso il dito tra le zampe e lei si paralizzò nel sentire quanto fosse leggera quella presa. La bestia le annusò delicatamente l'unghia sporca e rotta. Cominciò a leccarla, ma dopo qualche attimo si accucciò, starnutì due volte e si sedette sulle zampe posteriori sfregando quelle anteriori sul muso e sui baffi come se volesse pulirsi dallo sporco della nave. «Si sta lavando il muso come un Cristiano!» esclamò Ash. Lasciò la mano tesa nella speranza che il ratto continuasse la sua investigazione e improvvisamente si rese conto di essere seduta vicino all'amir e che oltre al suo profumo percepiva anche l'odore del sudore. Leofric accarezzò il ratto. «Ci vogliono anni per creare una varietà, mia cara. A volte si ottiene il colore giusto, ma insorgono altri difetti: ritardi, aggressività, psicosi, aborti, vagine deformate, intestini deformati al punto da esplodere perché intasati dalle feci.» Il ratto si sdraiò raggomitolandosi in grembo al Visigoto. «Possono volerci intere generazioni per avere una specie perfetta» continuò l'amir. «Per far riprodurre i bambini, i figli con le madri e le sorelle. Bisogna eliminare l'inutile per continuare con ciò che è utile, per anni e anni. E a volte il successo non sembra mai arrivare. O quando arriva è sterile. Riesci a capire perché sei così importante per me?» «No.» Ash sentiva la lingua attaccata al palato secco. L'amir Leofric sorrise come se si fosse reso conto della paura di Ash e al tempo stesso fosse anche concentrato su altre questioni. «Come puoi notare» aggiunse «questi, al contrario degli altri animali selvatici, sono molto docili. Questi ratti sono un prodotto secondario nei miei schemi di allevamento, una cosa che non mi aspettavo.»
«Sire!» La voce di Alderico rimbombò vigorosa contro le pareti. Ash si girò e vide che nella stanza stava entrando un corteo composto da schiavi, soldati, preti ariani, un abate e un uomo portato su una sedia. «Lord califfo!» L'amir Leofric si alzò rapidamente in piedi e fece un inchino. Il topo scomparve nei vestiti. «Sire?» Il fondo della stanza era pieno di uomini di Alderico. In mezzo a loro c'era un amir vestito con abiti ricchi e leggermente più giovane di Leofric e un individuo che indossava gli abiti verdi di un vescovo ariano. Ash trovò incongrua la croce che portava al petto. «Vi do il benvenuto nella mia casa» disse Leofric in tono formale. La sua voce era tornata calma. Un gesto e la sedia venne posata sul pavimento. «Sì, sì!» Il vecchio sulla sedia, i cui capelli bianchi un tempo dovevano essere stati rossi, aveva delle macchie scure sul viso che testimoniavano la presenza di efelidi ormai cancellate dal passare degli anni. La pelle delle braccia, intorno al naso e agli occhi era flaccida. Portava una tunica di coloro oro. Ash trattenne il fiato. Neanche le sfere piene di sostanze aromatiche portate dagli schiavi potevano nascondere l'odore delle feci e della malattia. Questo è il califfo Teodorico! si rese conto Ash. Alderico la costrinse a inginocchiarsi e vide solo i lembi delle tuniche e i sandali. «Allora?» La voce del califfo era debole. «Mio califfo» esordì Leofric «perché avete portato questi uomini con voi? L'abate e l'amir Gelimero che non è certo un amico della mia famiglia?» «Dovevo avere un prete!» si giustificò il califfo-re. Considera un abate alla stessa stregua di un semplice prete? si domandò Ash. «L'amir Gelimero non può stare qua!» «No? No, forse no. Gelimero? Fuori.» «Ma, califfo» protestò con voce acuta l'uomo «sono stato io a portarvi questa notizia, non l'amir Leofric. E lui la sapeva da tempo.» «Vero. Vero. Allora rimarrai in modo che io possa ascoltare i tuoi saggi consigli in merito. Dov'è la donna?» Ash concentrò lo sguardo sul tappeto. Si arrischiò a girare la testa per capire se era possibile raggiungere la porta, ma vide solo la selva di gambe corazzate delle guardie. Nessun amico, nessun alleato, nessuna possibilità di scappare. Voleva farsela addosso,
«È qua» ammise Leofric. «Fatela alzare» ordinò il califfo. Ash venne tirata in piedi e si trovò a faccia a faccia con due tra gli uomini più potenti e riccamente abbigliati di quel regno. «Ma è un ragazzo!» Il nazir Teodiberto uscì dal gruppo di guardie, strappò la maglia di Ash e arretrò. Ash tenne la pancia in dentro e rimase dritta. «È una donna» borbottò Leofric in tono rispettoso. «Sono venuto per incoraggiarla» spiegò il califfo. «Nazir Saris!» Un lieve trambusto tra le guardie vicino alla porta indusse Ash a girare la testa. Una spada scivolò fuori dal fodero. Il suono la fece balzare leggermente all'indietro malgrado la stretta di Alderico. Due guardie portarono dentro il prigioniero grasso. «No! No! Posso pagare! Posso pagare!» Il giovane strabuzzò gli occhi e cominciò a urlare a casaccio in francese, italiano e svizzero tedesco. «La mia gilda pagherà il riscatto! Vi prego!» Un soldato lo fece cadere sul pavimento e l'altro gli tirò su la tunica. La lama di una spada balenò nell'aria e scese con precisione verso il basso. «Cristo!» esclamò Ash. Gli intestini del prigioniero si rilassarono e l'aria fu pervasa dall'odore delle feci. Gli avevano amputato le gambe all'altezza delle ginocchia. Il giovane si trascinava sui gomiti urlando e singhiozzando e lasciandosi dietro una scia di sangue. «Parla con il consigliere Leofric» gli consigliò una voce asmatica. Ash si sforzò di distogliere lo sguardo dal califfo. «Parla con il consigliere Leofric» ripeté Teodorico. La luce della stanza conferiva alla pelle del monarca un colorito giallastro e faceva sembrare gli occhi due buchi neri. «Parlagli con sincerità e intelligenza. Ora. Non volevo che tu avessi dubbi sulla nostra determinazione e su quello che ti succederà alla prima menzogna.» L'uomo sul pavimento urlava e si dibatteva. Due soldati lo trascinarono fuori della stanza. Le statue dei santi osservarono la scena impassibili. «L'avete fatto solo per darmi una dimostrazione?» Incredula per quanto era successo, Ash aveva gridato con il tono che usava sul campo di battaglia senza neanche rendersene conto. Provò un senso di vertigine e sentì le mani e i piedi che si scaldavano. Sapeva che sarebbe potuta svenire e si inclinò in avanti per appoggiare le
mani alle gambe e respirare profondamente. Ho visto di peggio, ho fatto di peggio, ma mai con tanta noncuranza, per nessun buon motivo. Era stata la velocità d'esecuzione, il fatto che il malcapitato non avesse avuto nessuna possibilità di difendersi e il grado di menomazione che gli era stato inflitto, che l'avevano atterrita. Sentì il viso che riprendeva colore. «Avete rovinato la vita di quel povero stronzo solo per ripetere un concetto?» urlò nel linguaggio da campo. Il califfo-re non la stava ascoltando. L'abate gli stava parlando all'orecchio e lui annuì. Gli schiavi uscirono dalla stanza. L'aroma dei fiori non nascose il puzzo del sangue e delle feci. Alderico si allontanò da Ash che venne prese in consegna dai due che avevano appena mutilato il prigioniero. I soldati le strinsero i polsi e le girarono le braccia dietro la schiena per bloccarla. «Uccidetela adesso» consigliò l'amir Gelimero. Ash studio l'amir: un uomo sulla trentina, con occhi piccoli e inespressivi e barba scura. «Non importa la grandezza del pericolo che questa donna può rappresentare per la nostra crociata al Nord, mio califfo, dovete ucciderla.» «No!» intervenne precipitosamente Leofric. «No! Come potremmo sapere cosa è successo? Devo esaminarla!» «È solo una contadina del Nord» sibilò il califfo-re. «Perché sprecare il tuo tempo con una così, Leofric? Il meglio che possiamo ottenere è un altro generale, ma ne abbiamo già uno. Ci dirà come mai fa così freddo? Perché questo freddo infernale ci attanaglia da quando la tua schiavagenerale è partita? Più si spinge a nord e più qua diventa freddo. Comincio a chiedermi cosa voglia Dio da noi! Che questa guerra non fosse del tutto espressione del Suo volere? Leofric, non mi avrai condannato alla dannazione?» «Sire» disse allegro l'abate «la Penitenza è un'eresia del Nord. Dio ci ha sempre concesso un'oscurità che, se da una parte ci impedisce di coltivare la terra, non di meno ci spinge a conquistare terre per Lui. Ci ha resi guerrieri non contadini o vaccari, siamo nobili. È la Sua sferza che ci rende casti e ci sprona a portare a compimento il Suo volere.» «Fa freddo, abate Muthari.» Il califfo-re lo interruppe con un cenno della mano. La luce delle lanterne mise in evidenza le macchie scure che costellavano la pelle delle dita. Teodorico chiuse gli occhi. «Sire» mormorò Gelimero «prima di qualsiasi altra cosa, suggerirei di farle tagliare la mano con la quale maneggia la spada. Non importa quanto
vivrà dopo.» L'immagine di due moncherini che fiottavano sangue si formò immediatamente nella testa di Ash che deglutì la bile e si sentì investire da un'ondata di nausea. Un muso peloso fece capolino dalla spalla dell'amir Leofric. Gli occhietti scuri la sorvegliavano. Il ratto fece tremare i baffi. Leofric si inclinò in avanti per parlarle e la bestia si sedette per pulirsi il pelo blu. «Dammi qualcosa, Ash!» la implorò l'amir a bassa voce. «Mia figlia mi ha assicurato che sei una donna molto in gamba, ma io ho solo la speranza e non delle prove. Dammi qualcosa che io possa usare per farti vivere. Teodorico sa che sta morendo ed è diventato molto incurante della vita altrui nel corso delle ultime settimane.» «Qualcosa? Ma cosa?» Ash deglutì e cercò di schiarirsi la vista. «Il mondo è pieno di bravi mercenari, mio signore.» «Non posso disubbidire al califfo-re! Dammi una ragione per non farti giustiziare! Sbrigati!» Ash fissò affascinata il ratto che si puliva dietro le orecchie con le zampe rosa, quindi spostò lo sguardo su Leofric e l'espressione implorante del suo viso. Può darsi che mi liberino o che mi uccidano rapidamente, pensò Ash. Uccisa velocemente sarebbe meglio. Cristo Santo se so che è meglio! Ho visto fare di tutto a un corpo umano. Non voglio finire nelle mani dei loro torturatori. «Va bene, va bene» disse Ash «quando combatto sento una voce. L'ho sempre fatto ed è la stessa che sente anche vostra figlia. È ovvio che sono una sua parente, sono uno scarto dei vostri esperimenti, ma sento la voce!» Leofric la prese per i capelli e socchiuse gli occhi. Ash si rese conto che l'amir era scettico. Non mi crede, pensò. «Dovete credermi! Vi ho detto la verità!» sussurrò Ash. L'amir Leofric si girò. Sarebbe caduta se non ci fosse stato qualcuno a tenerla. Il nazir Teodiberto rideva e la sosteneva cingendole il petto con un braccio. «Sente la voce del Golem di Pietra, sire» annunciò Leofric. «Lo dite adesso al posto suo» sbuffò l'amir Gelimero. Le labbra del califfo-re erano sbiancate e la sua attenzione si era spostata dall'abate al suo fianco al battibecco tra Gelimero e Leofric. «Certo dice quelle cose» disse in tono ironico il califfo-re Teodorico.
«Leofric! Stai cercando di salvarla propinandomi di nuovo la favola di un altro generale schiavo!» «Io sento la voce del Golem di Pietra» disse Ash ad alta voce e in latino cartaginese. «Vedete?» protestò Gelimero. «Non sapeva come si chiamava finché non l'avete detto!» Ash aprì la bocca per parlare di nuovo, ma Teodiberto gliela tappò con una mano piantandole le dita nella giuntura della mascella per impedirle di mordere. L'amir Leofric fece un profondo inchino e il topo scomparve nuovamente tra le pieghe della sua tunica. «Sire» disse Leofric, dopo essersi rialzato «Ciò che dice l'amir Gelimero può essere vero. Questa donna potrebbe dire quelle cose solo perché ha paura del dolore che potremmo infliggerle. «C'è solo un modo per capirlo. Sire, vorrei avere il vostro permesso di torturarla finché non sapremo se ciò che afferma è vero.» III «Divertiamoci un po'. Avete sentito il vecchio. Non importa cosa le succede, basta che non muoia» disse uno dei commilitoni di Teodiberto. Ash non avrebbe saputo dire se era stato il soldato biondo o un altro. Otto uomini, nove con il nazir, molto simili tra loro a dispetto della corazza leggera e delle spade. Avrebbero potuto essere dei soldati dell'esercito di Carlo, Federico o uomini del Leone Azzurro. Dove mi stanno portando? si chiese, mentre sentiva i piedi nudi che raschiavano contro i gradini di pietra. La scala a chiocciola scendeva sotto il livello della strada. È possibile che tutta la collina sotto Cartagine sia piena di celle? si chiese. E quanti vi sono entrati e mai usciti? Qualcuno. Deve essere stato solo 'qualcuno'. Cosa intendeva dire con 'tortura'? Non poteva intendere nel senso di tortura! No, non è così. «Perché no?» disse il nazir Teodiberto, sghignazzando. «Ma voi non avete visto niente. Non è successo niente alla sua puttana tanto preziosa, giusto?» Gli altri otto uomini borbottarono il loro assenso. Il puzzo di sudore aleggiava nell'aria. Anche se avevano appena imboc-
cato un corridoio, Ash capiva dall'odore dei soldati che si stavano eccitando. Posso resistere. Posso cavare un occhio, rompere un dito o un braccio, castrarne uno e poi? Mi rompano i pollici e le tibie e mi violentano davanti e dietro, pensò Ash mentre la spingevano. «Vacca!» Un soldato le strizzò un seno con forza. Ash urlò e colpì l'uomo alla gola. Una pioggia di pugni e schiaffi si abbatté su di lei facendola sbattere contro la parete di una cella. La ferita alla testa era tornata a pulsare. Sentì il pavimento di terracotta sotto le ginocchia. Un uomo tossì violentemente e le sputò addosso. Qualcuno le diede un calcio poco sotto l'ombelico. Ash si sentì mancare l'aria. Ansimò contro il pavimento. Le avevano già tolto le brache e qualcuno le strappò via gli ultimi pezzi della maglia. «Fottetevi!» riuscì a dire Ash con la voce ridotta a un filo. Udì quattro o cinque uomini che ridevano. La presero a calci ridendo ogni volta che lei si ritraeva per cercare di sfuggire al dolore. «Vai per primo, Barbas! Fattela!» «Non io, uomo. Non la tocco quella. Le puttane portano le malattie. Tutti sanno che le puttane del Nord sono malate.» «Oh, il bambino vuole solo le tette della mamma e non una donna! Vuoi che leghi la donna guerriero così pericolosa? Hai paura di toccarla?» Ash sentì il tonfo degli stivali contro il pavimento della cella. I soldati avevano battuto i piedi molto vicino alla sua testa. La luce della lampada conferiva al pavimento una sfumatura rossastra. Vide i lembi sporchi dei vestiti, le maglie di anelli metallici ben rifinite, gli schinieri a protezioni delle caviglie. Si girò sulla pancia e sollevò la testa cogliendo alcuni particolari dei soldati: un paio di occhi castani dall'aria spiritata, una guancia con la barba, un polso peloso strofinato contro una bocca piena di denti bianchi e sani, una cicatrice che serpeggiava lungo una coscia, un vestito tirato su e il rigonfiamento di un pene che si inturgidiva. «Scopiamola! Gaina! Favritta! Che cazzo rimanete lì impalati? Non avevate mai visto una donna prima di oggi?» «Prima Gaiserico!» «Sì facciamo fare al ragazzino!» «Tiralo fuori, bello. Tutto lì? Non lo sentirà neanche.» Le voci dei soldati risuonavano contro le pareti. Ash ebbe l'impressione di essere tornata a quando aveva dieci anni. Aveva di fronte degli uomini
infinitamente più forti e muscolosi di lei. Otto uomini non erano solo più forti di una donna, ma anche di un uomo. Otto sono più forti di uno. Ash sentì le lacrime che le colavano da sotto le palpebre. «Mi porterò uno di voi con me» urlò, mettendosi carponi. «Vi lascerò un bel segno, vi mutilerò per tutta la vita...!» La saliva che le colava dalla bocca macchiava il pavimento. Vide ogni crepa, ogni grumo di terracotta delle piastrelle. La testa e le stomaco le pulsavano dal dolore. «Vi uccido! Vi uccido!» Teodiberto si piegò in avanti, si fermò a pochi centimetri dal suo volto e proruppe in una risata sguaiata. «Dove cazzo è finita la donna guerriero, adesso?» le urlò in faccia. «Allora, ragazza? Ti batterai contro di noi?» «Certo, proverò a uccidere otto uomini a mani nude e senza nessun aiuto.» Ash non si rese neanche conto di aver parlato ad alta voce e con disprezzo. Teodiberto socchiuse gli occhi e il ghigno gli scomparve dalla faccia. Il nazir rimase fermo dov'era con le mani appoggiate sulle cosce. L'espressione del suo volto indicava confusione. Ash si paralizzò. «Certo, proverò a fare un gesto tanto stupido» sussurrò in tono irriverente. In quei momenti osava appena prendere fiato. Alzò gli occhi e vide i ventenni che dovevano rispondere ai nomi di Barbas, Gaina, Fravitta e Gaiserico senza sapere chi fossero esattamente. Lo stomaco le faceva male. Si sedette sui talloni ignorando il rivolo di urina che le stava colando tra le cosce. «Non ci sono 'guerrieri' sul campo di battaglia» disse Ash servendosi del poco cartaginese che conosceva. «Ci siete solo tu e i tuoi compagni, tu e il tuo capo. Una lancia. La più piccola unità che si possa schierare sul campo. Otto o dieci uomini, nessuno dei quali è un eroe. Un uomo solo là fuori è carne da macello. Io non sono un cazzo di eroe volontario!» Aveva appena parlato di una realtà con la quale lei aveva a che fare tutti i giorni. Guardò la luce gialla e le ombre che ondeggiavano contro le pareti e i volti rosei dei soldati. Due di loro arretrarono e il più giovane, Gaiserico, forse, sussurrò qualcosa a un compagno. Si staranno dicendo delle cose che solo i militari possono dirsi, pensò Ash. Nessun civile farebbe discorsi simili. Non siamo uomini contro donne. Militari contro civili. Siamo dalla stes-
sa parte. Forza, non lo capite? Sono una di voi! Ash era abbastanza intelligente da rimanere ferma dov'era e in silenzio. Sembrava del tutto inconsapevole di essere nuda, era come se si trovasse in una latrina da campo. Il sudore le imperlava il volto e un rivolo di sangue usciva dal labbro spaccato. Una donna magra, dalle spalle robuste e i capelli tagliati corti come quelli di una suora. «Fanculo» disse Teodiberto, profondamente risentito. «Fottuta puttana.» «Cosa vuole fare la donna, nazir? Ci sta per uccidere tutti quanti?» chiese una voce sardonica alle spalle del soldato. Ash avvertì che l'atmosfera della cella si era molto tranquillizzata. Rabbrividì e sentì i capelli e i peli del corpo che si rizzavano. Sono in servizio, pensò, altrimenti avrebbero potuto essere ubriachi. «Chiudi quella cazzo di bocca, Barbas!» «Ai tuoi ordini, nazir.» «Fanculo a te e a lei.» Teodiberto si girò facendosi largo tra i suoi uomini per raggiungere la porta. «Come mai nessuna di voi, merde, è già uscita? Fuori!» Un soldato muscoloso protestò appena «Ma, nazir...» Il nazir gli diede una pacca abbastanza violenta da spostarlo. I corpi dei soldati si ammassarono davanti alla porta per qualche secondo. I secondi più lunghi che Ash avesse mai sperimentato, solo sul campo di battaglia aveva percepito delle situazioni simili: secondi che sembravano durare un'eternità. I soldati borbottavano insoddisfatti tra di loro, ignorandola apposta. Uno sputò a terra, qualcun altro rise e sentì dire da un altro che avrebbero dovuto spezzarla comunque. La porta della cella venne chiusa. La cella era vuota. La chiave scattò nella serratura. I soldati si allontanarono lungo il corridoio e le loro voci svanirono lentamente insieme all'eco dei passi. «Figli di puttana.» Ash lasciò cadere la testa in avanti. Attese la cascata di capelli che le coprisse il volto, ma non successe nulla. Alzò la testa e fissò la parete illuminata dalla lanterna oltre la porta della cella. «Oh, Cristo, salvami.» Cominciò a tremare. Le sembrò di essere un cane uscito dall'acqua e con sua somma sorpresa scoprì che non poteva fare nulla per fermare i tremori. La lanterna del corridoio illuminava solo parte del pavimento e della parete a mosaico. Il lucchetto della cella era più grosso dei suoi due pugni mes-
si vicini. Ash cominciò a tastare il pavimento della cella e trovò la maglia. Gocciolava. Uno dei soldati ci aveva pisciato sopra. Il freddo era intenso. Cercò di coprire la maggior parte del corpo con ciò che rimaneva della maglia e si rannicchiò contro un angolo della cella. La mancanza di una porta la disturbava. Non si sentiva meno imprigionata, ma più esposta. Non le importava se le sbarre non erano abbastanza larghe da far passare una mano. Un bruciatore di Fuoco Greco si accese improvvisamente nel corridoio illuminando parzialmente la cella. Ash sentiva male alla pancia. Ben presto si abituò all'odore dell'urina sulla maglia. Il vestito cominciò a scaldarsi a contatto con il suo corpo. Il respiro si condensava nell'aria. Il freddo le intorpidiva le dita dei piedi e delle mani, attenuando il dolore per i tagli alla fronte e al labbro. Il sangue continuava a colare da una ferita e lei lo assaggiò. Strinse ancora di più le braccia intorno allo stomaco per cercare di lenire il dolore crescente. Sono riuscita a prenderli alla sprovvista, pensò, ma non succederà una seconda volta. Li ho fregati perché sono indisciplinati: cosa succederà quando riceveranno l'ordine preciso di violentarmi, picchiarmi o rompermi le mani? Ash si raggomitolò ancora di più e cercò di placare la paura e dimenticare la parola 'tortura'. Fanculo Leofric, pensò, come può avermi dato da mangiare e poi farmi questo, non era serio quando parlava della tortura. Non intende bruciarmi gli occhi, rompermi le ossa e tutto il resto, doveva intendere qualcos'altro. Deve esserci stato un errore. No. Nessun errore. Non mi serve a niente ingannarmi. Perché pensi che ti abbiano lasciata qua sotto? Leofric sa cosa e chi sono. Lei deve averglielo detto. Io uccido per mestiere e lui deve sapere cosa mi sta passando in questo momento per la testa. Solo perché so cosa c'è da fare non significa che funzioni. Sentì un'altra fitta di dolore allo stomaco e un altro brivido freddo. Premette entrambi i pugni contro l'addome. Il dolore calò d'intensità per qualche attimo, quindi tornò a crescere a tal punto che, quando cominciò nuovamente ad attenuarsi, Ash cominciò a singhiozzare, tremare e bestemmiare. Aprì gli occhi. Si mise una mano tra le cosce e la portò vicino al naso. «Oh, no.»
Non riusciva a sentire l'odore del liquido sulle dita, ma il modo in cui le tirava la pelle mentre si seccava non le lasciò dubbi. «Sanguino!» urlò. Si alzò in piedi a fatica, zoppicò fino alla grata, strinse le sbarre e cominciò a urlare. «Guardia! Aiuto! Aiuto!» Nessuno le rispose. L'aria del corridoio era fredda. Nessuno le rispose dalle altre celle. Non udì né il suono delle chiavi né quello delle armi. Non c'era la stanza delle guardie. Il dolore la piegò in due facendola urlare a denti stretti. In quella posizione vide che la pelle dell'interno coscia era nera dal pube fino al ginocchio e un rivolo di sangue aveva cominciato a scendere fino alla caviglia. Non si era accorta della perdita. Un'altra fitta, molto simile a quella delle mestruazioni, ma più forte e decisa, le trapassò la pancia raggiungendo l'utero. Il sudore le ricoprì il volto, il petto e le spalle. Ash strinse le dita. «Gesù, ti prego! Aiutami! Aiutami! Aiutami! Un dottore! Qualcuno mi aiuti!» Crollò sulle ginocchia e premette la fronte contro le piastrelle pregando che il dolore delle escoriazioni ottenebrasse quello alla pancia. Deve essere fermo, pensò. Completamente fermo! Non può succedere. Altri crampi e l'ennesima fitta di dolore. Strinse le mani tra le cosce come se volesse trattenere il sangue. La luce della lampada si affievolì. Ash aveva le mani sporche di sangue. Lo stesso sangue che le sporcava la pelle mentre lei cercava di bloccarlo all'uscita della vagina. Lo stesso sangue che continuava a colarle tra le dita. «Qualcuno mi aiuti! Chiamate un chirurgo. La vecchia. Qualcuno. Aiuto! Aiutatemi a salvarlo! Vi prego è il mio bambino...» La sua voce si perse nel corridoio, ma l'unica risposta che ricevette fu l'eco delle sue parole. Il silenzio era così intenso che poteva sentire il sibilo sommesso della lampada. Il dolore cessò ancora per qualche attimo durante il quale Ash pregò continuando a tenere le mani tra le cosce, dopodiché riprese ancora più violento. Il sangue macchiava il pavimento rendendolo scivoloso e la luce artificiale lo faceva sembrare nero. Singhiozzò di sollievo quando il dolore calò e si lamentò quando sentì che tornava ad aumentare. Non riuscì più a trattenersi dal piangere. Il sangue fuoriusciva dalle labbra della vagina macchiandole le mani prima di gocciolare sul pavimento. Il sangue caldo le sporcava tutto il corpo e la
cella. Si accucciò in un angolo stringendo le braccia e mordendosi l'interno della bocca per poi urlare dal dolore e sentire il sangue che si rapprendeva sulla pelle. «Robert!» implorò, ma la richiesta si spense contro le pareti della cella. «Oh, Robert! Florian, Godfrey! Aiutatemi, aiutatemi, aiutatemi...» Un crampo le contrasse lo stomaco. Il dolore la investì come un'onda facendola annegare in un mare d'agonia. Voleva svenire, ma il suo corpo continuava a tenerla ben desta per farle sentire ogni attimo del processo e riempiendola di una furia contro... chi? Cosa? Se stessa? Ash si piantò le unghie nei palmi delle mani. L'odore del sangue riempiva la cella. Il dolore le martoriava il corpo, ma era la consapevolezza di quanto stava succedendo che le faceva ancora più male. Piangeva piano, quasi avesse paura che la sentissero. Era preda del senso di colpa. Non sarebbe successo se non avessi chiesto a Florian di liberarmene, pensò. Si sentiva completamente disorientata, sapeva solo che fuori il cielo doveva essere buio come durante il giorno e non stellato come di notte. La pancia si contrasse di nuovo insieme al resto del corpo. Passò qualche attimo e l'utero cominciò a rilassarsi. Ash sgranò gli occhi e avvertì una profonda sensazione di sollievo. Anche gli altri muscoli si rilassarono. Sentiva il seno che le doleva. Giaceva raggomitolata a terra nel cono di luce della lampada. Aveva le mani sporche di sangue appiccicoso. Su un palmo c'era qualcosa di piccolo che si stava seccando. Una sorta di cordone gelatinoso che terminava in una massa poco più grossa di un'oliva. La luce illuminò la testa e i fianchi appena abbozzati e la curvatura della schiena. Un aborto di nove settimane. «Era perfetto» urlò. «Era perfetto!» Ash pianse in maniera straziante. Ogni singhiozzo sembrava lacerarle i polmoni. Tremava. Si raggomitolò ancor di più e cominciò a urlare nell'oscurità. IV Ash non si rese conto dei passi felpati che le si avvicinavano e dei sussurri. I singhiozzi strazianti si erano trasformati in un pianto silenzioso e il dolore aveva smesso di essere un rifugio. Il corpo tremava per il trauma e per
il freddo. Ash strinse le mani fredde intorno alle caviglie. Aveva le labbra secche. Sentì che il mondo e il suo corpo tornavano a essere una realtà. I muri freddi le gelavano i fianchi. Tremava e sentiva che tutti i peli del corpo si erano rizzati. Stava aspettando il sonno come chi si sdraia in alta montagna quando fa freddo e si addormenta per l'ultima volta. La porta della cella si aprì sbattendo contro la parete ed entrarono degli schiavi a piedi nudi. Ash sentì delle urla, cercò di muoversi, ma le fitte alla vagina e gli spasmi del corpo glielo impedirono. «Per l'Albero di Dio» imprecò una voce roca «non sapevate che dovevate avvertirmi immediatamente!» Ash alzò la testa dal pavimento malgrado il collo rigido e gli occhi gonfi. «Andate ad accendere le lampade nell'osservatorio!» Un massiccio soldato visigoto schioccò le dita. L'arif Alderico sbottonò la tunica color indaco che portava sulla spalla, si inginocchiò sul pavimento macchiato di sangue e la avvolse nell'abito. Ash vomitò e la bile giallastra macchiò la lana blu. L'arif le passò un braccio sotto le ginocchia, uno sotto le spalle e la sollevò. Il mosaico sul muro cominciò a roteare. «Fuori dai piedi!» Gli schiavi si allontanarono di corsa. Qualche tempo dopo Ash sentì che qualcuno la stava coprendo con una coperta di lana e seta. Il calore fece aumentare i tremori. Alderico la strinse con più forza. Salirono diverse rampe di scale e attraversarono il cortile spazzato dalla neve. Durante il tragitto, Ash cercò di allontanare quanto era successo, provò a riporre tutto in quell'angolo della sua mente dove teneva i brutti ricordi, la gente che l'aveva tradita e gli errori di calcolo che avevano fatto perdere la vita a degli uomini. Sentì le lacrime sotto le palpebre e una le scivolò sul viso. Entrarono in un altro edificio e furono immediatamente accolti da un nutrito manipolo di schiavi. Altri ordini furono urlati, mentre attraversavano alcune stanze, si inoltravano lungo dei corridoi e scendevano lungo altre rampe di scale. Il dolore annullava ogni sensazione tranne quella di essere portata attraverso un dedalo di stanze ricavate all'interno della collina sulla quale sorgeva la città. L'abbraccio dell'arif la rilassò. Sentì qualcosa di duro che le premeva contro la schiena. Era stata posata su un lettino dentro una stanza spaziosa.
Gli schiavi si affaccendarono intorno al letto e posarono una decina di tripodi pieni di braci ardenti in diversi punti della stanza. Ash si guardò intorno e vide una fila di armadietti. Sopra di essi le lampade illuminavano le due paratie di legno che, simili alle valve di una gigantesca ostrica, stavano oscurando la vetrata che fungeva da soffitto. Un volta terminata l'operazione di chiusura, gli schiavi legarono le corde. Una ragazzina dai capelli chiari che non doveva avere più di otto o nove anni guardò Ash in cagnesco passandosi un dito sul collare. Gli schiavi maschi uscirono e rimasero solo due bambini ad accudire i bracieri. Alderico impartì degli ordini secchi e altre persone entrarono nella stanza. Un liberto con la barba e un abito di lana fissò Ash. Il nuovo arrivato era in compagnia di una donna che aveva un velo nero appuntato alla coroncina che portava in testa. I due cominciarono una rapida conversazione nel latino usato dai medici. Ash riuscì a capire quasi tutto perché era abituata ad ascoltare Florian. I due le aprirono le gambe e, a turno, le infilarono il dito indice nella vagina. Ash sussultò appena. «Allora?» chiese una terza voce. Aveva passato troppo poco tempo in compagnia dell'amir per ricordarsi il suo volto, quindi ci impiegò qualche secondo a riconoscere i capelli e la barba striati di bianco e gli occhi arrossati che la fissavano allarmati. La donna, che doveva essere un medico, disse: «Non concepirà più, amir. Guardate. Sono sorpresa che sia riuscita a tenere il feto così a lungo. Ci sono dei danni permanenti: non potrà mai portare a termine una gravidanza. L'entrata dell'utero125 è praticamente distrutta e ci sono le cicatrici di ferite molto vecchie.» Leofric cominciò a camminare per la stanza. Allungò le braccia e uno schiavo gli infilò una tunica di lana verde e gialla. «Per l'Albero di Dio! Anche questa è sterile!» «Proprio così.» «A cosa mi può servire questa femmina sterile? Non può dare alla luce un figlio!» «No, amir.» La donna infilò una mano tra le cosce di Ash, la ritirò insanguinata e la usò per spostare il velo, dopodiché si rivolse ad Ash in francese parlandole con lo stesso tono usato con una bambina o un animale. Lo stesso tono usato con gli schiavi. «Ti darò una pozione da bere. Se c'è ancora qualcosa da espellere la po125
Forse si tratta della cervice.
zione di aiuterà. Avrai delle perdite. Perdite di sangue, mi capisci? Dopo starai bene.» Ash mosse i fianchi. Qualcuno le tolse gli oggetti metallici che le avevano infilato nella vagina e lei provò una sensazione di sollievo. Cercò di muoversi, di sedersi, ma il secondo dottore, l'uomo, le bloccò i polsi. Ash notò che i polsini color oliva erano stati cuciti frettolosamente alla tunica. Anche i bottoni erano stati applicati in maniera del tutto sommaria. Le asole erano dei piccoli strappi nella lana. Deve averlo fatto fare di fretta e furia da uno schiavo, pensò Ash. Il dottore si inclinò ulteriormente in avanti e Ash poté scorgere un abito di seta sotto la tunica. Non si aspettava di trovare delle persone vestite in quel modo a Cartagine. Anche l'abito nel quale l'aveva avvolta Alderico era piuttosto rozzo. Era ovvio che i Cartaginesi non erano preparati ad affrontare un clima di quel tipo. Quello che stava sperimentando in quel luogo non aveva nulla a che fare con il Crepuscolo caldo e dolce che le aveva descritto Angelotti. Il Crepuscolo Eterno che non permette a nulla di crescere, ma dove i nobili di Cartagine possono camminare vestiti di seta sotto il cielo indaco. L'aria stessa sembrava scricchiolare a causa del gelo. La donna le portò una coppa alle labbra e Ash bevve. La pozione aveva un sapore dolce ed erbaceo. Un attimo dopo avvertì un crampo che le chiuse le gola e le fece serrare la mascella con un singhiozzo. Avvertì chiaramente il sangue che macchiava la lana del vestito. «Vivrà?» chiese Leofric. «L'utero è forte» disse il dottore più vecchio, molto soddisfatto della sua diagnosi. «Anche il corpo è forte e non mostra molti segni di trauma. Il dolore potrebbe ucciderla solo se molto intenso. Può essere torturata con moderazione entro un'ora.» L'amir Leofric smise di passeggiare avanti e indietro e aprì la finestra. Una ventata di aria gelida entrò facendo diminuire il calore emanato dai bracieri. L'amir cominciò a fissare il firmamento privo di sole, luna o stelle. Ash, sdraiata nel letto, guardò l'uomo e pensò di essere a un passo dalla morte. Non fu un pensiero improvviso. Era un genere di meditazione a cui di solito si abbandonava prima di una battaglia, ma questa volta la rese pienamente consapevole della presenza di Leofric e i suoi dottori, dell'ani
Alderico e i suoi uomini, dei servi dediti alle loro occupazioni e delle centinaia di migliaia di uomini e donne che vivevano a Cartagine. Circa tre quarti di loro, pensò, sanno che c'è una guerra in corso. Per metà di questi il fatto ha una certa importanza, ma non si preoccupano minimamente dell'ennesima prigioniera che muore nella casa di un loro amir. Quello che la colpì più di tutto fu lo scoprire quanto lei, come persona, fosse poco importante. Tutte le cose che potevano succederle divennero improvvisamente possibili. Gli altri possono morire a causa di un incidente, di malattie del sangue, di febbre puerperale, per ordine del califfo-re, ma io... rifletté Ash. Aveva sempre pensato a se stessa come all'eroina della sua vita: quel che non riusciva ad accettare in quel momento era il fatto che la sua storia avrebbe avuto un finale uguale a quello di tutti gli altri (un giorno, in un futuro molto lontano). Non importa, pensò. Ci sono altri che possono vincere le battaglie senza l'aiuto delle 'voci'. Sono sostituibile. Tutto è governato dal caso. Rota Fortuna, la Ruota della Fortuna. Fortuna imperatrix mundi. «Stavo leggendo un rapporto mandato da mia figlia quando mi hanno chiamato» disse l'amir senza girarsi. «Scrive che sei una donna violenta, un'assassina professionista, dice che, proprio come lei, sei una guerriera per vocazione e non per addestramento.» Ash rise debolmente, ma abbastanza convinta, tanto che le vennero le lacrime agli occhi. «Già, devo dire che mi hanno permesso di scegliere tra molti mestieri» rispose, asciugandosi le lacrime. Leofric si girò. Alle sue spalle la neve cominciava a ricoprire i bordi delle persiane. La ragazzina che aveva fissato Ash con aria disgustata poco prima attraversò rapidamente la stanza e chiuse la finestra. Leofric la ignorò. «Non sei come mi aspettavo.» L'amir sembrava disturbato e franco allo stesso tempo. Tirò su i lembi della tunica verde e gialla e le si avvicinò. «Che stupido, pensavo che potessi essere come lei.» Mi chiedo cosa credi che lei sia, rifletté Ash tra sé. «Scrivi» ordinò Leofric a un ragazzino che aveva una tavoletta ricoperta di cera e uno stilo. «Note preliminari: il fisico. Ho davanti a me un ragazza abituata a vivere sporca, la pelle presenta tracce di infiammazioni da parassiti. I capelli sono infestati dai pidocchi. Lo sviluppo muscolare è inusuale per una donna, specialmente il trapezio e i bicipiti. Struttura di tipo contadina. Il tono muscolare generale è buono - anzi, ottimo. Alcuni segni
di malnutrizione nei primi anni di vita. Mancano due denti in alto a sinistra. Volto sfregiato, vecchi traumi alla terza, quarta e quinta costola sinistra e a tutte le dita della mano sinistra. Segni di quella che credo sia una frattura del cranio. Resa sterile da un trauma probabilmente subito prima della pubertà. Rileggi.» Il ragazzino cantilenò gli appunti dettati dall'amir che ascoltava attento. Ash sbatté le palpebre per asciugarsi le lacrime e si strinse nell'abito di lana. Non si era ancora ripresa del tutto. Prese fiato, non riusciva a pensare. «E questo cosa sarebbe?» chiese, lasciando affiorare la sua arroganza. «Il mio pedigree? Non sono una cacchio di cavalla marcia! Non sapete qual è il mio rango?» Leofric si girò verso di lei. «Qual è il tuo rango, piccola ragazzina franca?» Una folata di aria fredda soffiò sulle braci che si ravvivarono. Ash incontrò lo sguardo della piccola schiava inginocchiata vicino a un tripode. La ragazzina sussultò e distolse gli occhi. È serio? pensò Ash. Un soffio di vento sui carboni e la ragazzina ha tremato. «Suppongo di essere uno scudiero. Siedo a tavola con uomini di quinto grado di diritto.» Improvvisamente pensò di essere molto ridicola. «Posso mangiare allo stesso tavolo dei preti, avvocati, ricchi mercanti e nobildonne!» Ash si spostò nel letto in modo da essere più vicina al braciere. «E ora che ne ho sposato uno credo di poter mangiare con i cavalieri. 'La sostanza della vita non rende degni come il sangue nobile'. I cavalieri ereditari hanno più valore dei mercenari.» «Qual è il mio rango?» le chiese Leofric. Può essere torturata con moderazione entro un'ora. La carne brucia così facilmente, pensò Ash. «Dovreste essere di secondo grado, visto che un amir è secondo solo al califfo-re: dovreste corrispondere a un cardinale, un vescovo o un conte» rispose calma. Cosa sarà successo a John de Vere? si chiese. E se fosse morto? Ash guardò con cautela l'amir. «Come dovresti rivolgerti a me, allora?» le chiese. Vuole sentirsi chiamare lord-amir o mio signore, vuole che gli mostri rispetto. «'Padre'?» suggerì acida. «Mmm? Mmm.» Leofric si girò, si allontanò di alcuni passi da lei, la fissò per qualche attimo, quindi schioccò le dita all'indirizzo del giovane scriba. «Note preliminari: della mente e del carattere.»
Ash si sedette sul letto digrignando i denti per il dolore. Aprì la bocca per interrompere, ma vide il volto della piccola schiava contorcersi in una smorfia di terrore. «È una...» l'amir si interruppe da solo. Si era formato un rigonfiamento all'altezza della cintura di cuoio. I baffi e il muso di un grosso ratto fecero capolino dalla manica del vestito. Leofric abbassò il braccio con fare assente in direzione del letto di quercia e il ratto scese vicino ad Ash. «Mi trovo di fronte a una mente tra i diciotto e i vent'anni» dettò l'amir visigoto. «Ha una grande resistenza nei confronti del dolore, le mutilazioni e altre forme di danno fisico; si è ripresa dall'aborto di un feto di circa nove settimane in due ore.» Ash rimase a bocca aperta e ripensò alla parola 'ripresa'. Una mosca le sfiorò il dorso della mano facendola sussultare. Riprese a tremare e abbassò lo sguardo. Il ratto grigio le stava annusando la mano. «Questo deve essere dovuto al fatto che ha vissuto in mezzo ai soldati fin dalla più tenera età, adottando i loro modi di pensiero e seguendo entrambe le professioni militari: prostituta e soldato.» Ash allungò le dita sporche e il ratto cominciò a leccarle. La bestia aveva il pelo bianco a macchie grigie, un occhio nero e l'altro rosso. Ash lo carezzò con delicatezza dietro le orecchie e cercò di imitare il tono che Leofric usava per vezzeggiare i suoi animaletti. «Ehi, Leccadita. Tu dovresti essere il famiglio di una strega, giusto?» Il ratto la fissò. «Il soggetto dimostra mancanza di concentrazione e incapacità di pianificazione. Vive solo per assaporare il momento.» Leofric segnalò allo scriba di smettere. «Mia cara, quale utilità pensi che possa avere per me un capitano mercenario del Nord barbarico che sostiene di aver sempre vinto le battaglie grazie ai suggerimenti di un santo? A cosa pensi che mi possa servire una contadina ignorante che possiede solo delle capacità meramente fisiche?» «A niente.» Ash provò una fitta gelata allo stomaco e continuò a carezzare il pelo vellutato del ratto. «Ma voi non credete che io sia solo quello che dite.» «Hai trascorso abbastanza tempo in compagnia di mia figlia per imparare a imitarla quando parla con il Golem di Pietra.» «È la stessa cosa che sostiene il califfo-re» ribatté Ash, cinica. «E in questo caso ha ragione.» Leofric si sedette sul letto. Il ratto gli cor-
se subito incontro, si arrampicò su una coscia e appoggiò le zampe sul petto. «La Pancia di Dio ha ragione» aggiunse. «Lo sai anche tu che noi Visigoti non possiamo essere altro che soldati...» «La Pancia di Dio?» domandò Ash, stupita. «Il Pugno di Dio.» Si corresse Leofric. Era ovvio che si trattasse di un titolo di qualche genere. «Si tratta dell'abate Muthari. Devo smettere di chiamarlo in quel modo.» Ash ricordava bene il religioso in compagnia del califfo-re. In un'altra occasione avrebbe riso, ma la paura le irrigidiva il volto. «Non posso credere a quello che tu mi dici proprio perché tu devi riuscire a convincermi che senti la macchina» continuò l'amir, quindi si concentrò sul ratto. «Non ho mentito del tutto al califfo-re. Lo stesso vale per Gelimero, l'ho fatto solo per salvarti dalla sua stupida brutalità, ma ricorda che potrei anche torturarti per essere sicuro che stai dicendo la verità.» Ash si strofinò il viso con una mano. Le braci scaldavano l'aria, ma lei sudava freddo. «Come farete a sapere che sto dicendo la verità quando mi torturerete? Direi di tutto e voi lo sapete. Chiunque lo farebbe al mio posto! Io ho...» «'Io ho già torturato degli uomini'» l'anticipò l'amir Leofric dopo un attimo di silenzio. «È questo che volevi dirmi?» «Ho presenziato alle torture e ho dato ordini al riguardo.» Ash deglutì. «Dato quello che ho visto e ciò che so di essere, è molto più probabile che mi spaventi di me stessa che di voi.» Uno schiavo molto giovane entrò nella stanza e parlò con Leofric. L'amir arcuò entrambe le sopracciglia. «Suppongo che sia meglio farlo entrare.» Fece cenno al ragazzino di andare. Pochi attimi dopo un altro amir entrò nella stanza scortato da due soldati. Ash si ricordava di lui: era quello in compagnia del califfo-re. La rapida occhiata che lanciò a quegli occhi severi servì a ricordarle il nome: Gelimero. Lord-amir Gelimero. «Sua Maestà ha insistito e vuole che io controlli la situazione» disse il giovane amir. «Amir Gelimero, sapete bene che non sono mai andato contro un ordine del califfo-re.» I due si fecero da parte. Ash sentì una morsa gelida attanagliarle la bocca dello stomaco. L'amir Gelimero fece un cenno con la mano ed entrarono altri due uomini; uno portava una piccola incudine, il secondo un martello
e un collare di metallo. «È una richiesta del califfo-re» spiegò l'amir Gelimero in parte contrito e in parte strafottente. «Non è nata libera, giusto?» Gli uomini l'alzarono dal letto e Ash non fece nulla per ribellarsi. Mentre il fabbro terminava di fissare il collare, lei fissò il mosaico sulla parete che rappresentava il Cinghiale e l'Albero dell'Uomo Verde. Il suono del martello echeggiò ancora per qualche attimo nelle orecchie di Ash, dopodiché le versarono addosso dell'acqua per raffreddare il rivetto che chiudeva il collare. Ash non riusciva a muovere la testa, sputò dell'acqua e rabbrividì. La stanza puzzava di fuliggine. Ash avvertiva un peso sconosciuto intorno al collo e fissò in cagnesco Gelimero nella speranza di sembrare oltraggiata, ma non riuscì a mantenere a lungo l'espressione. «Credo che il collare sarà più che sufficiente» borbottò l'amir Leofric. «Comunque» disse l'amir più giovane. «Il nostro sovrano attende dei risultati.» «Presto potrò fare rapporto al califfo. Ho consultato i miei dati e ho trovato che erano nati sette esemplari nello stesso periodo: sono stati tutti scartati tranne mia figlia. È possibile che questa sia sfuggita all'eliminazione.» Ash tremava. La testa le pulsava a causa del rumore delle martellate. Mise un dito nel collare e lo tirò per saggiarne la resistenza. Gelimero si girò e per la prima volta fissò Ash. «Perché sei così arrabbiata, donna?» le chiese, con lo stesso tono di voce usato con gli schiavi e gli inferiori. «Fino adesso hai perso molto poco, dopotutto.» Ash rivide la lancia visigota che aveva ucciso Godluc. Sei anni di cure affettuose e battaglie insieme distrutti in un secondo. Strinse i pugni sotto la tunica che stava usando come coperta. Era molto più facile ricordare il muso del suo cavallo piuttosto che le facce di Henri Brant, Bianche e degli altri uomini e donne che trasformavano i carri in ostelli, bordelli o ospedali a seconda delle occasioni, gestendoli con tutto l'entusiasmo che avevano a disposizione, o ricordare Dickon Stour e i suoi eterni tentativi di migliorare l'armeria. Era molto più facile pensare al suo cavallo che a tutti i capitani di lancia morti e ai loro uomini, sobri o ubriachi che fossero, affidabili o inutili: cinquecento uomini sporchi e ben armati. Contadini che non avevano potuto coltivare le terre dei loro padroni, ragazzi in cerca d'avventura o criminali che volevano sfuggire alla giustizia, accomunati dal fatto che combattevano per lei. Come poteva dimenticare le tende sulle quali sventolavano gli stendardi, i
cavalli da guerra e quelli da traino, ogni spada con la sua storia, ogni uomo che aveva combattuto sotto il suo stendardo su qualsiasi terreno che era sempre troppo caldo, troppo freddo o troppo umido. «Già, cos'ho perso?» rispose Ash, amareggiata. «Niente!» «Niente di quello che potresti realmente perdere. Ti auguro una buona giornata, Leofric.» Il rivetto del collare non ancora del tutto raffreddato le pungeva la punta delle dita. Ash osservò Gelimero che se ne andava. Il peso della politica di quella società, una politica che era impossibile apprendere in mesi, figuriamoci in minuti, gravava su di lei. Leofric potrebbe cercare di salvarmi la vita, pensò Ash. Perché? Pensa che sia un altro faris? Che importanza può avere in questo momento? La mia unica possibilità è quella di mantenere alto il suo interesse nei miei confronti... Si sentì improvvisamente molto sola. Non importa se uno scopre di essere poco importante e quanto sia facile apprendere che si sta per morire. Il nostro io più recondito continuerà a chiedersi: «Perché io? Perché così in fretta? È un'ingiustizia.» Ash sentì la pelle che gelava. Leofric si girò verso di lei. «Ti suggerisco di parlare se vuoi vivere» le consigliò in francese. «Cosa posso dirvi?» «Come fai a parlare con il Golem di Pietra tanto per cominciare» le chiese Leofric, calmo. Ash si accomodò su una sedia di quercia che a lei sarebbe costata cinque anni di guadagni e disse: «Gli parlo e basta.» «Ad alta voce?» «Certo! In quale altro modo potrei farlo?» Leofric trovò modo di sorridere della sua indignazione. «Non gli parli, per esempio, mentre leggi a mente usando una voce interiore?» «Non so leggere a mente.» Dall'occhiata dell'amir, Ash comprese che egli aveva seri dubbi sulla sua capacità di leggere in qualsiasi modo. «Riconosco alcune delle tattiche» disse Ash «perché le ho lette nell'opera di Vegezio: Epitomae rei militaris.» Le rughe intorno agli occhi di Leofric divennero più evidenti. L'amir si stava divertendo, ma Ash continuava a rimanere sospesa tra la paura e il sollievo. «Credevo che fosse il tuo prete a leggertele» disse Leofric in tono ama-
bile. Ash si rilassò e sentì gli occhi che lacrimavano. Se non sto attenta questo finirà con il piacermi, rifletté Ash. È questo che stai provando a fare? Gesù, come devo comportarmi? «Robert Anselm mi diede una copia in inglese del libro di Vegezio126 . La tengo... la tenevo sempre con me.» «E senti il Golem di Pietra... come?» le chiese Leofric. Ash aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse. Bella domanda, pensò, neanch'io mi sono mai chiesta come faccio. Si portò un dito alla tempia e disse: «La sento. Qua.» Leofric annuì lentamente. «Neanche mia figlia è in grado di spiegarlo meglio. È una delusione sotto certi punti di vista. Speravo che una volta allevata una persona in grado di parlare a distanza con il Golem di Pietra, questa sapesse spiegarmi come succedeva... invece, niente. Solo 'lo sento' come se queste due parole spiegassero tutto!» Chi mi ricorda? continuò a pensare Ash. Qualcuno che si dimentica di tutto e si dedica al suo lavoro...? Angelotti e Dickon Stour. Ecco chi mi ricorda. «Voi siete un artigliere!» disse Ash, con voce quasi isterica, mentre premeva entrambe le mani sulla bocca e osservava l'espressione interdetta dell'amir. «Scusa?» «O un armaiolo! Siete sicuro di non aver mai sentito il bisogno di costruire delle maglie di anelli metallici, lord-amir? Tutte quelle migliaia di anelli uniti uno all'altro...» Leofric rise genuinamente divertito e scosse la testa confuso. «Non forgio cannoni né costruisco maglie metalliche. Cosa vuoi dirmi?» Perché non lo chiedo a te come faccio a sentire la voce del Golem? si domandò Ash. «Sono già stata catturata altre volte e ho subito più di un pestaggio: non c'è nulla di nuovo in questa situazione, mastro Leofric. Non mi aspetto di vivere fino alla seconda venuta di Cristo. Tutti moriamo.» «Alcuni in maniera più dolorosa di altri.» «Se pensate che questa sia una minaccia, vuol dire che non avete mai visto un campo di battaglia. Sapete cosa rischio ogni volta che esco là fuori? La guerra» disse Ash con gli occhi che le luccicavano «è qualcosa di molto 126
Conosciuto come il De rei militari. L'edizione è del 1408 tradotta per ordine di lord Thomas Berkley.
pericoloso, mastro Leofric.» «Ma tu sei qua» ribatté l'amir. «Non là fuori.» La calma di Leofric le gelò il sangue nelle vene. È proprio un artigliere. Come loro si preoccupa di tutto ciò che riguarda il tiro, il puntamento, l'alzo e la potenza di fuoco, e solo dopo pensa alle conseguenze dei proiettili. I cavalieri dopo la battaglia si siedono e discutono degli orrori della guerra; ma nessuno di essi smetterà mai di cercare una spada migliore, una lancia più pesante o un elmo che protegga bene la testa. Quest'uomo è un artigliere, pensò Ash. Un armaiolo. Un assassino. Proprio come me. «Ditemi cosa devo fare per rimanere viva» disse. È così che si sente Fernando, pensò Ash nel sentirsi pronunciare quelle parole. «Non importa quanto tempo mi rimane» continuò. «Basta che mi diciate cosa fare.» Leofric scrollò le spalle. Ash fissò l'amir lisciando con le mani le pieghe sulle spalle. Non ho mai chiesto, pensò, perché non ne ho mai avuto bisogno. «Da quanto tempo» chiese Ash «il Golem di Pietra è custodito in questa casa?» Leofric disse qualcosa, ma Ash non gli prestò attenzione. «Duecentoventitré anni e trentasette giorni.» Ash ripeté la cifra ad alta voce. Leofric si interruppe e la fissò dritta negli occhi. «Sì? Sì, deve essere giusto. Il settimo giorno del nono mese... Sì!» «Dove si trova il Golem di Pietra?» «Al sesto piano del quadrante nord-est della Casa dei Leofric, nella città di Cartagine, costa dell'Africa del Nord.» Ash sentiva che la sua soglia di attenzione si era alzata di molto. Anche il suo modo di ascoltare era cambiato, non era più passiva come quando si ascolta un uomo o un musicista, non si stava limitando ad ascoltare delle risposte. Cosa sto facendo? si chiese. Sto facendo qualcosa. «La vostra macchina si trova a circa sei piani sotto di noi» ripeté Ash fissando Leofric. «Questa è una informazione che potresti aver carpito dalle chiacchiere tra gli schiavi» rispose l'amir, incurante. «Già, potrei, ma non è andata così.» L'amir la stava fissando con sguardo indagatore. «Io non posso saperlo.» «Non è vero!» Ash si sedette sul letto. «Se voi non mi dite cosa fare per rimanere viva, allora ve lo dirò io. Fatemi delle domande, mastro Leofric.
Voi conoscete la verità e vi accorgerete subito se mento riguardo la mia voce!» «Alcune risposte sono molto pericolose.» «Non è mai saggio conoscere gli intrighi dei potenti.» Ash si alzò dal letto e, dolorante, si incamminò lentamente verso la finestra e Leofric gliela lasciò aprire. La sbarra di ferro murata nel telaio era abbastanza larga da impedire a qualcuno di buttarsi di sotto. L'aria le raffreddò le guance e le fece arrossare il naso. Provò un'improvvisa comprensione per quelli che si trovavano sotto le tende al Nord in quel clima freddo e umido, un sentimento di cameratismo sincero per la loro condizione disgraziata e, allo stesso tempo, provò il bruciante desiderio di essere in loro compagnia. Il cortile era pervaso dal sibilo delle lampade a Fuoco Greco alle quali erano stati applicati dei rudimentali ripari in tela per proteggere la fiamma. Ash fissò le donne e gli uomini che ricoprivano tutto con delle cerate imprecando e lamentandosi. Tranne le guardie che li sorvegliavano, le altre persone nel cortile erano tutti schiavi e l'inimicizia tra le due parti era quasi palpabile. Una volta schermate le luci, Ash poté vedere le altre costruzioni, circa duemila, giudicò con una rapida occhiata, che formavano la tenuta dell'amir. Era impossibile vedere di più perché il buio occultava Cartagine, dove, sicuramente, dovevano esserci le case lussuose e ben fortificate, del tutto simili a quella in cui si trovava, degli altri amir. Non poteva capire in che punto della città si trovasse quella casa. Non riusciva a orientarsi. Non capiva in che posizione si trovasse la casa e in quale direzione fossero il porto e il deserto. Un suono basso e lamentoso la fece sobbalzare. Allarmata, Ash alzò la testa e si accorse che il suono era rimbalzato contro i tetti da grande distanza. «È il tramonto» le spiegò Leofric alle sue spalle. Il suono echeggiò di nuovo sulla città. Ash cercò di vedere le prime stelle e la luna o qualsiasi punto di riferimento che avrebbe potuto aiutarla a orientarsi. Qualcuno chiuse con delicatezza la finestra. Tornò a girarsi nella stanza e il calore emanato dai bracieri le fece capire quanto si era raffreddata a guardare fuori. «Come gli parlate?» chiese Ash in tono di sfida. «Con la mia voce, proprio come faccio con te» rispose Leofric, secco.
«Ma posso farlo solo quando sono nella stanza dove lo tengo.» Ash non riuscì a impedirsi di sorridere. «E come vi risponde?» «Con una voce meccanica molto difficile da sentire e devo essere nella stanza. Mia figlia non ha bisogno di essere nella stessa stanza, nella stessa casa o sullo stesso continente e questa crociata ha confermato il mio sospetto: lei può sentirlo ovunque.» «Sa solo fornire risposte su argomenti di carattere militare?» «Non sa nulla. È un golem. Parla solo di cose che io e gli altri gli abbiamo insegnato. Risolve i problemi che si presentano sul campo di battaglia, ecco tutto.» Ash barcollò e l'amir l'afferrò prontamente per un braccio sorreggendola. «Sdraiati. Vediamo se la tua proposta è buona.» Ash si fece guidare fino al letto e si lasciò cadere sul materasso. La stanza le girava intorno. Chiuse gli occhi finché il senso di vertigine non fu scomparso. Quando li riaprì vide la luce bianca delle lampade e udì il suono dello stilo che incideva la tavoletta coperta di cera. Leofric fece un gesto e lo scriba si fermò. «Chi costruì il Golem?» Domanda e risposta. Ash ripeté la domanda ad alta voce per due volte, perché il nome che le era giunto in risposta non le era familiare. «Il...» disse, incerta «'Rabbi"? Di Praga.» «E per chi lo costruì?» Un'altra domanda, un'altra risposta. Ash chiuse gli occhi per proteggerli dalla luce troppo intensa della stanza e si sforzò di ascoltare la sua voce interiore. «'Radonic', credo. Sì, Radonic.» «Chi fu il primo costruttore del Golem di Pietra e perché?» «Duecento anni fa, il Rabbi di Praga, costruì il primo Golem di Pietra su richiesta del vostro antenato Radonic per giocare a shah.» «A scacchi» si corresse Ash. «Chi fu il primo a costruire la macchina a Cartagine e perché?» «Frate Roger Bacon.» «Uno dei nostri» disse Ash, quindi cominciò a parlare con lo stesso timbro della voce nella sua testa. «Si dice che Frate Bacon costruì la prima Testa di Rame nei suoi alloggi presso il porto di Cartagine. Usò quel metallo perché era quello che poteva essere trovato più facilmente nelle vicinanze della città. Tuttavia, quando udì quello che la macchina gli disse, egli la bruciò insieme ai progetti, alla sua casa e fuggì nel Nord dell'Eu-
ropa per non tornare mai più. In seguito la colpa della presenza di dèmoni in Cartagine venne fatta ricadere su quello studioso. Così scrisse Gerardo.» «Si sono scritte molte cose sul Golem di Pietra nel corso degli ultimi duecento anni» disse Leofric, calmo. «Prova ancora, figliola. Chi costruì il primo Golem e perché?» «L'amir Radonic battuto in continuazione a shah da quella macchina muta, cominciò a stancarsi e a provare del malanimo nei confronti del Rabbi.» Ash si rese conto di essere sull'orlo di un attacco isterico. Era disidratata e aveva la testa che le girava. La perdita di sangue l'aveva indebolita, ma la voce nella sua testa continuava a parlare. «Stufo, Radonic, mise da parte l'uomo di pietra. Come ogni buon Cristiano dubitò che il poco potere dei Giudei provenisse dal Cristo Verde e cominciò a pensare che nella sua casa si fossero svolti dei riti demoniaci.» «Altro.» «Il Rabbi aveva creato il golem rendendolo simile in ogni sua parte a un uomo. L'aveva costruito usando il suo seme, la terracotta rossa di Cartagine. L'aveva modellato in modo che fosse molto attraente. Ildico, una schiava della casa, si innamorò del Golem. Poiché i suoi lombi di pietra e le giunture di metallo erano in tutto e per tutto simili a quelle degli uomini, la donna rimase incinta. In seguito Ildico affermò che tutto ciò era successo per intercessione dell'Uomo dei Miracoli. Il grande profeta Gundobad le era apparso in sogno e le aveva ordinato di portare nella sua persona la sua reliquia più sacra che era stata passata di padre in figlio in quella famiglia di schiavi fin dal tempo in cui Gundobad era vivo.» Ash sentì qualcuno che la toccava e aprì gli occhi. Le dita di Leofric le stavano toccando la fronte sporca di sangue rappreso e terra con noncuranza. Ash arretrò. «Si riferisce a Gundobad, il vostro profeta, giusto? Fu lui a maledire il Papa e creare lo Scranno Vuoto.» «Il vostro Papa non avrebbe dovuto farlo giustiziare» disse Leofric in tono serio, mentre toglieva la mano «ma non voglio discutere con te, figliola. Sono passati sei secoli di storia e chi può dire chi fosse veramente l'Uomo dei Miracoli? L'unica cosa sicura è che Ildico gli credette.» «Una donna che ha avuto un bambino da una statua di pietra.» Il disprezzo nella voce di Ash era chiaro. «Se non fosse che sto ripetendo le parole di una macchina non direi mai simili stupidaggini, mastro Leofric.» «E il Cristo Verde nato da una Vergine e allattato da un Cinghiale? Non
trovi che anche questa sia una bella 'stupidaggine'?» «Sì, per quello che mi riguarda!» Ash scrollò le spalle. Sentiva i piedi freddi e nel vedere l'espressione interrogativa dell'amir, si accorse che, senza rendersene conto, aveva parlato nello svizzero francese che aveva imparato in gioventù. Tornò rapidamente al latino di Cartagine. «Ascoltate, ho visto ben pochi piccoli miracoli, ma si trattava sempre di fortuna, fortuna imperatrix, ecco tutto...» «Chi costruì il secondo Golem e perché?» chiese con una certa enfasi l'amir. Ash ripeté la domanda. La voce che le rispose non era diversa da quella che ascoltava sul campo di battaglia che le forniva informazioni sul terreno, sul tipo di truppe, le condizioni del tempo e la strategia ideale: la stessa identica voce. «È stato scritto che la schiava di nome Ildico non fosse solo la custode della potente reliquia affidatale dal profeta Gundobad, ma fosse anche sua discendente in linea diretta da circa ottocento e sedici anni dopo che il Nostro Signore venne consegnato all'Albero, nell'anno dodicimila e cinquantatré.» «Chi costruì il secondo Golem e perché?» domandò nuovamente Leofric. «Il primogenito di Radonic, Sarus, venne ucciso in una battaglia contro i Turchi. Radonic fece costruire dei pezzi di shah che somigliassero in tutto e per tutto alle truppe turche e a quelle di suo figlio Sarus, quindi si ricordò del Golem e riprese a giocarci assieme, finché, un giorno, il Golem giocò una partita nella quale le truppe di Sarus si mossero seguendo una strategia particolare e sconfissero i Turchi. «Nello stesso giorno l'amir Radonic scoprì che la schiava Ildico si era accoppiata con il Golem. Prese un grosso martello da muratore e ridusse in polvere il Golem dopodiché si chiuse in una torre e Ildico partorì il bambino. «Radonic pensò a lungo al figlio morto e a quelli ancora in vita, quindi decise di ordinare al Rabbi di costruire un secondo Golem per sostituire quello distrutto nel suo eccesso d'ira. Il Rabbi rifiutò sebbene l'amir l'avesse minacciato di uccidere i suoi due figli. Tuttavia Radonic riuscì a convincere il Rabbi dicendogli che avrebbe fatto impalare anche Ildico e il suo bambino se avesse rifiutato. L'ebreo costruì un altro Golem di Pietra, ma questa volta era solo un busto con la testa grosso tre volte un uomo. Il busto posava su un basamento di terracotta sul quale c'erano delle figure
di uomini e bestie. Fu allora che la bocca di rame del Golem prese a parlare.» Ash si raggomitolò. Due o tre frasi alla volta sono niente rispetto a questo, pensò. Quella narrazione fredda e accurata la stava sfiancando. «Radonic fece uccidere il Rabbi e la sua famiglia affinché questi non potesse costruire un altro giocatore di shah anche per i nemici del suo califfo-re. Subito dopo la morte del Rabbi il sole scomparve dal cielo sopra Cartagine e su tutte le terre governate dal califfo-re. Era la maledizione del Rabbi. E da allora nessun occhio umano ha più visto risplendere il sole sulle terre sottoposte al Crepuscolo Eterno.» Ash aprì gli occhi e solo in quel momento si rese conto di averli chiusi per ascoltare meglio la voce. «Gesù! Scommetto che deve essere scoppiato un bel casino.» «Il califfo-re Eriulf e i suoi amir avevano il comando dell'esercito e hanno ristabilito l'ordine» spiegò Leofric, tranquillo. «Oh, si possono fare un mucchio di cose se comandi dei soldati.» Ash si drizzò e appoggiò la schiena contro la testiera del letto. «Queste sono tutte leggende che ho ascoltato quando ero bambina. La leggenda trecento e sette sulla nascita del Crepuscolo Eterno... Vi sto dicendo quello che vi aspettavate di sentire?» «Il profeta Gundobad e la figlia schiava Ildico sono due personaggi storici. Le cronache della mia famiglia parlano di loro molto chiaramente. Il nostro antenato Radonic fece uccidere un rabbino giudeo nell'anno 1250 circa.» «Allora chiedetemi delle cose che non posso aver letto nella storia della vostra famiglia!» Il legno incerato del letto aveva un buon odore. Ash sentiva lo stomaco che gorgogliava, ma lei lo ignorò, era troppo concentrata sull'espressione di Leofric. «Chi era Radegunda?» Ash ripeté la domanda. «La prima persona a parlare a distanza con il Golem di Pietra.» Non ha detto 'con me', pensò Ash. «Nei primi anni della crociata, quando le messi potevano essere ottenute solo conquistando delle terre sotto il benefico influsso del sole, il califfo-re Eriulf decise di conquistare l'Iberia. L'amir Radonic, ripeteva le strategie con il Golem di Pietra, imparando da ogni vittoria e da ogni sconfitta. All'età di tre anni, Radegunda, la figlia di Ildico, cominciò a costruire
delle statue di pietra con la sabbia rossa di Cartagine. «L'amir Radonic vide che la bambina somigliava molto al vecchio Rabbi e sorrise al pensiero di essere stato tanto stupido da pensare che una statua avesse potuto fecondare una donna e si rammaricò di aver distrutto il primo Golem di Pietra. Radegunda sarebbe potuta rimanere una semplice schiava nella casa di Radonic, ma un giorno, la bambina origliò quello che l'amir stava dicendo suoi capitani. Essi stavano decidendo quale fosse la strategia migliore da impiegare sul campo di battaglia e chiese all'amir quale tattica avrebbe voluto impiegare così l'avrebbe potuto chiedere al suo amico di pietra. «Pensando che fosse divertente, Radonic le disse di domandare tranquillamente al Golem di Pietra. Radegunda parlò al nulla. Gli altri schiavi entrarono di corsa nella stanza di Radonic dicendogli che il Golem aveva cominciato a muovere le figure di fronte a lui. Quando l'amir Radonic corse nella stanza si trovò di fronte alla soluzione dei suoi problemi tattici, come se il Golem avesse sentito le parole della bambina grazie all'intercessione di qualche dèmone dell'aria. «Radonic decise di abbandonare la via dell'onore e della giustizia e non fece uccidere la bambina, anzi, l'adottò e la portò con sé in Iberia. Grazie a Radegunda e al suo collegamento con il Golem le sorti della guerra mutarono rapidamente in favore di Eriulf e in breve tempo l'Iberia del Sud cominciò a rifornire di grano Cartagine. All'età di cinque anni la bambina costruì la prima statua in grado di muoversi da sola. Quella macchina distrusse molti oggetti nella casa provocando grande ilarità tra i bambini.» Ash tirò su le ginocchia e studiò l'espressione concentrata di Leofric. «È quella Radegunda?» gli chiese. «Sì. Chiedigli come è morta.» Ash fece la domanda. Si sentiva molto intontita e sospettò che la causa principale di quella sensazione fosse lo sforzo per concentrarsi. Era come se la sua mente stesse trascinando un carico su per un pendio o sciogliendo una matassa. «L'amir Radonic diede ordine che Radegunda fosse aiutata a costruire i suoi nuovi golem. Le affiancò degli scienziati, degli ingegneri e le fornì gli strani materiali che richiedeva. Nel suo quindicesimo anno di vita, Dio la privò della parola, ma sua madre Ildico poteva comunicare con lei tramite dei segni che conoscevano entrambe. Quello stesso anno Radegunda costruì un uomo di pietra che la uccise spezzandola in due.»
«Che cos'è la nascita segreta?» domandò Leofric. Ash ascoltò la risposta nella sua testa, ma non ripeté nulla lasciando crescere l'attesa. Voleva che la risposta le facesse capire anche le domande a venire. Non disse nulla. La voce cominciò a parlare nella sua testa. «Il desiderio di avere un 'altra persona che fosse in grado di ascoltare la voce del Golem di Pietra anche a chilometri di distanza in modo da poter continuare la guerra, spinse l'amir Radonic a far accoppiare Ildico, che al tempo aveva trent'anni, con il terzo golem, quello che aveva ucciso sua figlia. Questo è conosciuto come l'accoppiamento segreto e la nascita di due gemelli, un maschio e una femmina, prese il nome di nascita segreta.» Ash aveva borbottato la risposta perché quei fatti erano troppo stupefacenti per riuscire a rimanere zitta. Borbottò un'altra domanda sopra le parole che continuavano a fluire nella sua mente, il tutto sotto lo sguardo attento e indagatore di Leofric. «L'amir Radonic desiderava un'altra schiava adulta che potesse comunicare con il Golem allo stesso modo di Radegunda, qualcuno simile a un generale dei Giannizzeri turchi, un al-shayyid che avrebbe potuto sconfiggere senza problemi gli insignificanti re taifa che governavano l'Iberia. Malgrado le torture su di loro e sulla madre, i due gemelli di Ildico non erano in grado di sentire la voce del Golem di Pietra. Ildico confessò di aver dato a Radegunda la sacra reliquia del profeta Gundobad, affinché la figlia la inserisse nel terzo golem per farlo parlare e muovere come gli uomini. Ma fu proprio tale conoscenza che indusse il Golem a uccidere Ildico e poi a saltare da una torre per fracassarsi al suolo. E questa è la morte segreta: le uniche testimonianze che rimasero del miracolo operato dal profeta e dal Rabbi furono il secondo Golem di Pietra e i figli di Ildico.» L'amir Leofric strinse con forza le mani di Ash che lo fissò dritto in volto. L'uomo stava annuendo e aveva gli occhi umidi di pianto. «Non ho mai pensato di poter ottenere due successi» spiegò con semplicità. «Ti parla, vero?» «Le cose che mi ha detto sono successe duecento anni fa, cosa successe dopo?» chiese Ash. In quel momento sentì una sorta di sentimento di comunione con l'amir: ora comprendeva il desiderio di conoscenza del nobile visigoto. I due sedevano come dei vecchi compagni sul bordo del letto.
«Radonic» spiegò Leofric «fece accoppiare i gemelli e i loro figli. Non era un uomo che registrava attentamente tutto ciò che faceva. Dopo la sua morte, Hildr, la sua seconda moglie e Hild, la figlia, cominciarono ad annotare minuziosamente tutto ciò che succedeva. Hild era la mia trisnonna. Suo figlio Cilderico e i suoi nipoti Fravitta e Barbas continuarono il programma di accoppiamento. Come ben saprai a mano a mano che il nostro impero si ingrandiva a Cartagine confluirono molti profughi, ma anche moltissime conoscenze scientifiche. Fravitta costruì i golem comuni circa nell'anno 1390; Barbas li presentò al califfo-re Ammianus e da allora divennero popolari in tutto l'impero. Il figlio più giovane di Barbas, Stilico, fu mio padre il quale instillò in me la consapevolezza della necessità di un successo. Il mio successo nacque quattro anni dopo la caduta di Costantinopoli. E poi sei arrivata tu» terminò Leofric, pensieroso. È più vecchio di quello che sembra. Ash si rese conto che il Visigoto doveva avere tra i cinquanta e sessant'anni. Il che vuol dire che è cresciuto sotto la minaccia rappresentata dalla Turchia. Devo fargli una domanda. «Perché il vostro generale non ha attaccato il sultano e i suoi bei?» «Il Golem di Pietra ha detto che era meglio cominciare con una crociata contro l'Europa, e devo dire che sono d'accordo con lui» rispose Leofric, in tono assente. Ash batté le palpebre e aggrottò la fronte. «Attaccare l'Europa sarebbe il modo migliore per sconfiggere i Turchi? Ah, andiamo! È una follia!» Leofric la ignorò. «Sarebbe filato tutto alla perfezione se non fosse per questo freddo...» Si interruppe. «La Borgogna è un punto strategico, dopodiché rivolgeremo la nostra attenzione alle terre del sultano, sempre se Dio lo vorrà. Sempre che Dio conceda a Teodorico di vivere ancora per qualche tempo. Non mi è mai stato particolarmente avverso» rifletté a voce alta l'amir «le cose non vanno molto per il verso giusto da quando si è ammalato e Gelimero è diventato suo consigliere: tuttavia la crociata è un successo e non può fermarla...» Ash attese per qualche secondo e quando vide che l'amir aveva rialzato la testa disse: «Il Crepuscolo Eterno è arrivato fino al Nord. Io ho visto il sole sparire.» «Lo so.» «Voi non ne sapete niente!» Ash alzò la voce. «Non ne sapete più di me!» Leofric si spostò con cautela sul bordo del letto. Qualcosa si mosse tra i suoi abiti e dopo qualche attimo un ratto femmina dal pelo blu mise fuori il
naso dall'abito e si arrampicò velocemente lungo la manica dell'amir. «Certo che lo so!» sbottò Leofric. «Ci sono volute generazioni per arrivare a una schiava che potesse sentire la voce del Golem di Pietra senza impazzire. E adesso ho l'opportunità di averne due.» «Adesso vi dirò cosa penso, amir Leofric. Non credo che voi abbiate bisogno di un altro generale schiavo. Non credo che abbiate bisogno di un altro faris, di un'altra figlia guerriera che possa parlare con la macchina e non importa quanto tempo ci avete impiegato a ottenerne una.» Allungò un dito verso il ratto, ma il roditore che era impegnato a pulirsi il pelo la ignorò. «Supponiamo che io senta la vostra macchina tattica. E allora, amir Leofric?» Ash parlò con molta attenzione. Stava cominciando a vederci chiaro e si stava riprendendo. Aveva subito ferite peggiori di quelle che le avevano inferto. «Potete offrirmi un posto al vostro fianco per combattere per conto del califfo-re. Io accetterei e girerei la giubba appena arrivata in Europa: voi e lui lo sapete bene. Ma questa non è la cosa importante. Non è ciò di cui avete bisogno!» Si sentì pervadere dal bisogno di parlare onestamente. Si guardò intorno e vide i tre ragazzini. Ho parlato come se non ci fossero, pensò Ash. Tornò a concentrarsi su Leofric che nel frattempo si stava passando una mano tra i capelli. Avanti, ragazza, pensò Ash. Cosa ne faresti di lui se dovessi arruolarlo nella tua compagnia? Intelligente, discreto, senza remore morali nell'infliggere dolore alla gente: gli daresti cinque marchi e lo arruoleresti immediatamente! E sicuramente non è rimasto amir tanto a lungo senza essere un intrigante. Non di certo in questa corte. «Cosa stai dicendo?» Leofric sembrava stupito. «Cosa significa questo freddo, Leofric? Perché fa freddo a Cartagine?» I due si fissarono in silenzio per un minuto abbondante, ma Ash si accorse di un cambiamento impercettibile nell'espressione del suo interlocutore. «Non lo so» disse Leofric. «Già, e non siete l'unico. L'ho capito dal modo in cui ve ne andate in giro spaventati a morte.» Ash sogghignò. «Fatemi indovinare. Il freddo è arrivato con l'inizio dell'invasione?» Leofric schioccò le dita e il più piccolo degli schiavi, la ragazzina, corse a prelevare il ratto, lo strinse teneramente tra le braccia e si avviò con pas-
so malfermo verso la porta. Un altro ragazzino prese un ratto maschio che si stava lisciando i baffi ansioso di potersi accoppiare con la femmina. Leofric fece un cenno allo scriba e questi uscì. «Se sapessi il motivo all'origine di questo tempo me lo avresti detto per avere salva la vita. Lo so. Non sai nulla.» «Forse so qualcosa» disse Ash, risoluta. Sentiva il sudore che si condensava nelle ascelle. «Può essere qualcosa che ho visto. Io ero presente quando il sole è scomparso!... Potrei dirvi...» «No.» L'amir si puntellò il mento con un dito e la fissò. Ash sentì una morsa che le stringeva il plesso solare e la paura che le mozzava lentamente il fiato. Non adesso! pensò. Non adesso che sono riuscita a farlo parlare con me... No, proprio no. «Siete ancora in guerra, l'ho capito mentre arrivavo» disse in tono fermo. «Anche se avete ottenuto una vittoria, non è quella definitiva, giusto? Io posso darvi informazioni molto importanti sulle truppe di Carlo di Borgogna. Voi e il califfo-re pensate che io sia un faris, un generale mago, ma vi state dimenticando che sono stata al soldo di Carlo. So quali sono le forze di quell'uomo. «È semplice» aggiunse prima di pentirsi «cambierò schieramento a patto di avere salva la vita. Non sarò la prima a farlo.» «No» disse l'amir Leofric. «No, non sei la prima. Potresti dettare quello che sai al Golem di Pietra e non dubito che mia figlia troverà tali informazioni molto utili, anche se un po' sorpassate dagli ultimi avvenimenti.» «Così vivrò?» chiese Ash con gli occhi colmi di lacrime. L'amir la ignorò. «Lord-amir!» urlò Ash. «Anche se avessi sperato di avere un altro generale, forse per guidare il nostro esercito a est, non potrei mai averlo sotto questo califfo-re, non con Gelimero che parla in continuazione contro di me. Comunque» continuò Leofric «tutto ciò mi dà un'opportunità che non mi sarei mai aspettato di avere prima della fine della crociata. Tu non mi sei utile quanto mia figlia, quindi puoi essere dissezionata per scoprire l'equilibro degli umori127 del 127
La teoria medievale degli umori sosteneva che la salute di una persona era determinata dall'equilibrio tra gli umori sanguigni (secco) i collerici (caldo) i flemmatici (umido) e il melanconici (freddo) del corpo. Le malattie derivavano dalla predominanza di questi elementi sopra gli altri.
tuo corpo e se ci sono differenze nel tuo cervello che ti permettono di parlare con la macchina.» La fissava con uno sguardo talmente neutro da far venire i brividi. «Ora potrò scoprire se questo è il caso. Ho sempre sezionato gli insuccessi. Visto che non mi sei più utile, adesso potrò vivisezionare uno dei miei successi.» Ash lo fissò e pensò di aver capito male. No, si disse, hai sentito benissimo quello era latino medico puro e semplice. Vivisezionare vuol dire 'dissezionare, mentre ancora in vita'. «Non potete...» Il suono dei passi oltre la porta la fece scattare in piedi e si afferrò alla manica di Leofric mentre anche lui si alzava. L'amir si divincolò prontamente. L'arif Alderico entrò nella stanza, strinse le mani dietro la schiena e cominciò a parlare rapidamente. Ash era troppo scossa per capire cosa stava dicendo. «No!» Leofric avanzò a grandi a passi alzando la voce. «È tutto qua?» «L'abate Muthari ha dato l'annuncio e ha ordinato di pregare, digiunare e fare penitenza, mio amir» disse Alderico con l'aria di un uomo che doveva ripetere il messaggio più lentamente, come se l'amir non avesse capito. «Il califfo-re, possa egli vivere in eterno, è morto mezz'ora fa a causa di un attacco apoplettico nelle sue stanze. Nessun dottore è riuscito a riportarlo in vita. Teodorico, il nostro califfo-re, è morto.» Stupefatta, ma per ragioni diverse, Ash apprese la notizia, ma non si sentì preoccupata. Cosa può essere per me il califfo-re? Si inginocchiò sul letto e la tunica di lana le scivolò via dal corpo. Strinse un pugno. «Leofric!» L'amir la ignorò. «Cosa ne sarà di me, Leofric!» «Tu?» Leofric aggrottò la fronte e la guardò da oltre la spalla. «Già. Tu... Alderico! Chiudila in una delle stanze per gli ospiti e falla sorvegliare.» Ash strinse anche l'altro pugno ignorando il capitano visigoto che la prendeva per un braccio. «Dimmi che non mi ucciderà!» L'amir Leofric ordinò agli schiavi di portargli i suoi abiti da corte, quindi tornò a concentrarsi su Ash. «Pensalo come un rinvio, se ti fa piacere. Dobbiamo eleggere un nuovo califfo-re il che vuol dire che sarò impegnato per qualche giorno.» Sorrise.
«Si tratta solo di una pausa prima di cominciare le mia esplorazione su di te. Le usanze dicono che io posso iniziare il mio lavoro subito dopo l'ascesa al trono del successore di Teodorico. Non pensare che io sia un barbaro, figliola. Non si tratta di una tortura per festeggiare l'evento. Tu hai idea del contributo che apporterai ai miei piani?»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash: — (Pierce, Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#165 (Anna Longman) Ash/ testi/ scoperte archeolgiche 20/11/00 ore 10,47 a.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
È tutto FERMO. A causa di alcuni problemi con le autorità locali c'è stato vietato di continuare con gli scavi. Non riesco a CAPIRE come possa essere successo! Sono terribilmente frustrato all'idea di non poter fare nulla. Pensavo che stamattina si fosse risolto tutto quando Isobel è tornata ed era ottimista. Pensavo che fosse ricorsa a canali ufficiosi e avesse unto qualcuno con del denaro. È tornata con il colonnello........, che sembrava molto gioviale e ha promesso l'aiuto dei suoi uomini per i lavori pesanti qualora fosse stato necessario. Ma oggi pomeriggio non era ANCORA successo niente a causa di alcune difficoltà poco chiare. Sono preoccupato, sembra che ci sia qualcosa di più del solito patronato e nepotismo, ma Isobel è stata troppo occupata e non sono riuscito a chiederle delle spiegazioni. Tuttavia c'è del buono, anche se poco: questa situazione mi permette di lavorare sul 'Fraxinus'. Il latino medievale è notoriamente ambiguo e questo scritto è più ostico di altri. Sto finendo la traduzione in fretta e furia! Sto apportando i ritocchi finali all'ultima sezione. Poiché siamo criptati non posso dirti nulla riguardo al sito. Qua abbiamo uno stupendo letamaio. Siamo di fronte a una montagna di rifiuti. Isobel afferma che il lavoro dell'archeologo consiste in gran parte nello scavare tra gli escrementi delle altre persone, solo che lei non usa la parola 'escrementi'. Tutto è ricoperto da edifici a due piani costellati di antenne televisive della periferia e non ti verrebbe mai da pensare che questo è il sito dove un tempo sorgevano degli insediamenti romani e cartaginesi. Anche l'acquedotto romano è sparito quasi del tutto, ma quando stamattina ho fatto una passeggiata sulla spiaggia per guardare l'alba con il vento freddo che mi carezzava il viso, mi sono reso conto che la maggior parte dei 'ciottoli'
rotondi e consumati sotto i miei piedi erano effettivamente pezzi di marmo romano e cartaginese. Alcuni di essi potrebbero anche essere pezzi di un golem, privati di forma dopo secoli di permanenza nel mare. Rocce senza nome. Non sappiamo quasi nulla. Il sito di Cartagine è stato scoperto solo alcune decadi fa, prima esisteva solo una porzione di costa con nulla che potesse indicare che un tempo in quel luogo era sorta una città. Non conosciamo neanche quello che sembra certo. Bosworth Field ha il suo centro d'accoglienza per i turisti, ma quello potrebbe anche non essere il campo sul quale si è svolta la battaglia (qualcuno assicura che sì svolse vicino Dadlington piuttosto che Market Bosworth). Scusami sto divagando. No, non del tutto. Sono tornato al campo e tutto era avvolto nei teli di poliuretano blu. Le scatole grigie dei PC sono state riportate nei carri. Non c'erano né uomini né donne con la giacca a vento e il sedere per aria, che toglievano la polvere dai reperti con un pennellino. In quel momento ho pensato che Isobel fosse proprio la persona giusta per quel lavoro. Lei vuole SCOPRIRE le cose e io voglio SPIEGARLE. Io ho bisogno di avere una spiegazione razionale di come funziona l'universo. Io ho bisogno di una spiegazione razionale anche per la costruzione 'miracolosa' dei golem. Il freddo marmo non ci fornisce nessuna spiegazione. Andrew, il nostro archeologo specializzato in metallurgia, sta studiando le giunture di metallo, ma non è riuscito a ottenere nessuna risposta. Come è possibile dimostrare che quei golem hanno camminato dai segni sulla pianta del piede? COME SI MUOVEVANO? In che modo la mia traduzione del 'Fraxinus' può aiutare gli archeologi? La storia di un Rabbi fautore di miracoli e un rapporto sessuale tra una donna e una statua! So di aver dichiarato che la verità si può evincere dalla storia. Beh, a volte mi sembra tutto così impenetrabile e oscuro! Ho visto degli uomini armati lungo il perimetro del sito e mentre li superavo pensavo che la mente dei militari ha una spiegazione molto razionale sul funzionamento dell'universo... solo che è una spiegazione che forma un angolo di novanta gradi perfetti con quella vera. Isobel mi ha appena detto che ci sono dei 'fatti' che stanno accadendo nel retroscena della politica locale; dobbiamo essere 'pazienti'. Fino a oggi abbiamo trovato diverse suppellettili casalinghe, l'elsa di una daga e un pezzo di metallo che potrebbe essere un cerchietto per i capelli.
Io partecipo alle discussioni e sostengo la mia teoria di una cultura germanica piuttosto che una cultura araba. La squadra è d'accordo con me. Ho bisogno che gli scavi riprendano. Ho bisogno di prove per supportare quanto scritto nel 'Fraxinus'. Se non lasciano che la squadra si rechi sul sito al più presto, l'esercito può entrare nel campo e riempire le nostre tende di morti: io stesso potrei essere trovato morto, ucciso con il mio computer portatile! Stiamo andando fuori di testa quaggiù, e fa CALDO. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#169 (Anna Longman) Ash, l'allevamento del Rattus Norvegicu 20/11/00 ore 10,47 a.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati Ms Longman — e password irrecuperabile In attesa di riprendere i lavori, colgo il suggerimento del mio collega, il dottor Ratcliff, che mi ha mostrato la traduzione che sta compiendo per la sua casa editrice, e le scrivo. Mi ha suggerito di farlo perché ho una certa conoscenza sulla genetica e l'allevamento dei ratti. Io e Pierce abbiamo passato qualche ora a discutere di questo e ora anche lui è ben informato, mi ha suggerito di scriverle personalmente visto che ne ho il tempo. Lei sarà sicuramente al corrente che nelle ultime quarantotto ore abbiamo avuto dei problemi qui al sito e al momento posso fare ben poco se non aspettare e osservare le autorità militari che camminano sopra cinquecento anni di storia. Fortunatamente la maggior parte dei ritrovamenti sono sotto la sabbia il che evita gran parte dei danni. L'unico vantaggio che riesco a vedere in questa situazione è che il governo ha interdetto lo spazio aereo sopra il sito e questo impedisce agli altri media di poterci spiare. Eccettuate alcune foto sfocate prese dai satelliti, la documentazione della spedizione è affidata alle mani capaci del mio team con le videocamere . Se le cose torneranno alla normalità nelle prossime ventiquattro ore, come ha promesso il ministro..., allora sarò troppo impegnata per fornire
assistenza a lei e a Pierce. Il mio contributo è veramente piccolo; forse una nota a pie di pagina degna di attenzione... Alcuni anni fa cercavo un hobby per rilassarmi e cominciai ad allevare una particolare varietà di Rattus Norvegicus, il ratto marrone. Tale varietà è conosciuta come ratto di razza, e io sono stata membro sia della società americana sia di quella inglese per il ratto di razza. Il mio allora marito, Peter Monkham, era un biologo: non siamo mai stati molto d'accordo sull'utilità della vivisezione, anche se i suoi motivi per ottenere la licenza per vivisezionare dovessero sicuramente essere validi per lui. Le geremiadi di Peter sulla condizione degli animali liberi in natura (per lui le loro vite erano sporche, brutali, e terminavano brevemente perché essi non erano altro che un anello nella catena alimentare) mi servivano a convincermi che i miei animali in cattività stavano più che bene. Leggendo la traduzione di Pierce in cerca di alcune tracce per meglio comprendere le scoperte fatte, sono rimasta molto colpita nello scoprire che alcune delle mutazioni genetiche del Rattus Norvegicus che conosciamo ai giorni nostri, esistevano già nell'Africa del quindicesimo secolo. Infatti io sapevo che l'unica varietà di Rattus Norvegicus conosciuta nel Medioevo, fosse il Ratto Nero, quello asiatico.(Il Rattus Rattus è il roditore che tutti associano alla Peste Bubbonica.) Io credevo che il Rattus Norvegicus fosse arrivato in Europa dall'Asia nel diciottesimo secolo. Quello descritto nel Fraxinus è senza ombra di dubbio il Ratto Marrone. Se Pierce me lo permette, io potrei usare queste scoperte per un breve foglio illustrativo sulle migrazioni delle diverse varietà di ratti. Il 'Fraxinus' lascia intendere che tali varietà fossero arrivate nell'Africa del Nord importate dai commercianti. Il latino del testo è abbastanza esplicito da permettermi di riconoscere diverse varietà! Potrei spiegare che il pelo marrone o aguti del ratto selvatico è effettivamente colorato a bande. Ogni pelo marrone ha una sfumatura grigio-blu alla base, il resto del pelo è costellato da peli neri. Degli accoppiamenti selettivi possono aver dato luogo in principio a delle colorazioni di pelo diverse che, in seguito e con grandi sforzi, sono state riprodotte. Il pelo con dei precisi colori può essere riprodotto, anche se, giusto per darle un'idea della difficoltà, il locus H, quello che controlla il disegno, può essere modificato dando origine a ben sei diverse varietà: il ratto crestato, il Berkshire, l'Irlandese, etc. Inoltre bisogna anche considerare i poligeni! La difficoltà non è creare un ratto con un colore particolare, ma fare in
modo che quel colore si ripeta. Due ratti possono essere uguali esteriormente, ma il loro bagaglio genetico può essere del tutto diverso. L'allevamento dei ratti consiste nell'isolare alcune caratteristiche genetiche, senza perdere le peculiarità della razza come la forma degli occhi, delle orecchie o della testa etc... e creare una linea particolare di ratti nei quali si ripeterà la caratteristica desiderata. Senza tenere una serie di appunti dettagliati di quali esemplari ho fatto accoppiare, sarebbe stato impossibile per me selezionare quali cuccioli impiegare per creare una specie. Per esempio, quello che nel 'Fraxinus' è descritto come il ratto blu, è un ratto fatto nascere in modo che avesse una sfumatura blu su tutto il pelo. Sono delle creature esotiche e molto carine, anche se (come spiegato nel testo) i primi tentativi si rivelarono degli insuccessi a causa dell'insorgere di malformazioni. Qualunque sia l'allele che porta il gene per 'scolorare' il pelo aguti, è anche quello che ha le probabilità più alte di portare il gene che dà origini a malformazioni nell'apparato genitale e a un pessimo carattere. I ratti blu erano soliti mordere, mentre, di solito, i Rattus Norvegicus sono curiosi e amichevoli. Un ratto blu vero e proprio è quindi prodotto facendo accoppiare quegli esemplari che non hanno problemi di ordine fisico o caratteriale. Nel 'Fraxinus' sono anche menzionati i ratti gialli e marroni. Questo tipo di ratto è conosciuto come Siamese e ha un gene in comune con il gatto siamese (infatti, esistono topolini e conigli definiti siamesi); il pelo è giallo chiaro eccetto per il naso, le zampe e il posteriore che sono marrone scuro. La descrizione del 'Fraxinus' è ottima. Posso anche spiegare i ratti con gli occhi di diversi colori: il colore nero è quello naturale, quello rosso è segno di albinismo. (Il grigio e il bianco sono chiamati 'segno di lince' nel topo di razza americano.) Gli esemplari di cui si parla nel testo sembrano essere dei mosaici, da un punto di vista genetico sono l'esatto opposto dei gemelli. I gemelli hanno origine da una separazione della stessa cellula uovo, mentre i mosaici sono due cellule uovo che si fondono. Tale fusione può produrre un ratto con il pelo di due colori, con occhi di colore diverso, o in alcuni casi, di due sessi diversi. Dato che la fusione è casuale non si possono ricreare 'a comando', quindi non sono considerati ratti di razza. A giudicare dalle altre descrizioni, il pelo del ratto mosaico era anche 'rexed' (succede quando non crescono più i peli più rigidi e il manto diventa soffice). Una volta ho allevato io stessa una linea di reali, essendo essi dei re die-
di a ogni esemplare il nome di un Plantegeneta (i miei re preferiti); un ratto dal pelo particolarmente morbido che io ho chiamato 'John' mi fece capire, grazie al suo carattere, come mai abbiamo avuto solo un re con quel nome. Il topo del 'Fraxinus' è particolarmente interessante se non si tratta di un rex, poiché nessun allevatore di ratti di razza è ancora riuscito a creare un esemplare dal pelo vellutato, solo delle pelli vellutate o setose. Devo ammettere che in questo caso i Nord Africani del quindicesimo secolo ci hanno superati! È un fenomeno assolutamente spiegabile perché l'allevamento dei ratti ha avuto origine nel ventesimo secolo (sebbene ci fossero delle nobildonne dell'epoca vittoriana che li tenevano in gabbiette per gli uccelli) . È molto probabile che la nostra cultura si sia concentrata di più sulla selezione dei cani e dei gatti piuttosto che su quella dei ratti a causa della loro pessima reputazione. Comunque, oggi ci sono dei genetisti dilettanti che lavorano sul Ratto Marrone, e mi sembra incoraggiante, per non dire strano, scoprire che stiamo solo riscoprendo tutte le diverse varietà di questo animaletto tanto intelligente, delizioso e giocherellone. Mi sono addentrata in questi dettagli perché mostrano la chiara mancanza di naturalezza del pensiero medievale. Le nostre scoperte creano un alone di fascino intorno al manoscritto di Pierce, ma io sono quasi PIÙ interessata a quello che ci fa capire della mentalità di quelle persone, che erano in grado di annotare, concepire la teoria dell'ereditarietà genetica e compiere ESPERIMENTI in quel senso, molto prima del Rinascimento e della rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo. Certo, si sa che nello stesso periodo iniziarono gli allevamenti selettivi di cani e di cavalli e nei mulini e nelle macchine da guerra medievali si possono vedere i prodromi di una rivoluzione industriale; ma, per la produzione, per esempio, di un ratto siamese, ci vuole una mente incline alla speculazione scientifica e all'osservazione dei particolari e in una società brutale e inumana, facile preda delle superstizioni e stretta in fortissimi vincoli teologici, come quella d'allora, simili ricerche erano davvero notevoli. Se avesse bisogno di altre informazioni mi scriva all'indirizzo di cui sopra. Sono ansiosa di vedere pubblicato il lavoro di Pierce. Potrà interessarle sapere che, visto l'aiuto che mi sta dando, sono d'accordo nel permettergli di pubblicare tutti i dettagli delle nostre scoperte che possano essere ricollegati alla vicenda di Ash.
— Con affetto, Napier-Grant —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#99 (Pierce Ratcliff) Ash, progetti con i media 21/11/00 ore 11,59 a.m Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Ho appena ricevuto la lettera del tuo dottor Isobel. Non ho capito molto. E i *ratti*, eurrghh! John mi ha fatto vedere le foto dei golem. Sono STUPENDE! Anche il mio direttore, Jonathan Stanley ne è rimasto molto colpito. Sta mettendo in contatto il produttore di una televisione indipendente che conosce molto bene perché è il padrino di suo figlio. Ora devo andare a parlare con quelli dei media e spiegare loro che questo Schliemann trovò Troia basandosi sulle descrizioni di un poema. Credo di potercela fare, ma questo procurerebbe altri problemi a te o alla dottoressa Napier-Grant. So che non avete il tempo, adesso. Non mi piace che abbiate dei problemi con le autorità locali. Mi sto innervosendo. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#173 (Anna Longman) Ash 20/11/00 ore 02,01 p.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Ho qualcosa che ti potrà far divertire e calmare mentre aspettiamo. Iso-
bel ha riletto la mia traduzione del 'Fraxinus' e, visto che in questo momento non abbiamo nulla di meglio da fare, abbiamo cercato di elaborare una spiegazione scientifica e razionale riguardo la capacità di Ash e del faris di parlare con il Golem di Pietra. Abbiamo deciso di provare a mettere nel sacco Vaughan Davies! La nostra teoria è più o meno questa... Per quello che ne sappiamo, gli esseri umani non possono parlare con la pietra e quando ciò succede si grida al miracolo. È anche chiaro che nel nostro mondo non possono esistere dei computer tattici di pietra e rame. Quindi questa teoria graverà sulla costruzione dei vari "golem di pietra' da parte del Rabbi di Praga e dei discendenti di Radonic. Va da sé che anche tali opere devono essere considerate dei miracoli! Io e Isobel ci siamo divertiti a giocare con i vari *e se*. La nostra teoria parte da una supposizione: *e se* la capacità di compiere miracoli fosse GENETICA? *E se* esistesse un gene in grado di far compiere miracoli? *E se* questa capacità di fare miracoli si basasse su dei presupposti scientifici e non su delle superstizioni, come funzionerebbe? È chiaro che si tratterebbe di un gene recessivo. Se fosse dominante tutti sarebbero in grado di compiere miracoli. Probabilmente, deve essere un gene recessivo legato a qualcosa di pericoloso nello stesso allele o nucleo... Isobel mi faceva notare che i ratti blu avevano delle difficoltà a figliare, quindi una mutazione spontanea nel ratto blu avrebbe interrotto quella linea. Non si vedono molti ratti blu in natura ed effettivamente non ce ne sono stati molti in circolazione fino al momento in cui gli allevatori cominciarono a interessarsi al Rattus Norvegicus. Immaginiamo allora che questo supposto gene 'dei miracoli' sia frutto di una mutazione molto rara e quindi le persone nate con questa capacità siano diventate profeti o capi religiosi. Cristo, Gundobad, lo sconosciuto profeta dei Visigoti, i santi principali e grandi visionari e veggenti delle altre culture. Essi non sarebbero in grado di passare con successo il loro gene ai figli, ma questo rimarrebbe nel patrimonio genetico della loro stirpe come gene recessivo. Isobel ha letto la storia della casata dei Leofric come descritta nel 'Fraxinus' e, cosa a cui non avevo pensato, crede che sia il Rabbi di Praga, che la schiava di nome Ildico fossero in grado di compiere miracoli perché ne possedevano il gene. Il Rabbi poteva costruire un computer di pietra per giocare a scacchi. Ildico, discendente di Gundobad, conservava parte del talento del suo ante-
nato ed era in grado di concepire una bambina da un uomo di pietra, ma non di compiere coscientemente dei miracoli. Sua figlia, Radegunda, era in grado di compiere il miracolo di parlare a grandi distanze con il computer e costruire lei stessa un golem (ma, date le circostanze del suo concepimento era incline all'instabilità fisica e mentale). I discendenti di Radegunda e Ildico avrebbero portato in loro il potenziale per compiere miracoli, ma ci sarebbe voluto un lungo programma di accoppiamenti selettivi per creare un'altra Radegunda. Visto che non c'era nessun fautore di miracoli ad aiutare la loro famiglia, i Leofric devono aver impiegato due secoli per raggiungere i loro scopi. (La moralità di tali azioni è un altro argomento, ma non sembra certo aver preoccupato Leofric e i suoi antenati.) Sia il faris che Ash possiedono il gene dei miracoli e in loro tale abilità sembra dominante. In Ash non sembra presente fin dalla nascita. L'elemento scatenante che le ha permesso di cominciare a 'scaricare dati' dal Golem di Pietra è stato l'avvento della pubertà. Ecco la teoria! È una vergogna che i miracoli non esistano. Beh, questi sono i passatempi che si concedono gli accademici durante i pomeriggi lunghi e freddi... Certo, i miracoli sono, per buona pace delle varie fedi, solo delle semplici superstizioni. Un miracolo è un'alterazione non scientifica del tessuto della realtà, quindi, impossibile per definizione. Questo genere di speculazioni sono molto interessanti, quando uno è seduto al freddo in una tenda militare (si è levata la nebbia dal mare) senza aver nulla da fare se non aspettare il permesso di riprendere gli scavi. Se questo ritardo durerà ancora a lungo, credo che io e Isobel cercheremo di creare una teoria su come 'un'alterazione non scientifica del tessuto della realtà' o 'miracolo' sia possibile. Non siamo più i 'Materialisti' del diciannovesimo secolo; i traguardi più alti raggiunti dalla fisica teoretica ci hanno insegnato che le nostre Leggi della Natura e il mondo che sembra apparentemente solido, probabilmente non sono altro che logica confusa, incertezze. Sì, ancora un paio d'ore e dovremmo riuscirci! Produrremo la Teoria Scientifica dei Miracoli, di Ratcliff-Napier-Grant. Comincia a pregare affinché i politici della zona cambino idea e noi possiamo riprendere un'attività vera e propria! Spero che ti sia divertita. — Pierce
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#102 (Pierce Ratcliff Ash, i manoscritti 23/11/00 ore 03,09 a.m Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Pierce, ho trovato qualcosa per te! Stasera ho preso parte a una cena di lavoro. Mentre bighellonavo per la festa, ho incontrato una mia amica, Nadia, ti ho già parlato di lei. Nadia ha una libreria a Twickenham, è uno di quei negozi indipendenti che stanno sparendo rapidamente per lasciare posto alle grandi catene in cui tutto è il benvenuto tranne il cliente. (Quando le ho chiesto cosa ci facesse alla festa mi ha risposto: 'Il negozio era pieno di gente: dovevo scappare!') Comunque, c'è stato lo sgombro di una casa da qualche parte nell'East Anglia, e Nadia ha fatto un'offerta durante un'asta per diverse casse di libri. In una di queste c'era una copia integra di 'ASH: UNA BIOGRAFIA DEL QUINDICESIMO SECOLO' di Vaughan Davies. Nadia sospetta che lo sgombro sia avvenuto nella casa di Davies o di uno dei suoi parenti. Le ho chiesto di scoprirlo e lo farà domani mattina. Non ho avuto tempo di leggere i libro (siamo corse al suo negozio e sono appena arrivata a casa!) ma lo farò mentre lo scannerizzo per te. Devo spedirlo adesso? — Con affetto, Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#174 (Anna Longman) Ash, scoperte archeologiche 22/11/00 ore 07,32 a.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Sì. SÌ. Scannerizzalo e spediscilo IMMEDIATAMENTE! Bel colpo. Una copia del libro di Vaughan Davies dopo tutto questo tempo. Ti rendi conto di quello che significa, Anna? Per favore, di' alla tua amica di prendere contatto immediatamente con quelli che si sono occupati dello sgombro. Potrebbero esserci degli INEDITI. So che il mio lavoro sta soppiantando quello di Davies, ma, dopo tutto questo, anche solo per soddisfare la mia curiosità, voglio conoscere la parte mancante dell'introduzione. Voglio conoscere la sua teoria. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#175 (Anna Longman) Ash, scoperte archeologiche 23/11/00 ore 09,24 p.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
FERMATE LE ROTATIVE! (Ho sempre voluto dirlo.) Qua al sito non è ancora successo niente, ma domani, venerdì, ci spostiamo! Isobel ha ricevuto una comunicazione radio dal battello della spedizione che sta scandagliando il fondale a nord di Tunisi, tra capo Zebib e Rass Engelah, intorno a Bizerta (e il lago di Bizerta, un braccio di mare chiuso a sud della città). Ci sposteremo sul sito marino, mentre il capo di Isobel vedrà di risolvere i problemi qua. Sembra che non sia molto sicuro immergersi in quel tratto di mare, ma le telecamere dei robot hanno ripreso delle immagini interessanti. Ti dirò qualcosa appena potrò. — Pierce
SETTIMA PARTE 7 SETTEMBRE - 10 SETTEMBRE AD 1476 Macchine e marchingegni I Ash fu fatta uscire dalla stanza e quasi trascinata lungo il corridoio dal capitano visigoto. I soldati aprivano loro la strada tra la folla di liberti e schiavi: tutto il personale della casa era in subbuglio. Ash camminava incespicando. Li ho traditi tutti senza neanche pensarci! Tutto pur di rimanere viva... pensò. Si rese conto che qualcuno la stava sollevando di peso per immergerla in una tinozza piena d'acqua calda. Gli schiavi intorno a lei si affrettarono a prendere spugne e sapone. «L'acqua deve essere più calda possibile. Il massimo che riesce a sopportare» disse un ragazzo grasso parlando in italiano, mentre le toglieva le bende al ginocchio. La sua voce echeggiò nella stanza leggermente ovattata dai teli profumati che delimitavano il perimetro del cubicolo. Le finestre avevano le inferiate e le porte erano sbarrate. «Cosa le avete fatto, arif Alderico?» «Non perdete più tempo del necessario, dottore» disse Alderico, scuotendo la testa. «È una di quelle dell'amir. Le rimangono pochi giorni di vita.» Ash, che continuava a sentirsi intontita, alzò gli occhi. Due donne si chinarono sulla tinozza e cominciarono a lavarla con spugne e sapone. I loro collari erano uniti da una catena lunga un metro abbondante. Ash avrebbe voluto fermarle per potersi godere il vapore dell'acqua e rilassarsi. Cominciò a sentire le lacrime che si formavano sotto le palpebre. Pensavo di essere più coraggiosa. Sentì delle voci accompagnate dal tintinnare dei bicchieri e dalla risata di una donna provenire da uno degli altri cubicoli che si trovavano nella sala. «Non importa quello che le farete dopo, adesso deve mangiare. E bere!» L'Italiano pizzicò il dorso della mano di Ash e lei osservò la pelle che rimaneva alta per qualche attimo. «È... conosco solo il termine latino, disi-
dratata. Asciutta.» Alderico si tolse l'elmo e si asciugò la fronte. «Allora la nutriremo e la faremo bere. Meglio che non muoia, per il momento. Nazir!» Il soldato uscì per impartire gli ordini. Qualcuno spostò i teli e Ash vide che nelle altre tinozze c'erano delle coppie che mangiavano e bevevano su dei vassoi di legno. Uno schiavo suonava uno strumento a corda. «Non dovresti curarmi» protestò Ash, parlando in italiano. In quello stesso momento si rese conto che il medico non era Visigoto. Lo stupore le fece dimenticare la brutta situazione in cui si trovava. Davanti a lei c'era un uomo grasso che sudava copiosamente, con i capelli neri e radi che indossava un farsetto rosso e pantaloni. Egli annuì, come se volesse porgerle una domanda. «Noi siamo un appannaggio di tutti, madonna; dottori e preti passano liberamente i confini anche in tempo di guerra» disse il dottore con un marcato accento milanese. «Perché non dovrei curarti?» le chiese arcuando le sopracciglia. Perché non me lo merito, si rispose Ash tra sé e sé. Ash si guardò la pelle secca e marrone. Immerse le mani e lasciò che il calore dell'acqua le penetrasse nel corpo rilassandola. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto si fosse raffreddata. Sentì che il dolore per tutte le percosse subite tornava a galla, ma se lo sentiva voleva dire che era ancora viva. Avrei potuto tradirli... potrei ancora farlo... ma non l'ho fatto. Si tratta solo di buona sorte!... Chiamala Fortuna. È il caso. Si tratta solo di giorni. Due, tre, quattro giorni, forse. È solo fortuna. Non sopporto di essere tanto indifesa. Datemi anche solo l'ombra di una possibilità e io la sfrutto. La fortuna aiuta gli audaci. «Perché?» insistette l'Italiano, interrompendo le sue riflessioni. «Non fate caso a quello che dico, dottore» rispose Ash. Le schiave incatenate posarono un'asse sulla tinozza e uno schiavo portò un piatto e una caraffa dal collo stretto. Ash si raddrizzò, tolse il tappo dalla caraffa e la inclinò riversando nel piatto una cascata di carne, di verdura calda e luccio giovane, il tutto aromatizzato con vino speziato. Il profumo era tanto forte da rischiare di farla vomitare. Un attimo dopo la nausea era scomparsa sostituita da una sensazione che conosceva fin dall'infanzia: fame. Prese con attenzione un pezzo di carne e lo masticò cautamente in modo che il sapore del sugo si spandesse su tutta la lingua. «Ash» si presentò.
«Annibale Valzacchi.» Il medico buttò via le bende bagnate e cominciò a palpare il ginocchio. Ash emise un grugnito di dolore con la bocca piena di cibo. «Dio è stato buono con noi, madonna» esclamò l'Italiano. «Cosa fai nella vita? Tiri l'aratro?» Ash si leccò le dita e fissò il cibo fumante facendo ricorso alla sua forza di volontà per aspettare prima di ricominciare a mangiare. «Il califfo-re, il vecchio, è morto» disse improvvisamente Ash. Si aspettava che Annibale Valzacchi negasse tutto o le chiedesse cosa intendesse dire. C'era il rischio che lei avesse male interpretato la notizia, forse si trattava solo di un suo delirio, ma, con sua somma sorpresa, l'Italiano annuì pensieroso. «Cause naturali» confermò Valzacchi. «Beh, insomma... Una coppa di belladonna a Cartagine è considerata una 'causa naturale'!» La morte di un potente faceva sempre insorgere il sospetto di un omicidio. «In ogni caso era troppo malato per vivere a lungo, giusto?» si limitò a domandare Ash. «Cancro. Cartagine è piena di dottori, chirurghi, medici, preti perché il califfo-re cercava una cura, non importa quale. Ma, non c'è nessuna cura per quella malattia: è la volontà di Dio.» Dio o la Fortuna, pensò Ash. Non sempre ho pregato prima di una battaglia, aggiunse con un brivido di meraviglia che sfumò in un umorismo secco e mordace. Perché non farlo anche adesso? «Vorrei vedere un prete verde. È possibile averne uno?» «Penso di sì, questo amir non è un fanatico religioso. Tu non sei Italiana, vero, madonna? No. Nella mia stessa casa vivono tre preti inglesi, conosco un Francese, un Tedesco e ce n'è uno che dovrebbe arrivare dal FranceComté o dalla Savoia.» Valzacchi passò a esaminare le spalle di Ash tastandone le irregolarità con mano esperta. Sembrava quasi che stesse esaminando una bestia tenuta nelle stalle. «Che strano, madonna» le disse. «Dallo sviluppo dei muscoli di questo braccio direi che sei stata addestrata all'uso della spada.» Ash sorrise in parte meravigliata e in parte deliziata e, per la prima volta in quindici giorni, sorrise. Tornò a immergersi nell'acqua calda e profumata passando un dito sul bordo del collare. «Come fate a dirlo, dottore?» «Mio fratello Giampaolo è un condottiero. Io iniziai ad addestrarmi con lui, finché non scoprii che la medicina civile è molto meno pericolosa e sicuramente più remunerativa. Questo è il tipico sviluppo muscolare di una
persona destra che usa una spada o un'ascia da guerra.» Ash ridacchiò e si passò una mano umida sulla bocca. Le mani del dottore smisero di esaminarle le spalle. Quel tocco le aveva restituito qualcosa: il suo corpo e il suo spirito. Posò le mani sulle ginocchia e guardò il riflesso sull'acqua. Vide la guancia sfregiata e si accorse che era appena riconoscibile con i capelli tagliati. Non mi riconoscerebbero, pensò stupita. Quello che è successo rappresenta il passato, ho lasciato troppa gente per arrendermi adesso, ho delle responsabilità. Sapeva che stava pensando a delle spacconate, ma sapeva anche che se trattate nella giusta maniera tali spacconate si sarebbero potute trasformare in coraggio. «Sì» confermò più a se stessa che per il dottore. «Sono stata anch'io un condottiero.» Annibale Valzacchi prese a fissarla con un'espressione che era un misto di paura, superstizione e disgusto. Sembrava dire: 'una donna?'. «Non posso rifiutare una richiesta di conforto religioso» disse, scrollando le spalle. «Penso che un prete militare sia quello che più ti si addice. Il Tedesco. Abbiamo un prete militare tedesco, padre Maximillian.» «'Padre Maximillian'.» Ash si girò e fissò il medico dritto negli occhi. «Dottore, sai se il suo nome... Gesù! Sai se il suo nome è Godfrey, Godfrey Maximillian?» Non vide più Annibale Valzacchi per circa ventiquattr'ore, o almeno lei valutò che fosse passato tutto quel tempo. Un manipolo di uomini che appartenevano alla squadra di Alderico la scortarono fino al suo alloggio che si trovava nel cuore di un labirinto di corridoi e stanze lasciandola in compagnia di una schiava. La stanza era più piccola di una tenda da campo ed era arredata solo con un lettino. La finestra, una fessura profonda e priva di vetri con le sbarre a metà in modo che nessuno potesse arrampicarsi dall'esterno e guardare dentro, le fece capire che le pareti erano molto spesse. La stanza era fredda. «Posso avere del fuoco?» Ash cercò di farsi capire dai servitori che parlavano un cartaginese rapido e gutturale che per lei era incomprensibile. Pronunciò tutti i sinonimi della parola fuoco che conosceva. L'unica che la capì fu una donna dalla corporatura robusta che portava delle coperte intorno ai fianchi e scosse la testa. Uno dei ragazzi più giovani in compagnia della donna disse qualcosa: sembrava una protesta. Il
ragazzo la fissò e Ash notò le rughe intorno ai suoi occhi scuri. «Posso avere altri vestiti?» Ash strinse un lembo del vestito di lino leggero che le era stato dato prima di uscire dal bagno. «Altri vestiti? Più caldi?» La ragazzina che aveva visto nella stanza le disse: «Perché? Noi non li abbiamo.» Ash annuì lentamente. Le persone presenti nella stanza erano scalze e, tranne la ragazzina che indossava solo una tunica di lino sottile, portavano delle coperte sopra i vestiti. «Ecco.» Ash prese la coperta dal letto e l'avvolse intorno alle spalle della ragazzina. «Prendila. Hai capito? Puoi tenerla.» La ragazzina fissò la donna che lasciò passare qualche secondo, quindi annuì. L'espressione corrucciata della bambina scomparve sostituita da un'aria indifesa e confusa. Ash infilò un dito nel collare e lo fece sporgere oltre il bordo del colletto. «Sono come voi» disse. «Non c'è differenza tra di noi. Loro possono fare, quello che vogliono di me.» «Schiava?» chiese la donna con voce secca. «Sì, una schiava.» Ash attraversò la stanza, afferrò il bordo della finestra e si issò per guardare fuori. Il ghiaccio brillava sul granito rosso e sulle sbarre. Non si vedeva nulla, era tutto buio. «Fa freddo» disse. Sorrise agli schiavi. Si batté il corpo con le braccia e si soffiò sulle dita. «Ogni volta che lord Leofric si siede, il suo culo si raffredda come il nostro!» La ragazzina rise, il ragazzo sorrise e la donna scosse la testa e un dito. Aveva un'aria spaventata. Fece uscire il personale, ma la ragazzina e il ragazzo si attardarono. «Cosa succede?» Ash indicò fuori con un gesto esageratamente ampio. «Cosa?» Il ragazzo disse una parola che lei non comprese. «Cosa?» domandò Ash, aggrottando la fronte. «Acqua.» «Quanto... in basso?» Il ragazzo allargò le mani con un sorriso mesto sulle labbra. «Acqua. Giù. Molto giù.» Emise un verso disgustato e si toccò il petto con l'aria di chi è sicuro di farsi capire. «Leovigild.» «Ash» rispose lei, imitando il gesto del giovane. Indicò la ragazzina e arcuò le sopracciglia.
La bambina smise di guardare la coperta e alzò gli occhi. «Violante.» «Perfetto.» Ash sorrise e si sedette sul letto infilando i piedi sotto i lembi del vestito per scaldarli. Il freddo le addensava il fiato. «Parlatemi un po' di questo posto.» Portarono il cibo e Ash lo condivise con Leovigild e Violante. La ragazzina mangiò avidamente continuando a parlare e a tradurre per il ragazzo come meglio poteva. Ash sapeva bene che i servitori sapevano tutto di tutti. Cominciò a farsi un'idea chiara della pianta della casa e di come si svolgeva la vita nella Cittadella. La donna tornò nella stanza e le portò due coperte consumate. Nelle ore che avrebbe dovuto dedicare al sonno, la fame la tenne sveglia, ma non fu tutto inutile. Ash prese a fissare il cielo e a mano a mano che la vista si abituava al buio cominciò a scorgere dei puntini luminosi: Formault, il Capricorno e la Capra. Tutte costellazioni estive in una notte invernale. Non c'è la luna, pensò. Forse siamo nel periodo di luna nera. Non ho contato i giorni... Tornò al letto guidandosi con una mano appoggiata alla parete, si sedette, si avvolse nelle coperte e incrociò le mani sulla pancia. Tremava, ma questa volta era solo per il freddo. Diciamo che mi rimangono tre giorni. Forse quattro o cinque, no meglio tre: se non riesco a uscire da qua entro tre giorni sono morta. Ash sentì una voce maschile oltre la porta, ma era troppo ovattata per capire a chi appartenesse. Infilò rapidamente il foglio di carta e il carboncino nel corpetto del vestito. La chiave girò nella serratura. Posò le mani sulla porta di metallo. Sentì gli scatti del meccanismo e le sbarre che scivolavano all'interno delle due piastre metalliche. Arretrò. «Tornerò tra un'ora» disse l'arif Alderico. Non si stava rivolgendo a lei. La voce del militare sembrava stranamente carica di compassione. La luce che si trovava sopra la porta la costrinse a sbattere le palpebre per cercare di capire chi stesse entrando. La paura le mise lo stomaco a soqquadro. Una voce profonda e mascolina disse in tedesco: «Chiedo scusa, pensavo che...» non terminò la frase. L'uomo sulla porta indossava una tunica marrone con le maniche imbottite di pelo di martora sopra l'abito verde da prete. Forse erano le dimen-
sioni della tunica che facevano sembrare il corpo sproporzionato rispetto alla testa. No, pensò Ash mentre avanzava e fissava le rughe profonde intorno al bocca incorniciata dalla barba, ha il volto troppo magro. Le palpebre avevano un aspetto cadente che mettevano in evidenza gli occhi incavati. Sembra vecchio, pensò. «Godfrey?» «Non ti avevo riconosciuta!» «Sembri più magro.» Aggrottò la fronte. «Non ti avevo riconosciuta!» ripeté meravigliato Godfrey Maximillian. Sbatterono la porta e il rumore della serratura impedì loro di ascoltarsi per un minuto abbondante. Ash lisciò l'abito e si passò una mano tra i capelli corti. «Sono sempre io» disse. «Non mi hanno dato degli abiti da uomo. Non mi importa se mi vesto da donna. Lascia che mi sottovalutino, torna tutto a mio vantaggio. Gesù, Godfrey!» Fece un altro passo avanti. Voleva abbracciarlo, poi arrossì, lisciò il vestito e si limitò a stingergli le mani con forza. Aveva le lacrime agli occhi. «Godfrey! Godfrey!» ripeté. Sentì che le mani calde del prete tremavano dentro le sue. «Perché sei andato via?» «Ho lasciato Digione con i Visigoti per venire qua a spiare la corte del Califfo e scoprire la verità sulla tua voce. Ho pensato che fosse l'unica cosa che potevo fare per te...» Godfrey sudava, ma non le lasciò le mani per asciugarsi. «Era l'unica soluzione.» Le mani callose di Godfrey raschiavano contro la pelle delle sue e lei aumentò la stretta. Il vento che penetrava dalla finestra era sufficiente a sollevare i lembi del vestito. «Hai le mani fredde e sei gelata» disse Godfrey Maximillian. Le alzò le estremità, se le mise sotto le ascelle e per la prima volta da quando era entrato, la guardò negli occhi. Aveva le palpebre rosse e umide. Ash non riusciva a immaginare cosa potesse vedere il prete: qualcuno con un collare e i capelli tagliati corti. Ash non poteva sapere fino a che punto la fame le avesse scavato il volto e quanto la mancanza della sua folta chioma evidenziasse le orecchie, gli occhi e gli sfregi. Ash sentì le mani che si scaldavano. «Cosa ci è successo?» gli domandò. «Sai qualcosa del Leone?» «Io... non so nulla. Sono partito due giorni prima della battaglia. Pensavo...»
Godfrey si allontanò e si passò le mani sulla faccia e la barba. Le parole che si erano detti a Digione incombevano ancora su di loro. Ash sentì il calore del corpo del prete, alzò la testa provando come sempre il bisogno di fissarlo in volto. Questa volta non vide un'espressione angosciata, ma il volto che, visto i pochi specchi esistenti a quell'epoca, conosceva meglio del suo e una mente di cui poteva dire di conoscere la maggior parte, se non tutte, le debolezze. «Quando la nave ha attraccato in porto» esordì Godfrey, brusco «la battaglia era stata combattuta da dieci giorni. Posso dirti solo quello che sanno tutti: il duca Carlo è ferito, il fior fiore della cavalleria burgunda giace morta nei campi fuori Auxonne... ma Digione resiste. Credo che ci sia qualcuno che stia combattendo. Ma nessuno sa niente delle compagnie mercenarie. Il Leone Azzurro ha una certa notorietà a causa del suo comandante donna, ma a nessuno a Cartagine importa se sono stati massacrati o se hanno cambiato bandiera schierandosi con il faris o sono scappati a gambe levate: a tutti importa che la vittoria è stata loro. «Ci ho provato» terminò Godfrey. Ash strinse i pugni. No, pensò, se lo abbraccio io sarò l'unica a trarne beneficio. Lui mi desidera. Merda. Merda. «Sei sempre venuto in mio aiuto. A santa Herlaine e Milano.» Una lacrima le solcò la guancia. Alzò una spalla e vi strusciò sopra la guancia per asciugarla, dopodiché tornò a fissarlo. «Tu pensi di volermi, ma non è così. Lo capirai anche tu. Aspetterò, Godfrey, non ho nessuna intenzione di perderti. Ci conosciamo da troppo tempo e ci vogliamo troppo bene.» «Tu non sai quello che voglio» rispose brusco il prete. Godfrey si allontanò liberandole le mani. Ash lo fissò con calma mentre camminava su e giù per la stanza. «Io brucio. Non è il Verbo che dice che è meglio sposarsi che bruciare?» le chiese, fissandola dritta negli occhi. «Tu ami quel ragazzo, cos'altro c'è da dire? Mi perdonerai, capita a tutti gli uomini, ma quando sono più giovani. È la prima volta che ho provato il desiderio di rinunciare ai miei voti.» Fece uno strano verso ovattato e Ash si rese conto che si trattava di una risata. «C'è una cosa che ho imparato ascoltando le confessioni di uomini che amano in segreto, a volte lo fanno per così tanto tempo che quando il loro amore è corrisposto non sanno più cosa fare. Non credo che sarei molto diverso da loro.» Lascia che lo pensi, si disse Ash. Almeno si consola. Non devo abbracciarlo. Non riuscì a trattenersi, lo raggiunse e lo abbracciò posando le mani
sulla schiena. «Merda, Godfrey! Non hai idea di cosa voglia dire per me vederti qua. Non hai idea.» Il prete la strinse per un attimo facendole posare la testa sul suo petto dove Ash cercò di dimenticare tutto tranne l'odore e la voce di quell'uomo e la storia che condividevano, dopodiché l'allontanò. Mentre si staccavano, Godfrey le toccò il collare. «Non ho scoperto nulla riguardo la tua voce. Ho fallito. Ho speso tutti i soldi che avevo portato con me.» Un lampo divertito attraversò gli occhi di Godfrey. «Se non ci sono riuscito io a ottenere delle informazioni, chi altro può farlo, figliola? Ho corrotto tutte le persone possibili, so tutto riguardo quello che succede fuori di questa...» indicò la casa in cui si trovavano con un cenno del mento barbuto «... ma non so niente di quello che succede dentro.» «Io so tutto quello che succede qua dentro. So anche molto sulla mia voce. Ti hanno perquisito quando sei entrato?» «La tua voce?» «Ti spiego tutto più tardi: è una faccenda molto complicata. Si tratta del Golem. Io credo che Leofric mi voglia per...» Imparare, pensò, ma non disse nulla. Non si rese conto che sul suo volto era apparsa un'espressione sofferente che Godfrey aveva registrato prontamente continuando però a rimanere silenzioso. «Ti hanno perquisito?» «No.» «Potrebbero farlo quando esci. Però non possono perquisirti il cuore. Guarda, Godfrey.» Cominciò a slacciare il corpetto, esitò un attimo, si girò, terminò il lavoro e prese il carboncino e il pezzo di carta. «Ecco. Questo è quello che io credo sia la pianta della casa.» Godfrey Maximillian si sedette sul letto e indicando la carta e il carboncino. «Dove li hai presi?» «Dalla stessa fonte che mi ha fornito le informazioni. Una bambina. Una schiava, si chiama Violante.» Ash fece in modo che i lembi della gonna le finissero sotto i piedi per cercare di tenerli al caldo. «Io le do parte del mio cibo e lei ruba delle cose per me.» «Sai cosa le succederebbe se la scoprissero?» «Potrebbe essere frustata o uccisa» disse Ash «è una casa di pazzi. So quello che sto facendo, Godfrey e so che la bambina non lo sa, ma ne va della mia vita.» Girò il foglio stropicciato sul lato ancora bianco. «Dai, fammi vedere cosa c'è qua fuori.» Il prete non disse nulla e lei lo fissò.
«Mi hanno fatto entrare solo perché dovevo darti l'estrema unzione» le disse il prete. «So che sei stata condannata a morte. Quello che ancora non so è perché e cosa posso fare al riguardo.» Ash deglutì, annuì, e si passò il dorso del polso sugli occhi. «Ti dico che c'è tempo. Dai, fammi vedere cosa c'è qua fuori.» Il religioso afferrò il carboncino e con un tratto molto delicato tracciò una U squadrata. «Sei sul promontorio centrale che si spinge nella baia. Ci sono dei moli qua e qua...» tracciò delle X su ogni lato della U «... e delle strade che portano alla Cittadella sulla collina.» «La distanza?» «Quasi un chilometro rispetto all'entroterra. La scogliera è alta e ripida. Tre o quattro furlong128 ?» borbottò il prete tra sé e sé. Disegnò un'altra forma allungata che occupava il capo opposto della U. «Questo è il posto dove ci troviamo: la Cittadella. Ha una cinta di mura.» «Ricordo. Ci sono passata quando mi hanno portata qua.» Tracciò con un dito una linea che andava dalla X che indicava il porto fino al rettangolo che incoronava la U. «La cinta muraria circonda tutta la Cittadella?» «Sì ed è sorvegliata costantemente. Questo lato del muro è a strapiombo sul mare. Ci sono delle strade che collegano la Cittadella alla città. Cartagine si trova qua e qua...» Aggiunse un forma simile a quella di un palmo con tre dita. Ash capì che si trattava della baia e degli altri due promontori. La città, secondo il disegno di Godfrey, sorgeva su un lato dei promontori. «Il mercato è qua, dove la strada esce dalla città in direzione di Alessandria.» «Dov'è il Nord?» «Qua.» Fece un segno. «Verso il mare129 .» 128
Misura di lunghezza pari a 201, 17 metri (N.d.T.). La Cartagine visigota descritta nel 'Fraxinus' non sembra essere in contrasto con le scoperte archeologiche. L'orientamento secondo i punti cardinali è leggermente sfasato rispetto a quello vero e proprio, ma è un tipo di discrepanza che si verifica sovente tra le cronache e i ritrovamenti archeologici. Infatti, c'erano due grosse baie oltre l'istmo: una ospitava il porto commerciale e l'altra quello militare. Erano ciò che rimaneva della Cartagine libico-fenicia. Lo stesso discorso vale per la Byrsa, una cittadella fortificata all'interno della città stessa, le cui strade erano molto ripide. Vicino a questo sito originale, la Cartagine romana aveva le cisterne per l'acqua, gli acquedotti, le terme, un anfiteatro e molti altri segni di una civiltà molto avanzata. Anna, quella che ho riprodotto è una 129
«Va bene...» Alzò il foglio di carta in modo che fosse illuminato dal Fuoco Greco che ardeva dentro la boccia di vetro sopra la porta e impresse quella cartina nella memoria. «Da quello che posso capire guardando le stelle» disse con aria pensierosa «la finestra è orientata a nord. Non c'è niente tra qua e il mare, giusto? Sono sul limite. Merda! Ci voleva tanto.» Girò il foglio. «Ho parlato con delle persone. Questo credo che sia la pianta di questa casa.» Indicò un quadrato vuoto. «Nel punto in cui ti hanno fatto entrare c'è un piano terra costruito intorno a un cortile: quelli sono gli appartamenti dell'amir, della sua famiglia e dei suoi leccapiedi.» «È grosso.» Godfrey sembrava meravigliato. Ash evidenziò con dei segni neri gli angoli del quadrato. «Queste sono quattro scalinate. Portano ai piani superiori e inferiori della casa. Alloggi degli schiavi, cucine e dispense. Le stalle si trovano al piano terra, il resto è sotto. Violante mi ha detto che ci sono dieci piani scavati nella roccia viva. Io credo di trovarmi al quinto piano inferiore. A ogni piano le scale danno accesso a quattro serie di sale e stanze. Le rampe non si intersecano.» Terminò facendo una croce su un angolo. «Questo è l'ala nord-ovest, dove siamo adesso, mentre Leofric si trova in quella a nord-est.» Buttò a terra il carboncino e si sedette contro la parete. «Merda, non mi piacerebbe affatto prendere questo posto con la forza.» Fissò Godfrey Maximillian con la coda dell'occhio e nel vedere l'espressione chiusa del prete disse: «No, non sono pazza, è solo una deformazione professionale.» «Non sei pazza» concordò il religioso «ma sei diversa.» Ash non disse nulla per tre o quattro secondi. Il corpetto della tunica le faceva dolere il seno. «È questo?» Godfrey le toccò il collare. «Questo? No.» Ash alzò la testa. «Questo è il mio lasciapassare per uscire di qua.» «Non capisco.» pianta approssimativa della Cartagine dei giorni nostri e quella che suppongo potesse essere la pianta della Cartagine visigota del XV secolo. Ho incluso una nuova baia (che, come le zone della Cartagine romana, e quelle di Leptis Magna, può essere stata ricoperta dalla sabbia). Ho evinto l'esatta posizione della Byrsa, la collina fortificata del XV secolo, grazie a congetture basate sulle prove fornitemi dal testo. Pierce.
«L'amir Gelimero mi ha fatto un favore.» Ash strinse le dita intorno al metallo. Non sapeva cosa potesse vedere Godfrey. «Se non hai questo sei un prigioniero, un ospite, qualcuno che si nota. Con questo... Alderico ti ha portata quaggiù...» «Alderico?» «Il soldato.» Ash prese a parlare più rapidamente. «Quello che ti ha portato qua. Sicuramente ti sarai accorto che la casa è piena di schiavi con i miei stessi capelli. Se riuscissi a uscire da questa stanza mi confonderei in mezzo a loro e nessuno mi troverebbe. Sarei solo una delle tante donne senza volto che portano il collare.» «Io dico che ti stai cercando un sacco di guai» commentò Godfrey. «Deus vous garde 130 . No. Non dire nulla.» «Lo farò.» «In questa casa ci sono troppo soldati.» «Lo so. Devo uscire e scappare. Solo per pochi minuti. È una possibilità.» Sorrise con aria furba. «So che le probabilità di riuscita sono pochissime, Godfrey, solo che non posso smettere di provarci. Devo uscire da questo posto e tornare indietro.» Smise di parlare perché l'emozione le incrinava la voce. Fece scivolare un dito lungo il bordo del letto fino al pavimento sconnesso. «Questo posto è molto vecchio...» Il Fuoco Greco illuminava ogni angolo della piccola stanza: le piastrelle rosa e nere, il bordo smussato della finestra e i bassorilievi appena accennati sulle pareti che ritraevano melograni, palme e uomini con le teste d'animali. Qualcuno aveva inciso un nome vicino al pavimento, ARGENTIUS, con un attrezzo acuminato. Di sicuro non con il cucchiaio di legno che mi portano quando mi danno da mangiare, pensò Ash. «Non mi hanno lasciato neanche un coltello da tavola» si lamentò. «La cosa non mi sorprende» disse Godfrey, secco. «Sanno chi sei.» Ash scoppiò a ridere. «Così diversa, ma così uguale.» Godfrey allungò una mano per toccarle i capelli, quindi tornò a posarla sulla croce che portava al petto. «Se non fosse che quel capitano ti conosce bene, ti avrei dato il mio abito e il cappuccio per farti uscire di qua. Si sa che questo trucco funziona di solito.» «Non per quello che prende il tuo posto» rispose Ash acida. La risata del prete la stupì. «Cosa succede, Godfrey?» «Niente» rispose sincero. «Non c'è da stupirsi che io sia rimasto al tuo fianco fin da quando avevi undici anni.» 130
'Dio vi protegga'.
«Mi uccideranno» disse Ash. Godfrey cambiò immediatamente espressione. «Mi rimangono quarantott'ore, al massimo. Stanno eleggendo il nuovo califfo-re, com'è la situazione là fuori...?» «Caotica. È carnevale» la informò Godfrey, scrollando le spalle «e ci sono solo le guardie della milizia cittadina per mantenere l'ordine. Mentre cercavo di ottenere delle informazioni ho scoperto che gli amir si sono ritirati nelle loro case protetti dai loro soldati.» Ash batté un pugno sul palmo della mano. «Devo farlo adesso! Non puoi farmi uscire in nessun modo da qua? Non riesci a farmi arrivare in strada anche solo per un minuto?» «Sarai sorvegliata.» «Non posso mollare proprio adesso.» Il volto del religioso assunse un'espressione dura, ma Ash non riuscì a comprenderne il motivo. Godfrey si guardò le dita robuste e quando, pochi attimi dopo, parlò, la sua voce tradiva una certa agitazione. «Tu non ti arrendi mai, Ash. Hai calcolato che ti rimangono due giorni, ma potrebbero essere solo poche ore, meno: i Visigoti potrebbero entrare da quella porta in qualsiasi momento.» Lanciò una breve occhiata alla stretta apertura nella parete che fungeva da finestra. La luce della cella era così intensa che non si poteva vedere niente di ciò che si trovava oltre l'inferriata, solo l'oscurità. «Sai che potresti morire, Ash? Nessuno te l'ha mai insegnato? Non c'è niente che ti faccia soffrire?» Sta cercando di dirmi qualcosa, pensò Ash, mentre sopprimeva la propria ira. «Non mi sto illudendo. Sì, è molto probabile che muoia.» Avvolse le mani in una piega della gonna di lana. Il freddo la faceva tremare. Dei passi echeggiarono nel corridoio oltre la porta e svanirono lontani. «Io non sono altro che un prete istruito» disse Godfrey. «Sai che pregherò Nostra Signora, i santi e rivolterei il Cielo e la terra per liberarti. Ma ti ingannerei su tutta la linea se non cercassi di farti comprendere che potresti essere morta prima di avere il tempo di mondare la tua anima. Quando è stata l'ultima volta che ti sei confessata? Prima di Auxonne?» Ash aprì la bocca e la richiuse. «Non ricordo» disse dopo qualche attimo. «Davvero, non ricordo. È importante?» Godfrey fece una risatina acuta, un suono che le ricordò quello che Leofric usava per vezzeggiare i ratti. Il religioso si passò una mano sul viso e quando tornò a fissarla la sua espressione era più rilassata. «Perché? Perché mi devo preoccupare? Sei un'infedele, figliola. Lo sappiamo tutti e
due.» «Scusa» rispose Ash, contrita. «No.» «Mi dispiace di non poter essere una brava Cristiana per te.» «Non me l'aspetto. I rappresentanti di Dio sulla terra non sono sempre degli agnellini.» Godfrey inclinò la testa di lato per ascoltare un rumore quindi si rilassò nuovamente. «Sei giovane e non hai né amici né parenti, per non parlare di titoli o possedimenti. Io ti ho osservata bene, figliola e ho capito che la molla che ti ha spinto a sposarti con Fernando del Guiz è solo una: la lussuria. Ogni tuo legame umano è sancito dal denaro e termina alla fine del contratto. Per questo non ti sei mai legata a Nostro Signore. Io ho pregato che tu avessi il tempo di invecchiare e ripensarci.» Un urlo secco e prolungato risuonò contro le pareti della cella. Ash ci impiegò qualche secondo per capire che non era vicino e che si trattava di un eco rimbalzato contro le scogliere della baia. «Carnevale, hai detto?» «Un carnevale sfrenato.» Ash passò il carboncino sulla carta con aria pensierosa cancellando la pianta, dopodiché appallottolò il foglio, si inginocchiò, lo lanciò fuori dalla finestra e nascose il carboncino a un'estremità del lettino. «Godfrey... Quanto tempo ci vuole prima che un feto abbia un'anima?» «Alcuni studiosi parlano di quaranta giorni. Altri sostengono che l'anima è entrata nel bambino quando la madre lo sente muoversi. Santa Maddalena» recitò in tono piatto «... è successo?» «Ero incinta quando arrivai qua, ma mi hanno picchiata e ho perso il bambino. È successo ieri.» Guardò fuori dalla finestra. «No, l'altro ieri.» Il prete le strinse le mani e lei le fissò. «I figli nati da un incesto vivono nel peccato?» Godfrey aumentò la presa. «Incesto? Come può essere stato incesto tra te e tuo marito?» «No, non si tratta di Fernando. Sono io.» Ash fissò la pareti di fronte a lei. Non aveva il coraggio di guardare il prete. Girò le mani nella stretta del prete e insieme si sedettero con la schiena appoggiata al muro. «Io ho una famiglia» gli spiegò Ash. «L'hai vista anche tu, Godfrey. Il faris e gli schiavi di questa casa. L'amir Leofric li alleva... ci alleva... come se fossimo delle vacche. Fa accoppiare le madri con i figli e i padri con le figlie. La sua famiglia compie questi accoppiamenti da tempo immemore. Se avessi dato alla luce un figlio sarebbe stato il frutto di centinaia di ince-
sti.» Si girò a osservare il volto di Godfrey. «Non sei sconvolto? Beh, io sì. Mio figlio» aggiunse in tono pragmatico «avrebbe potuto essere deforme. Un mostro. Anzi, in base allo stesso ragionamento anch'io potrei essere un mostro. Non si tratta solo della mia voce. Non è detto che una malformazione debba essere per forza visibile per esistere.» Il prete distolse lo sguardo e Ash si accorse per la prima volta da quando lo conosceva che aveva delle ciglia molto lunghe. Sentì la mano che le doleva, abbassò lo sguardo e vide che Godfrey gliela stava stringendo al punto da farsi sbiancare le nocche. «Come...» Godfrey tossì. «Come sai che è così? Come hai fatto a scoprirlo?» «Me l'ha detto l'amir Leofric» disse Ash. Attese che Godfrey tornasse a fissarla. «E l'ho anche chiesto al Golem di Pietra.» «Hai chiesto...» «Leofric voleva sapere se mentivo riguardo la voce. Così gli ho parlato. Se gli dicevo alcune cose voleva dire che ero in grado di sentire la voce della macchina.» Ash abbassò l'altra mano e la usò per liberarsi dalla stretta di Godfrey. «Egli ha allevato un generale in grado di sentire la sua macchina» proseguì Ash «e adesso non ne ha bisogno di un altro.» «Iesu Christus Viridianus, Christus Imperator 131 » disse Godfrey e abbassò lo sguardo. Ash notò che i polsini della tunica erano consumati e che il dimagrimento del prete era in parte da attribuire alla fame: un povero prete che abitava in qualche casa di Cartagine che doveva dipendere da dottori come Annibale Valzacchi per le cure e le informazioni e queste ultime avevano sempre un prezzo. «Godfrey, tu ottieni sempre una risposta quando preghi?» gli chiese. La domanda lo scosse. «Sarebbe molto presuntuoso dirlo.» Ash sentiva che il freddo, anche se parzialmente mitigato dallo spessore delle pareti, le stava irrigidendo il corpo. Si spostò. «Questa» disse Ash, toccandosi una tempia «non è la Comunità dei Santi. Speravo che lo fosse, Godfrey. Sai che speravo fosse san Giorgio o qualche altro santo guerriero a parlarmi?» Un accenno di sorriso increspò la bocca del religioso. «Supponevo che lo sperassi.» «Anche se è molto probabile che sia frutto di un miracolo, la voce che sento non è quella di un santo, ma di una macchina. Sempre che il profeta 131
'Cristo Verde, Cristo Imperatore'.
Gundobad fosse veramente un profeta di Dio.» Fissò Godfrey con uno sguardo interrogativo e senza dargli il tempo di rispondere disse: «E quando la sento, non ascolto.» «Non capisco.» Ash diede un pugno al lettino. «Non si tratta solo di ascoltare. Quanto ti ascolto non devo fare altro. Non ho bisogno di sforzarmi...» «Spesso mi sono accorto che non mi ascolti» disse Godfrey, facendola infuriare. Sorrise per scusarsi. «Volevi dirmi altro?» «La voce.» Ash fece un gesto carico d'impotenza. «È come se tirasse una corda, o... forse non lo capirai, ma in combattimento tu puoi indurre qualcuno ad attaccarti in un certo modo a secondo di come ti posizioni e tieni l'arma. Dal modo in cui ti muovi... puoi offrire un'apertura nella tua difesa, l'avversario ne approfitta ed è in mano tua. Non ci ho mai fatto caso perché avevo sempre posto solo una o due domande prima di combattere, ma Leofric mi ha fatto ascoltare il Golem di Pietra a lungo. Io faccio qualcosa quando ascolto la voce, Godfrey. Offro un... varco.» «Ci sono atti di omissione e atti di commissione.» Godfrey sembrava di nuovo essersi perso nelle sue elucubrazioni. Improvvisamente lanciò una rapida occhiata alla porta e abbassò il volume. «Quanto ne potresti guadagnare dal rivolgerti alla macchina? Ti potrebbe aiutare a uscire?» «Molto probabilmente potrebbe indicarmi dove si trovano le guardie.» Ash fissò Godfrey. «Ho parlato con gli schiavi, quando Leofric vuole delle risposte di natura tattica dalla macchina, chiede e riceve la risposta.» «E continuerebbe a parlare con te?» Scrollò le spalle. «Forse, sempre che si 'ricordi' di me. Devo stare attenta a Leofric, è furbo. È molto probabile che abbia pensato a questa opportunità. Se è così sono fregata. Forse hanno cambiato i piani e hanno intenzione di picchiarmi fino a farmi svenire così non posso chiedere nulla.» Godfrey Maximillian le prese la mano e si girò in direzione della porta. «Gli schiavi non dicono sempre la verità.» «Lo so. Se devo...» Ash fece un gesto che servisse a spiegare quello che stava pensando. «Prima di chiamare, dovrei prima fare alcune domande. Prima di tutto chiederei come mai fa tanto freddo. L'amir Leofric non sa rispondere ed è spaventato.» «Tutti lo siamo...» «Esatto. Credo che si tratti di qualcosa legato alla crociata, comunque neanche loro si aspettavano questo freddo. Non si tratta del Crepuscolo Eterno è qualcosa di diverso.»
«Forse sono i giorni che precedono il giudizio universale...» Dei passi pesanti echeggiarono nel corridoio. Godfrey Maximillian balzò rapidamente in piedi lisciandosi la tunica. «Cerca di farmi uscire» gli disse «Se non ricevo tue notizie al più presto, allora proverò a mettere in pratica quello che nel frattempo avrò escogitato.» Le mani forti del prete l'afferrarono per le spalle e la fecero inginocchiare. La porta della cella si aprì e l'arif Alderico non vide nulla di sospetto. Godfrey si fece il segno della croce, prese quella che portava al collo e la baciò con devozione. «Ho un'idea, ma non ti piacerà. Absolvo te 132 figliola.» Il nazir che accompagnava Alderico non era Teodiberto, né uno degli uomini che componevano la sua squadra. L'arif si fece da parte e i soldati scortarono fuori Godfrey Maximillian. Ash osservò la scena impassibile. «Dovresti stare più attenta a quello che dici, ragazzina franca» la riprese l'arif Alderico. Il soldato mise una mano sulla porta e anziché di chiuderla la portò di fronte a sé e si girò per guardare Ash. «È un consiglio da amico.» «Primo» rispose Ash allungando le mani «cosa ti fa credere che io non pensi che ci sia qualcuno che mi ascolti in continuazione? Secondo: pensi che mi importi così tanto di quello che potresti andare a riferire al tuo lordamir? È pazzo. Terzo: non vedo di cosa dovrei preoccuparmi visto che ha intenzione di torturarmi.» Cercò di finire la frase portando i pugni sui fianchi e sporgendo il mento in fuori in modo da sembrare risoluta, malgrado la debolezza e la fame di quei giorni. L'arif sembrava a disagio. C'era qualcosa in Ash che lo disturbava e lei ci impiegò qualche secondo a capire che si trattava della contraddizione evidente che c'era tra i suoi abiti tipicamente femminili e il modo di porsi nei suoi confronti. «Dovresti stare più attenta» ripeté testardo il Visigoto. «Perché?» L'arif Alderico non rispose. Si avvicinò alla finestra, si sporse oltre il granito rosso del davanzale e fissò il cielo. Una zaffata d'aria maleodorante entrò nella cella dalla baia. «Hai mai fatto qualcosa di cui ti vergogni ancora adesso, ragazza fran132
La formula completa sarebbe 'Ego te absolvo' e veniva usata dai preti per perdonare i peccati.
ca?» «Cosa?» Ash fissò le spalle del soldato e si rese conto che continuava a essere a disagio. Un brivido le fece rizzare i peli delle braccia. Dove vuole arrivare? si chiese. «Ti ho chiesto se hai mai fatto qualcosa di cui ti vergogni ancora adesso. Come soldato, intendo.» Si girò, la squadrò per bene. «Come soldato» ripeté con maggiore fermezza. Ash incrociò le braccia, represse la risposta sarcastica che le era venuta in mente e studiò l'uomo davanti a lei. Oltre alla divisa, l'arif indossava un giacca di pelo di pecora e i sandali erano stati sostituiti dagli stivali imbottiti. Al suo fianco pendevano una daga e una spada con la crociera stretta. La sua postura indicava che era troppo allerta per farsi sorprendere. «Tutti abbiamo qualcosa di cui vergognarci» rispose Ash, sincera. «E io non sono da meno.» «Vorresti dirmi di cosa si tratta?» «Perché...» Ash si interruppe. «Va bene. Cinque anni fa presi parte a un assedio di una cittadina ai confini con l'Iberia. Il nostro capo non voleva lasciar uscire i cittadini. Voleva che rimanessero dentro così si sarebbero mangiati anche le scorte di cibo dei soldati in modo che questi dovessero rinunciare alla difesa. Il comandante della guarnigione non la pensava allo stesso modo e li fece evacuare. I cittadini furono fatti scendere nel fossato. Così c'erano duecento civili in un canale vuoto tra due eserciti. Uno non voleva che rientrassero e l'altro non aveva intenzione di lasciarli andare via. Ne uccidemmo una dozzina prima di convincerli che dovevano stare fermi. La faccenda andò avanti per un mese. Morirono di fame e il puzzo era qualcosa di particolare anche per un assedio...» Tornò a concentrarsi su Alderico e si accorse di essere studiata con attenzione. «Questa è la storia che racconto a ogni aspirante mercenario di quattordici anni che pensa che il tutto si risolva montando in sella per caricare un nemico nobile» spiegò Ash. «Non credo che voi abbiate questo problema. La cosa che non dico e di cui mi vergogno sono i neonati. Il nostro comandante disse che non era giusto che andassero all'inferno senza essere battezzati quindi i civili ce li passarono, noi li facemmo battezzare dal prete del nostro campo e li restituimmo ai genitore nel canale.» Si posò le mani sulla pancia senza neanche rendersene conto. «L'abbiamo fatto. L'ho fatto. La cosa è andata avanti per settimane. Sapevo che stavano morendo di fame in stato di grazia... ma io continuavo a
farmi i fatti miei.» «Abbiamo dei quattordicenni nella leva della casa» disse il Visigoto, sorridendo per un attimo per poi tornare serio. «Il mio è in fanteria. Avevo più o meno la tua età, non di più. Il mio amir... il mio signore, come lo chiami tu, Leofric... mi diede un incarico nel recinto dove teneva i frutti degli incroci.» Ash era incuriosita. «I recinti per l'allevamento degli schiavi erano poco più grossi di questa stanza.» Alderico indicò la cella. «Il mio amir mandava me e la mia squadra a eliminare gli 'errori' del programma di accoppiamento quando avevano più o meno dodici o quattordici settimane.» L'arif si tolse l'elmo con un gesto brusco e si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte malgrado il freddo. «Eravamo la squadra addetta alle pulizie. Niente di quello che ho fatto nel corso di vent'anni di guerra, è stato tanto brutto quanto tagliare la gola dei neonati proprio qua» indicò con un dito la vena della gola «per poi gettarli fuori dalla finestra nell'acqua della baia come se fossero spazzatura. Nessuno metteva in dubbio l'operato del mio amir. La mia squadra eseguiva gli ordini.» Scrollò le spalle e la fissò. Ash ricambiò lo sguardo rendendosi conto che c'era una remota possibilità che l'uomo di fronte a lei l'avesse quasi uccisa vent'anni prima e che lui lo sapesse. «Allora» disse Ash, sorridendo «Leofric è pazzo già da tempo, giusto?» Vide l'espressione confusa che comparve sul volto dell'arif: era come se stesse cercando di convincersi che la donna di fronte a lui non poteva essere tanto ottusa. Alderico annuì. «Non è un bel modo di parlare di un uomo che potrebbe diventare califfo-re» la rimproverò. «Se eleggete Leofric vi meriterete tutto quello che vi succederà!» Ash portò una mano al collo sicura che la vecchia cicatrice bianca che Fernando del Guiz le aveva carezzato più volte quando erano a Colonia fosse visibile. «Ho sempre creduto che fosse il frutto di qualche incidente capitatomi nell'infanzia... Non si può dire che tu sia stato molto efficiente, arif Alderico. Mezzo centimetro più in profondità e io non sarei qua a parlarti, giusto?» «Non sempre funziona tutto a dovere» rispose Alderico, grave. «Tutti possono sbagliare.» Uno sbaglio. Solo un caso, pensò Ash.
L'idea la fece sudare. «Perché così giovani?» chiese improvvisamente Ash. «I bambini... non dovrebbero raggiungere l'età giusta per essere in grado di parlare con il Golem di Pietra?» Alderico la fissò con uno sguardo che Ash impiegò qualche secondo a decifrare. Ero lo stesso sguardo che i soldati riservavano ai civili che pensavano ai campi di battaglia come a dei luoghi nei quali si svolgevano dei massacri privi di raziocinio. «Non è necessario che sappiano parlare» le spiegò Alderico. «Leofric non scopre dai bambini se sanno comunicare o no con la macchina. I bambini sono tenuti in un'ala della casa; Leofric aspetta che siano abbastanza cresciuti per riuscire a distinguere il dolore dalla fame o dal disagio e dopo fa loro molto male... di solito ricorre al fuoco. I bambini urlano e allora lui chiede al Golem di Pietra se riesce a sentirli.» Cristo Santo! pensò Ash, che nel frattempo non aveva smesso di cercare un varco nella guardia di Alderico, ma quello di fronte a lei era un soldato molto esperto e non sarebbe riuscita a rubargli la spada o il coltello. Inoltre una vocina nella sua testa le stava dicendo che avrebbe fatto ben poco anche se fosse stata armata. «Anche se erano solo figli di schiavi» disse Alderico «io li sogno quasi ogni notte.» «Sì... mi hanno parlato di quel genere di sogni.» Tra i due si era svolta una sorta di comunicazione più sottile, che andava ben al di là delle parole che si erano detti. Ash aveva gli occhi lucidi e sfregò le mani sulle maniche di lana. «Ci hai mai fatto caso che i soldati hanno molte più cose in comune tra di loro che con i loro signori o amir? Non importa se appartengono a fazioni diverse!» Alderico portò la mano destra sul cuore. «Avrei voluto affrontarti sul campo, mia signora.» «Vorrei che tu potessi soddisfare il tuo desiderio» rispose Ash, inacidita. L'arif Alderico inclinò la testa all'indietro, rise di gusto e si avvicinò alla porta. «E mentre ci sei» aggiunse Ash «il cibo fa schifo, ma ne vorrei dell'altro.» Alderico sorrise e scosse la testa. «Devi solo chiedere, mia signora.» «Lo voglio.» La porta si chiuse alle spalle del soldato e dopo qualche attimo si spense anche l'eco della serratura lasciando ad Ash come sola compagnia il la-
mento del vento. Fuori, la pioggia gelida continuava a flagellare il granito rosso. «Comando, ma solo per il momento» mormorò Ash. Non poteva vedere le costellazioni, o udire la campana che avrebbe dovuto trovarsi nella cappella della casa o i passi fuori della cella. L'unico punto di riferimento per il tempo era il suono di un corno. La casa di Leofric sembrava un formicaio brulicante di attività: c'era gente che andava e veniva a tutte le ore del giorno e della notte. Sperava che Alderico mandasse da lei uno schiavo con il cibo entro un'ora, ma non arrivò nessuno. Quando ogni ora potrebbe essere l'ultima, quando qualsiasi persona si affacci alla porta potrebbe comunicare la notizia decisiva, il tempo si dilata in maniera incredibile. Potevano essere passati solo pochi minuti quando lo scatto della serratura la indusse ad alzarsi in piedi barcollando. Due soldati armati di mazze si fermarono ai lati della porta. La cella era così piccola che rimaneva ben poco spazio per altri. Ash arretrò verso la finestra. L'arif Alderico entrò seguito da un uomo con la tunica. Era Godfrey Maximillian. «Merda! È già arrivato il momento?» domandò Ash, ma Godfrey aveva scosso la testa quasi nello stesso attimo nel quale i loro sguardi si erano incrociati. «L'amir Leofric pensa che sia meglio che tu rimanga in buona salute finché gli servi» Godfrey pronunciò quelle parole con una certa dose d'esitazione che non sfuggì all'arif. «E?» «Hai bisogno di fare movimento. Un'ora al giorno.» «Bel tentativo, Godfrey.» Ash fissò Alderico. «Il nostro signore ha intenzione di farmi uscire da questa scatola di pietra?» Già! pensò Ash. Deve scherzare! Per quale motivo dovrebbe... «L'amir ha un alleato degno di fiducia» le spiegò Alderico, impassibile. «Sei stata affidata alla sua custodia per un'ora al giorno fino all'incoronazione. Forse solo per oggi.» Ash non si mosse e fece vagare lo sguardo sugli uomini presenti nella stanza. Sospirò e si rilassò un poco. Là fuori, pensò, c'è una macchina politica che sta funzionando a pieno regime. Io non ho modo di sapere quali sono le alleanze, le inimicizie, gli affari, i corrotti e i trucchetti vari, ma non importa se sto uscendo solo perché qualcuno sta giocando uno scherzo a Leofric. Ho solo bisogno che mi tolgano gli occhi di dosso per dieci se-
condi e sparisco. «E chi sarebbe questa persona che l'amir ritiene un suo alleato degno di fiducia?» chiese Ash. «A chi pensa di affidarmi per farmi accompagnare fuori di qua? Parliamoci chiaro sapete che farò di tutto per non tornare qua dentro.» «Questo è quanto sono riuscito a scoprire con i miei mezzi» rispose Alderico in tono grave. «Nazir!» Il più alto dei due soldati agganciò la mazza alla cintura e prese un paio di manette. Ash alzò il mento e lasciò che il soldato le passasse la catena nell'anello attaccato al collare. «Chi è?» domandò. Il volto di Alderico assunse un'espressione strana: sembrava in parte divertito e in parte disgustato. «Un alleato, mia signora. Uno dei vostri signori. Mi hanno detto che dovresti sapere di chi si tratta. Viene dalla Bavaria.» Ash osservò il nazir che le chiudeva le manette intorno alle caviglie. Non sarebbe potuta andare lontana conciata in quel modo. «Un Bavarese?» chiese improvvisamente. «Merda, no!» Godfrey Maximillian arcuò un sopracciglio. «Ti avevo detto che non ti sarebbe piaciuto!» «È Fernando, vero? È venuto a sud! Quel fottuto Fernando del Guiz!» «Tu gli appartieni» le ricordò Godfrey, glaciale. «È tuo marito, sei una sua proprietà. Ho fatto capire all'amir Leofric che lord Fernando può essere considerato completamente responsabile per te. L'amir ha accettato di farti uscire un'ora al giorno in compagnia di tuo marito.» «Immagino che il lacchè del faris non ti toglierà gli occhi di dosso» disse l'arif Alderico con la voce permeata da una vena neanche tanto sottile di umorismo macabro «visto che ne va della sua vita.» Certo, pensò Ash, qualcuno potrebbe usarmi per liberarsi di Fernando. Si sarà fatto sicuramente dei nemici. Potrebbe essere chiunque. Anche l'amir Leofric... «Fanculo alla politica» sbottò Ash. «Perchè non posso picchiare nessuno?» II Il teschio di un cavallo si parò di fronte alla cavalcatura montata da Ash. Qualcuno sbirciò da dietro le orbite vuote e i lunghi denti gialli illuminati
dalla luce intensa del Fuoco Greco. «Carnevale!» gridò un ubriaco. «Merda!» L'uomo vestito da scheletro di cavallo agitò selvaggiamente le braccia facendo roteare i nastri rossi che vi aveva attaccato. La vecchia cavalla marrone sulla quale si trovava Ash s'impennò scivolando sulle zampe posteriori e sollevando una piccola cascata di scintille con gli zoccoli ferrati. «Stronzo!» Ash tirò le redini e si spostò in avanti con tutto il peso del corpo per cercare di far calmare la bestia. Aveva i polsi bloccati dalle manette e una seconda catena, che passava sotto la pancia della cavalla graffiandone la pelle, le bloccava le caviglie. La bestia alzò la testa e drizzò il collo sudato. «Giù» ordinò Ash, mentre cercava di allontanarla dalla folla. Due soldati la strinsero immediatamente ai fianchi e altri due si posizionarono alle sue spalle. Uno dei cavalieri si sporse dalla sella, afferrò le briglie della cavalla, la calmò, quindi tirò un pugno in faccia all'ubriaco che l'aveva fatta imbizzarrire. L'uomo si allontanò barcollando e sparì tra la folla. Un secondo uomo si avvicinò ad Ash. «Usciamo dalla città» annunciò Fernando del Guiz, mentre calmava il rapace incappucciato che aveva sul polso. Il volatile era troppo piccolo per essere un astore, ma anche troppo grosso per essere un falco pellegrino. La vista del marito la scosse, ma non la riempì di desiderio come era successo le volte precedenti. Sei elementi della scorta si posizionarono di fronte a lei per fare largo. Ash fece avanzare la cavalla e appena ne ebbe l'occasione tirò su il cappuccio imbottito e strinse il mantello. «Figli di puttana» borbottò Ash. «Come pensano che io riesca a cavalcare conciata in questo modo?» La catena che passava sotto la pancia del cavallo la intrappolava. Se fosse scivolata dalla sella sarebbe finita sotto la pancia della bestia battendo la testa sul selciato per poi continuare a essere trascinata: una morte che forse non era migliore di quella che le avrebbe inferto Leofric. «Avanti, bella» disse Ash. La cavalla, contenta perché era di nuovo circondata dai cavalli che condividevano con lei le stalle, riprese a trotterellare tranquilla in mezzo ai cavalieri tedeschi che formavano il seguito di Fernando del Guiz. Ci vorrebbe un miracolo per farti scattare al galoppo, vero? pensò Ash mentre dava una pacca sul collo della cavalla. Tuttavia, credo che tu sia la
mia unica possibilità... La luce bianca e azzurra del Fuoco Greco risplendeva nei viali illuminando le maschere a forma di testa d'airone, di gatto o di cinghiale. Ash pensò di vedere una donna, poi si rese conto che era un mercante barbuto in abiti femminili. Alcuni uomini cominciarono a prenderla in giro in maniera scurrile, ma furono respinti dalla scorta che li picchiò usando il piatto delle spade. Fernando del Guiz fermò il cavallo e fu prontamente affiancato dal suo paggio. «Ruffiano tedesco. Sodomita!» gli urlò qualcuno da sopra un arco. «Senti, senti» commentò immediatamente Ash, senza neanche rendersi conto che in quella situazione sarebbe stato più saggio tenere la bocca chiusa. «Com'è che hanno riconosciuto il tuo vessillo personale?» L'elmo nascondeva in parte il volto di Fernando e lei non riuscì a distinguerne molto bene l'espressione. Cristo, pensò Ash, l'ultima cosa che ho fatto a Digione è stata colpirlo in viso davanti a tutti i suoi amici; forse dovrei tenere la bocca chiusa. Ash notò che l'abito del marito era consumato in diversi punti e una cucitura aveva ceduto. Anche se era necessario alla sua sopravvivenza, era chiaro dalla sua postura che il ruolo del rinnegato non era facile per lui. Fernando passò il rapace allo scudiero e si tolse l'elmo. «Puoi anche smetterla di picchiarmi. Mi hanno lasciato tenere Guizburg.» Il tono di voce del nobile era mesto e permeato d'umorismo e quando si girò per guardarla, Ash notò che il marito aveva gli occhi segnati e rossi: gli occhi di un uomo che non dorme bene. «In ogni caso, sì, hanno riconosciuto il mio vessillo.» Dannazione, ragazza! pensò Ash. Uno di questi giorni la tua dannata boccaccia ti farà uccidere... Sentì il volto che arrossiva, ma sapeva che con quel freddo nessuno se ne sarebbe accorto. Si concentrò sull'oscurità che incombeva oltre il cancello della città. Sto per farlo veramente? pensò. Gli sto per chiedere aiuto? Cos'altro posso fare? Delle manette spesse un paio di centimetri le bloccavano i polsi e le caviglie. Una catena collegava le manette al collare e una seconda catena la chiudeva al cavallo. Era circondata da guardie armate e non aveva nessun amico. In quelle condizioni poteva solo uscire da Cartagine, cavalcare per un'ora e tornare in città. Ash sapeva bene che se anche fosse riuscita a lanciare la cavalla al galoppo c'era il rischio di finire calpestata sotto gli zoccoli, ma anche se fosse
riuscita a scappare c'erano sempre le catene. Dickon Stour avrebbe potuto romperle con un colpo di martello, ma il fabbro della sua compagnia si trovava a mezzo mondo di distanza, ammesso che lui, come tutti gli altri, fosse ancora vivo. Credo che lo farò, concluse Ash. In quel momento provò una grande vergogna, ma non perché stava per chiedere aiuto al marito, ne era costretta se voleva avere una via di fuga, ma perché sapeva che era la sua paura di morire a spingerla a chiedere aiuto a una persona che considerava debole. Fece una specie di risata divertita e si asciugò gli occhi. «Fernando, cosa ti costerebbe farmi scappare? Dovresti voltare la schiena solo per cinque minuti, ecco tutto.» Giusto il tempo di mischiarmi agli schiavi o sparire nell'oscurità. Non mi importa niente se siamo in Nord Africa, a centinaia di chilometri da casa, continuò a pensare. «Leofric mi farebbe uccidere.» Il tono di voce era molto fermo. «Non c'è niente che tu possa offrirmi in cambio. Ho visto quello che fa alla gente.» Ash meditò rapidamente se fosse il caso di informarlo su quello che Leofric aveva intenzione di farle nel giro di due o tre giorni. «Sei un suo ospite, dovresti essere nelle sue grazie. Dovresti riuscire a cavartela...» «Non sono qua per mia scelta» ringhiò il cavaliere europeo. «Se non fosse stato per il fatto che ero tuo marito mi avrebbero giustiziato per diserzione ad, Auxonne. Pensano che io possa fare leva su di te. Mi usano come fonte di informazioni.» «Allora aiutami a scappare.» Anche Ash non era così convinta. «Tra due o tre giorni, Leofric mi aprirà in due dopodiché tu diventerai di troppo!» «Cosa?» Sul volto del marito apparve un'espressione angosciata molto simile a quella di sua sorella Floria del Guiz. «No! Non posso fare niente!» Il pensiero di non vedere più Floria le fece male, ma Ash allontanò rapidamente quel dolore. «Fottiti allora» gli disse con voce tremante. «Questo era proprio quello che mi aspettavo da te. Devi ascoltarmi!» Il fragore prodotto dai cavalli che passavano sotto l'arcata del cancello soffocò il suono delle sue parole. Fernando del Guiz la fissò con uno sguardo che lei non riuscì a decifrare. Quando uscirono all'aperto il buio li avvolse e Ash rimase accecata per
qualche attimo dal contrasto tra lo sfavillio delle luci cittadine e il buio oltre le mura. Si rese conto che stava stringendo le redini con forza, si rilassò e la cavalla si affiancò al castrato montato da Fernando. Ash alzò gli occhi al cielo e vide le stelle. È notte...? si chiese. Chi lo sa? A mano a mano che la vista si adattava al buio vide che la luce delle stelle era intensa quanto quella della luna e si accorse che il marito era arrossito in volto. «Ti prego» lo implorò. «Non posso.» Una folata di vento freddo lambì il volto di Ash. Cosa faccio, adesso? pensò, quasi sull'orlo del panico. La costellazione del Capricorno brillava nel cielo. Imboccarono un viale pavimentato con lastre di pietra lungo il quale correvano le arcate dei due acquedotti gemelli 133 . Il rombo basso e sordo dell'acqua era udibile nonostante il rumore dei cavalli e le chiacchiere della scorta. La luce delle stelle splendeva sui melograni che incoronavano i pilastri privandoli del colore. Ash fece arretrare il suo cavallo. «Ash...» La voce di Fernando aveva un che di allarmato. «Continua ad andare avanti.» La cavalla compì due lunghi passi in avanti tornando a posizionarsi tra le guardie della scorta e vicino a Fernando. Mentre sfilavano vicino a uno degli acquedotti, Ash vide una grossa bestia di pietra accucciata nell'ombra. Era cinque o sei volte più grossa di un uomo. Aveva il corpo di leone e la testa di donna. Gli occhi erano a mandorla e le labbra avevano un taglio enigmatico, sembrava che sorridessero. Quando la strada si avvicinò a un'altra arcata, vide una seconda statua. Era fatta di mattoni. Il collo era cinto da una specie di corona e le piccola corna della testa erano state spezzate. Ash girò la testa e vide che anche tra le arcate del secondo acquedotto c'erano altre statue, ma l'unica figura che riuscì a distinguere fu quella di un uomo con la testa di serpente 134 . «Cosa sono?» «Il bestiario di pietra del califfo-re» le spiegò Fernando del Guiz. «Dove stiamo andando?» gli chiese Ash, sentendo che la bocca le si era 133
I resti archeologici dimostrano l'esistenza di un solo acquedotto romano lungo 90 km che aveva una portata di 8,5 milioni di galloni d'acqua al giorno da Zagouan a Cartagine. I resti attraversano la valle dell'Oued Miliana, circa quaranta chilometri a sud di Tunisi. 134 Non ci sono più tracce di questo bestiario di pietra.
seccata improvvisamente. «A caccia.» «Già.» E io sono la regina di Cartagine, aggiunse mentalmente. Un movimento attrasse la sua attenzione. All'ombra di uno degli acquedotti c'era un gruppo di cavalieri che aspettavano. Le cavalle avevano dei paramenti bianchi sui quali spiccavano i simboli della casata dei Leofric. «Andremo alle piramidi» disse loro Fernando. «Là si caccia meglio!» Merda! pensò Ash fissando i nuovi arrivati. Adesso tutto diventa praticamente impossibile. Avanti, ragazza, pensa! Ci deve essere qualcosa che posso fare. Il vento le gelava il volto e le mani prive di guanti. Il mantello le copriva le gambe, la tunica di lino sottile e i fianchi della cavalla. La bestia aveva preso un'andatura ancora più calma di quella ostentata in città. Ash si sforzò di vedere se c'era qualcosa a sud. La strada e gli acquedotti scomparivano nel buio verso la libertà. Mentre lei era intenta a osservare il paesaggio circostante, il gruppo di guardie la guidò fuori del viale pavimentato. Ash rallentò l'andatura della cavalla in parte per evitare che la bestia si facesse male sul terreno accidentato e in parte per vedere se poteva arretrare senza farsi notare. Una torcia scoppiettò alle sue spalle, Ash si girò e vide Fernando del Guiz in compagnia di un ragazzino visigoto con il mento incorniciato da un principio di barba. Il giovane cavalcava senza elmo ed era vestito come un nobile. C'era qualcosa di familiare nel suo volto. «Chi è questa, zio?» Il ragazzino usò quell'appellativo più come titolo onorifico che per indicare un grado effettivo di parentela. «Perché una schiava cavalca con noi, zio? Non può cacciare. È una donna.» «Oh, caccia. Eccome se caccia» gli rispose Fernando in tono greve. Fissò Ash. «Prede su due gambe.» «Non capisco, zio.» «È Ash» spiegò Fernando rassegnato. «Mia moglie.» «Il figlio di Gelimero non cavalca con una donna.» Il ragazzino serrò la bocca, fissò Ash disgustato e si allontanò per avvicinarsi agli scudieri. «Il figlio di Gelimero?» domandò Ash. «Sì, quello è Witiza. Vive nella casa di Leofric.» Fernando scrollò le spalle a disagio. «Uno dei nipoti dell'amir Leofric vive con l'amir Gelimero.» «Già, si chiamano 'ostaggi'...» Ash si sentì travolgere da una nuova ondata di paura. Non chiese nulla
perché sapeva bene che non avrebbe ricevuto nessuna risposta e continuò a cavalcare. L'apprensione le acuiva i sensi al massimo. Fissò Witiza e pensò con un certo dolore che non era né un ragazzo né un uomo. Deve avere più o meno l'età di Rickard. Girò la testa e non sentì il discorso tra il ragazzo e i paggi cavalcando per qualche attimo alla cieca. Quando si concentrò nuovamente vide che Witiza stava ridendo con i soldati di suo marito che non aveva smesso di cavalcare al suo fianco neanche per un momento. «Fammi scappare!» gli sussurrò. Il giovane cavaliere girò la testa e Ash ricordò improvvisamente il gonfiore rosso sotto il labbro del marito e si accorse che quel gesto incombeva ancora su di loro. «Mi dispiace» disse lei con un certo sforzo. Fernando scrollò le spalle. «Anche a me.» «No, io...» Scrollò la testa. Il ricordo di quanto era successo a Digione le fece venire in mente che aveva anche altre cose da chiedergli. «Cosa è successo alla mia compagnia? Questo almeno potresti dirmelo! Dovresti saperlo visto che vivi nella casa di Leofric.» Non riuscì a trattenersi e aggiunse: «Forse non hai visto niente di quello che è successo perché te ne sei andato prima.» «Mi crederesti se ti assicurassi che non lo so?» Non era una presa in giro. Ash non poteva controllare i movimenti degli uomini della scorta: capire chi stava bevendo il vino dalla borraccia e in seguito avrebbe avuto i riflessi più lenti, chi si stava concentrando più sugli uccelli da caccia che sulla scorta. Era impossibile controllare continuamente la situazione e capire al tempo stesso se Fernando aveva parlato onestamente e senza ombra di malizia. «Pochissimo» rispose Ash, onesta. «Credo a poco di quello che mi dici.» «Perché mi vedi come un traditore?» «No. Perché tu ti vedi come un traditore.» Fernando rimase stupito ed emise un verso basso e gutturale. Il passo irregolare della cavalla riportò l'attenzione di Ash sul terreno al quale la luce delle torce conferiva un colorito giallastro. Una folata di vento spostò il fumo delle torce contro Ash facendola tossire. «Non so cosa sia successo alla tua compagnia. Non ho visto e non ho chiesto.» Fernando le lanciò una rapida occhiata. «Perché vuoi saperlo? Presto o tardi sarebbero tutti morti sotto il tuo comando.» La risposta lasciò Ash senza parole per qualche attimo.
«È vero... ne perdo qualcuno. La guerra ammazza la gente, ma sono loro a decidere di seguirmi.» Nella mente di Ash emersero nuovamente le immagini dei golem, dei carri e dei lanciafiamme, ma cercò di non pensare a Roberto, Florian e Angelotti. «E io decido di essere responsabile per loro finché dura il nostro contratto, quindi... voglio sapere cosa è successo!» Fissò gli occhi stanchi del marito, i capelli che si erano di nuovo allungati e si scoprì a pensare che erano passati solo due mesi dal loro matrimonio nella cattedrale di Colonia. Ash non poteva immaginare l'espressione del suo viso, non sapeva che sembrava più giovane e più vulnerabile, ma anche più vecchia. Non era stata la vita da campo a stancarla, ma le notti insonni a Digione passate a immaginare le parole che non poteva dire, a pensare a se stessa che si sdraiava a fianco del marito, gli cingeva i fianchi con le gambe e si lasciava penetrare. Una parte di lei, tuttavia, disprezzava quel suo desiderio per un uomo tanto debole. «Non lo so» borbottò Fernando. «Cosa vogliono che tu faccia, adesso?» chiese Ash. «Quello è il figlio di Gelimero. Leofric e Gelimero si odiano. Mi stai per consegnare nelle mani di Gelimero per farmi uccidere? O cos'altro?» Il bel volto del cavaliere tedesco impallidì per un attimo. «No!» urlò Fernando, quindi abbassò la voce e fece un cenno in direzione di Witiza e degli scudieri per rassicurarli. «No. Sei mia moglie, non ti farei mai assassinare!» Ash fece scivolare le redini tra le dita dando al tempo stesso una rapida occhiata ai cavalieri che la circondavano. «Io penso che tu possa fare di tutto nel momento stesso in cui sei minacciato» gli rispose amareggiata. «Mi hai sempre odiata, Fernando. Da quel giorno a Genova.» Il nobile riacquistò il colorito. «Ero un ragazzino! Avevo quindici anni! Non puoi incolparmi per una beffa!» Ti ho colpito in un punto sensibile, pensò Ash, sorpresa. Un suono chiocciante echeggiò nell'aria seguito da un frullare di piume. Un uccello scappò da sotto gli zoccoli del cavallo. Ash si irrigidì, pronta a piantare i talloni nei fianchi della cavalla, ma gli uomini della scorta si chiusero intorno a lei. Il suono degli zoccoli che battevano sul terreno cambiò d'intensità dive-
nendo più secco. Erano tornati su una strada pavimentata. Ash aveva lo stomaco chiuso dalla paura. Si aspettava un agguato degli uomini di Gelimelo da un momento all'altro. Forse l'amir la voleva interrogare o forse uccidere. Implicata nella guerra di qualcun altro, pensò. Cristo! E io che credevo di avere due giorni a disposizione prima che Leofric si occupasse di me. Ero molto più al sicuro dentro Cartagine! Delle forme scure spiccavano contro il cielo. In un primo momento Ash pensò che potessero essere delle colline, ma in seguito rimase colpita dalla loro regolarità. Il rumore degli zoccoli echeggiava contro quelle superfici piatte che si innalzavano verso il firmamento. Pensò di trovarsi in mezzo a una valle, ma i pendii erano troppo regolari. Piramidi. Chiunque si potrebbe nascondere là dietro! pensò Ash. La luce delle stelle privava di ogni sfumatura le facce delle piramidi, strutture immense costituite da centinaia di migliaia di mattoni rossi e pietre intagliate, il tutto coperto da uno strato di intonaco colorato. La vista di quei giganteschi monumenti funebri aveva lasciato Ash senza parole. Gli affreschi che decoravano le facce delle piramidi si erano ormai sbiaditi da tempo e avevano cominciato a sgretolarsi. Il selciato era costellato da migliaia di pezzi d'intonaco. Gli zoccoli della cavalla di Ash calpestarono un frammento d'intonaco sul quale era stato disegnato il muso di una leonessa con una luna in mezzo agli occhi sbriciolandolo come se fosse di ghiaccio. Ash vide che c'erano circa una dozzina di quei monumenti, tutti uguali e perfetti. Il collo cominciava a farle male a forza di tenere la testa piegata all'indietro. «Cristo!» sussurrò. Udì il verso di un gufo e sussultò. La cavalla fece per imbizzarrirsi e lei la calmò carezzandole il collo. Un paio di ali si aprirono ai lati del braccio dello scudiero e due occhi gialli inespressivi la fissarono dal buio. Il ragazzino alzò il braccio e il grosso gufo si levò silenziosamente in volo. «Usate i gufi per cacciare in un cimitero?» chiese Ash, stupita. «È un passatempo dei Visigoti.» Fernando scrollò le spalle. Il drappello si fermò e le guardie formarono un cerchio nello spazio tra due piramidi. Si erano sistemati molto bene e Ash non sarebbe riuscita a lanciarsi al galoppo e spezzare il cerchio neanche se avesse avuto un caval-
lo giovane e forte. Si guardò alle spalle e vide che l'unico indizio rimasto dell'esistenza di Cartagine era il bagliore del Fuoco Greco che illuminava le strade oltre la cresta. È ovvio che stiamo aspettando qualcuno o che succeda qualcosa! pensò. Sentiva i capelli che le si rizzavano sulla nuca. Un uccello bianco le passò così vicino da sfiorarle una guancia con la punta di un'ala. Era un gufo. Si rilassò. «Cosa cacciano?» chiese per distrarsi. «Roba piccola. Serpenti velenosi. Ratti.» Una battuta di caccia è sempre un'ottima scusa per un incontro informale, pensò Ash. È tutto così facile. Un quadrello dal buio ed è fatta. Non dovrebbero neanche prendersi il disturbo di picchiarmi. E poi dove potrei andare incatenata e in groppa a un cavallo come questo? È morta a causa di una caduta da cavallo, mio signore. «Pensi che rimarrò ferma ad aspettare?» Fernando si spostò sulla sella. Un animale acquattato tra le piramidi emise un ringhio gutturale. Sembrava un gatto selvatico. Ash diede un'occhiata agli uomini della scorta e vide che due o tre di loro sorvegliavano nervosamente nell'oscurità, mentre gli altri non le toglievano gli occhi di dosso. Merda, devo fare qualcosa! «Ho sentito che i Francesi hanno firmato un trattato di pace» disse Fernando inclinandosi all'indietro sulla sella. «Il Ragno, Sua Maestà Luigi l'ha firmato e la Francia è in pace con l'impero visigoto.» Il castrato di Fernando sfiorò con le labbra i finimenti della cavalla di Ash che lo ignorò e continuò a sfregare con il naso le giunture tra le pietre in cerca di qualche ciuffo d'erba bruciato dal gelo. «Solo la Borgogna combatte. La guerra finirà presto.» «E l'Inghilterra, sempre che la smettano con le loro guerre civili. Non ti scordare del sultano» gli rammentò Ash, in tono distratto. «A un certo punto Mehmet e i Turchi decideranno che vi siete sfiancati abbastanza nella guerra in Europa e vi salteranno addosso.» «Tu sei ossessionata dalla guerra, donna!» «Io...» si interruppe. Cominciò a distinguere quello che aveva visto in lontananza. Non si trattava di soldati, ma di due scudieri con dei gufi sul braccio che
uscivano da dietro l'angolo di una piramide portando un bastone al quale erano stati appesi una dozzina di serpenti morti. Ash si calmò e si girò per guardare Fernando. Cominciò a far muovere lentamente la cavalla perché, come lei, anche la bestia stava gelando e il marito la seguì prontamente. Non posso aspettare che mi abbattano! pensò Ash. «Tu pensi veramente che l'amir Gelimero mi voglia uccidere?» gli chiese. Fernando ignorò la domanda. «Per favore» lo implorò Ash. «Lasciami scappare.» Le torce conferivano una sfumatura dorata ai capelli di Fernando e si riflettevano sull'abito verde e il pomello della spada. Ash cominciò a pensare che molto probabilmente il marito indossava un piastrone sotto la maglia. «Mi stavo chiedendo» meditò il marito «come mai gli uomini ti seguono. Cosa può spingere un uomo a seguire una donna in battaglia?» Un ghigno apparve sulle labbra di Ash che riuscì a dimenticare la paura di quegli attimi. «Spesso non lo fanno. Nella maggior parte dei posti in cui sono stata prima ho dovuto combattere contro le mie stesse truppe e poi contro il nemico.» L'espressione di Fernando cambiò. Ora la stava fissando con la consapevolezza di un uomo robusto che si addestrava ogni giorno all'uso delle armi. «Sei una donna!» protestò del Guiz. «Se dovessi colpirti ti romperei la mascella o il collo. Non sei forte quanto me. Come fai a fare il tuo lavoro?» Anche se in quel momento era irrilevante, lei sapeva che a Digione l'aveva colpito senza impiegare tutta la sua forza, evitando di usare un'arma e senza far ricorso alla conoscenza che aveva riguardo ai punti più delicati del corpo umano. Se solo avesse voluto avrebbe potuto accecarlo in un attimo. Cristo Santo, pensò Ash, non ha nessuna intenzione di farmi scappare. Ascoltò ancora per un minuto abbondante i rumori della notte, quindi si decise a rispondere. «Non è necessario che io sia forte quanto te. Io ho solo bisogno di essere forte quel tanto che basta.» «Quel tanto che basta?» domandò Fernando. «Io devo essere forte quel tanto che basta per ucciderti.» Fernando aprì la bocca per replicare, poi la richiuse.
«Sono abbastanza forte da maneggiare una spada o un'ascia» gli disse stringendo il mantello intorno a sé, ascoltando al tempo stesso i richiami dei gufi. «Il resto è solo addestramento, coordinazione ed equilibrio. Il sollevamento pesi non c'entra niente.» Fernando si soffiò sulle mani per scaldarle. «Ho capito perché gli uomini ti seguono» proclamò senza fissarla. «È solo un caso che tu sia nata donna. Tu sei un soldato.» La frase la fece ritornare nella cella con Gaiserico, Fravitta, Barbas e Teodorico e a quello che aveva detto per impedire di essere stuprata. Sussultò. «E non c'è niente di cui essere orgogliosi!» Le catene le graffiavano i polsi. «Era quello che dovevo essere per fare il mio lavoro.» «Perché lo fai?» Ash smorzò una risata che altrimenti sarebbe stata stanca e isterica. «Non sei la persona da cui mi aspettavo questa domanda! Proprio tu che hai passato tutta la vita con un'armatura addosso e un'arma tra le mani. Sei tu il cavaliere. Perché lo fai?» «Non lo faccio più.» La vena adolescenziale che aveva permeato la voce di Fernando fino a quel momento scomparve. Aveva parlato in maniera tranquilla. Ash fissò gli abiti, le armi e la cavalla del marito. «Non sto uccidendo nessuno» si scusò Fernando. Ash pensò che ogni altro cavaliere avrebbe finito la frase dicendo 'nessun altro'. «Fanculo» gli disse lei. «Il piastrone è un regalo di Leofric?» «Nessuno ti ascolta in casa di Leofric se non porti la spada o indossi l'armatura.» «Già, e questo cosa ti fa pensare?» «Che non è giusto!» «Ci sono un sacco di cose che non sono come dovrebbero essere» rispose Ash, torva. «Chiedi al mio prete come mai la gente muore di malattia o di fame e lui ti dirà che è la volontà di Dio.» «Non è necessario che uccidiamo» insisté Fernando. Un cavallo sbuffò. Ash si tese prima ancora di capire che era una cavalcatura della scorta. «Tu sei pazza come il faris!» disse Fernando. «Ero con i suoi ufficiali prima di Auxonne e abbiamo ispezionato il campo di battaglia. Quella
donna camminava dicendo 'possiamo farlo diventare un cimitero' o 'sistemate i carri da guerra in questa fascia e vi garantisco il sessanta per cento di perdite tra le linee nemiche'. È una pazza fottuta.» Ash arcuò le sopracciglia. «In che senso?» Si rese conto che Fernando la stava fissando. «Non ti sembra strano camminare per un bel pascolo decidendo quale parte di questo ti servirà per bruciare la gente, per spezzare loro le gambe o per lanciare contro di loro dei massi?» «Cosa vuoi che ti dica? Che il pensiero non mi fa dormire la notte?» «Mi piacerebbe sentirtelo dire» ammise Fernando «ma non ti crederei.» «Davvero?» sbottò Ash, infuriata. «Non ti ho visto andare dal califfo-re e dirgli: 'ehi, è sbagliato invadere la Cristianità, perché non possiamo vivere in pace tutti quanti?' E suppongo che tu non abbia detto a Leofric che non avresti accettato la spada e la corazza perché non volevi essere più un guerriero, giusto?» «No» borbottò Fernando. «Dov'è la tunica da monaco, Fernando? Vorresti dirmi quando hai intenzione di fare voto di povertà e ubbidienza, andare di fronte ai nobili del califfo-re e restituire le armi? Ti appenderebbero il culo a seccare!» «Ho troppa paura per farlo» ammise. «Allora come fai a dirmi che...» «Solo perché so che è giusto, non significa che posso farlo» ribatté, interrompendola. «Sei serio quando mi dici che tu non intendi fare nulla per fermare questa guerra, ma ti aspetti che io smetta di fare il mestiere che mi permette di campare? Cristo Santo, Fernando!» «Pensavo che la posizione in cui ti trovi in questo momento ti aiutasse a capire come mi sento.» Stava per ribattere in maniera sarcastica quando sentì una morsa gelata chiuderle la pancia, non era il vento. Deglutì e disse: «Sono sola qua. Non ho i miei uomini.» Fernando del Guiz non commentò e si limitò ad annuire. «Voglio fare un patto con te» continuò Ash. «Tu mi lasci scappare nel deserto prima che qualcuno possa raggiungermi e io ti dirò come annullare il nostro matrimonio. Dopodiché sarà chiaro a tutti che io e te non avremo più nulla a che fare.» Fece girare la cavalla all'interno del cerchio di soldati. Fu colta da un'ondata di paura. Chi stiamo aspettando? si domandò. Gelimero? Qualcun
altro? Qualcuno che non ho neanche mai visto in faccia? Un gufo emise il suo verso seguito da un tramestio nel buio. «Si può annullare il matrimonio perché sei una schiava?» le chiese Fernando. «Perché tu vuoi un erede e io sono sterile» gli spiegò Ash. Si rese conto che aveva stretto il pomello della sella con tanta forza da sbiancarsi le nocche e che aveva irrigidito i muscoli delle spalle. Cosa si era aspettata? Un pugno? Una sferzata con il frustino? Lanciò una rapida occhiata al marito. «Tu sei...?» L'espressione di Fernando era chiaramente stupita. «Come fai a saperlo?» «Ero incinta a Digione.» Ash scoprì che non riusciva a mollare il pomello. Le redini di cuoio le segnavano le mani. Continuò a fissarlo. «L'ho perduto qua. Come non ha importanza. Il fatto importante è che non posso averne altri.» Si aspettò uno scoppio d'ira e si preparò a reagire. «Mio figlio» mormorò Fernando, meravigliato. «Figlio, figlia, era troppo presto per dirlo.» Ash sorrise, tetra e ironica. «Non mi hai neanche chiesto se era tuo.» Fernando rivolse lo sguardo alle piramidi, ma sembrava non vederle. «Mio figlio, o mia figlia.» Tornò a fissare Ash. «Ti hanno picchiata? È per questo che l'hai perso?» «Certo che mi hanno picchiata!» Il nobile abbassò la testa e disse: «Non era nelle mie intenzioni... È successo quando eravamo in viaggio per Ge...» Si interruppe. «Per Genova» terminò Ash. «Ironico, non trovi? Proprio mentre eravamo sul fiume.» Fernando portò le mani alle guance, tirò indietro le spalle e gli si riempirono gli occhi di lacrime. Ash corrugò la fronte nel vederlo togliersi i guanti e allungare una mano verso di lei. Quell'espressione di dolore, umorismo macabro e empatia nei suoi confronti cominciò a fare breccia nel cuore di Ash. «A volte mi chiedo come sono diventato così?» Fernando premette le nocche della mano sulla bocca, le tolse e aggiunse: «Non avrei avuto molto da lasciargli. Una fortezza in Bavaria e una pessima reputazione.» Il dolore del marito la colpì come un pugno allo stomaco. Non ho bisogno di provare questi sentimenti proprio adesso, si ricordò Ash. «Avresti dovuto dirmelo quando eravamo a Digione!» esclamò il nobile.
«Io avrei...» «Cambiato fazione?» finì Ash, in tono ironico, poi allungò una mano e strinse quella del marito. «L'ho saputo solo quando eri già partito.» «Mi dispiace» rispose Fernando, tranquillo «non te ne fai molto di un marito come me.» Ash pensò a una risposta tagliente, ma non disse nulla. Nonostante la sua follia, sul volto di Fernando era apparsa un'espressione di dispiacere sincero. «Tu meriti di meglio» aggiunse il marito. Ash gli lasciò andare la mano. Sopra le loro teste le nuvole cominciavano a nascondere le stelle. «Sono sterile» ribadì Ash, impassibile. «E questo mette fine a tutta la faccenda. Non dirmi che non vuoi l'annullamento. Puoi sempre ripudiare una moglie sterile.» «Non è detto che il matrimonio sia valido. Gli avvocati di Leofric stanno vagliando il caso.» Fernando fece girare il cavallo e cominciò a tornare indietro. «Tu sei una schiava, ma sei anche una mia proprietà perché ti ho sposata. Però tu non hai il diritto di accettare nessun contratto quindi il matrimonio è annullato. Scegli tu. A me non importa nulla se la benedizione della Chiesa è ancora valida, questa gente pensa ancora che io sappia tutto di te ed è per questo che mi hanno caricato su una barca e mandato qua!» Il freddo che le intirizziva il corpo cominciò a fare presa anche sullo spirito. «Fernando» disse Ash. «Vogliono uccidermi. Non importa quale lord, ma vogliono uccidermi. Ti prego, ti prego, fammi scappare.» «No» rispose Fernando. Una folata di vento gli scompigliò i capelli. Fissò Witiza e gli scudieri intenti a cacciare e Ash si accorse che il marito si stava immaginando come sarebbe potuto essere il loro figlio a quell'età. Un gufo planò rasente alla superficie di una piramide e svanì nell'oscurità. «Come puoi lasciare che succeda? Mi dispiace di averti colpito» si scusò Ash. «So che sei spaventato. Ma ti prego...» «Sto cercando di fare in modo che la mia testa rimanga attaccata al collo mentre questi pagani eleggono un altro dei loro dannati califfi!» sbottò Fernando, infuriato. «Non hai idea di cosa significhi!» Ash aveva parlato con gli schiavi e sapeva che nei corridoi risuonavano le urla dei candidati eliminati dalla corsa al trono del califfo. «Oh, lo so.» Ash bloccò le redini del cavallo con le ginocchia e si soffiò
sulle mani per scaldarle. Sentiva una pressione allo sterno, poteva essere una risata o del pianto. «Mi ricordo che una volta Angelotti mi disse: 'I Visigoti sono una monarchia elettiva... un metodo che si potrebbe chiamare successione per assassinio!'» «Sant'Iddio chi è questo Angelotti?» «Il mio mastro artigliere. Fu addestrato qua. L'hai assoldato per breve tempo. Dovresti ricordarlo.» In cielo le stelle si erano mosse verso la mezzanotte. Ash non vide la luna. Siamo nella fase di oscurità, allora, si disse. Sono passate tre settimane dalla battaglia di Auxonne. Il vento gelido cominciò a calare. Ash alzò la testa e sentì lo sferragliare dei morsi e delle briglie un secondo prima che i cavalieri della scorta se ne accorgessero e abbassassero le lance e le ventaglie degli elmi. Fernando gridò un ordine e Ash vide le lance che si alzavano. Era ovvio che i nuovi arrivati erano attesi. Ash si strinse alla sella con una mano, si sporse in fuori verso il marito e cercò di prendergli la spada. Fernando le diede uno schiaffo sulla mano e l'afferrò per i polsi. «Non ti uccideranno!» «Lo dici tu!» Dei cavalli erano spuntati al galoppo da dietro le piramidi. Ash avvertì l'odore tipico del sudore equino. Fece arretrare la cavalla che montava contro il castrato di Fernando. I nuovi arrivati, circa una dozzina di individui, portavano delle maglie di anelli metallici. Ash aprì la bocca per chiedere consiglio alla macchina. E cosa le chiedo? pensò all'ultimo momento. Disarmata, senza armatura e incatenata? Quella è capace di rispondermi che non posso fare altro che morire. Witiza diede il gufo a uno scudiero e si lanciò al galoppo verso il gruppo. Il suono acuto di un corno echeggiò nell'aria. Non proveniva dal gruppo, ma dalle loro spalle. Ash si drizzò sulle staffe come se la bestia che montava fosse un cavallo da guerra e cercò di capire chi stava arrivando. «Quanta compagnia aspettavi?» indagò in tono caustico. «Merda...!» imprecò Fernando togliendo il laccio che bloccava la spada nel fodero. Le torce facevano abbastanza luce da illuminare i geroglifici disegnati sulle facce delle piramidi: immagini di una donna dalla testa di vacca e un uomo con la testa di sciacallo.
L'amir Gelimero si fermò in sella al suo castrato bianco e si girò a guardare oltre la sua scorta. Ash fece lo stesso e contò trenta o quaranta uomini. Indossavano tutti delle maglie di anelli metallici e tenevano le lance in resta. Vide uno stendardo sul quale spiccava il disegno della ruota dentata e si ritrovò a fissare dei volti che conosceva molto bene: l'arif Alderico, il nazir Teodiberto, un giovane soldato... Barbas? Gaiserico? e altri due nazir con le loro squadre. Alderico l'aveva raggiunta con tutta la sua unità al completo. «Dio vi augura a tutti una buona serata» esordì l'arif Alderico, mentre si inchinava per salutare Gelimero. «È molto pericoloso cavalcare a quest'ora della notte, mio amir. Vi prego di accettare l'ospitalità dell'amir Leofric e la nostra scorta fino alla città.» Ash portò una mano sulla bocca con aria pensierosa e non guardò Alderico. L'arif era riuscito a mascherare i suoi ordini facendoli passare per una richiesta. Ash vide l'amir Gelimero che inceneriva Alderico con uno sguardo per poi voltarsi e socchiudere gli occhi alla vista di Witiza. «Se devo» rispose il nobile visigoto in tono scortese. «Non possiamo lasciarvi qua fuori da solo, signore.» Alderico si avvicinò al cavallo di Ash. «Temo che lo stesso valga per voi, messere Fernando.» Fernando cominciò a urlare continuando però a fissare con sguardo colmo d'ansia Gelimero. Ash si morse il labbro. In quel momento correva il rischio di sfogarsi con una risata isterica. Il vento freddo le gelò il sudore sotto le ascelle e sulla schiena. Vide un ronzino che si avvicinava al cavallo di Alderico. Il cavaliere, i cui piedi sfioravano il terreno, abbassò il cappuccio. «Godfrey» lo salutò Ash. «Capo.» «Allora Leofric ha saputo che qualcuno ha messo gli occhi su mio marito?» Allontanò il cavallo da Fernando del Guiz che stava apostrofando violentemente l'arif Alderico. «Stavo parlando con l'arif quando è arrivato l'ordine.» «Suppongo che tu non abbia portato con te delle tronchesi, vero?» «Gli uomini dell'arif mi hanno perquisito prima di partire.»
«Dannazione... speravo che ci fosse uno scontro. Avrei potuto approfittare della confusione per scappare.» Ash si passò le mani sul viso sudato e si strinse nel mantello per impedire a Godfrey di vederle le mani tremanti. Le nuvole provenienti da sud cominciavano a oscurare il cielo. Improvvisamente sentì un pressante desiderio fisico di un cielo azzurro, del sole abbagliante, dell'erba secca, delle api e dei garofani rossi, del canto delle allodole e del muggito delle vacche. Per i fiumi pieni di pesci, per il calore del sole sulla pelle nuda. Era un bisogno così forte che le sfuggì un lamento dalla bocca e gli occhi le si riempirono di lacrime. Guardò oltre le pareti lisce delle piramidi in cerca del più piccolo bagliore di luce in quell'oscurità. «Ash?» Godfrey le toccò un braccio. «Prega per un miracolo.» Ash accennò un sorriso. «Un miracolo piccolo. Prega perché il Golem di Pietra si rompa. Prega affinché le catene arrugginiscano. Cos'è un miracolo per Lui?» Godfrey sorrise riluttante. «Infedele. Comunque pregherò per la grazia, per la libertà e per te.» Ash strinse una mano di Godfrey sotto il braccio e la lasciò andare. «Non sono un'infedele. In questo momento sto pregando santa Jude135 .» Non riuscì a sembrare allegra mentre riprendeva le redini. «Non voglio tornare indietro e morire nell'oscurità... Godfrey.» Lanciò un'occhiata ai cavalieri che li circondavano. Vide che la squadra di Teodiberto era molto vicina a lei e i suoi uomini facevano finta di non origliare. «Dio ti prenderà con sé altrimenti vuol dire che non c'è giustizia» protestò Godfrey. «Ash...» Qualcosa di freddo aveva colpito la guancia sfregiata di Ash che alzò la testa per cercare di capire quello che stava succedendo nel buio oltre le torce. Dei fiocchi bianchi cominciarono a mulinare sul terreno intorno al drappello. «Neve?» disse. La luce delle lampade conferiva ai fiocchi un colorito giallastro. La neve cominciò a scendere fitta sospinta dal vento del Sud, imbiancando velocemente le facce delle piramidi e mettendo in luce le irregolarità della superficie. «Serrate i ranghi!» urlò l'arif Alderico. «Fine della chiacchierata, prete.» Il nazir Teodiberto spinse il suo caval135
Santa patrona delle cause perse.
lo tra Ash e Godfrey. La cavalla di Ash abbassò la testa per proteggersi dal vento. Il ghiaccio aveva cominciato a formarsi tra i finimenti di cuoio e i lembi del mantello di Ash. «Muoviti!» grugnì Teodiberto. «Una nevicata nel mezzo del fottuto deserto?» Ash strinse le redini con una mano e puntò l'indice contro il volto del nazir. «Tu sai di cosa si tratta, vero? Vero? Sembra che la maledizione del Rabbi cominci a fare effetto.» L'espressione del volto scarno di Teodiberto le fece capire di aver colpito nel segno. Ash sentì la speranza che si accendeva nuovamente. Il nazir tossì, sputò in mezzo ai due cavalli. «Fanculo» le disse. Ash si mise il cappuccio. I peli di martora le solleticarono le guance gelate. Cosa ti aspettavi che ti rispondesse? Il manipolo continuava a cavalcare in direzione di Cartagine. Ash costrinse la cavalla ad assumere un'andatura stanca. Ha detto la stessa cosa che avrei detto anch'io. Solo che io so dell'esistenza di una maledizione. «Fottuto arif e fottute maledizioni» imprecò a bassa voce Teodiberto quasi le avesse letto nel pensiero. «Beh, voglio dirti una cosa» disse Ash mentre continuava a cercare instancabilmente un varco nello schieramento dei cavalieri. «Il tuo amir Leofric alleva gli schiavi, ma devo dire che c'è qualcuno che alleva anche i sergenti, gli arif, visto che sono tutti uguali!» Teodiberto la fissò freddo, due soldati scoppiarono a ridere e lo presero in giro: erano due di quelli che avevano minacciato di violentarla nella cella. Se riuscissi a uccidere il cavallo dovrebbero togliermi le catene, pensò. Ma avrei bisogno dell'arma che non ho per farlo. Se solo potessi farla azzoppare... Diede un'occhiata lungo la strada per vedere se c'erano dei buchi nel selciato. ... Dopo mi troverei a piedi nel mezzo di una tempesta di neve del deserto con sessanta uomini che mi cercano. Beh, non è così male rispetto a quello che mi aspetta. Però se dovessero togliermi le catene ci sarebbero almeno sei uomini con le spade puntate alla mia gola in ogni istante dell'operazione. Anch'io farei lo stesso. Questi sono in gamba quanto me. Devo solo sperare che qualcuno commetta un errore. Ash valutò lo schieramento. Era circondata dal plotone di Alderico: una
squadra dietro e una sui due lati e l'arif che cavalcava davanti insieme con Gelimero e Fernando del Guiz e Godfrey che cavalcava all'ombra dell'ani. Gli uomini di Gelimero fungevano da avanguardia. Così, puoi vederli, ben fatto, approvò. Non gliela darò vinta, non importa cosa succede. La neve le imbiancava il mantello e il gelo filtrava attraverso la lana. Oltre il cerchio delle torce il deserto diventava sempre più bianco e il vento aumentava d'intensità. Vide Alderico dare ordine a un esploratore di precederli. Quanto saremo distanti dalla città? Quattro o cinque chilometri? Mi sembra impossibile che ci siamo persi a cinque chilometri da una città. Invece sembra che sia successo... Il nazir Teodiberto le strappò le redini di mano e se le legò intorno al polso. La sua squadra si chiuse intorno a lei. Il cavallo di Gaiserico cominciò a stuzzicare il posteriore della cavalla di Ash. La neve cominciava ad ammantare anche la strada. Ash strinse le ginocchia e lasciò che fosse Teodiberto a guidare il suo cavallo. Mi basta un lastra di pietra rotta, la tana di un coniglio, qualsiasi cosa... Ebbe la visione della cavalla che cadeva di lato schiacciandole una gamba. Correrò il rischio. La bestia avanzava esausta. Il freddo aveva reso insensibili le narici di Ash che ora non sentiva più il puzzo del sudore degli uomini e dei cavalli. Fissò il leone con il volto di donna sotto l'arcata e vide che il sorriso enigmatico cominciava a essere nascosto dal ghiaccio. «Dove si trova Cartagine?» sussurrò. Il nazir la fissò con sospetto, quindi tornò a parlare con i suoi uomini tra i quali era scoppiata una disputa. «Cartagine si trova sulla costa nord del continente chiamato Africa, quaranta leghe a ovest di...» salmodiò la voce nella sua testa. «Dove si trova Cartagine rispetto al punto in cui sono adesso?» Non giunse nessuna risposta. La cavalla avanzava a fatica nella neve. Ash sbirciò oltre il cappuccio e vide che gli uomini di Teodiberto borbottavano tra loro cavalcando curvi. I cavalli lasciavano delle impronte dello spessore di un palmo nello strato nevoso. Una cavalla bianca nitrì e scosse la testa. «Questa non è la strada che abbiamo fatto all'andata, nazir!» «È quella che stiamo facendo al ritorno. Riesci a tenere chiusa quella cazzo di bocca, Barbas?»
Cosa importa se Leofric viene a sapere che sto facendo delle domande al Golem di Pietra? pensò Ash. Appena rientro a Cartagine sono morta. «Quaranta uomini, venti uomini e quindici uomini, tutti a cavallo, probabilità che i tre gruppi siano ostili tra loro» sussurrò. Ash si rese conto che stava tremando. Aveva perso sensibilità alle mani e ai piedi. «Una persona, disarmata e a cavallo; com'è possibile una fuga?» «Provocare uno scontro tra le fazioni principali e scappare sfruttando la confusione.» «Sono incatenata! La terza forza non è mia! Come?» «Non conosco nessuna tattica appropriata.» Ash si morse il labbro inferiore intirizzito dal freddo. «Potresti anche pregare, suppongo» suggerì Fernando del Guiz avvicinandosi a lei da destra incurante degli uomini di Alderico. Lo stendardo verde e oro del marito garrì al vento oscurando per un attimo la luce delle torce. Ash alzò lo sguardo e vide lo strato di neve che aveva ricoperto il mantello e l'elmo di Fernando. «È necessario?» chiese il nobile tedesco indicando le redini in mano a Teodiberto. «Sì, signore» fu la risposta del nazir. Ash non riuscì a interpretare l'espressione del marito. Vide l'amir Gelimero e suo figlio che si avvicinavano. «Quando prego voglio una risposta» disse Ash in tono frivolo, quasi fosse uno scherzo. «Mi dispiace!» Fernando si sporse dalla sella e il suo respiro le lambì la guancia. L'odore del marito le fece palpitare il cuore. «Sono preso nel mezzo, non posso aiutarti!» le sibilò in un orecchio. «Hai quindici uomini con le lance, giusto? Potresti tirarmi fuori di qua?» disse Ash, rivolgendosi non al marito ma alla sua voce. «Le due unità più grosse si unirebbero e sconfiggerebbero la terza: tattica errata.» Fernando rise e diede una pacca sulla schiena del Visigoto più vicino. «Cosa daresti per avere una moglie così, eh?» domandò con un fare gioviale poco convincente. Il giovane soldato, Gaiserico, rispose velocemente nella sua lingua e Ash si accorse che Fernando non aveva capito. «Valgo molto di più di 'una capra malata', soldato!» ribatté in cartaginese. Il soldato represse una risata e Ash sogghignò. Che mi credano pure un comandante, va bene, basta che serva a rallentarli anche solo per un secondo...
«Del Guiz!» urlò l'amir Gelimero, mentre si avvicinava. «Del Guiz, sto tornando in città. Non chiedetemi più nessun tipo d'aiuto.» Il gesto secco della mano guantata comprese i cavalieri di Alderico e i paggi di del Guiz che tremavano avvolti nei mantelli. «Vi considero implicato in tutto questo! Avrei dovuto valutarvi meglio... un uomo che sposa questo...!» Indicò Ash che strinse i lembi del mantello e scosse la neve di dosso. La cavalla sbuffò. Era troppo stanca per sfuggire al nazir che la tratteneva ancora per le redini. Ash tirò su con il naso e fissò l'amir riccamente abbigliato e i fiocchi di neve che gli cadevano sulla barba. «Beh, vattene pure a fare in culo» ribatté, quasi allegra. «Non sei il primo che si comporta con me come se fossi un abominio, caro il mio amir. Se fossi in voi mi preoccuperei di problemi più seri di quelli che rappresento io.» «Tu!» Gelimero la indicò con un dito. «Tu e il tuo signore, Leofric. Teodorico si sbagliava nel dargli ascolto. Sì, è necessario che l'Europa sia conquistata, ma non...» Si fermò per togliersi la neve dal viso. «Non con un generale schiavo o con un'inutile macchina da guerra. Il progetto sta fallendo e noi dove stiamo finendo?» Ash si diede un'occhiata intorno e vide Teodiberto che, curvo sulla sella, faceva finta di non ascoltare come tutti gli altri membri della scorta e fissava Alderico davanti a lui che sorvegliava gli uomini di Gelimero. Alzò la testa per guardare la neve che scendeva mulinando dal cielo e si posava sulle statue e sulla sabbia del deserto illuminata dalle torce scoppiettanti. «Perché è arrivato l'inverno?» chiese. «Guardate. La mia cavalla ha il pelo invernale ed è solo settembre. Perché fa così dannatamente freddo, Gelimero? Perché?» Ash ebbe l'impressione di aver sbattuto la faccia contro un muro. Si aspettava di udire la sua voce, ma non successe nulla. L'amir le urlò qualcosa per risposta, ma Ash non lo udì. «Cosa?» domandò ad alta voce e in tono stupito. «Ho detto che questa maledizione si è abbattuta su di noi da quando il generale schiavo di Leofric ha iniziato la crociata e probabilmente terminerà solo con la sua morte. Un motivo in più per porre fine alle attività di Leofric. Del Guiz!» Gelimero si rivolse a Fernando. «Potresti ancora essermi utile. Io posso perdonare!» L'amir spronò il castrato che arcuò la schiena e si lanciò al galoppo in
avanti sollevando una nuvola di neve tra gli zoccoli. Gli uomini di Gelimero seguirono immediatamente il loro padrone e Alderico non fece nulla per fermarli. «Pensavo che se la prendesse con me» borbottò Fernando. Ash non gli prestò attenzione. Il fiato si condensava intorno al suo volto e anche le ginocchia, sebbene fossero strette ai fianchi della cavalla, erano gelate. La neve si annidava tra le pieghe del mantello dove toccava la pelle sotto i vestiti. «Quaranta uomini, quindici uomini, tutti armati e a cavallo. Possibili vie di fuga?» sussurrò Ash, spaventata. «Cosa?» chiese Fernando senza togliere gli occhi di dosso a Gelimero che si allontanava. «Quaranta uomini, quindici uomini, tutti armati e a cavallo. Possibili vie di fuga?» Nessuna voce risuonò nella sua testa, cercò di sforzarsi, di abbassare le difese che si era creata, ma non successe nulla. Una folata di neve la costrinse a tornare alla realtà. Non sto... ascoltando? pensò. Sì deve essere così. È come se mi fossi bloccata in qualche modo... La voce non c'è più. Solo il silenzio. «Questi amir sono pazzi, figliola!» borbottò allegro Godfrey affiancando il suo ronzino alla cavalla di Ash. «Sapevi che Gelimero e Leofric erano in lotta per ottenere il denaro per la crociata dal califfo? Per arruolare dei soldati? E sapevi che ora stanno cercando entrambi di farsi eleggere re...» «Cos'è la nascita segreta?» Il freddo le bruciava il volto. «Cos'è l'allevamento segreto?» borbottò di nuovo in tono insistente. Nessuna risposta. C'era il potenziale, ma tutto continuava a tacere. «Dove cazzo è finita la mia voce?» «Di cosa parli?» Fernando si avvicinò alla moglie e le abbassò il cappuccio. «Allora?» Teodiberto si sporse dalla sella per spingere via il nobile germanico. Ash si sporse a sua volta e afferrò il coltello che il nazir teneva nel fodero assicurato al fianco destro con l'intenzione di usarlo per tagliare le redini della sua cavalla. Un soldato lanciò l'allarme. Qualcosa di nero e veloce si parò tra lei e il nazir: era l'asta di una lancia. Ash si raddrizzò. «Merda!» imprecò.
Cercò di afferrare il pomello della sella, ma si rese conto di averlo mancato. Stava cadendo. Urlò e scalciò con i talloni. La cavalla si spostò sulla destra. Ash riuscì a toccare il pomello, ma aveva le dita troppo intorpidite dal freddo e non riuscì ad afferrarlo. Cominciò a cadere verso il selciato coperto di neve. Sentì lo stomaco che le si stringeva. La testa batté contro una gamba della cavalla e sentì ogni muscolo del suo corpo che si contraeva a causa dell'impatto. Ora aspettava un calcio o di battere contro il terreno. La caduta si interruppe bruscamente. Ash pendeva a testa in giù. Uno zoccolo scheggiò la pietra vicino a un orecchio. Qualcosa le colpì piano la mascella. Ash cominciò a dibattersi. Il vestito le stava scendendo verso la testa. La cavalla si era fermata e teneva la testa bassa: era esausta. Ash udì un rumore sopra di lei, era una risata. Si rese conto che le braccia e le gambe pendevano sopra di lei e i vestiti le erano ricaduti sulla testa. «Merda!» Penzolava sospesa sotto la pancia della cavalla. In qualche modo era riuscita a intrappolare le mani nella staffa della sella. Aveva le gambe esposte al freddo Cominciò a ridacchiare. La cavalla le stava annusando la testa. «Nazir!» urlò Alderico. «Arif?» «Rimettila in sella!» «A tuoi ordini, arif.» Ash cercò di trattenersi, ma scoppiò a ridere. Intorno a lei cominciarono a radunarsi le gambe dei soldati e l'aria si riempì di urla confuse. Rideva con tanta energia che il petto cominciò a farle male, ma non riusciva a fermarsi. Lacrimava. I Visigoti si misero intorno alla cavalla e cominciarono a tirare con fare incerto le catene per cercare di capire come fare a raddrizzarla e a liberarle le mani. Teodiberto inclinò la testa e le urlò: «Cos'hai da ridere, stronza?» «Niente.» Ash serrò le labbra, ma l'espressione del nazir e il fatto di vederlo sottosopra non l'aiutava a trattenersi, ma dovette farlo. «N... n... niente. Sarei potuta morire!»
Cercò di liberare la mano destra e la catena. Delle mani l'afferrarono con forza e la tirarono sulla sella. Ash agitò i piedi in cerca delle staffe. La cavalla era circondata da un manipolo di uomini con le spade sguainate, dietro di loro c'erano altri soldati a cavallo che oltre a lei avevano isolato anche Godfrey e Fernando. Non c'era nessuna possibilità di superare quel cordone. «Non c'è stato nessuno sbaglio» disse Ash, allegra. Si strofinò il naso con la parte interna di un lembo del mantello. Cercò di parlare, ridacchiò, deglutì e sorrise. «Di chi è stata l'idea?» Uno o due soldati risero nonostante il tempo pessimo. Ash si accomodò sulla sella e prese le redini continuando a trattenersi dallo scoppiare a ridere. «Perché ridi, Ash?» le domandò Fernando del Guiz. «Perché è buffo!» rispose lei. Ash vide che anche Godfrey stava sghignazzando sotto il cappuccio. Alderico entrò nel cerchio cavalcando impettito nonostante il vento e la neve. «Fai muovere questo dannato cavallo, nazir! L'esploratore è tornato. Siamo a meno di un furlong dai cancelli della città.» III «Ti uccideranno!» le disse Gaiserico. «Lo sai, stronza?» «Certo che lo so. Ti sembro stupida?» L'ala nord-est della casa di Leofric tremava sotto i passi di Ash, Gaiserico e Barbas che la scortavano verso una stanza. Gli anelli metallici delle maglie cigolavano e i foderi delle spade raschiavano contro le pareti. «Non credo che tu abbia capito» disse Ash, spostando il lembo del mantello che le era scivolato sotto i piedi. La luce delle lampade illuminava l'espressione stupefatta di Gaiserico. «Non ti capisco proprio» disse il ragazzo. Ash si limitò a sorridere e piegò le braccia doloranti. I muscoli delle cosce le bruciavano. Devono essere passate tre settimane dall'ultima volta che ho cavalcato, pensò Ash. «Sono già stata fatta prigioniera prima» spiegò. «Credevo di essermi dimenticata cosa si provasse.» Riguardo al motivo... smise di pensare a quell'argomento, mettendo la cella con il pavimento sporco di sangue in uno dei recessi più nascosti del-
la sua memoria dove non andava a guardare spesso. Sono giovane e guarisco in fretta, si disse. Il dolore alla testa e al ginocchio era molto diminuito e non aveva effetto sul suo buon umore. «Fatela entrare!» ordinò una voce. Ash comprese immediatamente che si trattava di Leofric. «Ti troverai bene qua dentro» le borbottò Gaiserico. «C'è il fuoco in quella stanza per l'immondizia come te.» Due soldati aprirono la porta e Teodiberto la spinse nella stanza. Ci fu un rapido scambio di parole tra il nazir e l'amir, mentre Ash si dirigeva rapida come una freccia al braciere e ci si inginocchiava di fronte. Sentì un tramestio e un animale che squittiva. «Ah... mi piace» sospirò Ash, chiudendo gli occhi. Il calore le lambì il viso. Aprì gli occhi e abbassò il cappuccio con un movimento goffo. Del vapore cominciò a levarsi dalla lana. Intorno a lei il pavimento era umido. Strofinò i pugni l'uno contro l'altro, mordendosi le labbra per cercare di resistere al dolore provocato dal sangue che tornava a scorrere. «Lordamir» salutò Teodiberto. I soldati chiusero la porta e andarono via. Ash si guardò intorno e scoprì di essere in compagnia solo di Leofric e qualche schiavo. Decine e decine di gabbiette per i topi erano allineate contro le pareti della stanza e migliaia di occhietti la fissavano da dietro le sottili sbarre di ferro. «Credo che dobbiamo parlare, mio signore» disse Ash. Leofric non si aspettava certo che lei parlasse. L'amir si girò. I capelli dritti e gli occhi sgranati lo facevano somigliare a un gufo preso di sorpresa. Indossava una tunica verde lunga fino al pavimento macchiata dagli escrementi dei ratti. «Il tuo futuro è deciso. Cosa vuoi dirmi?» L'enfasi che aveva posto sulla parola tuo, la fece arrabbiare. Ash si alzò in piedi, aggiustò i polsini del vestito e si parò di fronte a lui. I capelli erano coperti da una cuffia e l'abito era bagnato. Si avvicinò alla panca dove si trovava Leofric. Violante era a fianco del suo padrone e reggeva un secchio. «Cosa state facendo?» Era una domanda mirata a guadagnare tempo. «Sto estrapolando una caratteristica» spiegò Leofric, abbassando lo sguardo. «O forse no. Questo è il mio quinto tentativo e ho fallito. Ragazza!» La scatola di fronte all'amir era piena di fieno. Ash arcuò un sopracciglio
e pensò che in quella terra dove non cresceva nulla usare il fieno per tenerci dei cuccioli di ratto era un vero spreco. Guardò le piccole creature che si agitavano nel fieno e la sua mente tornò indietro a quando aveva nove anni e viveva nel carro insieme con la Grande Isobel: il quartier mastro pagava una forma di pane per dieci ratti morti o una cucciolata spazzata via. Si sporse per guardare meglio. Le testoline dei ratti non erano più grandi del capezzolo di una cagna e i piccoli corpi erano coperti da una sottile peluria bianca. Due erano grigi. «A cinque giorni è possibile capire di che colore sarà il pelo. Questi, come quelli della cucciolata precedente, sono inutili» spiegò l'amir. Il suo alito odorava di spezie. Leofric afferrò la cucciolata nel palmo e la gettò nel secchio. «Cos...» I cuccioli caddero nell'acqua e scomparvero sotto la superficie senza lottare. Ash contò quindici o venti rapidi tonfi, quindi fissò Violante che reggeva il secchio con gli occhi colmi di lacrime. «Il maschio è il numero quattro sei otto» disse l'amir, avvicinandosi a un'altra gabbia. «Non mi serve.» Leofric infilò rapidamente la mano nella gabbietta e afferrò un topo tenendolo per il centro del corpo. Ash riconobbe il pelo pezzato e vide che la bestia di dimenava come un'ossessa, irrigidiva la coda per poi cominciare ad agitarla in preda al panico. L'amir lo calò violentemente verso lo spigolo della panca con l'intenzione di rompergli la testa. Ash si mosse senza neanche rendersene conto. Serrò una mano intorno al polso di Leofric impedendogli di ammazzare il roditore. «No» gli disse scuotendo la testa. «Non penso che finirà così... padre.» Aveva pronunciato l'ultima parola allo scopo di colpirlo e ci era riuscita. L'amir la fissò intensamente, quindi ebbe un sussulto, le tirò il ratto e si succhiò il dito insanguinato. «Tienilo pure, se vuoi!» Il roditore le batté contro il petto. Ash imprecò, allungò rapidamente un lembo del voluminoso mantello che indossava e la bestia sparì tra le pieghe. «Quale sarebbe la tua obiezione?» sbottò Leofric, nervoso. «Allora...» Ash rimase immobile come una statua. L'aria puzzava di sterco di ratto. Qualcosa si mosse tra le pieghe del mantello. Si è seduto nell'incavo del gomito, pensò. Non cercò di prenderlo. «Ehi, Leccadita...» cinguettò cercando di imitare il tono di voce di Leofric. Sentì il ratto che si acquattava. Ash non poté fare a meno di irrigidirsi
pensando che il roditore stesse per mordere. Non successe nulla. Gli animali selvatici non si abituavano mai del tutto al tocco dell'uomo e tendevano a cedere alla paura. Qualcuno deve averlo già toccato, pensò Ash. E anche spesso. Molto più sovente di Leofric... Ash continuò a rimanere immobile e fissò Violante. La ragazzina aveva posato il secchio e la fissava a sua volta con i pugni alla bocca. Sperava che il topo fosse vivo, era chiaro. La mansuetudine è un 'risultato secondario' del programma di allevamento, vero? Balle! Balle! Non hai capito niente, Leofric. Ho capito chi ha addomesticato queste bestie e scommetto che lei non è l'unica schiava a farlo... «Va bene, lo terrò.» Ash si girò verso Leofric. «Ma credo che non abbiate capito.» «Cosa non avrei capito?» «Non sono un ratto.» «Cosa?» Il piccolo corpo del topo si stirò appoggiandosi al suo avambraccio. È nella manica! pensò Ash, immaginando il ratto che scivolava lungo la spalla e le solleticava la base del collo con i baffi. Sentì lo stomaco che si chiudeva per qualche attimo quando sentì che la bestiola era arrivata sulla pelle nuda, ma rimase molto stupita nello scoprire che il pelo non era ruvido come si era aspettata, ma soffice come quello di un cucciolo di cane. Ash fissò Leofric dritto negli occhi. «Non sono un ratto, padre. Non potete allevarmi. E non sono neanche una delle vostre schiave seminude. Io sono arrivata qua con una storia alla spalle lunga diciotto anni, forse venti. Ho dei legami e delle responsabilità. Molte persone dipendono da me.» «E?» Leofric allungò le mani e uno schiavo arrivò immediatamente con un catino pieno d'acqua, il sapone e un asciugamano. Ho usato lo stesso trucco con i paggi, pensò improvvisamente Ash, ma non è lo stesso! «Anche loro hanno una storia» aggiunse Ash. «Cosa stai cercando di dirmi?» «Non sono una vostra proprietà. Sarò anche nata da uno dei vostri schiavi, e allora? Non sono vostra. Voi avete la responsabilità di lasciarmi andare» disse Ash. Cambiò espressione, tono di voce e disse: «Mi sta leccando, signore!» La lingua piccola e morbida del topo continuò a leccarle la pelle dell'in-
cavo del gomito. Ash rabbrividì. Alzò gli occhi deliziata e vide che Leofric la stava fissando. «Parlare» continuò Ash. «Negoziare. Ecco cosa fanno le persone, padre. Voi potrete anche essere un uomo crudele, ma non siete pazzo. Un pazzo potrebbe portare avanti questi esperimenti, ma non potrebbe gestire una casa simile, gli affari di corte e preparare un'invasione... una crociata» si corresse. Leofric alzò le braccia e uno schiavo gli chiuse la cintura intorno alla vita. «E?» continuò a spronarla in tono tranquillo. «E voi non dovreste mai rifiutare l'opportunità di avere cinquecento uomini armati dalla vostra parte» spiegò Ash, calma. «Datemi una compagnia di vostri uomini, se non volete che io riabbia i miei. Voi sapete cosa può fare il faris. Io posso fare di meglio. Datemi Alderico e i suoi uomini e io farò in modo che la casata dei Leofric non scompaia nella lotta per eleggere un nuovo regnante. Fatemi mandare dei messaggeri per chiamare i miei capitani, i miei ingegneri e i miei artiglieri e farò in modo che le cose funzionino come volete voi anche in Europa. Cos'è la Borgogna per me? Alla fine si risolve tutto con gli eserciti.» Sorrise e tenne una mano sotto il gomito, non voleva toccare il ratto. Da quello che poteva sentire molto probabilmente si era addormentato. «Le cose sono cambiate ora che il califfo Teodorico è morto» continuò Ash. «So come vanno queste cose. Ho già assistito a molte dispute di questo tipo e ci sono sempre dubbi quando si ha a che fare con le successioni e bisogna decidere chi deve occupare il posto di chi. Pensateci bene, padre. Non parlo di tre giorni fa. Parlo di adesso. Non sono un ratto e non sono neanche una schiava. Sono un comandante da molto tempo e ho tantissima esperienza.» Ash scrollò le spalle. «Un secondo, un colpo di alabarda e questo cervello schizza in aria e si spiaccica sulla corazza di qualcuno, ma fino a quel momento, io so bene quanto avete bisogno di me, padre. Almeno finché non sarete eletto califfo-re.» Leofric cambiò espressione e cominciò ad accarezzasi la barba fissando Ash con uno sguardo molto interessato. L'ho colpito sul vivo, è mio, pensò lei. «Non credo di poterti affidare il comando delle mie truppe.» «Pensateci.» Ormai aveva capito che le suppliche non funzionavano con Leofric. «Spetta solo a voi. Chiunque mi abbia assoldato sa bene che non cambio bandiera. Ma sa anche che non sono né testarda né stupida. Se posso arrivare a un compromesso che mi tenga in vita e mi permetta di scoprire cosa è successo ai miei uomini ad Auxonne, allora combatterò per voi e
potete mettere la mano sul fuoco che io andrò la fuori a morire per voi... anzi sarebbe meglio se non morissi» aggiunse. «Sarebbe molto meglio.» Distolse deliberatamente l'attenzione dall'amir. «Chiedo scusa. Violante? Ho un ratto nel vestito.» Passarono alcuni minuti durante i quali Ash non fissò Leofric. Si slacciò il corpetto del vestito e lasciò che Violante rovistasse all'interno finché non riuscì ad afferrare il ratto. «Prenditi cura di lui per me» gli ordinò Ash, una volta che il roditore fu tirato fuori dal vestito. Violante lo strinse a sé. «Allora, padre?» «Io sono definito un uomo crudele.» Il tono di voce del Visigoto era privo di rimorso. «La crudeltà è un mezzo molto efficiente per ottenere ciò di cui si ha bisogno dal mondo e dalle persone. Tu, per esempio, soffriresti molto se facessi uccidere quel rifiuto umano, la ragazzina o il prete che ti ha fatto visita.» «Voi pensate che qualsiasi altro lord che assoldi dei mercenari non ci provi a ricattarmi?» «E tu cosa fai?» Leofric era interessato. «Di solito sono circondata da due o trecento uomini perfettamente addestrati nell'uso delle armi e questo serve a scoraggiare molti di loro.» Ash lisciò le maniche del vestito. Cominciava a sentire il calore della stanza. «La prima cosa che si impara è che c'è sempre qualcuno più forte di te. Allora incominci a negoziare e di solito raggiungi un accordo che è più vantaggioso per il lord, ma la cosa non sempre funziona. Per esempio non ha funzionato per la mia vecchia compagnia: il Grifone Dorato. Commisero l'errore di arrendersi a una guarnigione: il lord locale ne fece annegare metà nel lago e fece impiccare l'altra metà. Alla fine tocca a tutti.» Fissò Leofric dritto negli occhi. «Dopo crepiamo e marciamo. Il presente è l'unica cosa importante.» Ash era quasi sicura che l'amir avesse preso nota mentalmente della sua ultima frase. Leofric smise di concentrarsi su di lei e finì di farsi vestire dagli schiavi. Ash gli guardò la schiena che cominciava a incurvarsi a causa dell'età. Non è diverso dagli altri amir o lord che ho conosciuto, pensò. Già, ma ha anche lo stesso potere. Potrebbe farmi uccidere in ogni momento. «Mi stavo chiedendo» esordì Leofric «se mia figlia saprebbe comportarsi tanto bene se fosse catturata e portata nel cuore della roccaforte nemica.»
Ash accennò un sorriso. «Se io fossi stato un comandante più bravo non vi avrei dato l'occasione di fare il confronto.» L'amir si girò e continuò a guardarla. A lui non importa niente di fare male alle persone, pensò Ash. È abbastanza ambizioso da cercare di ottenere il massimo del potere. L'unica differenza tra noi due è che lui ha il denaro e gli uomini, io no. Oltre a questo ha quei quarant'anni d'esperienza in più che io non ho. Questo non è un uomo contro il quale combattere. È meglio mettersi d'accordo. «Alderico, uno dei miei arif, afferma che sei un soldato.» «È vero.» «Ma, come mia figlia, sei anche qualcosa di più.» L'amir fissò lo schiavo che entrava nella stanza con le braccia piene di pergamene. L'uomo accennò un inchino, quindi cominciò a sussurrargli nell'orecchio in tono concitato. Ash pensò che si trattasse di una faccenda molto importante, uno di quei messaggi che, a giudicare dal tono di Leofric quando rispose, richiedevano un assenso, una rassicurazione o un rifiuto temporaneo. Quell'intromissione la fece riflettere sul fatto che, sei piani sopra di lei, la Cittadella era un continuo brulicare di attività. «Ti garantisco che ci penserò» disse Leofric. «Padre» lo salutò Ash. I ratti correvano nelle loro gabbie. Le manette alle caviglie e il collare le dolevano. Non ha cambiato idea, pensò Ash. Può pensarci, ma non ha ancora cambiato idea. Cosa posso mettere sull'altro piatto della bilancia? «Io sono qualcosa di più» disse Ash. «Due al prezzo di una, ricordate? Cosa potreste fare con un comandante che può ascoltare i consigli tattici del Golem di Pietra anche qua a Cartagine?» «E usarli per una rivolta?» le domandò l'amir, preparandosi a seguire lo schiavo. «Non sei infallibile, figliola. Fammi pensare.» Ash si paralizzò. Non si era aspettata quelle ultime parole. Per una rivolta... ripeté mentalmente. L'ultima volta che ho parlato con il Golem di Pietra è stato a Digione durante la rivolta che ha quasi ucciso Florian... Ash chinò il capo in modo che Leofric non potesse vedere l'espressione del suo volto. Cristo Santo, pensò, avevo ragione. Può scoprire le domande che pongo al Golem di Pietra. Può conoscere con esattezza la natura dei problemi
tattici che ho avuto. O che avrò. Sempre che possa sentire ancora la voce. Non posso chiedere! Dannazione. Pensò in maniera ossessiva a una soluzione senza prestare molta attenzione ai soldati che la scortavano alla sua cella. Le tolsero le manette alle caviglie. Rimase seduta al buio sul lettino. Qualcuno le aveva portato un vaso da notte. Teneva la testa tra le mani in cerca di una riposta, ma non le sovvenne nulla. No. Leofric verrebbe a sapere tutto ciò che chiedo. Sarebbe come parlare con lui direttamente. Uno squillo metallico annunciò il tramonto. Ash alzò la testa. La neve imbiancava il bordo della finestra, ma non entrava in profondità. Aveva fame. La luce sulla porta, troppo in alto per essere raggiungibile, illuminava la cella. Infilò le dita nel collare per staccarlo un po' dalle piaghe che si stavano formando sulla sua pelle. Qualcuno grattò alla porta. La voce di una bambina la chiamò dal punto in cui le barre di ferro entravano nella parete. «Ash! Ash!» «Violante?» «È fatta» sussurrò la ragazzina. «È fatta.» Ash si avvicinò alla porta e si inginocchiò. «Cos'è fatta?» «Hanno eletto il califfo.» Merda! Imprecò mentalmente. L'elezione è finita prima di quanto avessi previsto. «Chi è?» Ash non si aspettava di riconoscere il nome. Dalle chiacchierate che aveva fatto con Leovigild e gli altri schiavi aveva appreso un sacco di pettegolezzi interessanti sulle abitudini degli amir che frequentavano la corte del califfo-re: accordi per favorire la carriera politica, abitudini sessuali e una buona dose di pettegolezzi su alcune morti per cause naturali. Se Ash avesse avuto a disposizione altre quarantott'ore sarebbe riuscita a far parlare anche i soldati e sarebbe stata in grado di valutare la loro vera forza. Il nome di Leofric ricorreva spesso, ma era molto improbabile che l'amir salisse al trono. Se dovesse succedere, pensò Ash, avrà un mucchio di cose a cui badare e non potrà dedicarsi alla mia vivisezione... Ho bisogno ancora di un paio di giorni. Non so ancora abbastanza.
«Chi è?» domandò di nuovo. «Gelimero, Ash» disse Violante. «L'amir Gelimero è il nuovo califfo.» IV Nel corridoio fuori della cella si accese una seconda fila di lampade che faceva risaltare ancora di più il buio del giorno. La luce filtrò attraverso la griglia di pietra sopra la porta. Ash rimase seduta a guardare fuori della finestra. «Faris» la chiamò una voce maschile, mentre le sbarre della serratura rientravano nel muro cigolando. «Leovigild?» Lo schiavo entrò nella stanza con un fagotto in mano e le due guardie che l'avevano accompagnato rimasero fuori. «Ecco!» Buttò il fagotto sul lettino. Ash si inginocchiò e cominciò a rovistare tra gli abiti. C'era una bella maglia di lino, dei pantaloni e un farsetto di un colore che non riusciva a definire a causa della luce e un vestito con dei bottoni argentati. Una cintura, un borsellino vuoto. Al posto delle scarpe le avevano portato delle suole alle quali era stato attaccato un pezzo di cuoio. Ash le osservò interdetta. «Io fare vedere, tu indossare.» Leovigild scosse la testa frustrato. Ash vide l'espressione rilassata dell'uomo. «Violante non venire.» Lo schiavo unì le mani e fece finta di cullare qualcosa vicino alle guance. «Mettere, faris.» Ash lo guardò stringendo un cappello tra le mani. Il corno idraulico che scandiva il tempo della città, suonò sei volte prima che qualcuno aprisse nuovamente la porta della cella. La fame le aveva attanagliato lo stomaco, ma infine si era placata. Tornerà presto, pensò Ash. Un sorrisetto le increspò un angolo della bocca senza che lei se ne rendesse conto. Fame e isolamento, due condizioni che conosceva bene. Vuol dire che hanno ancora intenzione di persuadermi, pensò. Di tanto in tanto i suoni provenienti dalla baia e dal porto rimbalzavano contro le pareti di pietra: canzoni, flauti, urla e una volta il clangore metallico di due lame che si incrociavano. La finestra era troppo profonda per
permetterle di vedere quanto stava succedendo, ma, premendosi contro le sbarre poté scorgere il falò acceso sul promontorio a est intorno al quale le persone si abbandonavano a danze sfrenate. I pantaloni erano stretti, il farsetto abbondante, ma era bello poter indossare nuovamente degli abiti. Si infilò le insolite calzature fischiettando. Le dita dei piedi erano blu dal freddo. «Ho bisogno di una spada.» Legò il laccio del mantello, tirò su il cappuccio e infilò il colletto tra il collare e la pelle. Non le importava nulla se tutti potevano vedere l'oggetto che la marchiava come schiava. L'unica cosa che voleva in quel momento era cercare di dare sollievo alla pelle raschiata dal metallo. Abbassò il cappuccio e si mise il cappello. Cominciava ad avere più caldo, sebbene il vento gelido fosse aumentato di intensità. Aveva usato il vaso da notte da circa un'ora, quando udì nuovamente dei passi al di fuori della porta. «Nazir» salutò Ash vedendo entrare Teodiberto. Se non fosse stato che il ricordo del tentativo d'aggressione da parte del soldato che aveva di fronte era ancora vivo, la vista della sua espressione, un misto di disapprovazione e paura di sapere come mai lei era stata convocata dai superiori, l'avrebbe fatta sorridere. «Muoviti!» ordinò, indicando la porta con il pollice. Ash ubbidì. Voglio sapere chi mi ha mandato questi abiti, pensò. Se sono un dono di Leofric allora rappresentano un segnale ben preciso. Se, invece, sono stati rubati da Violante o Leovigild significa tutt'altro e mi conviene stare zitta se no li uccidono. Meglio non chiedere. Sarà una delle tante cose che non so. Posso sopportarlo. Uno degli uomini disse qualcosa a Teodiberto indicando le caviglie di Ash. Forse gli sta suggerendo di sostituirle, pensò lei. Il nazir ringhiò qualcosa e colpì l'uomo. Ha ricevuto ordine di non farlo o non ci sono ordini? La tensione le stringeva lo stomaco come durante le mattine che precedevano la battaglia. Ash nascose le mani tra le pieghe del mantello, sorrise a Barbas e Gaiserico e uscì dalla cella a grandi passi. Le scale a chiocciola della casa erano affollate di persone con indosso i loro abiti migliori. La squadra di Teodiberto passò in mezzo alla gente senza sforzo. Il cortile era coperto di neve e decine di schiavi si affaccendavano a portare cibo, bevande, strumenti musicali, bandiere e altri ogget-
ti. I sandali di Ash scivolavano e lei si morse il labbro inferiore. In meno che non si dica si trovò a passare sotto un'arcata che dava accesso a una strada buia. Questa è la strada dalla quale sono entrata, pensò. Quattro giorni fa? Sono solo passati quattro giorni? Gaiserico si bloccò di scatto e lei lo urtò. Sotto la divisa con lo stemma dei Leofric portava un usbergo di anelli metallici. Nello stesso istante in cui Ash si rese conto che la spada del nazir era a portata di mano, sentì che le stavano legando i polsi. Gaiserico fece un passo avanti. Le torce illuminavano solo la schiena degli uomini di fronte a lei. Si unirono ai passanti e cominciarono a camminare lungo le strade spoglie della Cittadella. Il selciato era coperto da ogni sorta d'immondizia: torce consumate, scarpe, festoni e un piatto di legno che la fecero inciampare più di una volta. Il corno suonò ancora due volte mentre Ash camminava a ridosso dei soldati che avanzavano lentamente. Nessuno le mise le mani addosso. Ash non riuscì a capire dove erano diretti finché non furono prossimi alla meta. La neve si era quasi mutata in pioggia e cadeva sui visi rivolti verso l'alto. Le torce tenute in mano dagli schiavi illuminavano a giorno la piazza. La luce giallastra inondava gli astanti e un palazzo le cui mura dorate erano sormontate da una cupola. Un nutrito cordone di soldati del califfo presidiava l'entrata. Un trambusto fece girare la folla verso destra. Il nazir borbottò qualcosa in tono poco entusiasta. «Non di qua, nazir!» Ash riconobbe la voce di Alderico che nel frattempo si stava facendo strada tra la folla di civili. «Dal retro.» La squadra seguì l'arif. Ash si accorse che Alderico stava sudando sebbene facesse freddo. Non aveva ancora mangiato e lo stomaco le si stava annodando come quello di un cavallo in preda alle coliche. «Ho sentito che potresti unirti a noi in veste di capitano» borbottò Alderico senza togliere gli occhi dalla strada. Non c'è nessuna speranza di mantenere un segreto in una casa piena di schiavi o soldati, rifletté Ash. È la verità o solo una voce di corridoio? Speriamo che sia vero! «Fa parte del mio mestiere. Combatto per chi mi paga.»
«Così tradisci il tuo precedente datore di lavoro.» «Io preferisco dire che la mia lealtà si concentra su qualcun altro.» Alderico e i suoi uomini si aprirono la strada a forza tra la folla che non accennava a diminuire. Vicino alle mura c'era un porticato illuminato dal quale si udiva un coro di ragazzi; la festa per l'elezione del califfo non era ancora terminata. La cupola del palazzo brillava. Sembrava che le tegole fossero dorate. Ash sbatté le palpebre sia per proteggersi dalla luminescenza sia per lo stupore che provava nel vedere tanta ricchezza. La squadra girò a sinistra. L'arif Alderico andò a parlare con un sergente che indossava una divisa nera. Ash inclinò la testa all'indietro come se volesse guardare meglio la cupola, ma in verità prese nota della posizione dei ciambellani, dei musicisti, dei paggi e degli scudieri che si trovavano vicino alla porta. Tutti indossavano quelli che dovevano essere degli abiti invernali, ammesso che qualcuno di loro sapesse cosa fosse l'inverno, e tremavano. I più ricchi si distinguevano perché sfoggiavano degli abiti più spessi, di fattura veneziana o inglese. Ash passò sotto l'arcata sospinta da un pugno nella schiena, ma riuscì a rimanere in piedi sebbene avesse le mani legate. «Entra, puttana» ringhiò Teodiberto. «Per te sono il 'capitano puttana'.» Qualcuno ridacchiò, ma il nazir non fu abbastanza rapido nel girarsi per scoprire chi fosse. Ash serrò le labbra e rimase impassibile. Raggiunsero una sala rotonda il cui perimetro era segnato da una serie d'arcate sotto le quali si erano assiepati centinaia di cortigiani e militari. Eccettuato un gruppo di persone intorno al trono, il centro della stanza era vuoto. Le piastrelle erano coperte da uno strato di steli di grano. No, Ash si corresse smettendo di fissare il soffitto dorato, è fieno. Notò che alcune tessere del mosaico erano macchiate di verde nel punto in cui gli stivali erano scivolati o avevano schiacciato qualche seme di grano rimasto intrappolato negli steli. Deve arrivare dalla Spagna, pensò, e adesso lo sprecano per un cerimonia usandolo come da noi usiamo la segatura: per tenere pulito un pavimento. «Madonna Ash» la chiamò una voce familiare, mentre la spingevano da parte. Ash, circondata dalla squadra di Alderico al gran completo, quaranta uomini, si girò e vide un giovane dai capelli radi. «Messere Valzacchi!» Il dottore italiano si tolse il cappello e accennò un inchino. «Come va il
ginocchio?» Ash lo piegò con noncuranza. «Fa male quando fa freddo.» «Dovreste provare a tenerlo al caldo. La testa?» «Meglio, dottore.» Come stavo per dire, pensò Ash, di tanto in tanto ho le vertigini di fronte agli uomini che, Cristo lo voglia, potrei comandare tra poco tempo. «Potresti sempre slegarmi, arif» disse, rivolgendosi ad Alderico. «Dove potrei andare?» Il comandante visigoto la gratificò con un'occhiata divertita, ma severa e tornò a parlare con i suoi uomini. «Ci ho provato...» borbottò Ash. Un ovale bianco spiccava sul pavimento di fronte a lei. Ash alzò lo sguardo. La cupola era decorata con un mosaico che rappresentava i santi Michele, Gawaine, Peredur e Costantino nel loro massimo splendore. L'intreccio delle icone la confuse e non riuscì a distinguere se tra i santi erano stati dipinti dei tori o dei cinghiali. Scoprì che quello che in un primo momento aveva pensato essere un cerchio nero disegnato all'apice della cupola era in verità un'apertura che dava sul cielo. La costellazione del Capricorno splendeva come se fossero di notte e un sottile nevischio entrava dall'apertura posandosi sul pavimento. Il coro riprese a cantare. Ash, che non riusciva a vedere oltre le teste delle persone che la circondavano, pensò che i ragazzi dovessero trovarsi un qualche punto dell'arcata. Sotto ogni arco c'erano delle panche di legno massiccio sulle quali avevano preso posto i nobili e il loro seguito di servitori e soldati. Ash vide alla sua destra qualcuno che reggeva il simbolo della casata dei Leofric, ma non vide Leofric. Di fronte a lei, nel centro di una grossa struttura ottagonale spiccava il trono dell'impero visigoto sul quale sedeva una persona. Da quella distanza Ash non riusciva a distinguere bene il volto, ma doveva essere sicuramente Gelimero, il nuovo califfo-re. «Sei privilegiata, madonna» le fece notare Annibale Valzacchi. «Davvero?» «Non ci sono altre donne presenti. Anzi, dubito che questa sera ci siano altre donne fuori di casa a Cartagine.» L'Italiano ridacchiò. «Visto che sono un dottore sono in grado di dire che se non proprio una donna, sei femmina a tutti gli effetti.» Sebbene l'aria fosse pervasa dai canti del coro e dal brusio provocato da
tre o quattrocento persone che parlavano mormorando, la voce di Valzacchi risuonò chiara e venata da una malizia che era impossibile non notare. Ash diede una rapida occhiata all'abito consunto del giovane. «Nessuno che paga per le vostre prestazioni, dottore?» «Non sono un assassino a pagamento» rispose Valzacchi con un'enfasi colma d'astio. «Teodorico è morto così ho perso chi mi pagava. Tu uccidi, quindi loro sono pronti a pagarti per i tuoi servizi. Dimmi una cosa, madonna, dov'è la giustizia divina in tutto questo?» Sono pronti a pagare... ripeté Ash mentalmente. Oh, dolce Cristo Verde, fa che sia vero e che non sia solo un pettegolezzo. Fa' che io sia riuscita a convincere Leofric. «Lascia che raddrizzi la bilancia della giustizia. Se mi hanno portata qua per essere assoldata, allora avrò bisogno di un dottore. Tu mi hai detto che hai lavorato nel campo di un condottiero.» Ash fu percorsa da un tremito e dovette stringere le mani che continuava a tenere sotto il mantello. «È ovvio che se, invece, mi hanno portata qua per giustiziarmi, io terrò la bocca chiusa su di te.» Il dottore fece una risata stentorea all'indirizzo di quella donna con i capelli tagliati come se fosse una schiava, che aveva le spalle larghe e indossava un abito da uomo. «No» rifiutò. «Anche se ultimamente mi hanno pagato solo con il rame, preferisco guadagnarmi l'oro curando. Vi farò la stessa domando che ponevo a mio fratello Giampaolo quando eravamo a Milano. Dal momento in cui sorge il sole tu indirizzi tutte le tue energie mentali e fisiche a trovare un modo per bruciare le case, avvelenare i pozzi, distruggere le mandrie, strappare i bambini dalle pance delle madri e massacrare altri uomini durante le battaglie. Come riesci a dormire di notte?» «Tuo fratello cosa faceva per dormire?» «All'inizio beveva fino a svenire, ultimamente si era rivolto a Nostro Signore e ora dice di dormire nella sua pietà, ma non ha cambiato stile di vita. Uccide per vivere, madonna.» Ash capì finalmente chi gli ricordavano i lineamenti del dottore. «Merda! Sei il fratello di Agnus Dei! Vero? Non sapevo che di cognome facesse Valzacchi.» «Lo conosci?» «Da anni» Ash sorrise e scosse la testa. «Come riesci a dormire di notte, dopo quello che hai fatto?» ripeté Annibale Valzacchi. «Bevi?»
«La maggior parte dei miei uomini si ubriaca» rispose Ash, fissandolo dritto negli occhi. «Io non ne ho bisogno, dottore. Il mio lavoro non mi ha mai dato problemi.» Una voce che le era familiare, proveniente dall'altro capo del cordone di soldati, annunciò qualcuno ma Ash non riuscì né a vedere né a capire chi fosse. «Fatelo passare» ringhiò il nazir Teodiberto. «Prima perquisitelo. È solo il peregrinatus Christi136 .» «Il vecchio Teo se la fa sotto, mammina!» le bisbigliò a un orecchio Gaiserico, il più giovane dei soldati che la sorvegliavano. «Spera che lasciando passare il prete tu abbia un occhio di riguardo per lui.» «Figliola!» disse Godfrey Maximillian. «Grazie a Dio, vivrai.» Godfrey cominciò a impartire una sonora benedizione in latino, afferrò le mani di Ash, che lei continuava a tenere nascoste tra le pieghe del mantello, e le slacciò le corda che le stringeva i polsi rimanendo impassibile in volto. Era come se le mani stessero agendo guidate da una volontà propria. Ash, che sudava e sentiva un formicolio al collo, si sforzava di non guardarsi intorno per vedere se qualcuno si stava accorgendo di quanto stava accadendo. «Assisti all'ottavo ufficio qua, Godfrey?» «Sono troppo eretico per loro. Potrò predicare, sempre che questa cerimonia finisca.» Godfrey spostò la sua attenzione da Ash ad Annibale Valzacchi. «È già stato eletto califfo?» Il medico scrollò le spalle. «L'hanno eletto stamattina. Tutto il resto del cerimoniale è una consacrazione e basta.» Ash vide una processione di preti dall'espressione ieratica che si avvicinava all'amir Gelimero. Cercò di mettere a fuoco il volto del nuovo regnante, convinta del fatto che, una volta diventato re, un uomo cambiasse d'aspetto. Ce l'ho fatta? Pensò Ash. Ho scommesso e ho vinto? Migliaia di candele riscaldavano l'aria e la loro luce si rifletteva sulle pareti. Il mantello cominciava a darle fastidio a causa del calore. Fissò il grande volto di Cristo dalla cui bocca usciva del fogliame verde che campeggiava sopra i santi. Le labbra del ritratto delimitavano i margini del foro sulla cupola, come se Egli avesse aperto la bocca su un cielo stellato. 136
Termine usato per indicare i monaci viaggiatori di origine celtica che non appartenevano a nessuna abbazia in particolare: 'un viandante di Cristo'.
«Cristo imperatore» sussurrò Ash. Stava tenendo la testa piegata all'indietro da tanto tempo che cominciava a dolerle. Lo stomaco le faceva male, più per l'attesa che per la fame. «Già, la Bocca di Dio. Qua a Cartagine preferiscono l'iconografia usata durante l'impero romano» mormorò Godfrey Maximillian continuando a rimanerle vicino. Il calore del corpo del prete era una presenza confortante per Ash. «Sono vere le voci che ho sentito?» «Quali voci?» Ash sorrise. Pensò che la sua espressione, un misto di compiacenza e deferenza, fosse quella giusta. Era certa che Annibale Valzacchi la stesse osservando disgustato. Florian se ne sarebbe accorto immediatamente, pensò. Uno sguardo in tralice assicurò il silenzio complice di Godfrey. Leofric non mi avrebbe fatta portare qua se non avesse qualcosa in mente. Ma cosa? A lui può importare qualcosa di pensare a se stesso come al padre del faris... come mio padre? Ma io non sono il faris. E Gelimero è diventato califfo. Ash si spostò leggermente e due nazir le puntarono immediatamente gli occhi addosso, senza però portare le mani alle spade. Probabilmente pensavano che lei volesse cercare di scorgere l'amir Leofric. Finalmente riuscì a vederlo. Era seduto sulla sinistra dell'arcata con un gomito appoggiato al bracciolo della sedia e parlava con un giovane, un figlio o un fratello, forse, senza però distogliere gli occhi dal trono del califfo-re sul quale sedeva Gelimero. Ash fissò l'amir nella speranza che si girasse a guardarla. Gli uomini seduti vicino a Leofric conversavano tranquillamente tra di loro. Le schiene dei soldati, dei preti e delle donne riccamente abbigliate entrarono nel campo visivo di Ash occultando la vista dell'amir. «Non sono stupendi?» le chiese Gaiserico. Ash sussultò, studiò il volto del giovane, quindi le persone riunite sotto lo stendardo con la ruota dentata. Nobili e vecchi che indossavano abiti di lana preparati in fretta e furia. Cavalieri con la corazza completa. Spade, daghe, stivali da cavallerizzo e borse di cuoio lavorato: Ash sapeva bene quanto poteva costare tutta quella roba. Sapeva anche bene cosa volesse dire camminare scalza con indosso solo un abito di lana fine e mangiare una volta al giorno. Sebbene il volto di Gaiserico non mostrasse nessun segno di denutrizione, Ash si era resa conto che il giovane soldato doveva provenire da un
villaggio di due capanne in croce o da una fattoria con il pavimento di terra battuta e solo due stanze: una per le persone e l'altra per il bestiame. «Cosa mi dici del re?» gli chiese sussurrando. Il volto del giovane si illuminò. Aveva la stessa espressione radiosa di un prete che invocava la discesa dello Spirito Santo nell'ostia ritto davanti all'altare. «Non è un vecchio. Egli non ci impedirà di combattere.» Nove decimi del mondo conosciuto è composto da foreste, campi, capanne, geloni e fame; morte per malattia o incidenti e abiti di lana tessuti di fronte al camino d'inverno. Per tutto questo vale la pena di piantare nel corpo di un altro una lama, colpirlo con un'ascia o esporsi al tiro delle balestre. O almeno così la pensa Gaiserico. Per lui vale la pena di trovarsi in un città di sessantamila abitanti, mentre il suo re è incoronato sotto lo sguardo di Dio. E per me? pensò Ash. Ne è valsa la pena di passare tutta la mia vita nel fango fino alle ginocchia? Anche se poi sono finita qua senza sapere quello che mi succederà nei prossimi minuti? Oh sì! Certo che sì! Godfrey Maximillian le strinse un braccio. Lo squillo delle trombe echeggiò contro la cupola del palazzo coprendo il canto del coro. Le fiamme delle candele tremarono. Ash fu travolta dalla tensione. Le sue mani andarono istintivamente alla cintura in cerca della spada o di un coltello. Sentiva la mancanza della sensazione di protezione che forniva un'armatura completa. Degli uomini cominciarono ad avanzare dai quattro angoli della sala. Si aprì un piccolo varco tra la folla e Ash poté vedere i volti nelle prime file. Erano diversi per età e lineamenti, ma tutti maschili. I nobili cominciarono a uscire da sotto le arcate lasciando libere le panche. Degli uomini che, a giudicare dagli abiti, potevano essere mercanti, armatori, importatori di spezie, grano e sete, si assieparono nello spazio che si creò tra il trono del califfo-re e gli scranni degli amir. Gli squilli di tromba aumentavano d'intensità e Ash si accorse di avere le lacrime agli occhi senza sapere perché. Il califfo-re si alzò dal trono e levò le braccia al cielo. Il silenzio calò immediatamente sulla sala. Un guerriero visigoto pronunciò delle parole che Ash non riuscì a comprendere. Un trambusto si scatenò in un punto sotto l'arcata dove si trovavano i membri di una grande casata. Gli uomini balzarono in piedi, alzarono le bandiere, sfoderarono le spade, scesero gli scalini, attraversarono a grandi passi la sala inginocchiandosi poi di fronte al trono. L'amir e i suoi
uomini pronunciarono all'unisono il giuramento di fedeltà al califfo-re e all'impero visigoto. Ash si accorse che anche gli uomini di Alderico, come tutti i presenti in sala, si stavano preparando a quel rituale. Il nazir Teodiberto drizzò lo stendardo e Alderico disse qualcosa a un altro arif che sorrise. Ogni volta che un gruppo di nobili e soldati si avvicinava al posto che era stato assegnato loro prima dell'inizio della cerimonia, l'aria si riempiva del fruscio degli abiti e del clangore metallico delle armi. Ash si tolse il cappello come aveva visto fare dal seguito di Leofric e, senza neanche rendersene conto, drizzò la testa e tirò indietro le spalle. «Sei uguale ai cavalli da guerra di mio fratello!» borbottò disgustato Annibale Valzacchi. «Hai ragione, dottore» ammise Ash. Godfrey le carezzò la testa e disse: «Sono qua. Qualunque cosa succeda non sarai da sola.» Gli uomini intorno a loro cominciarono a muoversi e lo squillo delle trombe lacerò l'aria. «Tu non sei un cavallo da guerra, Godfrey» disse Ash, continuando ad avanzare a fianco del prete. «Come fai a sopportare tutto quello che succede sul campo di battaglia? Come fai a sopportare tutte quelle morti?» «Per te» rispose rapidamente Godfrey approfittando del fatto che la calca nella quale si stavano muovendo impediva ad Ash di fissarlo in volto. «Per te.» Come diavolo mi devo comportare con te, Godfrey? pensò lei. Ash si guardò intorno e valutò che il gruppo di Leofric doveva ammontare a sei o settecento persone. So cosa manca, pensò Ash. Si guardò ancora intorno, ma non vide quello che cercava. Non ci sono i Turchi. Pensavo che si fossero alleati, dopo quello che ho visto ad Auxonne. Che mi sbagliassi? Lo stendardo che invece vide molto bene era quello verde e oro dei del Guiz. Gli uomini che circondavano Ash si inginocchiarono e lei li imitò esponendo il collo al freddo e alla neve che penetravano dalla Bocca di Dio sul soffitto. Inclinò leggermente il capo all'indietro per vedere le stelle e le grandi foglie che fuoriuscivano dalla bocca del Cristo avvolgendosi intorno alle figure dei santi in armatura riprodotte sopra i capitelli delle colonne. Im-
provvisamente Ash si rese conto che Leofric aveva cominciato a parlare. «Tu sei il mio signore, Gelimero.» La voce incrinata dell'amir si levò sopra le migliaia di sussurri che echeggiavano nella sala. «Io giuro, proprio come fecero i miei padri prima di me, di essere leale al califfo-re. Questa promessa lega me e i miei eredi fino al giorno della Venuta del Cristo, quando tutte le divisioni saranno sanate e tutti i governanti abdicheranno in Suo favore. Fino a quel giorno, io e i miei uomini combatteremo seguendo il tuo volere, re Gelimero; che venga la pace dove tu lo desideri e che tu possa prosperare. Così io, Leofric, giuro.» «Così io, Gelimero accetto la tua fedeltà.» Il califfo-re si drizzò in piedi. Ash alzò appena il capo fissando di sottecchi Leofric che abbracciava Gelimero. Ora che si era avvicinata poteva vedere la predella composta da una serie di gradini ottagonali sulla quale si trovava il trono. Non mi sembra che il fatto di essere diventato re, i vestiti dorati e la stola d'ermellino abbiano migliorato il tuo aspetto, Gelimero, pensò Ash. Neanche dei fili d'oro nella barba servirebbero molto. Trovò quel pensiero tranquillizzante. Gelimero che abbracciava formalmente Leofric baciandolo su entrambe le guance sembrava una bambola. Ma per il momento tutti avrebbero preso le armi e combattuto dove avrebbe indicato quell'uomo. «Per quello che dura...» Ash premette le labbra. «Cosa ne pensi, Godfrey? Una 'caduta da cavallo'? O 'cause naturali'?» «Ogni re è sempre meglio che nessun re» rispose sussurrando il prete. «Sempre meglio dell'anarchia. Non sei stata in città in questi giorni. Ci sono stati parecchi omicidi.» Gli scambi di formalità tra il re e l'amir le permisero di continuare la conversazione. «Tra un minuto ci potrebbe essere un omicidio... a meno che loro non lo definiscano esecuzione.» «Hai pensato a qualcosa?» «Se perdo cercherò di scappare. Non me ne andrò tranquillamente.» Lo prese per una mano fissandolo negli occhi. «Recita un poema! Lancia un profezia! Distraili. Preparati.» «Ci ho pensato... però lui non ti aveva assoldato? Deve farlo!» Ash scrollò le spalle per cercare di alleviare la tensione di cui era preda. «Forse non succederà niente, Godfrey. Forse usciremo da questa sala tutti felici e contenti. Questi sono i lord del regno, secondo te quanto può importare loro di un singolo condottiero?»
Leofric si allontanò lentamente dal trono scendendo gli scalini all'indietro. La luce delle candele si riflesse sul pomello dorato della spada e sugli smeraldi e gli zaffiri che spiccavano sui guanti. Sceso l'ultimo gradino, Leofric fece un inchino e cominciò a girarsi. «Lord Leofric» lo chiamò il califfo-re Gelimero sporgendosi dal trono. «Io ho accettato il tuo giuramento di lealtà. Come mai hai portato un abominio nella Casa di Dio? Perché c'è una donna nel tuo seguito?» Merda, pensò Ash sentendo lo stomaco che si chiudeva. Riconosco una domanda provocatoria quando la sento. Ecco una scusa per un'esecuzione servita su un piatto d'argento, a meno che Leofric non si pronunci in mio favore. E dubito... «Non è una donna, mio re» rispose calmo l'amir. «È una schiava che voglio donarti. L'avete già vista. Si chiama Ash. Un generale in grado di sentire la voce del Golem di Pietra e potrà combattere per te nella crociata che sta terminando al Nord.» Ash si soffermò sulle parole 'sta terminando'. La guerra in Borgogna è finita o si tratta solo di un tentativo di lusingare Gelimero? pensò senza accorgersi che il califfo-re aveva ricominciato a parlare. «La nostra crociata continuerà. Alcune città degli eretici, Digione e Bruges, devono ancora essere conquistate.» Gelimero sorrise. «Non è necessario che ci esponiamo al pericolo rappresentato da un altro generale in grado di udire le istruzioni del Golem di Pietra. Non abbiamo nulla da dire sul primo generale perché si è rivelato molto utile alla nostra causa, ma non ne vogliamo un altro. Potrebbe tradire la nostra fiducia.» «Sua sorella non l'ha fatto.» Leofric chinò la testa in avanti. «Questa è il capitano Ash che all'età di tredici anni prese lo stendardo dei Lancaster nella battaglia di Tewkesbury. Guidò una carica di lancieri dal bosco fino al Prato Insanguinato137 . Se le affidassimo il comando di una compagnia ci 137
La battaglia di Tewkesbury (sabato 4 maggio 1471) segnò una svolta decisiva nella seconda guerra tra i Lancaster e gli York. Vinsero gli York. Ash al tempo doveva avere tredici o quattordici anni. Si dice che Edoardo di York avesse nascosto duecento 'alleati' in un bosco. A un certo momento questi uomini uscirono allo scoperto attaccando il fianco dello schieramento del duca del Sommerset spezzando in due l'esercito dei Lancaster che fu massacrato nei ruscelli e nei canali del campo di battaglia. Le cronache del tempo non parlano della presenza di mercenari in quella battaglia, ma si sa della loro presenza nella battaglia di Barnet,
tornerebbe molto utile nella nostra crociata, mio re.» Gelimero scosse lentamente la testa. «Se questa donna è il prodigio che dici, allora è un pericolo... I grandi generali lo sono sempre per i re. Personaggi simili indeboliscono il regno e confondono le menti dei sudditi che non capiscono più chi è la persona giusta che debba sedere sul trono. Tu hai allevato delle bestie molto pericolose. Questo e una serie di altri motivi, ci hanno indotto a decidere che il tuo secondo generale non debba vivere.» La neve scendeva più lentamente dall'apertura nella cupola. «Avevo pensato di usarla come condottiero, mio re. Ne abbiamo già avuti in precedenza.» «Tu avevi anche pensato di sezionare questa donna. Fallo. Questo è il mio dono per te. In questo modo forse potrai trovare le risposte che cerchi sull'altra tua 'figlia'. Forse, una volta finita la guerra, permetteremo al faris di rimanere in vita e mettersi da parte silenziosamente.» Ash si accorse della malizia che permeava la voce del califfo-re, ma si rese conto che non era indirizzata contro di lei. Se la sta prendendo con Leofric, pensò Ash, e questa è la fine di una lunga campagna. Si accorse che Teodiberto e Gaiserico si erano allontanati leggermente isolandola dal resto del seguito di Leofric, mentre il corpo massiccio di Godfrey Maximillian continuava a rimanere alle sue spalle bloccando ogni possibile tentativo di avvicinamento da parte di altre persone. L'amir Leofric posò le mani sulla fibbia della cintura a forma di ruota dentata. Ash non riuscì a capire quale fosse l'espressione del nobile perché dalla posizione in cui si trovava ne scorgeva solo il profilo. «Ci sono voluti due secoli di accoppiamenti per arrivare ad avere due donne con queste caratteristiche, mio re.» «Una è più che sufficiente. La Reconquista dell'Iberia è terminata e presto anche il Nord sarà nelle nostre mani. Non abbiamo più bisogno dei tuoi generali o di questo... dono» disse il califfo-re Gelimero. Non posso crederci, pensò Ash. Provava una sensazione d'incredulità che le era familiare, era la stessa incredulità che vedeva sui volti dei suoi avversari quando li stava per uccidere. Sembrava sempre che stessero per dire: 'Non è possibile che succeda proprio a me'. Ash fece per alzarsi, ma Gaiserico e Teodiberto l'afferrarono per le spalscontro che precedette di poco Tewkesbury.
le. Leofric fissò gli uomini che circondavano il sovrano. Ash vide Fernando in mezzo a due soldati tedeschi. Aveva il mento rasato e gli occhi rossi. Un uomo grasso con indosso una tunica stava parlando all'orecchio di Gelimero. «Il nostro profeta Gundobad scrisse: il saggio non mangia i semi del grano, ma li tiene da parte per il raccolto del prossimo anno» citò Leofric in tono mite, come se non fosse stato ancora deciso nulla. «L'abate Muthari può averlo detto in latino, ma è chiaro. Potreste avere bisogno di entrambe le mie figlie negli anni a venire.» «Sei tu ad averne bisogno, Leofric» sbottò Gelimero. «Cosa sei senza la tua macchina di pietra e le tue figlie visionarie?» «Mio re...» «Esatto. Il tuo re. Non Teodorico, Teodorico è morto e il favore che riscuotevi a corte è morto con lui!» Nella sala si levò un brusio. Qualcuno fece per suonare la tromba, ma lo squillo si interruppe a metà. Ash si rese conto che quanto stava succedendo non faceva parte del cerimoniale e cominciò a tremare. Gelimero si alzò in piedi e prese lo scettro d'avorio che fino a quel momento aveva tenuto sul grembo. «Non ci saranno personaggi al di sopra dell'autorità del califfo nella mia corte! Lei morirà, Leofric! E tu te ne dovrai occupare!» «Non sono mai stato al di sopra dell'autorità del califfo!» «Allora ti atterrai al mio volere!» «Sempre, mio re.» Leofric fece un profondo respiro. L'espressione del suo volto era rimasta impassibile. Dopo aver passato sei anni alla corte del califfo-re, l'amir aveva imparato a nascondere le sue vere emozioni. Ash cominciò a guardare la sala come se fosse un campo di battaglia, valutò la posizione dei soldati e diede una rapida occhiata alle persone assiepate sotto le arcate soffermandosi un attimo di più sul volto terrorizzato di Fernando. Non aveva nessuna possibilità di raggiungere l'arcata che si trovava proprio alle sue spalle. Non c'era nessuna possibilità di compiere un ultimo atto disperato e definitivo. «Mio califfo-re...» la voce nervosa di un giovane ruppe il silenzio sceso nella sala. «... quella donna non è una schiava. Non è una proprietà dell'amir Leofric. Ella è nata libera e mi ha sposato.» «Dio sull'Albero!» esclamò Godfrey Maximillian. Ash fissò Fernando del Guiz e vide un giovane nobile tedesco in una corte straniera che la fissava con sguardo titubante. Le persone che lo cir-
condavano avevano cominciato a sussurrare. La sua dichiarazione ingenua aveva rimesso sul piatto la questione del trattamento dei popoli conquistati. Ash si alzò in piedi. Scambiò un'altra rapida occhiata con il marito. Fernando aveva un'espressione che era a metà tra il contrito e il terrorizzato. «È vero» confermò Ash, stringendosi nel mantello e sorridendo in maniera ironica. «Quello è mio marito, Fernando.» «Questo voltagabbana tedesco è mio o vostro, Leofric? Non ricordiamo» ringhiò Gelimero. «È una nullità, Maestà.» Ash sentì una mano che le stringeva la spalla e sussultò. Era Leofric. «Mio re» continuò l'amir, mantenendo un tono formale «proprio come me avrete sentito che questa donna è un comandante che si è guadagnata la sua fama sui campi di battaglia dell'Italia, dell'Inghilterra e della Borgogna. Chi altri potrebbe combattere per voi? Il fatto stesso che un loro comandante combatta per il califfo-re, dimostrerebbe ai popoli del Nord che è giusto che siano conquistati da noi.» Ash vide il califfo-re che si mordicchiava il labbro inferiore. Ora che era più vicina si rese conto che doveva essere poco più vecchio di Fernando del Guiz. Com'è possibile che sia riuscito a farsi eleggere califfo? Si chiese. È chiaro, alcuni uomini sono molto più bravi a guadagnare il potere che a conservarlo... Leofric continuò a parlare in tono mite e inoffensivo. «Margherita di Borgogna, la moglie del duca Carlo, ci sfida ancora da dietro le mura di Bruges. Non è sicuro che il duca muoia. Digione potrebbe resistere fino in inverno. Mia figlia, il faris, non può essere ovunque nella Cristianità. Usate quest'altra mia figlia, mio re, vi imploro. Quando non vi sarà più utile potrete portare a compimento la pena che le avete comminato.» «No, non lo farete!» Ash si liberò dalla prese del nobile visigoto, fece un passo avanti e, senza dare tempo al sovrano di replicare, disse: «Mio re, io sono una donna d'affari. Carlo di Borgogna ha pensato che fosse un bene assoldarmi. Datemi una compagnia, non mi importa a quale casata apparterranno gli uomini, anche alla vostra, se volete, dopodiché concedetemi un mese di tempo e io prenderò una delle due città, non importa se Digione o Bruges.» Cercò di darsi un tono, di fare in modo che la sua presenza, visto che era l'unica donna presente in quella sala, assumesse un certo peso. Voleva
sfruttare la sua somiglianza impressionante con il faris, la donna che aveva conquistato tutte le città della Spagna. Non si trattava solo della sua postura, una donna che si è sempre addestrata alla guerra si muove in maniera diversa da una donna che ha passato gran parte della sua vita tra i banchi di una chiesa, ma anche della luce che balenava nei suoi occhi e del ghigno beffardo sulle sue labbra. «Posso farlo, mio re. Le beghe tra le fazioni presenti a corte non sono importanti quanto la crociata. Ripeto, posso farcela e quando avrò terminato, non uccidetemi, pagatemi.» Nella sua mente si materializzò l'immagine di una bandiera con una mezza luna bianca in campo rosso. «La guerra è sempre presente in qualche angolo della terra, Maestà, quindi siete costretto a vivere a fianco di questa maledizione che sono i capitani di guerra. Usateci. Il mio prete è disposto a giurare per me.» Gelimero si sedette e Ash azzardò tra sé e sé, che volesse del tempo per pensare. «No.» La voce del sovrano fu nuovamente venata da una certa malizia. «Sei un mercenario che ci abbandonerà alla prima opportunità.» «Sire?» disse Ash, stupita. «Ho sentito parlare di te e ho letto i rapporti stilati dal generale di Leofric. È tutto molto chiaro. Se ti assoldassi ti comporteresti come a Basilea il mese scorso: scapperesti per unirti all'esercito burgundo. Ti fai chiamare 'condottiero', ma hai infranto la condotta che avevo firmato con noi a Basilea.» «Non ho infranto nessun contratto!» Nel sentire nominare Basilea nella sala si levò un forte brusio che sommerse le parole di Ash che nel frattempo aveva provato una forte stretta allo stomaco. I presenti cominciarono a raccontarsi delle versioni distorte di quanto era successo. Leofric assunse un'espressione grave. «Non è andata così!» protestò Godfrey Maximillian, alzandosi in piedi di fronte al califfo-re. «Il faris voleva torturare Ash! È stata lei a infrangere il contratto. Noi non avevamo nessuna intenzione di passare dalla parte dei Burgundi. Diglielo, Ash!» «Mio re, se vorrete ascoltarmi, io...» «Spergiura!» sentenziò Gelimero, soddisfatto. «Ti rendi conto di che pasta è fatta la donna di cui ti fidi, Leofric? Lei, il marito e tutti i Franchi non sono altro che dei bastardi traditori di cui non ci si può fidare.» Godfrey Maximillian spinse da parte due soldati, ma Ash riuscì ad afferrarlo e a tirarlo indietro prima che fosse circondato da altri soldati. E io che
volevo farmi conoscere in tutta la Cristianità, pensò lei, sogghignando. «Non importa quello che è successo, Godfrey!» Lo scosse con vigore. «Non importa se la mia storia è vera. Mi lasci provare a spiegare? La verità è quello che loro sono disposti a credere. Cristo Santo, quando mai la verità è servita a qualcosa?» «Ma, figliola...!» «Dobbiamo agire diversamente. Vedrai, usciremo da qua.» «Come?» Lo squillo di una tromba echeggiò nella sala. Re Gelimero sedeva sul trono con le braccia alzate e tutti i presenti si zittirono. Il monarca abbassò lentamente le braccia. «Oggi non siamo stati incoronati re per discutere con i nostri lord. Leofric, sappiamo tutti che questa donna è una traditrice. Deve essere giustiziata. Certo, è anche un mostro che sente le voci, come l'altra tua figlia, ma quella, almeno, è fedele. Forse dopo che avrai esaminato con il tuo bisturi questa donna, potrai dirci in quale punto del cuore si annida il tradimento.» Il brusio provocato dalle risate dei lacchè echeggiò nella sala. Ash osservò i volti dei soldati, dei nobili, dei religiosi e dei mercanti e vide solo delle espressioni che erano un misto di avidità, curiosità e divertimento. C'erano solo uomini. Nessuna donna o schiavo o golem. Il califfo-re Gelimero si appoggiò allo schienale, posò le mani sui braccioli e osservò le migliaia di persone radunate nella sala e la Bocca di Dio sopra la sua testa. «Amir di Cartagine» annunciò. «Avete appena sentito uno dei vostri pari, l'amir Leofric, dubitare apertamente della nostra vittoria al Nord.» Ash capì dall'espressione di Leofric che non si era aspettato un colpo così basso. «Amir di Cartagine, comandanti dell'impero visigoto» continuò il re. «Non mi avete eletto per guidarvi alla sconfitta o per strappare una pace debole. La pace è per i deboli. Noi siamo forti.» Lo sguardo di Gelimero si posò rapidamente su Ash. «Niente pace!» dichiarò. «E neanche una guerra tra deboli, miei amir. Una guerra di forti. Nel Nord eretico stiamo combattendo una battaglia contro la Borgogna: la più potente tra le nazioni eretiche della Cristianità, la più ricca. Il loro duca e il loro esercito sono i più potenti d'Europa. Noi conquisteremo la Borgogna.» Sulla sala era calato un silenzio di tomba. «Ma» continuò Gelimero «non ci accontenteremo di conquistare e basta.
Non sconfiggeremo la Borgogna per poi fermarci. Noi la raderemo al suolo. I nostri eserciti si apriranno la strada attraverso la Savoia e le Fiandre con il ferro e il fuoco distruggendo ogni città, ogni villaggio e ogni fattoria che incontreranno sul loro cammino. Distruggeremo tutto, ogni nave e ogni macchina da guerra. Uccideremo tutti i lord e i religiosi del culto eretico. E, alla fine, toccherà anche al duca di Borgogna. Stermineremo la sua famiglia. E questo, miei amir, sarà un esempio per tutta la Cristianità, dopodiché nessuno oserà mettere in dubbio il nostro potere.» Un'ovazione si levò nella sala appena terminata l'arringa del re. Gaiserico urlava e sorrideva di fianco ad Ash. L'arif Alderico urlava a sua volta. Ash sussultò: di solito aveva sentito quel genere di boato sui campi di battaglia e il fatto di trovarsi in una sala al chiuso la spaventò. «Adesso ho capito com'è riuscito a farsi eleggere» le sussurrò Godfrey in un orecchio. «Retorica.» Il rumore cominciò a calare d'intensità. I rappresentanti della casata dei Leofric continuavano a rimanere sotto le loro insegne. Il califfo-re si sporse dal trono in direzione di Leofric. «Hai visto, amir? Continuiamo a ricevere i consigli del Golem di Pietra: la Borgogna sarà distrutta come esempio per gli altri. Il Golem di Pietra ha funto da consigliere militare per molte generazioni di califfi-re; per più tempo di quanto abbiamo usato il tuo generale femmina. Per quanto riguarda il tuo secondo generale bastardo... non ci serve. Disponi di lei.» Gli ultimi fiocchi di neve gelata si posarono sulle guance di Ash. Il contrasto tra il vento freddo che penetrava nella sala dall'esterno e il calore sviluppato dalle candele la fece tremare. Sentì un tremito all'altezza dello stomaco. Sapeva bene di cosa si trattava: era un'energia che poteva mutarsi in una paura paralizzante o in una reazione sconsiderata. Cosa scriveranno gli storici? Si chiese. La nomina del califfo-re Gelimero fu suggellata con l'esecuzione di un mercenario... «No!» disse ad alta voce. «Che io sia dannata se creperò qua come se fossi parte del cerimoniale! Leofric...» «Stai calma!» le intimò l'amir. Ash si accorse dall'odore che l'uomo stava sudando copiosamente. «Soldati di una casata, spade, gladi, un'unica uscita, una donna disarmata...» cominciò a sussurrare Ash. Non puoi impedirmi di porre domande al Golem di Pietra e non puoi impedirgli di rispondermi... Vero? pensò Ash che fino a poco tempo prima sarebbe ricorsa all'aiuto del Golem di Pietra senza pensarci due volte.
Il ricordo del silenzio che era calato nella sua mente quando aveva cavalcato tra le piramidi e le sfingi le gelò il sangue nelle vene. Devo provarci, concluse, cos'altro mi rimane da fare? Si morse il labbro inferiore, cominciò a porre un quesito alla macchina, ma si interruppe quasi subito perché Leofric aveva ripreso la parola. «E sia, mio re, non mi opporrò al vostro volere» dichiarò l'amir. «Tuttavia vi chiedo di tenere in considerazione ancora un fatto prima di pronunciare la sentenza definitiva. Se permetterete a mia figlia di scendere in battaglia per voi, lei non scapperà perché ormai non può andare da nessuna parte.» «Ho già pronunciato la mia... la nostra sentenza!» replicò in tono aspro Gelimero. «Cosa vorresti insinuare quando affermi che: 'non può andare da nessuna parte'?» indagò, incuriosito. «Volevo dire che non potrà ritornare dalla sua compagnia visto che non esiste più. I suoi uomini sono stati tutti massacrati ad Auxonne tre settimane fa. La compagnia del Leone Azzurro è stata spazzata via. Ash sarebbe... anzi sarà obbligata a esservi fedele.» Cosa sta dicendo? si chiese Ash quando udì la parola 'massacrati'. Massacrati vuol dire 'uccisi'. No, deve aver usato la parola sbagliata. Voleva dire qualcos'altro. Nello stesso istante udì il verso di Godfrey alle sue spalle e si girò per guardare l'arif Alderico, Fernando del Guiz e Leofric. Alderico la fissava impassibile con le braccia conserte. È per questo motivo che gli hanno imposto la consegna del silenzio? pensò Ash. Lui, però, non era ad Auxonne, quindi non può sapere cos'è successo veramente... Fernando aveva un'espressione stupefatta. L'espressione da gufo stupito di Leofric non lasciava intendere nulla se non un'agitazione indefinita. Sta combattendo per cercare di salvare la sua vita politica, per mantenere il suo potere, vale a dire il Golem di Pietra, il suo generale... e me... è disposto a dire di tutto... «Da quando la tua figlia dimenticata da Cristo è partita per la crociata su queste terre non abbiamo avuto altro che freddo» dichiarò il califfo-re, duro. «Non sopporteremo oltre questa maledizione! Non succederà di nuovo. Chi ti dice che non ci farà congelare come succede al Nord? Non se ne parla neanche, Leofric. Giustiziala! Oggi!» È disposto a dire di tutto... «Cos'è successo alla mia compagnia?» Ash si rese conto di aver urlato
solo quando udì l'eco della propria voce. Il petto e la gola le bruciavano. Leofric cominciò a girarsi lentamente nel momento stesso in cui Alderico impartiva un secco ordine ai suoi uomini. Gelimero si alzò in piedi. «Cos'è successo alla mia compagnia?» Ash balzò in avanti. Godfrey l'afferrò per le spalle, ma due uomini della squadra di Teodiberto la liberarono dalla sua stretta e la colpirono allo stomaco e ai reni. Ash emise una sorta di grugnito e si piegò in due. L'immagine del Cinghiale riprodotta sul pavimento ondeggiò davanti ai suoi occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime. Sentiva solo il rumore che echeggiava nell'aria quando un uomo veniva picchiato. «... Cosa... è successo...?» Un pugno guantato la centrò alla mascella facendola barcollare all'indietro. Gaiserico e Fravitta la sorressero. Ash sentì le ginocchia che si piegavano e vide i lineamenti del Cristo Verde riprodotto sulla cupola che sbiadivano mentre cadeva a faccia in avanti sul pavimento. Si puntellò con le mani e alzò la testa per fissare il volto dell'amir sul quale era apparsa un'espressione di velata condanna. Potrebbe mentire, pensò Ash, in un momento di assoluta lucidità. Può aver detto tutto ciò per persuadere Gelimero a lasciarmi viva, però potrebbe anche essere vero che la mia compagnia è stata distrutta. Ho solo un modo per saperlo. Devo chiedere e fare in modo che mi risponda! «Campo di battaglia di Auxonne, ventunesimo giorno dell'ottavo mese, unità con il leone azzurro in campo dorato, quante perdite?» domandò nonostante le labbra gonfie e sanguinanti. «Imbavagliala, nazir» ordinò Leofric irritato. Due soldati cercarono di tenerle la testa, ma Ash si lasciò cadere a corpo morto colpendo il pavimento prima con le spalle poi coi gomiti e le ginocchia. «Auxonne, unità con il leone blu sullo stendardo, quante perdite?» urlò mentre la alzavano di forza. La voce risuonò improvvisamente nella sua testa. «L'informazione non è disponibile.» «Impossibile! Dimmelo!» Una mano le chiuse la bocca e il naso. Ash cercò di prendere aria e si accorse che l'immagine della sala diventava sempre più sfocata.
La mano era inamovibile. «Devi saperlo! Devi saperlo! Il faris te l'ha detto...!» urlò contro il guanto. Non sentì nessuna voce nella sua mente. Dei lampi di luce le balenarono davanti agli occhi. Cercò di chiudere le mascelle e sentì il metallo che raschiava contro i denti. La gola fu pervasa dal sapore del sangue. Tossì. I soldati continuavano a trattenerla, mentre lei cercava di liberarsi. Si sentiva soffocare. Lo saprò lo stesso, pensò. Non potrò parlare, ma posso ascoltare. La paura la investì come un'onda costringendola a calmarsi e immobilizzarsi a dispetto del dolore. L'unica cosa che vedeva era la venatura delle palpebre che balenava davanti ai suoi occhi. Aveva l'impressione che i polmoni stessero per prendere fuoco. Si sforzò di ascoltare, ma non in modo passivo. Ebbe l'impressione di spingere, di tirare, di arrotolare una corda o di calare un'ascia. Ascolterò, si ripeté. All'interno della sua mente successe qualcosa. Il suo corpo fu percorso da un fremito ed ebbe l'impressione che la corda che aveva teso fino a quel momento si fosse spezzata permettendole di superare una barriera. Sentì una spinta violenta all'interno di quella parte di lei che aveva sempre pensato fosse la sede della sua voce. Un boato scosse il mondo. Le mura del palazzo ondeggiarono. Una voce le esplose nella testa. «NO!» Il pavimento si sollevò e Ash ebbe l'impressione di essere nuovamente sul ponte di una nave. V Le tessere del mosaico tremarono sotto i piedi di Ash. «CHI È COSTEI?» «È LEI...» «VINCEREMO...» Ash sobbalzò in preda alle vertigini. Scintille giallastre le balenarono davanti agli occhi. Non riusciva a capire se il rumore assordante che senti-
va interessava la sala o solo lei. Diverse voci fecero irruzione nella sua mente. «LA BORGOGNA DEVE CADERE...» «TU SEI NIENTE...» «IL TUO DOLORE NON È NIENTE! TU SEI NIENTE!» Ash si rese conto che non era solo più una voce, ma diverse voci. Cosa mi sta succedendo? si chiese. Un boato scosse ancora una volta il pavimento sotto i suoi piedi. Riuscì a liberare le braccia dal mantello, diede una violenta gomitata al costato di Teodiberto protetto dalla maglia di anelli metallici. La spalla le fu attraversata da una fitta di dolore, Ash resistette, afferrò la mano che le tappava la bocca e ne ruppe un dito. «COSA CI STA PARLANDO?» «È UNA DI QUELLE CREATURE DALLA VITA BREVE, LIMITATA DALLO SCORRERE DEL TEMPO.» «NOI NON SIAMO COSÌ LIMITATI DALLO SCORRERE DEL TEMPO.» «È LA MACHINA REI MILITARIS 138 ?» «È COLEI CHE ASCOLTA?» Ash era riuscita a liberare la bocca. Cadde in ginocchio e fece qualche respiro profondo. L'odore salmastro, fresco, e terrificante del mare le riempì le narici e la bocca. «Chi siete? Cosa succede?» Riprese fiato. «Cosa è successo alla mia compagnia ad Auxonne?» «AUXONNE CADE.» «LA BORGOGNA CADE!» «LA BORGOGNA DEVE CADERE.» «I GOTI LA FARANNO SPARIRE DALLA FACCIA DELLA TERRA. NOI RENDEREMO LA BORGOGNA PIÙ POTENTE CHE MAI! DOBBIAMO!» «Silenzio!» urlò Ash. Ora era consapevole che oltre la voce nella sua testa la sala era pervasa dal frastuono assordante di un crollo. «Cosa è successo ai miei uomini?» «NOI RENDEREMO LA BORGOGNA PIÙ POTENTE CHE MAI! DOBBIAMO!» «Voce! Golem di Pietra! Santo! Aiuto!» Ash aprì gli occhi e solo in quel 138
Macchina da guerra, macchina tattica.
momento si rese conto di averli tenuti chiusi per aumentare la concentrazione. I candelieri di metallo caddero al suolo. Le fiammelle delle candele descrissero degli archi luminosi nell'aria. Gli uomini che circondavano Ash balzarono tutti in piedi. Il fumo cominciò a riempire l'aria. Ash crollò a terra e sentì le tessere del mosaico tremare sotto le sue mani. Riuscì a inginocchiarsi. Sentì l'urlo di un uomo. Era Fravitta. Il soldato alzò le braccia e rotolò nella crepa oscura che sfera aperta nel pavimento. Il mondo tremava. Ash si trovò nel bel mezzo di una folla di persone in preda al panico. I soldati urlavano degli ordini, mentre i civili cercavano di allontanarsi il più possibile dalla zona intorno al trono in direzione delle uscite. Ash allargò le braccia e si premette contro il pavimento venato da profonde crepe. Piccoli mucchi di fieno che ricoprivano le tessere del mosaico si sollevarono scivolando via insieme alle panche e ad alcuni uomini caduti a terra. Un lampo nero balenò di fronte alla testa di Ash che alzò immediatamente gli occhi e vide che anche il soffitto aveva cominciato a creparsi. Un tratto della cupola crollò. Ash non riuscì a vedere dove fossero cadute le macerie, ma udì le urla di dolore dei feriti e avvertì le vibrazioni provocate dall'impatto sul pavimento. «CHI CI STA PARLANDO?» Ebbe l'impressione che le vibrazioni nel mondo esterno e quelle nella sua mente fossero diventate una cosa sola. Crollò un'altra sezione di soffitto rivelando le stelle che splendevano tra le nuvole. La porzione di pavimento sulla quale si era distesa sussultò violentemente. Un terremoto, pensò Ash, perfettamente padrona di sé. Si alzò, arretrò di qualche passo afferrando al tempo stesso Godfrey per la tunica. L'odore delle feci e dell'urina cominciò a pervadere l'aria. Ash tossì. Teodiberto e Sania la spinsero da parte. «Leofric! Occupatevi di Leofric!» urlava Alderico. «Evacuate la sala!» sbraitava un secondo arif. Ash gratificò Godfrey con un sorriso tremante. «Andiamo!» gli disse e cominciò ad arretrare. Un pezzo di cupola si frantumò sul pavimento a pochi metri da loro e
Ash sentì lo stomaco che si chiudeva. «Il dottore!» urlò Godfrey. «Non c'è tempo! Oh, merda... vai a prenderlo!» Ash mollò la presa dalla tunica di Godfrey. Una pietra cadde alla sua sinistra con un boato che le ricordò una cannonata. I frammenti di pietra piovvero sulla folla. Le urla strazianti dei feriti la assordarono. Ash subì una spinta da una forza invisibile. Agitò le braccia e riuscì a rimanere in equilibrio. Delle persone inciamparono su di lei rischiando di farla cadere. Il corpo di un soldato semisvenuto crollò ai suoi piedi. Era Gaiserico. Ash lo girò e gli tolse il cinturone con la spada. «Muoviti, Godfrey! Sbrigati! Sbrigati!» Alzò la testa e vide il prete che avanzava barcollando con il corpo del dottore buttato di traverso su una spalla. Il volto di Annibale Valzacchi era una maschera di sangue. Sento più di una voce, pensò Ash. Chi o cosa sono? Se parlano di nuovo rischiamo di morire... Terminò di assicurare la spada al fianco, balzò in piedi per andare ad aiutare Godfrey. Degli uomini la superarono urtandola. «Usciamo da qua!» urlò Ash. «Andiamo.» Il rumore della pietra che si spaccava coprì il suono della sua voce. Si guardò rapidamente intorno e vide che la predella sulla quale si trovava il trono era scomparsa inghiottita da una voragine. Non c'era nessun segno di Gelimero. Colse un oggetto bianco che si muoveva in lontananza: era Leofric che veniva scortato fuori da due soldati. Alderico era alle spalle del trio con la spada snudata. Un altro pezzo di soffitto cadde a pochi metri da Ash che si buttò prontamente su Godfrey e il dottore trascinandoli a terra con lei. Le schegge di pietra sibilarono sopra la sua testa. Ash seppellì il capo tra le braccia. Alcuni frammenti rimbalzarono sul pavimento ferendole le gambe. «Cristo Santo, è più pericoloso di una battaglia. Se solo avessi un elmo!» «Non c'è modo di uscire!» urlò Godfrey Maximillian. La folla terrorizzata si era ammassata contro le entrate bloccandole. Tutte le torce e le candele si erano spente lasciando la sala al buio. Le lingue rossastre di un fuoco balenarono in un angolo della sala. Uno dei drappi aveva preso fuoco. Qualcuno urlò degli ordini contrastanti. Alla sinistra i soldati di un amir sguainarono le spade per aprirsi la strada tra la calca. «Non possiamo rimanere qua! Sta crollando tutto!»
Un polverone sollevato dal vento l'accecò per qualche istante. Ash tossì. L'odore di fogna cresceva d'intensità. Si mise carponi e afferrò un braccio di Annibale Valzacchi. «Va bene, nessun problema. Seguimi.» Qualunque decisione è preferibile a nessuna decisione. Il corpo del medico fu scosso da un tremito quando lo fecero passare sopra le macerie. Godfrey Maximillian aveva l'abito sporco di polvere e strisciava a fianco di Ash. La cinghia della spada raschiò contro un rigonfiamento del mosaico. «Di qua!» Il pavimento si inclinava verso il basso e spariva nell'oscurità. Le tessere del mosaico si erano rotte e somigliavano alla crosta che ricopre una torta. Ash si asciugò gli occhi, mollò il braccio di Valzacchi e si inginocchiò in cerca di una torcia o di una candela. La sala era scarsamente illuminata dalle fiamme che stavano consumando l'arazzo. «Cos'è questo odore?» Godfrey si lisciò la barba. Il fetore lo fece tossire. «Le fogne» gli disse Ash, sorridendo. «Le fogne, Godfrey! Pensa. Siamo a Cartagine. Ci deve essere il sistema fognario costruito dai Romani e noi possiamo usarlo per uscire.» Una specie di lamento si levò nell'aria. In un primo momento Ash non fu del tutto certa della sua provenienza, alzò gli occhi al cielo e vide delle nuvole che attraversavano il cielo stellato. L'aria umida puzzava. La cupola scricchiolò nuovamente e Ash fu pronta a giurare di aver visto le mura che si piegavano verso l'interno. Prese un blocco di granito grosso quanto un pugno e lo buttò nella fenditura buia. Il pezzo di granito rimbalzò sul pavimento inclinato e scomparve. «Uno... due...» Si udì un tonfo nell'acqua. «Perfetto! Avevo ragione!» Un terzo lamento si levò nell'aria. Ash e Godfrey si scambiarono una rapida occhiata e il prete le sorrise con dolcezza. «Vorrei solo che questa fosse la prima volta che mi ficchi nella merda!» Avvicinò il corpo del medico al punto in cui il pavimento si inclinava. «Che tutti i santi ti benedicano, Ash. Che Nostra Signora ci assista.» Godfrey spinse Valzacchi. Il corpo del medico italiano rotolò un paio di volte e poi svanì nella spaccatura. «Uno... due...» Udirono il tonfo sordo del corpo che colpiva l'acqua.
Quanto sarà profonda? si chiese Ash. L'eco del suono le fece capire che non c'erano rocce sotto il pelo dell'acqua. Ash mise il fodero della spada sotto il braccio sinistro e cominciò ad avanzare carponi. «Meglio non lasciare che il bastardo anneghi, andiamo!» Una sorta di ruggito scoppiettante pervase l'aria. Fuoco. La luce tremava sul pavimento di terracotta. La spaccatura, larga un paio di metri, divideva in due la sala. La luce delle fiamme non sembrava penetrare il buio del buco e illuminava il bordo slabbrato dell'altro lato della fenditura, ma nulla di quello che li poteva aspettare nel buio. Ash esitò. Acqua? Immondizia? Rocce? Valzacchi potrebbe essere stato fortunato e aver colpito un punto privo di ostacoli, ma il prossimo potrebbe rompersi il collo... «Ash!» sussurrò Godfrey. «Ci riesci?» «Ci riesco, ci riesco. E tu?» «Là sotto c'è un ferito ed è per questo che ce la farò. Seguimi!» Ash osservò il grosso prete che scendeva carponi il piano inclinato del pavimento, si appendeva al bordo dopodiché si lasciava cadere. Lo spostamento d'aria lambì il volto di Ash che si lanciò in avanti spinta da un impulso istintivo. Sentì l'elsa della spada che le premeva le costole e un attimo dopo si ritrovò nel vuoto e nell'oscurità... ... Qualcosa di molto pesante colpì il pavimento. Il boato assordante le ricordò lo sparo di una bombarba d'assedio. L'oscurità si riempì di schegge e frammenti di pietra. Cadde in qualcosa di così gelato che le tolse il fiato e quasi le fermò il cuore. Chiuse la bocca. L'acqua l'avvolse bruciandole gli occhi. Cominciò a sbattere le gambe e le braccia selvaggiamente. L'acqua sembrava trascinarla verso il fondo e i suoi polmoni cercavano disperatamente l'aria. Si sentiva disorientata: era sicura che entro qualche secondo al massimo avrebbe visto la luce del sole che l'avrebbe guidata verso la superficie e sarebbe emersa sotto l'arcata di un ponte in Normandia o in una delle valli lungo la via Emilia... C'era qualcosa che la risucchiava verso il fondo. La forza dell'acqua la faceva roteare. La coscia destra colpì un ostacolo e la gamba si intorpidì. Cominciò ad agitare braccia e gambe con rinnovato vigore. Il petto le doleva, mentre gli occhi le bruciavano. Una luce rossa brillava alla sua destra e sotto di lei.
Si rese conto che stava affondando. Girò il corpo e si spinse verso la luce. Sentì l'aria gelida sul viso e la bocca si aprì automaticamente. Continuò a scalciare finché i suoi piedi non si posarono su una pietra che le permise di rimanere con la testa fuori dall'acqua sporca e puzzolente. Il corpo era sempre più intorpidito. Il lezzo che pervadeva l'aria la prese allo stomaco, si raddrizzò e vomitò. «Godfrey! Godfrey!» Nessuno rispose. Il frastuono del fuoco echeggiava sopra di lei e la luce rossa evidenziava i bordi della fenditura. Un refolo di fumo la raggiunse facendola tossire. «Godfrey! Valzacchi! Sono qua!» A mano a mano che la vista si abituava all'oscurità si accorse di essere accucciata su un lato di una gigantesca fogna che, a giudicare dall'aspetto consumato dei mattoni, doveva essere antichissima. L'acqua filtrava nelle crepe provocate dal terremoto. Grossi blocchi di pietra stavano ostruendo lo scorrimento dell'acqua. La polvere cominciava a posarsi sul volto di Ash che si raddrizzò. Il peso degli abiti bagnati la trascinava verso il basso. Aveva perso il mantello. Il fodero era ancora attaccato alla cintura, ma la spada era caduta nell'acqua. Aveva la mano sinistra bianca e quella destra nera. L'alzò e vide del sangue che scendeva all'altezza del polso. Flesse le dita e si accorse che il sangue usciva dal polso. Le dolevano le gambe, ma non riusciva a capire se la causa era il freddo o la botta. Improvvisamente si rese conto che il soffitto era crollato sul pavimento un attimo dopo che lei si era tuffata nel vuoto. Sentì uno sciabordio alla sua sinistra, girò la testa e vide uno scalino di mattoni. Deve essere un canale d'accesso, pensò. Allungò le mani, afferrò il gradino e cercò di tirarsi fuori dall'acqua. Sentì un rumore strisciante che aumentava d'intensità. La luce delle fiamme che ardevano nella sala illuminarono un uomo che correva barcollando nell'oscurità con le mani sul volto. «Valzacchi! Sono io! Ash! Aspetta!» La sua voce rimbalzò contro le pareti della fogna e l'uomo, che a giudicare dall'aspetto fisico doveva essere il dottore, continuò a correre senza fermarsi. «Godfrey!» Strisciò con la pancia sulla piattaforma di mattoni che correva lungo il tubo. I frammenti le graffiarono i palmi delle mani.
Sputò, tossì e sputò ancora, quindi strisciò in avanti sporgendo la testa oltre il bordo. Le fiamme si riflettevano sulla superficie dell'acqua che scorreva rapidamente. Il lezzo dolciastro era soffocante. Ash non riusciva a scorgere nulla sotto la superficie. Un'esplosione echeggiò nella galleria. Ash sobbalzò e alzò la testa. Sopra di lei il palazzo stava finendo di crollare. Sentì il calore delle fiamme che le lambiva il viso e nella sua mente visualizzò l'immagine di ciò che poteva essere rimasto della cupola, sicura che almeno i due terzi di quella struttura fossero crollati. «Allora!» disse Ash. «Non me ne vado senza di te, Godfrey! Godfrey! Sono Ash! Sono qua! Godfrey!» Zoppicò lungo la passerella costeggiando l'area prossima alla spaccatura. Il pavimento della sala emise una sorta di lamento. Ash chiamò, attese qualche attimo rimanendo in ascolto e chiamò di nuovo con tutto il fiato che aveva in corpo. Niente. Il vento le lambiva il volto e veniva risucchiato attraverso il foro del pavimento. Le luci rosse e gialle del fuoco si riflettevano sulle acque fognarie della Cittadella. Ash si asciugò il naso che colava, si girò e tornò indietro, sporgendosi oltre il bordo della passerella per osservare meglio i mucchi di macerie che spuntavano dalla superficie dell'acqua gelida. Vide qualcosa che si muoveva. Ash non ci pensò due volte e si immerse. La corrente era fortissima, ma lei riuscì comunque a raggiungere il mucchio di detriti con un paio di bracciate rapide e vigorose. Toccò un abito bagnato. Un corpo oscillò, incastrato sotto un frammento del bassorilievo raffigurante san Peredur. Strinse l'abito e tirò con forza, ma non successe nulla. Il blocco sprofondava qualche metro nell'acqua. Puntò i piedi contro di esso e tirò nuovamente. Il tessuto si lacerò e il corpo si liberò. Ash ricadde nell'acqua stringendo con forza l'abito dell'uomo e cominciò a trascinarlo con tutte le forze che aveva in corpo verso la piattaforma. Il corpo fluttuava a faccia in giù nell'acqua. Non era del tutto sicura che fosse Godfrey, ma le dimensioni erano più o meno le stesse. Una mano fredda la sfiorò sotto il pelo dell'acqua. Fravitta? Altri pezzi di pavimento caddero dalla fenditura. Ash trovò dei buchi nei mattoni sott'acqua e li usò per puntellarsi con i piedi. Si immerse, portò la
spalla sotto il petto dell'uomo e si drizzò sollevandolo. Rimase in bilico per qualche secondo con le spalle sopra il bordo della piattaforma, poi le dita cominciarono a perdere la presa, si inclinò di lato e fece rotolare il corpo sui mattoni. Emerse e respirò avidamente l'aria. Strisciò fuori dall'acqua. Aveva le gambe pesanti e respirava a singhiozzo. Si mise carponi. La luce dorata rendeva incolori gli abiti dell'uomo, ma lei lo riconobbe dal profilo della schiena e delle spalle: l'aveva visto dormire in quella posizione troppe volte per non riconoscerlo. «Godfrey...» Tossì e sputò dell'acqua sporca. Non riesco a vedere se respira, pensò. Devo girarlo e fargli uscire l'acqua dai polmoni. Lo toccò e il corpo ricadde sulla schiena. «Godfrey?» Ash si inginocchiò. Aveva i vestiti impregnati di acqua e sangue. Il lezzo della fogna era nauseabondo. Sopra di lei la luce e lo scoppiettare delle fiamme diminuiva. Il fuoco si stava esaurendo contro le pietre. Ash allungò una mano. Il volto di Godfrey Maximillian aveva un colorito rosa e la pelle era gelata. Le labbra erano leggermente aperte come se stesse sorridendo. Un misto di sangue e saliva spiccava sui denti. Gli occhi scuri erano aperti e fissi. Era proprio Godfrey. Il volto terminava all'altezza delle folte sopracciglia. Il resto della testa era ridotto a una massa informe di ossa, materia grigia e carne rossa. «Godfrey...» Il petto del prete era immobile. Gli toccò un occhio con la punta di un dito, ma non ci fu nessuna reazione. Un sorriso apparve sulle labbra di Ash. Sto pensando veramente che un uomo con una frattura simile al cranio possa essere ancora vivo? si chiese ironizzando su se stessa e sulle speranze degli uomini. Ho visto e toccato troppi morti per non riconoscerne uno. Un rivolo d'acqua uscì dalla bocca del prete. Toccò l'ammasso caldo e gelatinoso che fino a qualche minuto prima era stata la fronte di Godfrey. Un pezzo d'osso cedette sotto le sue dita. «Merda!» Tolse la mano e la posò sulla guancia fredda. «Non dovevi morire. Non tu. Non avevi neanche una spada. Merda. Godfrey...» Incurante del sangue toccò nuovamente i bordi della frattura e nella sua mente apparve l'immagine di Godfrey che piombava in acqua, veniva rag-
giunto dalla pioggia di macerie provocata dal crollo della cupola e moriva prima ancora di rendersene conto. Un attimo e l'uomo di nome Godfrey Maximillian non era più sulla terra... Andato. È morto e anche tu sei in pericolo, muoviti! si spronò Ash. Non staresti tanto a pensare se fossi sul campo di battaglia. Ash continuò a rimanere inginocchiata vicino al prete tenendo una mano sulla guancia. Aveva l'impressione che il gelo della pelle stesse contaminando anche il suo cuore. Gli ultimi bagliori delle fiamme illuminavano il profilo del naso e la barba. L'acqua che colava dagli abiti aveva formato una pozzanghera puzzolente intorno al corpo. «Non è giusto.» Gli carezzò una guancia. «Meritavi di meglio.» Il corpo era rigido come una statua. Ash fece vagare lo sguardo in cerca delle armi, dei soldi e delle scarpe. Era una reazione automatica per lei, qualcosa che aveva fatto in ogni campo di battaglia, ma quando si rese conto chi era il cadavere che giaceva di fronte a lei chiuse gli occhi e respirò velocemente. «Cristo santo...!» Si acquattò e fissò l'acqua che scorreva nell'oscurità. Il pallore di Godfrey spiccava nel buio. Lo lascerei sul campo se la battaglia fosse ancora in corso, lo so, si disse. Farei lo stesso con Robert Anselm, Angelotti o Euen Huw o chiunque altro perché devo farlo. In passato aveva dovuto abbandonare delle persone alle quali era molto affezionata, ma la guerra non aveva pietà per nessuno. Il tempo delle lacrime e dei funerali sarebbe venuto dopo la battaglia. Ash si inginocchiò nuovamente vicino al corpo e cercò di imprimere nella sua memoria i lineamenti del prete: il colore castano degli occhi, la cicatrice sotto il labbro, la pelle consunta delle guance. Era inutile. Ormai era morto. L'espressione del suo viso e il suo spirito spariti per sempre, ora era un cadavere e basta. Dei grumi di sangue rappreso si erano formati sul bordo della frattura. «Adesso basta, Godfrey. Lo scherzo è finito. Andiamo, dolcezza, andiamo.» Sapeva che stava parlando a un morto. «Andiamo a casa, Godfrey...» Una fitta di dolore le attraversò il petto e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Non posso neanche seppellirti.»
Lo tirò per una manica, ma il corpo non si mosse. Non sarebbe riuscita a sollevarlo, ma se anche ce l'avesse fatta dove avrebbe potuto portarlo? L'acqua continuava a scorrere davanti a lei e sentiva dei rumori striscianti nell'oscurità. I bordi della spaccatura sul soffitto della fogna avevano assunto un colorito rosato. Dalla sala soprastante non giungeva più nessun rumore. Una nuova scossa di terremoto fece tremare la struttura. «Sei stato tu a ucciderlo!» Si alzò in piedi e prima ancora di rendersene conto cominciò a urlare infuriata. «Sei stato tu a uccidere Godfrey! Tu!» Il terremoto è cominciato quando loro mi hanno parlato, pensò Ash. Non sono stati 'loro' a ucciderlo. È colpa mia. Io sono l'unica responsabile della sua morte. Godfrey! Godfrey! I mattoni tremarono nuovamente sotto i suoi piedi. Sono un soldato da cinque o sei estati. Saranno morte almeno una cinquantina di persone a causa mia, perché questo è tanto diverso? Perché è Godfrey... si rispose. Le voci tornarono a parlare nella sua mente. Il loro tono era tanto alto che Ash si portò le mani alle orecchie. «CHI SEI?» «SEI IL NEMICO?» «SEI LA BORGOGNA?» Non c'era modo di bloccarle. Ash si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Il pavimento continuava a tremare e si sollevò una nuvola di polvere. «Non sei la mia voce!» disse. I polmoni le dolevano. Non si trattava di una sola voce, ma di più voci. Era come se stesse parlando con qualcosa di diverso dal Golem di Pietra, era un nemico che si nascondeva dietro la minaccia rappresentata dai Visigoti, era qualcosa di immenso, demoniaco e multiforme. «SE SEI LA BORGOGNA, ALLORA MORIRAI...» «... SARÀ COME SE NON FOSSI MAI ESISTITA...» «... PRESTO, MOLTO PRESTO MORIRAI...» «Fanculo!» ruggì Ash. Si inginocchiò, afferrò gli abiti bagnati di Godfrey, lo tirò a sé e girò il viso. «Cosa cazzo ne sapete voi?» urlò, rivolgendosi al buio. «Cosa ve ne può importare? È morto e non posso neanche far dire una messa per lui.
Godfrey è stata la persona più vicina a un padre che io abbia mai avuto! «Non riuscite a capire che devo abbandonarlo?» urlò, quasi volesse giustificarsi. Balzò in piedi e cominciò a correre lungo il cunicolo strusciando una mano contro la parete. Corse piangendo lungo quel dedalo di canali. Aveva dovuto abbandonare Godfrey. Nessuna voce echeggiava nella sua mente. Inciampò e cadde in ginocchio accorgendosi che il mondo intorno a lei si era fatto calmo e freddo. «Perché vi importa tanto della Borgogna?» urlò nell'oscurità. «Devo saperlo!» Nessuno le rispose.
Fogli sparsi trovati tra le parti Settima e Ottava di Ash: — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#177 (Anna Longman) Ash 26/11/00 ore 11,20 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Non possiamo RAGGIUNGERE il sito marino. Quest'area del Mediterraneo è piena di navi ed elicotteri militari. Isobel è andata nuovamente a parlare con il ministro............: non so quale influenza potrà esercitare sui fatti, ma lei 'doveva' fare qualcosa! Perdonami, non ho neanche avuto il tempo di comunicarti che l'introduzione mi è arrivata, ma è in codice macchina. Non potresti provare a inviarla con un altro formato? Hai parlato con la tua amica libraia? Nadia. Ha avuto altre informazioni riguardo allo sgombero avvenuto nella casa dell'Est Anglia? Da quello che so Vaughan Davies morì nell'ultima guerra... forse si tratta di un figlio o di una figlia. Non c'è da stupirsi se non sei riuscita a mandarmi i file, visto come mi sto muovendo. Adesso sto scrivendo sul PC di Isobel. Mentre aspettavo ho limato la traduzione del FRAXINUS. Sono stato rallentato... ma ho quasi finito. Da quello che ho visto nessuno ha superato le protezioni di Isobel, così mi sento libero di dirti che gli ultimi due giorni sono stati un vero inferno. Il team di Isobel è composto da persone molto simpatiche, ma adesso sono sottoposte a una forte dose di stress. Passiamo tutto il tempo seduti nelle tende a controllare i dati che abbiamo raccolto e a studiare le foto subacquee delle navi, si tratta per lo più di vascelli romani. Non siamo di fronte al MARY ROSE, Anna, sul fondo del mare potremmo trovare un nuovo tipo di tecnologia medievale di cui non sospettavamo neanche l'esistenza! Scusami: sto cominciando a separare gli infiniti, so di essere stanco. Là sotto potrebbe esserci di TUTTO. Anche una nave spinta dai golem che risale al quindicesimo secolo. Puoi fare qualcosa, Anna? Non hai dei contatti tra i media che possano esercitare delle pressioni sul governo locale? Stiamo per perdere un'oppor-
tunità archeologica! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#118 (Pierce Ratcliff) Ash, media 26/11/00 ore 05,24 p.m Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Ti ho inviato un file di testo. Ti prego di confermare la ricezione. Non posso promettere nulla, ma stasera devo andare a un ricevimento al quale prenderà parte un mio vecchio fidanzato che ora lavora per la BBC. Farò in modo di attrarre maggiore interesse su questa storia. Questa interferenza è INTOLLERABILE. Che diventi una causa celebre? Rimani in linea! — Anna Nota: testo scannerizzato del 26/11/00, tratto dall'introduzione di 'Ash: una biografia' di Vaughan Davies(1939). Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#177 (Pierce Ratcliff) Vaughan Davis 26/11/00 ore 05,03 p.m Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Infatti io credo che tutto ciò abbia una spiegazione scientifica razionale. Io penso che sia giusto sottolineare che nessun uomo con una conoscenza completa delle scienze avrebbe potuto concepire qualcosa di simile e
uno storico che volesse criticare la mia teoria farebbe bene ad avere una vasta conoscenza della storia e della fisica. Cominciamo spiegando una teoria sul tempo e la storia. Provate a immaginare una grande catena alpina composta da montagne le cui altezze superano anche quelle partorite dalla più fervida delle immaginazioni, e pensate che essa rappresenti la storia del nostro mondo. Gran parte di questa catena è formata da roccia spoglia e sterile che rappresenta eoni di storia geologica del nostra pianeta. Il periodo in cui la sfera incandescente cominciò a raffreddarsi e prese a orbitare intorno al sole. Su una delle guglie più recenti di questa montagna comincia ad apparire la vita... milioni di anni di vegetazione preistorica, piccoli animali e amebe che si evolvono molto rapidamente negli animali, negli uccelli e, infine, nell'uomo. Mentre camminiamo su queste 'montagne', che rappresentano la nostra testimonianza fisica nell'universo, definiamo il nostro transitare con il 'tempo'. I miei lettori che ben conoscono le teorie di Planck, Einstein e J. W. Dunne (ma non oso sperare tanta erudizione tra i miei lettori, la cultura inglese è rappresentata dalla divisione tra la scienza e l'arte) non avranno bisogno di ricordarmi che il tempo è una percezione umana di un processo di creazione molto più complicato. Il mondo così come noi lo conosciamo è modellato da ciò che è successo in precedenza. Le montagne alle nostre spalle prefigurano quanto deve ancora accadere: la rete di sentieri che le attraversa determina la strada che sceglieremo di intraprendere in quello che noi concepiamo come 'futuro'. Sono state le azioni degli uomini del Medioevo a portarci là, al limitare di quella che potrebbe rivelarsi la conflagrazione più distruttiva a cui abbia mai assistito il mondo, un evento la cui portata non è inferiore alle azioni (diciamo) di mister Chamberlain o di herr Hitler. Noi siamo ciò che seguiamo. La mia teoria, ora che ho studiato le prove implicite nella vicenda di Ash, è che le 'montagne' non sono poi così inamovibili come si pensa. Tutti sanno che di tanto in tanto un terremoto ridisegna il paesaggio. Distrugge delle cose, ne altera altre, riordina le roccia sotto quelle forme di vita che abitano un crepaccio. In alcuni casi si tratta di eventi minori... un nome diverso, una ragazza nata al posto di un ragazzo, un documento perduto, un uomo morto prima del previsto. Non sono altro che vibrazioni impercettibili nel grande disegno del tempo.
Tuttavia, in almeno un 'occasione si è verificata una grande frattura in quello che noi definiamo il nostro 'passato'. Immaginate le mani di Dio che afferrano le montagne e le scuotono come un uomo fa con la coperta. Dopo un simile scossone le rocce rimangono, ma il paesaggio è cambiato. Io credo che tale frattura abbia avuto luogo nella prima settimana del gennaio 1477. Noi tutti ricordiamo la Borgogna come uno dei regni medievali più ricchi. C'è dell'altro. Il duca di Borgogna, sostenuto dalla ricchezza culturale e dalla potenza militare del suo regno passò parecchio tempo in pellegrinaggio facendo costruire dei castelli simili a quello di Hesdin e guerreggiando contro la monarchia francese e i vari regni che si trovavano in una tra le regioni più frammentate dell'Europa, nel tentativo di creare un 'Regno Intermedio' che andasse dalla Manica al Mediterraneo. Carlo, l'ultimo e più aggressivo duca di Borgogna, morì combattendo contro gli Svizzeri in quel folle bagno di sangue che fu la battaglia di Nancy. Da quel giorno la storia stese un velo su di lui e il suo regno. I suoi territori vennero divisi tra chi se li poteva permettere e non rimase più nulla. La maggior parte degli storici non scrive mai nulla su questi eventi perché li ritiene insignificanti. Tuttavia c'è un filo comune che lega i pochi scritti storici sulla Borgogna e si può ritrovarlo chiaramente quando Charles Mallory Maximillian scrive di una terra 'dorata e perduta'. Mentre la maggior parte degli storici ha cancellato dalla propria memoria la Borgogna, per alcuni, pochi, rappresenta una sorta di perdita: una fenice dimenticata. Tramite le mie ricerche mi sono reso conto che quando pensiamo alla Borgogna, pensiamo alla Borgogna di Ash. Come ho già scritto, è mia convinzione che la Borgogna descritta dai biografi di Ash non sia mai scomparsa, ma si sia trasformata. Il paesaggio montano del passato è cambiato e quando il terremoto è finito i frammenti senza nome della storia si sono risistemati in luoghi diversi... nella storia di Giovanna d'Arco; nella battaglia di Bosworth, nelle leggende del ciclo arturiano e nel travaglio della Cappella Perigliosa. Ash è diventato un mito e la Borgogna con lei, tuttavia queste deboli tracce sussistono ancora. Da tutti questi fatti si evince che il 5 gennaio 1477 non venne creato solo un nuovo futuro. Se la teoria è esatta, in ogni momento potremmo assistere alla nascita di nuovi futuri e queste storie 'alternative' potrebbero continuare parallelamente alla nostra. Un giorno saremo in grado di ac-
corgercene anche a livello molecolare. No, la Borgogna che scompariva... la Borgogna di Ash... distrusse l'intero disegno e tale cambiamento diede origine a un nuovo futuro, ma anche a un nuovo passato. Così la Borgogna scompare. Così le storie che noi abbiamo abbandonato, relegandole tra i miti e le leggende, ci ricordano che un tempo erano vere. Ci servono a ricordare che tutti noi avemmo inizio solamente nel 1477. Questo passato del ventesimo secolo che i nostri archeologi continuano a scavare è, in un certo senso, falso... non è mai esistito prima del 5 gennaio 1477. Quindi sono convinto che i documenti che ho tradotto siano autentici: i vari racconti sulla vita di Ash sono veri. Questa è storia. Solo che non è la nostra storia. Non adesso. Possiamo solo speculare su quello che avremmo potuto essere se non fosse stato per questa frattura temporale e ancora più sottile potrebbe essere la speculazione su quello che diventeremo. La storia è vasta, imponente e impervia per i cambiamenti come le pareti adamantine dei picchi montani. In qualche punto della Bibbia di re Giacomo si dice che le nazioni possiedono delle budella di rame. Sì, a me sembra chiaro che il nostro passato presenta delle prove chiare e inconfutabili di questo cambiamento. Ash e il suo mondo sono ciò che un tempo era il nostro mondo e non esistono più. Abbiamo ereditato il muoversi del tempo verso il limite e il futuro, spetta a noi decidere cosa fare. Lascio ad altri il compito di determinare l'esatta natura di questo cambiamento temporale e capire se è probabile che si verifichi ancora una frattura di tali dimensioni nel tessuto dell'universo. Sto preparando un 'appendice a questa seconda edizione, nella quale ho intenzione di spiegare dettagliatamente quanto sia importante la connessione tra questa storia perduta e il nostro presente. Se verrò risparmiato da quella che, in questo settembre 1939, sembra essere una conflagrazione che scuoterà il mondo intero, allora pubblicherò le mie scoperte. Vaughan Davies Sible Hedingham, 1939 ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#180 (Anna Longman) Ash/Vaughan Davies 27/11/00 ore 02,19 p.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
La storia ci gioca uno scherzo servendosi delle coincidenze. Alla fine dell'introduzione, Vaughan Davies cita il luogo in cui stava scrivendo. Io SO dove si trova Sible Hedingham. È un piccolo villaggio dell'Est Anglia, attaccato al castello omonimo. Il castello di Hedingham appartenne per secoli alla famiglia de Vere, anche se John de Vere, tredicesimo conte di Oxford, non vi passò molto tempo. Possibile che tale coincidenza abbia attratto Vaughan Davies? Forse? O forse (bisogna sempre cercare la spiegazione più semplice) le sue ricerche storiche lo portarono in quel luogo, gli piacque e decise di stabilirvisi. Quando seguirai le tracce dello sgombero di quella casa, forse dovresti anche scoprire a chi subentrarono i Davies o se si erano stabiliti a Sible Hedingham dalla notte dei tempi. Non ci sono parole per descrivere la gratitudine che provo nei tuoi confronti, Anna, per avermi dato l'opportunità di leggere tutta la teoria di Vaughan Davies. Mi dispiace molto di chiederti ancora dei favori, ma darei tutto ciò che ho per vedere la loro casa di famiglia, conoscere dei familiari di Vaughan Davies ancora in vita e, soprattutto, scoprire se esiste ancora un carteggio o degli appunti inediti. Già, rinuncerei a tutto tranne che all'opportunità di vedere qualcosa di 'concreto' della Cartagine visigota che viene sottratto alla decadenza del tempo... forse altre reliquie o, addirittura, oso sperare... una nave? Ti prego, potresti andare al posto mio? Ora che ho letto la teoria di Vaughan Davies, la cosa che mi stupisce più di tutto è che la RICONOSCO in pieno. Sebbene Davies abbia concepito il tutto come una metafora, siamo di fronte a un tentativo fatto nella prima metà del secolo scorso di descrivere uno dei campi di ricerca più attuali della fisica delle particelle: il principio antropico secondo il quale a livello subatomico è solo la coscienza umana che mantiene la realtà. Sto già contattando dei colleghi che sanno molto al riguardo. Lascia che ti racconti quello che mi hanno spiegato gli esperti in questo campo, ma ricorda che è tutto filtrato da come l'ho capito.
Siamo noi, teorici del principio di stato antropico, che facciamo collassare il numero infinito di stati possibili nei quali esistono le particelle fondamentali dell'universo rendendole per il momento concrete... reali, se per te è meglio, invece che solo probabili. Non è un processo che ha a che fare con la coscienza o l'inconscio individuale, ma si tratta di una coscienza a livello di specie. È questa 'profonda consapevolezza' della razza umana che fa in modo che il passato, il presente e il futuro esistano. Per quanto solido e materiale possa apparire, siamo noi a creare questo mondo. Si tratta della Mente che fa collassare il fronte della Possibilità trasformandolo in Realtà. Non stiamo parlando della mente comune, la mia, la tua o quella del primo che passa in strada. Tu e io non possiamo alterare la realtà! La fisica teoretica fa riferimento a qualcosa di molto più simile 'all'inconscio collettivo' di Jung. Qualcosa seppellito in profondità nel sistema limbico autonomo, qualcosa di così primitivo che non può essere neanche classificato come individuale, un rimasuglio lasciatoci dai primati protoumani della preistoria che vivevano seguendo una sorta di coscienza di gruppo. Per noi non è più accessibile o controllabile della fotosintesi per una pianta. Le 'mani di Dio' di Vaughan Davies sono da leggere come 'inconscio collettivo della razza umana'. Se fossi un fisico potrei spiegarti tutto molto meglio. Lasciando da parte tutte queste insulsaggini su 'un nuovo passato e un nuovo futuro', è appena possibile trasformare in un caso la teoria di 'frattura' di Vaughan Davies, o comunque, non è possibile provare che NON possa succedere. Se l'universo è sostenuto da una coscienza profonda, si potrebbe pensare che la stessa coscienza potrebbe cambiare l'universo, dopodiché gli avanzi di questo cambiamento... simili a bit rilasciati da un file scritto troppe volte (visto come sono diventato un esperto di computer!)... rimarrebbero a far impazzire gli storici come Vaughan Davies. Certo, non essere in grado di provare che qualcosa non può accadere non significa che POSSA accadere, e la teoria di Davies può essere catalogata insieme alle speculazioni esoteriche dei nostri fisici. Tuttavia non trovi che sia una teoria affascinante? Mi piacerebbe molto sapere se ha scritto qualcosa tra la pubblicazione di 'ASH: UNA BIOGRAFIA' del 1939 e la sua morte durante la guerra. Ci sono notizie in merito? — Pierce
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#124 (Pierce Ratcliff) Vaugh Davies 27/11/00 ore 03,52 p.m Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Va bene, va bene. Andrò a Sible Hedingham. Nadia dice che deve tornarci comunque. Sto riuscendo a ottenere un interesse moderato tra i media. Penso che dipenda tutto dalla decisione se i problemi politico-militari che state avendo sul sito siano una patata troppo bollente o si possano trasformare in una 'causa da perorare' . Se ne sta occupando Jonathan Stanley. Sto cercando di tenere tutto molto vago. Anche se il tuo archeologo trovò Troia basandosi su un poema, non voglio spiegare che i manoscritti che stai traducendo possono essere messi in dubbio in qualsiasi momento. Mi occuperò di quella questione quando non potrò farne a meno. La teoria di Vaughan Davies è affascinante, vero? Quel tizio è pazzo o COSA? Io pensavo che fosse solo il momento presente che poteva essere reso reale e quindi diventare storia. Come potrebbero esserci *due* storie del mondo? Non ci arrivo proprio. Però non sono una scienziata, giusto? Tu puoi divertirti a giocare con le teorie, Pierce, ma io devo lavorare per guadagnarmi la pagnotta! Una storia per il momento è più che sufficiente. Dovrò lavorarci parecchio per far quadrare le cose. Non parlare di queste cose a John Stanley il giorno che lo incontrerai, ti prego. Posso tirare avanti senza sentirmi dire da lui che uno dei miei autori è un professore pazzo. — con affetto, Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#202 (Anna Longman) Ash 01/12/00 ore 01,1 p.m
Da: Anna —
Ngrant@
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Non so come spiegarti quanto è successo. Passo la palla a Isobel. —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#203 (Anna Longman) Ash 01/12/00 ore 02,10 p.m Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile Egregia signora Longman — È con grande rammarico e in seguito alla richiesta di Pierce, che le porgo queste brutte notizie. Mi dispiace che quanto sto per scrivere avrà degli effetti spiacevoli sul libro di Pierce e sulla nostra spedizione. Come ben saprà, la grande 'scoperta' di questi scavi sono stati i golem messaggeri: uno a pezzi e l'altro integro. Ho preso dei frammenti di quello a pezzi per farli esaminare. Tra i vari test ai quali sottoponiamo i reperti scoperti durante gli schiavi c'è quello della radio datazione con il carbonio 14. Tale processo è impossibile con dei manufatti di pietra o marmo perché il test ci direbbe l'età della pietra e non quando è stata modellata nella forma in cui l'abbiamo trovata. Tuttavia, i golem messaggeri avevano anche delle parti metalliche e io ho mandato a esaminare una delle giunture del braccio. Ho avuto da poco il responso dell'esame su quel pezzo di bronzo e l'ho controllato due volte con il nostro archeologo esperto in metallurgia che abbiamo qua al campo. Il bronzo è una lega di rame, piombo e stagno. Questi metalli sono fusi insieme dopodiché vengono colati. Durante la colata è possibile che si depositino delle impurità organiche sul metallo fuso, lo studio di questa giuntura ci ha rivelato che anche in questo caso ci sono delle impurità. Una volta sottoposti al processo di radio datazione questi frammenti organici hanno dato delle letture molto bizzarre. I test sono stati ripetuti più
volte. Il rapporto del laboratorio che mi è arrivato oggi, afferma che secondo la loro opinione, le letture dimostrano che i frammenti organici del metallo contengono lo stesso livello di radiazioni e inquinamento che ci si aspetterebbe di trovare in un organismo dei nostri giorni. Sembra che le giunture metalliche dei golem siano state colate in un periodo in cui le radiazioni e l'inquinamento atmosferico erano più alti che nel quindicesimo secolo, un livello così alto da farmi pensare con assoluta certezza che il metallo sia stato fuso e colato nel corso degli ultimi quarant'anni (post Hiroshima e gli altri test nucleari) . L'unica conclusione plausibile che posso formulare è la seguente: questi golem messaggeri non sono stati costruiti nel 1400. Sono manufatti recenti, forse molto recenti. Sicuramente prodotti dopo la data in cui, secondo quanto mi dice Pierce, Charles Wade portò il 'Fraxinus' alla Snowshill Manor. Francamente, devo ammettere che questi golem sono dei 'falsi' moderni. Anch'io ho avuto poco tempo per abituarmi a questo fatto. Pierce è a pezzi. Capirà che questo è uno dei motivi della grande segretezza che circonda ogni scavo archeologico; i falsi sono un problema sempre in agguato e io non ho mai fatto nessun annuncio finché non sono stata del tutto sicura dell'autenticità della scoperta. Comprendo che ora Pierce ha tra le mani dei documenti che sono stati classificati come narrativa e non ha più delle prove archeologiche a dimostrare che in verità sono testi storici. Mi aspetto che lei voglia soppesare bene queste notizie prima di prendere qualsiasi decisione riguardo la pubblicazione della traduzione di Pierce. Il colonnello............ ha autorizzato le immersioni al largo della costa a partire dalle prime luci dell'alba. Malgrado i problemi e vista l'instabilità politica di questa regione, sono piuttosto riluttante all'idea di sprecare ogni opportunità. Non sono più sicura che le immagini del robot subacqueo siano importanti, ma dobbiamo battere anche quella pista. Partiremo per la nave all'alba. Penso che a Pierce piacerebbe ricevere qualche parola gentile. Mi dispiace moltissimo. Vorrei averle dato delle notizie migliori. — Isobel Napier-Grant ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce, Isobel —
SIETE SICURI? — Anna
#137 (Pierce Ratcliff) Ash/archeologia 01/12/00 ore 02,31 p.m Longman@ Indirizzo precedente
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OTTAVA PARTE 10 SETTEMBRE - 11 SETTEMBRE AD 1476 'Ferae natura machinae' I L'oscurità sembrò persistere per ore. Ash non aveva nessun modo per misurare lo scorrere del tempo. Il mondo si era ridotto a tutto ciò che poteva toccare con la punta delle dita. Mattoni più che altro, salnitro umido e, sotto i piedi, fango o escrementi. Trovava il buio rassicurante. L'assenza di luce significava che il soffitto della fogna aveva retto e che quel passaggio era sicuro. Sempre che non ci siano pozzi o buche, pensò Ash. Se adesso fossi con Roberto saremmo già ubriachi persi e parleremmo di Godfrey. Berrei al punto di non reggermi più in piedi. Gli direi che in fondo in fondo era sempre stato un contadino. Un cinghiale sbucato dalle foreste. Una volta lo vidi chiamare i cinghiali... e quanti ne uscirono dal bosco. E ho perso il conto delle volte in cui mi ascoltava quando avevo bisogno di parlare con qualcuno che non fossero i miei ufficiali. Non era un padre. Chi ha bisogno di un padre? Leofric si fa chiamare padre. Un amico. Un fratello. No, più di un fratello... Quanto mi sarebbe costato fare l'amore con te almeno una volta? Una volta sola. Mi prenderei una sbronza colossale e poi andrei a combattere da qualche parte. Chissà cosa dirà Roberto quando lo saprà? Sempre che sia ancora vivo. Il suono dell'acqua che correva davanti a lei la fece rallentare. Sentì il muro che girava sotto le sue dita. Un angolo. Lo superò con cautela, provando il pavimento con i piedi per non inciampare in qualche buco. La fogna sembrava continuare all'infinito. Non avrei dovuto lasciarlo, pensò. Non potevo fare altrimenti. Potrei chiedere alla voce qual è la strada per uscire da qua... no, non conosce le piante dei luoghi, risolve solo problemi... Chissà se posso parlare ancora con il Golem di Pietra? E le altre... voci?
Cosa sono? Leofric ne conosce l'esistenza? E il califfo-re? Chi altro può saperlo? Cristo Santo vorrei parlare con Leofric! Qualcuno ne sapeva qualcosa prima di oggi. Non avrei dovuto lasciarlo. Una luce pallida disegnò delle figure geometriche sulla sua retina. Ash si fermò lasciando la mano sanguinante appoggiata ai mattoni. La luce era abbastanza forte da illuminare l'area circostante. Si trovava a un incrocio tra i canali. Mura piatte e curve si alzavano verso il soffitto crepato dal quale filtrava una debole luce. L'acqua scorreva. Dei marciapiedi. Immondizia. Queste fogne potrebbero essere lunghe chilometri, pensò Ash e potrebbero crollarmi in testa in ogni momento. Il terremoto deve aver smosso un bel po' di mattoni. Un rumore. «Valzacchi?» chiamò a bassa voce. Nessuna risposta. Ash alzò la testa e vide che dal soffitto si erano staccati quattro o cinque mattoni dando origine a una fenditura che lasciava passare la luce del Fuoco Greco. Pensò di aver sentito un rumore confuso fuori della fogna, ma l'eco scomparve nel momento in cui cercò di mettersi in ascolto. Quanto tempo ci vorrà prima che crolli tutto? si chiese. È ora che esca da qua. Fu travolta da un'ondata di dolore. Con sua somma sorpresa si accorse che stava piangendo e usò la manica per asciugare gli occhi. Non potrò mai dirti che mi dispiace che tu sia venuto qua a causa mia, pensò riconoscendo la sua responsabilità nell'accaduto. Ash premette le mani sporche sul viso e alzò la testa. Sapeva che il dolore l'avrebbe raggiunta quando meno se lo sarebbe aspettata e l'avrebbe morsa con violenza proprio quando, una volta scomparso lo shock, trovate delle ragioni plausibili per l'accaduto, accettate le responsabilità e essersi confessata, non le sarebbe importato più di nulla. Non avrebbe più potuto parlare con Godfrey, questo era un dato di fatto incontrovertibile. «Buonanotte, prete» sussurrò. Qualcosa di bianco attirò la sua attenzione. La mano scattò alla cintura posandosi sul fodero vuoto. Ash si appiattì con la schiena contro il muro guardando davanti a sé. Qualcosa di piccolo e bianco attraversò il passaggio e scomparve nell'o-
scurità. Ash avanzò con cautela. I sandali raschiavano contro i mattoni. Altri due oggetti bianchi schizzarono fuori dell'oscurità e corsero via. «Ratti» sussurrò Ash. «Ratti bianchi?» È possibile che oltre ad aver danneggiato le fogne della Cittadella, il terremoto abbia fatto breccia nelle mura delle case costruite nella roccia viva? E se fossi vicina alla casa di Leofric? Forse. O forse no. Il fatto che questi ratti siano qua non significa che sono in prossimità della casa. I ratti sono in grado di fare molta strada e deve essere passata più di un'ora da quando c'è stato il terremoto. «Ehi, piccoli...» li chiamò piano. Non ci fu nessun movimento. Ash pensò a quello che i ratti avrebbero trovato da mangiare andando nella direzione in cui li aveva visti sparire e si guardò alle spalle. «Godfrey...» Cominciò a strisciare contro un angolo della parete e lo superò silenziosamente, quasi avesse paura che anche il più impercettibile dei rumori potesse compromettere l'equilibrio del guscio di mattoni sopra la sua testa. Si fermò e si guardò nuovamente alle spalle. «Lo so che non approveresti, Godfrey... Hai sempre detto che ero un'infedele. Bene, lo sono. Non credo nella pietà e nel perdono. Credo nella vendetta e qualcuno si pentirà amaramente della tua morte.» Un debole squittio echeggiò contro le pareti. L'odore dolciastro degli escrementi crebbe d'intensità. Ash si rimise in cammino premendosi la manica umida sul naso. Non poteva vomitare più nulla perché aveva lo stomaco completamente vuoto. L'acqua fangosa scorreva silenziosa nel canale. Gli ultimi sprazzi di luce che filtravano dalla crepa illuminavano un'irregolarità nel muro. Ash allungò una mano e le sue dita toccarono il nulla: era uno spazio vuoto. Tracciò il bordo di una fenditura. Le nocche raschiarono contro i mattoni e la calce a poca distanza da lei. Aggrottò la fronte e fece scivolare il palmo della mano sulla parete e dopo qualche centimetro incontrò nuovamente uno spazio vuoto: una seconda fenditura e sopra di essa una terza. La parte inferiore delle fenditure aveva un bordo di mattoni che doveva essere largo cinque centimetri e alto tre. Abbastanza forte da sopportare la presa e il peso di un uomo. Fu travolta da un'ondata di felicità. Respirò profondamente senza nean-
che rendersene conto e tossì violentemente a causa del puzzo. Si mise a ridere fino alle lacrime. Fece scivolare le mani lungo la parete per essere sicura di non aver commesso degli errori e trovò altre fessure. Quei gradini non servivano ad aggirare un muro, ma portavano dritti verso il soffitto. Ash cominciò a salire. I primi quindici o venti scalini furono facili da salire dopodiché le braccia cominciarono a dolerle. Si sporse all'indietro per guardare sopra di sé e vide che il soffitto era a cinque o sei metri da lei. Riprese la salita. Se le 'voci' parlano attraverso la macchina, attraverso il Golem di Pietra, cominciò a pensare per distrarsi dallo sforzo fisico, vuol dire che sono entrati nel mio spirito allo stesso modo del Golem. Ma non sono la mia voce. C'è qualcuno che è a conoscenza di questo fenomeno? Il faris lo sa? Da quanto tempo lo stanno facendo? Sono loro che le suggeriscono le strategie parlando attraverso il Golem di Pietra? Forse nessuno era al corrente della loro esistenza fino a oggi. Supponiamo che la machina rei militaris appartenga alla casata dei Leofric da due secoli e supponiamo che per tutto questo tempo siano stati gli 'altri' a parlare tramite lei. E se fossero parte integrante della machina? Una parte che Leofric non conosce? Possibile che non lo sappia? Ash si sforzò di tenere tranquilla quella parte della sua mente che usava per ascoltare. Continuava a salire malgrado sentisse le braccia che le dolevano e le gambe che bruciavano. Lanciò un'occhiata verso il basso, valutò che una caduta da quell'altezza sarebbe stata sufficiente a ucciderla e riprese a salire. Supponiamo che siano le 'voci' a odiare la Borgogna, riprese a pensare. Perché proprio la Borgogna? Perché non la Francia, l'Italia o l'impero turco? So che i duchi burgundi sono ricchissimi, ma non è una questione di ricchezza, vogliono che quel regno sia raso al suolo e cosparso di sale... perché? Ash si riposò appoggiando la fronte contro i mattoni freddi e la calce ruvida. Se voleva vedere la fenditura sul soffitto doveva girare il busto e sporgersi di lato. I gradini continuavano a salire, Ash alzò la testa e scorse un pozzo stretto e buio. Non c'era alcun modo di sapere cosa ci fosse alla fine di quel condotto. Sebbene stesse tremando avvolta dall'oscurità improvvisamente le venne
da sorridere. Ho capito, pensò. Certo! Ecco perché i Visigoti hanno attaccato la Borgogna e non i Turchi! I Turchi sono una minaccia più imponente, ma la macchina ha detto loro che la soluzione migliore era attaccare la Borgogna. Ecco com'è andata! Ma sono state le voci a dare questo suggerimento, non il Golem di Pietra! Ash strinse il bordo dello scalino tra le dita. Aveva i muscoli intorpiditi dai crampi. Piegò una gamba e la raddrizzò per raggiungere un altro gradino. Si saprebbe se un altro amir avesse creato un secondo Golem di Pietra! Neanche Leofric ha mai nascosto l'esistenza del suo. Si limita a tenerlo in un luogo sicuro. Ma se non si tratta di un'altra macchina di terracotta, cosa sono? Qualunque cosa siano sanno della mia esistenza. Continuò ad arrampicarsi su per il pozzo. Se non dovesse portare da nessuna parte allora non dovrò fare altro che scendere, pensò. Quindi, aggiunse tornando sull'argomento precedente, sanno di me. Bene. Bene. Ho perduto la mia gente e Godfrey. Ne ho abbastanza. «Spero che mi conosciate dannatamente bene» sussurrò Ash. «Perché ho intenzione di scoprire chi o cosa siete. Se siete delle macchine vi farò a pezzi, se siete degli esseri umani vi sbudellerò. Mettermi i bastoni tra le ruote è stata l'azione più stupida che abbiate mai fatto.» Sorrise della sua spacconata. Le dita toccarono del metallo. Ash si fermò. Cominciò a tastare cautamente sopra la testa e le sue dita percorsero il perimetro di un cerchio metallico che reggeva un piatto dello stesso materiale. Ash sistemò bene i piedi, strinse un gradino con la mano sinistra, posò il palmo della destra contro il piatto e spinse. Si era aspettata di non riuscire a sollevarlo e di dover tornare indietro, invece, con sua somma sorpresa, la copertura metallica saltò via facilmente. Il pozzo venne investito da una folata d'aria fredda che la centrò in pieno volto. La luce del Fuoco Greco l'accecò per qualche istante. Ash cadde in avanti battendo la faccia contro i mattoni. «Porca troia!» imprecò. Salì altri due scalini e allungò le braccia fuori dall'apertura in cerca di un appiglio, ma le sue dita grattarono la pietra senza trovare nulla. L'apertura era troppo larga per riuscire a puntellarsi con le braccia.
Portò i piedi sullo scalino più alto, mollò la presa con la mano sinistra e raddrizzò le gambe tuffandosi in avanti. L'inerzia della spinta la fece arrivare con la parte superiore del corpo sulla strada, mentre le gambe penzolavano ancora nell'abisso sotto di lei. Premette i palmi delle mani contro il selciato e strisciò fuori dal tombino fermandosi solo quando si trovò a tre o quattro metri di distanza dal pozzo. Era sbucata in un vicolo fiancheggiato da caseggiati privi di finestre. Una lampada a Fuoco Greco illuminava la strada a una ventina di metri di fronte a lei. Le altre, quelle più vicine, erano state rotte. Le scosse di terremoto avevano creato un piccolo avvallamento sul selciato. Ash ci impiegò qualche attimo ad abituarsi alla luce, si mise quindi carponi. Il vestito umido le si era attaccato alla pelle e stava gelandosi rapidamente. Sono ancora nella Cittadella: ma dove...? Il vento cambiò direzione e lei si alzò in piedi cercando di carpire dei rumori. Udì delle urla confuse, il rombo delle ruote dei carri e il clangore metallico delle armi. C'era uno scontro in corso, ma non riusciva a capire se si stava svolgendo dentro o fuori le mura di Cartagine. Il vento cambiò direzione portando con sé quei rumori. Sono fuori! Esultò tra sé. Fece un respiro profondo e si guardò intorno. Le pareti delle case erano troppo alte per permetterle di scorgere un punto di riferimento. Annusò l'aria. C'era il lezzo del porto e qualcos'altro... Fumo. L'odore di bruciato aleggiò nel vicolo. Ash si guardò a destra e a sinistra e decise di andare a destra. Vide un corpo riverso a terra sul limitare dell'alone di luce dell'unica lampada rimasta e provò un misto di dolore e repulsione. Quel corpo aveva la stessa rigidità di Godfrey: era un morto. Allontanò quelle sensazioni. «Andrà bene.» Si incamminò velocemente per cercare di scaldarsi. I sandali lasciarono degli spruzzi di sporcizia sulla strada. Ash raggiunse il corpo e si accucciò. Rubagli il denaro se è un civile o le armi se è un soldato, ricordò a se stessa. La luce non era molto intensa e si affievoliva gradatamente. Girò il corpo con la schiena contro il selciato e notò in rapida successione che era un uomo con indosso una divisa e la testa protetta da un elmo. Qualcuno gli aveva già tolto il cinturone con la spada e la daga.
«Cristo Santo!» Ash sentì le ginocchia che cedevano, si sedette, dopodiché si inclinò sul cadavere aprendogli le braccia. Il collo e le spalle erano coperti da sangue coagulato. Sulla maglia di anelli metallici, e sul fianco spiccava un emblema... Gli tolse l'elmo sporcandosi le mani con il sangue che macchiava il quadrello conficcato nella gola. L'elmo aveva una visiera e una coda articolata, non era di fattura visigota. Deve essere Tedesco... casa! Infilò l'elmo imbottito e chiuse la cinghia sotto il mento. Afferrò il corpo dell'uomo e lo trascinò sotto il cono di luce. Era un ragazzo di circa quindici o sedici anni con pochi capelli e un principio di barba. Aveva l'impressione di averlo già visto, di conoscerlo, forse, addirittura per nome... La luce illuminava l'emblema. Un leone azzurro in campo dorato. Era l'emblema del Leone Azzurro. La sua compagnia. II Ash tolse il tabarro con il simbolo della sua compagnia dal corpo del ragazzo e lo indossò. Il collo era abbastanza largo da ospitare l'elmo. «Michael? Matthew?» si chiese fissando il corpo. La ferita aveva smesso di sanguinare, ma il corpo non era ancora del tutto rigido perché non era subentrato il rigor mortis. Si passò una mano sul ventre protetto solo da un sottile strato di lana bagnata, diede un'occhiata alla maglia di anelli metallici indossata dal morto e rinunciò all'idea di prenderla. Quel genere di protezioni era già difficile da sfilare da vivi, figuriamoci da morti. A volte aveva l'impressione che gli anelli fossero assorbiti dalla pelle. Gli tolse gli stivali e, anche se troppo larghi, gli prese i guanti rinforzati. Spogliato dell'armatura sembrava una figura patetica. Ash si infilò gli stivali. «Mark. Mark Tydder» disse ad alta voce. Tracciò una croce sulla fronte fredda del ragazzo. «Sei... eri nella lancia di Euen, giusto?» Non puoi essere venuto qua da solo. Quante altre persone dovranno morire perché qualcuno mi ha portato qua a Cartagine? Ash si alzò in piedi e osservò le strade fredde e buie. Non posso perdere
tempo a domandarmi se questo era solo, c'è chi è rimasto vivo e c'è chi è morto, pensò. Devo trovarli. Baciò la fronte di Mark Tydder e gli incrociò le braccia sul petto. «Se riesco manderò qualcuno a prenderti.» La lampada si spense. Ash attese qualche attimo per permettere ai suoi occhi di abituarsi al buio. I contorni delle pareti prive di finestre si alzavano intorno a lei. Vide uno squarcio di cielo, ma non riuscì a riconoscere la costellazione. Calcolò che mancasse un'ora prima del sorgere del sole, quindi si incamminò lungo il vicolo. Quella parte della città non era stata danneggiata dal terremoto. Raggiunse il primo incrocio, girò a sinistra, poi a destra a quello successivo. In alcuni punti sulla strada c'erano delle macerie. Ash rallentò. Sopra la sua testa sporgeva una trave spezzata. Più avanzava e più le macerie aumentavano: frammenti di pietre, parti di mosaici, mobili a pezzi... un cavallo morto. Niente morti né feriti, pensò. O qualcuno è stato in questa zona dopo il terremoto o è deserta perché sono corsi tutti a palazzo. Salì su una colonna crollata resa scivolosa dal gelo, si fermò e sollevò leggermente l'elmo per ascoltare meglio. I palazzi erano ancora in piedi ma le pareti erano attraversate da grosse crepe. Un boato assordante echeggiò nell'aria alzando la polvere dalla strada. «Merda!» imprecò Ash, sghignazzando ferocemente. Girò alla sua sinistra, scese dalla pila di detriti senza esitare e cominciò a correre verso il rumore. «Queste sono armi da fuoco.» Un archibugio o un cannone leggero? Si inoltrò su per una strada stretta. Non sono i Goti! Questi siamo noi! Le nuvole scivolavano nel cielo. La debole luce delle stelle scomparve del tutto lasciandola al buio in mezzo a un corridoio formato da case seriamente danneggiate. Vide diverse pile di macerie. Continuò ad avanzare per la strada con le braccia distese di fronte a lei per prevenire gli ostacoli. Boom! «Sei mio.» Ash si fermò. Le suole degli stivali erano così fini che poteva sentire i contorni dei blocchi che formavano il selciato. Il terreno era leggermente in discesa. Rimase immobile a osservare l'oscurità. L'aria le lambiva il volto. Si chiese se si trovava al centro di una piazza o in una zona dove il terremoto aveva fatto crollare ogni casa. Delle foglie le carezzarono il volto e lei sussultò. Lanterne.
La luce gialla tremò per qualche attimo nel suo campo visivo evidenziando un angolo netto: un muro. Si rese conto di essere all'imbocco di una strada che dava accesso a una piazza. Il palazzo di sinistra era crollato, quello di destra era ancora in piedi. Verso la fine del vicolo c'era qualcuno che reggeva una lanterna. Avvertì l'odore acido, acre e molto familiare della polvere da sparo. Ash non si rendeva conto del sorriso soddisfatto che le era apparso sulle labbra. La mano si chiuse in cerca dell'elsa della spada, ma non trovò nulla. Si riempì i polmoni e prese a urlare: «Ehi! STRONZI! NON SPARATE!» La lanterna oscillò. Ash udì un rumore secco sopra la sua testa e fu investita da una pioggia di frammenti. Un quadrello da balestra tirato alto e largo che aveva colpito qualche punto della parete. «HO DETTO DI NON SPARARMI, STRONZI!» «Mark? Sei tu?» domandò una voce, in tono cauto. «Non è Tydder. Chi sei?» si intromise una seconda voce. «Chi cazzo pensi che sia?» sbraitò Ash servendosi del patois francofiammingo in uso nei campi mercenari. Il silenzio che seguì seccò la gola di Ash e le fece battere il cuore all'impazzata. «... Capo?» domandò incerta la seconda voce con un marcato accento gallese. «Euen?» «Capo!» «Sto arrivando! Non tirate!» Trotterellò verso la luce. Sei o sette uomini armati riempivano la strada. Avevano elmi di foggia europea, ronconi, spade e due balestre. Uno dei balestrieri saltellava frenetico come se volesse farle capire che non era stato lui a tirare il quadrello. «Banda di disgraziati.» disse Ash raggiungendoli con il sorriso stampato sulle labbra. «Euen!» allungò una mano e strinse quella del Gallese. «Thomas... Michel... Bartolomeo...» «Cristo Santo fottuto» imprecò Euen Huw in tono riverente. «Capo!» esclamò Thomas Morgan, il secondo di Euen, facendosi il segno della croce con la mano che non usava per reggere la balestra carica. «Merda, uomo!» Gli altri, un'accozzaglia di soldati dalle spalle larghe e i volti torvi, cominciarono a ridere e a commentare tra loro. Si erano appostati dietro delle pile ordinate di botti di vino, sacchi di iuta e vestiti di vel-
luto. Ash notò l'espressione meravigliata degli altri uomini. «Ci avreste mai creduto!» «Sono io» disse Ash girandosi verso il Gallese. Euen Huw non era una figura imponente in quel momento: il vestito era sbiadito e macchiato dal sale, una vecchia benda sporca gli fasciava il polso e la mano sinistra, mentre nella destra stringeva una ridicola spada da cavaliere. «Cristo, avrei dovuto saperlo, capo» disse Euen. «Sei sbucata nel mezzo di un fottuto terremoto. Perfetto. Cosa facciamo ora?» «Perché me lo chiedi?» indagò Ash fissando i volti sporchi dei suoi uomini. «Ah, già... sono il capo! Sapevo che c'era un motivo valido.» «Dove sei stata, capo?» chiese Michel, uno dei due balestrieri. «In una fortezza visigota. Ma» Ash sorrise «adesso sono qua. Ottimo, non siamo a un cazzo di banchetto. Dite. Chi vi ha portato fin qua e perché? Che cazzo succede?» Boom! La cannonata esplose abbastanza vicina da far tremare il terreno. Ash si tappò le orecchie con le dita. Vide i suoi uomini che sghignazzavano e ne approfittò per valutare quanto fossero stanchi, come la maggior parte stesse esaurendo la sorpresa iniziale per tornare alle vecchie abitudini di essere comandati da lei: questa è Ash, ci dirà lei cosa fare per farci uscire da qua. Non erano sorpresi più di tanto, durante una battaglia poteva succedere di tutto. Anche nel cuore della capitale dell'impero visigoto, circondati dal nemico... «Chi è il coglione che vi portato qua?» Michel spostò un sacco sospetto con un piede. «Oxford il Conte Pazzo, capo.» «Mio Dio! Chi è l'artigliere?» «Mastro capitano Angelotti» rispose Euen Huw. «Sta cercando di entrare nella casa di uno di quei ricconi merdosi di amir... è ovvio che la casa di quel tizio non viene giù facilmente come le altre! Proprio no!» «Quale lord-amir... no dimmelo dopo. E voi stronzi cosa ci fate quaggiù?» «Siamo un picchetto, capo, non lo sai. Aspettiamo al varco tutti quei piccoli stronzi di teste di tela che hanno voglia di schiacciarci.» Il sarcasmo del Gallese fece sghignazzare tutta la lancia. «Mi dispiaceva per i Goti, va bene? Continuate e state attenti! Siete nel
mezzo di un vespaio.» «Come se non lo sapessimo» commentò Huw sghignazzando. «Il corpo di Mark Tydder è in una di queste vie, Michel... va in esplorazione, poi prendi un altro uomo e vai a prenderlo, sempre che la strada sia libera. Non abbandoniamo i nostri...» L'immagine di Godfrey con la tunica verde e il cranio rotto le comparve davanti agli occhi per un attimo. «... se possiamo evitarlo. Se doveste vedere dei soldati fatemi rapporto immediatamente. Io sono al quartier generale.» «Ma, capo, il quartier generale sei tu» le fece notare Euen Huw, allegro. «No, finché non avrò capito cosa passa per la testa di Oxford! Tu.» Indicò Thomas Morgan. «Guidami da Oxford e Angelotti. Intanto spegnete quella cazzo di lanterna! Vi ho visti a un chilometro di distanza. Non c'è uno tra voi che abbia più cervello di un topo di campo, ma non è un buon motivo per farvi tornare a casa... seguite i miei ordini! Andiamo! Sbrigati!» Mentre Ash si allontanava udì uno dei suoi uomini che mormorava: «Merda, la bella sfregiata è tornata...» «Hai dannatamente ragione» ringhiò Ash. Sono vivi! pensò. Una volta spenta la lanterna una coltre di buio calò intorno a loro e le urla dei serventi che scovolavano e caricavano i cannoni fu il loro unico punto di riferimento. Seguì Thomas Morgan che avanzava usando l'asta del roncone come un bastone per ciechi. Ash lo afferrò per la cintura e udì il rumore prodotto dal legno che batteva contro le pile di macerie che ostruivano la strada. A mano a mano che avanzavano Ash sentì una sensazione di freddo che le attanagliava lo stomaco. Nella sua mente si materializzò un'immagine che per lei rappresentava un incubo vero e proprio: i suoi uomini intrappolati nel centro di una cittadella fortificata che a sua volta si trovava nel mezzo di una città dotata di cinta muraria all'interno della quale si trovavano le truppe scelte degli amir, l'esercito del califfo-re per non parlare dei mercanti, degli schiavi e della popolazione in generale... Chi è il pazzo fottuto che li ha portati in questo inferno? si chiese Ash, infuriata. Come posso tirarli fuori di qua? Qual è la prima cosa che devo fare? Thomas Morgan inciampò, borbottò qualcosa di osceno, batté l'asta del roncone contro il cumulo di macerie e si spostò sulla destra, prontamente
seguito da Ash. Quanti uomini avrà portato? A che cazzo sta pensando Oxford? Solo perché siamo mercenari non vuol dire che siamo carne da macello... beh, a giudicare da come si comporta forse crede che lo siamo. Mi ero fatta un'opinione migliore di lui. L'atmosfera intorno ai due cambiò. Ash alzò gli occhi e vide che le nuvole si erano aperte rivelando il firmamento stellato che di notte sovrastava il Crepuscolo Eterno. Abbassò rapidamente lo sguardo per non vanificare lo sforzo che i suoi occhi avevano fatto per abituarsi al buio, tolse la mano dalla cintura di Morgan e si concentrò sulla casa dalle pareti bianche che si trovava di fronte a lei. Un po' più in là, alla destra di Ash, i cancelli dell'abitazione penzolavano dai cardini: non era stata opera del terremoto, ma delle cannonate. Vicino all'angolo vide i serventi che lavoravano al riparo dei pavesi139 . Due colubrine140 erano state fissate a terra sui loro supporti in un punto in cui il terremoto aveva sollevato il selciato. Gli artiglieri imprecavano e urlavano. Il bersaglio si trovava a una quarantina di metri in fondo alla strada ed era un secondo cancello. Non era possibile avvicinare di più i cannoni perché la strada era troppo stretta. Arrivarono altri uomini che alzarono dei pavesi ricavati dalle porte delle case. Una salva di frecce cadde sul terreno poco distante da Ash sollevando una pioggia di schegge. Ash sorrise nel sentire la voce di Angelotti che urlava delle bellissime oscenità. Dal tetto della casa alcuni Visigoti stavano tirando addosso ai suoi uomini. Una casa visigota con i soldati? Questa casa... Improvvisamente Ash si ricordò tutto. Pensavo ci fossimo diretti a nord, ma io sono partita dal palazzo del califfo-re e ho fatto la strada al contrario... questa è la casa di Leofric! In quel momento capì tutto. Merda, pensò. Adesso so perché Oxford è qua. Sta mettendo in atto il mio piano. È venuto a Cartagine per il Golem di Pietra. «Siamo arrivati, capo» urlò Thomas Morgan. 139
I balestrieri usavano questi scudi di legno per tirare rimanendo protetti. I pavesi erano di solito alti un paio di metri ed erano tenuti su da un altro uomo o da un palo. 140 Arma da fuoco portatile che come dimensioni si colloca a metà tra un archibugio e un piccolo cannone.
Ash lo superò e si avvicinò al punto illuminato dalle lanterne e dalle torce. Era un angolo di strada pieno di soldati. Altre due colubrine vennero scovolate, caricate rapidamente e un attimo dopo due proiettili centravano in pieno la casa di Leofric. Vide un uomo alto con i capelli lunghi che indossava una giubba e un farsetto di fattura italiana inginocchiato nel centro di un capannello di artiglieri... Angelotti e una dozzina di altri volti familiari. Il diacono Richard Faversham. Un uomo magro e biondo, al riparo dietro un pavese con le mani infilate fino ai polsi in una sacca piena di bende... Florian de Lacey, anzi... Floria del Guiz e dietro di essi un nutrito gruppo di uomini armati di mazze e archibugi sul quale spiccava lo stendardo del Leone, tra loro Dickon e John de Vere, quest'ultimo che si toglieva l'elmo per asciugarsi la fronte... Ash ebbe diversi secondi per studiare quegli uomini che, impegnati in quella sorta di caos ordinato, non notarono il suo arrivo. Provò una sorta di panico: i suoi soldati che la ignoravano come se non fosse là. Come tutti i comandanti, anche Ash temeva che il timore che era solita incutere fosse scomparso. Chi era lei per dire a tutti cosa fare? La persona che li aveva persuasi ad abbandonare le fattorie e mettersi a fare il mestiere del mercenario. Un lavoro fatto di mattine passate su colline con l'erba umida e insanguinata e notti in città che bruciavano in mezzo a corpi mutilati. Due o tre persone si girarono attratte dalla presenza di Thomas Morgan. Uno degli artiglieri lasciò cadere un ingranaggio fissando Ash con gli occhi sgranati. Altri due lasciarono cadere la culatta del secondo cannone. Tre ronconieri fiamminghi smisero di parlare tra loro e rimasero a bocca aperta. Antonio Angelotti bestemmiò in italiano. Floria si alzò lentamente con un'espressione sul volto che era un misto di speranza, stupore e paura. «Stai giù!» le urlò contro Ash che, tuttavia rimase allo scoperto. Si tolse l'elmo dalla testa. I capelli sembravano le spine di un porcospino. Devono vedermi, pensò, anche se qualche bastardo può beccarmi con un arco. «Cazzo!» imprecò qualcuno, stupefatto. Ash mise l'elmo sotto il braccio. Il metallo era gelato e poteva sentirlo malgrado indossasse i guanti. La luce illuminò il tabarro con l'insegna del Leone Azzurro. I guanti e gli stivali fuori misura la facevano sembrare una bambina vestita come un adulto. Una bambina alta e magra con tre sfregi
che spiccavano sulla pelle bianca e gelata delle guance. Portò un pugno al fianco in modo che tutti potessero riconoscerla per quello che era: Ash, il loro capitano, il loro condottiero. Una donna vestita come un uomo, con i capelli tagliati corti alla maniera degli schiavi e il volto scavato dalla fame e dal dolore, ma con un sorriso radioso stampato sulle labbra che le illuminava gli occhi. «È il capo!» esclamò Thomas Morgan, con voce tremante. «ASH!» Lei non seppe dire chi avesse urlato: tutti avevano cominciato ad avvicinarsi, incuranti dei nemici armati asserragliati nella casa a pochi metri da loro e a passare la notizia ai compagni di lancia. Angelotti fu il primo a raggiungerla e l'abbracciò con le lacrime che gli solcavano il volto sporco di polvere da sparo. Floria lo spostò di prepotenza, la strinse per le braccia e la fissò con un'espressione piena di domande. Poi fu la volta della folla: Henri de Treville, Ludmilla Rostovnaya, Dickon Stour, Pieter Tyrrel, Thomas Rochester con lo stendardo del Leone, Geraint ab Morgan che dava voce al suo stupore in gallese stretto. Tutti si strinsero intorno a lei e dopo fu solo una pioggia di pacche sulle spalle e una sfilza di frasi pronunciate ad alta voce che si sovrapponevano rendendo il tutto incomprensibile. «Merda! Guardate cosa vi succede banda di stronzi quando vi lascio soli per cinque minuti! Dove cazzo è Roberto?» «Digione!» rispose Floria prendendola per un braccio. «Sei proprio tu? Sembri più vecchia. I tuoi capelli... ti hanno tenuta prigioniera? Sei scappata?» Ash annuì per confermare. «Nostra Signora. Non dovevi tornare indietro. Saresti dovuta andartene. Un uomo da solo potrebbe farcela...» Ha ragione, pensò Ash, stupefatta. Avrei avuto molte più possibilità di scappare se fossi sgattaiolata via da sola. Non avrei dovuto raggiungere questa strada e mettermi nel mezzo di questa banda... molto piccola... di folli armati fino ai denti. Ma non sono riuscita a fare altrimenti. Non era dispiaciuta della decisione presa, solo Floria era stupita. Il dottore donna che si vestiva come un uomo per esercitare la sua professione le sfiorò una guancia e disse: «Perché mi aspettavo qualcosa di diverso da parte tua? Benvenuta nel manicomio!» Le dirò di Godfrey dopo, decise Ash. Alzò la testa per guardare i volti intorno a lei. Gli uomini sudavano a dispetto del freddo. Avevano tutti le armi snudate e, più in lontananza, due uomini stavano scendendo da un alto muro.
«Ufficiali a rapporto!» ordinò Ash. «Vado a chiamarli!» Morgan corse via. Siamo in uno dei vicoli che corrono intorno ai tre lati della casa di Leofric fino alla fine della scogliera, pensò Ash ricordando gli appunti che aveva preso durante la prigionia. Il quarto lato fa parte della Cittadella stessa. Fissò il termine del vicolo. Sto guardando a nord in direzione delle mura della Cittadella. Oltre quelle cazzo di mura... e dannatamente... lontano c'è il porto. Vide qualcosa che poteva essere un bagliore di torce o lanterne oltre le mura della casa e udì un rumore molto distante. «Geraint!» sorrise al Gallese che sbucò da dietro i pavesi battendosi le spalle. «Cazzo, sei proprio tu» «Siete arrivati qua via mare, giusto? Suppongo che abbiamo delle navi? Ti stai divertendo in questo viaggio fino alle terre del Crepuscolo Eterno, Geraint?» «Lo odio!» rispose il grosso capitano degli arcieri, in tono sardonico. «Non prendertela con me, capo. Non sono stato io. Io soffro di mal di mare, capisci.» «Mal di mare?» «Ecco perché sono un arciere e non faccio il mercante di lana come il resto della mia famiglia. Ero solito vomitare tutti i pasti che mangiavo nel tratto di mare tra Bristol e Bruges.» Geraint ab Morgan si pulì la bocca con il polso. «E lungo tutta la strada tra Marsiglia e qua in quelle fottute galee. Spero solo che ne valga la pena. È ricco tuo padre?» Un gruppo di mercenari creò un cerchio di scudi intorno ad Ash che si piegò su un ginocchio mentre gli altri ufficiali cominciavano ad arrivare. Ash si rimise l'elmo e fissò i cancelli della casa di Leofric colpiti da due o tre cannonate, ma ancora in piedi, a una cinquantina di metri da lei. Abbiamo bisogno di altri cannoni, pensò. «Leofric non è mio padre, ma è ricco. In ogni modo viaggiamo con un bagaglio leggero, quindi accontentatevi di prendere cose leggere... capito?» «Chiaro e limpido, capo.» Ash prese un appunto mentale: 'perquisire Geraint mentre torniamo alle navi'. «E voi come siete arrivati fin qua?»
«Galee veneziane» spiegò Angelotti. Quando Ash lo fissò, l'artigliere socchiuse leggermente le palpebre con aria divertita. «Il nostro signore, Oxford, ci ha trovato un paio di capitani veneziani che erano scampati all'incendio della Repubblica e che erano disposti a tutto pur di danneggiare Cartagine.» «Dove sono?» «Sono all'ancora a una ventina di chilometri a ovest della città. Noi siamo entrati facendoci passare per una carovana proveniente da Alessandria. Pensavo... pensavamo che ti avessero catturato nella battaglia di Auxonne. C'erano delle voci che parlavano della tua presenza qua.» «Non mi dire? Per una volta le voci erano esatte.» L'attesa era meno evidente negli occhi di Angelotti, ma era presente come in quelli di tutti gli altri che la circondavano. Ash fu travolta da un'altra ondata di panico. È tutto sulle mie spalle. Dobbiamo fare quello per cui siamo venuti e sparire, altrimenti siamo tutti morti. Non importa in quanti sono venuti, ma se non mi sbrigo a portarli fuori sono tutti morti. E loro si aspettano che io ci riesca. Sono cinque anni che non faccio altro. Non importa se è stato de Vere a portarli qua, la responsabilità è sempre mia. Il vento gelido che spirava da sud portò l'eco delle urla di panico degli abitanti della Cittadella. La casa di fronte ad Ash sembrava deserta. Dove si sono cacciati Leofric e i suoi uomini? Dove sono i soldati del califfo-re? Cosa sta succedendo? pensò. «Va bene» esordì Ash. «Qualcuno mi trovi un'armatura della mia misura! E una spada! Mio lord de Vere, voglio fare quattro chiacchiere con voi» così dicendo si alzò in piedi per incontrare il conte di Oxford che la stava raggiungendo correndo con un braccio appoggiato al muro in modo da non essere un facile bersaglio. Un urlo seguito da un tonfo e da qualcuno che esultava echeggiò in qualche punto del vicolo. «Beccato!» «Fottute teste di tela!» «Saluti dai fottuti Franchi.» «Signora» la salutò John de Vere. I due si guardarono stupefatti. Il nobile inglese socchiuse gli occhi come se si trovasse di fronte a una luce intensa o fosse divertito. Un tabarro con il simbolo della sua casata, rosso scarlatto e giallo in campo bianco, copri-
va l'armatura. Il volto che faceva capolino da sotto la ventaglia alzata dell'elmo era bello, sporco e pervaso da un'eccitazione che era più adatta a un ragazzo. Boom! L'esplosione fece male alle orecchie di Ash, anche se l'elmo era imbottito. Ogni pezzo di intonaco o pietra in bilico a causa del terremoto cadde in strada. Parte di quei detriti si depositarono sulla giacca di Ash e la polvere che si era sollevata dal selciato, a causa dello spostamento d'aria, le fece bruciare gli occhi. «Capitano Ash.» John de Vere stava parlando ad alta voce per farsi sentire sopra il frastuono dei cannoni di Angelotti. Il suo tono di voce era molto pragmatico e ricordava quello di un uomo d'affari. Per nulla sorpreso dalla presenza di Ash, il nobile indicò le possenti mura della Cittadella. «Il resto dei cannoni sta per arrivare.» «Come siete riuscito a portare gli uomini e l'artiglieria fin quassù?» Ash stava tornando rapidamente alle sue vecchie abitudini: domande brevi che andavano dritte al punto. «Lungo i camminamenti del muro che circonda la Cittadella. È abbastanza largo per far passare le pattuglie quindi l'ho usato anch'io. Le strade sono tutte bloccate.» La mano di John de Vere protetta dallo snello guanto corazzato di fattura gotica indicò qualcosa. La luce delle lanterne si riflesse sul metallo delle protezioni, sulle borchie alle nocche e sul polsino. È venuto qua con un'armatura costosa, ma abbastanza leggera da permettergli di muoversi comodamente in questi dannati vicoli, pensò Ash. I miei uomini indossano solo i piastroni e le protezioni per le gambe, niente schinieri o protezioni per le spalle. Sarà anche matto, ma sa il fatto suo. «Cosa mi dite dei cancelli tra la Cittadella e Cartagine?» «Ho degli uomini che stanno tenendo quel cancello e anche quello a sud che dà verso l'entroterra. Se Dio e la Fortuna saranno dalla nostra parte, dovremmo avere circa un'ora per fare l'incursione e sparire.» Thomas Morgan e il ronconiere di nome Carracci la raggiunsero insieme a un'apprendista che assistette l'armaiolo mentre faceva saltare il collare. Ash allungò le braccia, gli uomini le tolsero il tabarro e le infilarono un farsetto rinforzato, leggermente stretto sul petto ma con pezzi di maglia metallica dall'aria rassicurante cuciti all'altezza delle ascelle e delle spalle. Provò anche un piastrone che non era proprio della sua misura. Dobbiamo difendere il posto, pensò Ash. Non serve a niente correre di
qua e di là. «Ti procuro delle protezioni per le gambe in un attimo, capo» promise Carracci. Ash trattenne il fiato mentre il guscio metallico veniva chiuso intorno al suo corpo e Thomas Morgan stringeva le cinghie. Soddisfatta, strofinò le nocche contro il metallo. Finalmente si sentiva protetta. Carracci si inginocchiò per bloccare il gonnellino di lame metalliche che serviva a proteggere le cosce e le natiche. «Cercami delle ginocchiere se non trovi di meglio» disse Ash, non riuscendo a trattenersi dal ridere. «Qualche stronzo con il turbante me l'ha conciato male ad Auxonne.» «Certo, capo!» Carracci prese la spada da arciere, il cinturone da Thomas Rochester che si inginocchiò per aiutarlo a chiuderlo intorno ai fianchi del loro condottiero. Ash si girò a parlare nuovamente con John de Vere tirando i guanti. «Siete venuto qua per il Golem di Pietra. Deve essere così! È un'impresa suicida, mio signore!» «Non potevamo fare altrimenti, signora, al Nord siamo messi talmente male che era necessario agire.» «Come avete intenzione di entrare?» «Usando la forza... prendere la casa e perquisirla dal tetto alle fondamenta.» «Più facile a dirsi che a farsi. Avete idea di come sono costruite queste case?» «No...» John de Vere si interruppe per gridare qualcosa a suo fratello Dickon. Il giovane cavaliere si allontanò con passo deciso in direzione del vicolo di destra in fondo al quale, illuminate dalle lanterne, erano sistemate le scale per salire sulle mura della Cittadella. Sui camminamenti era possibile scorgere un via vai di ombre scure molto indaffarate. «Vado lassù» disse Ash. «Ho bisogno di orientarmi. Avete cominciato l'incursione prima o dopo il terremoto?» «È stata una circostanza felice.» «Una cosa...?» ringhiò Ash, senza rendersene conto. Delle scale di legno e corda erano state appese ai ganci piantati nel parapetto a circa una decina di metri sopra la sua testa. Ash allungò una mano e per un momento ebbe paura di non potercela fare a salire. Cristo, mi sono riposata, non posso stare male proprio adesso... pensò e un attimo dopo
cominciò a salire con tutta la forza che aveva in corpo. La scala dondolava a causa del vento. Raggiunse il parapetto e si issò oltre borbottando una serie di imprecazioni agli uomini che non l'avevano riconosciuta. Un mucchio di pavesi, porte e pezzi di trave formavano una barricata improvvisata che ostruiva il camminamento. Oltre il riparo non c'era nulla. Ash vide un bagliore metallico provenire dalla facciata della casa di Leofric: erano i soldati. Se Ash e i suoi uomini fossero usciti dal loro riparo sarebbero stati sottoposti a un fuoco tremendo. «Francis, Willem!» esordì Ash salutando il balestriere e il comandante di lancia. «Cosa succede ai cancelli della cittadella?» «Un cazzo!» borbottò Willem. I due uomini la fissarono e si paralizzarono senza posare i barili di quercia che stavano portando. Francis, l'arciere, tossì, sputò e disse in tono pensieroso. «Un paio di schermaglie, capo. Non è ancora successo nulla d'importante fino a ora. Tutti corrono avanti e indietro come una puttana in calore a causa del terremoto!» «Speriamo che continui così. Forza, muoviamoci!» «Capo...» Il balestriere si arrese e scosse la testa sorridendo. Si girò verso degli uomini che arrivavano con altri barili. «È tornata...!» Sebbene il vento che spazzava gli spalti le facesse lacrimare gli occhi, Ash si acquattò e corse verso la parte delle mura che davano sul porto. John de Vere tornò alle scale, lanciò un urlo, prese qualcosa e tornò da lei con una spessa coperta. «Prendi questo, signora. I tuoi uomini si sono aggirati per la città travestiti nel corso degli ultimi tre giorni. Sono dei veri bastardi di Dio e una gioia da comandare. Avevo intenzione di iniziare l'attacco più tardi, ma questa...» Diede un'occhiata alle case distrutte e alle macerie che ostruivano le strade. «Questa era un'occasione da non perdere. Vorreste riprendere il comando sotto di me, signora? Vi sentite di farlo?» Ash diede un'occhiata al cielo. Non c'era nulla che potesse indicarle l'ora. Forse erano passati trenta minuti da quando era emersa dalle fogne. Non di più. Il freddo almeno l'aiutava a non sentire il puzzo. Dubitava che gli altri se ne fossero accorti visto l'odore di polvere da sparo e sangue che avevano addosso. «Quali altri ufficiali sono venuti?» «Ho portato solo metà della compagnia. In seguito a un ordine del duca Carlo, mastro Robert Anselm è rimasto a Digione con duecento uomini per prendere parte alla difesa della città. Il suo ultimo messaggio mi ha rag-
giunto una settimana fa. Resistono.» «Roberto...» Vivo e al sicuro, aggiunse pensando. «Sono tutti vivi!» O almeno lo erano fino a una settimana fa, si corresse. Stupida, lo sono ancora, lo so! Li conosco bene. Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Figli di puttana!» disse piano, Ash. «Avrei dovuto saperlo. Ci vuole altro che un mucchio di teste di tela per far fuori quegli stronzi. Dolce Cristo, avrei dovuto avere fiducia in loro!» «Non avevate nessuna notizia?» le domandò il conte. «Nessuna; anzi mi avevano detto che eravate tutti morti ad Auxonne!» «Bene, allora sono felice di portarvi questa notizia.» John de Vere sorrise continuando a tendere l'orecchio per sentire le urla e i rumori che provenivano dal basso. «E se avessi avuto altre buone notizie ve le avrei portate volentieri. La vostra gente ha sentito parecchio la vostra mancanza.» «Non lo sapevo...» Ash sentì un groppo alla gola e si accorse che stava sorridendo. «Merda! Ce l'hanno fatta? Ne siete sicuro? Stavano tutti bene quando avete lasciato Digione? Roberto sta bene?» «Al sicuro dentro le mura di Digione ed è molto probabile che stiano ancora resistendo, penso. L'avremmo saputo se la città fosse caduta. C'è anche Carlo dentro le mura e la sua cattura o la sua morte sarebbe stata urlata ai quattro venti. Adesso» John de Vere la prese per le braccia «dobbiamo fare il punto della situazione.» Quando uno si sveglia su un carro in corsa o afferra le redini dei cavalli o salta giù. Non ci sono altre alternative. Dozzine di uomini erano saliti sulle mura portando armi e casse da calare dall'altra parte. I soldati del Leone Azzurro le passavano di fianco gridando 'è lei, è lei'. Ash li salutava con dei brevi cenni del capo e questi ripartivano con rinnovato vigore. «Fanculo al punto della situazione!» esclamò Ash. «O combattiamo o andiamo via. Adesso...» Doveva essere passata circa un'ora dal terremoto. Ash si rese conto che quel vespaio rivoltato che era Cartagine in quei minuti poteva riorganizzarsi e cominciare a mandare dei soldati in cerca dei cannoni. «Non ci hanno ancora sentiti. O forse pensano che si tratti di qualche amir che ne approfitta della confusione per regolare i conti con dei vecchi nemici...» BOOM! «Merda!» Ash si sporse dal parapetto. Il boato le aveva fatto fischiare le
orecchie e si chiese se non fosse stato uno dei cannoni di Angelotti a esplodere. Stava per correre a controllare quando vide una luce che fendeva l'oscurità in direzione del porto. «Quello» disse il conte di Oxford «dovrebbe essere il visconte di Beaumount.» Una colonna di fuoco si levò in cielo illuminando la parte interna del porto di Cartagine. Fumo e fiamme e, alla base della deflagrazione, una grossa galea che bruciava. Ash osservò l'acqua scura e gelida del mare. Delle lunghe lingue di fuoco laceravano il buio illuminando gli altri vascelli, gusci di legno e corde facile preda dell'incendio. Una seconda esplosione scosse la notte investendo l'imbarcazione di un mercante per poi propagarsi lungo le banchine. Altre due navi presero fuoco. Una terza. Una quarta. E così via... Ash socchiuse gli occhi a causa delle lacrime che le bruciavano gli occhi e concentrò la sua attenzione sui magazzini e, mentre si stringeva nella coperta, vide delle lingue di fuoco sbucare dai tetti e dai granai... Un altro rumore improvviso venne portato dal vento. Sembrava che le prime esplosioni fossero servite da segnale. Il frastuono arrivava da ovest, dal punto in cui la città di Cartagine si adagiava sul promontorio. Ash non riuscì a capire se si trattava di fuoco o voci. «E quelli dovrebbero essere i miei fratelli Tom e George» aggiunse il duca di Oxford. «Il califfo-re importa molte vacche, capitano. Migliaia di capi per nutrire tutta Cartagine, dove, si sa, è impossibile portare le bestie al pascolo. George e Tom dovrebbero aver conquistato il mercato del bestiame e fatto scappare le bestie...» «Il mercato...» Ash si asciugò il naso e trattenne una risata. «Mio signore!» «Le strade piene di vacche impazzite dovrebbero portare altra confusione» aggiunse de Vere in tono pensieroso. «Avrei voluto dare fuoco agli impianti della nafta, ma molto probabilmente dovevano essere molto ben sorvegliati, senza contare che non sono riuscito ad avere delle informazioni attendibili sulla loro ubicazione.» «No, mio signore.» Tu sei un pazzo fottuto, pensò Ash mentre immaginava i palazzi semidistrutti e la popolazione che scappava in preda al panico inseguita dai bovini. Un panorama di fuoco, sangue, morte e confusione. La confusione più totale. «Quanti uomini avete portato con voi?» «Duecentocinquanta. Gli equipaggi delle navi sono a bordo. Cinquanta uomini al cancello della Cittadella, cinquanta uomini che tengono il can-
cello sud dove l'acquedotto entra in città. Qua ce ne sono più di cento con armature leggere, armi da combattimento corpo a corpo, armi da fuoco leggere, archibugi e balestre.» Nel porto l'incendio infuriava bruciando navi e magazzini. Una fila di uomini con i secchi cercava di arginare le fiamme. Delle piccole imbarcazioni facevano la spola dai cargo in fiamme alla terraferma per cercare di salvare le merci, mentre una folla di mercanti, impiegati, marinai, tavernieri urlavano intorno ai magazzini portando fuori le merci. Erano anche cominciate le risse e i furti. Ash sentì qualcuno che urlava degli ordini e un uomo che gridava dal dolore. Sapeva che quella scena si sarebbe ripetuta migliaia di volte quel giorno e nessuno si sarebbe preoccupato di quello che poteva succedere alla casa di un amir nella Cittadella. «Cavoli!» commentò Ash, sghignazzando all'indirizzò del conte di Oxford. «Bella opportunità. Ben fatto. Non avremo mai più un'occasione simile.» John de Vere sfoderò un sorriso sincero. «Pensavo che valesse la pena tentare, non importa cosa rischiamo per distruggere la machina rei militaris. E ora, grazie al terremoto, ci viene data l'opportunità di riuscire nella missione e sparire. Molto spesso vengo benedetto da incidenti fortunati quando ne ho bisogno.» «Wuff!» sbuffò Ash. «'Quando ne ho bisogno'...!» «Comunque» continuò de Vere socchiudendo gli occhi per cercare di capire cosa stesse succedendo nel caos del porto «avevo intenzione di scappare seguendo gli acquedotti... che non sono caduti, però potrebbero essere stati danneggiati dalle scosse.» «Non potremo passare dalle strade neanche con l'aiuto di tutto questo caos» disse Ash. «Anche se fossero danneggiati è sempre meglio passare vicino agli acquedotti che provare ad aprirci la strada combattendo contro l'esercito di Gelimero... questa confusione non durerà in eterno.» «Gelimero?» «Il nuovo califfo.» «Ah, è così che si chiama.» «Siamo stati fortunati» disse Ash mentre camminava all'indietro per sfruttare il riparo della barricata. Due frecce si piantarono nel pavese, ma lei le ignorò come se fossero stati degli insetti noiosi. «La morte di Teodorico e le elezioni!... Tutti gli eserciti personali degli amir sono intenti a pulire il culo dei loro padroni invece che pattugliare la città. Ora c'è solo la
milizia in giro e quelli sono una vera schifezza come soldati. Là dentro...» Ash si asciugò il naso e sentì il gelo sui capelli. «I vari amir della città passano gran parte del loro tempo a combattere tra di loro» disse. «Di solito si barricano nelle loro case e aspettano che siano finiti i casini, ma gli uomini di Leofric usciranno allo scoperto molto presto.» «Non ne avranno bisogno dopo che avremo preso a cannonate il cancello!» Un urlo le fece girare la testa. Un uomo con la divisa bianca sul tetto della casa di Leofric aprì le braccia e cadde nel vicolo. Una roca ovazione si sollevò dai soldati. Carracci trascinò il cadavere dietro i pavesi e Thomas Morgan gli prese l'arco. «Leofric ha lasciato delle truppe a guardia del palazzo o forse è tornato indietro. In ogni caso si sono accorti che non siamo i soldati di qualche altro amir, ma siamo Franchi.» Un fischio acuto lacerò l'aria. Ash non ebbe tempo di schiacciarsi a terra. Lei insieme a Oxford e i soldati sussultarono mentre qualcosa si alzava dalle mura della casa che stavano attaccando per poi esplodere in cielo una trentina di metri sopra le loro teste. Una luce bianca splendette sui palazzi e sui soldati. «Sono razzi. Stanno chiedendo aiuto ai loro alleati.» Ash scosse la testa. «Bene è giunto il momento di prendere una decisione, mio signore. Attacchiamo o ci ritiriamo?» «No! Niente ritirata!» Il conte di Oxford imprecò. «Distruggerò il Golem di Pietra del faris come il resto di questa città dannata tre volte!» «I Visigoti hanno altri generali.» «Ma non credo che nessuno di loro abbia i poteri del faris.» Il nobile la fissò con uno sguardo che, a dispetto della situazione critica in cui si trovavano, era molto ironico. «Io oso dire che hanno dei generali anche migliori del faris... ma nessuno di essi ha una macchina da guerra a casa e nessuno di essi è creduto invincibile. La situazione in Borgogna è critica, dobbiamo fermarli.» La parola Borgogna fece risuonare qualcosa nella sua mente, ma Ash lo ignorò. «Io dico che bisogna attaccare, Dickon?» Il conte lanciò un'occhiata al fratello più giovane. «Sono d'accordo, mio signore» borbottò il ragazzo. Ash allentò le cinghie dell'elmo, lo sollevò leggermente, ma sentì solo i
rumori prodotti dai suoi uomini. «Sono sempre la mia gente. Questa è la mia compagnia. La decisione è mia.» Ci massacrerebbero comunque quanto cerchiamo di uscire. «Mio signore, voi potrete anche essere un lord inglese, ma io sono il loro capitano, chi penserete che seguiranno?» John de Vere la fissò con un'occhiata torva. «Dopo la vostra apparizione clamorosa, signora? Meglio non fare la prova. È sempre meglio non litigare su chi comanda, specialmente in queste situazioni!» «Chi sta litigando?» rispose Ash sogghignando. Inalò l'aria fredda che puzzava di polvere da sparo mettendo da parte le voci che le avevano invaso la mente. «Non si presenterà più un'occasione simile! Facciamolo!» «Capo!» La voce di Geraint si levò da un gruppo di elmi in prossimità del parapetto. «Stanno facendo uscire dei messaggeri. Li calano dal tetto!» «Sposta gli arcieri e falli fuori!» L'elmo scomparse. Ash non aveva ancora del tutto realizzato che Geraint, Angelotti, Carracci, Thomas Morgan, Thomas Rochester e Floria... Cristo proprio lei... erano là con lei a Cartagine. Azzardò un'occhiata al vicolo sotto le mura. Floria e Richard Faversham al riparo dietro un cordone protettivo di ronconieri stavano medicando Ludmilla Rostovnaya. «Non attaccate dal cancello principale» sbottò Ash. «Si apre su un cunicolo pieno di trappole!» De Vere aggrottò la fronte. Gli uomini sul muro di cinta erano aumentati e continuavano ad arrivare portando armi ed esplosivi. «Non sono riuscito a comprare nessuna informazione riguardo l'interno di questi palazzi» disse il conte abbassando la voce in modo che solo Ash potesse sentirlo. «So come sono fatti, mio signore» affermò Ash, scurendosi in volto al ricordo. «Ho parlato con diversi schiavi. La casa sprofonda nella roccia viva. Ci sono ancora sei piani sotto il piano terra. Sono rimasta in questa casa per...» Dovette sforzarsi per ricordare. «Tre o quattro giorni. Ci sono pozzi e trappole di tutti i generi. È impossibile. Non mi stupisco che Cartagine non sia mai stata presa!» «E il Golem?» Il volto bruciato dal sole di de Vere si illuminò di una luce sinistra. «Sapete dove lo tengono!» In quel momento Ash ebbe l'impressione che degli ingranaggi fossero scattati nella maniera giusta: poteva unire le sue conoscenze a quella del nobile che aveva di fronte. Possiamo farlo, pensò. Possiamo riuscirci.
«Sì. So dove si trova il Golem di Pietra. Ho parlato con gli schiavi che lo puliscono. Si trova nel settore nord-est della casa. È al sesto piano sottoterra.» «Per le palle di Dio» Ash cominciò a pensare a un piano d'attacco ignorando il sibilo del secondo razzo che partiva dalla casa. «Come posso fare...? Un attacco frontale è da escludere. Potremmo scalare le mura e scendere nel cortile, ma rimarremmo imbottigliati e saremmo falciati dal loro tiro incrociato...» «Signora!» De Vere la scosse con veemenza per le spalle. «Non è il momento per parlare. O attacchiamo o torniamo indietro! Non abbiamo tempo. Altrimenti guiderò questa compagnia senza di voi!» Ash si sporse dal muro tenendo la scala di corda con una mano. «Carracci! Geraint! Thomas Morgan!» «Sì, capo?» rispose allegro Carracci. «Ripulite questo vicolo!» «Sì, capo!» «Angelotti!» Il mastro artigliere corse ai piedi del muro facendosi largo tra la folla di mercenari e gridò: «Cosa vuoi, madonna?» Siamo sul lato nord-est, pensò Ash. Il muro della città è spesso venti passi... aggiungi altri tre o quattro metri... «Metti i barili di polvere contro il muro della casa proprio qua sotto.» Ash indicò. «Usa tutto quello che hai a disposizione e ripulisci la zona!» «Sì, madonna!» La polvere avrà meno forza, ma dentro un vicolo largo un metro e mezzo anche se aperto da entrambi i lati, la forza dell'esplosione sarà abbastanza compressa tra i palazzi da distruggere il muro. Mentre Angelotti e i suoi uomini si allontanavano, Ash disse: «Ho contato tutto con i passi, mio signore. La mia cella, il passaggio. So cosa ci aspetta dall'altra parte del muro.» John de Vere, che si stava preparando a scendere, la fissò con uno sguardo ammirato e stupito. «Tutto questo mentre eravate prigioniera e sicuramente trattata male? Signora, siete una fonte inesauribile di sorprese!» Ash ignorò il complimento. Il dolore e il sangue sul pavimento erano confinati in qualche recesso nascosto della sua mente dove non poteva sentire nulla.
Indicò il mucchio di barili di polvere da sparo che aumentava a vista d'occhio. «È meglio non incasinarsi con i cancelli, passiamo dritti attraverso il muro ed entriamo nel palazzo. La breccia che intendo aprire ci porterà al piano terra del quadrante nord-est.» «E prendiamo tutta la casa?» domandò il conte. «Non è necessario, la casa è costituita da quattro quadranti intorno ad altrettante scalinate che non si uniscono tra di loro. Conquista la cima di una scala e hai preso un settore o imbottigliato chiunque si trovi in quel punto. Ho bisogno di uomini che tengano il piano terra mentre gli altri si occuperanno del Golem di Pietra...» Si calò dalle mura. Si muoveva in maniera impacciata a causa dell'armatura fuori misura. Arrivò nel vicolo illuminato dalle fiaccole e dalle torce e si mise a fianco di John e Dickon de Vere. Angelotti sistemò l'ultimo barile in cima alla pila quindi si diresse verso Ash e le disse: «I barili sono in posizione. Ho ancora della polvere e possiamo gettare delle granate nella tromba delle scale.» «Proprio quello che avevo intenzione di fare...» Ash si interruppe. Era in piedi nel mezzo di un vicolo spoglio con le costellazioni del cielo meridionale che incombevano sulla sua testa. Il suono dei quadrelli che sibilavano verso la casa, ma con lei niente, tranne John de Vere che si allontanava con molta cura per evitare di sollevare delle scintille con le parti dell'armatura che raschiavano il selciato. E una pila di barili ammucchiati contro le mura della casa di Leofric. «Non abbiamo molto tempo, capo.» Geraint ab Morgan si unì a loro salutando appena i due nobili inglesi. «Dalle feritoie stanno facendo il tiro al bersaglio con i miei uomini.» «Vuoi che smetta di attaccare i cancelli con le colubrine, madonna?» le chiese Angelotti, passandosi una mano sporca e sudata, ma pur sempre pulita rispetto a quelle di Thomas Morgan che si stava avvicinando, sulla bocca. «O devo dare l'ordine di continuare finché non facciamo saltare il muro?» Entrambi gli uomini avevano urlato a squarciagola per farsi udire sopra il clangore delle armi, gli scoppi degli archibugi e i richiami degli altri soldati che urlavano perché le imbottiture degli elmi impedivano loro di sentire bene. Tutti la guardavano in attesa di ordini. Ash non riusciva a parlare e fissava gli uomini in fondo al vicolo.
III Ash continuò a non parlare. «Siete ferita, signora?» le domandò John de Vere. «Siete stata torturata dai vostri carcerieri? Non vi sentite pronta?» «No...» rispose Ash che in quel momento aveva capito cosa le stava succedendo. Geraint ab Morgan la fissava sempre più dubbioso. «Madonna» disse Angelotti «quando ero un artigliere al servizio di Cilderico ho dovuto uccidere dei Cristiani e quando sono passato al servizio della Cristianità in principio avevo qualche difficoltà a combattere contro i Visigoti tra i quali potevano esserci delle persone che conoscevo.» «Merda, merda, hai ragione.» Ash allargò le mani rivolgendosi all'artigliere. «Angeli, io non ho mai... questa è la prima volta che devo attaccare un posto dove conosco alcuni dei difensori...» Ho vissuto in mezzo a loro, pensò. «Io ho...» aggiunse, non senza una certa difficoltà «io ho dei consanguinei in quella casa.» «Consanguinei?» L'espressione di Angelotti aveva perso la sua calma bizantina. «Va bene, sono degli schiavi» spiegò Ash. «Ma, in un certo senso, sono miei parenti e io non ne ho mai avuti.» Si guardò intorno: Dickon de Vere era eccitato all'idea di andare in battaglia, il fratello più vecchio la fissava calmo, Geraint spostava nervosamente il peso da un piede all'altro grattandosi il cavallo dei pantaloni, Angelotti era completamente spiazzato. Violante. Leovigild. Anche Alderico, gli altri arif e quei diavoli di ratti, pensò Ash. Se sono dentro e non sono stati uccisi dal terremoto...? Se sono vivi e io ordino di attaccare li avrò sulla coscienza per tutta la vita. «Non ho mai avuto una famiglia» si giustificò Ash. «La zona è pulita» urlò Carracci dal fondo del vicolo. «Non c'è nessuno nel raggio di tre strade da noi! Spostati capo e facciamo saltare tutto!» Gli uomini erano ansiosi di attaccare prima che cessasse l'effetto sorpresa e il coraggio cominciasse a mancare. «Facciamolo in fretta!» disse Dickon de Vere, rivolgendosi al fratello. «Se qualcuno dal tetto vede quella pila di barili e vi butta sopra un torcia siamo tutti morti.»
Allontanarsi dal muro, rinforzare il perimetro, non permettere a nessuno di avvicinarsi a questa parte del promontorio, aprire la casa... Non era la sua voce a suggerirle la strategia, ma le sue sensazioni e i suoi pensieri: pragmatici, automatici, quasi Ash stessa fosse diventata una macchina. Si tratta solo del mio lavoro, non sono io, pensò. «Al mio segnale!» urlò Ash rivolgendosi ad Angelotti, dopodiché si girò verso Geraint, John e Dickon de Vere. Dall'espressione dei loro volti e dal modo in cui stringevano le armi si capiva benissimo che scalpitavano all'idea di entrare in azione «Ascoltatemi!» urlò. «Ascoltatemi...» Forse sono in ritardo, pensò. «... Stiamo per entrare. I miei ordini sono: non toccate gli schiavi. Risparmiateli! Hanno i capelli bianchi e portano dei collari di metallo. Uccidete solo i soldati. Non toccate i civili!» John de Vere approvò con un cenno del capo, quella era una vecchia abitudine tra gli Inglesi. Era un genere di ordine che a volte era rispettato. I suoi uomini stavano per uccidere altri uomini, erano pronti ad ascoltare qualunque suo ordine che li avrebbe aiutati a uscire sani e salvi, ma per il resto... La polvere da sparo, invece, non aveva mai ascoltato nessuno. Specialmente quando dei barili pieni di quella sostanza erano ammassati contro un muro per distruggerlo e fare a pezzi chiunque si trovasse dietro. Non posso dire di essere stata intrappolata dalla situazione, pensò Ash. Anche se in questo momento mi sento come se stessi per essere tritata dalla ruota di un mulino, sono sempre stata io a decidere. «Fai saltare quel muro, Angelotti!» Carracci fece eco all'ordine e un secondo dopo lui e Antonio Angelotti tornarono indietro dal vicolo come se avessero il diavolo alle calcagna. Ash li seguì, girò un paio di angoli e si tuffò in mezzo alla lancia di Euen Huw. Gli uomini del Gallese avevano delle espressioni selvagge dipinte sui volti e non potevano più aspettare il momento dell'attacco. BOOM! Più che sentire il frastuono Ash avvertì la vibrazione perché l'esplosione di sessanta barili l'aveva assordata un attimo dopo il suo inizio. La strada ondeggiò, un movimento rotatorio davanti agli occhi di Ash le fece capire che un palazzo stava crollando. L'esplosione aveva portato a compimento l'opera iniziata dal terremoto. La nuvola di polvere la fece tossire. Angelot-
ti le diede delle pacche sulla schiena. Una lingua di fuoco si sollevò dal terreno e, simile a un fulmine al contrario, lambì il cielo. Qualcuno lanciò un urlo straziante. John de Vere aprì e chiuse la bocca, ma Ash non sentì nulla, si girò e urlò: «Avanti, bastardi!» Non riusciva neanche a sentirsi, alzò la spada, indicò la casa e cominciò a correre seguita dai suoi uomini. La testa le risuonava come un campanile e le orecchie le fischiavano dolorosamente. Corse in mezzo a una nuvola di polvere e detriti verso la casa di Leofric, ma era come muoversi nel nulla. Tutto era avvolto dalla polvere. «Lanterne! Torce!» urlò, senza sapere se qualcuno l'avrebbe udita. La luce delle torce e quella delle fiamme sul bordo del foro di fronte a loro, illuminò la scena. Gli uomini la superarono e lei li incitò con sonore pacche sulla schiena. Geraint e Angelotti erano al suo fianco urlando gli ordini ai loro uomini. Oxford e suo fratello guidarono i ronconieri verso il muro urlando con i volti contratti dalla furia, ma Ash osservò quelle bocche spalancate avvolta nel silenzio in cui erano soliti vivere i sordi. La nuvola di polvere cominciò a diradarsi. Ash li raggiunse e alzò una mano per fermarli. I soldati si arrestarono bruscamente spingendola avanti. Le case sui due lati della strada erano scomparse come se qualcosa le avesse distrutte a morsi. La maggior parte del selciato era sparito e al posto dei barili c'era un cratere. Davanti ad Ash uno spazio libero. Avevano aperto una breccia nei muri della Cittadella. I grossi blocchi di basalto erano scomparsi o ondeggiavano nell'oscurità. Ash vide il mare: la strada verso casa. La casa di Leofric stava bruciando. Una parte del vicolo era ridotto a un cumulo di macerie, travi di legno, mobili distrutti, uomini vestiti di bianco coperti di sangue che urlavano, una donna con il collare con le interiora riversate sulla gonna e un mosaico distrutto che rappresentava l'Albero e il Cinghiale. «Occupate il piano terra! Sgomberate le finestre dai nemici!» urlò Ash. Carracci annuì e si affrettò a eseguire. Ash stava cominciando a riguadagnare l'udito. «Siamo dentro» disse Carracci. «Gli arcieri di Geraint presidiano le finestre sul cortile insieme agli archibugieri!»
«Thomas Rochester! Tieni il perimetro! Io entro!» Quello era il momento in cui un soldato non si sentiva più impacciato dall'armatura e il corpo, spinto dall'esaltazione della battaglia, poteva fare di tutto. Euen Huw e la sua lancia si strinsero intorno a lei per proteggerla. Thomas Morgan inclinò in avanti la bandiera del Leone Azzurro e prese ad avanzare sulla scia dei suoi compagni che stavano superando i resti ancora caldi del muro per entrare nella grossa stanza. I pavesi erano stati alzati contro le finestre. Geraint ab Morgan camminava su e giù dietro le file di arcieri e archibugieri, mentre John de Vere era impegnato in un combattimento insieme ad altri soldati. Ash si guardò intorno e vide più di una dozzina di soldati visigoti distesi al suolo, de Vere che ne infilzava uno e Carracci che spaccava l'elmo di un nazir con un colpo di roncone facendolo crollare al suolo con il cranio sfondato. Niente prigionieri. Un altro nazir giaceva ai piedi di Ash con la bocca piena di sangue. Doveva essere morto o svenuto. Per la prima volta nella sua vita, Ash si scoprì a guardare se per caso il nemico era un volto conosciuto. No, non lo era. Le orecchie le dolevano. Il conte di Oxford urlò qualcosa alzando un braccio e un'unità di due dozzine di uomini si affrettò ad attraversare la sala prendendo posizione ai due lati della porta. «Le scale sono dietro quella porta!» urlò Ash affiancandosi a de Vere. «Dov'è il mastro artigliere?» «Angelotti!» L'artigliere italiano li raggiunse correndo seguito dai suoi uomini. Ash fissò la caverna di pietra con il pavimento reso scivoloso da uno strato di sangue ed escrementi che un tempo era stata una stanza. «Granate!» «Arrivano!» «Allontanatevi dalla porta!» urlò Ash fissando una lastra di pietra che scivolava su delle guide metalliche. Reggerà all'esplosione, pensò. «Sbrigatevi!» Una dozzina di artiglieri ammassarono le granate contro la porta, mentre de Vere incitava i ronconieri a ripararsi dietro lo schermo di pietra. Una dozzina di balestrieri copriva l'entrata. Ash vide una mano che si poggiava sul piastrone e la spingeva indietro. Una salva di quadrelli volò fuori dalla porta aperta. Ash abbassò la testa automaticamente sghignazzando in direzione di Euen Huw. I balestrieri
nemici dovevano essere sul pianerottolo del piano inferiore. Un messaggero di Geraint la raggiunse nel momento stesso in cui Dickon de Vere si gettò a terra vicino a lei. «Il cortile è libero!» la informò il messaggero. Ash diede un'occhiata: polvere, macerie e, oltre la finestra, vicini alla fontana, i corpi di due o tre nemici. Una freccia si piantò nel telaio della finestra sollevando una piccola nuvola di polvere. Un nazir impartiva degli ordini urlando di dolore al tempo stesso dall'altra parte del cortile. «Continuate così! Non sprecate i quadrelli! Dobbiamo anche uscire. Dickon?» «La porta sull'altro lato delle scale è aperta e ci stanno tirando addosso dall'altro lato della stanza!» «Niente di grave» disse Ash con un sorriso tanto incurante da risultare agghiacciante, la voce roca, le orecchie che le fischiavano e il volto gelato dal vento che penetrava nella sala dal varco un tempo colmato dal muro di cinta. «Una cazzo di sottigliezza, buttate le granate e chiudete quella fottuta porta!» Angelotti gridò degli ordini, i suoi uomini accesero le micce e le fecero rotolare sul pavimento e giù per la scala. De Vere e i suoi uomini si appoggiarono alla porta di pietra e spinsero. Il pannello scivolò stridendo sulle guide di metallo. La porta si chiuse solo parzialmente. «Giù!» urlò Ash a squarciagola, mentre si appiattiva sullo strato di sporcizia appiccicosa. Boom! La prima esplosione la sollevò leggermente dal pavimento. Qualche secondo dopo ne seguirono altre due. Euen Huw le cadde addosso quasi soffocandola. Un attimo dopo Ash era in piedi con il Gallese al suo fianco. I soldati si alzarono barcollando, gli arcieri tornarono alle finestre imprecando, John de Vere e le tre lance al suo seguito erano già in piedi pronti all'azione. Un uomo urlava. Floria lo stava bendando. Il medico era concentrato sul suo lavoro incurante del caos che lo circondava. Ash corse verso la porta. «STRONZA!» le urlò Euen Huw. «Qualcuno doveva pur farlo!» Ash superò la porta ridendo dietro la ventaglia dell'elmo. Sentiva l'adrenalina che le scorreva nelle vene. Raggiunse il pianerottolo rotondo illuminato dalla luce che proveniva dalla stanza sull'altro lato e vide un uomo
che si avventava contro di lei. Ash si accorse solo di un elmo a punta, dell'usbergo, degli abiti fluenti e della spada che veniva sollevata. Aveva cominciato a muoversi prima ancora di comprendere che stava affrontando un nemico. Afferrò la spada con entrambe le mani, l'alzò sopra la testa e la calò sul braccio levato del Visigoto. La lama della spada non si abbatté sulla maglia di anelli metallici perché sarebbe rimbalzata via, ma si infilò sotto il braccio. L'impatto fu così violento che Ash arretrò leggermente. «Ahhh!» un urlo penetrante sfuggì dalle labbra del soldato: dolore? Rabbia? C'era qualcuno con lui? Alle sue spalle? Ash calò più volte la spada incurante delle mani intorpidite, senza esitare tra un fendente e l'altro. Colpì più volte nel punto in cui l'elmo si congiungeva alla spalla quasi recisa. Continuò a colpire... ... ancora, ancora, grugnendo in maniera incontrollata. Abbatté l'avversario servendosi della rabbia e della velocità. L'uomo cadde a terra molto prima che lei smettesse di colpire, pronta ad accogliere un altro nemico. Nessuno. Il piastrone di Ash era venato da rivoli di sangue. Il bordo inferiore le premeva dolorosamente l'osso dell'anca. La stanza dall'altro capo del pianerottolo era silenziosa. Ash era tesa come un gatto... Thomas Morgan inciampò contro di lei e gridò: «Il Leone!» Euen Huw, alla testa della sua lancia, cercò di spingerla da parte, ma entrambi finirono contro la parete e furono oggetto delle risate roche degli arcieri. Niente e nessuno si muoveva... La stanza era vuota, il pianerottolo sgombro e nessuno correva su per le scale... I muri anneriti erano macchiati di sangue fresco. Ash si fermò con un ghigno ferale sulle labbra. L'odore della carne bruciata la prese allo stomaco. Una squadra stava salendo le scale nel preciso istante in cui avevano lanciato le granate. Ash vide un braccio ai suoi piedi. L'arto sanguinava dal punto in cui era stato connesso alla spalla. La mano stringeva ancora la spada. In mezzo alla rampa di scale c'era un cumulo di corpi. Come spesso
succedeva in quei casi sembrava che i cadaveri fossero stati spruzzati con della calce o della vernice rossa. Le armi pendevano inerti dalle mani, ma, le braccia non potevano assumere quegli angoli e le gambe non si piegavano sotto il corpo in maniera tanto strana. Ash riconobbe il volto del nazir Teodiberto e a quel punto si rese conto che non serviva più controllare l'identità degli altri uomini. Sembravano tutti uguali. Gaiserico, Barbas e Gaina, ragazzi poco più vecchi di lei. I loro volti erano riconoscibili anche se l'elmo di Gaiserico era volato via con l'esplosione strappandogli gran parte del viso. La luce delle torce si rifletteva nell'occhio spalancato di Barbas. Le lance di Euen, Rochester, Ned Mowlett e Henri de Treville la raggiunsero. Una felicità piena, vendicativa e amorale pervase Ash che urlò: «Libero!» Venne immediatamente circondata dalla sua scorta, mentre gli altri uomini facevano irruzione nella stanza. Il Visigoto che Ash aveva ucciso venne trascinato contro una parete. Cercò di scorgere il suo volto. Ricordava molti degli uomini al servizio di Leofric. Questo era irriconoscibile, un ciuffo di capelli castano chiaro spuntava da sotto l'elmo ricadendo sul viso sfigurato e irriconoscibile a causa di un paio di fendenti. Ash ricordava quasi tutti i volti delle persone che aveva ucciso negli ultimi cinque anni. «Bloccate le porte!» urlò Ash. «Imbottigliateli! Non perdete tempo, ragazzi! Non è necessario ucciderli! Prendete le scale!» Ash arretrò di un paio di passi per far passare i suoi uomini, dopodiché vide solo una massa di schiene corazzate e armi, spade e mazze sollevate sopra le teste. In uno spazio così angusto era impossibile usare le alabarde. Ash arretrò ulteriormente, ansimando e si trovò al fianco di John de Vere che stava impartendo degli ordini a un messaggero proveniente dal perimetro. «C'è una schermaglia in corso al cancello, signora» la informò, Ash non poteva leggere le labbra perché il nobile aveva la bocca nascosta dalla gorgiera e dovette sollevare parzialmente l'elmo. «Quale cancello?» «Quello della Cittadella! Sono degli uomini della guardia personale dell'amir. Più di cinquanta.» «Possiamo ancora scappare da quella parte?»
«Stiamo resistendo!» È più facile difendere che attaccare, pensò Ash. I cancelli reggeranno. Sempre che gli uomini non si scoraggino. Altre esplosioni fecero tremare il palazzo echeggiando lungo la tromba delle scale. Stavano conquistando un altro piano. Ash si girò seguita dagli uomini di Euen. L'asta della bandiera raschiò contro il soffitto e Thomas Morgan imprecò a bassa voce. «Gli altri comandanti stiano fermi! Non carichino su e giù a testa bassa per il campo di battaglia!» «Seguitemi!» Ash attraversò la porta e udì il suono di altre esplosioni. I suoi uomini avevano conquistato il piano sottostante. Angelotti urlò degli ordini e i suoi uomini bloccarono le porte con dei grossi pezzi di trave. «Ben fatto!» Ash diede una pacca sulla spalla del mastro artigliere. «Continuate così! Seguite fino in basso!» «Certo, madonna! Il botto... bellissima!» Ash scavalcò le gambe bruciate di Teodiberto. La sua scorta calpestò deliberatamente il corpo finché Euen Huw non lo spinse da parte con un calcio. Bellissima, pensò Ash fissando gli occhi del nazir morto. Già, sono anche la bellissima. Bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati141 , come era solito dire Godfrey. Ash ci impiegò qualche istante a raggiungere il piano sottostante a causa dei soldati che si assiepavano sulle scale e dei messaggeri che correvano da lei per riferirle l'andamento della battaglia. Due dei suoi uomini giacevano a terra sulla soglia di una porta con delle vistose ferite al volto e allo stomaco. Erano Katherina, la compagnia di lancia di Ludmilla e Jean il Bretone. Ash si inginocchiò. Jean si muoveva lamentandosi. Katherina aprì gli occhi e mosse una mano per toccarsi la pancia indicando la ferita. «Portateli sopra! Muovetevi!» Ash si allontanò e quattro uomini si staccarono dalla sua scorta per portare via i feriti. La squadra che Angelotti aveva destinato a bloccare le porte la superò incurante della sicurezza e si mise all'opera affiancata dai soldati che colpivano le braccia e le gambe che spuntavano da dietro le porte. Una salva di quadrelli volò nelle stanze e le porte di pietra vennero chiuse. Ash scivolò due volte sui bordi sbeccati dei gradini, ma i suoi uomini fu141
Cantico di Salomone 6: 10.
rono sempre pronti a prenderla e rimetterla in piedi. Stai contando i piani, Ash? si chiese. Quattro? Esatto. Siamo quattro piani sotto. Merda, è fin troppo facile. Anche se non avessero concentrato tutte le loro forze in questo punto. Non stiamo quasi incontrando resistenza. Dove sono gli uomini di Alderico...? Un folata di aria calda le lambì il volto. Calda come il fuoco. «Fermi!» Batté la mano sul piastrone di Euen per fermarlo, quindi sollevò la ventaglia dell'elmo per ascoltare. Uno scricchiolio le solleticò le orecchie e Ash si fermò fissando Euen con un'occhiata interrogativa. Boom! Delle urla si levarono sotto di lei. Il suono rimbalzò contro le pareti della scalinata e sopra di esso il ruggito cupo del fuoco e lo scricchiolio sinistro del legno che si spezzava. «Merda!» Ash afferrò l'elsa della spada e corse giù per le scale. «Fermati, capo!» Ash scivolò, appoggiò una mano raschiandola contro il muro per cercare di rimanere in piedi, ma atterrò con il sedere sul gradino oltre il quale non si vedeva più nulla. «Carracci?» urlò Ash. Oltre il bordo del gradino c'era un muro d'oscurità. Ash si alzò e camminò lungo il bordo incurante della porta alle sue spalle. Sentì la sua scorta che si avvicinava, ma la ignorò deliberatamente perché di fronte a lei c'era solo il vuoto, il nulla più assoluto. La scala terminava sul gradino in cui si trovava. Stava fissando un pozzo illuminato dalle fiamme. L'aria calda saliva dal fondo del baratro. Ash si mise una mano sulla bocca e si sporse a guardare. «Merda» imprecò Euen Huw. «Pietà di cristo!» Il pozzo era profondo una decina di metri. Sul fondo si vedeva una massa di corde, assi, e travi di legno in fiamme sulle quali spiccavano i corpi degli uomini che urlavano e si agitavano. «Portate le corde! E le scale! Dobbiamo scendere là sotto! SBRIGATEVI!» Euen Huw si girò e corse su per le scale. Ash rimase immobile a fissare i suoi uomini che erano caduti dritti sui
resti delle scale. Le hanno fatte crollare apposta. Le scale di questi ultimi due piani non erano di pietra, ma di legno, pensò Ash. Si inginocchiò e toccò la parete nel punto in cui si univa al gradino trovando, come si era aspettata, il foro che aveva ospitato la travatura della scalinata. Una scala che può essere fatta crollare in caso d'attacco, pensò. Il suono delle urla e del fuoco echeggiava dal fondo del pozzo. «Una trappola» disse Ash rendendosi conto di essere stata raggiunta da John de Vere che osservò la scena con un'espressione inintelligibile. Ash si fece da parte per far passare gli uomini con le scale. «Ecco dove si sono asserragliati Alderico e gli altri soldati di Leofric.» «Hanno fatto crollare le scale con sopra i nostri uomini» disse John de Vere inginocchiandosi goffamente, impacciato nei movimenti a causa dell'armatura. «E adesso avranno barricato ogni porta. Ci vorrà molta polvere per farle saltare.» «Più di quella che abbiamo» disse Angelotti con gli occhi umidi. «Merda!» imprecò Ash battendo un pugno contro la parete. «Merda! Merda!» «Fate largo!» ordinò una voce roca. Ash si fece di nuovo da parte per far passare Floria che non la degnò di uno sguardo e si limitò a ordinare a Richard Faversham e agli uomini di una lancia di aiutarla a trasportare due corpi. Carracci era uno dei due. Aveva perso l'elmo e urlava. Il volto solitamente colorito e i capelli biondi erano diventati una maschera nera. «Cristo Santo» ripeté Ash, con voce tremante, quindi si alzò e andò nuovamente sul limitare del baratro per osservare gli uomini che penzolavano nel vuoto per cercare di raggiungere i corpi dei compagni. Una folata d'aria caldissima la investì in pieno volto. «Tirate su le scale!» «Capo...?» «Ho detto di tirare su le scale! Adesso!» Nel momento stesso in cui tirarono su l'ultimo uomo le fiamme gli lambirono i piedi. Un fumo nero pervase la tromba delle scale. Ash cominciò a spingere indietro i suoi uomini tossendo e lacrimando, aiutata da John de Vere che afferrava i soldati incitandoli a salire, Euen Huw e Thomas Rochester con lo stendardo. Salirono un piano dopo l'altro
avvolti dall'aria che diventava sempre più calda e piena di fuliggine e si fermarono solo quando raggiunsero il piano terra. «Hanno dei pozzi d'aria!» spiegò Ash, tossendo. «Pozzi d'aria! Possono trasformare tutta la tromba in un gigantesco camino!» Qualcuno le passò una fiasca di cuoio. Ash diede una sorsata, si fermò per tossire e bevve di nuovo. Aveva la bocca che sapeva di bile. Ingollò un'altra sorsata. «Tutto a posto, capo?» le domandò Euen Huw. Ash annuì vigorosamente. I mercenari presenti nel locale cominciarono a concentrarsi su di loro. «L'hanno trasformato in un camino» urlò Ash rivolgendosi a John de Vere. «Non abbiamo avuto tempo di aspettare che il fuoco si spegnesse, perché là sotto c'è troppo legno!» «Il calore farà crollare la scala? Non brucerà anche le loro porte?» «No, mio signore» disse Angelotti togliendosi l'elmo «Mai e poi mai con dei muri così spessi. Tutto questo posto è stato scavato nella roccia del promontorio.» «Possono ritirarsi fino alle stanze più lontane» urlò Ash. «Possono stare là dentro» continuò in un tono di voce normale, rendendosi conto che stava ricominciando a sentire «finché il fuoco non si è spento. Scommetto che hanno scale e provviste con loro. Dovevano aver previsto l'eventualità di un attacco. Merda, anch'io avrei dovuto prevedere una trappola! Geraint! Angelotti! Quanti uomini abbiamo perso?» «Dieci» rispose l'artigliere italiano, torvo. «Nove. Se Carracci ce la fa.» Le finestre che davano sul cortile erano ancora oscurate dai pavesi, dietro i quali i balestrieri, che cominciavano a stropicciarsi gli occhi a causa del fumo proveniente dalla tromba delle scale, avevano smesso di scherzare. Un vento freddo spazzava la stanza. Floria e Richard Faversham erano inginocchiati in mezzo al pavimento a fianco di Carracci. «Allora?» le domandò Ash, dopo averla raggiunta. «È vivo» rispose la donna, agitando una mano sul volto del ferito. Carracci si mosse ed emise un lamento. Ash vide che la vampata di fuoco aveva bruciato le palpebre dell'uomo. «È cieco» disse Floria. «La zona pelvica è fratturata, ma è probabile che sopravviva.» «Merda.» «Questo sarebbe il momento adatto per uno dei miracoli di cui parla tanto Godfrey» disse Floria, alzandosi in piedi e strofinandosi le mani sul
farsetto. «Cosa succede? Ash? Godfrey è qua a Cartagine? L'hai visto?» «È morto nel terremoto.» Ash si girò per parlare con Antonio Angelotti. «Vediamo cosa riusciamo a fare con la polvere rimasta. Vedi se puoi far scoppiare il fondo del pozzo. Non rischiare degli uomini.» «Non abbiamo più polvere!» «Mandarla a prendere ai cancelli?» «Non ce ne sarebbe abbastanza neanche se gliela prendessimo tutta. Ho utilizzato gran parte delle scorte per sfondare il muro!» I due si scambiarono una rapida occhiata. Ash scrollò le spalle imitata un attimo dopo dall'artigliere. «A volte la Ruota gira in questo senso, madonna.» Una calma innaturale calò per qualche attimo nella stanza. Ash aveva gli occhi che lacrimavano irritati dal fumo che stava riempiendo la stanza. Scosse lentamente la testa. «Non serve a nulla cercare di prendere un altro quadrante, mio signore. Non abbiamo abbastanza esplosivo per cercare di scavare una connessione. Ci hanno fottuti.» De Vere imprecò sonoramente. «Non possiamo fallire proprio adesso!» «Fatemi pensare...» «Scendere in fondo al pozzo con le scale di corda e dopo? Cinquanta uomini in fondo a un tubo di pietra con davanti delle porte di pietra spesse un metro. Niente polvere da sparo. Cosa possiamo fare? Cominciare a scalfire la pietra con le daghe?» «Aspettate un attimo... quanto è profondo il pozzo? Euen, quali dei tuoi uomini è sceso con le scale?» «Simon...» Un ragazzo venne portato di fronte ad Ash. Euen gli mise una mano sulla spalla. Era un giovane magro, il fratello di Mark Tydder. «Sì, capo?» «Sei riuscito a vedere dov'erano le porte più basse, là sotto? Erano alla stessa altezza dell'ultimo piano del pozzo?» Il giovane che si trovava al centro delle attenzioni "del suo comandante di lancia, del condottiero in persona e del folle conte inglese arrossì fino all'attaccatura dei capelli. «No, capo. Tutte quelle porte erano sopra la mia testa. Le scale scendevano ancora più in basso rispetto l'ultimo piano.» Ash lanciò un'occhiata al conte di Oxford. «Violante mi disse che c'erano delle cisterne nella roccia che servivano come scorta... se fosse per me, io le distruggerei in modo da inondare la scala. Affogherei quelli là sotto
come dei... ratti.» «E dopo prosciugarlo?» domandò John de Vere aggrottando la fronte. «Questo promontorio è un nido d'api!» Che siano veramente al sesto piano inferiore? si chiese Ash. L'arif Alderico che ordina ai suoi uomini di distruggere la scale e dargli fuoco? L'amir Leofric che impartisce ordini con gli occhi lucidi nella stanza dove si trova la machina rei militaris? Fissò de Vere negli occhi e si rese conto che anche il nobile stava pensando la stessa cosa. «Signora, chiedete alla vostra voce» disse in tono secco de Vere, di fronte a tutti. «Ponete un quesito al Golem.» Ash si girò e fece cenno ai suoi uomini di allontanarsi. L'invito era esteso anche agli ufficiali che ubbidirono aggrottando la fronte. Rimasero solo lei e il conte di Oxford. «L'amir Leofric può sapere cosa sto chiedendo. Gli basta interrogare la macchina.» «Non può servirgli a molto conoscere le nostre intenzioni! Chiedete.» «C'è più di una macchina, mio signore» rispose Ash concisa, malgrado il boato delle fiamme nelle scale. «Più di una...» «Molte. Le ho sentite. Non si tratta del Golem di Pietra. Sono delle voci diverse. Parlano attraverso la macchina. La usano come un canale.» «Sangue di Dio!» John de Vere strabuzzò gli occhi. Allentò il gancio che chiudeva la gorgiera. «Un'altra macchina?» chiese in tono tranquillo. «Se i vostri uomini lo venissero a sapere non combatterebbero più, è solo la disperazione che li spinge a resistere! Lo fanno perché sanno che è di vitale importanza distruggere quella macchina malvagia. Se altri amir hanno dei Golem...» «No. Non sono simili al Golem di Pietra! Sono... diverse. Sanno molto di più. Loro... rispondono...» Ash si passò una mano sulla bocca. «Macchine Impazzite142 . Non sono controllabili, non sono dei marchingegni. Sono ferali. Oggi... le ho sentite... per la prima volta. Nel momento stesso in cui è iniziato il terremoto.» «Dèmoni?» «Potrebbero anche esserlo. Mi parlano attraverso la stessa parte della mia anima che usa il Golem.» «Tutto ciò cos'ha a che fare con la vostra voce e i consigli che potete 142
Il 'Fraxinus' parla di machinae ferae: 'wild machines'. Verso la fine del manoscritto divenne un nome proprio.
chiedere?» Ash si accorse che le tremavano le mani. Sporca, infreddolita, con l'adrenalina in calo, si rese conto che erano passate meno di due ore dal crollo del palazzo del califfo-re. «Possono sentire quando faccio una domanda al Golem di Pietra. Inoltre le Macchine Impazzite mi hanno parlato la prima volta nel momento stesso in cui la terra ha iniziato a tremare e la città è crollata, mio signore.» John de Vere la fissò in cagnesco. «Chiedete! Dobbiamo sapere.» «No, io c'ero quando è scoppiato il casino. Non voglio che i miei uomini corrano rischi inutili...!» «Mio signore! Venite! Presto!» urlò una voce fuori dalla casa. «Sto arrivando!» disse il conte di Oxford e si avviò verso la pila di macerie. «Prendete le grate, le porte, qualsiasi cosa.» Ash si girò verso Floria. «Voglio che i feriti vengano portati fuori quando andiamo via. Faversham, aiutala. Euen metti al lavoro anche i tuoi ragazzi!» «Ci ritiriamo?» Ash ignorò la domanda del comandante di lancia e si avvicinò con passo deciso al nobile inglese. Come faccio a domandare alla mia voce? Le altre voci hanno detto che la Borgogna... Refoli di fumo nero uscivano dal pozzo delle scale. «Geraint fa' ritirare gli arcieri e usali come copertura!» Uscì fuori dalla stanza e si mosse con cautela raggiungendo il punto in cui avevano attaccato le scale al muro della Cittadella. Il tabarro scarlatto e oro di Oxford spiccava nel buio illuminato dalle lanterne. Il nobile stava salendo in cima al muro. Ash corse fino alle scale. «Merda. Lo sapevo. Abbiamo perso il controllo di uno dei cancelli, giusto?» borbottò tra sé e sé, osservando de Vere che saliva. «Mi dica, in fondo sono solo il fottuto capitano della compagnia!» Mise da parte le elucubrazioni sulla natura della machina rei militaris e si concentrò sulla Borgogna. Raggiunto l'ultimo gradino si avvicinò al conte di Oxford. La Borgogna, pensò. Le voci insistevano sulla Borgogna. Mi hanno fatta sentire piccola come un pidocchio. No, non ci pensare. Non devi porre nessuna domanda. Il cielo di Cartagine era nero. Sebbene il suo corpo insistesse nel farle capire che dovevano essere prossimi all'alba, intorno a lei c'era solo oscuri-
tà. Ora poteva sentire le urla che giungevano dalla città e dal porto. Mentre uno dei suoi uomini l'aiutava a salire udì un suono simile a un soffio lontano o al vento che fischiava tra gli alberi e si rese conto che si trattava del fuoco. Le fiamme si erano propagate dal porto alla città. «Se ce ne andiamo adesso ce la caviamo tutti interi» affermò Ash con una certa enfasi, mentre si avvicinava a John de Vere e a suo fratello. «Se volete un mio consiglio: è giunto il momento di sparire. Non possiamo distruggere il Golem di Pietra in questo momento. È impossibile!» «Dopo uno sforzo simile?» Il conte di Oxford si batté un pugno sul palmo della mano. «Duecentocinquanta uomini attraverso il Mediterraneo per niente? Dio faccia marcire Leofric, sua figlia e il suo dannato Golem! Dobbiamo riprovare.» Ash fissò l'espressione frustrata dell'uomo. «Questa è la realtà» disse Ash. «I ragazzi là sotto hanno sentito cosa è successo. Sanno che non possono scendere dalle scale, figuriamoci raggiungere il sesto piano. Mio signore, in queste condizioni, contratto o non contratto, non moriranno per voi e se glielo chiedessi io, mi direbbero di andare a prendermelo in quel posto senza tanti complimenti.» Il morale è fluido come l'acqua e soggetto a cambiamenti repentini. Ash sapeva giudicare bene le situazioni. Aveva detto la verità nuda e cruda, ma si era anche creata delle scuse per la sua coscienza. Prima me ne vado di qua, meglio è! pensò. Qualunque cosa sia Cartagine... l'allevamento degli schiavi, i Golem di Pietra, le macchine tattiche, i parenti, non ne voglio sapere più nulla! Voglio solo fare il soldato. Il conte di Oxford inclinò lentamente la testa e guardò i danni prodotti alla Cittadella. Ash si unì a lui e dopo qualche secondo si rese conto che la parte di Cartagine maggiormente colpita dal terremoto andava dal palazzo del califfore alla Cittadella oltre il cancello sud. Da quel punto d'osservazione era tutto chiaro. I palazzi erano stati distrutti in linea retta in direzione sud. «Non possiamo lasciare tutto questo incompiuto» disse de Vere, cupo e prima che lei potesse replicare si girò a fissarla. La sua voce era priva di orgoglio. «Ho compiuto un'impresa che solo il più intrepido soldato di questa era avrebbe potuto fare: ho preso e tenuto questa casa, mentre cercavamo di distruggere il Golem di Pietra. Cartagine non è stata distrutta e dopo questo...» «Cartagine si chiuderà più del culo di un'anatra» terminò Ash, brusca.
Sputò a terra. Ai piedi del muro i suoi uomini stavano ritirandosi attraverso la breccia. «Non avremo mai più una possibilità simile» l'avverti Oxford. «Io non credo che il faris sia invincibile. Lasciamo che continui a servirsi del Golem! Prima o poi farà un errore...» Terminato di pronunciare quelle parole, Ash sentì la frustrazione ribollire in lei. «Merda! È vero, mio signore, non ci credo neanch'io. Lei continuerà diventando un secondo Alessandro, non fosse altro perché i suoi uomini pensano che lo sia. Non posso credere che siamo arrivati tanto vicino e abbiamo fallito! Non posso credere che non ci sia nulla da fare!» «Tuttavia in una cosa non abbiamo fallito, signora» disse lentamente John de Vere. «Ora sappiamo che c'è più di una macchina... e che non possono servire al faris. Ci sono altri generali? Se ci sono altre macchine a Cartagine...» «A Cartagine? Non so dove siano. Io le ho solo sentite.» Ash si toccò la tempia sotto la ventaglia, quindi strofinò le mani insieme per scaldarle sebbene indossasse dei guanti. Ora che l'esaltazione del combattimento la stava abbandonando cominciava a risentire il freddo. «Non so nulla delle Macchine Impazzite, mio signore! Non ho avuto molto tempo per pensare... è passata appena un'ora. Potrebbero essere qualsiasi cosa... dèmoni, dèi, il Nostro Signore, il nemico, il califfo-re! Tutto quello che so è che vogliono spazzare via la Borgogna. 'La Borgogna deve essere distrutta'... questa è la summa delle mie conoscenze.» Fissò il volto del nobile incorniciato dall'elmo e si concentrò sul suo sguardo, lo sguardo di un veterano di molte battaglie. «Può sembrare folle» disse Ash, secca «ma sto dicendo la verità.» I passi echeggiarono contro le mura. Erano Angelotti, Geraint ab Morgan e Floria del Guiz che zoppicava. I tre si acquattarono vicino a Oxford ansimando. «I Visigoti si stanno radunando dall'altro lato del cortile.» Geraint prese fiato. «Sono sicuro che vogliono tentare un attacco suicida. Giuro!» «No, merda! Di chi è stata l'idea?» Sicuramente non di Alderico, pensò Ash. C'erano ancora dei soldati negli altri quadranti della città, ma non potevano comunicare tra di loro, non sapevano cosa stavano facendo i Franchi. «Se tentano un attacco suicida verranno uccisi fino all'ultimo, ma si porterebbero alcuni dei nostri con loro.» «Ho venti feriti» disse secca Floria. «Li porto fuori.» Ash annuì. «È inutile aspettare un attacco... visto che ci stiamo ritirando,
vero mio signore?» «Sì. È quasi l'alba...» «L'alba?» Ash si girò per guardare il punto sul quale si stava concentrando lo sguardo del nobile. «Non ci può essere l'alba qua a Cartagine e non così a sud.» «Allora cos'è quella, signora?» «Non lo so.» Ash, Geraint, Angelotti e Floria corsero tenendosi bassi verso il versante del muro che dava a sud. Il vento gelido agitava i ciuffi di capelli che spuntavano da sotto gli elmi. Ash trattenne il respiro. Quello che al momento dell'irruzione nella casa di Leofric era stato un cielo buio e vuoto, ora non lo era più. A sud si vedeva un bagliore. È fuori dalla città, pensò Ash. Ed è troppo lontano per essere l'incendio. Non ci sono né fiamme né fumo. Gli uomini sugli spalti osservarono la luce che aumentava imprecando oscenamente. Molto a sud, lontano dalla cupola distrutta del palazzo reale, dalla Cittadella e dai cancelli dell'acquedotto. Il cielo era striato da festoni luminosi. Tende porpora, verdi, rosse e argento incombevano sul cielo buio. Gli uomini al suo fianco si inginocchiarono e Ash si rese conto che la vibrazione impercettibile che si propagava sotto i suoi piedi era sincronizzata con le fluttuazioni delle fasce luminose in cielo e con il battito del suo cuore. John de Vere si fece il segno della croce. «Miei coraggiosi amici, ora siamo nelle mani di Dio e combatteremo per Lui.» «Amen!» rispose un coro di voci. «Muoviamoci prima che i soldati nella casa di Leofric si accorgano che stiamo fissando il cielo a bocca aperta!» ordinò Ash. Uno dei soldati di Oxford li raggiunse di corsa. «Mio signore!» urlò. «Dovete andare via, mio signore! Hanno riconquistato il controllo del cancello! Gli amir stanno arrivando!» IV Ash e Oxford non ebbero bisogno di guardarsi. «Ufficiali a rapporto» urlò Ash, senza esitare. «Angelotti, Geraint; fuoco di copertura! Euen, Rochester; fateli muovere! Non fatevi incastrare. U-
sciamo dal cancello e ce ne andiamo. Non fatevi attirare nei combattimenti!» Una tremenda salva di palle d'archibugio e quadrelli spazzò il tetto della casa di Leofric. Ash si avvicinò ai muri della Cittadella per spronare i suoi uomini. Il frastuono era tale che rendeva quasi impossibile ascoltare gli ordini. Non si vedevano Visigoti nelle vicinanze, il fuoco di copertura faceva tenere loro la testa bassa. Ash incitava gli uomini nel mezzo di una folla composta da centocinquanta arcieri e ronconieri che scappavano dalla Cittadella, nel mezzo di un caos di soldati che spostavano pesi e trasportavano feriti, tutto sotto il cielo scintillante che incombeva su Cartagine. «Dio abbia pietà di noi!» borbottò Oxford tornando al cancello. «Tieni il cancello, Dickon! Cos'è quella? Un'arma?» Ash guardò a sud. Il vento gelido le faceva lacrimare gli occhi. Il deserto a sud della città, dove aveva cavalcato insieme a Fernando, Gelimero e l'arif Alderico. Le piramidi. Esse erano state erette tra la città e le montagne a sud. A quella distanza sembravano molto piccole e i contorni geometrici ondeggiavano come se lei stesse osservando da sott'acqua. Gigantesche superfici di pietra che spiccavano contro il buio innaturale del Crepuscolo Eterno. «Le tombe dei califfi...» mormorò. «Signora, non abbiamo tempo di guardarle!» Ash avanzò barcollando verso i cancelli accompagnata dalla sua scorta. Il fissare quelle luci le aveva fatto perdere l'abitudine al buio. Euen Huw fece rapporto. «La schermaglia ai cancelli della città è finita... tutto sgombro!» Cartagine, una città antica, il flagello dei Romani, ciò che restava di un impero che un tempo comprendeva tutta la Cristianità... ora era un inferno di fuoco, uomini e donne che correvano e urlavano, incendi nelle strade e al porto, sciacalli che saccheggiavano le rovine, i muggiti spaventati delle mucche, cavalli imbizzarriti, uomini che indossavano armature leggere e altri collari di ferro. Tutto ciò contribuiva a creare un fracasso assordante che rimbombava contro le mura della città. Raggiunti i cancelli della città incontrarono il volto pulito di Willem Verhaecht, l'uomo al quale era stato affidato il comando del drappello di cinquanta uomini che dovevano tenere gli acquedotti. Non erano stati neanche attaccati.
Gli acquedotti si stendevano sopra i tetti di Cartagine a un'altezza vertiginosa. «Via» ordinò velocemente Ash. «Sull'acquedotto. Lord Oxford vi porterà al campo che avete eretto prima di arrivare qua!» «Chiaro, signora.» Pronunciò un paio di ordini, le corde vennero calate in strada dal cancello e gli uomini cominciarono a venire issati in cima a quell'antica struttura di mattoni sotto la copertura degli arcieri, balestrieri e archibugieri. «Su! Veloci!» Ash aiutava gli uomini a salire. Il fodero della spada batteva contro il piastrone ogni volta che si muoveva. I bordi dell'armatura le tagliavano le mani, ma lei non vi prestò attenzione intenta com'era ad aiutare i compagni d'arme a raggiungere la cima dell'acquedotto per poi correre via con le armi in mano su un tappeto... sorpresa... di erba verde. Gli uomini si ammassavano alla scale e Ash li spronava. «Avanti! Avanti! Avanti!» Il rumore era alle sue spalle. «Mio signore, Oxford! Fate strada» disse Ash, brusca. «Voi la conoscete. Geraint! Angelotti! Occupatevi del centro. I comanderò la retroguardia.» Non c'era tempo di discutere e i soldati del Leone Azzurro avevano piena fiducia nel loro capitano. «I miei cannoni...» borbottò Angelotti mentre la superava. «Pesano troppo! Euen, tu e i tuoi uomini state indietro e aiutate i feriti. Angelotti, voglio due file di armi da lancio alle nostre spalle e due davanti. Non tirate a meno che non sia io stessa a ordinarlo: Geraint, vai avanti. Oxford! Fateli muovere!» Delle parole oscene pronunciate con un secco accento inglese dell'East Anglia echeggiarono nell'aria. Ash si soffermò un paio di secondi a osservare gli uomini che si riunivano intorno allo stendardo del Cinghiale Blu. Nel cielo cominciavano ad apparire le prime luci fioche delle stelle. Era di nuovo notte. «Arrivano!» urlò Geraint. Ash si sporse oltre il bordo e vide gli uomini della milizia visigota che arrivavano dalla direzione del porto. Impartì un ordine senza esitare, Thomas Morgan e lo stendardo cominciarono ad avanzare lungo l'acquedotto per poi sparire nell'oscurità a dieci metri dal terreno, sopra il deserto e il bestiario di pietra del califfo. La superficie dell'acquedotto era ricoperta da uno strato di muschi e licheni che la rendevano scivolosa.
«Correte!» li incitò Ash. «Correte come degli stronzi!» Il fiato le bruciava in gola e l'armatura che le avevano prestato la raschiava sotto le ascelle. Domani sarò piena di tagli e escoriazioni, pensò Ash. Sempre che ci sia un domani. Sì, ci sarà, concluse osservando la colonna di duecento uomini che scompariva nell'oscurità camminando sul cilindro di mattoni che portava acqua a Cartagine. Erano diretti verso il deserto, lontani dai tumulti che sconvolgevano la città e stavano distanziando gli inseguitori. Abbiamo lasciato il Golem di Pietra, pensò Ash. Via, sempre più dentro il silenzio. Abbiamo abbandonato Godfrey. Via, verso i veli di luce che brillavano sul deserto a sud. Cinque chilometri fuori dalla città incontrarono le scale che avrebbero permesso loro di scendere dall'acquedotto. Ash toccò terra continuando a pensare, pianificare e calcolare... facendo di tutto tranne che prestare attenzione alla luce argentea che illuminava la sabbia. «Ci sono alle calcagna! Muoviamoci!» L'unica cosa che poteva fare in quel momento era impartire ordini tenendo alzata la ventaglia dell'elmo in modo che tutti potessero vedere il loro comandante. Qualcuno borbottò delle proteste: niente di nuovo con uomini che avevano combattuto da poco. Gli altri... alcuni dei quali ancora stupefatti dalla sua ricomparsa... agivano con precisione brutale: raccoglievano le armi e facevano la conta dei componenti delle lance. Falli muovere, altrimenti cominceranno a lamentarsi delle perdite, si disse Ash mentre attraversava rapidamente il campo formato dai carri. Non dare loro il tempo di pensare. «Capo!» l'accolse Rickard. La voce del ragazzo era pervasa da una gioia immensa che si rifletteva sull'espressione del viso. «Prepara i carri e falli muovere! Non rallentiamo!» Richard Faversham la raggiunse. Il diacono indossava un'armatura di fattura italiana, aveva smesso di zoppicare e correva. «Muovetevi!» urlò Dickon de Vere. Ash raggiunse Floria e i feriti che venivano trasportati con barelle improvvisate. «Rallenta! C'è il rischio che perda i più gravi!» gridò Floria affinché la sua voce non fosse sommersa dal rumore del campo.
«Non possiamo... lasciarli. Non fanno prigionieri. Continua. Puoi farcela!» «Ash...» «Puoi farcela, Floria!» Ash rivolse quella frase in parte a Floria, che era quasi esausta, in parte agli uomini con il chirurgo, ma soprattutto a se stessa. Stavano portando con loro il corpo di Mark Tydder, ma non quello di Godfrey. La salma del prete giaceva in una fogna, priva di sepoltura. «Avanti!... Wuff!» Ash sbatté contro la schiena di Thomas Morgan che si fermò improvvisamente. Intorno a loro non c'era nulla eccettuato il campo, un quadrato di carri che stava per trasformasi in una colonna. Duecentocinquanta volti che lei conosceva bene. Nessun segno degli inseguitori. «Allora...» Floria si fermò al fianco di Ash lasciando che i suoi aiutanti la superassero. Si piegò in avanti ansimando vistosamente. «Mi hai sempre detto che un attacco può essere condotto da uno stronzo qualsiasi...» «... ma che ci vuole del cervello per uscirne interi!» Ash si girò e abbracciò la donna con entusiasmo. Floria sussultò quando sentì il bordo dell'armatura che raschiava contro di lei. «Puoi ringraziare de Vere. Ce la stiamo per fare...» Fece il segno della croce: «Deus vult.» «Ash... cosa sta succedendo?» Gli uomini le superavano di corsa. Angelotti camminava avanti e indietro alle spalle della fila di archibugieri. Ash fissò gli occhi esausti di Floria. «Stiamo cercando di raggiungere la spiaggia e le galee...» «No. Cos'è quello?» Le piramidi brillavano illuminate dalla luce argentea. Erano un po' più a sud di loro. Ash sentì il sudore che le si formava tra i seni e sotto le ascelle. Gli uomini si stavano facendo il segno della croce e recitavano delle preghiere al Cristo Verde e a santa Herlaine. «Non lo so... non lo so. Non possiamo fermarci per riflettere, adesso. Carica i feriti sui carri.» Alcuni dei feriti potevano camminare, altri dovevano essere trasportati. Ash li vide sfilare davanti a sé e ne contò circa venticinque, dopodiché se ne andò lasciando che Floria, infuriata e priva di spiegazioni, si dedicasse alla sua professione. «Fate la conta!» gridò Ash ad Angelotti e Geraint, mentre raggiungeva il conte di Oxford. Non c'era nessuna traccia degli inseguitori ed Euen Huw, che aveva il
compito di sorvegliare i dintorni del campo non le aveva fatto avere nessuna notizia, ma si trovavano nel centro dell'impero, vicini alle strade principali usate dalle carovane e a venti chilometri dalla spiaggia dove le galee veneziane forse li attendevano ancora. Ash fissò le costruzioni di pietra che si ergevano a poca distanza dal campo. Era stato in mezzo a quei mausolei, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi, che non era più riuscita a parlare con la sua voce. Ricordava ancora le migliaia di mattoni fatti con la sabbia rossa di Cartagine che componevano i lati di quelle costruzioni. In quel momento ebbe un'intuizione, troppo rapida per essere concretizzata in un pensiero o con delle parole: la certezza di essere nel giusto prima ancora di riuscire a razionalizzare il tutto. La sabbia rossa di Cartagine. Il modo in cui il Rabbi aveva costruito la machina rei militaris, il Golem di Pietra, la macchina pensante, il secondo modello che non aveva la forma di un uomo. «Queste» disse Ash, incurante delle urla, dei nitriti dei cavalli e dello scoppio distante di un archibugio. «Le altre voci sono le piramidi. Sono le voci che ho sentito durante il terremoto. Sono queste le Macchine Impazzite.» «Cosa?» domandò John de Vere. «Dove, signora?» Ash strinse i pugni ignorando il nobile e si mise a fissare l'orizzonte frastagliato. «Cristo Santo!» disse senza neanche rendersi conto di parlare ad alta voce. «È stato il Rabbi a costruirvi?» Una vibrazione molto bassa e impercettibile scosse il terreno cominciando a salire verso l'alto. Le voci nella sua mente rimbombarono più forte degli scoppi dei cannoni di Angelotti assordandola. «È LEI?» «LA PRESCELTA!» «QUELLA CHE ASCOLTA!» «Siamo seguiti, mio signore!» «Capitano Ash!» «È... LEI...» L'anima le vibrava come una campana. «NO. NON È LEI! È L'ALTRA, QUELLA NUOVA, QUELLA SCONOSCIUTA, NON È LA NOSTRA.» «NON È COLEI CHE ASCOLTA LA MACHINA REI MILITARIS.»
«NON È COLEI CHE ABBIAMO ALLEVATO...» «USANDO GLI SCHIAVI...» «... PARTORITA DAL SANGUE UMANO...» «... ALLEVATA PER DUECENTO ANNI...» «... IL NOSTRO GENERALE...» «NON È COLEI CHE SI MUOVE PER NOI, COMBATTE PER NOI, FA LA GUERRA PER NOI: NON È IL NOSTRO GUERRIERO...» «Il faris» disse Ash, rivolgendosi al conte di Oxford con voce tremante, a dispetto delle lacrime agli occhi e delle voci che la stavano assordando. «Dicono... che... sono state loro ad allevare il faris...» Il nobile inglese la stava tenendo per le braccia fissandola dritta in viso: il volto sporco del sangue di qualche nemico, aveva un'espressione corrucciata. «Non c'è tempo capitano! Ci sono addosso!» «Sono state le Macchine Impazzite... ad allevarla... ma come?» De Vere allungò un mano e fermò un suo aiutante di campo continuando però a fissare Ash. «Cosa succede, signora? Le state sentendo adesso? Sono... le altre macchine?» «Sì!» «Non capisco, signora. Sono solo un soldato.» «Stronzate» disse Ash sorridendo in maniera amichevole all'indirizzo del conte. Un attimo dopo il frastuono delle voci echeggiò nuovamente nella sua testa: «NON È LA NOSTRA!» «CHI È?» «CHI È, ALLORA?» «CHI?» «CHI?» «Chi siete voi?» urlò Ash, per essere sicura di farsi ascoltare, mentre cadeva in ginocchio tremando. L'armatura di metallo scricchiolò sulla sabbia del deserto. «Cosa volete? Chi vi ha costruite? Chi siete?» «EGLI CI DEFINÌ FERAE NATURA MACHINAE143 . E COSÌ SI RIVOLGEVA A NOI QUANDO CI PARLAVA...» Ash chiuse gli occhi. Sentì dei passi vicino a lei... il conte?... e qualcuno che la scuoteva violentemente per le spalle. Ignorò quello che stava acca143
Pessimo latino medievale: può essere interpretato 'macchine selvatiche allo stato brado'; 'macchine naturali' o 'meccanismi'; 'meccanismi naturali'.
dendo e si mise in ascolto come aveva fatto nel palazzo del califfo-re. Qualcosa nella sua mente formò un vuoto che doveva essere colmato... «Voglio sapere!» «Alzatevi, signora! Dovete dare gli ordini ai vostri uomini!» urlò John de Vere. Ash puntò in ginocchio a terra per sollevarsi e vide un rivolo di sangue che colava dal mento del nobile. Era stato colpito di striscio da una freccia. «Non me ne importa niente se questa è la fine del mondo» disse Ash. «Io voglio sapere con cosa condivido l'anima!» «Non adesso, signora!» le impose il conte. Thomas Rochester e Simon Tydder, entrambi bendati, la superarono portando la barella sulla quale era stato disteso Carracci. Ash si alzò e strinse i pugni. Si sentiva vittima di due urgenze. «Queste macchine non sono di nessuno. A chi potrebbero mai appartenere...?» si domandò Ash. «Leofric, il califfo-re, cosa importa!» rispose de Vere. «No. Sono troppo... grosse.» Ash resse il confronto con lo sguardo di John de Vere, quello di un uomo che in quel momento doveva impartire ordini, entrare in azione e prendere misure d'emergenza. «Sanno del faris. 'Colei che ascolta'. Il faris sa di essere una loro creatura? Sa delle Macchine Impazzite? Non ha mai parlato di 'Macchine Impazzite'.» «Dopo, signora!» sbottò il conte. «I vostri uomini hanno bisogno di voi!» Ash fissò il deserto squassato dal terremoto in direzione della città che si trovava a cinque o sei chilometri da quel punto. Il luogo nel quale erano morti Godfrey e il suo bambino. Ora che non riusciva ad avere un'opinione molto alta di se stessa i pensieri di vendetta non erano poi così facili. Non era più libera di essere un semplice soldato. Forse non lo era mai stata. «Mio signore... voi li avete fatti entrare, voi li portate fuori.» Strinse la mano e l'avambraccio del nobile sogghignando. «Alcune scelte non hanno un motivo plausibile! Portate via i miei uomini! o... «Ash...!» «Cartagine mi ha fatto fin troppo! Adesso basta. Voglio sapere prima di andare via...»
Una dozzina di piramidi si stagliavano contro il cielo buio e nella sua mente fece tutto quello che aveva già fatto, ma con più intensità. Si mise in ascolto, chiese. «... Adesso!» Il selciato della strada si sollevò colpendola al viso. In quel momento, prima che il canale di comunicazione si richiudesse dietro quello che era un impressionante muro di silenzio, non sentiva delle voci narranti, ma veniva investita violentemente da un flusso di concetti... Udì lo scricchiolio della ventaglia che assorbiva l'impatto e una fitta di dolore alle gambe, la sua mente venne spazzata via. «Bel momento per...» disse la voce roca di un uomo. «Tenetela con noi! Veloci, chiamate il chirurgo!» ... l'interezza delle Macchine Impazzite... Qualcuno le corse vicino. Piedi sporchi di sangue e polvere. ... una distesa di tempo così vasta... «Ronconieri, ritiratevi! Arcieri, copriteli!» ... non erano solo delle voci, era come se tutte le voci del mondo potessero essere compresse e rimpicciolite, era come radunare tutti gli angeli su una capocchia di spillo, tutto il Paradiso in quella porzione di terra. Godfrey! Se solo fossi qua ad aiutarmi, pensò Ash nei pochi barlumi di lucidità che le rimanevano. «Tenetela su, che Dio vi faccia marcire! Palle di Dio! Trasportatela!» ... le rose, la cruna dell'ago divenne il Paradiso ed era tutto là, nella sua mente, le Macchine Impazzite nella loro interezza... Tutte le voci si ridussero a una voce, tranquilla e poco più alta di quella del Golem di Pietra che aveva udito per quasi tutta la vita. Una voce la cui natura avrebbe indotto Godfrey e citare san Marco: mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti144 . Ash udì la voce dei dèmoni di pietra che le parlavano come un unico sussurro: «FERAE NATURA MACHINAE, COSÌ CI CHIAMÒ COLUI CHE CI PARLAVA... MACCHINE IMPAZZITE...» Quel sussurro provocò in Ash una strana vertigine. Era conscia del fatto che i suoi uomini la stavano trascinando. Se fosse riuscita a parlare avrebbe detto loro di metterla a terra, ma la presenza che sentiva nella sua mente le impediva di dire una parola. Fu colta da un singolo momento d'apprensione, come se tutti i suoi uomini fossero paralizzati intorno a lei, mentre la sua mente assorbiva la co144
Marco 5:9.
noscenza che aveva richiesto, una conoscenza che la investiva come una tempesta, una valanga, in un unico e lungo secondo nel quale parlavano delle voci troppo veloci per essere udite dall'animo umano. Un momento nella mente di Dio, pensò Ash. «... E SIAMO RIMASTE 'MACCHINE SELVAGGE'. NON CONOSCIAMO LE NOSTRE ORIGINI CHE SI PERDONO NEI NOSTRI RICORDI PIÙ PRIMITIVI. NOI SOSPETTIAMO CHE FURONO GLI UMANI A COSTRUIRE LE STRUTTURE RELIGIOSE DIECIMILA ANNI FA, FURONO LORO A... MISERO LE ROCCE IN ORDINE. COSTRUIRONO DEGLI EDIFICI CON UNA FORMA BEN DEFINITA DI MATTONI E PIETRE. STRUTTURE ABBASTANZA GRANDI DA ASSORBIRE LO SPIRITO DELLA FORZA VITALE DAL SOLE STESSO...» Ash ebbe l'impressione di sentire Godfrey che gridava all'eresia! Avrebbe pianto al suo ricordo, ma era intrappolata in quel momento di conoscenza. La sua domanda era implicita; parte di quella valanga. Era come se ciò che stava per chiedere fosse già stato domandato. «Cosa siete?» «... DA QUELLA STRUTTURA ORDINATA SI GENERÒ SPONTANEAMENTE UNA MENTE: LA PRIMA SCINTILLA DI FORZA COMINCIÒ A ORGANIZZARSI DIECIMILA ANNI FA. CINQUEMILA ANNI FA, QUESTE MENTI PRIMITIVE PRESERO COSCIENZA E DIVENNERO QUELLO CHE SIAMO ADESSO... MACCHINE IMPAZZITE. COMINCIAMMO A EVOLVERCI. SAPEVAMO DELL'ESISTENZA DEGLI UOMINI E DEGLI ANIMALI PERCHÉ AVEVAMO REGISTRATO LA PRESENZA DEI LORO DEBOLI ANIMI. MA NON POTEVAMO FARE NULLA. NON AVEVAMO SCELTA. NON POTEVAMO COMUNICARE, FINCHÉ NON ARRIVÒ IL PRIMO DI VOI...» «Chi vi chiamò ferae natura machinae, frate Bacone?» chiese Ash. «NON FU IL FRATE» sussurrò la voce. «MOLTO PRIMA DI LUI NACQUE UN ANIMO MOLTO FORTE, IL PRIMO CHE AVESSE MAI AVUTO LA CAPACITÀ DI COMUNICARE CON NOI IN DIECIMILA ANNI. NOI GLI PARLAMMO, CI RIVOLGEMMO A GUNDOBAD CHE SI FECE CHIAMARE 'PROFETA'. EGLI NON PERMISE MAI CHE VENISSIMO CHIAMATI DÈMONI, DIAVOLI O SPIRITI MALVAGI DELLA TERRA. EGLI NON AVREBBE PARLATO. LA SUA ANIMA ERA COSÌ FORTE CHE FECE UN MIRACOLO: ARROTOLÒ SU SE STESSO IL TESSUTO STESSO DEL MONDO METTENDO IL
DESERTO TRA NOI E IL GRANDE FIUME SULLE SPONDE DEL QUALE ERAVAMO STATE ERETTE, DOPODICHÉ ANDÒ IN UN POSTO DOVE NON POTEVAMO RAGGIUNGERLO.» «Roma... Gundobad, il profeta andò a Roma e morì...» «PASSARONO QUATTROCENTO ROTAZIONI DELLA TERRA INTORNO AL SOLE, PRIMA CHE UNA PICCOLA ANIMA SI AVVICINASSE A NOI CREANDO LE SUE MACCHINE CON L'OTTONE. PUR RIMANENDO DEBOLE ERA UN'ANIMA IN GRADO DI COMPIERE DEI MIRACOLI CHE ANDAVANO AL DI LÀ DELLE CAPACITÀ NATURALI DEGLI UOMINI. NOI GLI PARLAMMO ATTRAVERSO LA TESTA D'OTTONE CHE AVEVA CREATO.» «Egli la bruciò...» Nella retina di Ash erano rimaste impresse solo la vista del cielo buio e dei mattoni neri. «Il frate... distrusse la testa di Ottone... e bruciò i libri.» «DOVEMMO ASPETTARE CHE L'ANTENATO DI LEOFRIC PORTASSE IL RABBI PER TORNARE A COMUNICARE. CI ACCORGEMMO CHE QUELL'ANIMA ERA IN GRADO DI COMPIERE MIRACOLI NEL MOMENTO STESSO IN CUI SI AVVICINÒ A NOI. EGLI CI FECE CONOSCERE ANCHE ILDICO, SUA FIGLIA, QUINDICESIMA DISCENDENTE DI GUNDOBAD. ANIME FORTI, ANIME IN GRADO DI COMPIERE MIRACOLI... IL RABBI COSTRUÌ IL GOLEM. IL NOSTRO NUOVO CANALE CHE CI PERMETTEVA DI ENTRARE IN CONTATTO CON L'UMANITÀ. L'ESPERIENZA E IL TEMPO CI AVEVANO RESE PIÙ SAGGE E CI NASCONDEMMO DIETRO LA VOCE DEL PRIMO GOLEM, DANDO I NOSTRI SUGGERIMENTI TRAMITE LA SUA VOCE. IL RABBI, UN UOMO DEI MIRACOLI COME GUNDOBAD, COSTRUÌ IL SECONDO GOLEM DI PIETRA DAL CORPO DI ILDICO E GUNDOBAD...» Aveva già sentito la versione di quella storia quando aveva dovuto convincere Leofric che era in grado di parlare con la machina rei militaris. Ora stava parlando a dei giganteschi edifici di pietra che erano immobili, privi di mani che potessero manipolare il mondo, ma con dei pensieri e una voce... «La maledizione del Rabbi era rivolta a voi, non ai Visigoti!» «PICCOLA ANIMA, PICCOLA ANIMA...» Le voci sembravano divertite. «NON È UNA MALEDIZIONE. NOI ABBIAMO MANIPOLATO LA NOSTRA STESSA EVOLUZIONE, MANIPOLANDO LE ENERGIE
DEL MONDO DELLO SPIRITO. PER QUESTO TRAIAMO ENERGIA DALLA FONTE PIÙ GRANDE E PIÙ VICINA... IL SOLE.» Il cielo era sempre buio sulla sua testa. «LO FACCIAMO DA CINQUEMILA ANNI, DAL GIORNO IN CUI DIVENTAMMO COSCIENTI. AVEVAMO BISOGNO DI PIÙ POTERE PER IL GOLEM DEL RABBI QUINDI IL SOLE SOPRA CARTAGINE SEMBRÒ SPARIRE. NOI NASCONDEMMO SOLO UNA DELLE SUE COMPONENTI, LA LUCE ATTRAVERSO LA QUALE VOI AVVERTITE IL MONDO. IL CALORE ERA ANCORA PRESENTE. PER QUESTO MOTIVO I VOSTRI RACCOLTI SONO AVVIZZITI, MA IL GELO NON HA INVASO QUESTA TERRA. DUECENTO . ANNI FA QUESTA DIVENNE LA TERRA DEL CREPUSCOLO: LE STELLE DELLA NOTTE ERANO VISIBILI ANCHE DI GIORNO, MENTRE IL SOLE RIMANEVA INVISIBILE. LA MALEDIZIONE DI UN RABBINO!» Nella mente di Ash echeggiò qualcosa di simile a una risata demoniaca. La visione di un'esistenza nera e claustrofobica crebbe nella mente di Ash. Solo degli sprazzi infinitesimali di luce in un'oscurità infinita, come le scintille che balenavano da un fuoco da campo. Nella sua mente c'erano solo le macchine che parlavano insieme. E in seguito, dopo eoni più lunghi di quello che lei poteva concepire, uscì dall'oscurità... Il sussurro continuò: «NON PENSAVAMO A VOI PICCOLE ANIME... CHE ERAVATE INTORNO A NOI, COSÌ NACQUE UNA CIVILTÀ GUERRIERA CHE PRESE L'OSCURITÀ COME DATO DI FATTO. NON POTENDO COLTIVARE LE TERRE, ESSI ERANO SPINTI A ESPANDERE IL LORO IMPERO IN TERRE FERTILI E SOLEGGIATE... ERANO COSÌ UTILI AI NOSTRI SCOPI, PER I NOSTRI OBIETTIVI A LUNGO TERMINE! «NON ERA ANCORA ABBASTANZA. NASCONDEMMO LE NOSTRE VOCI DIETRO DEI CONSIGLI TATTICI MANIPOLANDO GLI UMANI E FACEMMO IN MODO CHE I PADRI DI LEOFRIC DESSERO INIZIO AL PROGRAMMA DI ALLEVAMENTO. «AVEVAMO FALLITO CON ILDICO E SUA FIGLIA. DOVEMMO ATTENDERE DUECENTO GIRI DEL SOLE PER CREARE UN NUOVO FAUTORE DI MIRACOLI AL QUALE POTESSIMO PARLARE, CHE POTESSIMO COMANDARE...» «Il faris! Il generale!» completò Ash. «UNA FIGLIA DI GUNDOBAD, ANCHE SE MOLTO ALLA LON-
TANA. LO STESSO GUNDOBAD CHE I VISIGOTI CHIAMANO 'SANTO'. LO STESSO GUNDUBAD DI CUI ABBIAMO USATO IL RICORDO.» «Per voi non è un santo, vero?» «MENO DI UN SANTO E UN PO' PIÙ DI UN FAUTORE DI MIRACOLI!» le voci erano tornate multiple e divertite. «UNA DI QUELLE RARISSIME ANIME, SIMILI A QUELLA DEL VOSTRO CRISTO VERDE, CHE AVEVA LA CAPACITÀ DI ALTERARE LA REALTÀ, QUINDI DI OPERARE 'MIRACOLI'.» «Blasfemi!» disse Ash. Se ne avesse avuto la possibilità avrebbe estratto la spada, avrebbe fatto il segno della croce e avrebbe combattuto nel nome del Signore. L'avrebbe fatto... se solo fosse riuscita a muoversi e a interrompere quel momento che sembrava infinito. «NECESSITÀ. NON POSSIAMO TOCCARE NULLA, CAMBIARE NULLA. SIAMO SOLO DELLE VOCI NELLA NOTTE IN GRADO DI PERCEPIRE LE VOSTRE PICCOLE ANIME. VOCI CHE PERSUADONO, CORROMPONO, ISPIRANO, INGANNANO, ADESCANO... PER SECOLI E SECOLI... FINO A QUESTO MOMENTO... «FINO A QUESTO MOMENTO, QUANDO IL SOLE VENNE OSCURATO E NOI FUMMO IN GRADO DI ASSORBIRE FORZA COME MAI ERA SUCCESSO IN DIECIMILA ANNI!» «L'invasione! La crociata...!» «FELIX CULPA, PICCOLA ANIMA. UNA COINCIDENZA FELICE, MA SOLO PER I NOSTRI SERVITORI INCOSAPEVOLI. SIAMO STATI NOI, TRAMITIE LEOFRIC E LA MACHINA REI MILITARIS, A INIZIARE QUESTA GUERRA, MA SONO GLI UOMINI CHE COMBATTONO PER NOSTRO CONTO. SOTTO IL NOSTRO COMANDO GLI UOMINI PORTERANNO MORTE E DISTRUZIONE NEI TERRITORI CHE VANNO DA QUA AL NORD. MA L'OSCURITÀ DEL SOLE... AH! CON QUELLA ABBIAMO MESSO ALLA PROVA LA NOSTRA CAPACITÀ DI TRARRE POTERE COME MAI PRIMA D'ALLORA. ABBIAMO AVUTO SUCCESSO.» Ash ricordava ancora bene il terrore che aveva provato quando il sole era scomparso e il cielo era diventato nero. Disse... o avrebbe detto: «Questa è una brutta guerra. Questa è...» dolore e ricordi ripiombarono contemporaneamente nella sua mente. «Questi sono i Giorni del Giudizio.» «SÌ, PER VOI È COSÌ.» «Perché?»
«NOI ABBIAMO FATTO IN MODO DI CREARE UN ALTRO FAUTORE DI MIRACOLI SIMILE A GUNDOBAD E ILDICO. UN INDIVIDUO IN GRADO DI CAMBIARE LA REALTÀ. UN FAUTORE DI PORTENTI. UNO CHE SIA SOTTO IL NOSTRO CONTROLLO. E ORA L'ABBIAMO! IL NOSTRO GENERALE, IL NOSTRO FARIS, IL NOSTRO FAUTORE DI MIRACOLI!...» «Perché?» «... E QUANDO LA USEREMO NON AVRÀ ALCUNA IMPORTANZA SE SARÀ CONSENZIENTE O NO. ABBIAMO FATTO IN MODO DI ELIMINARE LA SUA CAPACITÀ DI SCELTA. NON PUÒ SCEGLIERE. QUANDO SARÀ PRONTA, QUANDO SUCCEDERÀ, DOVREMO IMPIEGARE LA STESSA ENERGIA CHE ABBIAMO USATO PER OSCURARE IL SOLE PER ATTUARE IL CAMBIAMENTO DI REALTÀ.» «ABBIAMO ALLEVATO IL FARIS» dissero le voci in coro in tono trionfante «PER COMPIERE UN MIRACOLO OSCURO SIMILE A QUELLO CON IL QUALE GUNDOBAD SPAZZÒ VIA LA TERRA LASCIANDO SOLO DESOLAZIONE. NOI USEREMO LEI, IL NOSTRO GENERALE, IL NOSTRO FARIS, IL NOSTRO FAUTORE DI MIRACOLI... PER FAR SÌ CHE LA BORGOGNA DIVENTI CIÒ CHE NON È MAI STATA.» Borgogna, sempre la Borgogna, sempre e solo la fottuta Borgogna... «PERCHÉ?» urlò Ash. «Perché proprio la Borgogna? Vendetta? Gundobad non era Burgundo! Perché farlo adesso? Perché avevate bisogno di un'invasione! Non avevate bisogno di una guerra visto che siete in grado di cambiare il mondo! Io pensavo che Leofric stesse... che voi steste... allevando qualcuno in grado di ascoltare il Golem anche a distanza...» La risposta fu istantanea. «LO FACEMMO ANCHE PER QUEL MOTIVO, PER LA VOCE DEL GOLEM...» Le voci si ritiravano dalla sua mente e sentì uno schiocco che sembrò quasi riverberarsi sul fisico. «COSA HA IMPARATO DA NOI?» «COME PUÒ FARLO...?» «... ATTINGERE ALLA CONOSCENZA...?» «... ATTINGERLA DA NOI, SENZA IL NOSTRO VOLERE...?» Pensavano che io non fossi in grado di farlo! pensò Ash. Di solito accade perché sono loro a permetterlo!
«...PERICOLO!» «Non me ne importa niente se buttate questa stronza su un carro per il letame» disse Floria in tono acido. «Non avrebbe mai dovuto combattere nelle condizioni in cui si trovava. Mettetela su un carro. Veloci!» Il cielo nero ondeggiò sopra Ash. «Chi l'ha colpita?» «Nessuno, Euen; è crollata come un muro minato!» «Merda!» Da qualche parte c'era una folla di uomini che, aggrappati ai bordi del carro, combattevano. Il carro sobbalzava sotto di lei. Allungò una mano per toccare le sponde del carro e sentì delle vibrazioni nell'aria. Le voci tornarono a parlare nella sua mente escludendo ogni altra sensazione. «TU VERRAI DA NOI.» «VERRAI.» «Fanculo» disse Ash ad alta voce. «Non ho tempo adesso!» Riuscì a mettersi dritta sebbene i bordi delle ginocchiere le toccavano le caviglie e il piastrone le raschiava il collo e la schiena. Thomas Morgan la raggiunse e le porse una mano. Anche Euen Huw si unì a loro. «Capo, Geraint dice che dovremmo accendere le torce?» «No!» «Il capo dice che non se ne parla!» comunicò Euen. Nel frattempo Floria aveva spinto da parte il Gallese con una gomitata. Il tono di voce formale, non serviva a nascondere la preoccupazione nei suoi occhi. «Dovresti cavalcare!» «Dobbiamo continuare...» Ash si fermò a metà frase. Si girò e prese a camminare. Verso sud. Non c'era nulla di volontario nei suoi movimenti e per un momento rimase sorpresa dal modo in cui il suo corpo si dirigeva a sud, verso le pareti lisce delle piramidi, verso la luce delle Macchine Impazzite. «VERRAI DA NOI.» «TI ESAMINEREMO.» «E SCOPRIREMO...» «COSA SEI...» Ash provò a parlare, ma la sua bocca si mosse senza che uscisse una pa-
rola. Non era più padrona del suo corpo. Era pervasa da un tremito nella sua carne simile a quello del vomito: il corpo che si muoveva, il corpo che faceva quello che voleva... ...che era spinto a fare. «VIENI.» Non era una richiesta, ma un ordine e lei cadde preda del panico. Era ferita e dolorante, ma stava camminando nell'oscurità. Non c'era modo di fermarsi. «Boss?» la chiamò Euen Huw. «Prendila, Morgan!» Delle mani l'afferrarono: Floria del Guiz. Il corpo di Ash sapeva cosa fare e si preparò a dare un pugno in faccia al medico. «Indietro!» La voce era quella di un Gallese. Un attimo dopo sentì due botte violente sul piastrone della corazza e si accorse di essere inchiodata a terra dalle aste di due ronconi. In quella posizione non poteva usare la corazza come un'arma né poteva raggiungere la spada. «Devi stare attento, chirurgo» spiegò Euen in tono pedante. «Lei è abituata a uccidere.» Il Gallese si appoggiò all'asta del roncone con tutto il suo peso. «È una reazione dovuta alla pressione del combattimento, l'ho vista diverse volte. Andrà tutto a posto. Forse dovremmo trasportarla fino alle navi. Thomas potresti spostare il culo in modo che possa vedere la ragazza?» Euen Huw la fissò. «Tutto a posto, capo?» Ash sentiva di non essere in grado di rispondere. Respirava a fatica, le sembrava che il suo corpo avesse dimenticato come si faceva. Continuava a sentire le gambe che si muovevano, le sembrava di essere un animale moribondo. Le sue gambe cercavano di farla alzare e portarla verso le grandi piramidi dove le Macchine Impazzite ardevano sotto il cielo nero che loro stesse avevano creato. «Qualcuno la trasporti» disse Floria del Guiz «e toglietele quella maledetta spada!» Ash provava solo una grande confusione, il suo corpo si dibatteva del tutto fuori controllo, mentre la sollevavano. Gli uomini correvano orientandosi con le stelle e lei si dibatteva tra le loro braccia. La testa di Ash penzolava e l'elmo batteva contro qualcosa. Si morse più volte la lingua e sentì il sapore metallico del sangue che le pervadeva la bocca. Ora vedeva le Macchine Impazzite capovolte e i loro contorni dominavano il paesaggio a sud alle spalle degli uomini che si allontanavano a
passo sostenuto nell'oscurità. Una parte della sua mente le apparteneva ancora. Poteva ancora infliggere dei colpi mortali, ma non lo fece. Poteva usare quello che sapeva per colpire ai gomiti o alle ginocchia o al volto, ma non fece nulla di tutto ciò. Non sanno come si possa uccidere a mani nude, per questo non sto agendo, pensò Ash. Però potevano farmi camminare contro il mio volere, fare in modo che io andassi da loro. Era prigioniera della sua stessa carne. La mente le bruciava come sottoposta all'azione di una fiamma. Una forza che non si sarebbe sottomessa e che non avrebbe accettato compromessi, non importa quanto il suo corpo avesse cercato di ribellarsi. Improvvisamente ebbe l'impressione di essere tornata nella cella della casa di Leofric con il sangue che le colava lungo le cosce; sola, isolata e agonizzante. Non succederà di nuovo... si disse. Era anche in un altro punto: il punto a lei sconosciuto, dove lei era tenuta prigioniera incapace di reagire, dove erano penetrati in lei senza che potesse difendersi. Mai più...! Il tempo sembrò rallentare. Il tuono che echeggiava nella sua mente diminuì d'intensità. Ash alzò la testa. Si trovava in mezzo a due uomini che non riusciva a riconoscere a causa degli elmi. Le stelle erano piuttosto alte nel cielo: doveva essere passato il Mattino o il Capitolo. Un violento tremore le scosse il corpo. «Mettetela giù!» Riconobbe i due uomini che la stavano posando sulle pietre e i sassi. Udì il suono del mare e un vento freddo le carezzò il viso. Il mare. «Ehi, capo» disse Euen Huw scuotendole con cautela una spalla. «Abbiamo perso il lume della ragione per qualche secondo, eh?» «Mi colpirai di nuovo, capo?» domandò Morgan in tono lamentoso. «Non ti ho colpito. Se l'avessi fatto te ne saresti accorto!» Morgan sogghignò e appoggiò l'asta della bandiera contro la spalla, allungò una mano e si tolse l'elmo. Il sudore gli aveva appiattito i lunghi capelli rossi contro la testa. Si tolse un guanto e si passò la mano su una guancia. «Merda, capo! Ce l'abbiamo fatta.»
La voce di Richard Faversham che cantava le Lodi si alzava imperiosa nel mezzo dei duecento uomini. Se non fossero stati nelle terre del Crepuscolo Eterno dovevano essere le ore che precedevano l'alba. Delle lanterne erano state appese ai pali delle lance. Ash si spostò facendo perno su un gomito. Si sentiva esausta. «Stiamo aspettando le galee di cui mi ha parlato Angelotti?» Euen Huw indicò la spiaggia con un pollice. «È meglio che si facciano vedere in fretta quei cazzo di gondolieri, altrimenti i miei ragazzi useranno i loro intestini come ornamento.» Una tempesta, correnti, navi nemiche, poteva essere successo di tutto. «Arriveranno, ma, nel caso non dovessero arrivare... beh, possiamo sempre tornare dal califfo-re e chiedere se ci presta una delle sue navi. Non credete, ragazzi?» I due Gallesi risero. «I viveri» annunciò qualcuno. «Wat?» Ash si alzò in piedi sebbene ancora dolorante. Qualcuno le aveva tolto l'armatura, molto probabilmente l'uomo che gliela aveva prestata, e ora si sentiva più leggera e indifesa. «Wat Rodway? Qua?» «Carne» disse secco il cuoco, porgendole un pezzo di carne fumante. «Davvero?» Ash lo prese in mano e lo infilò in bocca intero, mentre lo stomaco gorgogliava dalla fame, quindi ne passò altri due pezzi a Huw e Morgan. Ash sentiva la bocca piena di saliva. Masticò freneticamente, ingoiò, si leccò le dita ed esclamò: «Dove sei riuscito a trovare i miei vecchi stivali, Wat?» «Questa è la carne migliore che si possa trovare in circolazione» commentò arcigno il cuoco. «Prima che venisse cucinata da te» aggiunse Euen Huw sottovoce. Ash trattenne una risatina e chiese: «Dov'è Oxford?» «Sono qua, signora.» Indossava ancora l'armatura completa e aveva l'aria di non essersela tolta fin dal suo arrivo a Cartagine. Lo sporco sul viso evidenziava le rughe. «State bene?» «Vi devo parlare di alcune cose.» Vide il gruppo dei suoi ufficiali e fece loro cenno di avvicinarsi. Floria si unì a loro portando una lanterna che illuminava il volto stanco, ma dall'espressione cupa. «Hai perso il senno?» disse Floria, senza tanti convenevoli. Sia Geraint che Angelotti sembravano scossi. Ash fece un cenno e il gruppo si acquattò intorno a lei. Le lanterne illu-
minavano i volti. Le voci nella sua mente non erano deboli, solo meno presenti. Era come il sole invernale che pur non essendo diverso da quello estivo è meno caldo. I sussurri nella sua mente la stuzzicavano, ma non cercavano di impossessarsi nuovamente del suo corpo. «Ci sono troppe cosa da dire... ma cercherò di farcela. Primo, ho degli ordini e un suggerimento» cominciò Ash. «Ho intenzione di tornare a Digione da Robert Anselm e il resto della compagnia. La maggior parte degli uomini mi seguiranno, lord Oxford, fosse solo perché se rimanessero in Nord Africa sarebbero morti. Possiamo avere delle diserzioni una volta tornati a nord, ma credo di riuscire a portare la maggior parte degli uomini fino a Digione.» Ash esitò e socchiuse gli occhi, come se stesse ricordando la luce. «Il sole splende ancora in Borgogna. Mio Dio, voglio rivedere la luce del giorno!» «E dopo?» chiese de Vere. «Cosa volete che facciamo, signora?» «Vorrei poterlo fare, ma non posso comandarvi.» Ash abbozzò un sorriso nel vedere l'espressione del conte inglese. «Stiamo affrontando un nemico dietro il nemico, mio signore.» De Vere si inginocchiò ascoltando con aria grave. «Stiamo affrontando qualcosa disposto a tutto pur di conquistare la Borgogna» rivelò Ash. «Non penso che a loro importi molto neanche dell'impero visigoto.» Il nobile continuava a fissarla con un'espressione cauta dipinta sul volto. «Il vostro titolo è molto antico» continuò Ash «e anche se siete in esilio, rimanete sempre uno dei guerrieri più intrepidi di questo tempo. Mio signore Oxford, io tornerò a Digione, ma voi dovrete andare altrove.» «Spiegatevi meglio, signora» disse il conte. «Il nostro nemico ha un che di demoniaco...» Ash vide che il nobile aveva cambiato espressione e si era fatto il segno della croce. Si inclinò verso di lui e continuò: «Questo è quello che dovreste fare, sempre che vogliate darmi retta. I territori della Cristianità sono sotto il dominio dei Visigoti. Non importa se sono ricorsi alla forza o a dei trattati. Hanno conquistato quasi tutto eccetto la Borgogna... e l'Inghilterra, ma la vostra patria corre ben pochi pericoli.» «Lo pensate veramente?» Ash riprese fiato. «C'è un nemico dietro il nemico... Il Golem di Pietra risolve dei problemi di ordine militare, dà la risposta a Leofric che a sua
volta la riferisce al califfo-re. Nel corso degli ultimi vent'anni il Golem di Pietra ha ripetuto loro di attaccare la Cristianità. Ma a quello che parla attraverso il Golem non importa nulla della Cristianità. È interessato alla Borgogna e basta.» «C'è un nemico dietro il nemico» ripeté John de Vere. «Vuole solo la Borgogna, del resto non gli interessa nulla. I Visigoti conquisteranno Digione e il faris raderà al suolo quel regno... Non so perché le Macchine Impazzite odino la Borgogna, ma è così.» L'eco delle voci le fece scendere un brivido lungo la schiena. «Esse...» «E voi pensate che una compagnia di mercenari riunita in Digione possa impedire tutto questo?» chiese de Vere, innervosito. «Succedono le cose più strane in guerra, ma non m'importa molto se la Borgogna viene distrutta.» Ash si accorse dello sguardo di Floria fisso su di lei e lo ignorò. «Ho intenzione di tornare a Digione... rompere l'assedio e prendere una nave diretta in Inghilterra. Dopodiché mi fermerò a guardare cosa succederà dopo la sconfitta e la morte dei duchi burgundi. Più mi allontano, meglio...» La voce nella sua mente continuava a essere debole. «... Ma se non si fermano alla Borgogna allora riesco a pensare solo a una cosa che possa fermarli.» De Vere sbatté le palpebre. «Ossia?» «Dobbiamo dividerci e voi andrete a est.» «Est!» «A Costantinopoli a chiedere aiuto ai Turchi.» «I Turchi?» John de Vere cominciò a ridere e posò una braccio sulle spalle di Dickon de Vere, evitando di toccargli la testa fasciata. «Andare dai Turchi per cercare aiuto? Signora!» «Forse non sono alleati con il califfo-re. Non li ho visti all'incoronazione. Mio signore, è rimasto ben poco dell'esercito burgundo. I Turchi cercheranno di sottrarre la Cristianità ai Visigoti, e voi potreste persuaderli a farlo ora...» «Signora, io proverei a cercare di riprendere Cartagine!» Delle forme scure si stagliarono contro le onde. Ash si drizzò in piedi a fissare l'oscurità e non ebbe bisogno della notizia portata dal messaggero di Rochester per capire che erano arrivate le navi. «Visto lo stato in cui si trova il loro porto...» Ash scrollò le spalle. «Forse potremmo tornare indietro con le due navi e cercare di distruggere la
casa di Leofric con i cannoni. In questo modo ci libereremmo lo stesso del Golem. Mio signore, noi potremmo tornare indietro...» «INDIETRO!» Le voci delle Macchine Impazzite tornarono a echeggiare lontane nella mente di Ash. «TU NON TOCCHERAI IL GOLEM DI PIETRA...!» «... NON LO DANNEGGERAI...» «... NON LO DISTRUGGERAI...» «... TU E LA TUA GENTE ANDRETE VIA!» «IMPARTISCI L'ORDINE!» «IL GOLEM NON DEVE ESSERE TOCCATO!» «È PROTETTO!» «NON DANNEGGERAI LA MACHINA REI MILITARIS!» Ash portò le mani alle orecchie nel tentativo di bloccare le voci. Aveva gli occhi colmi di lacrime. «Cristo...» «Cosa succede?» chiese Floria in tono brusco, sebbene il tocco della sua mano fosse gentile. «Lo stesso punto.» Ash chiuse gli occhi dal dolore. «Lo stesso punto della mia anima. Come vi ho detto, de Vere, lo usano come un canale. Loro parlano in questa maniera...» Ora era tutto chiaro. «Sono di pietra. Ciechi sordi e muti, finché non hanno avuto la macchina non potevano contattarci... non potevano comunicare con niente, non potevano fare nulla!» Floria la fissò. «È l'unico modo che hanno per parlare, giusto?» le chiese, mentre l'aria si riempiva dei rumori delle galee e delle onde. «È l'unico canale che hanno con il mondo esterno.» «Deve essere così...» Ash abbassò le mani. Gli uomini stavano salendo a bordo. Il promontorio di Cartagine era una massa oscura quindici chilometri a est di quella spiaggia. «Non dicevi sul serio quando parlavi di tornare indietro?» «E farmi uccidere? No. Ho visto la loro flotta.» Posò il mento sul pugno e fissò le onde nere. «Abbiamo rivoltato Cartagine per bene, ma abbiamo fallito. Duecento uomini per colpire la capitale di un impero. L'abbiamo fatto, ma abbiamo fallito. Non è stato sufficiente.» I volti degli ufficiali non erano confusi: Antonio Angelotti aveva stra-
namente la giacca sporca, Geraint si grattava il cavallo dei pantaloni. Erano solo torvi. John de Vere aumentò la stretta intorno alle spalle del fratello. «Non riesco a capire» disse Floria, roca. «Come fai a non ritenere che sia abbastanza.» «Abbiamo fallito» disse Ash, secca. «Se fossimo riusciti a distruggere il Golem di Pietra avremmo anche eliminato il legame tra le Macchine Impazzite e il mondo.» Ash fissò Floria e il conte di Oxford. «Quello che abbiamo fatto non è abbastanza, anzi, abbiamo solo peggiorato la situazione. Ora abbiamo messo in allarme il nemico. Egli sa che noi sappiamo. La situazione è peggiorata rispetto all'inizio.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash — (Pierce Ratcliff, 2001)British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#139 (Pierce Ratcliff) Ash 02/12/00 ore 12,09 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Pierce —
Non è facile dirlo. Hanno deciso di sospendere la pubblicazione del tuo lavoro. Farò quello che posso. Forse riesco a trovare un'altra casa editrice, una che sia interessata alla pubblicazione di un libro di miti e leggende medievali . So che non sarebbe una grande consolazione. Hai passato così tanti anni a lavorare sui testi di 'Ash' convinto che fossero documenti storici, ma, in questo momento, è l'unica soluzione che mi venga in mente. Dobbiamo incontrarci quando torni, pranzare insieme e fare due chiacchiere, che ne dici? Con affetto, Anna. —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#204 (Anna Longman) Ash 02/12/00 ore 04,28 p.m. Ngrant@
Anna, per favore —
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Devi farmi pubblicare il libro. So che siamo molto vicini alla scadenza per le edizioni primaverili. Non fermare tutto adesso. Ti prego. Perché dovresti farmi continuare? Le prove archeologiche provenienti dal sito in Tunisia non si sono dimostrate attendibili! Anna, sto pregando Isobel di far riesaminare con il carbonio le giunture in metallo. I primi risultati potevano essere ERRATI. Non credo che i 'go-
lem' siano dei falsi. Non ci credo. Sono le ultime e uniche testimonianze dell'esistenza di una Cartagine visigota: ne sono sicuro! Tuttavia, come faccio a non credere che siano dei falsi, quando ho le prove scientifiche che il bronzo delle giunture deve essere stato colato dopo il 1945? Nel 1871, Schliemann scoprì Troia basandosi sulle descrizioni che Omero fece della città nell'ILIADE, ma quando trovò le mura non scoprì che la città di Troia risalente all'età del Bronzo era stata costruita nel 1870. So cosa dirai. Come abbiamo fatto a pensare che tutto questo fosse... storia...? I testi che sto usando sembrano essere stati riclassificati nella categoria romanzi e il 'Fraxinus' mi dice che la donna di nome Ash 'sentiva la voce di un computer-golem del quindicesimo secolo?' Leggende e invenzioni! Menzogne incredibili e miti! Sto per andare sulla nave-ricerche insieme a Isobel: FINALMENTE è arrivato il permesso ufficiale. Credo di sentirmi privato di qualcosa a cui tenevo. So che Isobel è troppo cara per farmi notare che dovrei tornare in Inghilterra. Suppongo che un paio di giorni a osservare le immagini di una telecamera subacquea che scandaglia il fondo marino a nord di Tunisi mi aiuteranno a darmi pace. Potremmo anche trovare dei resti di navi romane. Non ho dormito. Ho appena finito di tradurre la penultima parte del 'Fraxinus me fecit'. Ho una nota esplicativa che intendo allegare a questa sezione del manoscritto. Ma, ormai, è tutto irrilevante. I golem sono dei falsi, il manoscritto dell'Angelotti è un semplice racconto, quindi le ambiguità del 'Fraxinus' sono del tutto irrilevanti. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#140 (Pierce Ratcliff) Ash 02/12/00 ore 11,01 p.m. Longman@
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Non sono neanche sicura che in questo momento tu sia sul sito di una 'Cartagine visigota'. Cosa dice al riguardo Isobel Napier-Grant? Quello che mi hai raccontato fino a oggi è che ti aspettavi di trovare nel 'Fraxinus' le prove dell'esistenza, nell'area della Cartagine araba, di un insediamento visigoto risalente al quindicesimo secolo, in grado di organizzare una crociata contro l'Europa meridionale. Questi sono fatti che avrei potuto anche digerire (sempre partendo dal presupposto che l'incendio di Venezia fosse una licenza poetica del cronista) e credo anche che avrei accettato il fatto che i Visigoti avessero fallito, fossero tornati a Cartagine e l'interesse nei loro riguardi fosse svanito insieme alla Borgogna verso il finire di quello stesso anno. Penso che sia anche ragionevole ritenere che la spedizione avesse indebolito la 'Cartagine visigota' a tal punto che fu attaccata e rasa al suolo dai Mori poco tempo dopo. O forse tornarono in Spagna dove si persero nella confusione della Reconquista e le prove delle loro imprese furono ignorate basandosi sugli ideali di razza e classe. Ma in questo momento... non riesco a pensare come tu possa supporre che il sito scavato da Isobel abbia a che fare con i Visigoti, visto che i tuoi testi sono considerati romanzi e i golem messaggeri dei falsi! È finita, Pierce. So che non è bello dirlo, ma è una realtà che devi affrontare. Non c'è nessun libro. Ash non è storia, è Robin Hood, Artù, Lancillotto. .. una leggenda. Possiamo sempre creare un programma con il dottor Napier-Grant sui suoi scavi e sui problemi che ha avuto con le autorità tunisine e non vedo perché tu non potresti scrivere i testi. Rilassati per qualche giorno poi pensaci. Con affetto, Anna. —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#205 (Anna Longman) Ash/Cartagine 03/12/00 ore 11,42 p.m. Ngrant@ Indirizzo precedente
Anna —
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La tua ultima e-mail è passata attraverso un codificatore: avevi allegato un jpg? È illeggibile! Riprova, ti risponderò più tardi, molto più tardi perché Isobel ha bisogno del computer per qualche ora. Sono a bordo della nave, è forse per questo che la trasmissione non è perfetta. Stamattina abbiamo preso l'elicottero e abbiamo raggiunto la HANNIBAL, una nave attrezzata per le ricerche scientifiche che si trova a otto chilometri dalla costa del Nord Africa. Non devi passare guanto seguirà a nessuno, neanche a Jonathan (non ne ricordo il cognome), il tuo capo, a nessuno. Non devi neanche parlarne nel sonno. Isobel mi ha appena intimato di lasciarle il posto quindi sarò breve. Lei e la sua squadra sono in questa zona fin da settembre: in primo luogo a causa delle scoperte fatte dalla squadra dell'Institute for Exploration, Connetticut, tra luglio e agosto del 1997. Se ricordi, i media dissero che la spedizione aveva scoperto... tra le altre cose... i resti di cinque vascelli romani adagiati sulla sabbia a mille metri di profondità a trenta chilometri dalla costa di Tunisi. (Erano stati aiutati nelle ricerche da un sottomarino nucleare della Marina degli Stati Uniti, mentre noi stiamo usando un emettitore di basse frequenze, lo stesso usato per le ricerche petrolifere.) Il naufragio indicava che le navi mercantili si avventuravano in 'acque profonde' a partire dal 200 a.C. e non si limitavano solo a seguire le coste. Quelle scoperte permisero a Isobel di trovare dei fondi per scavare il sito di Tunisi e ottenere i permessi dal governo per le esplorazioni lungo la costa. In questo momento i ROV stanno inviando delle immagini da una profondità superiore ai mille metri. Si trovano in un punto molto profondo e abbiamo pensato che si trattasse di una lettura errata, ma non lo è. Non siamo di fronte a un mal funzionamento, i ROV stanno inviando delle immagini... i sommozzatori della nave non possono raggiungere quella profondità perché a bordo non hanno l'attrezzatura adatta. I ROV hanno scoperto una trincea che si trova a circa sessanta chilometri a nord-ovest delle rovine della vecchia Cartagine... stavo per scrivere della NOSTRA Cartagine. È dal giorno in cui ho ricevuto i risultati disastrosi della datazione con il carbonio 14 che aspetto questo momento. Abbiamo trovato una baia con cinque promontori. È tutto qua, sotto la
sabbia, ma i contorni sono netti. Ho visto le foto fatte con le luci notturne dai ROV e posso dire con certezza è qua. Più tardi — È incredibile, Anna. Isobel è sconvolta. Sì, abbiamo trovato Cartagine. Ho sempre pensato che avrei potuto trovare il mio 'insediamento visigoto' su queste coste uguale a quello descritto nel 'Fraxinus'. Oh Anna! L'ho trovata. Ho trovato l'IMPOSSIBILE. Isobel ha voluto che guidassi i tecnici addetti ai ROV. Ero di fronte a quegli strumenti, leggermente nauseato (non amo il mare) , con uno schizzo di quello che credo sia la Cartagine di Ash in base a quanto ho evinto dai manoscritti. Si è sempre sudati, nauseati o accaldati in vista di un grande evento. Ho cercato di distinguere i contorni del muro interno, i bastioni della Cittadella menzionati nel manoscritto. Li abbiamo trovati su uno dei promontori. È ovvio che si tratta di una struttura. Questa è la Cartagine gotica come descritta nei miei documenti. Si trova sott'acqua. Me lo sono ripetuto in continuazione perché quello che è successo dopo è così improbabile e porta con sé delle implicazioni tanto sconvolgenti che non credo riuscirò più a dormire per tutta la vita... sento che la mia vita ha cominciato una discesa libera, QUESTA è la mia scoperta, QUESTO è quanto farà scrivere il mio nome (e quello di Isobel) nei libri di storia, nient'altro riuscirà mai a raggiungere questi livelli. Ho fatto penetrare i ROV tra le mura, i danni riportati dalla struttura possono essere stati benissimo provocati da un terremoto. Ho fatto girare un ROV a destra... cosa sarebbe successo se non l'avessi fatto? Suppongo che avremmo fatto la stessa scoperta solo più tardi; gli studiosi lavoreranno intorno a queste rovine per i prossimi quarant'anni: questo è Howard Carter, è Tutankhamen e molto altro. Ho fatto girare il ROV a destra, dicevo, ed è entrato in un casamento che aveva ancora parte del tetto. Questa è una delle cose che i tecnici odiano perché c'è il rischio di perdere o danneggiare il ROV, credo. Dentro la costruzione, dicevo, ed eccolo: un cortile, un muro infranto... un muro infranto CHE DAVA SU QUELLA CHE UN TEMPO DOVEVA ESSERE STATA LA BAIA. Anche Isobel era d'accordo, meglio perdere un ROV nel tentativo che non tentare per niente. Posso vedere tutto nella mia mente. È come descritto nel 'Fraxinus', Anna, le mura della stanza, la scala che scendeva nel sot-
tosuolo e le grandi lastre di pietra che chiudevano le stanze isolandole. Penso che siano passate sei o otto ore, ci sono stati due cambi di tecnici. Isobel è rimasta con me per tutto il tempo e non l'ho vista mangiare. Neanch'io ho mangiato. Capisci, sapevo dove doveva essere. Ci sono volute quattro ore solo per orientarci in mezzo alle rovine ricoperte di fango e a qualcosa che somigliava a tutto tranne che a una città cercando di scoprire in quale direzione fosse il nord-est e a quale profondità si trovasse la 'Casa di Leofric' o quell'edificio che nel manoscritto è chiamato così. No, non sono pazzo. Non sono del tutto in me, ma non sono impazzito. Abbiamo due ROV ed ero pronto a sacrificarne uno. I tecnici l'hanno spinto sempre più in profondità, alla mercé delle correnti. Durante le riprese non me ne sono reso conto, ma adesso mi accorgo che i tecnici sono molto abili nel manovrare macchinari così sofisticati. Le telecamere ci rimandavano le immagini degli scalini poi tutto è diventato un pozzo di pietra dalle pareti lisce che scendeva nell'oscurità. Su una delle pareti abbiamo scoperto una sede che aveva ospitato la struttura in legno della scalinata. Non sono riuscito a capire di quanti piani è sceso perché è difficile definire casa ciò che rimane dei piani superiori! Il ROV avanzava lentamente di camera in camera e scendeva di piano in piano. La sabbia ricopre ossa, anfore, monete. La flora marina ha distrutto i mobili. Giù, sempre giù, stanza dopo stanza senza sapere dove si era, avvolti dal freddo e schiacciati dalla pressione. Quando è successo sembrava che il ROV fosse entrato in una delle tante stanze, ma, improvvisamente, Isobel ha imprecato ad alta voce. Io ho compreso tutto un minuto dopo. I tecnici non potevano capire l'eccitazione di Isobel e uno di essi ha detto: «È solo una fottuta statua, Cristo» è stato allora che ho capito. Leggi la traduzione, Anna! Leggi quanto scritto nel 'Fraxinus' . Il secondo golem, il golem di pietra: 'la testa di un uomo posata su una predella sulla quale avvenivano le simulazioni di guerra.' Quello che non avevo capito veramente era quanto potesse essere GROSSO il golem di pietra. La testa, il torso e le braccia sono gigantesche, tre volte più grosse del normale. Deve essere alto cinque o sei metri e siede là sotto, cieco, sui fondali del Nord Africa scrutando l'oscurità con gli occhi di pietra. I lineamenti del viso sono quelli di un nord europeo e non berberi o africani; ogni muscolo, legamento o capello è stato riprodotto fedelmente nella pietra.
Io penso che il Rabbi avesse un senso dell'umorismo piuttosto mordace e sospetto che, mentre il 'Fraxinus' ci dice che i golem semoventi somigliano al Rabbi, il golem di pietra fosse il ritratto dell'amir Radonic. La sabbia nasconde i colori, certo, e rende tutto uniforme, ma io penso che il golem sia di granito o arenaria rossa. Non riesco a giudicare la qualità del lavoro. Le giunture metalliche, dei polsi e delle mani sembrano corrose dall'acqua. Da quello che posso vedere il torso sembra formare un blocco unico con la predella. Dei getti d'acqua sotto pressione potrebbero ripulire il basamento per vedere se ci sono delle giunture, ma Isobel e i suoi ragazzi stanno filmando tutto e non vogliono toccare nulla finché non avranno a disposizione tutte le prove di cui hanno bisogno. Ma non c'è bisogno di altre prove: questo è il golem di pietra, la MACHINA REI MILITARIS di cui parla Ash. E voglio dirti una cosa, Anna. Anche Isobel è dell'idea che nessuno abbia potuto contraffare QUESTO. Quello che ho bisogno di sapere ma che non posso perché la macchina è rimasta inattiva sotto il mare per cinquecento anni, è se questa è veramente la MACHINA REI MILITARIS descritta dal Fraxinus. È la statua di un tempio, un'icona religiosa... non può essere altro, vero Anna? Deve essere per forza anche qualcos'altro perché non ricordo più da quanto tempo non dormo e non mangio, sarò anche euforico ma non riesco a smettere di pensare: questo è il giocatore di scacchi meccanico? È una macchina da guerra? Supponi che sia qualcosa di più. Supponi che SIA la voce che le parlava. È da cinquecento anni che si trova in una trincea scavata da un terremoto, sul fondo freddo e buio di un mare che ha visto abbastanza guerra... navi militari, aerei e mine. Proprio per questi motivi non posso fare a meno di chiedermi se la MACHINA REI MILITARIS sia all'altezza delle guerre moderne. Se avesse ancora una voce e se Ash fosse ancora viva cosa le chiederebbe adesso? Isobel ha bisogno del computer. Ann, ti prego, una volta mi dicesti che se i golem erano veri cos'altro poteva esserlo? Questo. Le rovine della Cartagine visigota: un sito archeologico sul fondo marino. Non è una truffa da cinquanta milioni di dollari, è tutto come dovrebbe essere. Anna, tutto ciò supporta quanto scritto sul Fraxinus. Ma come è possibile che i risultati con i golem siano sbagliati? Dimmi
cosa devo pensare, sono esausto. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#143 (Pierce Ratcliff) Ash 03/12/00 ore 11,53 p.m. Longman@
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Cristo! Non dirò una parola, promesso. Almeno fino a quando la spedizione non sarà pronta. Oh, Pierce, è tutto COSÌ GRANDE! Mi dispiace di aver dubitato di te! Pierce devi mandarmi l'altra parte del Fraxinus che hai tradotto. Mandami il testo. Se lo leggiamo in due aumentano le probabilità di scoprire degli indizi, cose che potresti dire al dottor Napier-Grant. Non terrò la traduzione in ufficio. La porto a casa e rimarrà nella mia valigetta per tutto il tempo... quell'oggetto non è mai a più di un metro di distanza da me! Devi finire la traduzione! Con affetto, Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#237 (Anna Longman) Ash/Cartagine 04/12/00 ore 01,36 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Lo so. Lo so! Ora più che mai abbiamo bisogno del 'Fraxinus'! Tuttavia, ci sono dei problemi nell'ultima parte del manoscritto che non possiamo far finta di non vedere! Ho sempre pensato di mandarti una nota esplicativa con la penultima parte del 'Fraxinus', 'Cavaliere della Desolazione'. Anche senza il problema della datazione al C14 dei golem, i manoscritti non autentici, il 'Fraxinus me fecit' termina bruscamente nel mese di novembre 1476 senza dirci cosa succederà dopo! Sono andato a consultare le ultime pagine del manoscritto dell'Angelotti. La nave di Ash parte dalle coste del Nord Africa intorno al 12 settembre 1476. Ho omesso un piccolo passaggio che parla del ritorno della spedizione in Europa. (Vorrei includerlo nella stesura finale del libro perché la descrizione della vita di tutti i giorni a bordo di una galea veneziana è affascinante!) La partenza da Marsiglia prese quasi tre settimane. Ho calcolato che la nave lasciò Cartagine la notte del 10 settembre 1476 e, dopo le tempeste, le pessime condizioni di navigazione, una sosta a Malta per fare rifornimento d'acqua e cibo e far scendere a terra i feriti che altrimenti sarebbero morti, il viaggio sarebbe durato fino al 30 settembre. Le navi attraccarono a Marsiglia durante l'ultimo quarto di luna. In base agli scritti di Angelotti la compagnia ha impiegato tre o quattro giorni per ricompattare i ranghi, acquistare i muli e le provviste e mettersi in marcia verso nord. Angelotti dedica un gran numero di righe al dispiacere che ha provato per la perdita dei suoi cannoni i quali vengono descritti con dovizia di particolari tecnici. Ha speso molte meno righe - appena due - per dire quale direzione decise di seguire il conte di Oxford con i suoi uomini. A questo punto termina il manoscritto dell'Angelotti (mancano alcune pagine finali dal trattato di Missaglia). Il 'Fraxinus me fecit' aggiunge solo qualche riga spiegando che quello fu un tempo in cui le carestie, il freddo e l'isteria svuotarono le città e devastarono le campagne. Da quanto possiamo evincere dalla descrizione di Angelotti, la compagnia sbarcò in una Marsiglia che sembrava sottoposta ai rigori dell'inverno nucleare. Sotto la guida di Ash il Leone Azzurro procedette a marce forzate da Marsiglia ad Avignone e sempre più a nord verso Lione seguendo la valle del fiume Rodano. Angelotti parla di Ash come di un comandante che era in grado di condurre centinaia di uomini in quelle terribili condizioni di tempo... un comandante meno carismatico avrebbe fatto barricare la sua compagnia in un villaggio fuori Marsiglia nella speranza che
quell'inverno senza sole finisse. Non avevano cavalli e i contadini ridotti alla fame avevano dato fondo a tutte le scorte di cibo, quindi è molto probabile che la compagnia abbia rubato delle barche. Avranno sicuramente seguito il corso del Rodano, perché in una terra perennemente avvolta dal buio si correvano meno rischi di perdersi. Un riferimento frammentario indica che smisero di viaggiare via fiume a sud di Lione perché il Rodano era ghiacciato e marciarono verso il confine burgundo seguendo il Saône. Non sembra che nessun duca francese abbia reagito all'invasione del suo territorio. Forse avevano altro di cui preoccuparsi, come le carestie e i tumulti interni, o, molto probabilmente, nessuno notò la compagnia a causa dell'oscurità. Non c'è da sorprendersi se il 'Fraxinus' non parla di nessun rapporto a livello personale tra Ash e gli altri componenti della compagnia fino alla separazione che seguì il loro arrivò fuori dalla mura di Digione. Lo stress per organizzare lo spostamento attraverso l'Europa di duecentocinquanta uomini, ai quali si unirono sicuramente diversi sopravvissuti ridotti alla fame (per cercare di ottenere del cibo offrendo servizi di natura sessuale o rubandolo) , facendo sì che non perdessero la strada, fossero nutriti, evitando gli ammutinamenti e le diserzioni, deve essere stato grandissimo. Grazie al manoscritto sappiamo che la compagnia riuscì ad avvicinarsi molto a Digione senza essere avvistata dagli esploratori visigoti. La compagnia si spostò lungo il margine della foresta che un tempo copriva gran parte dell'Europa. Il viaggio deve essere stato lento, specialmente se contiamo che gli uomini dovevano portare i bagagli e le armi a spalla, ma sicuro. Quella era l'unica strada sicura per cercare di raggiungere Digione senza essere spazzati via da un distaccamento dell'esercito visigoto. Il 'Fraxinus' riporta che il viaggio durò quasi sette settimane(dal 4 ottobre al 14 novembre). Entro il 14 novembre 1476 Ash e circa due o trecento dei suoi uomini si trovano a dieci chilometri a ovest di Digione sulla strada principale che portava ad Auxonne. Anna, sono sicuro che il 'Fraxinus' sia stato scritto o dettato da Ash in persona quindi penso che sia una fonte più che attendibile e adesso che mi trovo a mille metri sopra Cartagine ne sono SEMPRE più convinto! Ma... c'è un problema. Vedi, ho sempre sperato che la scoperta del Fraxinus mi avrebbe permesso di guadagnarmi la mia nicchia nella storia accademica come il professore che risolse il problema 'dell'estate mancante' . Tuttavia, rimane il problema delle date... alcune delle imprese di Ash si
adattano molto di più a quello che successe nel 1475, altre, invece, potrebbero essere successe solo nel 1476, ma il testo le tratta come una serie di eventi continui... il problema potrebbe diventare quello 'dell'anno e mezzo mancante'! Le cronache riportano Ash che combatte contro l'esercito di Carlo l'Intrepido nel giugno 1475-76, ma, a giudicare dalle descrizioni, tutto fa pensare all'estate del 1476; dopodiché scompare e riappare in inverno morendo nella battaglia di Nancy (5 gennaio 1476-77). Ci sono delle settimane mancanti tra la fine del 'Fraxinus' (metà novembre 1476), e il punto in cui la storia convenzionale torna a parlare di Ash. (Dopotutto, alcuni misteri devono essere lasciati anche agli altri studiosi!) Il 'Fraxinus' si interrompe bruscamente, è ovvio che è incompleto. Non è un problema se le date del 'Fraxinus' non coincidono con quelle storiche. Il 'problema' è che nell'autunno del 1476, Carlo l'Intrepido è impegnato in una campagna contro la Lorena e assedia Nancy il 22 ottobre. Prende parte all'assedio per tutto novembre, dicembre e muore in gennaio combattendo contro i rinforzi guidati dal duca Rene (un esercito composto di soldati della Lorena e volontari svizzeri.) In principio mi ero aspettato che in questa ultima parte del 'Fraxinus' si parlasse di un rientro di Ash in un'Europa che aveva visto il fallimento del piano di conquista visigoto e il conseguente ritiro degli invasori. Non è così. Il 'Fraxinus' afferma che i Visigoti sono ancora presenti in Europa fino a novembre del 1476. La Francia e il ducato di Savoia hanno firmato un trattato di pace con l'impero cartaginese. L'imperatore Federico III del Sacro Romano Impero ora sotto il controllo di Cartagine - governa i cantoni svizzeri come satrapo dei Visigoti, mano nella mano con Daniel de Quesada. Effettivamente è uno scenario che riporta il pieno successo dell'invasione visigota. Se questo è il 1476 dov'è finita allora la guerra di Carlo contro la Lorena? Però, se questo è il 1475, allora la mia teoria che un'incursione dei Visigoti sia stata dimenticata con la caduta della Borgogna potrà trovare una conferma solo dopo dodici mesi! Posso solo azzardare che c'è qualcosa di forviante riguardo le date, ma non so ancora cosa. Comunque ho capito quanto segue: il 'Fraxinus' ci ha dato una descrizione di Cartagine. Isobel dice che è incredibile riuscire a identificare il nome di un sito in così poco tempo!
Ti manderò la traduzione finale dell'ultima parte appena posso... ma adesso non riesco ad allontanarmi dalle telecamere del ROV. Sto guardando 'Cartagine'. Continuo a pensare alle 'macchine impazzite' del FRAXINUS. — Pierce
NONA PARTE 14 NOVEMBRE - 15 NOVEMBRE AD 1476 Cavaliere della Desolazione I La pioggia colava dalla ventaglia dell'elmo bagnandole la brigantina, il farsetto e i pantaloni per poi penetrare negli stivali. Il rumore prodotto dall'acqua e la corrente d'aria fredda che la stava investendo facevano capire ad Ash che era vicina al limitare della foresta, ma non poteva vedere nulla a causa dell'oscurità. Qualcuno, forse Rickard, andò a finire contro la sua schiena mandandola a sbattere contro la corteccia bagnata di un albero che grattò le mani avvolte nelle muffole. Un ciuffo di foglie secche e bagnate le schiaffeggiò il viso spruzzandole l'acqua gelata negli occhi e nella bocca. «Merda!» «Scusami, capo.» Ash zittì il ragazzo con un cenno della mano, poi rendendosi conto che non poteva vederla, avanzò a tentoni finché non gli toccò la spalla e avvicinò la bocca all'orecchio del giovane. «Là fuori c'è qualche migliaio di Visigoti: ti dispiacerebbe tanto stare tranquillo?» La pioggia continuava a filtrare attraverso gli abiti di Ash. Il tamburellare costante delle gocce e gli scricchiolii degli alberi le permettevano di ascoltare solo quello che succedeva a pochi passi da lei. Riprese a camminare con cautela tenendo le braccia distese in avanti, ma il fodero della spada si incastrò in un ramo basso facendole sbattere il tallone contro una radice nascosta dal fango. «Merda su un cazzo di bastone! Dov'è John Price? Dove sono finiti i fottuti esploratori?» Udì un rumore sospetto. Il rumore della pioggia sembrava aver coperto una risata e sentì la spalla di Rickard tremare contro la sua. «Madonna» disse una voce alla sua sinistra «accendi una lampada. C'è ancora molto foresta tra qua e Digione; come potrebbero scoprirci?» «Ah, merda... va bene. Rickard...» Passarono diversi minuti nei quali, di tanto in tanto, il braccio o il gomi-
to del ragazzo la urtarono lievemente, Rickard stava lottando con una lampada di metallo, una candela e, a giudicare dall'odore di polvere da sparo, con una miccia a lenta combustione. Il buio avvolgeva Ash che inclinò la testa all'indietro per cercare di scorgere il cielo notturno lasciando che le gocce di pioggia battessero sulla sua testa. Non vide nulla. Le grosse gocce d'acqua che le martellavano il viso la fecero sussultare. Mentre cercava di proteggersi con una muffola le sembrò di vedere una debole alterazione nel buio. «Pensi che smetterà di piovere, Angelotti?» «No!» Rickard riuscì finalmente ad accendere la lanterna e una debole luce gialla illuminò l'oscurità circostante. Ash distinse i contorni di una figura con indosso uno spesso mantello di lana con cappuccio che sembrava inginocchiata al suo fianco. Il suono di un risucchio la fece sussultare e vide la figura che si alzava in piedi. «Fango di merda» imprecò Angelotti, il mastro artigliere. La luce della lanterna illuminava l'acqua che cadeva dal cielo. La vista di Angelotti sporco di fango fece sogghignare Ash. «Guarda il lato positivo» commentò lei. «La temperatura è molto più alta di quella dei luoghi da cui siamo scappati... qua fa più caldo! E ogni pattuglia delle teste di tela starà molto vicina al campo con questo buio.» «Ma anche noi non vediamo niente!» Il volto di Rickard illuminato dalla fiammella sembrava aver assunto le sembianze di un dèmone. «Forse dovremmo tornare al campo, capo.» «John Price ha detto di aver visto uno squarcio nelle nubi. Scommetto che non ci vorrà molto prima che la pioggia smetta. Cristo Verde! C'è qualcuno che sa dove siamo finiti?» «In una foresta buia» commentò, ironico, il mastro artigliere. «Madonna, temo che la guida della lancia di John sia sparita.» «Non cominciate a cercarlo urlando...» Ash distolse l'attenzione dalla lampada e lasciò vagare lo sguardo nell'oscurità. La pioggia riuscì a penetrare tra il polsino della maglia e la muffola. Sentiva che l'acqua cominciava a gelarle i piedi. «Da questa parte» decise. Allungò le mani afferrando rispettivamente il braccio di Rickard e la mano guantata di Angelotti e prese ad avanzare con passo malfermo sul terreno viscido, sbattendo contro i rami, facendo cadere l'acqua dai rami
senza però perdere di vista le fronde di carpino bianco che ondeggiavano contro il cielo oltre il bosco. «Forse dopo... whuff!» La mano intirizzita dal freddo scivolò dal braccio di Rickard e sentì Angelotti che aumentava la stretta. Ash scivolò cadendo su un ginocchio incapace di ritornare in piedi. La gamba cedette del tutto e lei si ritrovò seduta su un cuscino di foglie bagnate, rami appuntiti e fango freddo. «Figlio di puttana!» Girò il cinturone dal quale pendeva la spada e cominciò a tastare il fodero, che le era rimasto intrappolato sotto la gamba, in cerca di crepe nel legno sottile. «Merda!» «Piantatela di fare casino e spegnete quella cavolo di lampada!» sussurrò una voce. «Volete farci piombare addosso una cazzo di Legione visigota? La vecchia ascia da guerra vi romperà il culo!» «Certo che lo farò, mastro Price» rispose Ash in inglese. «Capo?» «Già.» Ash sorrise afferrò le braccia di qualcuno e si alzò in piedi. Stava cominciando a tremare dal freddo e si batté le mani contro le braccia. Uno scroscio di pioggia le fece abbassare la testa e girare in direzione del vento. «Siamo sul bordo del bosco?» chiese lei. «Sei stato fortunato a trovarci, sergente.» Price borbottò qualcosa in un dialetto del Nord e Ash riuscì solo a origliare chiaramente la frase che si riferiva al fatto di 'fare tanto casino quanto sei coppie di buoi aggiogati.' «Siamo ancora in cima all'altura» aggiunse l'uomo. «La pioggia è diminuita nell'ultima ora. Presto riuscirai a vedere la città, capo.» «Dove sono le teste di tela?» Ash scorse un movimento nel buio, forse era un braccio che si agitava nell'aria. «Da qualche parte là sotto.» Cristo Verde, pensò Ash, se solo potessi chiedere alla machina rei militaris: 'Digione, confine sud del ducato di Borgogna, disposizione e forza degli assedianti, nome del comandante e i piani per la prossima settimana...' Un brivido che non aveva nulla a che fare con la pioggia gelata le percorse la pelle e per un attimo ebbe l'impressione di non essere più immersa nell'oscurità in una foresta europea che odorava di foglie secche e terriccio, ma nel buio fetido e puzzolente della cloaca sotto la Cittadella di Cartagine. Si rivide inginocchiata a fianco di un morto intenta ad ascoltare le voci
che le martellavano quell'angolo della mente che fino a poco tempo prima era stato a completo appannaggio della machina rei militaris. Girò la testa di scatto. Per un attimo aveva avuto il terrore di vedere la luce celestiale che era arsa sul deserto fuori Cartagine nove settimane prima. Un'aurora che splendeva sui mattoni rossi delle piramidi, ma intorno a lei c'era soltanto la notte buia e umida. Non essere stupida, ragazza, si rimproverò. Le Macchine Impazzite ti vogliono morta... ma non sanno dove sei. A meno che non chieda aiuto al Golem di Pietra. Sono riuscita a sopravvivere nove settimane senza il suo aiuto, pensò Ash, torva, Sono riuscita ad arrivare fin qua passando da Marsiglia e Lione, Christus Viridianus! Ho fatto tutto senza bisogno dei suoi consigli... non ho bisogno di chiedere proprio adesso. No! Un debole tramestio nel sottobosco fece pensare ad Ash che gli uomini di Price avevano ritrovato la guida. Non poteva vedere nulla, l'unica presenza che avvertiva era quella della pioggia che le cadeva addosso. «La luna dovrebbe essere già sorta, Madonna» la informò Angelotti in tono calmo. «Secondo i miei calcoli dovremmo essere al primo quarto. Se solo riuscissimo a vederla.» «Ho fiducia nella tua conoscenza della meccanica celeste» borbottò Ash, cercando con la mano la spada. «Puoi fare delle previsioni riguardo questa pioggia fottuta?» «Sono diciotto giorni che piove ininterrottamente, perché dovrebbe smettere proprio adesso?» «Ah, ottimo, Angeli. Sai bene che sei sul mio libro paga perché non hai rivali nel tenere alto il morale.» Uno degli uomini di Price rise. Tutti loro si muovevano sfruttando i ripari offerti dal terreno. Ash, che li sentiva muoversi nell'oscurità, appoggiò un ginocchio nell'erba bagnata e si riparò gli occhi dalla pioggia battente con una mano. Dopo qualche minuto sentì il terreno che le risucchiava il calore dal corpo. Il tamburellare della pioggia passò in secondo piano. Tempo schifoso, nemici: potrebbe essere una delle tante campagne che ho fatto negli ultimi dieci anni, pensò Ash. Meglio vederla in questo modo e dimenticare il resto. «Là!» Allungò una mano alla cieca e toccò una spalla. «Una stella.» «Le nubi si stanno aprendo» disse la voce di Price. Ash si rese conto che abbassando la testa aveva visto la spalla del sergente. Si guardò rapidamente intorno e vide che tra gli alberi cominciava-
no a fare capolino delle sagome umane, niente in natura aveva spalle e testa che spiccavano in quel modo. «Siamo tranquilli qua?» «Siamo in cima alla collina sopra il Suzon, a ovest rispetto alla strada di Auxonne» grugnì Price. «Non siamo contro l'orizzonte. Abbiamo il bosco alle spalle e nessuno può vederci a meno che non si trovi in un punto più alto.» «Perfetto, assicurati che tutti gli elmi siano coperti dai cappucci. Se si alza la luna non voglio che cominciamo a brillare come un eliografo.» John Price si girò per borbottare gli ordini. Ash vide il fiato che si condensava in nuvole di vapore nell'aria fredda. Si tolse i guanti di pecora, slacciò l'elmo e lo passò a Rickard che lo nascose tra le pieghe del mantello umido. L'aria fredda le pungolò le guance, le orecchie e il mento. Un minuto dopo aveva smesso di piovere, ma l'acqua continuava a gocciolare dai rami degli alberi. Il vento era calato contribuendo ad abbassare la temperatura. Ash alzò lo sguardo e vide le nuvole che cominciavano a sfilacciarsi sparendo rapide in direzione est. E adesso? si chiese. Il freddo che le attanagliava le ossa le fece tornare in mente i campi e i vigneti intorno a Digione, il sole accecante che splendeva sulle mura bianche e i tetti blu e il campo della compagnia che puzzava di sudore e sterco di cavallo e di vacca. Digione dalle mura possenti: la ricca capitale del sud della Borgogna, forte dei suoi mercanti abbastanza ricchi da assumere e licenziare architetti, muratori, pittori e ricamatoli; Digione legata alla casata, all'esercito e alle artiglierie di Carlo, Grande Duca di tutto l'Ovest... Un gioiello bianco incastonato in una campagna rigogliosa. Prima che ci prendessero a calci in culo ad Auxonne, pensò Ash. L'aria della notte si riempì del rumore provocato dalla pioggia che gocciolava dalle piante. Ash si rese conto che i contorni degli alberi diventavano sempre più netti. Ora poteva vedere che alla fine della distesa di erba e oltre i rami secchi, a qualche metro da lei, c'era un salto. A est una nube si divise formando un semicerchio luminoso. «Laggiù c'è il fiume» borbottò, mentre gli occhi venivano disturbati dalla luce della luna. Si guardò intorno. L'acqua che gocciolava dagli abiti aveva formato delle piccole pozzanghere ai suoi piedi. Appena la vista si fu abituata alla luce della mezza luna, Ash vide un pendio a pochi passi di distanza: era troppo ripido per essere risalito facil-
mente. Un centinaio di passi più in basso i cespugli e gli arbusti formavano una barriera scura e impenetrabile. A sud spiccavano i contorni di una collina d'arenaria ricoperta di alberi. Quanto è passato da quando abbiamo marciato lungo quella strada con l'esercito burgundo? Tre mesi? De Vere ha detto che stavano resistendo, ma questo nove o dieci settimane fa... rifletté Ash. Sei ancora là dentro, Roberto? A est, circa due o tre chilometri dal punto in cui si trovava, Ash vide la luce della luna riflettersi sulle acque che lambivano la strada, il Suzon doveva essere straripato. Per quanto avesse socchiuso gli occhi, non riuscì a distinguere nulla oltre quel punto. Vide dei bagliori di luce che potevano essere prodotti dall'ardesia dei tetti di Digione oppure dalle acque dell'altro fiume, l'Ouche. Lanciò un'occhiata alle stelle e si rese conto che mancava poco al Laude 145 . «Cos'hanno detto gli esploratori, sergente Price?» chiese Ash parlando, senza neanche rendersene conto, nell'inglese da campo che conosceva. Illuminato dalla luce della luna il volto dell'uomo aveva acquistato un colorito biancastro. John Price era stato nominato sergente degli arcieri al posto di Carracci. Per un momento Ash non vide i lineamenti pallidi del nuovo sergente ma il volto annerito e le palpebre bruciate di Carracci e si costrinse ad allontanarne il pensiero. «Le teste di tela sono là sotto proprio come pensavi tu, capo146 .» Price si acquattò indicando con un dito. La maglia d'anelli metallici e l'huke147 gli conferivano un aspetto massiccio. L'elmo che indossava era troppo arrugginito per riflettere la luce della luna e tradire la loro posizione. Dei ciuffi di capelli sporchi spuntavano da sotto la calotta di cuoio che portava sotto l'elmo. Ash seguì la direzione indicata dal sergente e cominciò a vedere dei pun145
Le tre del mattino. Non c'è alcuna menzione storica di un assedio di Digione che abbia avuto luogo nel 1476, ma, dato che è descritto all'interno del 'Fraxinus' da Ash o da un cronista visigoto, può darsi che si tratti di un incidente militare di poco conto ignorato dalla storia. Il 'Fraxinus' si interrompe nel novembre 1476 creando uno spazio vuoto tra la fine del testo e la presenza di Ash nella battaglia di Nancy. 147 'Huke': una tunica priva di manica lunga fino alle ginocchia o alle cosce. Di solito non era cucita lungo i fianchi e veniva chiusa con una cintura. 146
ti di luce che rappresentavano i fuochi da campo. Dovevano essere due o trecento disposti tutti alla stessa distanza l'uno dall'altro. Sicuramente ce ne dovevano essere altri, ma non era possibile distinguerli da dove si trovavano. «Le pattuglie escono ogni ora» aggiunse brevemente Price. «Siamo al coperto, ma è meglio che non rimaniamo qua troppo a lungo.» «Bene. Così abbiamo un accampamento nemico tra la strada e il fiume... cosa c'è là sotto?» Price si grattò il naso che gocciolava con le dita sporche e le unghie spezzate, dopodiché infilò nuovamente la mano nella muffola. «Di fronte a noi abbiamo la strada principale che va da nord a sud. Digione si trova sul lato estremo della strada e del fiume, siamo di fronte alle mura ovest, solo che non possiamo vederle. Ci sono delle marcite lungo il fiume, sull'altra parte della strada... è la che hanno posizionato le artiglierie. So anche di alcuni distaccamenti di fanteria a nord, vicino agli incroci.» Price scrollò le spalle. «Potrebbe essere. So di sicuro che ci sono dei distaccamenti di fanteria che bloccano la strada sud che porta ad Auxonne perché li ho visti con i miei occhi. Le teste di tela hanno incatenato delle barche formando una diga che impedisce di usare il fiume per arrivare a Digione.» «Le macchine d'assedio sono là sotto?» Ash socchiuse nuovamente gli occhi, ma riuscì a distinguere solo i fuochi da campo. «E i golem?» «I miei ragazzi sono stati abbastanza bravi da avvicinarsi e capire se quello era un campo degli ingegneri. Vuoi sapere cosa hanno mangiato per cena le teste di tela?» Ash gli sorrise. «Sarei molto sorpresa se non sapessi dirmelo.» Price sogghignò a sua volta. «Non riuscirai mai a ottenere qualcuna di quelle stupidaggini da cavaliere, dai ronconieri. Noi preferiamo sgattaiolare intorno a quei dannati cavalieri nelle loro scatole di latta. Sai come sono fatti i cavalieri, capo... 'morire piuttosto che smontare'!» «Più o meno» rispose Ash secca. «Ecco perché de Vere deve avervi scelto per andare a con lui a Cartagine lasciandosi dietro la fanteria pesante...» «Certo, capo. Metà dei miei ragazzi sono truffatori.» «E l'altra metà ladri» gli fece notare Ash. «Va bene, cosa c'è a nord di Digione? E il lato est oltre l'Ouche?» «Abbiamo esplorato tutto intorno alla città fino al punto in cui i due fiumi si uniscono» Price disegnò con un dito la forma di uno scudo nell'a-
ria. «La città occupa quasi tutto il terreno fino al punto in cui si uniscono. Da questo lato il Suzon serve da fossato. Oltre la zona est, tra la città e l'Ouche, ci sono solo pendii, paludi e precipizi. Un terreno bruttissimo. È in quella zona che alcuni dei miei ragazzi hanno incontrato delle pattuglie delle teste di tela.» «E allora?» «E allora risulteranno mancati.» Price sorrise. «Dio mi faccia marcire, capo, non avevamo molta altra scelta.» «Supponiamo quindi, che al momento i Visigoti sappiano che ci sono delle truppe nemiche nelle vicinanze. Saremo fortunati se penseranno che siamo una banda di contadini o sbandati proveniente da qualche città bruciata, ce ne devono essere parecchie.» Ash socchiuse gli occhi. «Mi ricordo di una strada che arriva da est ed entra a Digione dal cancello nordest...» «Hanno piazzato uomini e cannoni sulle colline sopra il ponte a est. A giudicare da come è stato rivoltato il terreno sembra che dalla città abbiano sparato dei colpi d'artiglieria.» John soffiò sui guanti per scaldarsi le mani. «Pensiamo che sulla collina ci siano una ventina di pezzi tra colubrine, serpentine e bombarde148 . Non si passa dal cancello est.» «Dammi venti cannoni e io renderò la porta est di Digione impenetrabile» disse Antonio Angelotti facendo sussultare Ash che non si era accorta della sua presenza dietro di lei. «Ho dato un'occhiata nei paraggi. Siamo già stati qua.» «Quindi hanno dell'artiglieria laggiù e in quell'altro punto, giusto?» «I fossati funzionano in due sensi, Madonna. Se gli amir non possono ordinare un attacco al muro ovest di Digione che si trova oltre il Suzon a loro volta i difensori non possono tentare una sortita per distruggere le macchine d'assedio. Gli amir hanno piazzato i cannoni in un punto che permette loro di bombardare la città senza problemi.» E l'hanno fatto, pensò Ash. Quanto manca alla caduta della città? Merda, abbiamo impiegato troppo tempo per arrivare fin quassù. «E il settore nord?» chiese Ash. «Cos'hanno schierato in quel punto?» «Una Legione intera e metà di un'altra. Ho visto la XIV Utica e la VI 148
Bombarda: grosso cannone d'assedio che non sparava più di uno o due colpi da duecentocinquanta chili al giorno. I cannoni più piccoli, le colubrine, le serpentine e gli altri permettevano una cadenza di fuoco più rapida.
Leptis Parva149 .» Ci fu un secondo di silenzio. «Ce ne facciamo molto del piano B...» borbottò Ash. È già stata una bella impresa arrivare fino qua evitando le loro forze e combattendo solo quando era necessario, pensò. Merda, speravo di non trovare una tale concentrazione di nemici! Speranza vana... «Dove, esattamente?» domandò Ash. «Vedi gli incroci della strada che arriva da ovest?» Ash riuscì solo a distinguere una forma oscura che spiccava contro il luccichio del fiume e suppose che potesse essere un ponte. «Non riesco a vederli, ma li ricordo, vanno in direzione del confine francese.» «Coprono la porta nord-ovest della città con l'artiglieria proprio come hanno fatto a nord-est.» Price scrollò le spalle. Un odore umidiccio si levò dal vestito. «Hanno radunato un sacco di gente laggiù, capo. Le battaglie principali sono accampate oltre le marcite dove ci eravamo sistemati noi questa estate. Stanno scavando il terreno di fronte al bosco, vicino alla sponda est del fiume.» Ash socchiuse gli occhi e ricordò brevemente il campo nei pressi del Suzon, lo stendardo del Leone Azzurro che penzolava floscio nell'aria calda e, leggermente più a nord, la cappella e il convento al riparo sotto gli alberi. «Quali sono le difese del versante nord di Digione?» «Se ben ricordo, Madonna, si tratta di un fossato scavato tra il Suzon e l'Ouche e delle mura molto spesse. Il terreno di fronte alle mura è una marcita fino alla foresta. Giusto, sergente?» Price annuì. 149
È probabile che si tratti di Legioni visigote che prendono il nome dai luoghi in cui sono state create. A giudicare da quanto scritto nel testo, queste 'Legioni' sembrano attenersi allo standard Classico (dai tremila ai seimila uomini delle Legioni romane) anche per quanto riguarda le strutture ausiliarie per le fanteria e la cavalleria. Probabilmente i Visigoti sceglievano gli ausiliari tra gli schiavi. Tuttavia non c'è alcuna menzione di una divisione in coorti e centurie come nelle Legioni romane. Sospetto che le truppe visigote si attenessero alla suddivisione in voga nell'Europa dell'Ovest durante il Medioevo, ma con qualche aggiunta di tipo religioso e gerarchico al fine di tenere fede al concetto di successori dell'Impero Romano.
«Quello è il punto più debole della difesa. Ecco perché le teste di tela hanno radunato le loro forze proprio là.» Più di seimila, forse settemila uomini. Christus Viridianus, pensò Ash. «Continua» ordinò Ash tornando a parlare ad alta voce. «La porta sud?» «Qualcuno ha fatto crollare il ponte. Non si entra né si esce di là.» «Forse era proprio quello che volevano...» Ash giocherellò con le dita, quindi le appoggiò sulle labbra. «Ci sono troppi soldati, non è un assedio comune. Sta succedendo qualcosa...» Angelotti le toccò una spalla. «Potresti chiedere alla tua voce, Madonna.» «Per sentire cosa?» Erano passate diverse settimane, ma la paura delle ferae natura machinae, le Macchine Impazzite, non l'aveva ancora abbandonata. Le tozze piramidi nel deserto a sud di Cartagine che splendevano sinistre malgrado il Crepuscolo Eterno e la loro natura che era rimasta nascosta per tanti di quegli eoni... Si sforzò di parlare a voce bassa. «Se parlassi alla machina rei militaris, le teste di tela non dovrebbero fare altro che chiedergli cosa volevo sapere, quindi capirebbero che la compagnia si trova proprio sulla porta del loro campo a disposizione di seimila uomini!» Riprese fiato. «Scommetto che il lord amir Leofric chiede ogni giorno alla macchina: 'La bastarda di nome Ash è ancora viva? Ti ha parlato? Se ti ha fatto delle domande dimmi dove si trova e a quanto ammonta il suo contingente. Quali sono le sue intenzioni?'... Sempre che Leofric sia ancora vivo. Forse è morto, ma non posso chiedere!» «A meno che non abbiano sentito anche loro la voce delle Macchine Impazzite, un lord amir potrebbe usare la macchina anche se Leofric è morto, Madonna.» Il sussurro di Angelotti aveva un tono leggermente angosciato. «Se potessi chiedere alla machina rei militaris quali sono stati gli ordini impartiti al faris da Cartagine potresti sapere qual è l'andamento della guerra. So che non puoi chiedere, ma non potresti... ascoltare?» Ash fu percorsa da un brivido gelato che non era stato provocato dal freddo. «L'ultima volta che ho provato ad ascoltare un terremoto ha spianato Cartagine. Non posso ascoltare le parole del Golem di Pietra senza che le Macchine Impazzite lo sappiano, Angeli. Le abbiamo lasciate in Nord Africa, non sanno dove sono e che io sia fottuta se ho intenzione di avere a che fare con quelle cose! Le Macchine Impazzite vogliono la Borgogna?
Be', non è un mio problema!» Non è proprio così visto che sono tornata, pensò. «Non mi è mai piaciuto l'aspetto di quelle piramidi fuori Cartagine» commentò John Price. «Non mi piacciono neanche le teste di tela. Sono un branco di pazzi fottuti. Meglio che non ci trovino. Non dirglielo, capo.» Il senso dell'umorismo dell'Inglese servì a farla sentire meglio. Tuttavia, a una profondità che lo spirito cameratesco non poteva raggiungere, Ash rimase come insensibile. Si sforzò di sorridere perché sapeva che ora l'espressione del suo volto era visibile. «Perché pensi che non sarebbero contenti di vederci? Io penso che non lo sarebbero. Dopo che gli abbiamo lasciato Cartagine in quello stato non penso che abbiamo vinto il premio di simpatia messo in palio dal califfo-re... Sempre che sua possente altezza il califfo-re Gelimero sia ancora con noi, è ovvio.» «La crociata continuerebbe se Gelimero fosse morto?» chiese Rickard, sorprendendo tutti i presenti. «Certo che continuerebbe. La machina rei militaris direbbe al suo successore che è necessario continuare la campagna perché è quello che vogliono le Macchine Impazzite. Sono loro a parlare attraverso il Golem di Pietra. Questo non ha nulla a che fare con la Compagnia del Leone, Rickard.» Ash vide il ragazzino che la guardava stupefatto e si rivolse nuovamente al sergente. L'espressione di Price era un misto di paura e fiducia, era ovvio che stesse aspettando degli ordini. «Questa deve essere una risposta. Ci scommetto.» Ash si massaggiò le cosce per scaldarle. «Tutti questi uomini... Primo: anche se è stato ferito ad Auxonne il duca Carlo deve essere ancora vivo. Secondo: non è scappato a nord. I Visigoti non avrebbero tenuto qua tutti questi soldati fuori di una città del sud se Carlo Téméraire fosse morto o scappato nelle Fiandre. Sono rimasti per finire il lavoro che avevano cominciato.» «Pensi che sia ancora a Digione, capo?» «Sì. Non riesco a vedere altre ragioni per giustificare un simile spiegamento di forze.» Ash posò una mano sulla spalla di Price. «Ma parliamo di cose importanti. Gli esploratori hanno visto le insegne del Leone sulle mura della città?» «Sì!» Fu evidente dall'espressione del sergente che tutte le sue speranze erano rivolte proprio a quel fatto. «I nostri sono dentro! Abbiamo visto la bandiera, capo. I ragazzi di Bur-
ren l'hanno vista prima che facesse buio e sanno riconoscere il Leone Azzurro, capo.» «Non possiamo attaccare i Visigoti?» chiese Rickard, diretto come ogni ragazzino. «Non possiamo rompere l'assedio e tirare fuori mastro Anselm?» «Sempre che Roberto sia ancora vivo...» borbottò Ash. «Sei un ottimista!» continuò ad alta voce. «Vuoi farlo da solo, Rickard?» «Siamo una Legione! Siamo soldati! Possiamo farlo.» «Devo smettere di farmi leggere Vegezio da te...» Gli uomini nelle vicinanze sghignazzarono. Ash si zittì per qualche secondo e sentì la morsa gelida della paura che le attanagliava lo stomaco. Sto per prendere una decisione basandomi su queste informazioni, pensò, e non posso essere sicura al cento per cento... non lo sono mai. «Va bene, ragazzi» disse infine «abbiamo un impegno. Scommetto che il resto della compagnia non è scappato in Francia o nelle Fiandre: sono ancora tutti là dentro sul libro paga del duca Carlo. Quindi, se l'altra metà del Leone Azzurro è tra gli assediati a noi non importa un cazzo delle stranezze di Cartagine e di tutto il resto, prima di tutto dobbiamo tirare fuori i nostri ragazzi.» «Giusto» concordò Angelotti. «Da soli, capo, be'... nessuno verrà a darci una mano. Ci sono solo i Visigoti e dei regni venduti» commentò John Price, disgustato. «La Borgogna è l'unico regno che continua a combattere.» «I Visigoti avrebbero dovuto attaccare i Turchi» disse Angelotti, tranquillo. «Adesso sappiamo perché i lord amir hanno deciso di attaccare la Cristianità lasciando indisturbato l'impero di Mehmet ai loro confini.» «È stato il Golem di Pietra a suggerire loro questa strategia.» Ash ricordò quanto le avevano detto le voci che avevano parlato attraverso la machina rei militaris durante la sua prigionia a Cartagine: «LA BORGOGNA DEVE CADERE. DOBBIAMO FARE CREDERE A TUTTI CHE LA BORGOGNA NON SIA MAI ESISTITA...» Ash ricordava anche di aver chiesto il motivo di tale determinazione, ma di non aver ottenuto nessuna risposta. Si alzò in piedi e sentì il fango che le scivolava lungo le caviglie. Non lo so e non lo voglio sapere! si disse La tensione provocata da quello che sentiva e quello che avrebbe potuto dire ai suoi uomini la zittì. La tranquillità e il freddo la fecero rabbrividire.
Uno spruzzo d'acqua proveniente dai rami degli alberi la investì sospinto da una folata di vento. Mancava poco alla quiete che precede l'alba. «Ricordatevi chi c'è là sotto» disse Ash. «Cannoni, macchine d'assedio e seimila Cartaginesi.» Antonio Angelotti si alzò in piedi. «La città ha resistito per quasi tre mesi, Madonna. Non staranno molto bene là dentro.» Tutti e due avevano pensato alla stessa cosa: ricordavano ancora i villaggi francesi stretti nella morsa del gelo sotto un cielo eternamente buio. La metà delle case in legno erano state bruciate e abbandonate. I resti delle parti in legno coperti di neve. Porcili e granai vuoti. La maglia di un bambino congelata con impressa l'impronta della scarpa che l'aveva calpestata. Case e fattorie deserte, i sovrintendenti che guidavano la gente; signori e vassalli spariti ormai da tempo. Le strade della città vuote, devastate, senza neanche la traccia di un cavallo, un odore. I corpi dei morti di fame, non del tutto integri, erano congelati. Non si può scappare da un assedio. «Dobbiamo tirare fuori Roberto e gli altri» aggiunse Angelotti. Ash si girò verso Price. «La città ha tre porte principali, ci sono delle entrate secondarie?» Il sergente annuì. «Sì, i miei ragazzi le hanno cercate quando ci siamo accampati qua la scorsa estate. Ci sono una dozzina di cancelli secondari e si trovano quasi tutti sul lato est. Ci sono due cancelli per l'acqua che convogliano l'acqua del fiume verso i mulini. Vuoi che facciamo uscire mastro Anselm e il resto della compagnia facendo loro seguire il corso dell'acqua che alimenta i mulini, capo?» «Proprio così, sergente.» Ash lo fissò inespressiva. «Una alla volta. Ci vorrebbero tre giorni, senza contare che dovremmo farlo al buio e nessuno dovrebbe notarci!» John Price sghignazzò e si asciugò il naso con il dorso della muffola. «Giusto.» Vorrei rimproverarlo per la stupidaggine che ha detto, pensò Ash. Ma vorrei che qualcuno cercasse di sollevare il mio di morale. Siamo decisi, questo è poco ma sicuro. Ash si girò in modo da poter vedere i suoi uomini. «Mandate fuori altri esploratori» ordinò, secca, mentre il fiato si condensava a contatto con l'aria gelida. «Devo sapere se il comandante supremo dei Visigoti è nel campo. Voglio sapere dov'è il faris.» «Sarà qua, se il duca è ancora vivo» borbottò Angelotti.
«Voglio saperlo con sicurezza!» «Capito, capo» ubbidì Price. Ash socchiuse gli occhi e osservò con sguardo calcolatore i fuochi del campo visigoto. «Angeli, potresti far passare uno dei nostri attraverso il campo degli ingegneri fino alle mura senza che nessuno lo noti?» «Non è difficile. Gli artiglieri si somigliano tutti una volta che togli loro la divisa.» «Non voglio che sia un artigliere. Trovami un balestriere. Voglio spedire un messaggio oltre le mura. Lo legherò a un quadrello...» «Geraint avrà qualcosa da ridire, Madonna» «Trovami un uomo o una donna di cui ti fidi.» Ash volse le spalle alla vallata e, barcollando a causa del terreno fangoso, si nascose tra gli alberi umidi. Nella sua mente sentiva ancora le Macchine Impazzite che dicevano di voler distruggere la Borgogna e una vocina ironica che le chiedeva per quanto tempo ancora le avrebbe ignorate. «Trovami Geraint, e padre Faversham» ordinò a Rickard che attendeva sul limitare del bosco. «Euen Huw, Thomas Rochester, Ludmilla Rostovnaya, Pieter Tyrrel, Henri Brant e Wat Rodway. Riunione con gli ufficiali al quartier generale. Vai!» Ash fu ben contenta di dover evitare i rami e le insidie del terreno perché era costretta a concentrarsi su dove metteva i piedi e poteva distrarsi dagli altri pensieri. Una decina di uomini armati uscì da un roveto imprecando. Ash li superò e li sentì mormorare qualcosa riguardo le cavolo di dimensioni dell'esercito delle teste di tela e lamentarsi della mancanza di selvaggina nella foresta. Non avevano trovato neanche uno scoiattolo. Il bosco era così fitto anche in pieno inverno da risultare quasi impenetrabile. L'avanzata su un terreno simile era misurata in metri al giorno e non in leghe. Tutto era diventato più facile una volta che avevano raggiunto i terreni coltivati al limitare della foresta. Il sole! pensò Ash mentre teneva una mano appoggiata sulla spalla dell'uomo di fronte a lei e un braccio alzato per ripararsi il volto. Buon Dio, ho viaggiato due mesi nell'oscurità per ventiquattr'ore al giorno e adesso odio la notte. Avanzarono ancora per qualche centinaio di metri, poi fecero una pausa, accesero una lanterna e ripresero il cammino. Ash spostò un ramo privo di foglie e continuò a seguire l'uomo di fronte a lei, era un balestriere della lancia di Mowlett. Il mantello sporco di fango ondeggiava davanti ai suoi
occhi, serrato dalla cinghie di cuoio e dalla faretra dei quadrelli. L'elmo era coperto da uno straccio che sembrava di colore giallo. «John Burren» disse Ash sorridendo. «Quante teste di tela pensate che ci siano là sotto tu e i tuoi uomini?» «Una Legione, più l'artiglieria e un diavolo.» Ash arcuò un sopracciglio. «Un diavolo?» «Sente le voci delle macchine diaboliche, giusto? Quelle dannate cose che ci hai fatto vedere nel deserto. Questo la rende un diavolo. Una fottuta puttana» aggiunse con enfasi. Ash si spostò alla sua destra per evitare un albero e disse: «Anch'io le sento, John Burren.» L'uomo girò la testa e la fissò con un'espressione colma di disagio. «Sì, ma tu sei il capo, capo. Per quanto riguarda lei... c'è una mela marcia in ogni famiglia.» L'uomo scivolò per evitare un cespuglio, riprese l'equilibrio e portò le mani al naso per starnutire. «Comunque non hai avuto bisogno di nessuna voce per tirarci fuori dall'imboscata di Genova, quindi non hai bisogno né di Leoni né di Macchine Impazzite, giusto, capo?» Ash gli diede una pacca sulla spalla. E io che avevo chiesto qualcuno che mi sollevasse il morale... pensò, sorridendo. Cristo Verde, vorrei che avesse ragione. Non ho bisogno di chiedere alla machina rei militaris. Non posso e non devo. Camminarono per un'ora nel buio finché non raggiunsero il campo e vennero accolti dai cani. Duecentocinquanta uomini si erano nascosti nella foresta di betulle. La maggior parte dei tronchi erano stati scortecciati ad altezza d'uomo per alimentare i fuochi da campo. Le sponde di un ruscello erano ridotte a un pantano scuro. Sul lato opposto a quello in cui si trovava Ash in quel momento, Wat Rodway e i suoi uomini armeggiavano intorno ai fuochi delle cucine. Ash, infangata fino alle cosce, accettò una scodella di minestra di verdure e rimase a parlare e a ridere per qualche minuto con le donne come se niente al mondo potesse preoccuparla, dopodiché restituì la scodella e andò via. Angelotti si strinse ulteriormente nel mantello e si avvicinò al fuoco. Aveva gli occhi lucidi e i giorni passati a metà razione gli avevano segnato il viso, ma non lo avevano depresso. L'artigliere capo era una persona dotata di un particolare senso dell'umorismo che non lo abbandonava mai. «Uno degli uomini di Mowlett è arrivato prima di noi, Madonna. Non c'era bisogno che mandassi degli esploratori. Ha riferito di aver visto il
faris e le sue insegne nel campo nemico.» Ash non si accorse neanche dell'ondata di caldo proiettata dalle fiamme. Stava pensando ad altro. Pensava a una donna che non aveva un nome, ma solo un grado militare150 . Una donna che, eccettuati gli sfregi, aveva il suo stesso volto e comandava l'esercito invasore e cosa altro... «Ci avrei scommesso. Si trova dove il Golem di Pietra le ha detto di stare.» Ash si corresse. «Dove le Macchine Impazzite le hanno detto di stare.» «Madonna...» «Ash!» Un'altra figura apparve al suo fianco facendosi strada tra la gente. Era vestita con un abito verde e marrone. Il mantello e il farsetto la rendevano quasi invisibile perché sembravano un tutt'uno con il paesaggio circostante. «Devo parlarti» le disse Floria del Guiz. II «Sì, appena ho finito di parlare...» Ash si asciugò la bocca con la manica, masticando il pezzo di pane che le aveva portato Rickard bevendo al tempo stesso una sorsata di acqua in piedi. Tutte queste operazioni, come al solito, erano state fatte mentre camminava. Ash annuì distrattamente in direzione di Florian notando al tempo stesso la presenza di Rickard, Henri Brant e un paio di armaioli. Tutti le volevano parlare e lei si girò nuovamente verso Angelotti. «No» Florian interruppe il gruppo. «Devo parlarti. Adesso. Nella mia tenda. Ordine del dottore!» «Va bene, va bene...» L'acqua fredda le fece dolere i denti. Finì di ingoiare il pane, quindi si girò verso Henri Brant e gli altri e disse: «Parlate con Angeli e Geraint Morgan!» Indicò con un cenno della testa a Rickard di avvicinarsi a un fuoco e quando si girò per conferire con il dottore, vide che questi si era allontanato. «Fiamme dell'Inferno, donna! Devo sistemare un mucchio di faccende prima di mattina!» Il medico alto e snello si fermò e girò la testa. L'oscurità della notte occultava gran parte del volto. Un fuoco da campo illuminava il ciuffo di capelli che era sceso fino al mento. Ash pensò che Florian doveva aver cercato di aggiustare i capelli con una mano perché vide delle macchie di 150
Faris: cavaliere.
fango sui capelli e sulla guancia. «Lo so che non mi disturbi se non hai un buon motivo. Cosa c'è questa volta? La lista dei malati si è allungata?» Ash scivolò e infilò lo stivale in una pozzanghera fangosa nascosta dal buio, ma ormai i piedi erano talmente fradici che il freddo non le diede fastidio. «No, te l'ho già detto: voglio parlarti.» Florian aprì la sua tenda che era stata eretta con una certa difficoltà tra gli alberi. La tela emise un rumore allarmante e rifletté il movimento delle fiamme. Ash abbassò la testa ed entrò nel padiglione scuro e che odorava di muffa. Impiegò qualche secondo ad abituare la vista alla luce fioca emanata dalle candele e vide che i lettini da campo erano vuoti. «Sono a corto di amamelide e della pianta di san Giovanni» esordì Florian, irritata «e vicinissima a smettere di fare il chirurgo. Non fremo all'idea che arrivi domani. Non ho bisogno di te, diacono.» Continuò a tenere aperta la tenda. Il prete posò il pestello nel mortaio e uscì dalla tenda. Niente nel suo comportamento faceva capire che si trovava a disagio di fronte a una donna vestita da uomo. «Visto, Florian. Te l'avevo detto.» Ash si sedette su una delle panche e appoggiò un gomito sul tavolo usato per preparare le erbe fissando il chirurgo donna. «Li hai ricuciti dopo Cartagine... sei stata con loro sotto il fuoco. Sei rimasta con noi per tutto il viaggio di ritorno. La compagnia starà pensando: 'non importa se è una lesbica, è la nostra lesbica'.» La donna si accomodò su una sedia imbottita. La luce delle candele non permetteva di scorgere chiaramente l'espressione del volto, ma la voce era venata da una certa amarezza. «Oh, non mi dire? E dovrei essere contenta? Quanto sono magnanimi!» «Florian...» «Forse dovrei incominciare a dire: 'va bene, sono solo una manica di ladri e stupratori, ma è pur sempre la mia...'' Al diavolo! Non sono la... la... mascotte della compagnia!» Colpì il tavolo con la mano facendo ondeggiare le fiamme delle candele. «Non è giusto» disse Ash, mite. Gli occhi verdi di Florian rifletterono la luce. «Volevo solo sapere qual è il tuo stato d'animo. Quello che volevo dire è che scopriremmo molto presto quanto sono la loro lesbica se dovessi portare una donna nella mia tenda.» «Il mio stato d'animo?» «Oggi o domani dovremo combattere» annunciò Florian, con il tono di
voce di chi non pone domande, ma afferma un dato di fatto. «Questo non è il momento giusto per parlarti di certe cose, ma potrebbe non esserci più l'occasione. Potremmo morire tutte e due. Ti ho osservata per tutto il viaggio, Ash. Non parli. Non hai parlato dal giorno in cui siamo partiti da Cartagine.» «Quando è stato?» Ash si rese conto che stava ancora tenendo in mano la coppa di legno e che era vuota. «Non hai nascosto del vino?» «No e se ne avessi lo terrei per i feriti.» Ash, che si era abituata alla luce della tenda osservò l'espressione di Floria. Il volto intelligente del medico era segnato dal poco cibo e dalle marce forzate, ma non dall'eccesso di vino o birra. Sono settimane che non la vedo ubriaca, pensò Ash. «Hai smesso di parlare dal giorno in cui quelle cose del deserto ti hanno spaventata a morte» continuò il chirurgo. Ash provò una stretta allo stomaco e la paura le diede la nausea. «Avevo ragione» aggiunse Florian. «Ti ho osservata. Hai cominciato a chiuderti dopo, quando attraversavamo il Mediterraneo e continui a evitare di affrontare il problema!» «Odio le sconfitte. Eravamo così vicini a distruggere il Golem di Pietra e abbiamo fatto in modo di convincere i nemici che la macchina necessita di maggiore protezione.» Ash cercò di bloccare il tremore delle mani e osservò le nocche che sbiancavano. «Continuo a pensare che avrei potuto fare di più. Avrei dovuto fare di più.» «Non puoi continuare a combattere una battaglia svoltasi nel passato.» Ash scrollò le spalle. «So che sotto il livello della strada c'era una breccia nella casa di Leofric. Ho visto i suoi dannati ratti bianchi nelle fogne! Se fossi riuscita a trovare la breccia forse avremmo potuto raggiungere il sesto piano sotterraneo e distruggere il Golem di Pietra e adesso le Macchine Impazzite non avrebbero potuto più parlare con nessuno!» «Ratti bianchi! Non mi hai mai detto nulla.» Florian si sporse sul tavolo. La luce delle candele fece risplendere il suo viso. L'espressione era intensa, sembrava che stesse cercando delle crepe in un muro. «Leofric... il lord a cui appartieni? Il padrone del faris suppongo. Quello a cui abbiamo cercato di distruggere la casa? Ratti?» Ash strinse la coppa anche con l'altra mano e fissò l'ombra sul fondo. La tenda era un po' più calda rispetto alla finestra, ma in quel momento avrebbe voluto trovarsi davanti a un fuoco da campo. «Il lord amir Leofric non alleva solo gli schiavi come me, ma anche i
ratti. Sono bestie che non hanno il pelo dello stesso colore dei ratti comuni e sono quelle che ho visto quando il terremoto ha colpito la casa di Leofric. Ma forse non si trattava dello stesso quadrante della casa dove si trovava il Golem di Pietra, forse la breccia non era abbastanza larga da far passare gli uomini...» Ash sfumò la frase. «Avrei voluto, avrei dovuto, avrei potuto.» L'espressione di Floria si alterò. «Hai parlato di quanto era successo a Godfrey nel mezzo di uno scontro. 'È morto' mi hai detto e da quel momento non hai pronunciato più una parola sull'argomento.» Ash vide il fondo della coppa che si annebbiava e ci impiegò qualche secondo a rendersi conto che aveva le lacrime agli occhi. «Godfrey è morto durante il crollo del palazzo della Cittadella» spiegò, ironica. «Gli è caduta addosso una pietra» aggiunse. «Anche la fortuna di un prete finisce prima o poi, suppongo. Siamo una compagnia di mercenari, Florian, è normale per noi che la gente muoia.» «Conoscevo Godfrey da cinque anni» rifletté ad alta voce il chirurgo. Ash la ascoltò senza guardarla. «Era cambiato quando aveva scoperto che ero una donna e vorrei che non l'avesse fatto però, adesso, lo ricordo con più compassione. Ma, io, Ash, lo conoscevo da poco tempo, mentre per te era l'unica famiglia che tu abbia mai avuto.» Ash si inclinò all'indietro e fissò Floria negli occhi. «Ho capito. Volevi parlarmi in privato perché pensi che io non abbia pianto la morte di Godfrey. Perfetto. Lo farò quando avrò tempo.» «Tu hai avuto il tempo di andare con gli esploratori invece di aspettare che ti facessero rapporto come al solito!» La rabbia, o forse la paura dell'immediato futuro, spinsero Ash a rispondere con astio. «Se vuoi fare qualcosa di utile, allora piangi quella nullità di tuo fratello, perché nessuno lo farà!» Sulla bocca di Florian apparve un ghigno inaspettato. «Fernando potrebbe essere ancora vivo. Potresti avere ancora un marito, con tutti i suoi difetti. Non è detto che tu sia vedova.» Il volto di Floria non mostrava nessuna espressione di dolore. Non riesco a capire cosa le passa per la testa, pensò Ash. Quanti anni di differenza ci separano? Cinque? Dieci? In questo momento potrebbero essere benissimo cinquanta! Ash si alzò in piedi. Il fondo della tenda era scivoloso e l'aria aveva un odore stantio.
«Fernando ha cercato di proteggermi di fronte al califfo-re... Non so quanto sia stato saggio da parte sua. Non l'ho più visto dal momento in cui è crollato il tetto. Mi dispiace, Florian, pensavo che fosse qualcosa di serio. Non ho avuto tempo.» Fece per avvicinarsi all'uscita. L'aria della notte faceva ondeggiare le pareti di tela della tenda e le fiamme delle candele. Florian l'afferrò per una manica e Ash abbassò gli occhi per osservare la mano sporca. «Ti ho vista concentrarti.» Floria non accennava ad abbandonare la presa. «È vero, questo ci ha permesso di attraversare mezza Cristianità e arrivare fin qua, ma non ti manterrà in vita, adesso. Sono cinque anni che ti conosco e ti osservo. So come ti comporti prima di una battaglia. Sei...» Florian mollò la presa e fissò il volto nascosto dall'oscurità in cerca delle parole giuste. «Sono due mesi che ti sei... chiusa in te stessa. Cartagine ti ha spaventata. Le Macchine Impazzite ti hanno terrorizzata a tal punto che non vuoi più pensare! Devi riprendere a farlo, altrimenti cominceranno a sfuggirti i particolari importanti, le opportunità, gli errori. Farai ammazzare un mucchio di gente! Ti farai ammazzare.» Ash strinse la mano gelata del dottore, si sedette al suo fianco e portò le dita alla fronte come se volesse liberarsi di un peso opprimente. «Già...» Le emozioni si cristallizzarono sul volto di Ash. «È come la notte prima della battaglia di Auxonne. Sai che non puoi più rimandare una decisione. Devo rimettere tutto a posto.» Ricordò la situazione. «Anche allora ero in questa tenda, giusto? E parlavamo. Io... ho sempre voluto scusarmi e ringraziarti per essere tornata nella compagnia.» Alzò gli occhi per fissare il volto pallido di Florian. «Ero sconvolta all'idea di essere incinta» si spiegò «e ho male interpretato quello che mi hai detto.» Florian aggrottò la fronte. «Dovrei visitarti.» «Sono passati diversi mesi dall'aborto e tutto è tornato a posto» rispose Ash. «Puoi chiedere alla lavandaie che mi puliscono i panni.» «Ma...» Ash la interruppe. «Vorrei scusarmi per quello che ti ho detto quella volta. Non pensavo che tu fossi gelosa perché potevo avere un bambino. E... be', sapevo che non... insomma... che non ci stavi provando. Mi dispiace di averlo pensato.» «Ma avrei voluto» disse Floria. Il sollievo che Ash provava in quel momento per aver porto le sue scuse
fu tale che rischiò di non farle ascoltare la risposta di Florian. Appena si rese conto delle parole del medico si girò a fissarla. «Avrei voluto» ribadì Florian «ma a che scopo? Tu non guardi le donne. Non l'hai mai fatto. Ti ho osservata, Ash, hai avuto donne in questa compagnia che erano fuoco puro e non le hai mai degnate di uno sguardo. Il massimo che hai fatto era di mettere loro un braccio intorno al fianco per spiegare come si maneggia la spada... ma questo per te non significa nulla, vero?» Ash sentiva il petto che le doleva, la veemenza del chirurgo l'aveva lasciata senza fiato. «Di' pure quello che vuoi riguardo al fatto di essere 'uno dei ragazzi'...» disse Floria. «Ti ho vista flirtare con metà dei comandanti della compagnia. Puoi pure chiamarlo carisma se ti va. Forse nessuno di voi capisce cos'è effettivamente. Ma tu sei attratta dai ragazzi, specialmente da quella puttana di mio fratello! Non dalle donne. Che senso avrebbe provarci con te?» Ash la fissò con la bocca leggermente aperta. Non le veniva in mente niente da dire. Il freddo della notte le fece lacrimare gli occhi e colare il naso. Si asciugò con la manica continuando a fissare la donna davanti a lei. Cercò disperatamente le parole, ma non ci riuscì. «Non preoccuparti» la rassicurò Florian. C'era una venatura di fragilità nella voce del medico. «Non ci ho provato allora e non ci provo adesso, ma non perché non ti voglio. Sei tu a non volere me.» Il tono di voce del chirurgo era diventato più duro. Questa è Florian, pensò Ash. Gesù, è una di quelle persone che considero un amico. Combattuta tra la repulsione e il desiderio di consolare la donna, cominciò ad allungare una mano, ma poi decise di fermarsi. «Perché lo dici adesso?» «Domani potremmo essere morte entrambe.» «È un'eventualità che è sempre esistita.» «Forse volevo solo svegliarti.» La donna si inclinò all'indietro come se volesse rilassarsi senza far notare che si stava allontanando leggermente da Ash. In quel momento poteva essere pensierosa, corrucciata, ma la luce era talmente fioca che era impossibile saperlo. «Ti ho sconvolta?» le chiese Florian dopo qualche secondo di silenzio. «No... non credo. Sapevo di te e Margaret Schmidt... ma non ho mai pensato che tu potessi guardarmi in quel modo... credo di essere... lusingata.» Una risata trattenuta echeggiò nella tenda. «Meglio di quanto sperassi.
Almeno non lo stai trattando come un problema di gerarchia!» Ash sorrise: quella era il Florian che conosceva. Il Florian che sapeva sempre quale sarebbe stata la sua reazione. «Be'... sì, sono lusingata di scoprire di essere una donna attraente per te! È la stessa cosa che succede con gli uomini. Mi capita di tanto in tanto nella compagnia e dico loro che troveranno una brava donna... solo che non sono io.» «Posso sopportarlo» rispose Floria con noncuranza. «Allora...» Ash provò la sensazione spiacevole di dover dire o fare qualcosa e si alzò in piedi passeggiando nervosamente. Fissò la donna seduta. «Cosa... dovrei farne di quello che hai detto?» «Niente.» Un accenno di sorriso sfiorò le labbra di Florian e scomparve. «Fanne quello che vuoi. Sveglia, Ash! Qua non si tratta di tirare fuori da un assedio metà della compagnia. Siamo tornati nel ducato e tu hai trascorso metà della notte sulla spiaggia fuori Cartagine dicendo che...» esitò in cerca delle parole «queste ferae machinae 151 hanno passato gli ultimi duecento anni a ingannare la Casata dei Leofric spingendoli ad allevare uno schiavo per conquistare la Borgogna... dopodiché non hai detto più nulla. Adesso siamo in Borgogna, Ash. Questa non è una guerra che non interessa nessuno. Ti comporterai come nelle altre campagne? Tu e tua sorella siete solo... dei condottieri?» Ash, che non si rendeva conto di aver assunto un'espressione distante, come se stesse ancora ascoltando gli echi di quanto le avevano detto le Macchine nella sua testa, tornò alla realtà e lanciò una rapida occhiata alla sua interlocutrice. «No, hai ragione, Florian. Non sono solo un condottiero.» «Cosa sei, allora?» «Questa non è 'solo un'altra campagna', ma... non prenderla male... la Borgogna non è affare nostro. O tuo.» «Ma Cartagine sì.» Ash udì le voci familiari dei comandanti di lancia fuori dalla tenda e distolse lo sguardo dall'espressione inflessibile della donna. «Devo andare alla riunione degli ufficiali. Vieni con me. Voglio che tu senta le condizioni della compagnia. Hai altri feriti da curare?» «Abbiamo perso l'ultimo ferito che non poteva camminare a nord di Lione» rispose in tono secco. Ash volse le spalle alle candele, trovò a tentoni la falda della tenda e l'apri. La tela gelata le graffiò le dita e lei si infilò le muffole bagnate. Uscì 151
Macchine Impazzite.
sapendo che Florian la stava seguendo e disse: «Ho dimenticato tutto. Ho passato la maggior parte del viaggio a pensare cosa avremmo fatto una volta arrivati qua...» Sentì lo sbuffo cinico di Florian. Ash si fermò e osservò l'oscurità. In un punto del campo, sotto un riparo fatto con i rami si alzò una nuvola di fumo provocata dalla legna ancora verde. «Spegnete quel cazzo di fuoco!» Geraint ab Morgan, la raggiunse in compagnia di un sergente. Aveva con sé la maggior parte del suo equipaggiamento e teneva la grossa spada appoggiata sulla spalla. «Ci siamo tutti capo. Sono nella tua tenda.» Il terreno era troppo accidentato ed erano state erette solo due tende, quella del medico e la sua. La maggior parte dei ripari erano stati costruiti con rami o teli infangati tesi tra gli alberi. Ash si affiancò a Morgan e seguirono gli ultimi comandanti di lancia che si recavano alla sua tenda... una struttura malferma assicurata alle radici e ai rami degli alberi che cominciava a vacillare a causa dell'umidità che afflosciava i tiranti. «Quanti uomini ci sono rimasti ancora, Geraint?» L'uomo si passò una mano tra i corti capelli. «Circa Centonovantatré, giusto? Parlo di quelli che possono combattere. Con quelli al seguito dei carri arriviamo a tre o quattrocento, ma si stanno aggiungendo dei civili.» «Buttateli fuori prima di colazione» ordinò Ash, calma fissando Geraint. «Alcuni dei ragazzi si sono presi delle donne. Se le sbattiamo fuori moriranno di fame e ai ragazzi non piacerà, capo.» «Merda!» Ash batté il pungo sul palmo della mano. «Lasciatele. Mandarle via creerebbe più problemi che altro.» «Pragmatica...» borbottò Floria del Guiz con un sorrisetto appena visibile, a causa del buio, stampato sulle labbra. Il sottobosco era stato parzialmente estirpato per costruire dei giacigli o calpestato fino a essere ridotto a un pantano. Non c'erano né capre né galline. Il campo aveva una forma allungata e ospitava circa cinquecento tra uomini e bestie da traino. Gli arcieri e altri mercenari sedevano intorno ai fuochi da campo intenti a mangiare le magre razioni. Un mulo ragliò tra gli alberi. Ash alitò sui guanti ricoperti di maglia metallica mentre camminava osservando i paggi e gli scudieri che accudivano i muli, i ronconieri e gli archibugieri intenti a litigare con i sergenti e i caporali per l'affidamento dei servizi e le donne e i bambini dai volti magri che vagavano ovunque. A giudicare dal morale dovevano essere i nuovi arrivati. «Abbiamo perso altri uomini, allora?»
«La scorsa notte, prima che ci accampassimo. Meno di quelli che abbiamo perso nel Sud, comunque.» Non siamo arrivati qua abbastanza in fretta, pensò Ash. Geraint aggrottò la fronte. «Ho cominciato a riorganizzare alcune delle lance con pochi uomini in gruppi più piccoli, ma vorrei che lasciassi ad Angelotti il compito di organizzare gli altri. Abbiamo portato con noi tutta la compagnia degli arcieri e mi stanno prendendo troppo tempo.» «Sei molto meglio come organizzatore che come sergente degli arcieri!» disse Ash, pensierosa. «Va bene! Credo che sia meglio che tu continui con quello che stavi facendo.» Raggiunsero la tenda. Geraint ab Morgan passò davanti a Floria del Guiz per entrare, poi scattò all'indietro goffamente per farla passare. «Sangue di Dio! Non puoi mostrarmi il pelo del pube e poi aspettarti che io voglia essere trattata come una signora» obiettò Floria entrando nella tenda. Ash si accorse dell'espressione di Geraint e quasi scoppiò a ridere. «State tranquilli» disse, sorridendo mentre entrava. «Rickard, apri una delle falde, così entra un po' di luce dei fuochi.» «Potrei accendere una lampada, capo.» «No, a meno che il padre Faversham qua presente non ti aiuti con un miracolo. Abbiamo finito l'olio per le lampade, giusto Henri?» «Giusto, capo. Quello e un mucchio di altre cose. Non possiamo contare in eterno su quello che abbiamo ramazzato dalle città abbandonate.» «Sempre che fossero abbandonate prima della 'ramazzata'...» aggiunse Floria sedendosi su uno sgabello e lanciando un'occhiata caustica a Thomas Rochester ed Euen Huw mentre entrava nella tenda. «Lo erano. Quasi tutte, voglio dire.» Il volto sporco di Euen assunse un'espressione oltraggiata. «Chi può dirlo al buio? Bottino di guerra, giusto, capo?» Ash lo ignorò e si guardò intorno. La Rostovnaya, la russa, arrivò subito dietro Euen. Geraint ab Morgan sussurrò qualcosa all'orecchio di Pieter Tyrrell massaggiandosi il guanto di cuoio cucito intorno a tutto ciò che rimaneva della mano, un dito e il pollice. Wat Rodway, che si era appoggiato al palo centrale della tenda, cominciò ad affilare il coltello da cucina, mentre Henri Brant gli parlava in tono allarmato. «Come stiamo a cibo, Henri?» domandò Ash. L'uomo si guardò intorno. «Hai fatto bene i calcoli, capo. Metà razione a partire da metà della scorsa settimana e uomini armati a guardia dei muli.
Oggi è l'ultima volta che mangeremo cibo caldo, stiamo finendo anche il pane scuro. Dovrebbe essercene ancora per due giorni, poi... più niente.» «È definitivo?» «Mi hai dato cinquecento persone da nutrire; sì, è definitivo, non c'è altro da fare. Non ho più nulla da cucinare!» Ash alzò una mano per calmare l'uomo che nel frattempo era diventato rosso in volto e cercò di dominare la propria paura in modo che non trapelasse sul suo viso. «Non è un problema, Henri. Non ti preoccupare. Geraint?» La voce cupa di Geraint ab Morgan echeggiò nell'aria stagnante della tenda. «Noi non pensiamo che sia una buona idea attaccare la città.» Ash non si aspettava una sfida e sussultò, colta di sorpresa. «Chi sarebbero i 'noi'?» «'Fanculo, capo.» Ludmilla Rostovnaya non rispose direttamente. «Va' avanti, dicci come faremo a tirare fuori il resto della compagnia da Digione e come andremo in Inghilterra. Cosa faremo, capo, sputiamo addosso alle teste di tela?» «Già, sputiamo e le mura crollano» ringhiò Geraint. Ash lanciò un'occhiata a Thomas Rochester e scosse la testa. «Sai una cosa?» rispose in tono interlocutorio. «Non me ne frega niente di quello che tu credi possa essere una buona idea, Geraint. Io mi aspetto che i miei ufficiali si tengano informati su quello che sta succedendo.» «Dèmoni.» L'uomo la fissò dritta negli occhi. «Il califfo-re ha dei dèmoni dalla sua parte che gli dicono cosa fare!» «Dèmoni, Macchine Impazzite, chiamale come vuoi, ma in questo momento il problema più grosso sono quelle Legioni di Visigoti accampate fuori Digione!» Geraint si grattò il cavallo dei pantaloni continuando a fissare Ash a bocca aperta ancora per qualche attimo, quindi lanciò un'occhiata a Ludmilla Rostovnaya. «Il tuo braccio è a posto?» le chiese Ash. La donna rispose con un cenno esitante del capo. «Bene. Presentati a rapporto da Angelotti. Ha un lavoro per te e i tuoi balestrieri. Sto per scrivere una dozzina di messaggi per quella parte della compagnia che è rimasta a Digione e voglio che voi li spediate oltre le mura... voglio anche che aspettiate la risposta del capitano Anselm. Chiaro?» La donna aveva ricevuto un incarico e sembrava rassicurata. «Adesso, capo?»
«Angelotti è con gli archibugieri. Vai.» «Non sono d'accordo!» intervenne Geraint ab Morgan mentre gli ufficiali si sistemavano per occupare lo spazio lasciato vuoto dalla compagna d'arme. «L'idea di assaltare Digione è una follia. Gli uomini non ti seguiranno.» Tutti si zittirono e Ash si guardò intorno. «Dovrai fidarti di me» disse, fissando gli occhi iniettati di sangue di Geraint. «So che abbiamo fame e siamo esausti, ma siamo qua. Quindi o hai fiducia che ti tiri fuori di qua o no. Cosa scegli, Geraint?» Il grosso gallese si guardò intorno come se stesse cercando l'appoggio di Euen Huw, ma il magro e sporco comandante di lancia strinse le labbra e scosse la testa. Thomas Rochester borbottò qualcosa sottovoce. L'unico suono chiaro che si udiva nella tenda era quello prodotto dal coltello di Wat Rodway che scivolava sulla cote. «Allora?» Ash fissò gli uomini presenti nella tenda. Il fiato si condensava nell'aria gelida. Corpi giganteschi agghindati con cinture, daghe, spade e faretre. In mezzo a quella compagnia di soldati, Ash notò Floria che si alzava e si avvicinava al cuoco. «Io sono con te» disse Floria superandola. Henri Brant annuì, Wat Rodway alzò gli occhi e fece un unico cenno d'assenso con la testa. «Mastro Morgan?» «Non mi piace» rispose improvvisamente Geraint ab Morgan senza abbassare lo sguardo. «È già un male che il nemico sia guidato da un demonio, giusto? Adesso lo siamo anche noi.» «'Noi'?» indagò Ash. «Ho visto quello che è successo mentre aspettavamo le galee. Stavi tornando dritta nel deserto. Forse tornavi da quelle vecchie piramidi. Cosa ci facciamo qua, capo? Perché siamo venuti fino a Digione?» «Perché la compagnia è dentro la città.» Ash si spostò di lato, sedendosi sul bordo di un tavolino coperto di mappe sulle quali aveva cercato di tracciare la strada che li aveva portati fino in Borgogna. Guardò gli ufficiali seduti sugli sgabelli, Floria vicino a Wat Rodway che continuava a rimanere appoggiato al palo, Brant che spostava il peso da un piede all'altro e la figura imponente di Richard Faversham che incombeva dietro tutti. La luce che proveniva dall'esterno rendeva visibili solo i profili. Fece un cenno a Rickard che aprì ulteriormente la falda e uscì a scambiare quattro parole con le guardie.
«Va bene» disse Ash. «Adesso vi spiego qual è la situazione. Prima di tutto ne parlerò con voi, poi con tutti i comandanti di lancia e infine con i ragazzi. Vi dirò cosa facciamo qua, poi vi informerò su quello che ho intenzione di fare dopo. È chiaro?» Tutti annuirono. «Tutti noi sappiamo» disse, continuando a fissare più che altro Geraint ab Morgan «che c'è un nemico che si cela dietro il nemico. La Cristianità sta combattendo i Visigoti, i Burgundi combattono i Visigoti, ma non è tutto, giusto?» Era una domanda retorica e Ash fu colta alla sprovvista quando Geraint borbottò: «Non è quello che avevo appena detto? Guidati da un demonio. Il faris, il loro generale, è un demonio.» «Sì.» Posò una mano sul tavolo. «Sente la voce di un dèmone e lo stesso vale per me.» L'arciere gallese sussultò mentre Euen Huw e Thomas Rochester scrollarono le spalle. «C'è più di un fottuto dèmone» commentò Rochester cercando di sembrare noncurante. «Il cazzo di deserto ne era pieno, giusto, capo?» «Tutto a posto, Tom. Anch'io me la sono fatta addosso.» Per un momento rimasero tutti zitti a ricordare le luci color argento, rosso e blu ghiaccio illuminare il deserto buio e rividero le file di piramidi che spiccavano contro il fuoco argenteo. «Pensavo di ascoltare la voce di un Leone... ma era il Golem di Pietra» spiegò Ash. «E ormai tutti sapete che a Cartagine ho sentito la voce delle Macchine Impazzite. Le voci dietro il Golem di Pietra. Non so se il faris conosce la loro esistenza, Geraint. Non so se qualcuno... la Casata dei Leofric, il califfo, il faris... sa qualcosa di quelle dannate Macchine Impazzite.» Si concentrò su Geraint. «Ma sappiamo che Leofric era una marionetta e che sono state le Macchine Impazzite a dirgli di allevare la figlia schiava. Sappiamo che questa non è una guerra come tutte le altre. Lo sappiamo fin dal primo giorno.» «Non mi piace, capo» disse Geraint. Ash notò le spalle curve e il fatto che avesse girato nuovamente la testa in cerca dello sguardo di approvazione dei compagni, sorrise, scese dal tavolo e si mise di fronte all'arciere. «Per l'inferno, non piace neanche a me, ma non tornerò dalle Macchine Impazzite. È da quando siamo partiti dal Nord Africa che non sento il loro richiamo, credimi.» Lo afferrò per gli avambracci.
Ferma di fronte al gallese e illuminata dal riflesso dei fuochi da campo c'era una donna forte, sporca di fango, con le mani e il volto segnati da sfregi bianchi e il corpo marchiato da vecchie ferite. Quella figura, che aveva le mani infilate in un paio di muffole con gli anelli metallici arrugginiti e una spada al fianco, come se quella fosse l'unica cosa che importasse, gli stava rivolgendo un sorriso carico di fiducia. Geraint drizzò le spalle. «Non mi piace, capo» ripeté. Fissò le mani di Ash. «Non piace neanche ai ragazzi. Non sappiamo quale sia lo scopo di questa guerra.» «Saccheggio, furto, ubriachezza e fornicazione, mastro Morgan?» suggerì Florian, acida. «Non siamo ancora in grado di battere un'altra compagnia sul campo» disse Euen Huw, come se stesse affermando qualcosa di ovvio. «Mastro Anselm e gli altri!» gracidò Rickard. Le voci dei presenti erano tutte un po' tese. Ash lasciò andare le braccia di Geraint Morgan, gli diede una pacca amichevole, e si girò a guardare gli altri. «No. Geraint, ha ragione. Non sappiamo quale sia il motivo di questa guerra.» Fece una pausa. «Neanche i Visigoti lo sanno. È questa la chiave. Pensano che sia una crociata contro la Cristianità, ma è molto di più.» Si tolse lentamente le muffole e strofinò le dita intirizzite. «So che le Macchine Impazzite hanno suggerito l'idea a Leofric che a sua volta l'ha messa in testa al califfo-re. Gli parlano attraverso il Golem di Pietra. L'esercito visigoto è venuto fin qua perché gli è stato ordinato dalle Macchine Impazzite. Non sono andati a Costantinopoli o da qualche altra parte nell'Est... sono venuti qua, in modo da poter radere al suolo la Borgogna.» «Perché proprio la Borgogna?» domando Richard Faversham, in inglese. «Già: perché proprio la Borgogna?» ripeté Ash, traducendo nel patois dei campi mercenari. «Non lo so, Richard. Non ho la minima idea di cosa li abbia spinti a portare un esercito fin quassù.» Geraint ab Morgan rise sorpreso e senza rendersene conto tornò in mezzo ai compagni d'arme. «Sei impazzito, capo? Come avrebbero potuto combattere il duca Carlo?» Ash guardò oltre il Gallese. «Abbiamo bisogno di più luce in questa tenda, Richard.» Tutti i presenti fecero silenzio. Il robusto prete inglese scese dallo sgabello e si inginocchiò. Thomas Rochester si fece da parte, Floria lanciò
uno sguardo interrogativo ad Ash, Wat Rodway mise via la cote e rinfoderò il coltello. «In nomine Christi Viridiani... 152 » La voce tenorile del prete zittì tutti. «... Christi Luciferi 153 , Iesu Christi Viridiani...» La preghiera continuò e altre voci si unirono a quella del prete. Ash osservò quegli uomini che chinavano la testa e giungevano le mani, anche Rickard, fermo in prossimità della falda, si era inginocchiato nel fango freddo. «Dio risponde al tuo appello» annunciò Faversham «e ti concede quanto richiesto.» Una luce gialla, simile a quella di una candela, brillò nell'aria. Ash sentì un brivido allo stomaco e chiuse gli occhi involontariamente. Un calore tenue le lambì le guance. Riaprì gli occhi e vide, chiaramente i volti di Euen Huw, Thomas Rochester, Henri Brant, Floria del Guiz. Antonio Angelotti entrò proprio in quel momento. I capelli bagnati e infangati e il volto sporco di polvere da sparo gli conferivano una bellezza soprannaturale. «Sia benedetto.» L'artigliere portò una mano al cuore. «Cosa succede?» «Luce nell'oscurità. Perdonami mio Signore» disse Ash posando una mano sulla spalla del prete. Alzò la testa e fissò la tenda, le spade e gli ultimi ciuffi di erba che pendevano dalla ruota del tetto. Le ombre danzavano ovunque. «Non ne avevo bisogno, volevo solo dimostrare che poteva essere fatto. Mi dispiace di averti usato, Richard.» La luce color miele incombeva su di lei. Ash vide delle scintille biancastre brillare al limitare del suo campo visivo. Richard Faversham baciò la croce di rovi e si alzò in piedi. «L'uomo chiede sempre l'intervento di Dio, capitano Ash» mormorò il prete «e per molto meno di questo: tuttavia sembra che per Lui tutto sia piccolo come la fiamma di una candela. Comunque, io sono con la compagnia per operare dei piccoli miracoli.» Ash si inginocchiò. «Beneditemi.» «Ego te absolvo» recitò il prete. Ash si alzò in piedi. «Tu hai fatto una domanda, Geraint. Hai chiesto in quale altro modo i 152 153
'Nel nome del Cristo Verde.' 'Cristo Portatore di Luce.'
Visigoti avrebbero potuto combattere il duca Carlo. Bene, l'hai appena visto.» Il capitano scosse la testa. «Non capisco, capo.» La luce tremò. «Con i miracoli» disse Ash, guardandosi intorno. «Non come questo. Non con i miracoli di Dio, ma con il male: con dei miracoli diabolici. L'ho saputo dalle Macchine Impazzite... esse hanno allevato il faris servendosi della discendenza di Gundobad. Il faris ha lo stesso sangue del Fautore di Miracoli affinché diventi un altro Profeta, un secondo Gundobad, ma non al servizio di Cristo. L'hanno allevata in modo da rappresentare il loro potere sulla terra e fare i loro miracoli. Lo farà al loro comando... e loro possono comandare.» Richard Faversham si leccò le labbra secche. «Dio non lo permetterebbe.» «Forse, ma non lo sappiamo.» Ash fece una pausa. «Quello che sappiamo è che il faris non è un'idea del califfo-re o dell'amir Leofric. Il faris appartiene alle Macchine Impazzite. È stata allevata per compiere un miracolo oscuro che cancelli la Borgogna dalla faccia della terra. A questo punto, però, c'è da chiedersi come mai sia venuta fin qua con un esercito.» Ci fu un attimo di silenzio. «Può darsi che possa operare solo piccoli miracoli giornalieri» suggerì Richard Faversham. «Forse non ha più potere di un prete o di un diacono. Questo spiegherebbe la presenza dell'esercito.» Floria si concentrò sul prete aggrottando la fronte. «E... se non fosse ancora nel pieno dei suoi poteri?» «O forse è un fallimento.» Antonio Angelotti si alzò in piedi e fissò la luce che pervadeva l'aria. «Forse Dio è buono e lei non può compiere miracoli oscuri. Tu non puoi.» Ash scambiò un'occhiata mesta con il prete inglese. «No. Non posso fare neanche un piccolo miracolo. Richard può dirvi quante notti ho passato a pregare con lui durante la marcia! Non sarò mai un prete. L'unica cosa che posso fare è ascoltare il Golem di Pietra e le Macchine Impazzite. Il faris potrebbe avere molti più poteri di me, tuttavia si è aperta la strada combattendo...» Antonio Angelotti scosse la testa. «Se non ti conoscessi da tanto e non avessi visto quello che è accaduto nel deserto, penserei che sei pazza, ubriaca o posseduta, Madonna!» La fissò dritta negli occhi. «Ma, a giudicare da come stanno le cose, devo crederti. È ovvio che le hai sentite. Ma se
il faris non sa nulla della loro esistenza, e se le Macchine Impazzate le parlano nascondendosi dietro il Golem di Pietra, lei potrebbe ignorare quello che noi sappiamo.» «E quando lo saprà porterà la distruzione in queste terre per loro conto?» domandò Richard Faversham. Angelotti scrollò le spalle. «L'esercito visigoto ha già portato molta distruzione. Milano è stata rasa al suolo. Venezia bruciata. Una generazione intera è sparita dai Cantoni svizzeri... Madonna, io ho fiducia in te, ma dovresti dirci una cosa: perché proprio la Borgogna?» Nella tenda si levò un brusio d'assenso e i volti dei presenti si girarono verso Ash. «Ve lo direi volentieri... se lo sapessi. L'ho chiesto alle Macchine Impazzite e ho avuto l'impressione che mi strappassero l'anima dal corpo. Non lo so e non riesco a immaginarlo.» Ash si passò una manica sul naso. Anche lei cominciava ad avvertire il lezzo di muffa che pervadeva la sua tenda. «Florian, tu sei di origini Burgunde. Perché proprio queste terre? Perché non la Francia o le Germanie? Perché questo duca e la Borgogna?» La donna chirurgo scosse la testa. «Abbiamo marciato per due mesi e ci ho pensato ogni notte. Non lo so. Non so perché a queste Macchine Impazzite non importa nulla degli esseri umani, tanto meno dei Burgundi. Non provare a chiederglielo adesso» terminò, ironica. «No» la rassicurò. La luce miracolosa calò d'intensità. Ash fissò Richard Faversham e vide che sul suo volto era apparsa un'espressione che poteva essere di dolore e di concentrazione. Anche i nostri miracoli si stanno indebolendo, pensò Ash. Tornò a concentrarsi sui suoi ufficiali. La tenda ormai puzzava di lana umida e sudore. «L'unica cosa di cui siamo sicuri è che c'è una guerra dietro la guerra. Se voi siete coinvolti in tutto questo a causa della mia natura allora tutto ciò è esecrabile... ma ricordatevi che in un modo o in un altro avreste dovuto combattere. È il nostro lavoro.» Esitò. «E se il faris non ha ancora compiuto il miracolo oscuro, possiamo sperare che non lo faccia in futuro. Allora tutto dipenderà dall'acciaio e dalle armi e questo è il nostro mestiere.» Gli uomini, a giudicare dall'espressione dei volti, avevano qualche riserva, ma quello succedeva a ogni campagna. «Capo?» chiese il capitano diffidente. «Cosa c'è, Geraint?» «Se lei dovesse conquistare la Borgogna e uccidere il duca per loro, non
importa se con la guerra o con un miracolo... cosa succederà dopo, capo?» Ash rise. «Sai una cosa? In questo momento le tue ipotesi sono valide quanto le mie!» «Cosa te ne importa, Morgan?» gli domandò Euen, divertito. «Quando succederà tu sarai già a Bristol con tutto il denaro che puoi spendere e con tanto di quello scolo da arricchire i dottori per anni!» Wat Rodway, che era rimasto zitto fino a quel momento, fissò la luce miracolosa che spariva con un misto di astio e reverenza. «Posso andare a preparare la colazione, capo? Senti... sia che quella possa o non possa far ricadere qualche punizione demoniaca su di noi, io sto per cucinare l'ultima zuppa che vedremo prima dell'attacco a Digione. La vuoi o no?» «'La vuoi o no, capo'?» lo corresse Ash. «Ah, la cosa non mi riguarda. Mi chiamo fuori. Si mangia tra un'ora. Ditelo ai ragazzi.» Rodway uscì dalla tenda apostrofando le guardie con lo stesso tono brutale e offensivo usato un attimo prima. Ash scosse la testa. «Sapete? Se quell'uomo non sapesse cucinare l'avrei già messo alla gogna.» «Non sa cucinare» sbottò Floria. «Hai ragione.» Ash sorrise e sentì le guance che si rilassavano. Una folata di vento freddo entrò nella tenda portando con sé l'odore degli uomini sporchi, degli escrementi, degli alberi umidi, della legna bruciata e dello sterco di cavallo. Quasi la Prima e l'aria ha cominciato a muoversi... pensò Ash. «Angelotti, Thomas, Euen, Geraint e anche gli altri: venite fuori.» Afferrò la falda della tenda. «Florian...» Geraint ab Morgan la bloccò. «Agli uomini non piacerà» ripeté, testardamente. «Non vorranno attaccare la città.» «Vieni fuori» disse Ash, in tono leggermente autoritario. «Voglio mostrarvi un altro dei motivi per il quale siamo venuti fin qua.» I versi aspri e rauchi dei corvi echeggiarono nella radura. Ash vide gli uccelli neri che planavano verso il punto in cui sorgevano le cucine da campo e si rese conto che poteva scorgerli chiaramente sebbene fossero a una ventina di metri di distanza e si stessero muovendo tra gli alberi. Alzò lo sguardo al cielo. Il vento le lambì la pelle. «Guardate!» Indicò. La foresta era così fitta che la prima mezz'ora doveva essere passata sen-
za che nessuno si accorgesse di quello che stava succedendo. Gli uomini e le donne si stavano alzando dopo aver ascoltato in ginocchio il servizio religioso di Digorie Paston e videro i rami degli alberi che spiccavano netti contro il cielo a est. Ash degnò appena di uno sguardo la luna che tramontava a ovest. Sentiva una morsa al petto e si rese conto che stava trattenendo il respiro. Udì il mormorio delle persone che si stavano ammassando nello spazio vuoto tra i due fossati scavati intorno al campo. Il cielo a est passò molto lentamente dal grigio, al bianco a un azzurro pallido. I minuti che passavano avrebbero potuto rappresentare l'assenza di tempo o tutto il tempo dell'universo. Ash sentiva che tutto sarebbe successo in un istante, anche se aveva l'impressione di aver trascorso un'eternità in attesa... un minuto prima la radura era buia e un minuto dopo una linea gialla lambiva i tronchi d'albero a ovest e una striscia dorata spuntava dietro la foschia a est. «Oh, Gesù!» Euen Huw si inginocchiò. «Sia ringraziato Iddio!» urlò Richard Faversham. Ash non vide le persone che correvano né udì le urla. Geraint ab Morgan e Thomas Rochester che si abbracciavano con le lacrime agli occhi. Ash rimase in piedi a osservare il sole che sorgeva era dal ventuno di agosto che non accadeva. Quell'alba segnava la fine di tre mesi d'oscurità. Sentì una spalla che toccava la sua, si girò e vide Floria al suo fianco. «Continui a pensare che questo non sia affar nostro» disse Florian. «È solo qualcosa da evitare.» Ash avrebbe voluto dare una pacca sulla spalla della donna, come era stato nelle sue intenzioni un'ora prima, ma si fermò per evitare il contatto fisico. «'Affar nostro'?» Fissò gli uomini che si inginocchiavano. «Ti dico io cos'è 'affar nostro', in questo momento. Non possiamo rimanere accampati qua... ti concedo ventiquattr'ore al massimo prima che gli esploratori visigoti vengano a punzecchiarci il culo. Non abbiamo cibo... e loro hanno carovane di provviste che li raggiungono in continuazione. Senza contare che ci superano di circa... trenta a uno?» Ash si rese conto che stava sorridendo, ma sapeva che si trattava di euforia e non di buon umore vero e proprio. «E adesso questo. Succede di nuovo! Luce!»
«Non si ricrederanno» disse il chirurgo. «Lo sai, vero?» Ash chiuse un pugno. «Hai ragione. Non sarei in grado di guidarli nuovamente nelle Terre sotto Penitenza. Lo so. Non possiamo tornare indietro, ma non possiamo rimanere. Dobbiamo spostarci in avanti.» Floria del Guiz si fece il segno della croce. Era la prima volta che Ash la vedeva compiere quel gesto. «Me l'hai detto sulla spiaggia. La Penitenza non ha nulla a che fare con i Visigoti. Mi hai detto che sono state le Macchine Impazzite a far sparire il sole dai cieli della Cristianità quest'estate. Sono state loro a imporre duecento anni di Crepuscolo eterno, sopra Cartagine, oscurando il sole.» L'aria fredda continuava a carezzare le guance di Ash che sentì una lacrima scivolare sulla pelle. «Di nuovo la Borgogna» disse Florian. «In estate le Macchine Impazzite hanno fatto scendere l'oscurità sull'Italia, i Cantoni, la Germania e la Francia... e quando attraversiamo il confine, ecco fatto... ne siamo fuori. Fuori dal Crepuscolo Eterno.» Ash abbassò lo sguardo. La luce del sole divideva il suo corpo in due parti, illuminando le mani sporche e ogni piega delle dita. L'acqua che le impregnava gli abiti cominciò a evaporare. «Prima di quest'anno» continuò Florian «il Crepuscolo si stendeva solo sopra Cartagine. Adesso si è espanso, ma non qua. Ci hai pensato? Forse è proprio questo il motivo che giustifica la presenza del faris e del suo esercito. Forse siamo oltre la portata delle Macchine Impazzite.» «Anche se lo fossimo, temo che non sia sufficiente.» Ash alzò gli occhi al cielo e ripeté quello che le passava per la mente in quel momento. «Ricordi: 'La Borgogna deve essere distrutta'. Questo è il loro obiettivo principale. Non potevo fare altro, Florian. Dovevamo tornare... ma adesso ci troviamo al punto zero.» III Ash girò il viso e si passò le mani sporche sulle guance. La donna al suo fianco distolse lo sguardo dalla luce del sole e rabbrividì. «In questo momento non vorrei essere al tuo posto, ragazza!» Florian si soffiò sulle dita e diede una rapida occhiata al campo. «Non possiamo tornare indietro. Possiamo avanzare? Cosa dirai loro?»
«Oh, quella non è la parte difficile» disse Ash, permettendosi, dopo settimane, un sorriso rilassato. «Andiamo...» Ash raggiunse il centro della radura battendo le mani. Cinquecento uomini smisero di parlare quasi immediatamente quando videro che si trattava del capo e si radunarono intorno a lei: uomini in maglia, piastroni arrugginiti, giacche imbottite, fermi in piedi o accosciati dove il terreno era troppo fangoso per sedersi. Alcuni bevevano della birra. Ash si guardò intorno e vide che molti continuavano a sollevare gli occhi al cielo, meravigliati. «Bene» esordì Ash. «Riuscirete a badare ai vostri poveri culi?» «Possiamo farcela, capo!» urlò uno dei fratelli Tydder. Ash non era sicura se si trattava di Simon e Thomas. Il ragazzo venne raggiunto da una pioggia di pugni, palle di fango e insulti. «Stronzo!» lo apostrofò Ash. Tutti scoppiarono a ridere di gusto. Bene, pensò, Geraint aveva torto e io avevo ragione. Si strofinò le mani e sorrise di rimando ai suoi uomini. «Va bene, ragazzi. Siamo di nuovo ridotti in miseria. Non è la prima... e non sarà neanche l'ultima volta. Ciò vuol dire un giorno o due a base di pane, ma, siamo dei duri con le palle e possiamo farcela.» «Mammina!» urlò un altro dei fratelli Tydder in farsetto. Ash approfittò della risata generale per osservarli meglio. I Tydder e un gruppo di ragazzi più giovani si stavano prendendo a gomitate nelle costole; uno dei ragazzi aveva chiuso la testa del compagno sotto il braccio. Duecento uomini d'arme che indossavano divise scolorite sotto ogni tipo di abito, sporchi di fango, con le dita bianche a causa dei geloni e i nasi che colavano. Ash avvertiva che erano tutti eccitati, si sentiva nell'aria: lesse sui loro volti una maggiore sicurezza, sembravano più contenti, felici di essere rozzi, pezzenti, ma di essere dei tosti, dei soldati in un mondo di profughi. È il sole, pensò Ash, Abbiamo attraversato il confine e per la prima volta dopo settimane hanno visto il sole... E sono usciti da Cartagine tutti interi, hanno marciato per cento leghe nel buio. Adesso pensano di essere dei tipi cazzuti. E lo sono. Ti prego Dio, fa' che tutto questo sia servito a qualcosa. Ash udì le risate che si spegnevano e alzò la testa per guardare l'accampamento fangoso e gli uomini di fronte a lei. «Siamo la compagnia del Leone. Non dimenticatelo mai. Siamo i mi-
gliori. Abbiamo camminato per cento leghe al buio e al freddo; ci abbiamo impiegato delle settimane, ma siamo qua, insieme, siamo una compagnia. E questo perché siamo disciplinati e siamo i migliori. Non c'è nulla da dire al riguardo. Qualunque cosa succeda da questo momento in avanti, sappiate che siamo i migliori.» Gli uomini esultarono: sapevano che il loro capo aveva detto la verità. Alcuni annuivano, altri la fissavano in silenzio. Ash scrutò attentamente quei volti in cerca di paura, arroganza o di qualche impercettibile segno di cedimento nel legame tra i suoi uomini. Indicò oltre le spalle in direzione del fiume e di Digione, quindi sfoderò un sorriso fiero. «Sicuramente state aspettando che vi spieghi come faremo ad abbattere quelle mura e a salvare Anselm e gli altri ragazzi. Bene, ci ho pensato parecchio e ho una notizia per voi: quelle mura non crolleranno perché sono dannatamente solide.» Uno dei ronconieri di Carracci alzò una mano. «Felipe?» «Allora come cazzo faremo a tirare fuori il resto del Leone da là dentro, capo?» «Non lo faremo. Non lo faremo!» ripeté ad alta voce. Un brusio confuso si levò dalla folla. «Quello là sotto è un assedio.» Ash alzò la voce al massimo. «La maggior parte delle persone cercano di rompere un assedio.» «Tranne il nemico» si intromise Thomas Rochester alle sue spalle. Antonio Angelotti ridacchiò e un certo numero di uomini cominciarono a parlottare tra di loro. «Va bene» concesse Ash. «A parte il nemico, razza di stronzi.» «Ci paghi per questo, madonna...» «Viene pagato?» si lamentò Euen Huw in gallese. Ash alzò le mani. «Zitti e ascoltate, sporchi pezzi di merda!» «'Siamo i migliori'» disse una voce in tono capriccioso dal fondo della folla. Questa volta neanche Ash poté trattenersi dal ridere. Attese che tutti avessero finito, si asciugò il naso con una manica, portò le mani ai fianchi e disse: «La situazione è questa. Siamo in territorio ostile. Ci sono due Legioni cartaginesi lungo la strada di fronte a noi... la XIV Utica e parte della VI Leptis Parva: circa sei o settemila uomini.» Ash ignorò i mormorii e continuò: «Il resto delle loro forze si trova oltre il confine francese e nelle Fiandre. Non siamo in inverno come sotto l'O-
scurità, ma il grano e l'uva sono marciti nei campi e nelle vigne. Non c'è più selvaggina perché l'hanno cacciata tutta. Non possiamo saccheggiare più niente perché i villaggi e le città sono stati completamenti spogliati. È una terra sterile.» Si interruppe per guardare i volti torvi di fronte a lei. «Non è il caso che mi guardiate in quel modo» aggiunse Ash «dato che avete già saccheggiato abbastanza lungo la strada...» «Era nostro diritto!» esclamò un arciere. «Voi, branco di bastardi, vi siete presi qualsiasi cosa non fosse legata. Bene, ho una notizia per voi: ho parlato con Brant e mi ha detto che è tutto finito... tutto... finito.» Ash aveva parlato lentamente e con una certa enfasi. Vide un ronconiere abbassare gli occhi sul pezzo di pane che teneva in mano e metterlo via. Aveva ottenuto quello che voleva. «Cosa facciamo, capo?» le chiese un balestriere. «Abbiamo fatto una diavolo di marcia forzata» proseguì Ash «e non è ancora finita. Siamo nel bel mezzo di una guerra e stiamo per finire il cibo. Allora, la maggior parte della gente cerca di rompere un assedio...» Lanciò un'occhiata ad Angelotti, sorrise a Florian e tornò a concentrarsi sugli uomini. «La maggior parte, ma non noi. Noi cercheremo di entrare.» I soldati delle prime file diedero sfogo al loro stupore. «Va bene, lo ripeto.» Fece una pausa. «Non tireremo fuori Roberto e gli altri da Digione. Saremo noi a entrare.» «Sei impazzita, capo?» disse uno dei due fratelli Tydder, dopodiché arrossì e si guardò gli stivali. Ash attese che il brusio calasse. «Avete ancora qualcosa da dire?» «Digione è assediata!» protestarono gli uomini delle unità di Thomas Morgan e Euen Huw. «C'è tutto il dannato esercito visigoto davanti alle porte!» «Sono tre mesi che è là e non è ancora riuscito a prendere la città! Il che significa che il posto più sicuro per noi in questo momento è Digione. Se ci dovessero beccare qua fuori» disse Ash, fissando gli uomini davanti a lei «diventeremmo carne da macello. Siamo allo scoperto e le nostre armature pesanti sono nella città. Non possiamo affrontare una Legione visigota in campo aperto... neanche gente in gamba come voi può farlo. Adesso che siamo qua abbiamo ben poca scelta. Dobbiamo mettere delle solide mura tra noi e i Visigoti altrimenti sarà la fine del Leone Azzurro.» Ash sapeva che era giunto il momento di attendere, mentre il vociare
della folla aumentava d'intensità. Doveva rimanere ferma con le braccia conserte e i corti capelli al vento: una donna non più bellissima, ma che indossava una maglia d'anelli metallici e portava una spada al fianco, con i paggi, gli scudieri e gli ufficiali inquadrati dietro di lei. Uno dei ronconieri si alzò in piedi. «Dentro Digione saremo al sicuro!» «Sì, finché i Goti non avranno abbattuto il cancello!» gli fece notare un Fiammingo. Finché non sapremo per quale motivo le Macchine Impazzite hanno allevato il faris, pensò Ash, prima di avanzare alzando le braccia. «Va bene, va bene!» Lasciò che il brusio calasse. «Sto per mettermi in contatto con i nostri dentro Digione. Stanotte apriranno uno dei cancelli. De Vere vi ha scelti per l'incursione a Cartagine perché siete veloci. Stanotte sarà la stessa cosa. Non dovremo combattere per entrare... ma voglio dei volontari per creare un diversivo.» John Price si alzò in piedi insieme ai suoi uomini. «Ci pensiamo noi, capo.» Ash parlò velocemente per evitare che qualcun altro facesse domande. «Prendi trenta uomini, mastro Price e attaccate stanotte due ore dopo che sarà sorta la luna. Angelotti, dai loro tutta la miccia e la polvere che vi è rimasta. Ragazzi, indossate le maglie sopra le armature: uccidete qualsiasi cosa che non sia bianca.» «Non funzionerà, capo» obbiettò un componente della lancia di Price. «Quegli stronzi sono vestiti di bianco!» «Merda.» Ash non si preoccupò di farsi vedere divertita dal suo errore. «Sapete, ragazzi... avete ragione. Trovatevi un segno di riconoscimento. Voglio che raggiungiate la sponda ovest del Suzon e diate fuoco alle macchine d'assedio... questo terrà sveglio tutto l'esercito, le macchine d'assedio costano! Quando avrete finito ritiratevi nella foresta, domani sera farò arrivare una barca che vi farà entrare in città attraverso i cancelli dell'acqua per i mulini.» Ash si girò verso gli ufficiali. «Questo ci darà abbastanza spazio per muoverci. Bene, ci rimangono dieci ore prima del buio. Abbandoneremo tutti i carretti, voglio che tutto sia caricato o appeso fuori dai carri. Voglio che i muli siano bendati.» Valutò il morale della truppa fissando i volti degli uomini. «I vostri comandanti di lancia vi spiegheranno dove dovrete schierarvi nella fila. Dovrete indossare un vestito scuro e avvolgere le armi negli stracci. E non mettiamoci a gironzolare. I Visigoti si accorgeranno di noi solo quando saremo
entrati.» Qualche borbottio si levò dalla calca di fronte a lei. Ash fissò i dissidenti e questi abbassarono lo sguardo arrossendo. «Ricordate.» Fissò gli uomini. «Quelli che sono dentro Digione sono i vostri compagni. Noi siamo il Leone... non abbandoniamo i compagni. Possiamo essere alla fame, in inverno, possiamo anche aver bisogno di una città assediata per sentirci al sicuro, ma ricordate sempre questo... con la compagnia al completo siamo in grado di prendere a calci in culo i Visigoti come e quando ci pare! Chiaro? Entriamo, vediamo com'è la situazione e se dopo dovremo uscire, lo faremo con le armature e i cannoni che abbiamo dovuto lasciare là... usciremo come una compagnia integra. Capito?» Altri borbottii. «Ho detto, capito?» «SÌ, CAPO!» urlò la folla, all'unisono. «Fine.» Gli uomini cominciarono a correre a destra e sinistra demolendo i ripari e impacchettando le armi. Ash si trovò a fianco di Floria e si sentì improvvisamente tanto goffa da evitare lo sguardo della donna. Se Florian si sente a disagio non lo dà a vedere, pensò «Non...» Ash tossì per schiarirsi la gola. «Non fare come Godfrey, Florian. Non sparire dalla compagnia.» Ash ebbe l'impressione che, prima di diventare cinico, il sorriso apparso sulla bocca del chirurgo fosse stato venato per un attimo da una certa angoscia, ma era stato tutto troppo veloce. «Non c'è pericolo.» Florian incrociò le braccia sul petto. «Allora... Hai risolto il problema militare, sempre che funzioni. Entriamo a Digione... e poi?» «E poi siamo in un assedio.» «Per quanto? Pensi che Digione resisterà a quell'orda?» Ash fissò la donna burgunda con un'occhiata piatta. Siamo a disagio, pensò. Ma non importa, è sempre Florian. «Vuoi sapere cosa penso?» disse Ash, allentando la tensione e parlando onestamente. «Penso che abbiamo sbagliato a venire qua... ma una volta sbarcati a Marsiglia eravamo così decisi che non potevo fare nulla a riguardo.» Florian sbatté le palpebre. «Buon Dio, donna. Hai tenuto insieme questa banda con la sola forza di volontà e pensi di aver sbagliato nel venire fin
qua?» «Come ti ho detto quando eravamo sulla spiaggia di Cartagine... forse avremmo fatto meglio ad andare in Inghilterra.» Ash rabbrividì. «O a Costantinopoli con John de Vere per mettermi al servizio dei Turchi. Allontanarmi il più possibile dalle Macchine Impazzite e lasciare la Borgogna al faris.» «Stronzate!» Floria portò i pungi ai fianchi. «Tu che lasci Robert Anselm e il resto della compagnia là dentro? Non farmi ridere! Saremmo tornati qui qualunque cosa fosse successo a Cartagine.» «Forse la cosa più intelligente da fare era tagliare i ponti con il passato e ricominciare con gli uomini che mi rimanevano. Solo che la gente non firma con un comandante che abbandona i suoi uomini.» Ha ragione, sarei tornata comunque, pensò Ash. Socchiuse gli occhi per proteggerli dalla luce del mattino. Il tempo è pessimo anche se è novembre e il sole scalda poco, pensò. A sud ha fatto così freddo che non ci saranno raccolti quest'anno. «Troppo tardi» disse Ash, assumendo un tono filosofico. Sorrise a Florian. «Adesso che siamo qua non ci resta che rintanarci dietro il muro più vicino! Meglio morti domani che oggi, giusto? Quindi possiamo scegliere tra la possibilità che presto o tardi Digione cada o che le Legioni visigote ci troveranno entro domani...» Ash sentì come se si fosse liberata di un peso, avvertì la paura, ma la riconobbe e la dominò rendendosi conto che non era solo la guerra a preoccuparla. Floria sbuffò e scosse la testa. «Dirò ai diaconi di pregare. Dimmi a che punto della fila ci dobbiamo sistemare. Tu dove sarai? Davanti a tutti, come al solito?» «Non sarò con la compagnia. Entrerò in città poco prima dell'alba.» «Tu cosa?» Ash batté le mani e sentì il formicolio del sangue che tornava a scorrere, dopodiché fissò Florian. «Ho bisogno di ottenere alcune risposte. Mentre la compagnia entrerà in città io andrò al campo dei Visigoti per parlare con il faris.» IV «Sei impazzita!» Ash sorrise. Posso ancora parlare con Florian, pensò.
«No, non sono impazzita. Sì: a Cartagine siamo stati sconfitti. Sì: ho bisogno di pensare. Sì: sto per fare qualcosa. Comunque» aggiunse per stuzzicare il chirurgo «una volta che la mia bandiera sarà issata sulle mura di Digione il faris saprà che sono là dentro.» «E allora non farla issare!» Esasperata, Floria agitò le mani in aria. «Piantala, Ash. Dimentica per una volta tutte queste storie sulla cavalleria. Tieni la bandiera arrotolata. Sparisci quando usciremo da Digione! Ma non venirmi a dire che stai per andare a parlare con quella!» «Potrei fornirti un sacco di buone ragioni che giustificherebbero la mia scelta di andare a parlare con il comandante dell'esercito visigoto.» Ash strofinò le mani, prese le muffole dalla cintura e le infilò sebbene fossero ancora umide. «Siamo mercenari. Tutti si aspettano che io lo faccia. Devo sempre cercare l'impiego migliore. Potrebbe chiederci di firmare una condotta.» Florian era allibita. «Stai scherzando, vero? Dopo Basilea e Cartagine? Appena ti farai vedere ti ficcheranno su una nave diretta a Cartagine! Ti faranno a pezzi e dopo Leofric potrà divertirsi a esaminare quanto è rimasto di te!» Ash sentì i muscoli che le dolevano a causa della fatica notturna e stirò le braccia osservando gli uomini che smantellavano il campo. «Sono disposta ad accettare l'aiuto di chiunque, anche quello dei Visigoti, se necessario, pur di tirare fuori la compagnia da quella città prima che le Macchine Impazzite portino a compimento il loro disegno.» «Sei pazza» commentò Floria, in tono piatto. «No, non lo sono. E sono d'accordo con te riguardo l'accoglienza che riceverò, ma, proprio come tu mi hai detto... non posso nascondermi in eterno.» Florian la fissò in cagnesco. «Questa è la stupidaggine più grossa che ti abbia mai sentito dire. Non puoi esporti a un simile pericolo!» «Entrare a Digione risolve solo temporaneamente il problema.» Fece una pausa. «Florian... quella donna è l'unica altra persona al mondo in grado di udire il Golem di Pietra.» Ash si girò e vide che Florian la stava fissando. «E allora?» «Allora ho bisogno di sapere... se anche lei sente le Macchine Impazzite.» Ash alzò le mani. «O se si tratta solo della mia testa. Devo sapere, Florian. Tutti voi avete visto le tombe dei califfi. Mi avete creduto, ma lei
è l'unica altra persona al mondo che sa. L'unica che può aver sentito quello che ho sentito anch'io!» «E se non fosse successo?» Ash scrollò le spalle. Il chirurgo attese per qualche attimo e tornò a chiedere: «E... se non fosse successo?» Ash scrollò nuovamente le spalle. «Pensi che lei sappia qualcosa che tu non sai, giusto?» «Lei è quella vera, io sono lo sbaglio. Chi lo sa cosa ci differenzia?» Il tono di voce di Ash era amareggiato. «Ed è l'unica che può confermare che non sono pazza» aggiunse inclinando la testa e sogghignando. «È anni che lo sei!» borbottò Florian, scrollando le spalle a sua volta. Non c'era nulla di strano nell'affetto della donna o nel suo assenso complice e silenzioso. Ash sorrise. «Sei tu il dottore! Chi meglio di te può dirlo!» Un rumore secco le fece girare la testa e vide Rickard che si esercitava con la fionda. Il bersaglio era un albero a una decina di metri di distanza. «Se ti fai vedere, il faris non sarà l'unico a sapere dove ti trovi, lo sapranno anche il califfo-re e le ferae natura machinae.» «Già» sospirò Ash. «Lo so, ma devo farlo. È come dice sempre Roberto... potrei sbagliarmi. Come potrei essere utile se non fossi pazza?» Al tramonto Ash impartì gli ultimi ordini ai suoi ufficiali, che protestarono a lungo per la sua decisione. «Il primo quarto di luna sorge quando è quasi Complina154 . Partiamo dopo la messa. Se arrivano dei messaggi di Anselm mandatemeli. Chiamatemi se il cielo si copre. Vado a dormire per qualche ora!» Ash entrò nella sua tenda illuminata da una candela di sego. Rickard, che teneva in mano un libro, si alzò in piedi. «Vuoi che te lo legga, capo?» Le rimanevano solo due libri, quello di Vegezio e quello di Christine de Pisan155 . Li avrebbe infilati nello zaino di Rickard. Ash andò a sdraiarsi sul 154
Le nove di sera. Christine de Pisan: figlia di un fisico e astrologo, rimase vedova con tre figli piccoli e si guadagnò da vivere come scrittrice. Tra le sue opere troviamo The Book of Feats of Arms and of Chivalry (iniziato nell'AD 1409), una revisione dell'opera di Vegezio che divenne un manuale di tattica usato dai più grandi capitani del suo periodo. È probabile che il 155
letto. «Sì. Leggimi quello che dice la de Pisan riguardo gli assedi.» Il ragazzino dai capelli neri cominciò a borbottare sottovoce tenendo il libro vicino alla candela. Il fiato si condensava a contatto con l'aria fredda e il naso spiccava rosso, oltre il bordo del cappuccio. Aveva indossato tutti suoi vestiti: due maglie, due paia di pantaloni, un farsetto e un mantello sdrucito. Ash si girò. Il freddo continuava a passare dalle fessure e non importava quanto fossero ben chiuse le falde della tenda. «Almeno non siamo ridotti a dover mangiare i muli...» «Vuoi che continui a leggere, capo?» «Sì, leggi, leggi. Avremo il primo quarto di luna e questo ci darà un po' di luce, ma il terreno è brutto.» «Capo...» «Hai ragione, scusa; leggi.» Un minuto dopo parlò ancora. Non avrebbe saputo ripetere con esattezza quello che il ragazzino le aveva letto fino a quel momento, ma gli fece un appunto. «Abbiamo ricevuto messaggi da Digione?» «Non lo so. capo. No. Sarebbero venuti a dirtelo.» Fissò i raggi della ruota che fungeva da tetto della tenda. Aveva freddo ai piedi e si raggomitolò girandosi su un fianco. «Tra due ore dovrai prepararmi. Cosa dicono riguardo Digione?» Gli occhi di Rickard luccicarono. «È grandioso! I ragazzi della lancia di Pieter Tyrrel si stanno sporcando il viso. Hanno scommesso che entreranno in città prima degli artiglieri italiani perché loro non devono trainare le Ragazze dell'Artigliere...» Ash tossì. «... i cannoni di mastro Angelotti!» Ash ridacchiò. «Alcuni non sono d'accordo» aggiunse Rickard. «Mastro Geraint si è lamentato della fila dei muli. Ti libererai di lui come hai fatto con mastro van Mander?» Era successo durante la preparazione per la battaglia di Auxonne, quando il sole era ancora in Leone: sembrava che fosse passata una vita. Ash ricordava appena il volto florido del cavaliere fiammingo. Si rannicchiò ulteriormente per proteggersi dal freddo. Il fiato le inumidiva il bordo del cappuccio all'altezza della bocca. «No. Joscelyn van 'Fraxinus' si riferisca proprio a quell'opera.
Mander si è unito a noi con centotrenta uomini, ma non ha mai fatto parte della compagnia, aveva senso allontanarlo.» Cercò di scorgere i lineamenti del viso e l'espressione torva del ragazzino, malgrado l'oscurità crescente. «La maggior parte degli uomini scontenti che si sono uniti a Geraint sono con me da due o tre anni. Cercherò di dare loro qualcosa che vogliono.» «Non vogliono rimanere chiusi in una città con un cazzo d'esercito fuori dalle mura!» Le corde della tenda scricchiolarono e le pareti ti tela sbatterono al vento. «Troverò un compromesso con Geraint e i suoi simpatizzanti.» «Perché non dai un ordine e basta?» domandò Rickard. Ash si accorse che le sue labbra si erano increspate in un sorriso furbo. «Perché potrebbero rispondere: 'no'! Non c'è molta differenza tra cinquecento soldati e altrettanti profughi. Non hai mai visto una compagnia allo sfascio, non ti piacerebbe per niente. Troverò il modo di soddisfare anche loro... comunque andremo a Digione.» Gli sorrise. «Forza, continua a leggere.» Il ragazzino avvicinò il libro alla candela.» «Non siamo in una situazione tanto brutta dal punto di vista strategico» aggiunse Ash, qualche attimo dopo. «Digione è una grande città e devono esserci circa diecimila persone, senza contare quanto resta dell'esercito di Carlo: il faris non ha abbastanza soldati per coprire ogni metro delle mura. Deve presidiare le strade e le porte. Se i sergenti ci fanno muovere in fretta possiamo entrare senza rischiare di dover combattere.» Rickard posò un dito sulla pagina che stava leggendo e chiuse la copertina del libro. La candela di sego illuminava la tenda quanto bastava perché fosse possibile scorgere la sua espressione. «Non voglio diventare lo scudiero di Anselm» disse improvvisamente. «Voglio essere il tuo scudiero. Sono stato il tuo paggio! Fammi diventare il tuo scudiero!» «'Capitano Anselm'» lo corresse automaticamente Ash. Allungò una mano e si tirò addosso la coperta. «Tutti diranno che non sono abbastanza bravo se non divento il tuo scudiero. Sono stato il tuo paggio da quando Bertrand è scappato. Da quando ti abbiamo trovata a Cartagine! Ho combattuto ad Auxonne!» Il tono di voce acuto e oltraggiato del ragazzino si trasformò in una sorta di gracidio. Ash sussultò imbarazzata e tirò indietro i bordi del cappuccio per sentire meglio. Rickard si alzò in piedi e passeggiò su e giù per la ten-
da buia per qualche minuto. «Sei bravo» disse Ash. «Non lo farai.» Rickard sembrava prossimo alle lacrime. «Non hai combattuto ad Auxonne» precisò Ash, stanca. «Non hai idea di cosa significhi stare in prima linea. Credimi, Rickard, non lo sai.» Nella sua mente apparvero spade e asce che fendevano l'aria. «È una pioggia di rasoi.» «Combatterò. Andrò con il capitano Anselm.» Il tono di voce del paggio non era irritato, solo determinato. Ash si puntellò su un gomito e fissò Rickard. «Adesso ti spiego perché lui ti prenderà» gli disse. «Su ogni cento uomini della compagnia, dieci o quindici sanno cosa fare quando scoppia il casino senza che nessuno dica loro niente perché hanno ricevuto un buon addestramento o perché agiscono seguendo l'istinto. Una settantina combatteranno bene una volta ricevuto l'addestramento adeguato e sotto il comando di qualcuno che dica loro quando muoversi e dove andare. Poi ci sono dieci o quindici individui che, non importa quanto bene li avrai addestrati, correranno su e giù per il campo di battaglia come delle galline decapitate.» Più di una volta le era capitato di afferrare un uomo per gli stracci e ributtarlo nella mischia. «Ti ho visto addestrarti» terminò «sei uno spadaccino nato, uno di quei dieci o quindici uomini che ogni comandante sceglie e gli dice: 'tu sei il mio secondo in comando'. Voglio che tu viva ancora un paio d'anni, Rickard, in modo che al momento giusto potrò affidarti il comando di una lancia. Cerca di non farti uccidere.» «Capo!» Ash smise di tremare, venne travolta da un'ondata di stanchezza, riuscì appena a distinguere le parole di sorpresa e gioia del paggio dopodiché il sonno ebbe il sopravvento. Era come se fosse scivolata da cavallo e caduta nell'oblio. Sapeva di essere sdraiata sul suo letto sotto le coperte. Sentì qualcosa che cedeva sotto il suo corpo. Udì uno schiocco simile a quello prodotto da una bottiglia di cuoio incerato che viene calpestata. Era vicino. Si mosse. Sentì i cani e le guardie fuori dalla tenda. Fece scivolare un braccio lungo il fianco e trovò qualcosa all'altezza delle costole. L'oggetto si ruppe.
Ash batté la mano sul letto. Una sostanza solida e viscosa le si era appiccicata al pollice. Qualcosa resistette alla pressione della sua unghia, poi, un attimo, dopo, qualunque cosa fosse, cedette diventando appiccicosa come una prugna matura. Sentì la mano che veniva ricoperta da una sostanza umida e viscida. Avvertì un odore familiare: un aroma dolciastro misto a quello degli escrementi. Sangue, pensò immediatamente e aprì gli occhi. Un bambino giaceva morto sotto il suo corpo. Si era girata e l'aveva schiacciato. Il panno era stato sporcato dal liquido che colava dalla testa. Gli aveva schiacciato il cranio riducendolo a una massa informe e rossa. Gli toccò il viso posando il pollice sull'orbita infranta. L'occhio rimasto intatto era di colore castano chiaro, quasi oro. Era un bambino di poche settimane. «Rickard!» L'urlo scaturì dalla sua bocca senza che lei se ne rendesse conto. Ash era avvolta da un'oscurità ribollente. Piantò i talloni sul fondo del letto e si spinse via. Sentì un rumore fuori dalla tenda: era il risucchio provocato da qualcuno che indossava degli stivali e camminava sul fango. Una daga calò sui lacci della falda tagliandoli. Una figura oscura entrò nella tenda. Ash sapeva che si trattava di Rickard, ma i capelli erano biondi. «Hai ucciso il nostro bambino» la accusò. «Non è mio.» Ash cercò di allungare una mano per afferrare le coperte e tirarle sul corpo del neonato, ma non ci riuscì. La pelle del bambino aveva un aspetto tanto morbido e la tenda puzzava come un campo di battaglia sul quale si era svolto uno scontro cruento. «Non l'ho ucciso io, Fernando! Non è mio!» Il ragazzo si girò e uscì dalla tenda. «Sei stata incauta. Se solo avessi atteso un attimo l'avresti salvato» gli disse con la voce di un adulto. «Mi hanno picchiata...» Ash allungò una mano per toccare il bambino, ma la pelle, invece di essere fredda, scottava al punto che le bruciò le dita. Uscì barcollando dalla tenda. Una distesa di neve bianca riluceva sotto il cielo azzurro. Non era notte. Era mezzogiorno. Non c'erano più tende.
Ash entrò nel bosco vuoto. La neve sembrava risucchiarle i piedi nudi. Continuò ad avanzare. Scivolava e cadeva in continuazione per poi rialzarsi. La neve ricopriva tutto. Aveva le mani rosse e blu e il corpo intirizzito. Udì un grugnito. Si fermò e si girò piano. Un fila di cinghiali stava cercando cibo nella neve. I musi aravano il manto bianco esponendo dei mucchietti di foglie nere. Ash vide i denti. Non avevano zanne. Erano delle scrofe che si muovevano sotto il sole. Il manto invernale era folto e bianco. Puzzavano di sterco di maiale e le lunghe ciglia proteggevano loro gli occhi dalla luce. Una dozzina di cuccioli corsero tra le zampe delle madri. «Sono troppo giovani!» urlò Ash, strisciando sulle mani e le ginocchia. «Non avreste dovuto partorirli. È troppo presto. È inverno, moriranno. Avete sbagliato momento. Fateli tornare nella pancia.» Della neve cadde dai rami aggiungendosi a quella sui rovi. I cinghiali si muovevano metodicamente ignorando Ash che nel frattempo si era inginocchiata. I cuccioli, poco più grossi di una pagnotta, la superarono trotterellando, agitando la coda al vento e sollevando spruzzi di nevi con i piccoli zoccoli. «Moriranno! Moriranno!» Un pettirosso atterrò vicino alla scrofa più grossa che immerse il muso nella neve. L'uccellino beccò un verme. I cuccioli si allontanarono ulteriormente dal branco e si inoltrarono nella foresta. «Moriranno!» Ash sentì un groppo alla gola e cominciò a singhiozzare. Avvertiva il movimento dei muscoli della gola, gli occhi privi di lacrime e il pagliericcio sotto la sua schiena. La candela di sego si era ridotta a un mozzicone. Rickard dormiva accoccolato davanti all'entrata. «Moriranno!» sussurrò Ash cercando i fianchi arancio a strisce marroni, gli zoccoli e gli occhi protetti dalle lunghe ciglia. Annusò l'aria in cerca dell'odore di sangue o sterco. «Non l'ho ucciso.» Ho abortito, pensò. Sono stata picchiata e ho abortito. Gli occhi continuavano a rimanere asciutti. Se c'era qualcosa per cui piangere, lei non avrebbe potuto farlo. I dolori, il freddo e una sensazione di sconforto fisico tornarono. «Diventare amico dei timidi e fieri cinghiali» disse una voce.
Ash si rilassò tra le coperte. «Merda. Dio mi fa venire gli incubi, Godfrey. Le mie mani...» Cercò di osservarle, ma era troppo buio per vedere qualcosa e le avvicinò cautamente alle narici per annusarle. «Perché voleva che vedessi un bambino morto?» «Non lo so, figliola. Forse è un po' presuntuoso da parte tua pensare che Egli si prenda il disturbo di turbarti il sonno.» «Tu sembri turbato.» Ash si guardò intorno senza scorgere il prete. «Lo sono, infatti.» «Godfrey?» «Sono morto, figliola» «Sei morto, Godfrey?» «I cinghiali sono un sogno, figliola e io sono morto.» «Perché mi parli, allora?» Ash sentì una sensazione nuova in quella parte della sua anima che di solito usava per comunicare con le voci. Una sensazione calda, quasi di divertimento. «Ho pensato» riprese la voce «che visto che avevo la capacità di richiamare i cinghiali potevo richiamare anche te. Quando ero giovane andavo nella foresta e rimanevo immobile per fare amicizia con quelle creature di Dio dotate di zanne tanto affilate da aprirmi la pancia in un batter d'occhio. Anche tu sei un creatura di Dio con le zanne, figliola. Ho impiegato tanto tempo per guadagnarmi la tua fiducia.» «E poi sei morto. Sei nella Comunione dei Santi, Godfrey?» «Non ne ero degno. Sono tormentato dai diavoli! Forse sono nel purgatorio.» «Sei vicino a Dio, allora. Potresti chiedergli per conto mio, come mai le Macchine Impazzite vogliono distruggere la Borgogna?» Una fitta di dolore le attraversò la testa e nello stesso istante sentì la voce ancora assonnata di Rickard che le chiedeva con chi stava parlando. Il ragazzino tirò fuori una mano da sotto la coperta e aprì la falda della tenda. La luce della luna illuminò l'interno del padiglione, il volto del ragazzo, le mani pulite di Ash, le pellicce, i vestiti, la spada e il letto. «Io...» Non c'era stato nessun passaggio dal sonno alla veglia. Ash si sedette e si accorse che il sonno non le aveva intorpidito i muscoli. Sono rimasta sveglia per qualche minuto abbondante, pensò guardandosi intorno. La tenda era sporca, familiare, reale. Rickard la fissava in attesa di ordini.
Sono rimasta sveglia. «Oh, merda!» Rivide Godfrey che crollava a terra con la testa ridotta a una poltiglia e vomitò. «Cristo!» Ash si resa appena conto che Rickard aveva messo la testa fuori dalla tenda, aveva chiamato qualcuno per poi uscire quando era entrata un'altra persona. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma quando alzò la testa trovò Floria al suo fianco. «Godfrey» le disse. «Ho sentito la voce di Godfrey. Gli ho parlato.» Fuori dalla tenda gli uomini stavano preparando i preparativi. «Può darsi che sia ancora vivo e tu abbia sognato il posto in cui si trova...» azzardò Floria. «È morto.» Le lacrime le riempirono gli occhi e lei non fece nulla per fermarle. «Cristo, Floria, aveva la parte superiore del cranio a pezzi. Pensi che l'avrei lasciato dov'era se fosse stato ancora vivo...!» Le lunghe dita del chirurgo le voltarono il viso in modo che fosse illuminato dalla luna. Ash non provò nessuna paura nel sentire quel tocco. Floria si acquattò di fronte ad Ash, le annusò l'alito per capire se aveva bevuto, le toccò la fronte fresca, quindi tornò a sedersi scuotendo la testa. «Perché dovrebbe perseguitarti nel sonno?» «Non stavo dormendo.» Fece per alzarsi. A giudicare dall'intensità della luce lunare era ovvio che fosse tardi. Voleva chiamare Rickard perché l'aiutasse a prepararsi. Una fitta di dolore le attraversò il naso, gli occhi e la gola facendola tossire. Respirava a fatica, aveva contratto la bocca e le lacrime continuavano a solcarle il viso. «Merda. È morto e io ho lasciato che l'uccidessero.» «È morto durante il terremoto» sbottò Floria. «Era là a causa mia, perché stava facendo quello che gli avevo chiesto.» «Già, come la cinquantina di soldati che sono morti in qualche battaglia.» La donna cambiò tono di voce. «No, bambina. Non l'hai ucciso.» «L'ho sentito...» «Come?» «'Come'?» Ash sentiva gli occhi che le bruciavano. La domanda aveva interrotto i singhiozzi. «Voglio sapere cosa intendi dire quando affermi che senti delle voci» disse Floria, ironica.
Ash la fissò per un lungo momento. «Rickard» disse improvvisamente alzandosi così in fretta che il chirurgo rimase in ginocchio. «Trovami il farsetto imbottito: muoviti. Adesso.» «Ash» la richiamò Floria. «Dopo.» Ash posò una mano sulla spalla del chirurgo che si stava alzando. «Hai ragione, ma ne parleremo dopo. Quando saremo a Digione.» «Se vai dal faris rischi di non entrare mai più a Digione! Una voce, hai detto. Non un sogno» aggiunse con più calma. Rickard aveva cominciato a rovistare tra i vestiti di Ash. «Dopo un sogno. Sembrava proprio Godfrey.» Ash rimase sorpresa dal fatto che quelle parole le avevano fatto riguadagnare il controllo nel volgere di pochi secondi. Allungò una mano e dopo qualche attimo d'esitazione, Floria gliela strinse. «In Digione» promise Ash. «Tornerò.» «Ash torna sempre» borbottò Rickard da un angolo buio della tenda. «È questo che dicono tutti dopo quello che è successo a Cartagine. Tu torni sempre alla compagnia. Giusto, capo?» «Malgrado l'esercito visigoto» dichiarò Ash, allegra. Il ragazzino le sorrise e l'aiutò a indossare la brigantina, l'elmo e la spada. Ash si avvolse nel mantello, uscì con Rickard e Floria e venne subito investita dalle domande degli uomini, dai sergenti che attendevano ordini e dai messaggeri che si facevano largo tra la folla. Prese un rotolo di carta dalle mani di Ludmilla Rostovnaya, lo passò a Rickard e quando il paggio ebbe finito di leggerlo, Ash annuì decisa e diede una serie di ordini. «Siamo attesi, giusto?» chiese Floria del Guiz in un attimo di pausa. «Se mi stai chiedendo se Robert è ancora vivo e impartisce ordini, sì» disse Ash senza neanche rendersi conto del sollievo provocatole dalla notizia. «Apriranno un cancello. Adesso non dobbiamo fare altro che entrare...» disse in tono assente mentre cercava qualcuno tra la folla. «Thomas Rochester!» Continuò a camminare convocando Angelotti e altri due uomini lungo il cammino. «Ho detto ai comandanti di lancia e ai sergenti di venire da te» disse senza tanti preamboli. «Angelotti, voglio che tu ti occupi degli arcieri e dei balestrieri. Portali dentro. Henri Brant, Baldina e Bianche si occuperanno dei carri. Thomas, tu avrai il comando della fanteria.» Sul volto barbuto del gallese apparve un'espressione confusa. «Non co-
manderai tu la fanteria, capo? Non sarai di ritorno prima della partenza?» «Sarò di ritorno prima che entriate a Digione. Euen Huw e Pietre Tyrrel saranno i tuoi ufficiali. Terrai tutto sotto controllo, vero, Geraint?» aggiunse mentre il robusto Gallese avanzava a fatica nel fango. Studiò per la centesima volta l'espressione inintelligibile del Gallese pensando che probabilmente dietro quegli occhi c'era il nulla e l'osservò drizzarsi: un uomo grosso e robusto con indosso una maglia di anelli metallici, un mantello e un elmo d'arciere. «Sai che non sono d'accordo, capo.» «Lo so, mastro Geraint. Potrai dissentire quanto vorrai una volta dentro Digione.» Ammorbidì l'espressione del viso. «Potremo parlarne quando saremo di nuovo una compagnia unita. Quello che devi fare adesso è entrare in città, chiaro?» Il Gallese si rilassò. «Chiaro. E tu sarai con il comandante nemico, capo?» Ash lanciò un'occhiata ad Angelotti. La calma bizantina di quel volto la inquietava più della supina accettazione di Geraint ab Morgan. «Con il faris» confermò Ash. «Sono l'unica che può gironzolare per il campo visigoto senza essere fermata.» Passò un dito lungo gli sfregi. «È sempre la sua faccia... siamo gemelle.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash: — (Pierce, Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#139 (Pierce Ratcliff) Ash/Cartagine 04/12/00 ore 09,57 a.m. Longman@ Indirizzo precedente
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Voglio sapere cos'è successo! Sei ancora sulla nave? Cos'altro avete scoperto??? Sei sicuro... certo che lo sei... i Visigoti... Cartagine!!! Non c'è nulla da stupirsi se il sito terrestre non corrispondeva affatto alla descrizione del 'Fraxinus'! Non mi aspetto che tu risponda a tutte le domande adesso, ma ho bisogno di alcune... informazioni... per fermare il libro e i lavori sul documentario. Devi solo chiedere alla dottoressa Isobel quando posso dire della sua scoperta al mio direttore. Oh mio... Dio... che libro abbiamo tra le mani. Oh, sì... questa è l'ultima parte del 'Fraxinus'? O devi ancora inviarne una? Sbrigati a finire la traduzione! Ti giuro che non mi sfuggirà tra le mani! —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#150 (Pierce Ratcliff) Ash/Cartagine 04/12/00 ore 04,40 p.m. Longman@ Indirizzo precedente
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Sto fermando tutti. Ti prego! Di' alla dottoressa Isobel di mandarmi una e-mail. Basta solo
una frase. 'Abbiamo trovato qualcosa di fantastico che conferma in pieno tutto quanto scritto nel libro del dottor Ratcliff', è più che sufficiente. Così potrò farlo vedere a Jon Stanley. Domani sarò fuori per qualche ora perché Nadia mi ha telefonato. Mi porto dietro il notebook satellitare e lo controllo regolarmente. Siamo a posto fino alla fine della settimana, perché oggi sono riuscita a convincere tutti... ma se continuo fino a venerdì mattina e scopro che qualcuno ha ingoiato l'esca, allora dovrò dire qualcosa. VOGLIO SAPERE COSA AVETE TROVATO SUL FONDO DEL MARE, VI PREGO!!! Con affetto, Anna. —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#256 (Anna Longman) Cartagine 04/12/00 ore 05,03 p.m. Ngrant@
Egregia signora Longman
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»» Devi solo chiedere alla dottoressa Isobel quando posso dire della sua scoperta al mio direttore Se è assolutamente necessario per la sopravvivenza del libro del dottor Ratcliff allora può far vedere l'e-mail del 3/12/00 al suo direttore, ma niente di più finché non avrò scritto un articolo. Può dirgli che confermo ogni parola scritta dal dottor Ratcliff. Abbiamo trovato la Cartagine visigota. Saluti, Napier-Grant
DECIMA PARTE 15 NOVEMBRE AD 1476 Assedio periglioso156 I Ash raggiunse i piedi della collina accompagnata dal suono della terra smossa e uscì allo scoperto. Aspettò qualche attimo per far sì che gli occhi si abituassero alla luce della luna che splendeva nel cielo terso illuminando la strada davanti a lei. Merda, pensò, sono circondata da corpi! Il cielo limpido aveva portato con sé un abbassamento della temperatura e l'acqua delle pozzanghere era stata ricoperta da un sottile strato di ghiaccio. Intorno, ammassati in quella distesa di fango, c'erano carri, cavalli dalle schiene ossute che riposavano, esausti, uomini e donne sdraiati a terra incuranti del fango che gelava intorno a loro abbandonati scompostamente nella notte come se dormissero, o fossero morti. Ash si immobilizzò, acquattandosi nel freddo pungente, rimanendo in ascolto di eventuali grida. Niente. Si asciugò le lacrime provocate dal freddo. No, sembra un campo di battaglia, ma non lo è, pensò, non ci sono i morti ammucchiati, niente animali spazzini, corvi o topi, non c'è nessuna pozza di sangue rappreso, non puzza come un'imboscata, una schermaglia o un massacro. Questi uomini stanno dormendo, non sono morti. Profughi, che si sono addormentati nel punto in cui sono stati sorpresi dalla notte. Rimase perfettamente immobile, attenta a ogni movimento delle persone intorno a lei. Il campo del Leone era alle sue spalle e la strada su cui si trovava andava a sud, verso Auxonne. Digione era a un paio di chilometri di fronte a lei, circondata dall'esercito invasore. Ma, certo, pensò improvvisamente, potrei continuare se mi tenessi lontana da Digione. Continuare: lasciare Floria, il faris, la compagnia e le Macchine Impaz156
(?).
Parte finale del 'Fraxinus me fecit', si presume scritta intorno al 1480
zite alle spalle, lasciare ogni cosa perché ormai tutto è così diverso; io volevo solo essere un soldato... Non sono più un soldato e basta dopo quello che è successo sulla spiaggia di Cartagine. La mia condizione di semplice soldato è terminata quando qualcuno mi ha costretta a camminare verso le piramidi, verso le Macchine Impazzite. A sud sentì in lontananza il richiamo dei lupi. Un altro. Altri due, poi il silenzio. Hai ancora voglia di scappare? si chiese. Sentì la bocca che si piegava in un ghigno. Sono un soldato, pensò. Ho svariate centinaia di ragioni in carne e ossa alle mie spalle per le quali ho bisogno di risposte, adesso. Oh, certo, potrei mandarli a farsi fottere tutti quanti e lasciare Tom Rochester al comando. Andare da qualche altra parte. Arruolarmi in qualche altra compagnia. Smettere di cercare di tenere tutto quanto insieme. Sentì le budella che si contorcevano e si rese conto di avere più paura di quello che aveva pensato. Che sia una pazzia andare dai Visigoti? si chiese. Lo è. Una guardia qualsiasi può uccidermi senza pensarci due volte. Il faris potrebbe farmi giustiziare e buttare su una nave diretta a Cartagine quello che resterà di me. Dopo quello che è successo a Basilea penso di conoscerla... ne sono tanto sicura? Sto facendo qualcosa di stupido e pericoloso! E tutto questo potrebbe succedere prima che abbia ottenuto delle risposte. Butto via spada e armatura, pensò Ash, mi sdraio a dormire a fianco di una di queste donne, mi sveglio al mattino e continuo a camminare. Dovrò tenere il viso sempre nascosto, ma nessuno mi riconoscerà in mezzo a questa gente. Questa guerra deve aver creato centinaia di migliaia di profughi, io diventerei uno dei tanti. La Macchine Impazzite potranno anche manipolare l'esercito del faris, ma non potrebbero trovarmi e io uscirei dalla Borgogna. Potrei rimanere nascosta per mesi. Per anni. Già, butta la spada e l'armatura e fatti stuprare e uccidere perché hai ancora un paio di stivali. Le persone intorno ad Ash erano immobili. Si alzò cautamente in piedi. Il mantello e il vestito lungo nascondevano la brigantina e lei teneva una mano sulla spada. Sotto il cappuccio e l'elmetto sentiva il viso nudo e il vento freddo le lambiva le guance. I capelli
erano troppo corti per finirle negli occhi. Devo rimanere viva, pensò. Almeno finché non muoio di fame. Sentì il sapore dell'urina in bocca. La strada puzzava di piscio ed escrementi. Superò i solchi scavati dai carri attraversando con calma i tratti di terreno rivoltato tra i vari gruppi di profughi. Impiegò circa un minuto prima di rendersi conto che stava vedendo bambini ovunque. Quasi ogni famiglia aveva dei bambini o dei neonati. Qualcuno tossì e un bambino cominciò a piangere. Ash sbatté le palpebre a causa del freddo. A quell'età ero uno dei figli degli schiavi di Cartagine che aspettavano il coltello, pensò. Si muoveva nel fango con la tranquillità di un animale. Non c'erano cani, solo qualche cavallo e una distesa di persone che portava sulla schiena tutto quello che erano riusciti a prendere. Ash evitò le pozzanghere e camminò sulle altre impronte. Aveva avuto l'impulso di avvolgere un bambino con il mantello, ma la sua natura guardinga l'aveva portata oltre prima ancora che potesse mettere in atto il suo intento. Io ho molte più cose in comune con il faris che con questa gente. Il fiato si condensava nell'aria gelata. Ash si diresse a nord senza esitare, verso il ponte e gli incroci. Non scapperò, concluse. Non con Roberto e gli altri dentro Digione. La compagnia lo sa, io lo so: ecco perché non potevo fare altro che tornare qua. Dannazione al conte di Oxford, dannazione a John de Vere, perché non ha portato tutti i miei uomini a Cartagine...? A quest'ora sarei già a mezzo mondo di distanza da qua! Ormai è fatta. Continuo a sentire la voce di un morto... Godfrey... Gesù! Mi manca! È così brutto ricordarsi di lui tanto bene, al punto di sentirne la voce? Continuò ad avanzare. Di giorno avrebbe compiuto quel tratto di strada in pochi minuti, ma, dopo aver lanciato una rapida occhiata alla luna, si rese conto che era passata quasi un'ora. Raggiunse la cima di un'altura dalla quale poté vedere il ponte e la zona nord del campo nemico. «Figlio di puttana...» Quando aveva osservato l'accampamento visigoto dall'altura insieme a John Price, Ash aveva visto solo la sponda ovest del fiume: una distesa di tende erette su quattro o cinque chilometri di terreno che fino a poco tem-
po prima era stato coltivato a vigna, grano o tenuto come marcita. Oltre il ponte a nord c'erano solo tende illuminate dalla luna e dietro di loro, immerse nel buio, delle strutture scure: probabilmente i forti da campo che ospitavano i quartieri invernali. In fondo all'accampamento le macchine d'assedio: trabocchi e i contorni squadrati delle torri d'assedio rivestite di pelli. Non c'era nessun golem in vista. Spero di avere ancora un'ora prima che John Price entri in azione. Non deludermi, rosbif... Di notte è facile, la confusione, la mancanza di ordini, controllo e coordinazione e tutto va all'inferno in pochissimo tempo. Sapeva che finiva così e per un attimo si chiese se non era meglio tornare indietro, ma, nonostante il dubbio, drizzò le spalle e scese dal pendio fangoso dirigendosi verso la strada che portava al ponte e alle difese perimetrali del campo visigoto. «Alt!» «Va bene, va bene» disse Ash ad alta voce in tono divertito. «Mi sto fermando!» Mise le mani bene in vista. «Non abbiamo cibo!» le urlò in francese una voce disperata. «Sparisci!» «Pianta un quadrello in testa a qualcuno, nazir e gli altri scapperanno» disse una seconda voce in cartaginese. «Cosa?» Ash represse una risata. L'eccitazione le faceva ribollire il sangue e scoprì che stava ridendo così di gusto che il vento freddo le faceva dolere i denti. «Cristo Verde in cima al fottuto Albero! Alderico? Arif Alderico?» Ci fu un momento di silenzio totale nel quale Ash si diede dell'idiota per l'errore che aveva commesso, quindi una delle figure scure vicino al cancello disse: «Jund? Siete voi, jund Ash?» «Per i cancelli spalancati dell'inferno! Non posso crederci!» «Avanza e fatti riconoscere!» Ash si asciugò il labbro superiore con la manica, nascose le mani nel mantello e avanzò barcollando. La luce del fuoco l'accecò per qualche istante mentre si avvicinava ai carri che bloccavano il ponte. Una mezza dozzina di uomini armati di lancia e guidati da un ufficiale barbuto si fecero avanti. «Ash!» «Alderico!» Ash aveva allungato le braccia nello stesso momento in cui l'aveva fatto l'arif. Si fissarono per qualche secondo. «Controlli le guardie
del perimetro, eh?» «Sapete anche voi come vanno certe cose.» Il grosso Cartaginese ridacchiò e si allontanò da lei passandosi una mano sulla barba intrecciata. «A chi hai dato fastidio per farti sbattere qua?» chiese Ash. L'arif tornò a fissarla per quello che lei effettivamente era: un nemico e l'espressione del volto divenne severa. «Sono morte molte persone a causa del tuo attacco alla casa di Leofric.» «Anch'io ho perso diversi uomini.» L'arif annuì pensieroso quindi schioccò le dita, borbottò qualcosa a una guardia che corse immediatamente al campo. Ash notò che il soldato aveva rallentato appena era uscito dal cono di luce dei fuochi che illuminavano il ponte. «Penso che dovrete considerarvi mia prigioniera» disse Alderico. L'arif fece qualche passo avanti e Ash notò con sorpresa che l'uomo stava facendo di tutto per nascondere l'espressione divertita che gli era apparsa sul viso. «Che Dio, sempre nella Sua misericordia ti danni. Non credo che una donna sola possa fare quello che avete fatto voi. Dov'è lo jund Inglese? Quello con le insegne color bianco e prugna? È con voi? Con chi siete venuta?» «Nessuno è con me.» Sentì la bocca che si seccava. Dannazione, pensò, non poteva essere qualcun altro. Adesso darà l'allarme a tutte le guardie e John Price avrà il suo bel da fare per uscire. Ce la farà lo stesso. Quello è un vero duro. «Eccomi qua! Niente di più, niente di meno» gli fece notare Ash, tenendo le mani bene in vista. «Sì, ho la spada e mi piacerebbe tenerla.» L'arif Alderico scosse la testa e rise di gusto. «Non mi fiderei di voi neanche se aveste in mano un cucchiaio smussato, jund, figuriamoci una spada» disse, mentre faceva cenno ai suoi uomini di avanzare. «Va bene» si arrese Ash, scrollando le spalle. «Solo che se fossi in te, prima di tutto chiederei al faris.» Alderico in persona le tolse il mantello mentre altre due guardie cominciarono a slacciarle il cinturone della spada. Le dita dell'arif si muovevano svelte nonostante il freddo. Alderico si drizzò tenendo in mano la spada di Ash e disse: «Non cercate di convincermi che il generale sa che siete qua.» «Certo che no. Meglio se glielo dici, però.» Ash lo fissò dritto negli occhi. «È meglio se le vai a dire che Ash è venuta a negoziare. Mi dispiace di non aver portato la bandiera bianca.»
Ash si rese conto che la sua faccia tosta aveva spaventato l'arif, che si girò e impartì degli ordini alle guardie. Gli uomini a fianco di Ash la spinsero in avanti senza dimostrarsi particolarmente rudi. Il fiume gorgogliava sotto le arcate mentre il drappello lo attraversava per cominciare la traversata della distesa di fango che li separava dalle tende. La sua presenza in mezzo a uomini che l'avrebbero uccisa senza alcuna esitazione era un fatto reale e fu proprio tale constatazione che la portò a sgranare gli occhi nonostante il freddo, come se volesse imprimere nella sua mente le centinaia di tende ricoperte da un sottile strato di ghiaccio, mentre le orecchie registravano il rumore degli stivali nel fango. Tuttavia, sebbene le percezioni fossero quasi tangibili, tutto le sembrava irreale. È una follia, pensò. Dovrei essere con la mia compagnia. Ash camminava sulla scia dell'arif. Un cane abbaiò: una figura pallida e magra che si aggirava intorno alle tende comuni annusando l'immondizia. Ash notò che quasi tutti i padiglioni comuni erano piuttosto grandi, i Visigoti preferivano riunire gli uomini in grosse unità. Un gufo le passò sopra la testa simile all'ombra bianca della morte e lei sentì il cuore che le balzava in gola. Il rapace notturno le aveva ricordato la battuta di caccia tra le piramidi. Scesero e salirono diversi pendii scivolosi rimanendo sempre all'interno del campo. Ormai dovevano aver percorso almeno un chilometro. Ash vide il riflesso della luce lunare... doveva trattarsi dei tetti di Digione. Da qualche parte nelle mura staranno aprendo un cancello. Dio, ti prego, pensò. «Ho perso sei uomini nel corso del vostro attacco» le comunicò Alderico. L'arif l'aveva affiancata, ma continuava a guardare in avanti. Il profilo del viso spiccava netto contro la luce della luna. «Il nazir Teodiberto e i soldati Barbas, Gaina, Gaiserico...» «Sono uomini che avrei ucciso con le mie mani» lo interruppe Ash, lasciando che parte dell'amarezza che provava filtrasse nella voce. Fissò il volto barbuto del soldato con la consapevolezza che lui, come ogni buon comandante, sapeva bene i nomi di chi l'aveva picchiata malgrado fosse incinta, e che aveva abortito. «Siete un veterano. Sapete che non dovete farla diventare una questione personale. Inoltre, jund, non siete morta durante il crollo della Cittadella. Dio vi ha risparmiato per un buon motivo: altri bambini, forse.» Ash fissò intensamente il Cartaginese. Sa che ho perso il bambino e non potrò averne altri. Sa che sono scappa-
ta da Cartagine, ma non sa nulla delle Macchine Impazzite. Pensa che sia qua per chiedere un altro contratto. Una seconda condotta. L'unica cosa che può sapere sono le solite dicerie che circolano tra i soldati: io sono un altro faris e sento la voce del Golem di Pietra. Se avessero un motivo per smettere di usare la machina rei militaris, lui lo saprebbe e avrebbe paura di me! Alderico è al servizio dei Leofric. Quasi a confermare i suoi sospetti, l'arif disse: «Se fossi in voi, jund, non avrei corso il rischio di ricadere tra le grinfie della famiglia Leofric. Ma il nostro generale è una donna guerriero e forse saprà trovare un impiego migliore per voi.» Ash notò che Alderico aveva detto 'la famiglia Leofric' e non semplicemente ' Leofric '. «Il vecchio è morto?» chiese, diretta. Grazie al netto contrasto tra il buio e la luce lunare, Ash poté vedere l'arif che arcuava le sopracciglia e quando parlò usò un tono professionale come se si stesse rivolgendo a un collega. «Grazie a voi è malato, jund, ma sta recuperando bene. Cos'altro potremmo aspettarci visto che Dio ci ha benedetti?» «Lo credi?» Una vena di divertimento permeò la voce del soldato. «Forse non qua a Digione. Dio ha toccato il suo cuore a Cartagine con la luce della Sua benedizione e quello di ogni uomo che ha visto il Suo fuoco freddo bruciare sopra le tombe dei califfi-re. Un veggente mi ha detto che è un presagio, la crociata terminerà in fretta.» Crede che io sia uscita da Digione, pensò Ash, e poi parla del fuoco freddo sopra le tombe... Sopra le piramidi. L'aurora provocata dalle Macchine Impazzite. «E tu pensi che siano tutti segni del favore di Dio?» «Cos'altro potrebbero essere? Voi stessa, jund, eravate a Cartagine quando il terremoto ha scosso la Cittadella e il palazzo è crollato. Poi, improvvisamente, il primo Fuoco Benedetto è stato visto e il califfo-re Gelimero non è morto nel terremoto.» «Ma...!» Non c'era più tempo per fare altre domande, erano giunti in prossimità di un messaggero che indossava una divisa con i colori e le insegne del faris. L'uomo stava correndo verso di loro e le sue urla avevano coperto le parole di Ash. Il faris non era alloggiato in un padiglione, ma dentro una costru-
zione di legno con il tetto di zolle di erba circondata da bracieri, soldati e schiavi che venivano svegliati. Ash stava per riformulare la domanda, quando vide una figura vestita di bianco uscire dalla casa. Anche se gli uomini non avessero rivolto automaticamente l'attenzione verso la donna, Ash avrebbe capito che era lei per via della chioma biondo chiaro, quasi bianco, che le scendeva fino ai fianchi. Anch'io un tempo dovevo fare la stessa impressione, pensò Ash, prima di avvicinarsi alla gemella con passo deciso. «Questo è un incontro. Vuoi parlare con me?» «Sì» rispose il faris, senza esitare. «Portala dentro, arif.» La gemella di Ash si girò e rientrò nella costruzione. Il vestito d'ermellino e seta metteva in evidenza le forme del corpo. Disarmata, senza elmo, appena sveglia, ma sembrava avere già il pieno controllo di se stessa. Ash aveva i piedi intirizziti dal freddo e inciampò sugli scalini. Ai lati della porta, immobili, due golem reggevano delle lampade a olio. Avrebbero potuto essere scambiate senza alcun problema per delle statue: uno era di marmo bianco l'altro di arenaria rossa. La mano di un artigiano aveva certamente modellato i muscoli delle braccia, quelli del torso e i lombi allungati, imprimendo sui volti dei lineamenti spigolosi. Le giunture di bronzo lucido delle spalle e dei gomiti si mossero, mentre uno dei golem sollevava di più la lampada. Ash udì il rumore quasi impercettibile delle parti metalliche ingrassate che scivolavano una contro l'altra. Il golem rosso imitò il compagno. «Seguitemi!» I due golem ubbidirono immediatamente. Le tavole del pavimento scricchiolarono sotto i passi delle due statue e una luce tremolante balenò contro le pareti rivestite d'arazzi. Ash fissava le schiene dei golem. Sono stata così dannatamente vicina al Golem di Pietra, alla machina rei militaris... pensò. «Vuoi parlare con me in privato, Faris?» chiese. «Sì.» Il generale passò senza esitare sotto un'arcata alla quale erano state appese delle tende di seta. Una mano le aveva scostate per farla passare. Ash la seguì e lanciò una rapida occhiata agli schiavi con indosso la tunica di lana: schiavi di casa, mandati direttamente dall'Africa, un paio li conosceva di vista perché facevano parte del personale di Leofric. La sua rapida ispezione le fece capire che non c'erano né Leovigild, né Violante. Leovigild che aveva cercato di parlarmi quando ero in cella e Violante che mi ha portato le coperte, pensò Ash.
È chiaro! Potrebbero essere belli che morti. «Non trovi che sia bello diventare tanto importanti da indurre la gente a non ammazzarti appena ti vede?» disse Ash, ironica, mentre entrava nella stanza e si andava a sedere su uno sgabello di fronte a un braciere. Non guardò Alderico e il faris per qualche momento, si tolse il cappuccio, si sfilò i guanti e allungò le mani sul fuoco per scaldarle. «Non avete ancora preso Digione, giusto?» domandò, fiduciosa. «Non ancora!» borbottò l'arif. La vista del comandante Alderico che si trovava di fronte alle due gemelle provocò un'ondata di genuina euforia in Ash. Una è quella che hai seguito in Iberia e alle quale hai affidato la tua vita in battaglia. E l'altra... quello alla quale hai tagliato la gola quando aveva appena quattordici settimane di vita, pensò Ash. Sentì una mano che si muoveva, ma la fermò immediatamente perché non voleva toccarsi la cicatrice quasi invisibile che aveva sulla gola. Sorrise ad Alderico e lo vide sussultare alla vista del suo volto sfregiato. Dall'espressione dell'arif era chiaro che la trovasse ancora simpatica, ma non troppo. Dal punto di vista professionale, militare... era ovvio che egli sentisse la sua parziale responsabilità scaricata con quello che le aveva confessato a Cartagine. «Non abbiamo ancora preso Digione con un assalto.» il faris strinse le braccia intorno al corpo e si girò sfilandosi il vestito. Il viso era segnato dalla fatica, ma non magro, non stavano patendo la fame. «Non sono gli assalti a porre fine agli assedi. La fame, il tradimento, le malattie... ecco cosa pone fine a un assedio.» Ash arcuò un sopracciglio e guardò Alderico. «Voglio parlare con il tuo capo, arif.» Il faris disse qualcosa in tono tranquillo, Alderico annuì e uscì. Il faris fece un cenno agli schiavi e rimase in piedi a osservare il cibo e il vino che venivano portati nel casamento. L'interno della costruzione era costituito da un'unica stanza arredata con dei tavoli da campo, bauli, un letto da campo; erano tutti mobili di fattura europea, probabilmente frutto dei saccheggi. In mezzo a tutti quegli oggetti appartenuti ai Franchi la presenza dell'armatura del generale e i due golem sembravano un pugno in un occhio. «Perché mi hai svegliata?» le domandò il generale. «Avresti potuto aspettare tranquillamente fino a domani mattina per tradire.» E due, pensò Ash, senza che nulla trapelasse sul suo volto. Non ho detto nulla... ed entrambi pensano che io sia stata a Digione per tutto questo
tempo. È ovvio, il faris avrà visto le mie insegne sulle mura! E la machina rei militaris non può averle detto dove mi trovavo perché io non ho più cercato il suo aiuto. Pensa che sia venuta a consegnarle la città. Lasciamoglielo credere. È da mezz'ora che lo pensano. Devo fare in modo che lo pensino per un'altra mezz'ora. Devo rimanere viva fino ad allora. E nel frattempo fare ciò per cui sono venuta. Il faris la fissò per un lungo momento, quindi rientrò nella sua stanza, superò l'usbergo di maglia metallica appeso a un gancio e, tranquilla, impartì degli ordini agli schiavi che lasciarono la stanza. «Se provi ad attaccarmi i golem ti faranno a pezzi» la informò, girandosi verso di lei. «Non ho bisogno di guardie.» «Non sono venuta per ucciderti.» «Mi permetto di dubitarne, per la mia stessa sopravvivenza.» Il generale si avvicinò e si sedette vicina al braciere. Fu il modo in cui si abbandonò, quasi come se si stesse adagiando su un cuscino morbido, che fece capire ad Ash quanto fosse stanca la gemella. Il faris chiuse gli occhi per un attimo e, come per completare un lungo ed elaborato pensiero, disse: «Ma tu non saresti venuta qua se io avessi già preso la città, giusto? Hai troppa paura di tornare a Cartagine. Sei la mia persecuzione» aggiunse inaspettatamente la donna. «Digione» disse Ash, neutra. «Ti pagherò bene per l'apertura delle porte.» Il faris posò le mani in grembo. Un lembo dell'abito scivolò indietro esponendo le gambe al caldo del braciere. La luce rossa si rifletté sulla pelle morbida e bianca. Una donna sicura di sé ben poco diversa da quella che Ash aveva visto a Basilea. Ash fissò le mani della donna di fronte a lei e vide che la pelle intorno alle unghie era stata mordicchiata. «Non si discute sulla sicurezza della mia compagnia» disse Ash, come se stesse partecipando a uno dei tanti negoziati della sua vita. E chi dice che non lo sia, pensò. «Usciremo dalla città con l'onore delle armi» aggiunse. «Firmerò un impegno che non sottoscriverò nessun contratto con i nemici dell'impero nella Cristianità.» Il faris fissò Ash negli occhi, ma quest'ultima ebbe la netta impressione che la gemella non avesse voluto farlo. «Il nostro signore, Gelimero» esordì, un poco stizzita «continua a premere. Messaggeri, piccioni e la
machina rei militaris. 'Continua con l'assedio. Incalza!'... ma altri comandanti potrebbero tenere l'assedio, il mio posto è sul campo con l'esercito! Consegnami la città e io sarò dell'umore giusto per ricompensarti come si deve.» Allora Gelimero è ancora vivo, pensò Ash. Dannazione! Una diceria smentita. Rifletté per qualche breve attimo se doveva chiedere di suo marito, ma allontanò sia il pensiero sia la fitta di dolore che provò. Staranno ancora combattendo nelle Fiandre? si chiese. «I miei finanziamenti dipendono da quello che pensa Gelimero: la campagna dovrà fermarsi per l'inverno, ma la crociata può attendere fino alla primavera, nel frattempo Gelimero farà in modo di consolidare la sua posizione.» Lanciò un'occhiata al faris per vedere come aveva interpretato la sua familiarità con gli intrighi politici di Cartagine. «Ti sbagli. L'unica cosa che importa al nostro califfo-re è la morte del duca e la distruzione della Borgogna.» Poi, come se fossero delle vere sorelle, aggiunse: «Papà è ancora ammalato. Si è ferito durante il terremoto. Il cugino Sisnandus ha preso le redini della Casata. Parlo con Sisnandus attraverso il Golem di Pietra ed egli mi ha assicurato che nostro padre si riprenderà in fretta.» Ash si accorse che il sentir menzionare la machina rei militaris le aveva provocato un brivido freddo alla base del collo. «Riesci ancora a parlare con il Golem di Pietra?» Il faris distolse lo sguardo. «Perché non dovrei?» Qualcosa nel tono di voce della gemella paralizzò Ash, che, fin dall'inizio del colloquio era stata a pronta a cogliere ogni sfumatura. «Ho riferito al Golem la situazione tattica e Sisnandus e il re mi hanno detto di continuare. Presto papà tornerà a parlarmi...» Sospirò stropicciandosi gli occhi. «Si riprenderà in fretta. Ci vogliono un mese e due settimane per tornare a Cartagine e io non posso abbandonare il mio posto con l'assedio in atto.» Aprì gli occhi e fissò Ash. C'è qualcosa di diverso in te, ma non riesci a capire di cosa si tratti, pensò Ash. «Tu senti le altre voci» disse Ash, senza quasi rendersi conto di aver aperto bocca e che quello che diceva poteva essere vero. «Senti la voce delle Macchine Impazzite!» «Insulsaggini!»
Il faris diede l'impressione di dover scattare in piedi da un momento all'altro. La vestaglia si aprì ulteriormente rivelando la daga che pendeva dalla cintura. Il generale carezzò l'arma, quindi lanciò uno sguardo al golem più vicino. La luce della lampada brillava sul volto privo di occhi. «'Macchine Impazzite'...?» «Mi hanno detto che fu frate Bacone a chiamarle in quel modo.» «Te l'hanno detto loro...» La donna incespicò sulle sue parole poi riguadagnò il contegno. «Io... sì... ho sentito quanto riportato dalla machina rei militaris durante il tuo attacco a Cartagine. È ovvio che ci siano state delle interferenze provocate dal terremoto: mi ha riferito dei miti... leggende che qualcuno deve aver inserito al suo interno. Stupidaggini!» Ash sentì le mani che si imperlavano di sudore freddo. «Le hai sentite!» «Ho sentito il Golem di Pietra!» «Tu hai sentito qualcosa che parlava per bocca del Golem di Pietra» insisté Ash, sporgendosi in avanti. «Le ho fatte parlare... non se l'aspettavano... ma non posso rifarlo. Anche tu le hai sentite dire che erano le ferae natura machinae e hai sentito quali sono le loro intenzioni...» «Fantasia! Nient'altro che pura fantasia!» Il faris cambiò posizione sulla sedia in modo da non dover fissare direttamente Ash. «Sisnandus mi ha assicurato che si tratta di una storia che uno schiavo deve aver letto al Golem... forse si è trattato di uno schiavo rancoroso. Sisnandus ha fatto giustiziare degli schiavi.» Mio Dio, pensò Ash fissando la gemella, e io che credevo di fare di tutto per evitare il problema... «Non puoi credere a quello che ti dicono i Leofric» asserì Ash, calma. «Faris, dove un tempo udivo una sola voce ora ce ne sono diverse. Anche tu le hai sentite, vero?» «Non le ascolto. Non mi dicono nulla! Non le ascolto.» «Faris...» «Non ci sono altre macchine!» «Ci sono altre voci oltre quella del Golem di Pietra...» «Non le ascolterò.» «Cos'hai chiesto loro?» «Niente.» Ash pensò che per un ipotetico ascoltatore esterno, uno schiavo o le guardie che origliavano dietro la porta, quella scena sarebbe stata piuttosto fuori dal comune: due donne con lo stesso volto e la stessa voce che si parlavano. Ash dovette toccarsi gli sfregi sulle guance e fissare gli occhi
castano chiaro del faris per rendersi conto che non erano la stessa persona e che non stava sognando di nuovo come era successo con i cinghiali e il bambino morto. «Non ci credo. Tu hai parlato con loro» ripeté Ash con tono piatto. «Non volevi neanche sapere chi fossero?» Sulle guance del faris apparve un lieve rossore. «Non c'è nessun loro. Cosa vuoi da me, jund?» Ash si avvicinò al braciere. «Sono la tua sorella bastarda.» «E questo cosa significa?» «Non lo so.» Ash fece un fugace e mesto sorriso. «Parlando terra terra significa che io e te sentiamo le stesse cose. Io ho sentito le Macchine Impazzite che mi rivelavano la loro vera natura e che hanno manipolato la casata dei Leofric nel corso degli ultimi duecento anni affinché allevassero te...» «No!» «Oh sì.» Un sorriso balenò sulle labbra di Ash. «Sei la figlia di Gundobad.» «Non ho sentito niente!» «Tuo... nostro padre, Leofric, è stato usato, e continua a esserlo.» Ash si alzò lanciando una rapida occhiata ai golem che rimasero immobili. «Nel nome di Cristo, faris! Tu sei la prescelta, sei quella che ha sentito la voce del Golem di Pietra da quando sei nata e cerchi di dirmi che non hai sentito le Macchine Impazzite!» «Non ho sentito niente.» Il generale visigoto si alzò a sua volta rimanendo scalza sulle pellicce che ricoprivano il pavimento di quercia. Fissava Ash e inclinò la testa di lato. «Sono solo delle fantasie di uno schiavo scontento. Cos'altro potrebbe essere?» «Questa non è la tua guerra né quella di Leofric. Non è neanche la guerra del fottuto califfo-re.» Ash cominciò a passeggiare su e giù per la stanza entrando e uscendo dal cono d'ombra dei bracieri. «È la guerra delle Macchine Impazzite. Perché? Perché faris? Perché?» «Non lo so!» «Allora chiedi!» esplose Ash. «Tu potresti ottenere una riposta!» Il golem più vicino cominciò a muoversi e Ash si immobilizzò sul posto e, proprio come avrebbe fatto con un cane grosso, feroce, ma non molto intelligente, attese che la statua si fermasse. «Ho... sentito delle voci, una volta! E... si tratta di un errore che Leofric correggerà appena starà bene!»
«Sai cosa sono... scommetto che le hai anche viste nel deserto... Alderico l'ha chiamata la 'benedizione di Dio'...» «Calmati.» Il tono di voce del faris era diventato improvvisamente tanto autoritario da indurre Ash a fermarsi. Era in presenza di una donna che aveva combattuto dozzine di campagne in Iberia prima di mettere un piede nella Cristianità. Anche se priva di armi e armatura, il faris continuava a rimanere un guerriero. L'unico neo nella sua postura era lo sguardo mutevole. «Cerca di guardarla dal mio punto di vista, jund» disse il faris, tranquilla. «Devo dare la priorità ai tre eserciti schierati sul campo.» La voce le tremò. «Solo questo mi dà lavoro per ventiquattr'ore al giorno. Non ho tempo di dare retta alle dicerie. Dove sarebbero queste machinae? Come è possibile che non abbiamo mai saputo niente di loro né degli amir che le hanno costruite?» «Sai bene che non hai sentito delle dicerie: hai sentito...» Ash si interruppe. Non mi sta ascoltando, pensò. Sa bene cosa ha sentito, ma non lo vuole ammettere neanche a se stessa. Devo parlare per prima? Percepì un secondo bagliore in un angolo della stanza e si accorse che si trattava di un altro manichino. Ash si avvicinò e fece scivolare le dita sul piastrone di un'armatura di fattura milanese che le era fin troppo familiare. «Per l'inferno. Te la sei portata sempre dietro? Fino da Basilea? Be', credo che sia della tua stessa misura.» Ash continuò ad accarezzare l'armatura, quindi afferrò le parti in cuoio e tirò con forza. «Le fibbie avrebbero bisogno di una lucidata, pensavo che l'avresti fatto fare con tutti i tuoi dannati schiavi.» «Siediti, mercenario.» Il sentirsi chiamare in quel modo fece ricordare ad Ash lo scorrere del tempo. Non vide nessun orologio e non poteva vedere la luna. Quando scoppierà il casino non potrò sapere se si tratta di John Price che attacca o del resto della compagnia che è stato sorpreso mentre cercava di entrare in città. «Sai anche tu che non è una questione di eserciti» disse Ash, girandosi a guardare la gemella. «Se lo fosse a quest'ora combatteresti contro la Turchia e non contro la Borgogna. Qualunque cosa siano o vogliano, queste Macchina Impazzite stanno diventando sempre più forti. Saprai che sono state loro a far scendere l'oscurità e non la maledizione di qualche Rabbi. E
adesso si sta espandendo...» Il faris scosse la testa. «Non sento!» «Ti hanno chiamata 'figlia di Gundobad'?» Gli occhi del faris la fissarono privi d'espressione. «L'unica cosa che mi parla è la macchina tattica» ripeté in tono meccanico. «Tutto il resto sono solo leggende che qualcuno ha inserito all'interno del Golem.» Non mi vede, pensò Ash. Non sta parlando con me. È la stessa cosa che ha detto a Leofric il giorno in cui è successo? Improvvisamente Ash comprese e immaginò le loro domande al padre adottivo e il lord-amir che rispondeva in preda al panico. E ora lei che nega tutto. Da quanto tempo Leofric è ammalato? si chiese Ash. Dal giorno del terremoto? Cristo, sono passati due mesi? Si è ferito nel terremoto o è successo qualcos'altro...? E chi è questo 'cugino Sisnandus'? Quanto sa di quello che succede? Quanto sa delle Macchine Impazzite, di questo... Quanto è malato Leofric? «Cosa ne dice 'papà' di tutto questo?» chiese Ash, ironica. La donna alzò lo sguardo. «Non credo che sia il momento adatto per disturbarlo con queste insulsaggini. Aspetterò che stia bene.» Ash era consapevole di trovarsi su un terreno insidioso e si limitò a fissare la gemella senza dire nulla. Posso chiederle se le Macchine Impazzite hanno già parlato attraverso la machina chiedendo una maggiore sorveglianza per quest'ultima? No, non me lo dirà. Non ne vuole sapere nulla. Rimarrà sigillata per tutta la guerra. E non posso sapere ciò che dice tramite il Golem di Pietra. Il faris tornò a sedersi. La luce arancione delle lampade delineò i contorni del viso e delle spalle. Si passò una mano sulla volto. Era scomparsa parte della stanchezza e, stranamente, anche parte della sua autorità. Fissò Ash, indecisa. «Il tuo confessore è con te?» chiese improvvisamente il faris. Ash rise stupefatta. «Il mio confessore? Mi vuoi giustiziare? Non credi che sia esagerato?» «Il tuo prete, un uomo chiamato Gottfried, Geoffroi...» «Godfrey? Godfrey Maximillian è morto mentre cercavamo di scappare da Cartagine» disse Ash. Il faris mise le braccia dietro lo schienale della sedia e vi scaricò sopra il peso del corpo, poi alzò gli occhi per fissare il tetto come se potesse trova-
re delle risposte tra la sporcizia, quindi tornò a fissare Ash. «Avrei... delle domande che vorrei porre a un prete franco.» «Dovrai cercarne un altro. Ma è difficile che vengano se sono morti come l'ultima volta che ho visto Godfrey» rispose Ash in tono aspro. «Ne sei sicura?» Ash fu percorsa da un brivido gelato che non aveva nulla a che fare con l'inverno. «Cosa significa un prete per te? Quando mai hai incontrato Godfrey Maximillian?» Il faris distolse lo sguardo. «Non ci siamo mai incontrati. L'ho sentito nominare quando eravamo a Basilea.» «Sapresti riconoscere la sua voce?» chiese Ash. Il colorito del faris cambiò in maniera impercettibile, ora sembrava a disagio. «Tu sei l'altra» disse improvvisamente il generale visigoto. «Tu lo senti come me. Cos'altro posso pensare per sapere che non ho preso un colpo di sole e sono impazzita?» «... Perché sentiamo la stessa cosa?» disse Ash. «Sì» sussurrò il faris. Ash dimenticò tutto, l'armatura, i golem, il campo visigoto: non esisteva altro se non la consapevolezza che la gemella in quel momento non si stava riferendo alle Macchine Impazzite. Il sudore rendeva appiccicose le mani di Ash. «Cosa senti, faris?» le chiese Ash, che sentiva la bocca secca. «Sento un prete eretico che cerca di persuadermi a tradire la mia religione e il mio califfo-re. Sento un prete eretico che mi dice di non fidarmi della machina rei militaris...» La donna aveva alzato la voce nell'ultima parte della frase. «Sento delle voci molto forti che tormentano un'anima eretica» terminò, quasi sussurrando. Ash riprese a respirare. Il profumo dell'olio delle lampade aveva reso l'aria pesante, fredda e mutevole. Consapevole che un gesto o una parola sbagliata avrebbero posto fine a tutto, disse: «Un 'prete eretico'... sì, è, deve essere, Godfrey Maximillian. Anch'io... l'ho sentito.» In quel momento Ash dimenticò il luogo dove si trovava e tornò nella sua tenda al sogno dei cinghiali nella neve e a una voce... È davvero lui. Godfrey! Anche lei lo sente, pensò. Si asciugò le lacrime e, ricordandosi chi era la donna di fronte a lei, disse: «E le 'voci molto forti' che dici di sentire sono quelle delle Macchine
Impazzite.» «Un prete eretico morto e un'antica macchina senziente?» Nel volgere di un secondo ironia, spavento e pietà si alternarono sul volto del faris. «Anche tu dirai che non posso fidarmi più del Golem di Pietra per vincere le battaglie? Cosa vuoi dirmi, Ash? Tu stai combattendo con i Burgundi.» «Ti direi le stesse cose anche se dovessi pagarmi per combattere al tuo fianco» affermò Ash, testarda. «Non mi fido di un nemico!» «E ti fidi del Golem di Pietra dopo tutto quello che è successo?» «Stai calma!» La luce tremolante delle lampade si rifletté sull'armatura, sulla maglia di anelli metallici e sui golem. Godfrey, pensò Ash, stupita. Ma come è possibile! «Potrei assoldare i tuoi uomini» disse il faris, in tono noncurante «ma potrebbero non combattere sotto il tuo comando perché avrei bisogno che tu andassi da qualche altra parte. Papà ti vuole» aggiunse. «Me l'ha detto prima di ammalarsi. Sisnandus mi ha riferito che continua a volerti.» Merda, c'era da scommetterci! Pensò Ash. «Tuo 'padre' Leofric vuole vivisezionarmi per sapere come funzioni tu.» Ash alzò lo sguardo e scoprì che la gemella la stava fissando, stupita. «Non lo sapevi? Forse, adesso, il suo desiderio di analizzarmi è ancora più grande. Se io e te possiamo ascoltare la voce di un morto...» «Allarme!» urlò qualcuno fuori dalla tenda. Non adesso, Cristo! pensò Ash. Proprio un bel momento per farsi interrompere! Qualcuno bussò con insistenza alla porta. Ash udì delle urla, ma non distolse lo sguardo dalla gemella. «Forse» azzardò Ash «non sono solo Leofric e questo Sisnandus a volere che io torni a Cartagine. Sai chi sta impartendo gli ordini, faris?» «Allarme!» tuonò nuovamente la voce fuori dalla porta. Il faris si girò e aprì la tenda precedendo di un attimo lo schiavo. «Rapporto, arif» ordinò. «Stanno attaccando il campo...!» disse ansimando uno dei soldati che accompagnavano l'arif. «In quale punto del perimetro?» «A sud-ovest, penso, al-sayyid 157 .» «Quella è solo una diversione. Mandatemi immediatamente il qa'id che 157
'Capo'.
comanda il campo degli ingegneri ma, prima di tutto, mandate un messaggio per allertare il qa'id del campo est. Fate venire l'arif Alderico e i suoi uomini. Schiavi! Vestitemi!» Tornò nella stanza urtando Ash che fu costretta a fare un paio di passi indietro per rimanere in equilibrio. Anch'io sono così quando devo indossare l'armatura? si chiese. «Non ti manderò ancora a Cartagine. Papà dovrà attendere. Ho bisogno che tu rimanga in città. Ti rispedisco a Digione, jund.» Il faris alzò gli occhi e sorrise. «Ti farò scortare, nel caso cadessi in un'imboscata.» Torno a Digione, pensò Ash. A Digione! Un piccolo gruppo di schiavi la superò. Due o tre di loro rimasero stupiti nel vedere Ash, dopodiché si misero all'opera intorno al generale insieme agli altri. «Mi dai una scorta?» «In questo momento per me è d'importanza cruciale che tu sia a Digione. Ho bisogno della città! Parleremo di nuovo riguardo queste... Macchine Impazzite. E del tuo prete morto. Tutto la prossima volta.» Ash, che si sentiva in parte arrabbiata e in parte frustrata, scosse la tesa. «No. Ne parliamo adesso, faris. Sai bene cos'è la guerra! È rischioso non fare qualcosa oggi perché pensi sia possibile farlo domani.» Un altro arif entrò di corsa nel casamento. «Stanno attaccando il perimetro est, al-sayyid!» Ash aprì bocca, incredula. Avrebbe voluto dire: «Due attacchi?» ma decise che era meglio stare zitta e richiuse la bocca. «Quello è il vero attacco. Arma i tuoi uomini. Tu eri uno specchietto per le allodole per permettere una sortita dalla città? Be', forse potrai ottenere quello che cercavi!» disse il faris con un sorrisetto perverso sulle labbra e, senza attendere una risposta, alzò le braccia affinché gli schiavi potessero infilare l'usbergo di maglia. Ho bisogno di un'altra ora! pensò Ash, frustrata. Vuole parlare. Lo so... «Alderico ti condurrà alle porte della città una volta contenuti gli attacchi» disse il faris, mentre un ragazzino terminava di agganciare l'usbergo alla cintura. «Parleremo di nuovo... sorella.» Stupita, Ash si ritrovò a incespicare fuori dalla casa in mezzo a un via vai di lanterne, nazir che urlavano ordini a soldati armati con lance e archi che correvano a destra e sinistra: la solita confusione creata da un attacco notturno. Nel tempo che gli occhi ci impiegarono ad abituarsi alla luce del campo, Ash venne circondata dagli uomini dell'arif Alderico e si incammi-
nò verso le mura di Digione: una massa oscura che spiccava nel buio. Non può mandarmi via in questo modo e senza le risposte che cercavo...! pensò Ash. Ash aveva i piedi intirizziti dal freddo. Da est giunse il clangore metallico delle lame che si incrociavano. Due attacchi? pensò Ash. Uno deve essere quello che ho ordinato io e l'altro deve essere opera di Roberto. È da lui, non ci sarebbe da stupirsi. La sua mossa non farebbe altro che aumentare la confusione. «'Sbrigati e aspetta'» fece notare Ash, rivolgendosi ad Alderico, il quale non disse nulla e accennò un sorriso. Dopo un'attesa che sembrò interminabile, i suoni dello scontro si allontanarono. Il campo visigoto rimase illuminato dalle torce. Nell'aria echeggiavano le urla frustrate dei soldati addetti allo spegnimento degli incendi e i nitriti spaventati dei cavalli. Ash pensò di chiedere se avevano svegliato anche i cuochi, ma decise che era meglio stare zitta. Sentiva che si stava addormentando. «Nazir!» chiamò Alderico tornando a grandi passi verso il cerchio di torce. L'arif fece un cenno con il capo e il gruppo tornò a muoversi. Il freddo la scosse dal torpore nel quale Ash stava scivolando. Superarono trincee e palizzate. L'odore della terra e della polvere da sparo pervase le narici di Ash. Poco dopo stavano camminando in campo aperto. Davanti a loro, oltre la distesa di terra rivoltata, le torce venivano accese sopra la porta nord-ovest della città. «Buona fortuna» disse improvvisamente, l'arif. A dispetto della penombra Ash colse l'espressione colpevole nel volto di Alderico. L'arif e i suoi uomini scomparvero nuovamente fra le trincee, l'oscurità e le fiamme. «Dannazione!» imprecò Ash. Mi ha lasciata andare perché può permetterselo, pensò. Mi ha rispedita nell'assedio perché vuole che tradisca Digione. Non sa che sto per andarmene. E pensa di potermi consegnare a Leofric quando crede meglio... «Puttana!» Ash rimase immobile come una statua. Il fango le arrivava fino alle caviglie. Il vento freddo le fece lacrimare gli occhi. Il rumore del fiume raggiunse le orecchie nonostante l'elmo imbottito. Il corso d'acqua non era ancora gelato. Ash vide le possenti mura di fronte e lei e il portone.
«Che puttana! Prima si è presa la mia armatura e adesso si è tenuta anche la spada!» «Là sotto c'è qualcuno che ride» disse in tono nervoso una voce proveniente dagli spalti sopra la saracinesca del cancello. Ash si asciugò gli occhi. Dannazione, pensò, avrebbero dovuto informarli di quello che avevo intenzione di fare. Questo non mi sembra proprio il momento giusto per cadere sotto il fuoco amico! «Qualche testa di tela che è impazzito» commentò una seconda voce. «Vuoi scendere a dargli il fatto suo?» «Ehi, sulle mura!» Ash si incamminò con passo tranquillo entrando nel cerchio di luce prodotto dalle lanterne, continuando a tenere d'occhio gli uomini sugli spalti. Socchiuse gli occhi per cercare di distinguere la divisa. «Per chi combattete?» chiese loro. «Per de la Marche!» disse in tono arrogante una voce resa roca dalla birra. Ash guardò i ronconi, gli archi e l'uomo in armatura con l'alabarda. «Non colpitemi, nel nome del Cristo Verde!» disse Ash, insicura. «Non dopo tutto quello che ho passato! Andate a dire al vostro capo che mi vuole vedere.» Stupiti, gli uomini sulle mura rimasero in silenzio per qualche attimo. «Tu, cosa?» «Ho detto che dovete andare dal vostro capo e dirgli che mi vuole vedere!» «Stronza insolente!» sbuffò uno dei Burgundi sulle mura. «Chi è?» «Non riesco a vederla, signore. Ha il mantello, ma si tratta di una donna, signore.» Ash tirò indietro il cappuccio continuando a sorridere. L'emblema del Leone Azzurro venne illuminato dalle torce. Un gruppo di soldati armati di spada uscì dalla porta ricavata nel portone e la fece entrare nella città. L'aria puzzava di sudore, escrementi e pece bruciata. Sono entrata, sono entrata! gioì Ash, tra sé e sé. Il sollievo che provava le impedì di ascoltare per qualche attimo la discussione che stava avvenendo vicino a lei. «Potrebbe essere una spia» urlò un ronconiere molto agitato. «Una donna vestita da uomo? Una puttana!» «No, lo scorso agosto l'ho... ho vista con il seguito del conte inglese»
balbettò un comandante di lancia. Ash sbatté le palpebre per abituare gradatamente gli occhi alla luce delle torce e al debole bagliore che vedeva in fondo al lungo cunicolo che portava al cancello. È la luce dell'alba o sono altre torce? si domandò. Sono sana di mente, pensò, o... un sorriso le apparve sulle labbra nascoste dall'elmo... sana di mente quanto il faris, il che non significherebbe molto. Il sorriso scomparve. E c'è Godfrey... buon Dio: com'è possibile? «Devo trovare i miei uomini...!» disse Ash tornando alla realtà. Io sono entrata, pensò. E loro? E se ce l'hanno fatta come diavolo faccio adesso a portarli fuori? II La luce crescente illuminò la devastazione oltre le mura... una terra di nessuno che si stendeva per più di duecento metri all'interno della città. L'alba delineò montagne di macerie alte quanto un uomo, le travi di legno dei negozi e delle case distrutte dai colpi di bombarda, il selciato rivoltato, i tetti di paglia bruciati e un muro pericolante. Ash seguì i soldati burgundi. Il vento freddo le intorpidì le guance. Lanciò un'occhiata ai volti e alle divise degli uomini che la scortavano. Tutti portavano le insegne delle truppe di de la Marche: quelli erano i fedelissimi del duca Carlo di Borgogna. Eravamo dalla loro parte ad Auxonne, pensò Ash, quindi le cose non dovrebbero essere cambiate... Forse sarebbe molto meglio vendere Digione ai Visigoti e andare a est per entrare a far parte dell'esercito del sultano. I mercenari sono sempre i benvenuti. Sempre che non crepiamo là fuori. Un rumore fece tremare l'aria. Chiesa dopo chiesa, da san Filiberto fino a Notre Dame, passando per le chiese minori fino alle abbazie e ai monasteri, le campane si misero a suonare contemporaneamente svegliando i cittadini e facendo scappare gli uccelli appollaiati sui tetti: i rintocchi destavano Digione inondandola di gioia. «Che cazzo...?» urlò Ash. Gli ufficiali burgundi arretrarono e Ash colse con la coda dell'occhio
Thomas Rochester che si apriva la strada tra i soldati. Cristo, pensò lei, il primo volto familiare che vedo dopo ore. Finalmente era in città e scortata dagli uomini della sua compagnia. Non le importava più nulla di quello che aveva patito. Il mercenario inglese la vide e segnalò a uno degli uomini di srotolare lo stendardo. «Dove cacchio eravate finiti?» urlò Ash. L'Inglese urlò una risposta che lei non riuscì a sentire per via del fracasso prodotto dalle campane. L'uomo la raggiunse, avvicinò le labbra a un orecchio di Ash e disse: «... e siamo entrati! Avevano teso dei ponti di corde al cancello sud. Non era quello il ponte minato?» Ash ricordò immediatamente l'odore dell'estate e l'entrata in città a fianco di John de Vere, conte di Oxford. Erano passati proprio per il ponte sud e Digione era ancora una città fiorente. Floria del Guiz apparve alle spalle di Rochester. «C'è stata una fuga di notizie! Pensavo che non ti avremmo più trovata!» Ash non aveva sentito una parola: aveva letto tutto sulle labbra del chirurgo. «Dov'è Robert? Che notizie mi porti?» «A volte sei proprio stupida!» lesse Ash sulle labbra di Floria. Delle voci urlarono dalle finestre sopra la testa di Ash che alzò la testa per guardare. Un corpo investì lei e Thomas Rochester. Ash riprese l'equilibrio e spinse via l'uomo che era inciampato sull'uscio di casa. Alla sue spalle, una donna armeggiava con i lacci del vestito e due bambini piccoli che piangevano. «Cristo santo!» Stupefatta, Ash fece un segnale al soldato che portava il suo stendardo, cercando di arretrare sul selciato distrutto dai colpi dei trabocchi. Mischiati alle figure familiari dei suoi soldati c'erano dei civili. Tutti si stavano ponendo delle domande a vicenda. «Trovami Roberto!» urlò Ash, rivolgendosi a Thomas Rochester. L'Inglese annuì e fece un cenno ai soldati. Ash si sentiva spingere da ogni parte. Il fiato della gente si condensava a contatto con l'aria fredda. Ash si fece strada a forza, non c'era altro modo. Rochester la guardò e scrollò le spalle e lei scosse la testa, quasi rilassandosi in quel caos, ancora confusa dal senso di sicurezza fornito dalle mura della città. La calca premeva contro di lei; la gente si riversava dai vicoli in quel tratto di terra di nessuno. Ash notò che non si trattava solo di civili. Arcieri e altri soldati si stavano dirigendo verso il cancello sud-ovest. La pressione
della folla cominciò a spingerla inesorabilmente verso quella direzione. «Va bene, ragazzi! Ascoltate! Meglio scoprire qual è la causa della confusione...» La mancanza di sonno le impediva di ragionare lucidamente. Ci impiegò un minuto abbondante prima di rendersi conto che lei e la scorta stavano salendo sugli spalti al seguito dei soldati; le campane l'avevano assordata. È questo...? Ash girò la testa per cercare di scorgere la taverna con l'insegna del cespuglio. È questo il punto dove Godfrey mi ha confessato di desiderarmi? si domandò. Le costruzioni a ridosso delle mura erano ridotte a un ammasso di macerie bruciate. No, concluse, eravamo più giù, si poteva vedere il ponte sud... Un sorrisetto obliquo le apparve sulle labbra, le uniche cose che potevano sostenerla in quel momento erano il cinismo e l'adrenalina. ... È stato lo stesso giorno in cui ho incontrato Fernando nel palazzo del duca, giusto? O quello in cui abbiamo picchiato la zia di Floria? Cristo! Ash rimase imbottigliata tra un prete, un conciatore di pelli e una suora che si dirigevano a spintoni verso le merlature dove i soldati, sporti oltre i bastioni, urlavano a squarciagola «È un miracolo!» urlò un monaco che nel frattempo aveva raggiunto Ash. «Abbiamo pregato e il Signore ce l'ha concesso! Deo gratias!» «Che cazzo sta succedendo?» urlò Ash, impaziente, rivolgendosi a Rochester e Floria del Guiz. Era quasi la Prima 158 del quindici novembre 1476: Ash sentiva il vento freddo dell'inverno che spirava da nord-est. Aveva avuto il tempo di notare la fiumana di persone che si stava accalcando sugli spalti e, grazie all'abilità nel valutare a occhio l'ammontare di un numero di persone maturata sul campo, stimò che stessero arrivando circa duemila tra uomini donne e bambini. Si sporse dagli spalti e toccò le mura come per cercarne l'abbraccio rassicurante. Portò la mano destra sopra gli occhi per proteggerli dal sole e ascoltò le urla ritmiche della folla. Quello che vide le diede l'esatta dimensione di quello che avrebbero dovuto affrontare. Le mura di Digione erano circondate da una 'città': il campo dei Visigoti. Alla luce del sole poteva vedere le vie tra le tende, le baracche con i tetti di zolle, le cappelle del culto ariano e i mercati per i soldati. Due mesi era un 158
Le sei del mattino.
periodo abbastanza lungo che aveva permesso loro di stabilizzarsi sul territorio in maniera preoccupante. Le file di tende si stendevano ovunque a vista d'occhio. Coprivano tutto il territorio tra Digione e la foresta a nord. L'aria fredda faceva lacrimare gli occhi di Ash che vagavano tra i pavesi, i ripari, i recinti fortificati dietro i quali erano tenute le macchine d'assedio e le trincee che serpeggiavano verso le mura della città... e migliaia e migliaia di soldati. Gesù! pensò. Sono entrata, ma cosa ho fatto? Si sporse per guardare a ovest e vide ciò che restava di un pavese bruciato che aveva ospitato almeno quattro grosse bombarde. I cannoni non sembravano aver subito dei danni e i serventi stavano riaccendendo i fuochi da campo. Il gelo ricopriva ogni filo d'erba. In mezzo alla selva di mangani, baliste, trabocchi e cannoni neanche sfiorati dall'attacco vide un'area d'erba bruciata e qualche tenda crollata. Degli schiavi dai capelli bianchi stavano lentamente ripulendo la zona, mentre i nazir impartivano loro gli ordini urlando. Le loro voci echeggiavano chiare nell'aria fredda. Guardò a est e non vide nessun segno di attacco, neanche un pezzo di tela bruciato. Due attacchi e non li abbiamo neanche intaccati, pensò. Si sporse ancora e guardò a nord. Gli uomini nelle trincee si tenevano fuori tiro. Ash non riuscì a vedere se qualcuno indossava una divisa con impressa la Testa d'Ottone, il simbolo del faris. Le lacrime cominciavano a offuscarle la vista. Alzò la testa per cercare di guardare più lontano. «Cristo fottuto! Sono migliaia!» I Visigoti che stavano nutrendo i cavalli si fermarono incuriositi dal frastuono che si era levato dagli spalti di Digione. Il basso sole del mattino aveva cominciato a far brillare le punte delle lance e gli elmi degli uomini disposti lungo il perimetro del campo. Gli ufficiali visigoti impartirono una serie di ordini che il vento portò alle orecchie degli abitanti della città assediata. Gli uomini che si trovavano dietro i pavesi in prossimità del ponte ovest scattarono raggiungendo rapidamente i pezzi d'artiglieria. Una nuvoletta di fumo bianco uscì dalla bocca di un mortaio e un secondo dopo si udì il tonfo dello scoppio. I corvi grassi si alzarono in volo dalle pile d'immondizia del campo. «Buongiorno anche a voi teste di tela» ringhiò Rochester. Ash socchiuse gli occhi e girò la testa per cercare di capire dov'era cadu-
to il proiettile del mortaio: molto probabilmente in una delle strade alle sue spalle. Un secondo schiocco secco le fece voltare nuovamente. A una quindicina di metri da lei alcuni uomini crollarono a terra e una voce agonizzante si levò nell'aria, ma non fu notata a causa delle urla della folla. Merda. Là fuori c'è una Legione al gran completo. Merda, merda, merda... Non c'è da meravigliarsi che il faris pensi che il 'tradimento' sia l'unica soluzione per farle risparmiare tempo. «La vostra città è fottuta! Il vostro califfo è morto! Che ne dite, stronzi!» urlò un soldato con indosso la divisa del Leone che si era sporto pericolosamente dalla merlatura. Un'ovazione si levò dalle mura di Digione. Ash cominciò a farsi strada verso l'uomo seguita da Rochester. Il mercenario, un tizio dalla testa rossa che lei ricordava appartenere alla lancia di Ned Mowlett, rischiò di perdere la presa, ma un compagno lo tirò indietro. «Pearson!» Ash gli diede una pacca sulla spalla, e lo girò per osservare meglio uno degli uomini rimasti a Digione. Era sporco, con i capelli scompigliati e una cicatrice in via di guarigione sopra l'occhio. «Capo!» urlò Pearson, sudato ma contento di vederla. «Quegli stronzi sono fatti, vero, capo?» Lo stemma sulla divisa continuava a rimanere il Leone Passant e Guardant159 , Robert Anselm non aveva tolto o aggiunto niente. Diede una seconda pacca sulla spalla del soldato. «Deo gratias» esultò un altro prete «i Visigoti e il loro dèmone di pietra sono stati abbattuti!» «Non abbiamo neanche avuto bisogno di andare là!» urlò un soldato burgundo. «Siete fuori della città e le nostre mura sono ancora in piedi. Non abbiamo avuto bisogno di andare a Cartagine. Cartagine è stata rasa al suolo.» Qualcuno che si trovava sul muro nord suonò un corno. Altri soldati si unirono alla folla facendosi strada tra la calca per raggiungere lo stendardo personale di Ash. Dietro di loro una piccola folla composta di ricchi mercanti ancora assonnati, sergenti con i loro collaboratori, connestabili e di159
È molto più probabile che si tratti di un 'leoncello' o di un 'leopardo'; tuttavia il 'Fraxinus' preferisce ricorrere a delle descrizioni meno ortodosse. Molto probabilmente riflette la devozione di Ash per la 'Bestia Araldica' della sua infanzia: il mitico 'Leone nato da una Vergine'.
versi borghesi, cercavano invano di raggiungere le merlature. I mortai tuonarono ancora: due, tre, cinque scoppi seguiti da una successione lenta e irregolare di esplosioni. I soldati si radunarono intorno ad Ash, si sporsero fuori delle merlature e cominciarono a cantilenare: «Cartagine è caduta! Cartagine è caduta! Cartagine è caduta!» Non è del tutto esatto, pensò Ash. «Il vostro califfo è morto e la città è caduta!» urlò uno degli uomini di Euen Huw. «È stato un terremoto...» cominciò Ash. «Lo sanno!» le urlò nelle orecchie Floria del Guiz. Ash era conscia che in quel momento rappresentavano un bersaglio ben in vista, ma non poté fare a meno di sorridere nel sentire il coro di roche voci maschili che aumentava d'intensità. Nel campo nemico diversi soldati cominciavano ad assieparsi lungo il perimetro mormorando tra loro. «Stiamo attenti ai trabocchi!» Thomas Rochester le toccò un braccio e indicò in direzione ovest, oltre il Suzon, dove i serventi avevano cominciato a muoversi intorno alle grosse macchine. Gran parte delle loro macchine d'assedio non ha subito nessun danno, pensò Ash. «Gesù, questa gente non è molto intelligente! Potrebbero essere spazzati via dalle bombarde!» urlò Ash. «Facciamoli urlare ancora un po', Tom, poi li facciamo scendere dalle mura! Voglio che si allontanino da qua!» «IL CALIFFO È MORTO! CARTAGINE È CADUTA!» Il sole sorse e il vento cominciò a spirare da est. Ash fissò un punto oltre i pendii a nord. Sopra le marcite c'erano le rovine bruciate di un edificio. Cosa sarà successo a Soeur Simeon e alle suore? si domandò. Metà della popolazione di Digione era sugli spalti, nonostante i tremiti delle mura esterne provocati dai lanci dei mangani. «Hanno aggiustato il tiro!» urlò Ash all'orecchio di Floria per farsi sentire sopra il frastuono provocato dalle campane e dalle urla della gente. «IL CALIFFO È MORTO! CARTAGINE È CADUTA!» «Il califfo Teodorico è morto prima del terremoto!» disse Floria. «E ne hanno già eletto un altro!» «E Gelimero è ancora con noi. A questa gente non importa. Oh, al diavolo tutto quanto! Il califfo è morto!» Ash alzò la voce. «Cartagine è caduta!» Un piccolo manipolo di soldati burgundi si fece strada tra la folla. Ash vide che si stavano dirigendo verso di lei, saltò sul camminamento e incli-
nò la testa in segno di saluto. Alle spalle del manipolo altri soldati cominciavano a sgomberare gli spalti e il frastuono cominciò a diminuire sensibilmente. Ash riconobbe due degli uomini che la stavano cercando: un vecchio ciambellano, consigliere della corte del duca e un nobile, uno degli aiutanti di campo di Olivier de la Marche. «È lei!» esclamò il ciambellano. «Messere...» Ash cercò di ricordare il nome «... Ternant. Cosa posso fare per voi? Tom, fai scendere quegli idioti dagli spalti! Cristo Verde su una gruccia, non li ho riportati indietro da Cartagine per farli spazzare via dalle mura! Chiedo scusa messere Ternant. cosa desiderate?» «Ci aspettavamo di trovare il capitano Anselm!» gridò l'aiutante di de la Marche, incredulo. «E avete trovato il capitano Ash!» Si spostò per far passare il primo gruppo dei suoi uomini che scendeva dagli spalti. «In questo caso... la vostra presenza è richiesta al consiglio d'assedio, capitano!» gracchio Ternant. La voce del ciambellano era stanca a causa dello sforzo e dell'età. «'Consiglio d'assedio'...? Non fateci caso! Vengo. Prima devo sistemare i miei uomini. Quando e a che ora?» «L'ora dopo la Terza160 . Signora, abbiamo sentito delle voci su...» «Dopo spiegherò tutto, messere» disse Ash accompagnando le parole con un cenno della mano per troncare il discorso. «IL CALIFFO È MORTO! CARTAGINE È CADUTA!» «Mi arrendo.» Floria si alzò in punta di piedi e afferrò la spalla di Thomas Rochester per sostenersi. «Il califfo è morto! Cartagine è caduta!» urlò, unendosi al coro. Thomas Rochester sbuffò. Improvvisamente l'Inglese fissò Ash e indicò degli stendardi nel campo nemico. Li hanno spostati, pensò Ash. Lasciò passare gli ultimi dei suoi uomini e fissò con attenzione il punto indicato da Rochester. Erano padiglioni di fattura franca e non baracche dei Visigoti, stava osservando la parte del campo nemico riservata ai contingenti mercenari. «Cosa? Oh. Sì, sì... tutto chiaro...» A qualche centinaio di metri dalle mura, un gruppo di uomini si stava riunendo sotto una bandiera che sventolava nella gelida aria del mattino, sulla quale spiccava un agnello circondato da un alone luminoso. 160
Le otto di sera.
«Possiamo prenderlo a calci in culo, capo!» urlò Rochester per farsi sentire sopra il frastuono delle campane, dei massi che colpivano le mura e le grida ritmiche dei civili che non davano alcun segno di voler scendere dalle mura. A fianco dello stendardo di Agnus Dei sventolava quello di Jacobo Rossano. E io che mi chiedevo chi l'avrebbe pagato dopo l'imperatore Federico, pensò Ash. C'erano un'altra mezza dozzina di compagnie mercenarie, ma fu lo stendardo sul quale spiccava una spada snudata che la incuriosì particolarmente. «Merda, quella è Onorata Rodiani.» «Cosa?» urlò Floria. «Ho detto che quella è Onorata...» Ash si interruppe. Il vento aveva spiegato lo stendardo a vicino a quello della Rodiani. Era una bandiera strappata in più punti. Erano le insegne di Cola di Monforte. Quel vessillo era stato portato in centinaia di campi di battaglia. «Bastardi!» imprecò il chirurgo avvicinandosi a un orecchio di Ash. «Quelli sono mercenari burgundi.» «Non più! La sua compagnia deve aver ricevuto una bella batosta ad Auxonne! Ci sono un mucchio di uomini là sotto. Cola non ha una compagnia, ma un piccolo esercito.» Ash socchiuse gli occhi per ripararli dal sole che sorgeva. «Sembra che nessuno sia disposto a scommettere sulla città...» Floria le strinse un braccio e indicò un punto. Ash vide la Nave e la Mezzaluna in campo blu dietro lo stendardo di Cola di Monforte. «Joscelyn van Mander» disse, cupa. «Fottuto Fiammingo succhia cazzi» imprecò Thomas Rochester. «Cosa ci fa là?» «Dai, Tom! È un mercenario!» L'odore del legno bruciato pervase l'aria. Ash sussultò nel sentire il pavimento sotto i piedi che tremava. Un riparo di legno aveva preso fuoco. «Usano i proiettili incendiari!» I civili cominciarono a scendere precipitosamente dagli spalti. Ash udì in lontananza lo scricchiolio delle macchine d'assedio che erano preparate per un altro tiro. Le braccia rosse dei golem sollevavano i contrappesi dei trabocchi con una velocità quattro volte superiore a quella degli esseri umani. Una salva di proiettili si abbatté sugli spalti e la gente cominciò a spingersi per scendere urlando in preda al panico.
E questo, pensò Ash, nel caso i Visigoti avessero un artigliere in grado di mostrarti quale mattone del castello colpirà... «È ora di andare» borbottò Ash, girandosi, mentre Rochester sollevava la bandiera. «No! Guarda!» Floria fece un altro passo avanti e si fermò contro il rivestimento di cuoio del riparo. «Dolce Cristo Verde...» Oltre il Suzon era possibile scorgere una fila di persone che si dirigeva a piedi verso sud. Erano troppo lontani per distinguere chi fossero. Forse erano contadini, artigiani, qualche disertore e, sempre forse, anche un prete. Figure indistinte avvolte nei mantelli che avanzavano a testa bassa per ripararsi dal vento. Sul lato della strada c'erano altre persone, vecchi o bambini. Qualcuno di loro piangeva per quello che erano stati costretti a lasciare. Esausti, affamati e infreddoliti, i profughi camminavano lungo la strada formando una fila che sembrava infinita. «Stanno ancora arrivando» disse Floria, ma non sapeva se l'avevano sentita sopra il frastuono delle mura. Ash, che era molto meno interessata ai profughi del chirurgo, afferrò Floria per un braccio e la tirò indietro. «Andiamo!» «Ash, quelli non sono soldati, sono civili!» «Be', non ti preoccupare, le teste di tela li stanno lasciando in pace. Sembra che le regole della guerra siano ancora in vigore...» La pressione dei corpi contro il parapetto diminuì. Ash allontanò il chirurgo dal parapetto. «Non credi che prima o poi i Visigoti potrebbero assalirli per derubarli o stuprare le donne una volta che si saranno stufati della vita da campo?» urlò Floria. «Dipende da quanto sono disciplinati. Se fossi in loro, mi concentrerei su come entrare in città.» Ash fissò la strada distante intasata dai fuggiaschi. «Sai cosa stanno facendo?» disse Floria improvvisamente. «Si stanno dirigendo a sud. Verso il confine di Auxonne. Guardali! Preferiscono andare in un posto dove non splende il sole piuttosto che rimanere qua!» I profughi erano troppo distanti per sentire le loro voci, da lassù si poteva udire solo lo stridio delle assi non ingrassate dei carri o il nitrito di un cavallo da tiro. Un punto... una persona... cadde a terra, si alzò, ricadde e infine si rialzò e cominciò a camminare con difficoltà. «A loro non importa nulla di dove stanno andando. Non si preoccupano
del buio o del sole. L'unica cosa che vogliono è andare via da qua. Sono abitanti del ducato: contadini, cittadini, artigiani, stanno scappando, Ash. Non si preoccupano di quello che li aspetta.» «Te lo dico io cosa li aspetta... la fame!» Il debole boato di un cannone di piccolo calibro echeggiò nell'aria e una palla colpì il cancello a est. Un'ovazione carica di disprezzo e adrenalina si levò dagli ultimi civili presenti sugli spalti. «IL CALIFFO È MORTO! CARTAGINE È CADUTA!» Ash fissò per un attimo la colonna di profughi. A dispetto di quello che aveva detto Florian, vide che alcuni si stavano dirigendo a nord inoltrandosi nel territorio burgundo, verso il freddo e la fame. Quelli potremmo essere noi, pensò. Non posso dar da mangiare alla mia gente. Non là fuori. I soldi del forziere di guerra non comprano un bel niente se non ci sono stati i raccolti. Siamo in carestia e là fuori è buio e fa freddo. La compagnia si dividerebbe entro tre giorni. Speriamo che sia meglio rimanere qua. Per quello che può durare. L'unico modo per uscire di qua è il tradimento. Ash diede una pacca sulla spalla a Rochester. «Non c'è problema, se i civili vogliono andare a farsi ammazzare non ho nulla in contrario... non andiamo via! Leoni! Allo stendardo!» Disciplinati, gli uomini con indosso le insegne del Leone Azzurro si staccarono dalla folla e seguirono la bandiera che garriva sopra le loro teste. Malgrado fossero ancora assordati dalle campane che avevano suonato a festa, i soldati superarono a passo di marcia il tratto di terreno devastato tra le mura e le case e imboccarono una strada allontanandosi dai civili che si erano inginocchiati a pregare. «La compagnia è alloggiata da questa parte, capo!» Rochester indicò un dedalo di strade. «Andiamo!» Cristo Verde, pensò Ash, questo posto è stato martellato per bene! Imboccarono una piccola via fiancheggiata da grossi palazzi di legno. Il selciato era ricoperto da uno strato di detriti resi scivolosi dal gelo. I pezzi di vetro e i cocci delle tegole scricchiolavano sotto gli stivali dei soldati. La strada si allargò, il drappello attraversò un ponte ed entrò in una piazza dove si trovavano i mulini ad acqua. Ash la riconobbe: in quel punto, proprio l'estate scorsa, i cavalieri si erano fermati per far passare la papera e i pulcini che erano usciti dall'acqua.
Il ricordo la distrasse per qualche secondo finché Rochester non la richiamò alla realtà dando ordine agli uomini di fermarsi. Ash impiegò qualche attimo a mettere a fuoco il paesaggio perché aveva gli occhi appannati dalla stanchezza e si rese conto di trovarsi nel luogo in cui si era stata alloggiata la compagnia. Una torre squadrata adombrava il sole di novembre. Era una vecchia costruzione alta quattro, forse cinque piani, dall'aria spartana. Le fessure squadrate che spiccavano sulle mura dovevano essere le finestre. Aprì la bocca per parlare, ma una folata di vento gelido le tolse il fiato. Ash deglutì con gli occhi colmi di lacrime. Un mercenario arretrò imprecando per evitare la tegola che si era frantumata a terra cadendo dal tetto. «Gesù! Un altro di quelle cazzo di tempeste!» Ash lo riconobbe. Era uno di quelli che era rimasto a Digione. Un uomo di Conti che era rimasto sebbene il suo comandante fosse andato via. Alzò gli occhi per fissare il cielo che si stava scurendo rapidamente. «Tempeste?» «È da agosto, capo» le spiegò Thomas Rochester. «Mi hanno raccontato tutto. Il tempo è stato veramente pessimo. Pioggia, vento, neve, gelo e tempeste ogni due o tre giorni. Tempeste molto brutte.» «Avrei... dovuto pensarci. Merda.» A pochi chilometri c'era il confine che separava la Borgogna dal resto della Cristianità. Una Cristianità stretta nella morsa del gelo e avvolta dall'oscurità. Il vento cambiò direzione e sebbene si trovassero in un punto riparato dalle case, la bandiera prese a sventolare con forza. Una nuvoletta di polvere bianca... troppo fine per essere neve... lambì il viso di Ash che rabbrividì. «Figlio di puttana. Benvenuta a Digione...» La frase di Ash provocò una risata generale, sapeva che sarebbe stato così. Solo Florian rimase seria. «Sono cinque mesi che la Cristianità è al buio» disse il chirurgo in tono grave. «In questo momento la nostra unica sicurezza è che il tempo non può migliorare.» L'effetto delle sue parole fu immediatamente visibile sui volti degli uomini. Ash pensò di riprendere in maniera scherzosa il chirurgo, poi vide lo sguardo carico di rabbia e di superstizione di Rochester e cambiò idea. «Ricordati di una cosa, però» disse Ash, parlando ad alta voce in modo
che tutti potessero sentirla nonostante il vento. «Là fuori c'è un cazzo d'esercito. Soldati, macchine, artiglieria; nomina qualcosa e sarai accontentata, ma noi abbiamo una cosa che loro non hanno.» «E cosa sarebbe?» chiese Floria, evidentemente dispiaciuta della frase avventata di pochi attimi prima. «Un comandante che non sta cedendo.» Ash lanciò un'altra occhiata alla nuvole cariche di pioggia, consapevole che i suoi uomini continuavano ad ascoltare. «La scorsa notte ci siamo incontrate, Florian. Credimi. Quella donna sta per dare i numeri.» III Il drappello si incamminò verso la porta della torre. «Scusami» mormorò Floria. «Sono stata una stupida.» «Occupiamoci dei problemi che abbiamo adesso» rispose Ash, tenendo a sua volta la voce bassa. «Siamo entrati e dobbiamo preoccuparci di quello che ci aspetta. Tu sei Burgunda... cosa sarebbe un 'consiglio d'assedio'?» «Non lo so» rispose Floria, aggrottando la fronte. «Il ciambellano non ha parlato del duca?» «No, ma solo il duca Carlo può dare ordini su come organizzare la difesa.» Ash si strinse nel mantello e si incamminò a passo deciso verso l'entrata. «A meno che lui non sia qua. Forse mi sbaglio. Forse è morto ad Auxonne e i nobili hanno messo tutto a tacere. Merda... Florian, vai a parlare con i medici di corte.» Il chirurgo annuì e disse: «Sempre che mi lascino entrare.» «Provaci mentre prendo parte al 'consiglio'. Non abbiamo molto tempo. Sbrigati.» Sulla placca appesa sopra l'entrata della torre spiccava il simbolo di qualche oscuro nobile burgundo. Abbastanza oscuro da non essere qua, pensò Ash. O forse la sua casata si trova a nord ed è assediata a Bruges o a Gand. La situazione peggiora di minuto in minuto. Saltò sui primi gradini della rampa di scale e incontrò Angelotti, Geraint ab Morgan e Euen Huw. «Siete entrati tutti?» domandò secca, Ash. «Certo, capo» la rassicurò Geraint. «Anche i carri?» «Anche quelli. Tutti.»
«Perdite? Il gruppo di John Price?» «Dobbiamo recuperare Price e i suoi ragazzi dopo il tramonto» disse Angelotti. «Non abbiamo perso nessuno.» «Per l'inferno, non riesco a crederci!» Ash fissò Euen Huw. «I ragazzi di Robert hanno fatto una sortita, giusto? Sono tornati tutti?» «Non pensi che abbia già fatto l'appello, capo? Ci sono tutti.» «E Anselm?» «Li ha guidati lui in persona.» Euen sorrise. «È sopra, capo.» «Perfetto, andiamo, devo presentarmi a questo maledetto 'consiglio d'assedio' entro mezz'ora.» L'interno della torre era buio, ma faceva meno freddo che all'esterno. Ash salutò con un cenno del capo un paio di guardie incredule e continuò a salire. La tromba delle scale era di mattoni e pietra. Le pareti devono essere spesse una cinquantina di centimetri, valutò mentalmente. Vecchie, solide e disadorne. Alle sue spalle qualcuno cominciò a battere ritmicamente l'asta del roncone contro la pietra e altri presero a urlare il suo nome come se fossero sul campo di battaglia. Le guardie aprirono le tende di cuoio che davano accesso al secondo piano. Ash capì immediatamente la situazione: un'unica stanza, larga quanto la torre, con il pavimento di legno. L'aria era pervasa dal puzzo degli uomini e delle donne che l'affollavano. Identificò immediatamente i volti di quelli che erano andati a Cartagine e le sembrò che non mancasse nessuno. C'erano dei dispersi... perdite subite durante la battaglia di Auxonne, ma Rochester gliene aveva già parlato e, fatto inevitabile, c'erano state delle diserzioni a causa del logorio nervoso derivante da un assedio. Nove morti a Cartagine, pensò Ash, una manciata di disertori durante il viaggio di ritorno. Quanti saremo rimasti? Quattrocento? Quattrocentocinquanta? Devo ordinare un appello. «Ash!» gli ufficiali addetti ai carri: un sarto, un falconiere, un fabbricatore di archi e il responsabile dei cavalli, scattarono in piedi. Erano mesi che non la vedevano. Le lavandaie si abbracciarono parlando; i bambini correvano dappertutto, due o tre coppie erano impegnate nei rispettivi rapporti sessuali. Il pavimento era ricoperto dalle pile di bagagli, dai cesti di vimini, mucchi di maglie di anelli metallici arrugginite. I ronconi erano appoggiati alle pareti. Gli abiti lavati nel Suzon erano stati appesi a fili tirati tra le pareti della stanza. Il fuoco ardeva nel camino. Uno dopo l'altro, lancia dopo lancia,
videro il simbolo sulla divisa della persona sulla porta, videro lei e si alzarono in piedi: «Ash! Ash! ASH!» «Va bene, finitela.» Due mastini corsero sul pavimento rivoltando tutto ciò che incontravano sul loro percorso. «Bonniau! Brifault! Giù!» Ash afferrò i collari borchiati e li costrinse a tornare a quattro zampe. I cani uggiolarono contenti ai suoi piedi. Ash impiegò qualche secondo prima di vedere Robert Anselm che si faceva strada a spintoni nonostante la luce delle lanterne e quella che filtrava dalle finestre. Il capitano la raggiunse in un attimo.» «Cristo fottuto sull'Albero!» ringhiò. Ash schioccò le dita e i mastini si calmarono. Tre mesi di cibo scarso avevano aggiunto delle rughe al volto di Robert Anselm, ma per il resto era sempre lo stesso. I pantaloni erano strappati all'altezza del ginocchio e la maggior parte dei bottoni della maglia erano spariti. Ash notò un bagliore rapido all'altezza del collo. Il capitano indossava un usbergo sotto la maglia. Uno strato di barba corta gli anneriva le guance e la testa rasata brillava a causa dal sudore, nonostante il freddo. Se vuole mettere in dubbio la mia autorità deve farlo adesso, pensò Ash. È stata la sua compagnia per tre mesi. Io ero ufficialmente morta. «Per l'inferno, donna!» Ash non poté fare a meno di sogghignare nel vedere l'espressione del capitano. «Non ti dispiacerebbe riprovare, Robert?» Euen Huw portò la mano alla bocca, mentre altri risero apertamente. «Per l'inferno, capitano Ash.» Robert Anselm scosse la testa. Sembrava un orso e per un attimo Ash non seppe dire se stava per urlarle contro, colpirla o mettersi a ridere. L'uomo allungò le mani e le strinse le braccia con forza. «Cristo, ragazza, ce ne hai messo di tempo! Sei come tutte le cavolo di donne! Sempre in ritardo!» «Hai ragione!» disse Ash. Attese che le risate smettessero, quindi aggiunse: «Scusami l'ho tirata per le lunghe il più possibile... Speravo che la guerra finisse prima del mio arrivo!» «Giusto!» urlò un arciere. «Sono tre mesi che aspettiamo.» Il capitano la fissò divertito. Robert Anselm, spalle larghe, un po' malconcio e quel raschiare nella voce tipico dei rosbif, incredibilmente benvenuto. «Ti stai facendo una reputazione:
'Ash che torna sempre'.» «Mi piace. Vediamo di continuare» rispose Ash, ironica. Si guardò intorno e notò che non c'era stato nessun attrito tra gli uomini rimasti a Digione e quelli partiti per Cartagine. «Trovatemi uno dei preti. Ho bisogno di scrivere alcuni ordini di schieramento... Euen Huw e Thomas Rochester sono nominati vice capitani; Angelotti avrà il comando di tutte le truppe da lancio e dell'artiglieria; Rostovnaya, Katherine e quelli sotto di loro prenderanno il comando dei balestrieri e degli arcieri con l'arco lungo.» La compagnia fu attraversata da un mormorio d'approvazione. Ash si accorse di Geraint ab Morgan che la fissava. «Geraint, tu prenderai il comando di tutti i sergenti. Ho bisogno di un uomo di fiducia per mantenere la disciplina nel campo.» Morgan arrossì in volto. «Ci penso io, capo. Non ti preoccupare!» assicurò, orgoglioso. Non mi preoccupo, pensò Ash, basta che tu stia lontano dalla linea di combattimento. Ho messo te e i tuoi dubbi dove non possono fare nessun danno... vediamo se impari qualcosa sulla disciplina mentre la fai rispettare. «Robert, se devi indicare delle promozioni per i ragazzi che sono rimasti qua, parla e saranno accettate» aggiunse. «Adesso infiliamo i culi nelle corazze, il consiglio cittadino vuole parlarmi, ma prima di allora voglio un incontro con gli ufficiali. E quello cos'è, Robert?» chiese fissando un cavallo. Ash udì diverse risatine tra gli uomini, specialmente tra quelli che erano rimasti a Digione. «È un cavallo» rispose Robert, come se stesse sottolineando qualcosa di ovvio. «Lo vedo che è un fottuto...» Ash lanciò una rapida occhiata alla bestia che teneva il muso affondato nel sacco del cibo «... è una cavalla. Cosa ci fa qua?» Robert Anselm arcuò le sopracciglia e alcuni capitani di lancia si misero a ridere. Ash si fece strada tra i giacigli distesi sul pavimento e raggiunse l'area coperta di paglia e costellata di sterco che ospitava la cavalla. La bestia girò la testa verso di lei. «Non vi chiedo come avete fatto a farla salire per le scale...» «Bendata» rispose Anselm, raggiungendola. «L'abbiamo presa nelle prime ore del mattino.»
«Da dove, Robert?» «Dalle scuderie dei Visigoti» rispose il capitano, impassibile. «Nessuno la voleva. Anche se aveva questo.» Fece un cenno. Un ronconiere e uno stalliere srotolarono un panno sporco. Ash capì subito che si trattava di una bardatura da cavallo. Vide la Testa d'Ottone riprodotta sul tessuto. «Per il Grande Cinghiale! È il cavallo del faris!» «Davvero? Chi l'avrebbe mai detto?» Anselm le sorrise. «Benvenuta a casa.» Il piacere che i suoi uomini provavano nel rivederla era sentito e sincero. Ash diede una pacca sulla spalla di Robert Anselm. «Allora è vero quello che dicono dei mercenari! Non siamo altro che un branco di ladri di cavalli!» «Ci vuole del talento per essere un buon ladro di cavalli» fece notare Euen Huw in tono professionale, poi arrossì. «Almeno così mi hanno detto.» «Basta così...» Ash non si avvicinò troppo alla bestia perché sapeva che si trattava di un cavallo da guerra. «Dov'è Digorie Paston?» «Eccomi.» «Devi scrivere un messaggio indirizzato al faris da parte mia, Digorie» disse, mentre il prete si avvicinava. «Trova un araldo e fallo portare al campo visigoto. 'Cavallo sauro, tredici palmi, sangue berbero, completo di insegne... in cambio di una corazza completa di fattura milanese; e la mia fottuta spada!'» Un'ovazione fece tremare le pareti della torre. «Lo porto io!» si offrì Rickard facendosi strada tra gli uomini. «Va bene, va bene. Andrete tu e Digorie, ma prima ho bisogno di te per il consiglio. Prendi una bandiera e indossa degli abiti puliti. Lei si aspetta un messaggio da me...» Ash si interruppe e un ghigno cinico le apparve sulle labbra. «Non proprio quello che le porterai. Nel frattempo...» Ash alzò la testa e si rivolse alla compagnia. «Si mangia» annunciò. Pochi minuti dopo Ash addentava un tozzo di pane scuro seduta sullo zaino di qualcuno salutando uomini e donne che non vedeva da dodici settimane, attenta a scorgere qualsiasi segno che mostrasse il principio di qualche divisione interna. Erano tutti seduti o inginocchiati intorno a lei. La stanza era così affollata che c'era gente seduta sui davanzali interni delle finestre intenta a raccontarsi storie. «Il conte è ancora fuori?» chiese Robert Anselm, sedendosi vicino a lei.
L'uomo odorava di fumo che aveva ristagnato in un ambiente angusto. Ash gli sorrise continuando a masticare. «Per quello che ne so Oxford non è più in Borgogna.» Anselm indicò la compagnia con un cenno del capo. «Dobbiamo dire grazie a lui se siamo ancora qua. Ha fatto in modo che ci ritirassimo in maniera ordinata. Quattro giorni dopo Auxonne la maggior parte degli ufficiali superiori burgundi erano morti o feriti e Oxford ci ha tenuti uniti passo dopo passo.» «Con le teste di tela che vi mordevano il culo per tutta la strada?» «Già, se non avesse tenuto unite le varie unità di combattimento il nemico ci avrebbe spazzati via.» Anselm strofinò le mani, prese un pezzo di pane e lo addentò «Non ci sarebbe stato nessun assedio, se non fosse stato per de Vere e tutto il sud della Borgogna sarebbe stato conquistato» aggiunse, mentre masticava. «Quell'uomo è un vero soldato.» Ash sapeva che tutti la stavano ascoltando. «Per quello che ne so» aggiunse con cautela «e se è stato fortunato, il mio signore di Oxford dovrebbe trovarsi alla corte del sultano di Costantinopoli.» Anselm sputò delle briciole. «Cosa?» «Calmati» disse Ash, parlando sopra il brusio che si era levato dai suoi uomini. «La Borgogna si sta indebolendo e questo è il momento giusto per i Turchi di colpire i Visigoti prima che diventino troppo forti. Dobbiamo costringere le teste di tela a combattere su due fronti.» «Fargli fare la fine della marmellata in un panino.» «Tu ci sai fare con le parole, Robert Anselm...» L'uomo aggrottò la fronte. «Quante possibilità ha il conte di Oxford di ottenere l'aiuto dei Turchi?» «Solo Dio nella Sua misericordia lo sa, Robert. Non ne ho la minima idea.» Ash cambiò rapidamente soggetto e indicò col pollice una delle finestre. «Ho visto che c'è una lizza là sotto. Alcuni ragazzi potrebbero andare a addestrarsi per acquistare un po' più di velocità nell'uso delle armi. Vorrei che si addestrassero ancora per uno o due giorni prima di rimetterli in campo.» Robert Anselm scosse la testa. «Non hai visto Auxonne, capo.» «Non la fine» gli fece notare Ash, secca. «Dove vuoi arrivare, capitano?» «Se parliamo di perdite, Auxonne è stata come Agincourt e i Burgundi
hanno fatto la fine dei Francesi 161 .» «Cazzo» esclamo Ash, stupita. «Se non fosse che so quale trattamento riserverebbero al Leone Azzurro» disse Anselm, torvo «mi sarei già schierato con i Goti. È rimasto solo un decimo dell'esercito del duca... circa duemilacinquecento, tremila uomini e la milizia cittadina... per quello che vale. Questi uomini hanno un punto a loro favore: sono determinati a non cedere la loro terra, ma dobbiamo difendere tutta la cinta muraria della città.» Ash lo fissò in silenzio. «Hai portato duecento soldati» proseguì Robert Anselm. «Non hai idea della differenza che possono fare in questo momento, ragazza.» Ash arcuò le sopracciglia. «Sapevo di essere così popolare! È per questo che il 'consiglio d'assedio' vuole parlarmi.» «Per quello e per 'Cartagine che è caduta'» completò Anselm. Pensierosa, Ash fissò gli uomini intorno a lei. «Non so quanto ti hanno detto Angelotti e Geraint, Robert...» «Ti riferisci alle nuove macchine demoniache del Sud?» Ash annuì e si avvicinò al camino, confortata dalla presenza di spirito del suo luogotenente e dal tono di voce tranquillo col quale le aveva parlato. Gli uomini intorno a lei si spostarono indietro di qualche metro dando ai due ufficiali una parvenza di intimità. Ash si sedette su uno sgabello, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e lasciò che il mantello si aprisse godendosi il calore del fuoco. «Siediti, Robert. Devo parlarti.» «Rimaniamo?» Era stato secco e diretto. «Sei tornata per noi» affermò Anselm. «Cosa facciamo, ragazza? Continuiamo l'assedio o cerchiamo di negoziare con i Visigoti?» «Hai visto il cibo che abbiamo portato con noi, Robert. 'Fanculo a tutto. Se avessi trattato con i Visigoti mi sarei risparmiata tutta la fatica di portare gli uomini fin qua... Dobbiamo negoziare con i Visigoti per avere delle provviste e per le marce forzate. So che il faris è ansioso di porre fine rapi161
Nella battaglia di Agincourt (1421) un contingente inglese che forse ammontava a 6000 unità (cinque sesti dei quali arcieri) sconfisse più di 25.000 soldati francesi tra fanti e cavalieri, spazzando via una generazione intera della nobiltà francese. L'esercito di Enrico V subì solo 'poche centinaia di perdite'. Morirono 6.000 Francesi e molti di più vennero catturati per essere liberati dietro pagamento di un riscatto.
damente all'assedio. Per quanto riguarda andare via...» Ash distolse lo sguardo dal fuoco e fissò il volto sudato di Robert Anselm. «Ci sono delle cose che devi sapere riguardo al Golem di Pietra e alle 'macchine demoniache'. Riguardo mia sorella, il faris e perché lei è così determinata nel portare fino in fondo la crociata contro la Borgogna.» Nella sua mente echeggiò una domanda: perché la Borgogna? Allungò una mano e toccò la manica sporca di Robert Anselm. «È di Godfrey Maximillian.» Anselm si passò le mani sulla pelata e Ash sentì il raschiare della peluria. «Florian mi ha detto che è morto.» Ash si rese improvvisamente conto che era stata lontana per tre mesi e che non aveva la minima idea di quanto Robert potesse essere cambiato dopo aver comandato per tutto quel tempo la compagnia. Lascia perdere, pensò. Glielo dirai dopo. Siamo una compagnia. O mi fido di lui o non lo faccio. Devo rischiare. «Godfrey è morto» confermò Ash «ma io sento ancora la sua voce, Roberto, proprio come ho sempre sentito la voce del Leone... la machina rei militaris. Lo stesso vale per il faris.» Una quindicina di minuti dopo, Ash raggiunse Baldina, Henri Brant e una donna di nome Hildegarde, una vivandiera che sembrava aver preso il posto di Wat Rodway mentre lui era via da Digione. «Come stiamo a provviste?» chiese Ash. «Ho mostrato a Henri le dispense, capo» Il viso rosso di Hildegarde si increspò. «Le provviste della città non sono molte.» «Davvero? Pensavo che avessero messo da parte provviste per almeno un anno... sono già stati assediati.» «Hanno dovuto ospitare l'intero esercito del duca per una settimana prima di Auxonne» spiegò Henri Brant, in tono ironico. «Ho controllato... è il mese del sangue e hanno massacrato tutto il bestiame 162 ! Si sono mangiati tutto, capo.» «Ma non dobbiamo preoccuparci, adesso che i Goti sono sconfitti, giusto?» si intromise Hildegarde. «Sconfitti?» esclamò Ash. 162
Usanza anglo-sassone. Nel mese di novembre venivano uccisi e macellati tutti gli animali eccetto quelli da riproduzione al fine di permettere alla comunità di superare l'inverno.
La donna scrollò le spalle e i lacci del corpetto si tesero. «È solo questione di tempo, giusto, dolcezza? La loro città è caduta a pezzi. Cosa può fare l'esercito? Toglieranno l'assedio prima del solstizio.» I cenni d'assenso intorno alla vivandiera, fecero capire ad Ash che lei non era la sola a pensarla in quel modo. Lanciò una rapida occhiata al chirurgo che, seduto sul pavimento con le gambe distese, sorseggiava di tanto in tanto il contenuto del piccolo otre di vino al suo fianco. «I Cartaginesi hanno ancora i governanti» fece notare Floria. «E l'esercito non si è ancora arreso!» «Mai discutere con il morale» borbottò Ash. «Specialmente se è alto.» «Perché sono circondata da idioti?» puntualizzò Florian in tono retorico. «Dovresti stare molto attenta alle tue parole, dottore» l'avvertì Angelotti, seduto tra Geraint e Euen Huw. «'Chi si assomiglia si piglia', come sono soliti dire i rosbif!» Il calore della stanza cominciava a insinuarsi piacevolmente in Ash che si tirò indietro il cappuccio, si sfilò i guanti e si tolse l'elmo. Robert Anselm e tutti gli altri smisero di parlare improvvisamente e la fissarono. Ash si rese conto che non l'avevano ancora vista con i capelli corti. La chioma gloriosa che aveva incorniciato il suo volto fino a qualche mese prima era scomparsa. Adesso era una donna robusta, con le gambe lunghe, sporca e i capelli tagliati corti come quelli di uno schiavo. Alcuni soldati li avevano più lunghi dei suoi. Ora era il faris ad avere la chioma gloriosa e l'armatura. «Almeno adesso potete distinguermi bene da quella stronza visigota» fece notare Ash. «L'abbiamo sempre fatto» rispose Anselm. «Tu sei quella brutta.» Ci fu un secondo di silenzio agghiacciante prima che gli uomini elaborassero quanto aveva detto Anselm e vedessero il ghigno stampato sui volti di Ash e del suo luogotenente. «Ehi» disse lei. «È meglio che mi faccia sfregiare prima di spaventare i bambini.» «Ad alcuni di noi viene spontaneo» rispose Robert, continuando a sorridere. «Già.» Ash gli tirò un guanto che lui prese al volo. «Non so se è lo stesso per il nemico, Robert, ma tu mi fai cagare addosso...» Gli uomini apprezzarono le spacconate e Ash ebbe l'impressione che la stanza fosse avvolta da qualcosa di simile a un bagliore, era un fenomeno
poco spiegabile a parole perché non era qualcosa di fisico. Oltre a quella sensazione, Ash si rese conto che Anselm non aveva nessuna intenzione di sfidare la sua autorità ed era contento di vederla. Si abbandonò per qualche attimo lasciandosi trasportare dalla situazione e guardò gli uomini che mangiavano insieme raccontandosi storie e pettegolezzi o riprendendo vecchie discussioni. Perfetto, pensò. «Va bene, ragazzi, è meglio che ascoltiate.» Aveva parlato a voce alta in modo che tutti potessero sentire. «Adesso vi dirò perché ve la caverete molto meglio senza di me.» La frase catturò l'attenzione degli uomini che si avvicinarono immediatamente per ascoltare meglio. Un ragazzino disse qualcosa che fece ridere un amico. Ash aspettò che tutti fossero zitti. «Gli ufficiali e i comandanti di lancia vi aiuteranno a sbrigarvi» disse. «Mentre sono al consiglio d'assedio dovete tenere un incontro. La cosa più importante che dovete sapere è che la scorsa notte ho incontrato il faris...» «E ne sei uscita?» disse uno degli uomini di Mowlett. Ash gli sorrise. «E ne sono uscita. Diavolo, mi ha anche dato una scorta affinché non mi perdessi...» «Cosa vuole?» domandò Geraint ab Morgan. «Cosa significa che ce la caveremmo molto meglio senza di te?» chiese Robert Anselm, malgrado il brusio di fondo. «La compagnia ha bisogno di te!» Ash rimase stupita del brusio d'approvazione che si levò dalla compagnia. Se la sono cavata senza di me per tre mesi, pensò. So bene che alcuni di loro stanno pensando proprio a questo, vero? «Va bene.» Ash avanzò in modo che tutti potessero vederla. «Rimaniamo a Digione e cerchiamo un contratto con la Borgogna? Altrimenti, se non ci sono più provviste... possiamo andare a est a marce forzate.» Non credo che potremmo farlo se i Burgundi sanno che stiamo per saccheggiare la città e andarcene... potrebbero pensarlo benissimo. «Potremmo consegnare la città alle teste di tela e ottenere un passaggio tra le loro linee.» Lanciò una rapida occhiata ai soldati chiedendosi se qualcuno di loro avesse sviluppato una sorta di lealtà nei confronti della città che stavano difendendo. «Voglio che ci pensiate nelle prossime ore. C'è una possibilità che voi riusciate a passare attraverso le linee nemiche, ma questo indebolirebbe le difese della città. Però, voglio che teniate bene a mente un fatto... il faris e la casata dei Leofric vogliono me. Solo ed e-
sclusivamente, me. A loro non importa nulla di voi o del Leone.» Euen Huw disse qualcosa all'orecchio di Thomas Rochester che lei non riuscì a sentire. I due fratelli Tydder cominciarono a spiegare qualcosa ai compagni di lancia in tono concitato. Bianche e Baldina, madre e figlia che, con i capelli tinti di biondo sembravano identiche, avevano l'aria preoccupata. «Perché ti vogliono?» urlò Baldina. «Va bene, va bene, adesso vi spiego tutto dal principio.» Ash spazzò via le briciole dal vestito. «Siete passati da una pusterla qualche ora fa e in città circolano già delle voci, figuriamoci se la compagnia non è già stata informata!» Alzò la voce. «Il vecchio califfo-re, Teodorico, è morto, ma ne hanno eletto uno nuovo... è una merda, lo so, ma è andata così. Il nuovo califfo-re si chiama Gelimero. La città di Cartagine è stata rasa al suolo da un terremoto. Purtroppo, a giudicare da quanto ho saputo nel campo del faris, Gelimero è sopravvissuto e i Cartaginesi hanno ancora una guida.» «Merda!» imprecò Euen Huw in gallese stretto e socchiuse gli occhi dalla sorpresa quando sentì tutta la compagnia che scoppiava a ridere. Uno dei balestrieri più giovani batté un pugno sul pavimento. «Firma un contratto con gli attaccanti, capo! È la cosa più sicura. Combattiamo per i Visigoti.» «So che ci pagherebbero il doppio di quello che pagano Cola di Monforte se dovessimo passare dalla loro parte» borbottò in inglese una donna vestita da arciere a fianco del ragazzo. «Me l'ha detto uno dei ragazzi di van Mander la scorsa settimana.» Giovanni Petro, un sergente italiano dal volto affilato, si sporse oltre la spalla della donna e, prima che Ash potesse rispondere, disse: «Certo che potrebbero pagarci il doppio, ma prova a indovinare chi dovrà avvicinarsi alle mura per minarle? O portare le torri d'assedio fino al cancello? O assaltare la prima breccia? Ci sono un mucchio di lavori merdosi in un assedio e stai sicura che toccherebbero tutti a noi. Non vivremmo abbastanza a lungo per essere pagati.» «Non voglio un contratto con loro dopo quello che è successo a Basilea» sentenziò Pieter Tyrrel in tono piatto. «Hanno rotto una condotta.» Alcuni annuirono d'accordo con il Fiammingo, altri avanzarono dei suggerimenti, qualcuno si lamentò, altri ancora obbiettarono. Ash lasciò che la discussione andasse avanti per poco più di un minuto, quindi alzò le mani per ottenere il silenzio.
«Io penso che firmare con loro, sia che portiate a casa la pelle o no, rimanga sempre la cosa migliore da fare perché siete un branco di bastardi coriacei. I Visigoti vogliono me» ripeté. «Ecco perché mi hanno rapita ad Auxonne. Ecco perché uno dei loro scienziati a cercato di analizzarmi a Cartagine, e lascerò che sia il nostro chirurgo a spiegarvi cosa intendo per 'analizzarmi'!» Sfruttò l'opportunità offerta dal gioco di parole per lanciare un'occhiata a Floria, che sollevò l'otre in segno di saluto. Ash vide che sul volto della donna non c'era la minima traccia di lealtà nei confronti della sua terra di nascita. So bene quanto è stata dura per lei l'ultima volta che siamo stati qua, pensò Ash, ma non può rimettersi a bere proprio adesso. «Perché non ti vogliono viva, capo?» urlò Jean Bertran, uno degli armaioli. Ash alzò una mano per fargli capire che l'aveva sentito, notando al tempo stesso che continuava a essere sporco di fuliggine come tre mesi prima. «Due sono meglio di uno, giusto?» continuò l'uomo. «E anche tu senti la voce della macchina!» «È vero, capo!» rincarò uno degli uomini che era rimasto a Digione mentre si aggiustava il farsetto. «Perché mai non dovrebbero volerci dalla loro parte se anche tu senti la voce del loro Golem di Pietra? In questo modo sarebbero imbattibili!» Ash inclinò la testa fissando il fante. «Vuoi sapere una cosa? La prossima volta prenderò il comando di un esercito feudale e non di una compagnia di mercenari così dovrò solo impartire degli ordini senza che nessuno faccia domande. Ascoltatemi bene, teste di cazzo! Ve lo ripeto. Alla Casata dei Leofric e al califfo-re non gliene potrebbe fregare di meno del Leone. Se decidete di andare via dalla città vi conviene andare a nord o cercare lavoro presso i Turchi... solo così vi creerete meno problemi. Se io rimango con voi, la compagnia rimane l'obbiettivo principale. Senza di me potete andare via da Digione.» «Possiamo vincere! 'Fanculo alle teste di tela!» gridò Simon Tydder. Tutti urlarono di rimando la loro approvazione. «Che ne dite di un po' meno di morale alle stelle e un po' più di cervello?» Ash abbandonò le mani lungo i fianchi. «Ascoltate. Questa non è una guerra. No... zitti! Buoni. Non è una guerra tra esseri umani.» La compagnia si zittì. «Ci sono altri poteri dietro gli uomini. Dio concede i Suoi miracoli a coloro che credono in Lui, ma anche il diavolo dà potere ai suoi sudditi. «Quelli che sono stati con me a Cartagine hanno visto tutto» continuò
Ash, nel silenzio generale. «I Visigoti non l'ammetteranno mai, ma il loro impero poggia le fondamenta sui dèmoni. Noi li abbiamo visti. Sono dèmoni di pietra, macchine di pietra... macchine impazzite che vivono nel deserto. Sono state loro a oscurare il sole non gli amir.» Il silenzio divenne quasi palpabile. La maggior parte degli uomini e delle donne addetti ai carri, le quaranta lance che avrebbero poi passato quanto udito nella stanza ai loro compagni di guardia o fuori per degli incarichi, i bambini e i mastini... tutti rimasero immobili a fissarla. «Sono loro che stanno espandendo l'oscurità. Non sono i Visigoti... sono le Macchine Impazzite che dicono al califfo-re e al faris cosa fare. Parlano al faris tramite il Golem di Pietra e io posso sentirle. Anche lei le sente. Anche lei sa che il Golem di Pietra è posseduto dai dèmoni ed è spaventata!» Richard Faversham si alzò in piedi. «Sono state le Macchine Impazzite a uccidere padre Maximillian!» «Non è vero. È morto durante il terremoto» lo corresse Floria. «Dottore, era un prete!» Un brivido minacciò di minare la discussione. Godfrey! pensò Ash, consapevole di sudare. «Ne parliamo dopo. Adesso ascoltatemi! So che a voi non ve ne frega un cazzo dei dèmoni. Sono loro che devono avere paura di voi e non il contrario.» Un'ovazione echeggiò contro le pareti della sala. «Ma i dèmoni» continuò Ash portando i pugni ai fianchi «ce l'hanno solo con me. Forse vogliono un altro faris. Ma se è così...» Scrollò le spalle «... non lo vogliono per guidare l'esercito! Per quello che li riguarda, io sono un cane sciolto. Un faris che non possono controllare. Quindi la casata dei Leofric mi vuole morta, il califfo-re mi vuole morta, le Macchine Impazzite mi vogliono morta.» Le labbra si incurvarono in un sorriso sarcastico. «Tutti voi però sapete che non è poi così facile uccidermi.» «Giusto, capo!» «Ma non firmeranno mai un'altra condotta con me. Sto per darvi... un consiglio, ragazzi. Eleggete Robert Anselm vostro comandante. Consegnate Digione ai Goti. Scappate e andate in Dalmazia. Prendete i soldi dei Visigoti, saccheggiate la città se necessario e andate dai Turchi.» Era un consiglio freddo e spietato da dare a chi aveva difeso una città quasi in ginocchio per tre lunghi e duri mesi. Un consiglio che, se avesse potuto consultarla, le avrebbe dato anche la machina rei militaris.
«Il sultano non starà a guardare i Visigoti che conquistano la Cristianità con le mani in mano. Potreste ottenere una condotta da lui...» Ci fu un trambusto generale. I sergenti cercarono di ristabilire l'ordine. «Non voglio prendere il comando! Sei tu il comandante!» disse Robert Anselm alzandosi in piedi. «Non fate gli eroi!» urlò Ash. «Non pensate alla compagnia, alla bandiera e cazzate del genere. Pensate a quanto sto per dirvi: volete veramente servire sotto un capitano che i Visigoti e i dèmoni che li spalleggiano sono determinati a uccidere? Perché se è così, allora significa che siamo bloccati qua!» «'Fanculo alle teste di tela!» Euen Huw, si alzò in piedi agitando un pugno in aria. «Vogliamo combattere con te, capo!» urlò Ludmilla Rostovnaya. Ash impiegò qualche secondo a capire che quelle che stava sentendo erano urla d'approvazione. «Ash vince le battaglie!» gridò Pieter Tyrrel. «Ash ci ha tirati fuori dalla merda!» sbraitò Geraint ab Morgan. «Ci hai fatti tornare dalla fottuta Cartagine, giusto, capo?» «Questa non è la vostra guerra!» Si avvicinò alla finestra e venne illuminata dalla debole luce del sole: una donna dal volto esausto, con una daga al fianco e una brigantina sporca come unico abito. Niente nel suo aspetto esteriore dava un'idea di fierezza, solo la luce che le brillava negli occhi. A volte Ash si stupiva di dover ridurre la vita di quattro o cinquecento persone, il loro animo e i loro comportamenti a una lista di nomi. Fissò i volti davanti a lei. Quelli che fino a poco tempo prima avrebbe indicato come dei creatori di guai, Wat Rodway e Geraint ab Morgan, non evitarono il suo sguardo. Entrambi gli uomini, come tutti gli altri componenti della compagnia, la fissarono con gli occhi colmi di una tale lealtà che Ash ne fu quasi spaventata. Parte di quel comportamento era dovuto al fatto che in quel momento nessuno voleva essere il capo perché c'erano delle decisioni molto importanti da prendere. Senza di me temono di essere sconfitti, pensò. La guerra non si basa su pensieri razionali. «Cristo Santo» disse Ash con voce roca. «Non avete idea del casino nel quale vi state cacciando.» «Un comandante fortunato è sempre prezioso» fece notare Antonio Angelotti, con il tono di chi cita un proverbio.
Ludmilla Rostovnaya si alzò in piedi e si parò di fronte ad Ash. «Ascolta, capo» esordì la Russa dal volto aspro. «A noi non importa niente a chi appartiene questa guerra. Non ho mai combattuto per nessun regno o signore. Tengo d'occhio la schiena dei miei compagni di lancia e loro fanno lo stesso con me. A volte sei maledettamente goffa, ma te la cavi sempre. Ci hai tirati fuori da Basilea e Cartagine. Ci hai portati fino qua, quindi continuiamo a rimanere con te.» Rivolse un sorriso splendente e sdentato al soldato al suo fianco. «Senza offesa, capitano Anselm!» «Tranquilla» borbottò Anselm, divertito. «Cosa vorresti dire con 'goffa'?» domandò Ash, stupita. «Passi metà del tuo tempo a giocare con i nobili locali.» Ludmilla scrollò le spalle. «Come hai fatto con l'imperatore Federico. Tutte quelle stronzate riguardo la scalata sociale. Ero imbarazzata, capo. Però a Neuss abbiamo dato un bel po' di calci in culo al nemico.» «Per starti dietro ho percorso più chilometri di quando marciavo nelle guerre yorkiste!» disse Thomas Rochester. «Non puoi rimanere in un punto del campo di battaglia e non muoverti, capo?» «Giusto, così le staffette saprebbero dove trovarti!» urlò un sergente degli arcieri. «Scusate...» Ash cominciò a protestare. «E non ti sbronzi mai abbastanza!» la rimproverò Wat Rodway. «Non con noi, almeno!» la incalzò Baldina. Ash cercò di rimanere seria, ma alla fine scoppiò a ridere. «Avete finito?» «Non ancora, c'è molto altro. Gli artiglieri non hanno neanche cominciato.» «Grazie, mastro Angelotti!» Un brusio allegro e scurrile pervase la stanza. Ash si passò le dita tra i capelli rasati. Aprì la bocca per parlare e, anche se non sapeva bene cosa dire, sentiva che doveva farlo, ma venne interrotta prima ancora che potesse cominciare. «Capo...» Ash si girò per cercare di individuare la fonte della voce roca e scorse Floria del Guiz che aiutava un uomo con le stampelle. Le bende nere fasciavano parte della testa dell'uomo coprendo l'orbita cauterizzata. Sopra di esse alcuni sfregi spiccavano sotto i radi capelli bianchi. Il soldato ringhiò qualcosa al chirurgo, infilò le stampelle sotto le ascelle, alzò la testa verso l'alto per ascoltare e fissò un angolo del tetto.
«Carracci!» cominciò Ash. «Lasciami parlare.» L'ex sergente la interruppe girando la testa per cercare di guardarla. Ash comprese. «Cosa c'è, Carracci?» chiese ad alta voce. «Volevo solo dire una cosa.» Ondeggiò leggermente la testa come se dovesse guardare tutta la compagnia o volesse farsi vedere chiaramente dai compagni. «Non eri obbligata a portarmi indietro da Cartagine. Io non servo più a niente. Non sono l'unico che hai riportato indietro, capo. Ecco tutto.» Sulla stanza scese un silenzio diverso dal solito. Ash allungò una mano e strinse il braccio muscoloso del sergente. L'arto tremava a causa dello sforzo che l'uomo faceva per rimanere in piedi appoggiato alle stampelle. Alcuni annuivano, altri tornarono a mangiare sentendosi visibilmente a disagio, altri ancora borbottarono degli assensi. «Giusto, Carracci» si unì una voce. «Non abbandoniamo i compagni» proclamò Robert Anselm. «E la cosa funziona nei due sensi. Basta con le stronzate, ragazza.» Ash girò rapidamente la testa perché per qualche attimo aveva perso il controllo dell'espressione. Non c'è modo di sfuggire: non se chiedi agli uomini di prendere spade e asce e scendere in campo e crepare con la faccia nel fango; non c'è modo di creare quel misto di paura e viva simpatia che, dovette ammettere con se stessa, nove volte su dieci li porterebbe a rifiutare. Questa potrebbe essere la decima volta, pensò, pervasa da un'ondata di tetro umorismo. Meglio che trovi il modo di sostenere la situazione. Il rumore dei piedi e il clangore delle armi proveniente dalle scale ruppe il silenzio. «Cosa succede?» urlò Ash, continuando a stringere il braccio di Carracci. Le guardie entrarono nella stanza e dietro di loro una dozzina di uomini sulle cui armature spiccavano le insegne burgunde. Ash fissò automaticamente le armi e vide che erano tutte nei foderi. Uno dei soldati reggeva un bastone bianco. «Capitano, Ash» la chiamò il capo. «Siamo stati mandati dal mio signore, Olivier de la Marche. Egli desidera che vi scortiamo al 'consiglio d'assedio' del visconte. È mio onore chiedervi se vorrete seguirci.» «Vai tu» disse automaticamente Ash, rivolgendosi a Robert Anselm. «Se ho ragione e lui è là, ho cose molto più importanti da fare. Se volete rimanere qua devo parlare con il duca.»
«Con Carlo?» Anselm abbassò la voce. «Non ti faranno entrare, ragazza.» «Perché no?» «Non lo sai? Cazzo, avrei dovuto dirtelo.» Anselm agganciò la cintura dalla quale pendevano il borsellino e quadrello163 . «Sapevi già che il duca era stato ferito tre mesi fa durante la battaglia di Auxonne, vero? Ci hanno detto che non è ancora in grado di lasciare il letto.» IV «Sei sorda, donna?» le chiese, impaziente, uno dei soldati a fianco del Burgundo con il bastone bianco. «Il consiglio ti sta aspettando!» L'ingiunzione riportò Ash alla realtà. Tutt'intorno gli uomini imprecavano, raddrizzavano le spalle e cominciavano a darsi da fare. La confusione la indusse a guardarsi intorno, guardinga, come ogni volta che scoppiava un trambusto e in quel momento, specialmente dopo Carracci... si sentiva ancora più in allarme. Fece un cenno a Geraint osservando al tempo stesso i graduati che ristabilivano l'ordine nella truppa. «Figlio di puttana!» imprecò Robert Anselm, disorientato quanto Ash. Il comandante degli ufficiali burgundi... Jussey? Jonvenelle?... si rivolse ai compagni parlando in francese. La frase, a giudicare dal tono, aveva tutta l'aria di essere un rimprovero. L'ufficiale scrollò le spalle e squadrò Ash come se volesse rivolgerle delle scuse informali. «Ha chiarito il punto» disse Ash, torva. La pioggia della notte prima le aveva macchiato la brigantina. Ash abbassò gli occhi e guardò i pantaloni e gli stivali incrostati di fango secco. Si sentiva come nuda senza la corazza. Le borchie della brigantina erano sporche e sull'elmo erano fiorite delle macchie di ruggine. «La spada» ordinò Ash, improvvisamente. «E il resto...» Robert Anselm le lanciò una rapida occhiata e cominciò a impartire ordini al suo scudiero. Il ragazzo lo raggiunse con alcune cinghie, un fodero e una spada. «Armatemi!» Anselm si tolse l'abito e tese le braccia. I paggi gli infilarono le protezioni per gli arti e agganciarono il piastrone della corazza al farsetto imbottito. Terminata la vestizione, Robert Anselm cominciò ad aggirarsi tra gli uomini alla ricerca del mastro artigliere. «Tony!» lo chia163
Oltre a essere il nome dato ai dardi delle balestre, 'quadrello' è anche il nome di un coltello tozzo con la lama e la punta squadrate. (N.d.T.)
mò, sorridendo, una volta che l'ebbe trovato. Angelotti, inginocchiato davanti a un secchio, alzò la testa e una pioggia di schizzi proveniente dalla chioma bionda investì i suoi scudieri. Il volto era un po' più pulito ma segnato dalle lunghe marce al gelo, nel fango e sotto la pioggia. L'artigliere si concentrò su Anselm, poi spostò lo sguardo sui Burgundi fissandoli in cagnesco e borbottando una frase oscena. «Sì, sì. Ti conosco bene. So che hai dei vestiti puliti e asciutti nello zaino, giusto?» Robert Anselm diede un calcio all'equipaggiamento del compagno d'arme, mentre i suoi paggi terminavano di vestirlo. «Sei più o meno della sua stessa taglia. L'abito che indossi quando siamo in viaggio... Sei riuscito a riportarlo dal Nord Africa?» Ash si coprì la bocca con una mano per nascondere il ghigno. Angelotti aprì lo zaino e si alzò con un vestito sul braccio. Un abito di seta damascata. Lindo. Il colletto e i polsini erano bordati con una striscia di pelo di lupo grigio. «Non possiamo mandare il giro il capo vestito come una prostituta» disse Anselm, sorridendo ai Burgundi. «Non trovi, Tony? Infangheremmo il nome del Leone.» I Burgundi attesero con pazienza che i due paggi spazzolassero gli stivali di Ash e Rickard le abbottonasse il vestito sulla brigantina sporca. Il ragazzo chiese a un amico di prestargli l'elmo d'arciere, lo rivestì con un nastro blu e giallo e vi infilò una piuma. Ash sentiva la pelliccia del colletto che le solleticava le guance sfregiate. «Spada!» Anselm fece cenno al suo paggio di avvicinarsi. Ash alzò le braccia per far sì che il giovane potesse chinarsi. Anselm allungò una mano e prese la spada. Era una di quelle movenze tipiche dell'uomo che per Ash erano come un marchio di riconoscimento. Si avvicinò ad Ash, si inginocchiò e fece per assicurarle la spada al fianco, ma lei lo fermò. La mano toccò il pomello e la crociera d'ottone che, sebbene consumati dall'uso, erano stati tirati a lucido. «Questa è la tua spada migliore, Robert.» «Prenderò l'altra.» Strinse la cinghia con mano esperta e fece un nodo in fondo al lembo che usciva dalla fibbia lasciandolo penzolare sulla seta damascata del vestito. «Non sei a Neuss, ragazza.» Il ricordo di lei inginocchiata di fronte all'imperatore del Sacro Romano Impero era ancora vivido nella memoria di Ash. Una cascata di capelli biondi, quasi bianchi, che terminava ai fianchi. Una ragazza sfregiata, bellissima... una donna con indosso una corazza milanese tanto lucida da far
male agli occhi che diceva, quasi urlando: «Questo è quanto ho guadagnato in veste di capitano mercenario, sono brava.» Tutti penseranno che non mi posso permettere neanche il piastrone di un'armatura, rifletté Ash. Be', merda, sono ridotta ad avere un elmo e i guanti imbottiti: ecco. Tutto il resto è danneggiato al punto di essere irreparabile o nelle mani del faris... Sarà sufficiente? Ash aggiustò l'imbottitura dell'elmo in modo che calzasse meglio. Alzò il mento e Rickard chiuse la fibbia e le infilò una giacca pulita con le insegne della compagnia. «Sembra che debba andare al consiglio. Angelotti e Anselm venite con me. Geraint, voglio che tu abbia completato l'appello per quando sarò di ritorno. Chiaro? Andiamo!» Angelotti, pulito e in ordine uscì dal centro di un capannello di uomini. Thomas Rochester si cambiò rapidamente d'abito e preparò la scorta di dodici persone con tanto di bandiera. Ash uscì dalla torre alla testa del gruppo. Nel cortile c'erano alcuni maiali e qualche coniglio inseguito dai bambini. L'aria fu pervasa dal clangore metallico delle armature. Il tonfo di un masso che raggiungeva il bersaglio fece sussultare Ash. Gli animali e i bambini si paralizzarono per un secondo. Il sole le lambiva il volto. Ash ebbe l'impressione che una morsa le stesse stringendo il petto e dovette deglutire per riprendere a respirare. «Colpiscono di nuovo il cancello nord-ovest» tuonò Anselm, alzando la testa verso il cielo per chiudere l'elmo. Anche Rickard. che si trovava al fianco di Ash. sussultò e lei gli posò una mano sulla spalla per confortarlo. Ash rimase sorpresa nel sentire un rivolo di sudore che le colava sulla pelle striandole il viso sporco. Cosa c'è che non va. adesso? pensò. È normale che succedano cose simili in un assedio. Si costrinse a dirigersi verso i cavalli. Gli uomini montarono in sella agli stalloni da guerra creando quella momentanea confusione alla quale Ash era abituata da più di un decennio. Mentre i Burgundi salivano sulle loro bestie, Rickard le si avvicinò portando un baio color topo con coda, criniera e zampe nere che spuntavano da sotto la bardatura. «'Orgoglio in prestito'164 » disse Anselm. «Non credo che tu sia riuscita a 164
In questo nome è presente una certa dose di sfida. Secondo la mentalità medievale, l'orgoglio era un grande peccato che precedeva la caduta in disgrazia.
procurarti un cavallo di riserva mentre tornavi da Cartagine.» Il cavallo fissò Ash e dilatò le narici sbuffando. Il tono rozzo e ironico di Anselm, richiamava il buon umore o quantomeno cameratismo. «Capo?» «Cosa?» «Non pensi che sia il momento sbagliato per montare uno stallone? Possiamo trovarti un castrato.» «No. Tutto a posto, Roberto...» Ash carezzò il muso della bestia, ma appena sentì l'alitò caldo sulla pelle della mano si immobilizzò, sopraffatta da un improvviso e inspiegabile senso di vuoto. Sei mesi prima possedeva un destriero, un palafreno e un cavallo da corsa. Ora non le era rimasto nulla. Godluc, grigio metallo, petto largo, tirannico e protettivo. Lady, un sauro dolce e ingordo. Bastardo, del colore dell'acqua sporca dal temperamento lunatico. Il pensiero dei bei puledri che Lady avrebbe potuto partitore o della malizia di Bastardo (che cercava di morderle le gambe quando lei meno se l'aspettava o si strofinava con il muso contro il petto con altrettanta imprevedibilità) le fece venire il magone. Li aveva persi entrambi durante la fuga da Basilea. E Godluc... morto durante la battaglia di Auxonne. Giuro, pensò con le lacrime agli occhi e la bocca piegata in un macabro sorriso, quel cavallo credeva che io tossi una specie di cavalla indisciplinata! È più facile addolorarsi per la morte dei cavalli che per quella degli uomini? si chiese, ricordando i cadaveri seppelliti nella rocciosa e inospitale isola di Malta. «Ti troverò un altro cavallo da guerra» le promise Anselm. appena si accorse che Ash aveva smesso di parlare. «Mi basterà sborsare un paio di sterline. Ci sono un mucchio di cavaliere morti ai quali non servono i cavalli.» «Roberto, sei un problema sempre presente quando qualcuno ha bisogno d'aiuto...» L'Inglese sbuffò. Ash lanciò un'occhiata ai cavalieri burgundi in groppa ai loro destrieri da guerra che sfoggiavano le piastre arrotondate di metallo lucido delle corazze, quindi fissò la sua scorta. Gli uomini con gli elmi privi di ventaglia e le cotte di maglia erano in groppa a cavalli che, pensò Ash, con ogni probabilità dovevano essere appartenuti alla guarnigione. Il blu e l'oro, le insegne della sua compagnia, spiccavano contro il cielo grigio del mattino. Le estremità degli archi e l'asta priva della bandiera si le-
vavano nell'aria. Un occhio attento avrebbe notato la ruggine sugli schinieri, sui cosciali e gli stivali di cuoio anneriti e crepati dall'umidità e dal freddo. «... Andiamo.» Si misero sulla scia degli ufficiali burgundi e imboccarono una strada affollata. Ash fu immediatamente circondata dalla sua scorta. La polvere riempì l'aria. Una nuvoletta di cenere mulinò sul selciato facendo imbizzarrire un paio di castrati. I gruppi di persone che parlavano vicini agli angoli della strada si spostarono per far passare il corteo. Ash mollò le redini per evitare un uomo che portava via un carro pieno di macerie da un negozio distrutto. Nel volgere di poche centinaia di metri contò una dozzina di conestabili. Un tonfo seguito da uno scoppio echeggiarono nell'aria. Orgoglio sbuffò e una nuvoletta di fiato si condensò nell'aria fredda. Ash sentì che la bestia sotto di lei era percorsa da un fremito di disagio. Altri tonfi secchi giunsero da nord. I Burgundi continuavano a cavalcare tenendo le spalle incurvate senza neanche rendersene conto... erano uomini abituati a ripararsi da qualsiasi cosa potesse cadere dal cielo. «Merda! Questa era vicino!» «A qualche strada da qua. A volte vanno avanti con questi stupidi scherzetti per tutto il giorno.» Robert Anselm scrollò le spalle. «Prendono le pietre di calcare dalla strada che porta ad Auxonne. È solo un divertimento.» Indicò una chiesa ridotta a un guscio annerito dalle fiamme con un pollice. «Quando fanno sul serio usano il Fuoco Greco.» «Merda!» «Sono d'accordo.» «Sono stato sulle mura. Devono avere più di trecento...» disse Angelotti che nel frattempo fece affiancare con cautela il suo cavallo a quello di Ash. «Ho visto venticinque trabocchi, Madonna. Non sono riuscito a contare i mangani e le baliste perché sono nascosti dietro degli schermi di cuoio. Forse hanno un altro centinaio di macchine. Solo un tempo veramente pessimo potrebbe rendere inservibili le catapulte. Ma... non i golem.» «Già» rispose secca, Ash. «Dobbiamo proprio combattere qua, Madonna?» le chiese Angelotti. Le nostre possibilità diminuiscono con il passare dei minuti... pensò Ash. I cavalieri burgundi imboccarono una strada diagonale passando rasente alle case per sfruttarne la protezione. Qua e là c'erano tetti sfondati e case
bruciate. Le macerie scricchiolavano sotto gli zoccoli ferrati dei cavalli rendendo la loro andatura incerta. «Se tu fossi il loro magister ingeniator165 , Angeli, cosa faresti in questo momento?» chiese a sua volta Ash, ignorando la domanda precedente. «Cercherei di minare il muro nord o sfondare uno di quei due cancelli.» Gli occhi allungati dell'italiano si socchiusero per studiare le reazioni di Anselm. «Prima di tutto cercherei di indebolire il morale della popolazione. Manderei dei soldati sulla collina per tracciare una mappa della città, dopodiché concentrerei il fuoco sui bersagli pubblici. I mercati, le chiese, la casa delle Gilde, il palazzo ducale.» «Beccato!» sbuffò Anselm. Ash sentiva il mal di stomaco e la stretta al petto che aumentavano. Un uomo smise di inchiodare le assi sull'apertura della finestra, si tolse il cappello per salutarla, quindi entrò in casa per evitare la pioggia di detriti proveniente dai tetti. «'Fanculo!» esclamò Ash. «Adesso ricordo quanto odio quelle cazzo di macchine d'assedio. Mi piacciono le cose che sono a portata d'ascia!» «Davvero? Lo dirò a Raimon il falegname.» Robert Anselm rispose con un'occhiata ironica a quella di Ash e aggiunse. «Dovrai nominare qualcuno enguynnur 166 visto che il qua presente Tony è stato dato per disperso, probabilmente morto in Africa.» Gli ordini di due comandanti diversi non rendevano la vita facile a nessuno... «Cristus Viridianus!» Ash scosse la testa. «Abbiamo cercato così a lungo di 'essere al sicuro dentro le mura di Digione'. Siamo seduti proprio sull'oro167 ! Va bene, Robert... spiegami tutto quello che è successo prima che prendiamo parte a quel dannato concilio.» «D'accordo.» Robert Anselm si strusciò la mano sul naso. Il movimento era stato lievemente impacciato. Ash sospettò che fosse stato ferito durante un assalto visigoto, ma sapeva che lui non avrebbe detto nulla. «Dopo la disfatta di Auxonne siamo rimasti imbottigliati. Avevano incendiato tutti i paesi vicini. La notte sembrava che anche il cielo bruciasse. 165
'Mastro ingegnere': in questo caso si tratta di un ingegnere militare specializzato in assedi. 166 Nel 'Fraxinus' compaiono sia la parola 'enginur' sia 'enguigniur'; entrambe significano 'ingegnere' nell'accezione di 'ingegnere militare'. 167 È presumibile che si tratti di un riferimento al cerchio dorato che costituisce il centro dei bersagli per gli arcieri.
Prima di tutto hanno posizionato le macchine d'assedio e l'artiglieria per il fuoco di sbarramento. Vuoi sapere cosa hanno fatto con i trabocchi? Li hanno usati per lanciare i cadaveri dei nostri uomini e dei cavalli caduti ad Auxonne. Dopo hanno posizionato i lanciafiamme di fronte a tre dei cancelli, circa quindici per ogni cancello in modo da coprire le mura e il fiume. Noi abbiamo fatto saltare il ponte a sud e loro hanno incominciato a minare da nord.» «Non hanno risparmiato nessun accorgimento.» Ash sbatté le palpebre e fissò le schiene degli uomini davanti a lei mentre entravano in una piazza parzialmente ostruita dalle macerie. Vorrei non avere la capacità di visualizzare quello che è successo, pensò Ash. Cosa mi sta succedendo? Non mi sono mai preoccupata! «Oh, hanno fatto del loro meglio per fotterci» continuò Anselm, torvo. «È dalla fine di agosto che ci bombardano. Hanno iniziato appena si sono resi conto che non potevano conquistare la città rapidamente. Non potevano portare le bombarde o le macchine d'assedio a est dell'Ouche perché in quell'area il terreno è troppo accidentato e hanno preso di mira la zone ovest e nord della città. Hanno colpito tutti i punti che erano a tiro.» Abbassò lo sguardo e guidò il cavallo lungo i bordi del cratere scavato sul selciato. Ash notò che le mura di una chiesa era crivellate di fori. «I Burgundi hanno cominciato a spostare la loro gente nella zona sud-est della città» aggiunse. «Be', a partire dall'inizio di ottobre i Goti hanno cominciato a scaraventare tutto quello che avevano a disposizione proprio in quel punto. Pietre. Fuoco Greco... Quei cazzo di golem da guerra... certo che non sbagliano un tiro. Volevano solo dare l'opportunità ai civili di radunarsi in un punto... I burgundi hanno perso un gran numero di soldati. D'allora è stato 'indovina dove tireranno e, dove andremo a dormire stanotte?'» «La torre della compagnia sembra solida.» «Hanno sistemato i soldati in luoghi che possono resistere ai bombardamenti. Dopo aver usato le catapulte e il resto hanno cominciato ad assaltare le mura. È stata dura. Le teste di tela stanno perdendo un mucchio di uomini... e non va molto bene, per loro, intendo. Hanno cominciato a scavare due o tre fottute gallerie vicino al cancello nord-ovest. Da dove sei entrata? Da quel punto. Se scendi nelle fondamenta delle torre puoi sentirli scavare. Non hanno bisogno di ammassarsi contro le mura.» «Quanto tempo rimane alla città?» Robert non rispose alla domanda diretta e la fissò con un sorrisetto. «Per
Dio, ragazza, hai un aspetto diverso, ma non sei cambiata. Cartagine non ti ha trasformata più di tanto.» «Certo che no. Mi hanno tagliato i capelli e basta.» Si scambiarono una rapida occhiata. Il vento fece schioccare la bandiera sopra le loro teste. Gli uomini al suo fianco aumentarono leggermente il passo senza rendersene conto e Ash non disse nulla adattandosi alla nuova andatura. «Con quale cadenza i Goti provano ad assaltare le mura?» «Be', non fanno affidamento sulla fame o sulle malattie per prendere la città. È stato un cazzo d'inferno al cancello nord-ovest» ammise Anselm e alzò una mano, segnata come quella di un contadino o di un fabbro, per segnalare al portabandiera di rallentare il passo. «Tu hai parlato con loro, capo. Le teste di tela vogliono Digione. Non gliene frega niente di Bruges, Antwerp o Gand. Vogliono il duca... a meno che non muoia prima a causa delle ferite. Il che significa, assalti. Li compiono a distanza di pochissimi giorni l'uno dall'altro. Alle volte arrivano di notte. Stupide fottute tattiche d'assedio.» «Già, ma dando un'occhiata là fuori devono superare i Burgundi di quattro o cinque a uno...» L'aria fredda le tagliava il volto. In cielo le nuvole sfilacciate scivolano a sud spinte dal vento. Ash scorse la facciata bianca di un palazzo oltre le teste dei cavalieri burgundi, ma non riconobbe quel luogo. Il drappello si fermò. Ash si sporse e vide che il comandante dei cavalieri burgundi era impegnato in una discussione con un civile ai piedi di una scalinata. «Sarebbe bello avere un tetto solido sulla testa» mormorò Ash, calmando Orgoglio. «Fino a che qualche stronzo non vi scaglia sopra qualche tonnellata di pietre... suppongo.» «Sembra che ci stiamo per muovere, capo» mormorò il portabandiera. Il ritardo era stato causato da problemi riguardanti il cerimoniale. Mentre scendevano da cavallo ed entravano nella sala del visconte, un araldo li annunciò con uno squillo di chiarina. I nobili, i mercanti e il sindaco di Digione, seduti intorno a un lungo tavolo, si girarono per guardarli. Le loro voci echeggiavano contro le pareti tappezzate della sala. C'era anche un gruppo di civili e soldati. Ash valutò che le uniche donne presenti dovevano essere le mogli dei mercanti o di qualche nobile minore. Osservò le insegne delle casate e si accorse che non c'erano solo nobili burgundi. «Francesi? Tedeschi?» borbottò.
«Nobili profughi» spiegò Anselm, cinico. «Che vogliono continuare la guerra contro i Visigoti?» «Così dicono.» Olivier de la Marche si alzò in piedi dal suo scranno. Indossava l'armatura completa. Al suo fianco c'era Ternani, il ciambellano. È sporco e ha l'aria stanca, pensò Ash, accigliata, non somiglia per niente all'uomo che comandava l'esercito del duca di Borgogna nella battaglia di Auxonne. «In veste di luogotenente del duca» esordì Olivier de la Marche, senza tanti preamboli. «Do il benvenuto all'eroe di Cartagine nella nostra compagnia. Signora-capitano Ash, diamo il benvenuto a voi e ai vostri uomini. Benvenuti!» De la Marche le indirizzò un inchino formale. Ash dovette sforzarsi per rimanere impassibile. L'eroe di Cartagine. Ash rispose all'inchino, goffa come sempre chiedendosi se stava comportandosi nella maniera giusta. «Grazie, mio signore.» In un attimo furono liberati dei posti a capo tavola. «'Eroe di Cartagine'?» borbottò agli ufficiali. «'Eroe'?» Il volto torvo di Robert Anselm sembrò ringiovanire di vent'anni mentre cercava di trattenere una risata. «Non mi chiedere niente. Solo Dio sa quali voci sono corse in città!» «Voci decisamente poco attendibili, Madonna» disse Angelotti, serafico. Ash sorrise. «Un eroe per caso. Be'... questo mi ripaga per la dozzina di splendide azioni di guerra che ho portato a termine e che nessuno ha mai notato!» Tornò seria. «Il problema di essere un eroe è che la gente si aspetta che tu faccia qualcosa. Io non so se sono capace di fare 'l'eroe', ragazzi.» Robert le diede un pugno sulla spalla. «Non penso che ti sia rimasta molta scelta, ragazza!» Thomas Rochester e la scorta si posizionarono alle spalle dei loro ufficiali. Ash si guardò intorno osservando le espressioni di disgusto o ammirazione apparse sui volti dei presenti. Era grata ad Angelotti per averle prestato il vestito. Sorrise radiosa all'uomo che si trovava all'altro capo del tavolo a fianco di de la Marche sul cui abito costoso spiccava la catena simbolo della sua carica: visconte maggiore di Digione. Il nobile la stava fissando in cagnesco: 'l'eroe di Cartagine'. «Sì, Madonna» la precedette Angelotti «quello è l'uomo che ha detto ai mercanti di non farci credito quando arrivammo da Basilea e tu eri ferita. Il visconte maggiore, Richard Follo.»
«Quello che ci ha chiamato 'sporchi mercenari', giusto?» Ash sorrise di nuovo. «Parole che dubito abbia ripetuto a John de Vere! Be'... così gira la Rota Fortuna 168 .» Ash osservò i nobili burgundi e quelli stranieri presenti alla riunione, sia quelli che avevano il diritto di sedere al tavolo sia quelli che affollavano la stanza in piedi. Un'atmosfera aggressiva e disperata, che le era familiare dagli altri assedi a cui aveva preso parte, aleggiava nell'aria. Ash decise che per il momento non si sarebbe preoccupata delle dispute tra i nobili e i borghesi, il sindaco e la gente di Digione. «Vi diamo il benvenuto» terminò de la Marche sedendosi. Ash lo fissò negli occhi. Va bene, pensò, buttiamo il gatto nel fuoco. «Mio signore» esordì ad alta voce. «Io e i miei uomini abbiamo impiegato due mesi per tornare da Cartagine, quindi la mia conoscenza della situazione non è aggiornata o attendibile. Per il bene della mia compagnia, ho bisogno di sapere quanto è forte la città e quanta parte del territorio burgundo è caduta in mano al nemico.» «Il Duchy, la Franche-Comté e il Nord» rispose il visconte. «Forse anche la Lorena, ma non ne siamo sicuri.» Un uomo dai lineamenti sottili batté un pugno sul tavolo e si girò verso Olivier de la Marche. «Vedete! Il nostro duca dovrebbe riflettere. Io ho dei possedimenti nel Charolais. Dov'è finita la lealtà nei confronti del nostro re? Se solo cercassimo la protezione di re Luigi...» «... o facessimo appello ai legami feudali che ha con l'impero...» «E firmassimo una pace con il califfo-re!» Ash si rese appena conto di aver parlato in tedesco mentre i due cavalieri terminavano all'unisono il loro intervento. «Perché no?» borbottò Anselm. «L'hanno fatto tutti da altre parti della Cristianità!» I presenti, circa un centinaio di persone, cominciarono a urlare in almeno quattro lingue diverse. «Silenzio!» La voce di de la Marche, tanto famosa perché 'era possibile sentirla sopra il rombo dei cannoni', echeggiò contro il soffitto della stanza sedando sul nascere la discussione. «Gesù, che zuffa!» mormorò Ash. Si accorse che l'avevano ascoltata e arrossì in viso. La paura dell'esercito fuori le mura, della gemella, del Sud incestuoso e della mancanza di risposte alle sue domande, l'avevano resa di 168
'Ruota della Fortuna'.
cattivo umore. «Voglio essere sincera» disse scrollando le spalle mentre fissava de la Marche. «Fino a qualche secondo fa mi chiedevo come mai Cola di Monforte e i suoi ragazzi si fossero schierati con i Visigoti, ma adesso comincio a capire il motivo della sua scelta. La Borgogna sembra piuttosto divisa, vero?» «No, capitano» le rispose sogghignando Philippe Ternani «queste discussioni tra le famiglie sono all'ordine del giorno. Solo che si scaldano quando nostro padre, il duca, non è presente.» Ash osservò gli occhi azzurri e le mani di Ternani macchiate dall'età e giunse alla conclusione che lui doveva conoscere molto bene la politica della Borgogna. «Se lo dite voi, messere» rispose educatamente lanciando al tempo stesso una rapidissima occhiata a Robert Anselm. Ho bisogno di prendere delle decisioni, pensò. Credevo che venendo qua avrei avuto un po' più di respiro. «Cos'è la Borgogna?» domandò de la Marche, rivolgendosi ad Ash. «Cosa siamo, capitano? Solo qua nel Sud esistono due Borgogne, il Ducato e la Contea. Poi c'è la Lorena, una provincia conquistata. Al nord c'è l'Hainault, l'Olanda, le Fiandre e tutto il resto169 . Quello che il nostro duca non deve al re di Francia come diritto feudale, lo deve all'imperatore Federico. Signora, parliamo francese nelle due Borgogne, olandese e fiammingo nelle Fiandre e il tedesco imperiale nel Lussemburgo! C'è solo una cosa che ci tiene uniti... un uomo... il duca Carlo. Senza di lui ci ridurremmo a centinaia di proprietari terrieri in conflitto tra di loro170 .» Philippe Ternant sembrava divertito. «Mio signore, per quanto mi inchini alla vostra abilità militare, permettetemi di dire che un solo cancelliere, la corte di giustizia e un sistema fiscale ci tengono ugualmente uniti...» «E tutto questo quanto durerebbe senza il duca Carlo?» Olivier de la Marche batté con violenza una mano sul tavolo. «È il duca che ci tiene uniti!» 169
A quel tempo la Borgogna era al massimo della sua gloria ed era divisa in: Ducato di Borgogna, Contea di Borgogna (France-Comté), Fiandre, Artois, Rethel, Nevers, Brabant, Limbourg, Hainualt, Olanda, Zeeland, Lussemburgo, Guelderd e per poco tempo nel 1475 la Lorena. 170 In un certo senso è quello che successe dopo la morte di Carlo l'Intrepido nel 1477. Il duca non aveva un erede maschio e non era riuscito a combinare un matrimonio per la sua unica figlia ed erede, Maria. Se fosse sopravvissuto alla battaglia, molto probabilmente Carlo sarebbe riuscito a coronare la sua ambizione di diventare un monarca europeo.
Ash colse un lampo verde in mezzo alla folla: c'era un prete presente in sala. «Noi siamo il popolo di discendenza germanica più antico della Borgogna» disse l'abate facendosi scudo della calca «siamo stati il regno di Arles, quando la Cristianità era divisa in Nuestria e Austrasia. Siamo antichi quanto il duca di Valois.» La voce profonda del religioso ricordò ad Ash quella di Godfrey Maximillian e non si rese conto della ruga che le si era formata tra le sopracciglia. «I nomi non contano nulla, mio signore. Qua, nelle foreste del Sud come nelle città del Nord, siamo un unico popolo. Dall'Olanda al lago di Ginevra siamo un solo popolo. Il nostro signore, il duca, è l'incarnazione di tale unione, come lo era stato suo padre prima di lui, ma la Borgogna sopravviverà a Carlo di Valois. Di questo ne sono sicuro.» «No, se qualcuno non farà qualcosa riguardo l'esercito visigoto là fuori» dichiarò Ash. I presenti smisero di borbottare tra di loro e si girarono verso di lei. «Il duca ci mantiene uniti» ribadì il visconte Follo. «Per cui, visto che si trova qua, il Nord verrà al Sud per aiutarci.» Davvero? pensò Ash. Si girò verso Olivier de la Marche e chiese: «Quali sono le notizie che arrivano dal Nord?» «Le ultime notizie parlavano di combattimenti intorno a Bruges, ma erano vecchie di un mese quando sono arrivate. Forse l'esercito di lady Margherita potrebbe aver vinto.» «Verranno per liberare una sola città?» «Digione non è solo 'una città sotto assedio'» spiegò Philippe Ternani, rivolgendosi ad Ash. «Vi trovate nel cuore della Borgogna, nel ducato.» «Tre anni fa, il mio duca» spiegò Olivier de la Marche «scrisse che Dio aveva nominato dei principi per governare i principati e le terre in modo che le regioni, le province e le persone fossero riunite in maniera concorde e disciplinata 171 . Il duca è in questa città, loro verranno.» Ash stava per chiedere qual era l'entità delle forze al Nord quando il visconte le rivolse la parola. «Capitano, voi e i vostri uomini avete visto ciò che succede oltre le mura.» «A Cartagine?» Sul volto di de la Marche apparve una smorfia che sembrava di dolore. 171
Carlo l'Intrepido, ordinanza di Thionville, 1473.
«Prima di tutto vorrei sapere quello che avete visto a sud della Borgogna. È da due mesi che riceviamo pochissime notizie di quanto succede oltre il confine. Sappiamo solo che ci sono lunghe colonne di profughi sulle strade che portano fuori dalla città.» «Sì, messere.» Ash si alzò in piedi e si rese conto che, a giudicare dagli sguardi, non era normale vedere una donna armata anche se non indossava l'armatura come era d'uso172 . Non sono abituata a essere considerata un eroe... pensò Ash. «Abbiamo attraversato le terre del re di Francia che sono avvolte nell'Oscurità» cominciò. «La gente del posto sostiene che il buio si estende fino a nord della Loira, o almeno così dicevano tre settimane fa. Non abbiamo visto nessuno scontro...» Sorrise. «Non contro i Visigoti. Quindi suppongo che il trattato di pace regga.» «Stronzi!» esplose de la Marche. Alcuni mercanti voltarono la testa guardandolo stupefatti. Ash pensò che fossero trasaliti più per l'uso del termine volgare che per dissenso con le opinioni del visconte. «Il Ragno Universale è fatto così» disse Ash, scrollando le spalle. «Che Dio lo faccia marcire» imprecò de la Marche. I mercanti e i nobili che avrebbero sussultato nel sentire un simile tono di voce in tempo di pace, ora guardavano il massiccio Burgundo come se fosse la loro unica speranza. «Che Dio faccia marcire lui e Federico di Germania!» rincarò de la Marche. Ash ricordava alcuni volti dei nobili presenti a quel tavolo perché avevano preso parte al suo matrimonio nella cattedrale di Colonia. Al tempo erano tutti belli pasciuti e indossavano i loro abiti migliori. Ora non più. «Messere...» De la Marche riprese fiato e calò nuovamente una mano sul tavolo. «Perché le loro terre dovrebbero essere risparmiate, traditori figli di puttana? Solo perché quelle piccole merde hanno firmato dei 'trattati' con quei bastardi dei Visigoti!» «Non siamo tutti traditori!» Un cavaliere con indosso un'armatura di fattura gotica scattò in piedi calando a sua volta la mano guantata sul tavolo. «Almeno noi non desideriamo rimanere asserragliati dietro le mura, uomo 172
L'abitudine di portare la spada sugli abiti civili non prese piede nell'Europa occidentale fino al sedicesimo secolo. Nel 1476 la spada era solitamente indossata con l'armatura o altre protezioni. (Tutti, comunque, portavano il coltello).
del duca!» De la Marche lo ignorò. «Cos'altro, capitano?» «Non è rimasto più molto di quelle terre. Chiunque vincerà questa guerra dovrà affrontare la carestia.» Ash fissò i volti segnati dalle razioni ridotte. Quelle che un tempo erano state fiorenti città e ricche abbazie erette lungo i fiume della Borgogna meridionale ora erano solo un ricordo bruciato e deserto lambito dal mite sole autunnale. «Non so quante provviste siano state stipate in città, ma non potreste ricevere altro anche se i Visigoti non impedissero le comunicazioni perché là fuori non c'è più nulla. Ho perso il conto delle fattorie e delle città deserte che ho visto lungo la strada per arrivare qua. Non ci sono più persone. Il freddo ha rovinato i raccolti. Non ci sono né vacche né maiali perché sono stati tutti mangiati. Durante la marcia abbiamo visto dei bambini abbandonati. Non è sopravvissuta nessuna città tra qui e il mare.» «Questa guerra è un'oscenità!» ringhiò uno dei mercanti. «È una brutta guerra» lo corresse Ash. «Non distruggi in maniera irreparabile ciò che rende produttivo un regno se lo vuoi conquistare. Non è rimasto nulla per il vincitore. Mio signore, io credo che i profughi si stiano dirigendo verso la Savoia, la Francia meridionale o i Cantoni. Ma là non c'è nulla... solo il buio. Il sole splende ancora solo sulla Borgogna, ma oltre il confine è già inverno. Da quello che so è così ad Auxonne.» «Un inverno come quelli della Russia.» Ash riconobbe la voce di Ludmilla Rostovnaya, girò la testa e le fece cenno di continuare. La donna, che indossava dei pantaloni e un farsetto rosso sotto il mantello, spostava il peso da un piede all'altro consapevole che tutti gli occhi erano puntati su di lei. «A nord l'inverno arriva con il ghiaccio» disse. «Si formano delle grosse lastre che durano anche otto mesi. Ci sono uomini nel mio villaggio che possono ricordare il porto dello zar Pietro173 che gelava in giugno e le navi che scricchiolavano come uova. Quello è l'inverno che abbiamo incontrato allo sbarco a Marsiglia.» «Vedete, mio signore de la Marche» disse un prete seduto tra due nobili. «Come vi avevo detto. In Francia, in Germania, in Italia e nella Spagna 173
Che si tratti di un errore? Se parla di Pietroburgo/Leningrado (forse si tratta di un'aggiunta successiva), allora vuol dire che Pietro il Grande fondò la città prima del 1703.
dell'est non splende più il sole, ma l'astro dorato risplende ancora su di noi. Parte del suo calore lambisce ancora la nostra terra. Non siamo Sotto Penitenza.» Ash aprì la bocca per dire che la Penitenza non c'entrava nulla e che era tutta opera delle Macchine Impazzite, ma la richiuse. Guardò gli ufficiali. Robert Anselm serrò le labbra e scosse la testa. Antonio Angelotti le lanciò una rapida occhiata per ottenere il permesso, quindi si rivolse all'assemblea. «Messeri, io sono un mastro artigliere. Ho combattuto nelle terre Sotto Penitenza con il lord-amir Cilderico. A quel tempo il clima era caldo. Non abbastanza per seminare, certo, ma non aveva nulla a che vedere con l'inverno.» Ash ringraziò la donna e l'artigliere con un cenno del capo. «Angelotti ha ragione. Vi dirò cosa ho visto due mesi fa. Miei signori... a Cartagine ha smesso di fare caldo. Il deserto è gelato. Nevica. E quando sono scappata il freddo stava aumentando.» «Si tratta di una Penitenza maggiore?» chiese un altro religioso, un abate a giudicare dal pettorale con la Croce di Rovi, sporgendosi in avanti. «Sono stati ulteriormente dannati ora che sono guidati dai dèmoni? Questa punizione ancora più grande aumenta con l'aumentare delle loro conquiste?» De la Marche incrociò lo sguardo con quello di Ash. «Le ultime notizie che ho ricevuto riferiscono che un'oscurità impenetrabile è scesa sulla Francia fino a Tours e Orléans, copre metà della Foresta Nera e si estende fino a Vienna e Cipro. Solo il nostro regno e le Fiandre sono ancora illuminati dal sole 174 .» «La Borgogna è l'unico regno sul quale...?» «Non ho notizie dei Turchi, ma per quello che so, sì, capitano. L'oscurità si espande sempre più a nord ogni giorno che passa. Il sole è visibile solo in Borgogna» grugnì Olivier de la Marche. «Voi avete visto le colonne di profughi fuggire da Digione e dintorni, ma ci sono orde di profughi che stanno entrando nel nostro regno perché c'è ancora il sole, capitano.» «Non possiamo sfamarli» protestò il visconte maggiore, irritato come se la sua frase facesse parte di un lungo dibattito. «Usiamoli!» ringhiò il cavaliere tedesco che aveva parlato poco prima. 174
È interessante segnare questi punti su una mappa del Mediterraneo e dell'Europa. Infatti formano un mezza ellisse con la costa nord-est della Tunisia come centro ipotetico.
«L'inverno fermerà la guerra. Possiamo uscire da questa maledetta città e combattere la battaglia decisiva appena arriverà la primavera. Arruolateli come milizia e addestrateli! Abbiamo l'esercito del duca, abbiamo demoiselle Ash, l'eroe di Cartagine. Combattiamo, in nome di Dio!» Ash udì il suo nome e il grugnito di Anselm e sussultò, quindi attese che il vice del duca promuovesse qualche azione folle ed eroica per rompere l'assedio da affidare all'eroe di Cartagine. Non combatteremo una guerra senza speranza. Al mondo non ci sono abbastanza soldi per pagarci. Cosa faremo? «Capitano Ash, l'esercito visigoto rimarrà sul campo?» domandò improvvisamente de la Marche ignorando apparentemente gli argomenti del nobile tedesco. «Fino a che punto è stata danneggiata Cartagine?» La muratura bianca delle finestre a sesto acuto brillava illuminata dal sole che faceva capolino tra le nuvole. Il gelo ricopriva la pietra. L'aria portò l'odore di qualcosa che bruciava sul grosso fuoco tenuto vivo dai servitori. Ash sentì il freddo sulle labbra. «Si tratta solo di voci, mio signore. Un terremoto ha distrutto la Cittadella. Io credo che Gelimero, il nuovo califfo-re, sia ancora vivo. Mio signore, nevica sulle coste del Nord Africa» ripeté con maggiore enfasi «e loro, al pari di noi, non se lo aspettavano. Gli amir che ho incontrato se la fanno sotto. Hanno iniziato questa guerra seguendo gli ordini del califfo-re e ora i regni che hanno conquistato e la loro capitale si trovano con il culo al freddo. Sanno che la Spagna è il loro serbatoio di grano e sanno che se il sole non torna non ci sarà nessun raccolto. Noi non mieteremo il raccolto. Più il sole rimane nascosto più le cose peggioreranno. Vedremo tra sei mesi.» I volti di circa un centinaio di uomini tra civili, nobili e scorte di questi ultimi, in mezzo alle quali dovevano esserci degli uomini al soldo del nemico, si girarono a fissarla. «Il resto» continuò Ash in tono piatto «non può essere discusso di fronte a tutti. Si tratta di argomenti riservati solo al vostro duca.» La sala fu pervasa da una brusio che interessava particolarmente la zona occupata dai cavalieri e dai nobili. «Questo freddo è generato da quei dèmoni di cui parlate? È opera delle 'Macchine Impazzite'?» Ash scambiò un'occhiata con Anselm. Dannazione, pensò, i miei ragazzi hanno la bocca troppo larga. Scommetto che saranno in circolazione alme-
no una dozzina di storie intricate. «Sto cercando di fermare le voci. Il resto è riservato al duca» ripeté, goffamente. De la Marche aveva l'aria di qualcuno che non voleva far cadere l'argomento. Ash aveva le spalle tese e le dolevano. Si massaggiò il collo, ma non riuscì a rilassarlo. Fissò i volti che la guardavano e sentì la paura stringerle le viscere. Un ricordo le gelò il sangue nelle vene: le voci nel deserto che dicevano di aver oscurato il sole. «Puttana mercenaria!» urlò qualcuno in tedesco. La sala si riempì del vociare concitato e nervoso dei presenti. Ash posò le mani sul tavolo e vi caricò sopra il peso. Anselm si sporse all'indietro per parlare con Angelotti. Dovrei sedermi e lasciarli fare, pensò Ash. Non hanno speranza. «Mio signore de la Marche» disse richiamando l'attenzione del visconte appena il baccano calò d'intensità. «Capitano?» «Ho una domanda, mio signore.» Se non l'avessi avuta non mi sarei presa il disturbo di partecipare a questo maledetto consiglio. Trasse un profondo respiro. «Se io fossi il califfo-re non avrei cominciato una crociata qua senza prima aver tolto di mezzo i Turchi. E se l'avessi fatto, in questo momento cercherei solo di firmare dei trattati di pace... i Visigoti devono controllare gran parte della Cristianità, ma i Goti non si stanno fermando. Mi dite che stanno combattendo intorno a Bruges, Gand e stanno mettendo a ferro e fuoco la Lorena. Sono qua a Digione. Mio signore... potreste dirmi come mai la Borgogna è così importante?» «Dal benessere della Borgogna dipende il benessere del mondo» disse qualcuno con il tono di chi pronuncia un proverbio, anticipando il luogotenente del duca. «Cosa?» Quella voce solleticava la memoria di Ash. Si sporse oltre il bordo del tavolo e si trovò faccia a faccia con Jeanne Châlon e per una volta fu contenta di non aver portato Floria del Guiz. Ricordò l'incontro con la donna avvenuto in agosto e si ritrasse subito dal ricordo della morte che era seguita dopo la scoperta del sesso di Floria. Perché mi sento così? L'uomo che ho ucciso potrebbe essere già morto in battaglia. «Signora» disse Ash, fissando la zia del suo chirurgo negli occhi. «Con
tutto il rispetto, vi devo dire che non ho bisogno di credenze popolari e superstizioni: voglio una risposta!» La donna, visibilmente scossa dalla risposta, si allontanò barcollando dal tavolo facendosi strada tra la calca. «Fai sempre questo effetto alle persone?» borbottò Anselm. «Credo che abbia ricordato il giorno del nostro primo incontro» Un sorriso ironico apparve sulle labbra di Ash. «'Dal benessere della Borgogna...'» «'... dipende il benessere del mondo'» terminò un cavaliere francese. «È un vecchio proverbio meritorio. Solo una sorta di autogiustificazione inventata dai duchi di Valois.» Ash si guardò intorno. Nessun Burgundo sembrava aver voglia di parlare. «Capitano» aggiunse il cavaliere francese «smettiamola di parlare di dèmoni e sciocchezze simili. Non dubitiamo che l'esercito visigoto abbia macchine e marchingegni. Basta dare un'occhiata oltre le mura! E non dubito che nella loro capitale abbiano macchine ancora più grandi. Voi dite di averle viste. Va bene. Ma queste? Noi dobbiamo contrastare la crociata visigota che si sta svolgendo qua!» Alcuni brusii d'approvazione risuonarono nell'aria. Ash notò che venivano più che altro dai cavalieri stranieri. I Burgundi - de la Marche in particolare - avevano un'aria torva. «Supponiamo, messere...?» Ash attese la risposta del cavaliere. «Armand de Lannoy.» «... Supponiamo, messere de Lannoy, che i Visigoti non stiano combattendo questa guerra con le loro macchine. Supponiamo che siano le 'macchine' a combattere usando i Visigoti.» «Queste sono insulsaggini pronunciate da una brutta ragazza!» sbottò de Lannoy battendo una mano sul tavolo. Ash rimase senza parole e si sedette tra il blaterare dei Francesi e dei Tedeschi. Merda, pensò torva, Doveva succedere. Non devo più fare affidamento su quanto ho visto o usarlo. Merda. Merda. Al suo fianco udiva un suono molto simile a quello prodotto da Bonniau e Brifault, i due mastini. Era Anselm che digrignava i denti a bocca chiusa. «Smettila!» gli ordinò, afferrandolo per un braccio, De la Marche alzò la voce, un urlo che lacerò l'aria della stanza. Pur sapendo che le invettive del nobile burgundo non erano dirette a lei, Ash
sentì una scarica d'adrenalina. Il visconte e il cavaliere francese stavano litigando animatamente. Ash sussultò. «Cristo! È peggio che la corte di Federico! La Borgogna era molto meglio la prima volta che siamo venuti.» «Non era piena di profughi furibondi, Madonna» si intromise Angelotti «e il duca era in carica.» «Ho mandato Floria a parlare con i dottori per capire quali sono le condizioni effettive del duca.» Thomas Rochester e la scorta si agitarono. Ash girò la testa e vide i suoi uomini che si facevano da parte per far passare il ciambellano. «Messere...» Ash si alzò rapidamente in piedi. Philippe Ternant la guardò per un lungo momento, quindi posò una mano sulla spalla del giovane paggio al suo fianco. «Siete stata convocata. Il qui presente Jean vi guiderà» disse tranquillo il ciambellano. «Mi è stato ordinato di portarvi al cospetto del duca, capitano.» V «Il duca Carlo?» disse Ash, stupita. «Pensavo fosse malato.» «Infatti lo è. La vostra visita sarà molto breve. La presenza di più persone nella stanza potrebbe stancare ulteriormente il nobile duca, quindi, solo se strettamente necessario, potrete portare con voi uno dei vostri uomini come guardia del corpo, ma uno soltanto.» Ternant sorrise. «Da quello che ho imparato, un cavaliere deve avere un seguito molto piccolo.» Ash si accorse dell'occhiata che il ciambellano aveva lanciato a de Lannoy e all'arciere alle sue spalle che fungeva da guardia del corpo e annuì con fare complice. «Nessun problema. Robert, Angeli; continuate voi per me, io prendo Thomas Rochester.» Fece un cenno al paggio prima ancora che i suoi uomini potessero annuire con un cenno del capo. «Fai strada.» Finalmente! pensò Ash. Si incamminò dietro il paggio e la mano andò a posarsi automaticamente sulla spada prestatale da Anselm. Le probabilità che tentassero di assassinarla erano quasi inesistenti, tuttavia Ash non tralasciò di lanciare rapide occhiate a destra e sinistra ogni volta che superavano l'intersezione tra due corridoi. Il rumore del bombardamento che martellava la città la faceva sussultare. Attraversarono dei passaggi dalle pareti bianche scavati nella roccia viva e salirono lungo una serie di scalinate lambite dalla luce filtrata
attraverso i vetri colorati. Ash notò un numero minore di soldati rispetto a quando aveva visitato il palazzo la scorsa estate. «Forse è morto, capo» azzardò Thomas Rochester. «Chi, il duca?» «No, lo stronzo... tuo marito.» Le parole di Rochester le fecero notare che stavano attraversando una sala che conosceva bene. Gli arazzi pendevano appesi alle pareti, ma i riflessi delle vetrate sul pavimento erano meno accentuati a causa della luce più debole. Aveva visto le insegne di Agnus Dei sventolare nel campo nemico, il qa'id Sancho Lebrija stava sicuramente prendendo parte alla crociata e Fernando? Solo Dio e il Cristo Verde sapevano dov'era suo marito in quel momento o se era ancora vivo. Quella era stata l'ultima volta in cui l'aveva toccato, si erano stretti la mano... prima che lei lo colpisse. Qualche tempo dopo, quando l'aveva incontrato a Cartagine, il marito era debole come un cucciolo. Fino a un momento prima del terremoto. Ha parlato in mia difesa, ricordò Ash, ma nessuno avrà dato retta a un cavaliere tedesco in rovina e voltagabbana per giunta! «Ho scelto di pensare a me come a una vedova» rispose torva continuando a seguire Jean e Philippe Ternani mentre cominciavano a salire le scale di una torre. Il ciambellano li condusse oltre le guardie fino a una stanza dall'alto soffitto affollata di scudieri, paggi, soldati, ricchi nobili, alcune suore, un falconiere con il rapace appollaiato sul braccio e una cagna e i suoi cuccioli accovacciati vicino al camino. «È la stanza del duca» le spiegò Philippe Ternant. «Aspettate qua, sarà lui a farvi chiamare quando lo riterrà più opportuno.» «Secondo me il 'consiglio d'assedio' è solo lo zuccherino per tenere buoni i civili, capo» le sussurrò in un orecchio Thomas Rochester. «Pensi che sia qua che vengono prese le decisioni vere e proprie?» Ash lanciò un'occhiata alla stanza affollata. «Forse.» C'era un gran numero di uomini che indossavano le insegne di diverse casate nobili burgunde, molto probabilmente i sopravvissuti di Auxonne, e i più importanti capitani mercenari escluso Cola di Monforte e i suoi due figli. «Forse il cambio di fazione da parte di Monforte è stata una mossa politica e non militare» mormorò Ash.
L'Inglese aggrottò la fronte sotto la visiera. «Comincio a pensare che avevamo ragione, capo.... Sentendo il concilio. Ma se i capitani sono ancora qua...» disse illuminandosi in volto. «Allora c'è ancora qualche possibilità di tirare calci in culo» terminò Ash. «So che là dentro mi starai appiccicato alla schiena, Thomas» «Certo, capo» rispose allegro, l'Inglese. «Non che mi aspetti di essere accoltellata nella stanza del duca...» Ash fece un passo indietro per far passare Soeur Simeon che usciva dalla porta con un catino pieno di bende sporche. «Se non fosse un mio paziente!» esclamò la suora. La figura della donna faceva rizzare i capelli in testa ad Ash. La religiosa emise una sorta di grugnito per salutarla e Ash si rese conto che la Madre Superiora del convento delle filles de pénitence era una donna alta e robusta. «Soeur Simeon!» Ash tentò una genuflessione piuttosto goffa e si salvò sorridendo. «Ho visto che hanno distrutto il monastero... sono contenta che siate riuscite ad arrivare in città.» «Come va la testa?» Impressionata dalla memoria della religiosa, Ash accennò un secondo inchino carico di rispetto. «Sopravviverò, Soeur. Non certo grazie ai Visigoti che hanno cercato di disfare il vostro ottimo lavoro, ma sopravviverò.» «Sono contenta di sentirlo.» La Superiora si rivolse a qualcuno dietro Ash. «Altre bende e un altro prete: veloce» ordinò, senza cambiare tono. Ash, che cercava di vedere il volto della suora, rimase stupita quando Simeon si rivolse a lei in tono pensieroso e le disse: «Dovrò venire a visitare i vostri quartieri, capitano. È da stamattina che manca una delle mie ragazze. Forse... 'Florian'... il tuo... chirurgo, potrebbe darmi una mano.» La piccola Margaret Schmidt, pensò Ash. Ci scommetto. Dannazione. «Da quanto manca, Superiora?» «Dalla scorsa notte.» Come la mia Florian... Il sorriso scomparve dal volto di Ash, ma si sentiva sollevata. Dopo quello che mi ha detto... è molto meglio se ha qualcun altro. «Farò delle indagini.» Ash lanciò una rapida occhiata alla sua guardia del corpo. «Siamo mercenari, Sorella. Se la tua suora ha firmato per unirsi al convoglio dei carri... be'. È come se l'avessi persa. Noi badiamo a noi stessi.»
Ash stava osservando l'Inglese al suo fianco più che la suora. L'idea che il chirurgo portasse con sé la sua amante lo disturbava, ma non lo dava a vedere. Ma cosa sarebbe successo se lui avesse saputo che Margaret Schmidt non era l'unica donna che piaceva a Florian? «Ci vedremo dopo» gridò Simeon. Il tono di voce della donna era troppo determinato per permettere ad Ash di capire se si trattava di una minaccia o di una promessa sinistra prima che lei fosse andata via. «Non possiamo arruolare quella, capo?» chiese Thomas Rochester, con aria impertinente. «Meglio lei che la ragazzina del chirurgo! Prendo la Superiora, la sbatto in prima linea con me e mi nascondo dietro. Una così farebbe cagare addosso le teste di tela.» Il paggio uscì dalla stanza si tolse il cappello e annunciò: «Il duca vuole vedervi!» Ash seguì il giovane che si faceva strada tra i presenti prestando attenzione alle chiacchiere per capire quanto fosse alto il morale. Un gruppo di soldati in armatura la superarono con passo sicuro seguiti dai loro aiutanti di campo che portavano alcune mappe. Ash si fece strada tra loro e si ritrovò nella stanza del duca di Borgogna. Le nicchie, scavate nella pietra chiara delle pareti, ospitavano le icone di alcuni santi rischiarate dalle candele. Illuminato da due grandi finestre dai vetri piombati, un grosso letto occupava tutta quella parte della camera. Il duca non era stato adagiato su quel giaciglio, ma su un letto da campo circondato da bracieri. Le figure di alcuni santi erano state intagliate sulla struttura portante in legno. Era il più bel letto da campo che Ash avesse mai visto. Quando si avvicinarono il duca fece un cenno deciso con la mano e i due preti vicino al letto si fecero da parte. «Parleremo in privato» ordinò il nobile. «È bello rivedervi, capitano Ash.» «Sono d'accordo, Vostra Grazia. Ho vagato per la Cristianità per un po' di tempo.» Il duca non sorrise e Ash si ricordò che l'uomo di fronte a lei non veniva toccato dall'umorismo o dal fascino di una donna. Aveva parlato in quella maniera per nascondere il turbamento che le aveva causato la vista delle condizioni in cui versava il nobile. Non perse tempo a scusarsi e fece di tutto per impedire che il suo stato d'animo trapelasse. Alcuni guanciali tenevano sollevata la parte sinistra del nobile dal materasso. Il duca era circondato da libri e pergamene. Un collaboratore prese
rapidamente la mappa delle difese cittadine. Una coperta avvolgeva il letto e il nobile che indossava una maglia di lino. I capelli neri e sudati erano appiccicati alla testa. Quella parte della stanza puzzava come una tenda d'ospedale. Ash fissò gli occhi febbricitanti e infossati. Le guance erano scavate, gli zigomi sporgevano vistosamente e la mano chiusa intorno alla croce che portava al collo era pericolosamente scarna. La Borgogna è fottuta, pensò Ash, freddamente. «Padri, Sorella» disse il duca rivolgendosi ai religiosi «potete andare. Guardia, sgombera questo angolo di camera.» Il nobile aveva parlato in tono tranquillo, come se non provasse dolore, ma il sudore che colava sul viso dalla fronte indicava il contrario. Il paggio e gli altri si allontanarono. Ash notò che la guardia del corpo del duca, un robusto soldato con le spalle d'arciere e un giustacuore imbottito, non si era mosso dal suo posto e lanciò un'occhiata incerta a Thomas Rochester. «Fa' allontanare il tuo uomo, capitano» ordinò Carlo. La domanda che Ash avrebbe voluto porre doveva essere trapelata dall'espressione del viso. Il duca lanciò una rapida occhiata all'arciere dietro di lui. «Credo che voi siate una persona degna d'onore» disse «ma se un uomo dovesse pararsi di fronte a me con uno stiletto in una manica e non ci fosse nessun altro modo per fermarlo, Paul è pronto a ricevere il colpo al posto mio. Non posso fare allontanare un uomo con tanto onore da compiere un simile atto.» «Allontanati, Thomas.» Ash rimase in piedi. «Dobbiamo parlare a lungo, ma, prima di tutto, voglio che andiate alle finestra e mi diciate cosa vedete» disse il duca. Ash ubbidì, guardò fuori e, sebbene gli spessi pannelli di vetro distorcessero leggermente la visuale, si rese conto che stava osservando la zona a sud della città. Il cielo si stava incupendo e le nuvole si spostavano rapide sospinte dal vento che faceva tremare il vetro. Era molto in alto. Doveva essere in cima alla torre Philippe le Bon, l'osservatorio del palazzo. Da qua le cose non sembrano migliori, pensò Ash. Proprio per niente! Il vento aggrediva i teli di cuoio che circondavano le catapulte. Da lassù, Ash poteva vedere i serventi intorno ai lunghi bracci dei trabocchi, le pietre per le fionde e il convoglio di carri che portava le pietre prese lungo la
strada per Auxonne. «Riesco a vedere fino alla confluenza tra l'Ouche e il Suzon» disse Ash ad alta voce in modo che il malato potesse sentirla «e il campo delle macchine d'assedio a ovest. Non abbiamo la minima possibilità di compiere un assalto per distruggerle perché sono oltre il fiume.» «Cosa mi dite della loro forza?» Ash si portò una mano alla fronte per riparare gli occhi dalla luce come se il vento non fosse aldilà dei vetri. Il sole - che doveva aver superato da poco la quarta ora del mattino175 - era appena visibile. «Qualcosa di molto strano, Vostra Grazia. I Visigoti hanno un gran numero di pezzi d'artiglieria. Colubrine, serpentine, bombarde e ho sentito dei mortai mentre venivo a palazzo. Forse stanno concentrando tutte le armi a polvere da sparo con quelle Legioni? Ci sono anche più di un centinaio di macchine d'assedio tra balestre, mangani, trabocchi e... merda!» Una grossa torre cominciò a muoversi verso il punto in cui fino a poco tempo prima sorgeva il ponte. Un raggio di sole si riflesse contro i lati rossi. La costruzione aveva la forma di un drago. Ash intravide la volata di un falconetto 176 spuntare tra le fauci. I lati della torre non erano protetti da pelli bagnate per contrastare le frecce incendiarie. Era una torre di pietra montata su ruote alta più di sei metri. «Christus Imperator...» La torre si muoveva verso il fiume senza essere sospinta da schiavi. Scorreva sul fango sospinta dalle ruote di pietra alte due volte un uomo e rivestite d'ottone. Mano a mano che si avvicinava, Ash poté distinguere i serventi che scovolavano e caricavano il pezzo all'interno della bocca. Sulle mura della città scoppiò un trambusto che Ash osservò, distorto, attraverso i vetri. Si sentiva tagliata fuori e dovette osservare gli uomini che correvano, caricavano le balestre e tiravano. Il sibilo dei quadrelli che fendevano l'aria gelida del mattino non giunse fino in cima alla torre. Udì uno scoppio ovattato proveniente dal pezzo visigoto e lo schianto della muratura che si infrangeva. I balestrieri e i serventi alle arbaleste si affollarono sugli spalti. Ci sono anche i miei? si chiese Ash, ansiosa. No! Una pioggia di quadrelli si abbatté inutilmente contro la pietra della tor175
Le dieci del mattino. Falconetto o falcone, il più piccolo pezzo d'artiglieria del genere colubrina da tre a quattro libbre di palla. (N.d.T.) 176
re ottenendo l'effetto di costringere i serventi al pezzo a mettersi al riparo. Ash continuò a osservare la scena con lo stomaco a soqquadro. La torre ondeggiò. Una delle grosse ruote era sprofondata nel fango fino all'asse. Un gruppo di schiavi cartaginesi, fatti uscire a frustate dal campo, cominciarono a infilare delle tavole di legno sotto la ruota affinché potesse fare presa e uscire dal fango. Le frecce provenienti dalle mura li falciarono uno a uno. Ash li osservò scappare dalla torre lasciando la macchine e i serventi al loro destino. Evidentemente il faris crede che sia necessario mantenere la pressione, pensò Ash. «Se dovessi trovare una parola per descrivere una... torre-golem» disse con un tono a metà tra la meraviglia e l'umorismo macabro e senza smettere di fissare la scena «credo che la mia voce la definirebbe 'artiglieria semovente'...» «Sono di pietra e sabbia proprio come i golem» disse il duca alle sue spalle. «La pietra può essere crepata dal fuoco, ma non dai proiettili degli archibugi. Alcuni golem sono stati distrutti dalle palle di cannone. Il faris ha dieci torri e noi ne abbiamo immobilizzate tre. Andate alla finestra nord, capitano Ash.» Questa volta sapendo cosa cercare, Ash individuò immediatamente i dettagli della zona nord del campo nemico. Vide i due accampamenti eretti tra i fiumi, i corpi dei cavalli che marcivano sul terreno di fronte alle mura e il fossato pieno a metà di fascine. Impiegò qualche secondo prima di distinguere quello che stava cercando tra le tende, i pavesi, le barricate e le file di uomini davanti alle cucine. Il bagliore di una macchina d'assedio lunga come tre carri catturò la sua attenzione. «Hanno un ariete...» Un pilastro di marmo largo quanto il torace di un cavallo e rivestito d'ottone penzolava tra i pali piantati su un carro di pietra. Gli uomini non avrebbero mai potuto usare quell'ariete o spingerlo fino al cancello perché pesava troppo, ma se fosse stato in grado di muoversi da solo e la grossa testa si fosse abbattuta contro il portone nord di Digione... «Se batte troppo forte si disintegrerà.» Ash si girò verso il duca. «Ecco perché usano i golem come portaordini e non li impiegano nei combattimenti, Vostra Grazia. I quadrelli e i proiettili li farebbero a pezzi. Se quell'ariete dovesse battere con troppa violenza il marmo e l'argilla si creperanno e agli amir non rimarrà altro che un cumulo di pietre.»
«Non avete ancoro vista la più pericolosa delle loro armi, né vi capiterà. Hanno dei golem-minatori che stanno scavando dei cunicoli verso le mura» la informò il duca in tono autoritario, mentre Ash tornava verso il letto. «Lo so, me ne ha parlato Anselm, uno dei miei capitani.» «I miei magistri ingeniatores hanno dato loro filo da torcere controminandoli, ma quelle creature non hanno bisogno di mangiare, bere o dormire. Possono lavorare ventiquattr'ore al giorno.» Ash non disse nulla, ma non riuscì a nascondere l'espressione del volto. «Digione resisterà.» Ash non riuscì a evitare un'espressione carica di scetticismo e attese l'esplosione d'ira del nobile, che però non si verificò. «Non ho fatto attraversare metà dell'inferno ai miei uomini per farli morire sulle vostra mura» sbottò Ash, in preda al panico. Il nobile non sembrò offeso. «Interessante. Non mi aspettavo di sentire uscire parole simili dalla bocca di un comandante mercenario. Mi aspettavo che mi diceste le stesse cose di Cola di Monforte quando è partito. Mi aspettavo di sentirvi dire che la guerra è un'ottima cosa per gli affari e se una compagnia è famosa non importa quanti uomini moriranno perché ce ne saranno il doppio pronti a prendere il loro posto. Parlate come un signore feudale.» Presa alla sprovvista, Ash cercò le parole, ma non riuscì a trovare quelle adatte e si giustificò dicendo: «Anch'io mi aspetto che i miei uomini vengano uccisi, fa parte del lavoro. Solo che non voglio sprecare dei beni, Vostra Grazia.» Continuò a fissarlo negli occhi rifiutandosi di riconoscere anche per poco la paura che la invadeva. «Da dove provengono i vostri uomini?» le domandò il duca. Ash intrecciò le dita per fermare il tremito e cominciò a scorrere mentalmente il ruolino dei suoi uomini. «La maggior parte sono Inglesi, Gallesi, Tedeschi e Italiani, Vostra Grazia. Qualche Francese un paio di batterie d'artiglieria svizzere e gli altri... Dio solo sa da dove vengono.» Non chiese il perché di quella domanda, ma la risposta era stampata sul volto del nobile. «Avete alcuni dei miei Fiamminghi?» «Prima della battaglia di Auxonne ho dovuto dividere la compagnia. Quei Fiamminghi sono fuori dalle mura a combattere per il faris, Vostra Grazia. Solo l'ordine ti fa fare strada» disse. «Van Mander era un inconveniente, i miei devono combattere perché vogliono farlo e non perché devo-
no.» «Lo stesso vale per me» concordò il duca. «Qua a Digione, volete dire» concluse Ash sentendosi in trappola. Una smorfia apparve sul volto del duca che non diede altro segno di provare dolore. Il nobile si guardò intorno in cerca di un paggio poi, ricordandosi che per il momento li aveva congedati, passò una manica sulla bocca e alzò lo sguardo tornando a fissarla. «Prima di tutto vi ho mostrato il peggio: il nemico. Adesso. I vostri uomini saranno un quinto o un sesto del totale delle mie forze.» Indicò i capitani in fondo alla stanza con un secco cenno della testa. «È mia intenzione farvi entrare nel consiglio, capitano visto che rappresentate una parte considerevole delle difese. I vostri consigli saranno sempre ascoltati, anche se a volte non saranno messi in pratica.» Mi sta trattando come se fossi un capitano maschio. Mi rispetta. «Sì, Vostra Grazia» disse in tono neutro. «Ma in quel caso mi direte che voi e i vostri uomini combatterete solo perché dovete, altrimenti non mangiate.» Sei bravo, pensò Ash fissando gli occhi astuti. Non doveva essere molto più vecchio di lei, forse una decina d'anni177 . Le rughe che gli incorniciavano la bocca erano sicuramente frutto dell'espressione autoritaria che permeava sempre quel volto e, ultimamente, del dolore. «Vostra Grazia, sono un mercenario. Se pensassi che sarebbe meglio andare via da qua, l'avrei già fatto con tutta la compagnia. Questa non è la nostra guerra.» «Comunque, ho intenzione di offrirvi un contratto» disse Carlo. «Non posso accettare» rispose immediatamente Ash, scuotendo la testa per sottolineare il concetto. «Perché?» Ash scambiò una rapida occhiata con il massiccio arciere alle spalle del duca chiedendosi quanto quell'uomo fosse capace di tenere la bocca chiusa. Cosa importa, pensò Ash, la 'gazzetta del pettegolezzo' avrà fatto il giro della città prima della Sesta178 , indipendentemente da quello che dirò. «Per un semplice motivo... ho già firmato un contratto con il conte di Oxford» rispose Ash misurando le parole. «Ora sono al suo servizio. Se sapessi con certezza dove si trova, avrei l'obbligo di ubbidire ai suoi ordini 177
Infatti, Carlo di Borgogna nacque a Digione nell'AD 1433. Mezzogiorno secondo la divisione della giornata in uso nei monasteri. 178
o di prendere la compagnia e raggiungerlo. Non ho idea di dove sia o se sia ancora vivo, Vostra Grazia, ma la strada da Cartagine al Bosforo è maledettamente lunga. Chi può sapere di che umore è il sultano con la guerra e l'inverno gelido? Credo che sia molto più facile che sia il mio signore di Oxford a rintracciarmi che il contrario. Potrebbe mandarmi un messaggio qua, o forse no.» Niente di quello che disse sembrò sorprendere il nobile. Almeno le sue informazioni sono sempre attendibili, pensò Ash. «Mi chiedevo cosa mi avreste detto quando vi avrei chiesto il vostro impegno.» Anch'io, si disse mentalmente Ash. Si rese conto che il cuore aveva cominciato a battere più forte. «La scorsa estate vi ho impedito di finire nelle mani dei Visigoti, capitano.» Carlo si inclinò come se gli facesse male la schiena. «Non vi sentite in debito nei miei confronti?» «Dal punto di vista strettamente personale, forse» rispose insicura. «Ma qui si sta parlando di affari. Non voglio che succeda di nuovo come a Basilea, io non rompo i contratti, Vostra Grazia. John de Vere è il mio signore al momento.» «Potrebbe essere già morto. Sedetevi.» Il duca Carlo indicò con un dito uno sgabello a tre gambe vicino al letto. Ash si accomodò cautamente desiderando di poter dare un'occhiata alle sue spalle per vedere le espressioni dei presenti. Non era dato a tutti di sedersi al cospetto del duca. «Sì, Vostra Grazia?» «In questo momento state mettendo in dubbio la mia capacità di capo» disse Carlo. Si era trattato di una chiara affermazione e non di una supposizione. Ash rimase stupita senza sapere cosa dire per non finire nei guai. Ha ragione, pensò. «Siete ferito, Vostra Grazia» disse infine. «Ferito, ma non morto. Ho sempre il comando dei miei ufficiali e capitani e continuerò ad averlo. Se dovessi morire, de la Marche o mia moglie, che comanda al Nord, sono perfettamente in grado di gestire la situazione e resistere al nemico.» «Sì, Vostra Grazia.» Ash non aveva dubbi al riguardo. «Voglio che voi combattiate per me, ma non perché là fuori sono state distrutte città e villaggi e il buio all'orizzonte sta per chiudersi su di noi e
non avete dove andare. Voglio che combattiate per me perché siete sicuri che vi porterò alla vittoria.» Il nobile continuò a fissarla. «Quando la scorsa estate vi ho convocato» continuò in tono più calmo «eravate preoccupata che i vostri uomini non volessero più seguirvi dopo che eravate stata ferita a Basilea. Io credo che dopo vi siate chiesta se loro avevano cercato di salvarvi ad Auxonne... se quella ferita e i dubbi nei vostri confronti li abbiano fatti tirare indietro. Poi i vostri uomini sono andati a Cartagine, ma non per voi... per il Golem di Pietra. Anche se non date voce alle vostre preoccupazioni, voi vi state chiedendo se vi saranno ancora leali.» Sulle labbra di Carlo apparve un sorrisetto. «O mi sbaglio, capitano Ash?» «Merda.» Ash fissò il nobile. «Sono stato sui campi da battaglia fin da ragazzino e ho imparato a leggere gli uomini come se fossero dei libri aperti.» Il sorriso scomparve dalle labbra del duca. «E anche le donne. La guerra non conosce distinzioni.» Come cazzo fa a sapere quello che penso? si chiese Ash. Scosse la testa. Non era un gesto di diniego, ma un tentativo di allontanare i pensieri che in quel momento si affollavano nella sua mente. «Avete ragione, Vostra Grazia. Fino a oggi la pensavo proprio così. Poco fa ho avuto una dimostrazione di lealtà... e ho l'impressione che sia peggio.» Il duca la osservò per un lungo momento. «Potete firmare un contratto con me che lascia de Vere come vostro comandante» propose improvvisamente il nobile. «Se dovessero arrivare degli ordini da parte sua o veniste a sapere dove si trova, voi e i vostri uomini siete liberi di andare. Fino ad allora, rimarrete qua e combatterete per me. Quando avrete firmato darò ordine che veniate sfamati insieme agli altri miei uomini. In questo momento il cibo vale più del denaro in città. Voi e i vostri ufficiali avrete voce in capitolo per quanto riguarda la difesa della città. Per il resto...» Carlo si interruppe. Una delle suore si avvicinò fissando Ash in cagnesco senza alcun motivo apparente. Ash si alzò. Sentiva i muscoli che le dolevano per gli sforzi della notte precedente. «Vado via, Vostra Grazia, aspetterò che stiate meglio.» «Voi andrete via quando ve lo dirò io.» «Sì» ubbidì Ash sottovoce. Il nobile la studiò nuovamente per qualche secondo: una donna vestita
da uomo con la guardia del corpo a sei passi di distanza che teneva la sua spada. Qualunque fosse stata la ferita che gli avevano inferto ad Auxonne, il duca ne pativa ancora le conseguenze. Ash distolse lo sguardo dal volto sofferente del nobile che nel frattempo aveva fatto cenno alla suora di allontanarsi. Le dita della mano destra erano macchiate d'inchiostro. Continua a scrivere ordini e ordinanze anche se è malato, pensò Ash. Buon segno. È molto probabile che mantenga la parola, se non si è dimenticato di com'era un tempo. Va meglio. Non è John de Vere, però, d'altro canto, non è neanche come Federico d'Asburgo. Valutò la situazione per qualche secondo, soppesando in una mano il duca e il conte inglese e nell'altra l'acume politico dell'imperatore del Sacro Romano Impero e comprese, senza molta sorpresa, che, malgrado Carlo di Borgogna avesse pochissimo senso dell'umorismo e diplomazia, si trovava più a suo agio con l'aspetto militaresco piuttosto che con quello nobiliare. Fuori dalle mura di Digione c'erano seimila uomini e almeno trecento macchine d'assedio. I difensori possedevano solo la vaga speranza di qualche rinforzo proveniente dalle Fiandre. Nel momento che questo se ne va, la città è fottuta, pensò Ash. E i suoi nemici non sono solo gli esseri umani. «Seguitemi con fiducia» disse Carlo in tono vivace. Ash fissò l'uomo sdraiato nel letto ed ebbe l'impressione che niente potesse sconfiggerlo. Morto, ma non battuto, pensò. Bene. Se sono fiduciosi possiamo farla finita con questa storia prima che lui muoia. «Credete che vinceremo, Vostra Grazia?» «Ho conquistato Parigi e la Lorena» disse il nobile con il tono di chi non era solito abbandonarsi alle spacconate. «Il mio esercito è migliore sia come uomini sia come equipaggiamento di quello visigoto. A nord, a Bruges, Margaret comanda un secondo mio esercito che verrà presto in nostro aiuto. Sì, capitano, vinceremo.» Che si vinca o si perda, pensò Ash, non posso dar da mangiare ai miei uomini senza di te. Ash lo fissò. «Firmerò una condotta con voi a patto che sia inserita la
clausola di cui abbiamo parlato, Vostra Grazia.» Un sorriso, nato dal sollievo che segue dopo aver preso una decisione, apparve sulle labbra della donna. «Credo che per il momento siamo con voi!» «Do il benvenuto a tanta fiducia. Vi farò delle domande a cui voi risponderete solo se vi fidate di me, capitano.» Il nobile fece un cenno e Ash tornò a sedersi. Il duca fece un movimento e una smorfia di dolore stravolse per qualche secondo i lineamenti del suo viso. Uno dei preti fece per avvicinarsi, ma il duca gli fece cenno di arretrare. «Digione è in pericolo a causa della presenza del suo duca» aggiunse l'uomo in tono riflessivo. «La crociata dei Goti mira alla conquista della Borgogna, ma sanno che potranno riuscire nei loro intenti solo dopo la mia morte. Quindi la tempesta cade dove ci sono io.» «Una calamita per il fuoco» mormorò Ash in tono assente. «Voi siete come la magnetite che attrae il ferro, Vostra Grazia. La guerra vi segue ovunque vi troviate.» «Sì. È una definizione appropriata. 'Calamita per il fuoco'.» «L'ho imparato dalla mia voce.» Ash posò gli avambracci sulle cosce e lo guardò come se volesse dirgli: 'vediamo fino a che punto sei informato!' Il duca stava per sdraiarsi sui cuscini, ma si fermò. Non fece nessuna smorfia di dolore, ma una goccia di sudore gli solcò le guance scavate. La malattia e i lineamenti dei Valois lo fanno sembrare veramente brutto, pensò Ash. Il duca si sedette come se non gli fosse costato nulla fare quel gesto. «I vostri uomini sono preoccupati che voi non possiate più consultare la machina rei militaris» affermò il duca. «Si dice...» «'I miei uomini?' Da quando sapete quello che dicono i miei uomini?» lo interruppe Ash, spavalda. Il nobile aggrottò la fronte. «Se volete essere trattata con rispetto allora comportatevi da comandante. I rapporti che ricevo sono basati su voci, chiacchiere da taverna. Siete un personaggio troppo conosciuto perché la gente non speculi su di voi, capitano Ash.» «Mi dispiace, Vostra Grazia» rispose Ash, leggermente scossa. Il duca inclinò leggermente la testa. «Le loro preoccupazioni, in un certo senso, sono anche le mie, capitano. Da quello che ho capito sembra che, sebbene questa machina rei militaris sia uno strumento di appannaggio del
nemico, non c'è nulla che vi possa impedire di consultarla e sapere quali sono le tattiche e i piani dei nostri nemici. La conoscenza ci farebbe sembrare molto più forti. Sapremmo dove e quando colpire.» Il nobile la fissava con uno sguardo di sfida. Ash posò i palmi delle mani sulle cosce e guardò i guanti imbottiti. «Voi vedete l'Oscurità quando fissate l'orizzonte, Vostra Grazia. Sapete cosa vedo io?» Alzò il capo. «Vedo piramidi, Vostra Grazia. Vedo il deserto oltre il Mediterraneo, la luce e le Macchine Impazzite. Se parlo con il Golem di Pietra esse mi possono sentire. Mi hanno sentita e ho rischiato di morire. Non siete l'unica calamita per il fuoco presente a Digione, Vostra Grazia» terminò Ash, incurante del fatto che il nobile non avesse uno spiccato senso dell'umorismo. «Queste Macchine Impazzite non sono opera dei Visigoti?» domandò Carlo di Borgogna incurante dello scherzo. «Pensateci bene. Potreste esservi sbagliata.» «No. Non sono state costruite dagli amir.» «È possibile che siano state distrutte nel terremoto che ha colpito Cartagine?» «No, sono ancora là e le teste di tela pensano che sia un segno!» Ash si accorse di aver stretto i pugni e distese le dita. «Mettetevi nei miei panni, duca. Per puro caso sono in grado di sentire la macchina tattica dei Visigoti, ma quello che sento è solo la voce di una marionetta. Non è il califfo-re che vuole la guerra contro la Borgogna, Vostra Grazia. Non è stato il lordamir Leofric che ha avuto l'idea di allevare un faris che fosse in grado di conversare con il Golem di Pietra. Questa è la guerra delle Macchine Impazzite.» Carlo annuì con fare assente. «Tuttavia vostra sorella sa che siete qua e lo comunicherà alla machina rei militaris, quindi queste macchine ancora più grosse... origlieranno e sapranno che siete a Digione. Forse lo sanno già.» Il pensiero la impaurì a tal punto da farle chiudere lo stomaco. «Lo so, mio signore.» «Per il momento siete mia, comandante» disse Carlo di Borgogna in tono fermo. «Parlate con la vostra voce, cerchiamo di sapere il più possibile sugli spostamenti nemici finché possiamo. I Visigoti potrebbero trovare un modo per impedirvi di comunicare con la machina rei militaris e allora avremmo perso un vantaggio.» «Sempre che lei la stia ancora usando... Questo non è affar mio! Io devo
solo comandare i miei uomini sul campo!» «Forse non è affar vostro, ma ne siete responsabile.» Il duca si adagiò sui cuscini fissandola con gli occhi febbricitanti. «Avete fatto visita a vostra sorella per parlare con lei di questo. Anche lei starà cercando delle risposte, solo che vostra sorella si può muovere con maggiore libertà rispetto a voi.» La fissò dritta negli occhi. «Dite che questa è una guerra voluta dalle Macchine Impazzite. Voi siete l'unica risorsa a mia disposizione per capire cosa sono queste Macchine e perché sono in guerra contro di me.» Carlo cambiò di posizione e caricò gran parte del peso del corpo sul braccio sinistro per riuscire a spostarsi. «Non abbiamo un faris» continuò «ma abbiamo voi e poco tempo da sprecare. Non permetterò che la Borgogna capitoli a causa delle paure di una sola donna.» Ash si guardò a destra e sinistra osservando le mura bianche della stanza che riflettevano la luce pallida del sole ed ebbe l'impressione che stava per essere schiacciata. Digione è una trappola sotto diversi punti di vista, pensò. I paggi portavano il vino agli uomini riuniti intorno al camino. Ash udì l'uggiolio di un cucciolo che cercava la madre e il ronzio delle chiacchiere concitate alle sue spalle. «Lasciate che vi dica una cosa, Vostra Grazia.» L'esigenza di negare, di nascondere, di prevaricare, era impellente. «Prima di Auxonne avete fatto il più grande errore della vostra vita.» Un'espressione oltraggiata comparve per un attimo sul volto del duca e scomparve nel momento in cui chiese: «Siete diretta. Spiegatevi.» «Due errori.» Ash alzò altrettante dita. «Primo: non avete finanziato la mia compagnia per un'incursione a Cartagine insieme al conte di Oxford prima della battaglia di Auxonne. Se l'aveste fatto saremmo riusciti a distruggere il Golem di Pietra mesi fa. Secondo: quando avete ordinato al conte di Oxford di andare a Cartagine gli avete dato pochi uomini. Se ne avessimo avuti di più saremmo riusciti a conquistare del tutto la casa di Leofric subendo un gran numero di perdite, questo è chiaro, ma saremmo riusciti a ridurre il Golem a un mucchio di macerie.» «Ho dato al conte di Oxford tutti gli uomini che potevo, gli altri mi servivano qua per difendere le mura. Lo ammetto, se vi avessi ordinato di attaccare Cartagine prima della battaglia forse le cose sarebbero andate
meglio. Con il senno di poi devo ammettere di essermi sbagliato.» Figlio di puttana, pensò Ash osservando l'uomo sdraiato nel letto con rinnovato rispetto. Carlo di Borgogna continuò in tono sicuro. «Impedire l'uso della machina rei militaris al faris l'avrebbe indebolita e resa più insicura. Tale insicurezza si sarebbe trasmessa alle truppe minando gravemente il morale. Tuttavia, non riesco a vedere il fatto di avervi impedito di andare a Cartagine prima di Auxonne come il più grosso errore della mia vita. Chi lo sa cosa succederà ancora.» Ash fissò gli occhi del nobile e vi lesse un'impercettibile vena d'umorismo. Sentì dei movimenti alle sue spalle e vide il duca che segnalava ai paggi di far allontanare gli ufficiali ansiosi di conferire con lui. «Ho avuto le Macchine Impazzite nella mia testa» disse Ash. «Voi no. Le loro voci sono più forti di quella di Dio, Vostra Grazia. Mi hanno indotta a girarmi e camminare verso di loro...» «Possessione demoniaca?» la interruppe il duca. «Vi ho vista combattere sul campo e siete coraggiosa, ma capisco che un uomo possa temere cose simili.» Visto che, malgrado le ultime parole, il duca non sembrava aver trovato un uomo simile, Ash continuò: «Sono macchine, pietra vivente; furono costruite da un popolo dell'antichità e dopo qualche tempo svilupparono una loro forma di coscienza.» Sostenne lo sguardo del duca. «Lo so, Vostra Grazia. Le ho ascoltate. Io... credo di averle indotte a parlarmi. Forse non si aspettavano la mia presenza. Dopo quell'esperienza ho cominciato a scappare: sono scappata da Cartagine, dal deserto e continuo a scappare. Vorrei che fosse tutto finito...» Abbassò una mano in cerca della spada, ma si ricordò che l'aveva data a Rochester e intrecciò nuovamente le dita per fermare il tremito. Impiegò qualche secondo per regolarizzare il respiro. «Non sarei tornata a Digione. Se non fosse per la mia compagnia avrei continuato a scappare!» Il duca le strinse le mani con un gesto colmo di fiducia. «Voi siete qua e combatterete con tutte le armi a vostra disposizione anche se questo significherà parlare alla machina rei militaris per conto mio.» Ash sfilò le mani dalla presa del duca e un'espressione tetra le apparve sul volto. «Ero convinta quando vi ho detto che la mancata distruzione del Golem di Pietra è stato il peggiore errore della vostra vita. Le Macchine Impazzite poterono parlare con Gundobad perché era un Fautore di Mira-
coli, un profeta. Da allora... Vostra Grazia, hanno trascorso secoli in silenzio finché frate Bacone non ha costruito una testa d'ottone a Cartagine e la casata dei Leofric il Golem di Pietra.» Il duca la fissò. Il falco col cappuccio sulla testa emise il suo verso. «Esse parlano attraverso la machina rei militaris?» «Solo attraverso di essa.» «Ne siete sicura?» «Sono loro a dirlo, non io» spiegò Ash passandosi una mano sul volto sudato, senza però avere nessuna intenzione di allontanarsi dal calore emanato dai bracieri. «Io penso che abbiano bisogno di un qualche genere di canale per parlare con noi, Vostra Grazia. Persone come Gundobad o il Cristo Verde nascono una o due volte al massimo ogni millennio. Le Macchine Impazzite hanno bisogno dei marchingegni di Bacone o Leofric altrimenti sarebbero mute. Hanno manipolato segretamente il Golem di Pietra fin dal giorno in cui è stato terminato. Se avessero potuto manipolare l'impero visigoto in qualche altro modo non avrebbero avuto scrupoli nel farlo!» Guardò il volto del nobile e, sorpresa, vi notò un'espressione di dolore che non aveva nulla a che fare con la ferita. «Cosa avrebbero avuto quelle creature adesso se fossi riuscita a distruggere il Golem di Pietra la scorsa estate?» chiese Ash, amareggiata. «Niente! Sono di pietra. Non possono muoversi o parlare. Possono provocare un terremoto, ma solo nella zona di Cartagine.» Il ricordo del palazzo che crollava riaffiorò dai meandri della sua memoria, ma lo soppresse immediatamente. «Se fossi riuscita a distruggerlo ora saremmo al sicuro! Ci sarebbe stata la pace. L'impero visigoto è troppo ampio e hanno bisogno di consolidare le conquiste. Continuano a combattere solo perché quel fottuto Golem di Pietra dice loro che è necessario! E il Golem di Pietra non è altro che uno strumento delle Macchine Impazzite.» «Allora dobbiamo cercare di organizzare un'altra incursione, ma questa volta dovrà avere successo» decise il duca di Borgogna. Seduta a fianco di un ferito in una stanza fin troppo calda, Ash si sentì pervadere da un'ondata di speranza senza neanche rendersene conto. «Merda, no. Molto probabilmente le Macchine Impazzite avranno fatto in modo di ottenere maggiore sorveglianza intorno alla casa di Leofric...» «Può essere fatto.» Carlo aggrottò la fronte. Stava facendo dei calcoli mentali. «Non posso indebolire le difese della città. Se potessi inviare de-
gli ordini nelle Fiandre, mia moglie potrebbe mandare un contingente ben nutrito sull'altra sponda del Mediterraneo e lungo le coste della Spagna. Parlerete con i miei capitani. Forse questo è il momento giusto, l'impero visigoto si è esteso troppo e Cartagine non si è ancora ripresa dal terremoto...» Ash venne colta da qualcosa di inaspettato e riconobbe che quella delineata dal duca poteva essere una possibilità. Che sia fattibile? si chiese. Tornare a Cartagine e fare a pezzi la casa di Leofric? Se solo ci riuscissimo... se solo potessimo! Dannazione, lo sapevo che ci doveva essere un motivo per indurre i Burgundi a seguire questo uomo! «Contate su di me» proclamò Ash, decidendo con la stessa repentinità appresa sul campo di battaglia dove era necessario compiere le scelte nel volgere di pochissimi attimi. «Bene. Ora più che mai è importante che voi parliate con la machina rei militaris, capitano Ash. E quando avrete sentito queste 'Macchine Impazzite' dovete riferirmi quello che hanno intenzione di fare.» Le speranze di Ash svanirono travolte dalla paura. Non riesco a liberarmene, non posso dirglielo... Posso provarci. «Cosa succederà quando si accorgeranno di me? Potrebbero controllarmi...» Osservò l'espressione del nobile. «L'avete ammesso voi stesso che chiunque avrebbe paura! Voi pregate, Vostra Grazia, ma non vorreste sentire la voce di Dio nella testa, ve lo garantisco.» «Queste 'Macchine Impazzite' non sono Dio.» Il tono di voce del nobile era pacato. «Dio permette loro di esistere, ma solo per un certo tempo. Noi dobbiamo affrontarle come meglio possiamo. Con coraggio.» Dal modo in cui la guardava, Ash cominciò a pensare che il duca avesse dei dubbi sulla sua religiosità. «So quali sono i loro piani!» protestò Ash. «Credetemi, non c'è bisogno di chiederlo due volte! Tutto quello che ho sentito a Cartagine è che la Borgogna deve essere distrutta.» «Burgundia delenda est...» «Già! Perché?» Il tono di voce di Ash era brutale. «Perché, Vostra Grazia? La Borgogna è ricca - almeno lo era - e potente, ma non si tratta di questo. Alla Francia e alla Germania è stata concessa una resa. Cosa la rende tanto importante da volere che venga rasa al suolo e che le sue ceneri siano irrorate di piscio?» Il duca cercò di assumere un certo portamento malgrado fosse malato.
«Non ho idea del perché vogliano far sparire la Borgogna.» L'ambiguità della risposta era ovvia. Ash lo fissò. Non sapeva se in quel momento si sentiva rassegnata o aveva fiducia nell'uomo di fronte a lei. «Distruggete questo legame» disse Carlo «e avremo da affrontare solo l'impero visigoto. Possiamo farcela. Abbiamo subito colpi molto più forti di questo e ne siamo usciti vittoriosi, quindi, se vogliamo tentare di tornare in Africa... dovete ascoltarmi, capitano. Parlate con le voci.» Le parole del duca ebbero l'effetto di una doccia gelata e Ash tornò a sedersi sullo sgabello. «Non penso che potrei esservi di grande aiuto, Vostra Grazia.» Ash distolse lo sguardo. «L'ultima volta che ho... ascoltato la mia voce» continuò «ho sentito anche quella del mio prete, padre Maximillian. È successo ieri. Godfrey Maximillian è morto a Cartagine due mesi fa.» Carlo la fissò, ma non c'era nessuna traccia di giudizio o condanna nei suoi occhi. «Se pensate che ciò che sento sia frutto di un'illusione, Vostra Grazia, non pensate che ogni voce che sento sia affidabile!» «'Illusione'.» Carlo di Borgogna allungò una mano e prese una delle carte che aveva sul letto e mentre leggeva disse: «Voi le chiamereste in questo modo, capitano? Non parlate di dèmoni o di tentazioni diaboliche. O pensate che questo padre Maximillian sia con i santi e stia cercando di rispondere al vostro dolore per la sua perdita.» «Se quello è Godfrey...» Ash strinse un pugno. «E lo è, allora lo sente anche il faris. Mi ha parlato di un 'prete eretico'. Io penso che lo sentiamo entrambe... perché lui è morto durante il terremoto e la sua anima è rimasta intrappolata all'interno della machina rei militaris e qualunque cosa sia rimasta di lui - non di certo un uomo integro - adesso è alla mercé delle Macchine Impazzite che possono farlo a pezzi con calma...» Il duca le strinse un braccio. «Non vi rammaricate facilmente.» Ash premette le labbra. «Voi avete perso degli uomini sotto il vostro comando e sapete come vanno queste cose, Vostra Grazia. Continuate con quelli rimasti.» «La guerra vi ha indurita, ma non vi ha resa forte.» Il tono del nobile era gentile. Non le stava stringendo il braccio come a-
vrebbe fatto un malato. Ash sussultò e Carlo mollò la presa. «Ho letto su questo documento che ho parlato con padre Maximillian qualche giorno prima di Auxonne. Venne da me chiedendomi una lettera di passaggio nelle mie terre e una lettera di presentazione per l'abate di Marsiglia affinché gli trovasse un passaggio su una nave diretta a sud.» «Da voi?» «Gli diedi le lettere perché era ovvio che non è... non era... un traditore, ma un uomo devoto che cercava di aiutare un amico. Se dovesse essere rimasto qualcosa della sua anima temete per la sua sorte, ma non temete la sua presenza.» Ash batté le palpebre rapidamente. Una lacrima le solcò la guancia prima che potesse asciugarla e si strofinò un polso sul viso. «Il cordoglio è parte dell'onore di un soldato» disse Carlo, un po' impacciato. Era come se le lacrime di una donna potessero commuoverlo più di quelle di un uomo. «Il cordoglio è un fottuto dolore al culo» borbottò Ash con voce tremante, quindi sfoderò un sorriso radioso. «Scusate, Vostra Grazia» terminò. «Chiedete qualunque cosa possa esservi d'aiuto» concesse il duca. «Vostra Grazia?» Il nobile le sorrise. Non era malizioso, solo gentile. Era un uomo stanco, ma contento. Qualcuno che aveva chiarito delle cose. «Non userò la forza.» Chiuse gli occhi per una attimo, quindi li riaprì. «Né vi obbligherò in nessun modo a parlare con la machina rei militaris. Io vi chiedo di farlo.» «Merda!» commentò Ash. «Vi chiedo di dirmi come mai sentite la voce di un morto. Vi chiedo di scoprire cosa intendono fare le macchine che si nascondono dietro il Golem di Pietra. Voglio sapere» disse Carlo di Borgogna fissandola con uno sguardo penetrante «come mai dite che il faris è stato fatto nascere e allevato per compiere un miracolo oscuro e diabolico ai danni della Borgogna. E, se è vero, se ha il potere di farlo.» Niente da ridire sui suoi informatori, pensò Ash fissandolo. «Vi offro tutto l'aiuto di cui potreste avere bisogno. Preti, dottori, armaioli, astrologi, qualsiasi persona della mia corte potrà esservi di aiuto sarà a vostra disposizione. Parlate e sarete esaudita.» Ash aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto che non aveva nulla da dire. «Né ricorrerò ai sotterfugi» le assicurò Carlo di Borgogna. «Se per voi e
i vostri uomini va bene, io vi accoglierò lo stesso tra i miei capitani che lo facciate o no. Siete un ottimo comandante e vorrei che mi serviste.» Ash lo osservò, ammutolita. Non mi sta blandendo, rifletté. Pensa veramente quanto ha detto. «Fatelo» la incalzò il nobile. «Per voi, per i vostri uomini, per Digione, per la Borgogna. Per me.» «Sono stata costretta a tornare» disse Ash in tono piatto «e mi ritrovo seduta nel centro del bersaglio, senza sapere quale sia il bersaglio. Anch'io ho bisogno di sapere. Se non adesso, molto presto.» Studiò il volto emaciato del nobile che tuttavia conservava una certa forza. «Vi offrirò tutto l'aiuto di cui avrete bisogno. Parlate con il vostro prete morto.» La fissò con autorità e determinazione. «Se fosse d'aiuto... tornate da me. Dovete sapere tutto ciò che posso dirvi.» «Datemi tempo» disse Ash. «Concesso. Ne avete bisogno.» Sudata, Ash si alzò in piedi e fissò il nobile adagiato nel letto. La paura le aveva provocato un senso di vertigine. «Non c'è più tempo» disse. «Prima o poi sarebbe dovuto succedere: qua o da qualche altra parte. Ho deciso. Datemi tempo.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesto di Ash: — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#258 (Anna Longman) Cartagine 05/12/00 ore 05,19 p.m. Ngrant@
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Hai bisogno di una e-mail da parte di Isobel? Fammelo sapere più tardi. Non hai idea di quanto siamo impegnati! O forse sì! Tutti sono molto gentili con me e non mi fanno notare che sono continuamente tra i piedi, pur non avendo autorizzazioni particolari per stare a bordo. Sono tollerato per via del 'Fraxinus'. Penso che siamo tutti troppo eccitati per preoccuparci di questo particolare. Un vero e proprio sito sottomarino, DOCUMENTATO e intonso - anche Isobel non riesce a fare a meno di chiamarlo Cartagine! Anna, questa è la parte finale del 'Fraxinus me fecit'. Il manoscritto si interrompe, chiaramente incompleto. Non so rispondere a nessuna delle domande che ha sollevato! Altri documenti storici fanno riferimento ad Ash, ma solo nella parte iniziale del gennaio 1476-77. Forse non sapremo mai perché la sezione dedicata all'assedio di Digione dia una versione poco convenzionale della storia dell'Europa e del carattere di Carlo l'Intrepido, in un certo senso la descrizione è molto più simile a quella del padre, il duca Filippo il Buono ma questi morì nel 1467! Non sapremo mai quello che successe ad Ash nell'inverno prima della sua morte nella battaglia di Nancy o perché questo testo parla di Carlo a Digione! Ma è poi così importante alla luce delle nuove scoperte? Non credo che i risultati degli esperti in metallurgia riguardo la datazione delle parti del golem mi possano preoccupare. Supponiamo che la datazione al carbonio collochi il manufatto in questa metà del ventesimo secolo. Non è del tutto impossibile che qualcuno abbia visionato il 'Fraxinus' prima di me. Né è del tutto improbabile che il golem sia un falso... Isobel mi ha detto che c'è un mercato molto fiorente di falsi archeologici da vendere a ingenui collezionisti privati.
Cartagine, però, non è un falso. Cartagine è un dato di fatto. Certo, dal punto di vista archeologico, le sue implicazioni sollevano grandi problemi. Questo sito sottomarino ha qualche connessione con la Cartagine libico-fenicia costruita nell'814 a.C? Forse sbarcarono in questo punto e poi si spostarono verso l'interno, poco lontano dall'odierna Tunisi? Non mi sembra probabile: questa non è la Cartagine saccheggiata dai Romani. Ma si tratta della Cartagine visigota. Capisci, Anna, ho datato questo sito intorno al 1400, ma dalle immagini del ROV sembra che il sito sia molto più antico! Che sia la Cartagine vandalica? O forse una Cartagine ancora più antica? Dopotutto se una tempesta non avesse affondato la loro flotta nell'AD 416, i Visigoti spagnoli avrebbero conquistato la Cartagine romana tredici anni prima dei Vandali! Adesso c'è molto, moltissimo da scoprire. La mia teoria iniziale stabiliva l'esistenza di un insediamento tardo medievale che ebbe vita breve. Un sito occupato in continuazione, a partire dall'AD 416 pone più di un problema... Posso credere che il 'mio' insediamento visigoto sulle coste del Nord Africa che durò forse settanta - ottanta anni in tutto, sia passato inosservato o che le prove della sua esistenza siano state 'spazzate sotto il tappeto' per qualche motivo bene preciso. Tuttavia, dieci secoli e mezzo di occupazione araba sarebbero spuntati da qualche parte nelle cronache anche se i Franchi avessero fatto di tutto per ignorarli!! Ti garantisco che esistono almeno diecimila manoscritti islamici del periodo medievale e molte librerie del Nord Africa e dell'Est europeo che devono essere ancora interamente catalogate... ma... non menzionare 1060 anni di storia cartaginese?! Da nessuna parte? Devo parlarne con Isobel. Ti ho detto che siamo tutti esaltati. Mi aspettavo che Isobel toccasse il cielo con un dito, invece sembra preoccupata. Suppongo che se fossi il responsabile della più grande scoperta archeologica di questo secolo anch'io sarei piuttosto stanco e preoccupato. Il ROV trasmette nuove immagini ogni pochi minuti... mi farò sentire di nuovo appena posso... non trovi che tutto questo sia fantastico? — Pierce ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#158 (Pierce Ratcliff) Ash, manoscritto 05/12/00 ore 07,19 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
C'è un manoscritto. È la prima cosa che voglio farti sapere. Sono stata a Sible Hedingham e ho parlato con il fratello del professor Davies che è stato molto schietto con me, ma, prima di tutto... C'È UN MANOSCRITTO. È un inedito di Vaughan Davies. È originale. Pierce, non ho idea se sia importante o no, non so neanche se è del periodo giusto o se è un falso. Il fratello, William Davies, mi ha riferito che Vaughan definiva quell'opera come un 'trattato ossessionante' . Sulla copertina doveva esserci una xilografia di un cervo inseguito nei boschi dai cacciatori. Spero che tu non rimanga deluso. Il mio latino classico è molto lacunoso e non so nulla di latino medievale, quindi sono riuscita a cogliere qua e là solo la parola 'Burgundia' . Per quello che ne so tutto il resto potrebbe essere benissimo un trattato sull'allevamento dei cani! Spero che non lo sia, lo spero veramente, Pierce. Sentirei di averti tradito se lo fosse. William mi ha permesso di scannerizzarlo e, viste le condizioni delle pagine, forse non avrei dovuto permettergli di lasciarmelo fare... ma non potevo fare altrimenti. Il fratello di Vaughan Davies ha preso contatto con Sotheby e Christie's. Per il momento l'ho convinto a non contattare la British Library, ma non ci vorrà molto prima che lo faccia. Se questo manoscritto è originale... importante... e utile, posso usarlo come supporto per il progetto del libro e del documentario senza dover ricorrere al lavoro che tu e la dottoressa Isobel state compiendo con il sito sottomarino. Capisco benissimo che sia necessario il massimo della segretezza in questo momento. Dopo questa mail ti spedisco il testo scannerizzato. Ho idea del caos che può esserci dove ti trovi... sei ancora sulla nave, giusto? Ma quando potrai cominciare a tradurre queste prime pagine?
Adesso ti spiego da dove provengono. Sono andata nell'East Anglia con Nadia facendo finta di dover comprare qualche altro oggetto dall'asta. (A dire il vero, la mia amica ha effettivamente acquistato qualche altro pezzo.) William Davies si è dimostrato un vecchietto gentile. È un chirurgo in pensione e durante la guerra pilotò gli Spitfire. Sono andata da lui e gli ho detto che ero il tuo editore, che al momento tu eri in Africa e che stavamo curando una riedizione del lavoro che suo fratello aveva compiuto su Ash. (Ho pensato che fosse la versione più sobria e attinente alla verità). Parlando con William ho scoperto che lui non ha avuto molto a che fare con il fratello prima di recarsi a Sible Hedingham. Sono cresciuti in una famiglia dell'upper-middle-class del Wiltshire. Vaughan andò a Oxford e si fermò là. William andò a Londra, studiò medicina, si sposò ed entrò in possesso della proprietà di Sible Hedingham dopo la morte prematura della moglie (aveva solo ventun'anni). Dopo vide Vaughan mentre stava per lasciare la RAF e non si parlarono molto. I particolari più rilevanti sulla storia di questa famiglia arrivano adesso: Vaughan Davies si trasferì da Oxford a Sible Hedingham sul finire degli anni Trenta. William ricorda che era il 1937 o il 1938. William era il proprietario della casa, ma stava per arruolarsi nella RAF ed era pronto a cederla al fratello. Ho avuto la sensazione che non avrebbero mai vissuto insieme perché... leggendo tra le righe, Vaughan sembrava avere un carattere impossibile. Vaughan aveva preso un anno sabbatico e stava ultimando l'opera su ASH. Secondo William, il fratello conduceva una vita da eremita; ma nessun abitante del paese sembrava preoccuparsene. Penso che sia stato un uomo veramente scorbutico. In ogni modo essendo un nuovo arrivato non era certo il benvenuto. 'Infastidì' (termine usato da William) la famiglia proprietaria del castello di Hedingham per poterlo visitare e si comportò in modo tale che gli ingiunsero di andare via. Penso che William creda che il manoscritto provenga proprio dal castello. Penso che sospetti che Vaughan l'abbia rubato. Non vide più il fratello dopo la guerra, perché Vaughan Davies scomparve nel 1940. Non sto scherzando, Pierce. Vaughan Davies è svanito nel nulla. Quell'estate William era stato abbattuto nella Manica e passò moltissimo tempo in ospedale. Le cicatrici delle ustioni sono ancora visibili. La casa di Sible
Hedingham rimase deserta per tutto il tempo che trascorse in ospedale. Al tempo ci furono le solite voci che dipingevano Vaughan come una spia al soldo del nemico. William riuscì a scoprire che il fratello era partito per Londra e basta. C'era la guerra e le indagini della polizia furono poco accurate. Ormai sono passati sessant'anni e tutto è finito nel dimenticatoio. William sostiene di aver sempre pensato che il fratello sia morto durante il Blitz, ucciso nei bombardamenti. Probabilmente il suo corpo è finito a pezzi oppure aveva il volto sfigurato dal fuoco al punto da essere irriconoscibile. Non ha esitato a parlarmi in questo modo. Raccapricciante. Forse parla così perché è stato un chirurgo. William Davies sta per vendere la casa di Sible Hedingham perché vuole ritirarsi in un luogo più appartato. Deve avere circa ottant'anni, ma è molto lucido. Gli credo quando afferma che non c'è alcun mistero intorno alla morte del fratello. Adesso... l'unica cosa che voglio fare è tornare nel mio ufficio e fare finta che non sia successo niente di tutto questo. Ho sempre amato le pubblicazioni accademiche, ma in questo momento voglio mettere la maggiore distanza possibile tra me e la storia. Non so, trovo che tutta questo coinvolgimento con quello che sta avvenendo mi mette a disagio. Non so cosa farò di questo manoscritto se è originale e delle scoperte che avete fatto sul fondo del Mediterraneo. Prenderò tutte le ferie che mi spettano, volerò alle Florida Keys a farò finta che non sia successo niente! È troppo. No. Come editore - e amica - sarò qua. So che non puoi cominciare a tradurre immediatamente, che sei impegnato a esaminare i dati relativi al sito, ma potresti almeno dirmi se il documento è di una certa utilità prima che finisca il giorno? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#270 (Anna Longman) Ash/Visigoti 05/12/00 ore 10,59 p.m.
Da:
Ngrant@
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Anna — Buon Dio, anche se sono files separati ci stanno impiegando un'eternità a scaricare! Sto usando il computer di Isobel mentre l'altro lavora e in questo momento sto osservando la prima pagina. Ti posso dire subito una cosa. Se queste immagini sono state scannerizzate correttamente questo documento è stato redatto dalla stessa mano che scrisse il 'Fraxinus'. CONOSCO questa calligrafia, Anna e posso leggerla rapidamente quanto la mia! Conosco tutti i giochi fraseologici, le contrazioni e le sillabazioni. Ho studiato e tradotto i documenti scritti da questa mano nel corso degli ultimi anni. E se questo è il caso... Deve essere la continuazione del 'Fraxinus'. Il 'Fraxinus me fecit' può essere considerato senza problemi l'autobiografia di Ash. Sia che l'abbia scritta lei o che (data l'ignoranza del personaggio) l'abbia dettata. Se Vaughan Davies è riuscito a mettere le mani su questo documento, come mai non lo menziona nella seconda edizione delle cronache su Ash? Va bene, non aveva il 'Fraxinus' ma anche queste pagine, per quel poco che ho letto finora, si riferiscono chiaramente ad Ash: perché non le ha pubblicate? Cripta tutto il resto e spediscilo; non mi importa quanto ci vorrà per scannerizzarlo o scaricarlo! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#277 (Anna Longman) Manoscritto di Sible Hedingham 10/12/00 ore 11,20 p.m. Ngrant@ Indirizzo precedente
Anna —
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Prosegue dalla fine del 'Fraxinus' - è la parte mancante del documento ... una continuazione ... copre l'autunno del 1476!!! Ma non so QUANTO!!! È evidente che mancano le pagine iniziali, forse sono finite a pezzi nel corso degli ultimi cinquecento anni... MA, credo che manchino solo poche ore del 15 novembre 1476!! Dalle prove testuali questi eventi devono essere intercorsi nelle 24 ore in cui Ash entrò a Digione! O poco più tardi durante il giorno seguente. Date le corrispondenze tra i dettagli degli abiti descritti nel 'Fraxinus', questa deve essere la cronaca degli avvenimenti accaduti poche ore dopo l'incontro tra Ash e Carlo di Borgogna, quindi deve trattarsi del 15 novembre 1476. Non credo che manchi qualcosa eccetto qualche chiamata alle armi iniziale! C'è qualcosa di scritto nella rilegatura che può essere scannerizzato? Più tardi Ecco la prima parte, ancora da rivedere, ma la metterò a posto in seguito. Ci ho lavorato sopra per cinque giorni di seguito. È incredibile quello che abbiamo trovato! — Pierce
UNDICESIMA PARTE 15 NOVEMBRE - 16 NOVEMBRE AD 1476 Penitenti179 I [...] gruppo di comando sulle mura di Digione180 . «Che cazzo sta facendo?» urlò Robert Anselm per farsi sentire sopra il frastuono. «Pensavo che mi avessi detto che volesse farci aprire un cancello!» «Forse sta cercando di farci concentrare!» Ash era consapevole, in qualche recesso della sua mente, dei guanti e dell'elmo e del sottile strato di metallo, lana e lino che le avvolgeva i fianchi. Il desiderio di riavere l'armatura completa, era abbastanza forte da essere quasi palpabile. «Al diavolo! Tutte quelle parole e rischiamo di perdere la città...» Si alzò con uno sforzo e guardò oltre i merli181 per osservare gli uomini che correvano verso le mura. Un'orda di nemici si stava dirigendo verso il muro nord-ovest della città. Gli arcieri visigoti si erano inginocchiati dietro i mantelletti182 e avevano cominciato a bersagliare le mura con le frecce scoccate dai corti archi ricurvi. Il rumore provocato dalla frecce che colpivano la pietra le stringeva lo stomaco in una morsa. Uno sparo d'archibugio risuonò lungo il parapetto; Angelotti e Ludmilla cominciarono a impartire gli ordini urlando e un attimo dopo l'aria fu pervasa dagli schiocchi degli archi lunghi. Gli arcieri sudati si urlarono complimenti scurrili a vicenda. Un'ondata nera di uomini si levò dalle trincee scavate in prossimità del campo visigoto. Nello stesso istante udirono un suono sibilante. Ash si guardò alla sinistra. Non poté vedere oltre la torre, ma il suono degli impatti e quello delle grida si levò al di sopra del baccano. Tornò a concen179
Prima parte del manoscritto rinvenuto a Sible Hedingham. La prima parte della frase era nelle pagine mancanti del manoscritto di Sible Hedingham. 181 Parte solida degli edifici che si oppone allo spazio tra i merli. 182 'Mantelletto': scudo protettivo portatile che permetteva agli arcieri e agli artiglieri di avvicinarsi alle mura assediate. 180
trarsi sul terreno sotto di lei che nel volgere di qualche istante si era ricoperto di uomini che correvano tenendo le scale con una mano e lo scudo sopra la testa con l'altra. Alcuni erano già caduti sotto il fuoco di sbarramento della città. «Truppe ausiliarie!» le urlò Robert Anselm in un orecchio. «Cosa mi dici di quelli?» si sporse oltre il merlo e vide che oltre ai soldati in tunica nera armati di lance e asce c'erano quaranta o cinquanta europei. «Prigionieri!» sbraitò Anselm. Una seconda occhiata e Ash diede ragione al suo vice. Dovevano essere abitanti della città catturati durante un tentativo di fuga e ora costretti a morire per mano dei loro concittadini sulle mura o per quella dei nazir alle loro spalle. Ash smise di ascoltare i messaggeri, di dare ordini, batté una mano sul piastrone di Anselm e indicò il terreno sottostante. Anselm alzò la ventaglia dell'elmo e scoppiò in una risata roca e sonora. «Merda fottuta, quello è Jos.» Un gruppo di uomini con la Barca e la Mezza Luna riprodotta sulle divise blu e pelli bagnate buttate sulle spalle correvano sulla scia dei soldati e dei prigionieri portando a loro volta altre scale. Ash socchiuse gli occhi per vedere se riusciva a distinguere lo stendardo personale di Joscelyn van Mander, ma le schegge di pietra, la polvere, il fumo degli archibugi e la distanza le impedirono di scorgerlo. «Arrivano!» Ash cercò di fermare il tremito che le permeava la voce. Ash si girò nel momento stesso in cui il primo uomo raggiunse il bordo del fossato buttando il suo carico di fascine di legna su quelle che già lo riempivano. «Anselm! Fa' salire immediatamente i ronconieri sulle mura! Ludmilla: sposta indietro gli arcieri per dare loro spazio! Angelotti...» In mezzo al rumore provocato dagli uomini in corazza e maglie metalliche che correvano e quello prodotto dagli arcieri, determinati a scagliare fino all'ultimo dardo sul nemico, Ash udì un tonfo sordo e forte alla sua sinistra. Il cancello principale, si rese conto. Merda! Si allontanò in cerca di Angelotti e si avvicinò al mangano più vicino. Due degli uomini addetti alle manovelle si erano acquattati dietro il riparo in legno tempestato di frecce. Ash raggiunse Dickon Stour che proprio in quel momento diede una martellata secca alla struttura di legno, si raddrizzò, arretrò di qualche passo, assestò una pacca sul cucchiaio in cima al braccio e disse soddisfatto «Va bene? Provate adesso?»
«Dov'è andato il capitano Angelotti?» urlò Ash. Il servente allampanato con i capelli color grano che spuntavano da sotto il bordo dell'elmo girò e la testa e disse: «Giù per il...» Un'esplosione assordante. Gli spalti tremarono sotto i piedi di Ash e l'aria si riempì di schegge di pietra. Avevano centrato il parapetto aprendo un ampio varco nella merlatura. Qualcosa di grosso le scivolò accanto e cadde nella città sottostante. Non sono ferita, pensò immediatamente. È stato un colpo diretto al mangano. Lo schermo protettivo era a pezzi. Il mangano era ridotto a un ammasso di legno e corde che ricordava assolutamente una macchina ossidionale. Un uomo si rotolava a terra urlando. Ash scorse tra i resti una gamba mozzata completa di stivale. Un altro uomo giaceva morto sul parapetto. L'unica traccia rimasta di Dickon Stour era una crepa color rosso sangue nelle pietre delle mura. Ash portò una mano alla bocca e tolse un ciuffo di capelli. Non erano i suoi. Avvertì un sapore strano e sputò liberando la bocca da un pezzo d'osso. Un attimo dopo il secondo proiettile scagliato da un trabocco, un masso grosso quasi quanto un carro, colpì nuovamente le mura. Vide un cumulo di corde, legno e uomini in ginocchio o sdraiati sulla schiena sparpagliati sulla scalinata che conduceva agli spalti. Un masso cadde nella terra di nessuno, tra le mura e la città, infrangendosi in migliaia di schegge. Il sibilo stridulo dei proiettili incendiari lacerò l'aria. Ash sussultò e si acquattò. Le bocce di terracotta si infransero lungo quasi tutta la lunghezza degli spalti spandendo il carico di Fuoco Greco tra i soldati. Le fiamme avvamparono immediatamente e Ash tremò. «ANSELM...!» Qualcuno le diede una spallata. La bandiera del Leone si inclinò e cominciò ad allontanarsi lentamente da lei, sospinta dalla folla di arcieri e ronconieri che cercavano di scendere dagli spalti. «TENETE LE POSIZIONI!» urlò Ash a squarciagola. Un gruppo di ronconieri della lancia di Rochester la spinsero contro uno dei merli danneggiati. Nell'attimo in cui si sporse nel vuoto Ash vide gli uomini sotto le mura che si avvicinavano con le scale. La paura della caduta le chiuse lo stomaco. Sentì il suono degli archibugi e delle baliste in direzione del cancello, ma i Cartaginesi non erano ancora a tiro...
«Rimanete ai vostri cazzo di posti!» continuò a urlare Ash, quindi afferrò un uomo per una spalla e l'altro per la cintura. I due si divincolarono e ripresero la fuga. Vide che la bandiera stava cominciando a tornare faticosamente verso di lei per poi ricadere dopo qualche metro. Ash si acquattò e si tuffò senza esitazione nella calca dei fuggitivi, afferrò l'asta della bandiera, la sollevò e cominciò a sventolarla. Anselm aveva afferrato il portabandiera per la collottola. «... torna al tuo posto!» gli urlò sollevando la spada con aria minacciosa. «CON ME!» urlò Ash. Il volto di Rickard apparve in mezzo alla folla. Ash gli passò la bandiera, prese la piccola ascia da guerra che il ragazzino le aveva portato e si fece largo a spintoni tra la calca. «Seguitemi!» urlò ai suoi uomini. Gli spalti in prossimità della Torre Bianca erano invasi dal Fuoco Greco. Il riparo in legno più vicino era integro. Udì un debole rumore provenire dal basso. Afferrò l'ascia con due mani e usò tutto il peso del corpo per bloccare due arcieri e un artigliere. «Porta quella fottuta bandiera!» ringhiò a Rickard senza fermarsi per vedere cosa stesse facendo il ragazzino pallido in volto. Spostò un uomo e si diresse verso la merlatura. «Seguitemi, figli di puttana!» Ash sentiva di avere la voce ovattata, il suono echeggiava contro il legno e il tetto in pelle del riparo. Cristo, pensò, vorrei avere almeno un elmo con la visiera! Tornò ad afferrare l'ascia con una sola mano. Un volto fece capolino oltre il bordo della merlatura. Come vorrei poter parlare con la machina rei militaris in questo momento, pensò, ironicamente e, in un certo senso, fu come se si fosse separata da quella consapevolezza del combattimento che aveva sempre avuto in quei momenti. Il manico di legno dell 'ascia tra le mani era una sensazione familiare: mano sinistra davanti e destra come supporto. Lasciò che la lama dell'ascia scendesse dietro la testa, quindi la spinse in avanti e abbatté il puntale in fondo al manico sul volto del Visigoto. La punta scivolò contro la piccola staffa di metallo che si protendeva dalla fronte dell'elmo per proteggere il naso. L'uomo, scosso o infuriato, emise una sorta di ruggito, continuò a issarsi sulla scala nascosta dalle tavole del riparo e infilò la spada nell'apertura. Ash lasciò che l'inerzia del fendente le facesse fare un passo avanti. Respirava a fatica e tutto il corpo era teso per ricevere il colpo del nemico.
Sei troppo lenta, si urlò mentalmente. Roteò l'ascia dietro la testa facendo scivolare la destra verso il fondo del manico per unirsi alla mano sinistra, accelerando così la discesa dell'arma. La lama da quattro libbre descrisse un arco stretto e calò sul volto del Visigoto nel momento stesso in cui questi alzava la testa per guardare. Una sostanza umidiccia le schizzò sulle braccia. Ash sentì la lama che affondava, ma non udì l'urlo dell'uomo perché era soffocato dal frastuono della battaglia intorno a lei. Non si era trattato di una ferita mortale o abbastanza grave da arrestare l'avversario... Una lancia si piantò nelle tavole di legno in mezzo ai suoi piedi. Ash balzò indietro e inciampò con un calcagno contro il bordo inferiore del riparo. L'ascia scattò verso l'alto lacerando la pelle che ricopriva il tetto e Ash batté con violenza il sedere nello spazio tra due merli. L'impatto si ripercosse lungo tutta la spina dorsale. Ash rimase tranquilla e piantò la punta in fondo al manico dell'ascia nella fronte dell'uomo poco sotto il bordo dell'elmo. Il Visigoto strabuzzò gli occhi e cadde metà dentro e metà fuori gli spalti. Ash impresse una torsione al manico per liberarlo e un fiotto di sangue e materia grigia fuoriuscì dalla ferita. Ash non sentiva le grida di Rickard, i passi dei suoi uomini né vedeva la bandiera... Sono sola... pensò. «A me, Cristo!» urlò Qualcuno tolse la lancia che si era piantata nel tavolato. Il corpo del morto venne fatto cadere oltre le mura dai suoi compagni ancora sulle scale. Ash udì imprecazioni e qualcuno che urlava ordini. Si alzò in piedi senza rendersi conto del sorriso sinistro che le era apparso sulle labbra. «Capo!» Euen Huw la raggiunse con un salto. Atterrò traballando. Il sangue gli imbrattava una gamba dei pantaloni dalla coscia al ginocchio. «Grazie per essere arrivati. Dove sono Rickard e la bandiera? Fai salire gli arcieri, Ludmilla. È come fare il tiro al piccione!» Ash diede delle pacche sulle spalle agli uomini di Huw e agli arcieri della Rostovnaya, dieci o quindici uomini che si stavano superando. Ash afferrò una trave sopra la testa, scavalcò un cadavere ai suoi piedi e corse verso il secondo varco. La falcata era incerta a causa del fondo scivoloso. Ash si teneva con la schiena rasente al muro guardando in continuazione a destra a sinistra aspettandosi un attacco da qualsiasi direzione. Il fatto di aver gran parte del corpo privo della protezione offerta dall'armatura aveva acuito i suoi sensi
al massimo. «Qua! Beccate quelli sulla scala.» Un arciere con i capelli sporchi e la faccia barbuta madidi di sudore la raggiunse e abbassò la testa per guardare dalla feritoia di fronte a lei. Un attimo dopo urlò al compagno che reggeva il pavese di portargli altre frecce. Si parò di fronte all'apertura tendendo l'arco con un certa difficoltà perché lo spazio era esiguo e scagliò una freccia al fondo della scala. L'arciere venne raggiunto rapidamente da due balestrieri che lo spostarono con una spallata. Le balestre erano più piccole e potevano passare con maggiore facilità nell'apertura. Ash chinò la testa per dare una rapida occhiata oltre la feritoia. Se riescono a salire oltre i merli, la voce e tutto il resto diventeranno del tutto irrilevanti, pensò. Il rumore delle frecce e dei quadrelli che colpivano la pietra e il legno echeggiava con cadenza regolare tra le pareti del riparo. Ash si tese credendo che stesse per arrivare un proiettile incendiario. No, non useranno il Fuoco Greco mentre i loro uomini sono sulle mura, pensò. Il gancio di una scala si ancorò a uno dei ripari a qualche metro di distanza da lei e Ash ebbe solo qualche attimo per rendersi conto che il simbolo sulle divise degli assalitori era la Mezza Luna in campo blu. Non erano truppe visigote. Deve aver visto la mia bandiera in questa sezione delle mura, pensò immediatamente. Ha inviato gli uomini che hanno combattuto al nostro fianco fino a qualche mese fa... uno stratagemma per il morale. Fare in modo che i mercenari franchi combattano tra di loro... «Guarda chi c'è!» gridò Euen Huw, infilandosi tra Ash e la parete. «Non gli hanno affibbiato un lavoro facile, eh?» continuò a urlare mentre cominciava a correre verso il nemico. «Vediamo di sistemare la faccenda!» Ash diede un'occhiata lungo gli spalti e vide Angelotti impegnato in un violento corpo a corpo. Il coltellaccio dell'artigliere si alzava e abbassava con una cadenza ritmica. L'Italiano era ferito al braccio sinistro e i suoi uomini gli si stavano stringendo intorno per proteggerlo. Cristo, hanno spedito metà dell'esercito visigoto. «Capo!» Robert Anselm e Rickard apparvero da dietro il riparo alle sue spalle. L'Inglese zoppicava e aveva il volto contratto nella smorfia tipica di chi sta gridando un avvertimento. Ash si girò e vide che due uomini con la Mezza Luna sulla divisa stavano per saltare sul tavolato degli spalti.
Euen Huw intercettò la lama del primo con la sua provocando una pioggia di scintille, quindi gli assestò un calcio sul ginocchio rompendoglielo. L'uomo cadde in avanti a peso morto come un sacco di grano. Non c'era tempo per fermarsi a guardare se era un volto conosciuto o qualcuno che van Mander aveva assoldato dopo aver lasciato il Leone Azzurro. Sebbene il tetto e le travi del riparo le impedissero di muoversi agevolmente, Ash fece scivolare l'ascia oltre il Gallese che nel frattempo stava riprendendo l'equilibrio, agganciò il taglio della lama dietro al ginocchio del secondo uomo e tirò con forza. La gamba scattò in avanti e l'uomo batté la schiena contro la parete del riparo urlando mentre la lama lo azzoppava. Euen Huw lo finì piantandogli la spada nello scroto. Il primo uomo si sollevò puntellandosi su un ginocchio mentre l'altra gamba strisciava sul tavolato piegata in maniera innaturale. Troppo vicino, pensò Ash. Lasciò cadere l'ascia, estrasse la daga con la destra e si lanciò sulla schiena del nemico. Strinse l'avambraccio intorno all'elmo, gli girò la testa e piantò la lama in profondità nell'occhio. L'urlo, l'elmo e il sangue sul volto, non le impedirono di riconoscerlo. Bartolomey St. John, il vice di Joscelyn, lo conosco, pensò Ash. Lo conoscevo, si corresse un attimo dopo. Anselm urlò qualcosa. Due o tre dozzine di uomini con la divisa del Leone, che stavano usando le aste dei ronconi per trasportare delle marmitte, si ammassarono sugli spalti. I primi due rovesciarono il calderone e il contenuto colò nella feritoia fumando. L'acqua bollente investì gli assalitori bollendo tutto ciò che toccava. Gli altri uomini, tra i quali Henri Brant e Wat Rodway, riversarono i loro calderoni pieni d'acqua o sabbia bollente nelle aperture più vicine ridendo di gusto. Qualche metro sotto i piedi di Ash gli uomini cominciarono a urlare e si udì lo scricchiolio inconfondibile di una scala d'assedio che finiva in pezzi a causa dei soldati che cedevano al panico. «Merda, capo! Questa volta ci siamo andati vicini» le urlò Euen avvicinando la bocca all'orecchio, mentre l'aiutava ad alzarsi. Ash afferrò l'ascia con la mano libera e la estrasse da sotto il cadavere di Bartolomey St. John. Le mani le tremavano visibilmente. Era la stessa reazione di una persona gravemente ferita. Ma non sono stata neanche sfiorata, pensò, questo non è il mio sangue! Sollevò la testa. Non poteva vedere Anselm, ma poteva sentirlo gridare
ordini ai sergenti e questi che li ripetevano lungo gli spalti. È fatta, pensò. Abbiamo tenuto! «Euen manda un messaggero alla Torre di Guardia! Subito. Che cazzo stanno facendo i Burgundi lassù? Abbiamo bisogno del fuoco di copertura! Non era il caso che li lasciassero avvicinare così tanto alle mura!» Uno degli scudieri di Euen uscì dal riapro e corse verso la torre più vicina. È possibile coprire la Torre Bianca dalla Torre di Guardia? si chiese. Ash si acquattò e arretrò. Sugli spalti si erano ammassati circa un centinaio di uomini che indossavano la divisa gialla e blu del Leone e un paio che sfoggiavano le insegne burgunde. Poco distante da dove si trovava vide spade, asce e gli uomini che agganciavano la cima delle scale d'assedio con i ronconi riversando tutto quello che avevano a portata di mano sulle teste degli assalitori... non era il momento di andare per il sottile. Robert Anselm la raggiunse di corsa. «Ho mandato la mia lancia alla torre per ficcare in testa un po' di buon senso agli arcieri e balestrieri burgundi!» la informò ansimando. «Perfetto! Li abbiamo respinti, Roberto!» Un sfera luminosa cadde dal cielo sibilando. Ash avvertì un odore che la mise immediatamente in allarme. «Fuoco greco!» urlò. Cristo santo, tireranno sui loro uomini se questo vuol dire beccare anche i nostri, non gliene importa nulla! Si spostò rapidamente dagli spalti appoggiandosi contro il muro tirando Anselm con sé. «Indietro! Via dalle mura! Via dalle mura!» urlò a squarciagola. Il fuoco inondò gli spalti. Nel volgere di un attimo il fuoco avvolse un riparo. Ash aveva visto le fiamme colpire ed espandersi. Qualcuno cominciò a urlare, ma non serviva a niente chiedere l'acqua... «Via dagli spalti!» ordinò Ash, dopodiché roteò l'ascia sopra la testa e la calò su una delle travi di legno del riparo per poi arretrare al passaggio degli uomini di altre tre lance. Una figura urlante rotolò sulla pietra degli spalti avvolta dal fuoco. L'odore di carne bruciata ammorbava l'aria. Ash riconobbe il vestito e i capelli sotto l'elmo parzialmente fuso. Ludmilla Rostovnaya aveva metà del torso e un braccio avvolti dalle fiamme gelatinose. «Thomas Tydder!» urlò Anselm. Il ragazzo corse lungo il muro seguito dagli altri uomini addetti allo spe-
gnimento delle fiamme e rovesciò un secchio di sabbia sulla donna. «Spostatevi» disse Floria del Guiz, superandoli seguita a sua volta da due barellieri. La copertura in legno scricchiolò e cadde oltre le mura accartocciandosi a mezz'aria. Ash si spostò verso il muro e vide le scale d'assedio che cadevano trascinando con loro i soldati. Venti o trenta corpi precipitarono al suolo. Schiavi visigoti in armatura, ma privi di armi, correvano a soccorrere gli uomini con le gambe spezzate. Vide uno schiavo dai capelli chiari colpito da un quadrello e, poco distante, un soldato con la divisa di van Mander dare il colpo di grazia al compagno con la schiena rotta e lasciare lo schiavo contorcersi a terra. Ash fissò la Torre di guardia e vide gli arcieri e balestrieri spuntare dalle finestre o dalle feritoie. Alcuni arcieri gallesi fecero capolino dagli spalti e cominciarono a bersagliare il nemico. Un altro proiettile pieno di Fuoco Greco impattò poco lontano. «Andiamo! Distruggiamo quella macchina!» borbottò Ash. Guardò oltre le mura. Il pallido sole di novembre illuminava quattro grossi cucchiai di marmo, simili a quelli dei mangani, montati su altrettanti bracci dello stesso materiale che ruotavano intorno a un asse di pietra. Non c'era nessun soldato o schiavo per caricarlo. Era un'altra delle macchine ad autopropulsione dei Visigoti. Il carro fu investito da una salva di quadrelli. «Beccato!» urlò qualcuno dalla Torre di Guardia. Ash osservò le ruote rivestite di ottone che facevano girare il carro danneggiato per tornare al campo visigoto. Fiamme blu ardevano nei cucchiai in cima ai bracci. «Stiamo tenendo!» urlò Ash rivolgendosi ad Anselm. «Solo per il momento» rispose il capitano inglese, dopodiché si girò per impartire gli ordini ai sergenti. «Hanno usato un ariete contro il portone principale. Questo era solo un diversivo!» terminò. «Già, ci avevo pensato!» Ash si passò una mano sulla bocca e quando la ritrasse si accorse che era sporca di fango. «Stanno resistendo?» «Per adesso sì.» Ash riuscì solo ad annuire. «Stronzi!» Robert Anselm socchiuse gli occhi per proteggerli dalla luce. «Eccoli che tornano. Ausiliari e mercenari. Aspettiamo di vedere cosa cazzo combinano.»
Ash respirava a fatica e si girò a fissare il campo nemico dove tre o quattrocento uomini si stavano radunando per un secondo assalto. «Niente aquile?» Robert Anselm abbassò leggermente la ventaglia per schermare gli occhi dal sole. «Non ancora!» Un'altra macchina d'assedio uscì dal campo visigoto. Ash vide che i fusi di terracotta caricati nei cucchiai stavano già bruciando. «Guarda! Non stanno coprendo la macchina. Manda qualcuno da de la Marche, Robert. Fagli dire che dovrebbe mandare qualcuno là fuori a distruggere quel marchingegno. Aggiungi che se non vuole farlo fare dai suoi uomini ci pensiamo noi!» Ash socchiuse gli occhi, mentre Anselm faceva cenno a un messaggero di avvicinarsi. Il terreno sottostante le mura era coperto dai morti dello scontro precedente che doveva essere durato quindici minuti. Il fossato era pieno di corpi che si muovevano appena o del tutto immobili. Le pietre, il fango e le fascine di legna erano sporche di sangue. Due o tre cavalli privi di cavaliere vagavano senza meta. Gli schiavi scesero dai carri protetti con i pavesi e cominciarono a raccogliere i feriti. E questo non era neanche un attacco vero e proprio, pensò Ash. Solo una finta in modo da poter avvicinare l'ariete o continuare a scavare sotto il cancello nord-ovest. Non è quello che posiamo vedere. È quello che non vediamo. Appena finì di formulare il pensiero un grossa sezione delle mura cittadine a circa duecento metri a destra della Torre Bianca in direzione est, si sollevò di poco, quindi si abbassò di circa una trentina di centimetri. Ash venne investita da una folata di vento caldo e un boato le fece tremare il terreno sotto i piedi. «Fottute gallerie!» imprecò Thomas Rochester, mentre la raggiungeva insieme agli altri ufficiali. Era quasi isterico. «Hanno scavato un'altra di quelle fottute gallerie!» Il fischio doloroso che Ash sentiva nelle orecchie cominciò a calare d'intensità. «Pensavo che dovessimo controminarli!» urlò Euen Huw. Un gran numero di uomini partì all'attacco dalle linee visigote reggendo dozzine di scale sopra le teste: era ovvio che l'esplosione sotto le mura era stato il segnale. Ash udì Katherine Hammell, la compagna di lancia di Ludmilla Rostovnaya impartire gli ordini di tiro. Un attimo dopo un centinaio di frecce si abbatté in mezzo alle linee nemiche. Era impossibile capi-
re quante avessero centrato il bersaglio. «Sono rimasti fottuti!» Ash batté una pacca sulla spalla di Rochester e sorrise a Euen Huw. «Non sono riusciti ad abbattere le mura. Avevi ragione riguardo le contromine!» Osservò la porzione di mura interessata all'esplosione sotterranea. Era più bassa rispetto al resto e i camminamenti erano instabili. I Burgundi si allontanavano cautamente dall'area portando via i pochi feriti. Avrebbero potuto abbattere il muro! Però adesso abbiamo un diavolo di punto debole. «Dobbiamo tenere il muro per loro mentre lo sgomberano. Robert, Euen, Rochester: con me!» Incurante di un possibile crollo, Ash corse verso la sezione danneggiata seguita dagli uomini della compagnia che sciamarono fuori dalla Torre Bianca. Impartì una rapida sequenza di ordini e quattrocento uomini si disposero in tre file da quattro, mentre alle loro spalle le truppe burgunde terminavano di riunirsi. I ganci delle scale d'assedio artigliarono gli spazi tra le merlature. «Hanno sprecato un'occasione!» urlò Ash rivolgendosi a Robert Anselm per farsi sentire sopra il frastuono della battaglia. Vide diversi soldati sganciare le scale d'assedio dalle mura con dei lunghi bastoni muniti d'uncino e altri che gettavano i frammenti delle pietre destinati ai mangani e ai trabocchi oltre le mura. «Il muro non è crollato e non sanno dove andare» rispose Robert Anselm. Antonio Angelotti arrivò con altre colubrine. Gli occhi erano l'unico punto chiaro rimasto sul viso. «Dobbiamo essere riusciti a neutralizzare alcune delle loro mine» urlò «altrimenti tutta questa sezione delle mura sarebbe crollata!» «Per una volta abbiamo fatto qualcosa di buono. Speriamo che de la Marche riesca a tenere quel fottuto cancello!» Il tempo sembrò dilatarsi all'infinito, ma probabilmente passarono solo altri quindici minuti, prima che i soldati visibili sulle mura fossero solo gli uomini del Leone che, ancora in preda alle scariche d'adrenalina, continuavano a sporgersi oltre gli spalti per urlare insulti e minacce al nemico incuranti delle ferite subite. Un ronconiere salì in cima a un merlo, sbottonò i pantaloni e urinò giù dalle mura. Due suoi compagni sollevarono il corpo di un Visigoto tenendolo per le caviglie e i polsi e lo scaraventarono di sotto.
Ash tirò un sospiro di sollievo solo quando vide che gli ingegneri militari burgundi ebbero terminato le operazioni di rinforzo delle mura e seppe che l'attacco al cancello principale era fallito sotto i colpi degli arcieri. I Visigoti si stavano ritirando verso il loro campo facendosi scudo con i pavesi e l'ariete giaceva immerso nel fango fino agli assi delle ruote. «Merda...» Ash valutò le condizioni delle mura danneggiate insieme ai suoi ufficiali. I merli sembravano una fila di denti rotti. I sergenti ordinavano ai soldati di allontanarsi dalle mura e di lasciare che gli arcieri terminassero il lavoro. La prossima volta tenteranno di sfondare da questo punto, pensò Ash. «Posso farli smontare tutti, compresi i miei ragazzi?» chiese Angelotti che sembrava non accorgersi del sangue che gli colava lungo le dita della mano sinistra. «Sì, a questo punto è solo un inutile spreco di munizioni.» Ash lasciò vagare lo sguardo lungo gli spalti. Un balestriere aveva messo un piede nella staffa dell'arma e girava la manovella con calma. Un artigliere stava armeggiando con un archibugio di grosso calibro agganciato ai merli. Ash lo osservò dare fuoco a un pezzo di miccia a combustione lenta e riporre il resto in un secchio di sabbia incurante dello sparo. L'artigliere si chinò per ricaricare l'arma e Ash si accorse che si trattava di Margaret Schmidt. «Smettete di sprecare le cazzo di munizioni!» urlò Giovanni Petro, uno dei sergenti d'Angelotti, precedendo di qualche attimo Ash. «Non tirate sui fuggitivi. Aspettate che quei bastardi di Fiamminghi tornino indietro con i loro amichetti visigoti.» Delle risate sommesse si levarono lungo le mura. Ash si avvicinò al bordo degli spalti e vide che la maggior parte dei suoi uomini erano preda dell'esaltazione che segue una battaglia... l'esaltazione per essere sopravvissuti. Solo due ronconieri che stavano spostando dei corpi con le divise europee erano torvi. Cosciente di essere anche lei contenta di avercela fatta e inebriata da quella gioia tetra che voleva tutti gli uomini del campo visigoto morti o feriti, Ash si sporse oltre gli spalti per studiare il terreno antistante le mura, ma non vide nulla. «Devono aver controminato altrimenti il muro sarebbe crollato.» Abbiamo rischiato di perdere la città in un solo attacco! pensò. Il sole di mezzogiorno splendeva sul campo di battaglia e vide che i di-
fensori di Digione avevano disseminato di triboli il terreno intorno alle mura 183 . «Il Fuoco Greco. Pensavo che fossero dei duri» grugnì Anselm, cinico. «Che fretta!» Ash rispose con un sorriso freddo e duro. «Non avere fretta, Roberto. Torneranno.» «Dici?» «Il faris vuole entrare in fretta. Non so perché. Non dovrebbe fare altro che sedersi tranquilla e prenderci per fame. Cristo, ha fatto tirare sui suoi stessi uomini!» Sentì i muscoli delle guance che dolevano e si rese conto che il ghigno era scomparso. «Dickon Stour è morto.» Anselm sapeva che c'erano state altre perdite, tuttavia la sua voce si venò di disgusto. «'Fanculo. Povero stronzo.» Ash aiutò a sgombrare gli spalti facendo in modo che i suoi uomini tornassero ai loro quartieri. Un gruppo trasportava dei cadaveri avvolti in coperte insanguinate: Dickon Stour, due dei suoi compagni e altri sette uomini. Tra i feriti c'era Ludmilla. Non era l'unica sopravvissuta al Fuoco Greco che urlava in quel momento. Ash sapeva che Florian avrebbe consegnato la lista completa dei feriti solo tra qualche ora. Un cavaliere burgundo la raggiunse mentre stava attraversando il ponte del canale principale della città, ridotto a un rigagnolo maleodorante per via degli escrementi. «Signora capitano...» «Solo 'capitano'!» «... il duca vi manda un messaggio.» Ash sentiva ogni muscolo che le doleva, in quel momento voleva solo l'unguento che Floria usava per curare le ecchimosi, un boccale di birra scura e una scodella di minestra, tuttavia disse: «Sono agli ordini del mio duca.» «Egli mi ha detto che avete cose molto più importanti di cui occuparvi che la difesa delle mura e vi chiede di fargli sapere quando comincerete.» II Il sole di novembre scomparve in un crepuscolo grigio poco dopo i Ve183
Pezzi di ferro a quattro punte progettati in modo che le punte siano rivolte verso l'alto, non importa come il tribolo cade per terra. Erano strumenti usati per ostacolare l'avanzata della cavalleria.
spri. I feriti resistettero fino a quell'ora. Le locande che si trovavano a un chilometro di distanza dalla torre dov'era alloggiata la compagnia si riempirono di mercenari intenzionati a ubriacarsi. Mentre cavalcava per le strade, Ash si rese conto che era molto meglio non farsi vedere e lasciare a Geraint ab Morgan il compito di impedire agli uomini di trasformarsi in assassini o stupratori. Il piano superiore della torre era stato destinato all'armeria, al forziere da guerra. I bagagli di Ash giacevano sparpagliati sul pavimento ricoperto di segatura. Ash superò le due guardie alle porta salutandole con un cenno del capo. Gettò una dozzina di schizzi sul tavolo da campo dietro al quale era seduto Anselm. «Ecco.» «Hai fatto il giro delle mura.» «Due volte.» Ash si avvicinò al braciere e sfilò i guanti. Un paggio, un nuovo arrivato, corse immediatamente a prenderli. Sbuffò, sorrise e batté le mani. «Euen Huw continua a piagnucolare. Dice: 'Sfiancherà i ragazzi prima ancora dell'arrivo delle teste di tela...'» L'imitazione fedele fece ridere Robert Anselm. «Devo aver superato sei messaggeri del duca sulle mura a partire dalla Nona184 .» disse Anselm consultando i disegni che rappresentavano lo schieramento nemico. «Nessuno di loro è riuscito a trovare la minima traccia di quello che stavi cercando?» «Cristo Verde sono entrata in questa cazzo di città stamattina e abbiamo dovuto combattere. Quell'uomo non mi può dare qualche ora di respiro? Lo farò quando sarò pronta...» Ash si drizzò nel sentire i passi e le voci delle guardie. Non ci fu nessun trambusto e la porta si aprì. Floria del Guiz entrò nella stanza rossa in volto e con i capelli arruffati. Lasciò cadere il mantello e si avvicinò al braciere. «Ah, quanto mi piacciono le belle discussioni!» L'espressione del volto era dura e gli occhi rabbiosi. «Uno scambio libero e franco di pareri professionali, direi.» Robert Anselm posò le mappe. «Hai parlato con i dottori di palazzo, giusto?» «Piazza sanguisughe mezzi scemi!» Ash sentì le dita e le guance che formicolavano sotto l'effetto del calore. «Come sta il duca?» chiese. Floria si calmò e fece cenno a un paggio di aggiungere altra acqua alla 184
Le tre del pomeriggio.
coppa di vino che le era stata appena offerta. «Ho capito che hai fiducia in quell'uomo. È qualcosa di nuovo da parte tua.» «Davvero?» Ash ordinò a uno dei paggi vicino al fuoco di scaldare il resto del vino. «Già. Mi ha promesso di farmi tentare una seconda volta a Cartagine, ecco perché mi fido di lui. Per lui questa è una lotta di sopravvivenza e lui sa come impiegare un esercito. Allora: la prognosi? Tornerà in piedi? Si tratta della ferita ricevuta ad Auxonne?» «È quello che ho discusso con gli altri dottori. Ah! Lo sapevi, Ash? È stato per il nome della compagnia in cui esercito che mi hanno fatto entrare. Una 'donna dottore'.» Floria si avvicinò alla finestra, guardò fuori e posò una coscia sul davanzale. Usò le mani per descrivere delle forme nell'aria. «I chirurghi del duca mi hanno permesso di visitarlo... è stato ferito in mezzo alla schiena. Lancia, direi.» «Merda!» Floria lanciò un'occhiata ad Ash che sussultava nel sentire la notizia, quindi si girò verso Anselm e gli chiese di alzarsi. Il chirurgo afferrò il braccio sinistro dell'ufficiale inglese e lo distanziò dal corpo. Robert Anselm la fissò torvo. Floria batté un dito sull'armatura sotto il braccio sinistro. «Da quello che ho visto, la lancia ha colpito qua... è penetrata di fronte o sul fianco nella parte sinistra del corpo.» «Sarebbe dovuta rimbalzare. Le placche protettive in quel punto servono proprio a quello.» Ash si avvicinò pensierosa e posò un dito sulla giuntura che univa le placche del petto e della schiena. «A meno che non abbia colpito questo punto.» Anselm rimase immobile cercando di guardare oltre la spalla. «Un colpo violento, potrebbe aver fatto saltare le giunture e la punta sarebbe penetrata.» «Forse è scivolata dentro la placca della schiena.» Ash lanciò un'occhiata interrogativa al chirurgo. «Forse la lancia si è deformata? Può darsi che la punta si sia spezzata nella ferita.» «Ho sentito dire che si trattava di una lancia» ammise Anselm. «Qualcuno mi ha detto che de la Marche ne ha tagliato l'asta un attimo dopo che aveva centrato il bersaglio.» «Cazzo.» «Meglio che un colpo diretto. Sarebbe morto in pochi minuti.» Floria agitò la mano in un cenno di diniego. «È quello di cui ho discusso con i medici del duca! Io non credo che sia stata la lancia a ferirlo... per me
è stata l'armatura.» Il paggio si avvicinò, passò le coppe di legno ad Ash, poi ad Anselm e infine al chirurgo, dopodiché tornò ad acquattarsi vicino al fuoco del camino insieme agli altri bambini. Il vento cambiò di direzione e una nuvoletta di fumo penetrò nella stanza. «Ho visto che nella ferita del duca sono rimasti frammenti di armatura. Ho esaminato la corazza. Gli strati superficiali, quelli di metallo più duro, erano spaccati e quelli inferiori di metallo morbido erano lacerati.» Floria posò una mano sulla schiena di Anselm all'altezza della vita e Ash notò che il suo luogotenente non aveva avuto nessun moto di stizza. «In questo punto ci sono due organi a forma di fagiolo» spiegò il chirurgo. «Uno è spappolato e nell'altro, su questo almeno siamo tutti d'accordo, ci devono essere alcuni frammenti di metallo.» «Merda» imprecò Ash, quindi cercò di concentrarsi di nuovo. «Come sta, allora?» «Oh, sta morendo, non c'è dubbio.» III «Sta morendo?» Floria notò lo sguardo attonito di Ash, abbandonò immediatamente il tono professionale che aveva assunto negli ultimi minuti, intrecciò le dita e disse: «I suoi chirurghi stavano discutendo tra di loro se era il caso di operare. Non lo faranno. Non si salverebbe lo stesso, anche se un'operazione non potrebbe causare altri danni... L'hai visto in che condizioni è. Gli hai anche parlato. È da tre mesi che rimane in vita grazie alla forza di volontà. È ridotto pelle e ossa perché non mangia. Per me gli rimangono una o due settimane di vita.» «Chi è il suo erede?» domandò Anselm. «Margherita di Borgogna se vince a Bruges, se no rimane de la Marche.» «Il cuore del regno rimarrà senza difese.» «Sta morendo» ripeté Ash, ignorando Anselm. «Cristo Santo. Un paio di settimane. Sei sicura, Floria?» «Certo che sono sicura» rispose il chirurgo. «Ho visto gente ferita in tutti i modi. Salvo un miracolo, quell'uomo è andato.» Anselm svuotò la coppa e si asciugò le labbra. «Dobbiamo affidarci ai preti allora.»
«Le preghiere dei suoi preti non ottengono molte risposte. Lo vedo anche con i nostri uomini» commentò Floria. «Forse è l'aria dei fiumi. Non guariscono bene.» «Chi sa quanto è grave?» «Di sicuro? Lui, il suo dottore, noi tre, de la Marche. Credo anche le suore. Temi le voci? Chi lo sa?» Ash avvertì un sapore salato in bocca e si rese conto che stava mordendosi la nocca di un dito in corrispondenza di un'abrasione provocatale dal guanto protettivo. «Questo cambia tutto. Se dovesse morire... perché non me l'ha detto? Cristo Verde... mi chiedo se darà l'ordine di partire per il Nord Africa prima che...» Ash si interruppe. «Sta morendo. Vuoi sapere qual è la prima cosa che ho pensato quando me l'hai detto, Florian? 'Almeno non dovrò più parlare con le Macchine Impazzite.' È tutto il giorno che cerco di evitarlo e non dovrei farlo. Con la morte di Carlo i Visigoti riusciranno a superare le mura!» «E allora scopriremo se le macchine demoniache sono solo voci» sentenziò Robert Anselm in tono pragmatico. «Semplici scorregge al vento. Sapremo quello che possono fare.» Floria stava per posare una mano sul braccio di Ash, ma si trattenne. «Non puoi aver paura in eterno.» È facile dirlo per te. «Svegliami tra un'ora, Robert» disse Ash. «Mi faccio un sonnellino prima di cena.» Si rese conto che Robert e Floria si erano scambiati una rapida occhiata, ma li ignorò. La stanza diventava più fredda con l'avanzare della sera. I rumori provenienti dalla stanza sottostante indicavano che si stava riempiendo. Ash ascoltò le guardie che sorvegliavano il corridoio d'accesso e i paggi che chiacchieravano tra di loro mentre l'aiutavano a spogliarsi senza prestar loro molta attenzione perché in quel momento aveva freddo. Si sdraiò nel letto da campo vicino al camino. Sta morendo, ripeté a se stessa. Floria non ne è sicura. Solo Dio sa quando è giunta l'ultima ora per un uomo... Però nel passato ha avuto ragione riguardo la maggior parte dei feriti della compagnia. Merda. Le fiamme lambirono i ceppi umidi annerendo la corteccia. Il pezzo di legna era ridotto a un blocco di cenere che mantenne la forma finché una
folata di vento proveniente dal camino non lo sbriciolò sollevando una pioggia di scintille e una nuvola di fumo che le bruciò gli occhi. Ash li strofinò ripetutamente. Di cosa mi preoccupo? È solo uno dei tanti datori di lavoro che non ce l'ha fatta. Se non posso organizzare con lui un contingente che parta dalle Fiandre per andare in Nord Africa... non c'è tempo. Mi viene da pensare a John de Vere. Come vorrei che fossi qua, Oxford, abbiamo bisogno di uomini in gamba. Però, in questo momento, a essere onesta, gradirei avere anche la tua compagnia oltre che la tua abilità di soldato. I dolori della battaglia cominciavano ad attenuarsi. Ash si massaggiò una spalla chiedendosi in quale momento della battaglia avesse ricevuto i colpi che le avevano provocato i lividi sulle mani e sulla schiena. Cominciò a addormentarsi. Stava per scivolare in un sonno profondo, quando la brezza fredda che entrava dalla finestra si trasformò in un vento di tempesta. Vide la neve e il cielo azzurro sopra la testa. Ash ebbe l'impressione di essere inginocchiata nella neve in una foresta. Di fronte a lei c'era un cinghiale riverso sul fianco. Il terreno era stato arato dagli zoccoli. Fissò il ventre rigonfio, il posteriore e i capezzoli eretti della bestia. Il cinghiale si contorse improvvisamente e piegò le zampe. Una massa blu e rossa fuoriuscì parzialmente dal corpo. Non nella neve, pensò Ash. La bestia inarcò nuovamente la schiena espellendo dalla vagina prima il muso poi il corpo a forma di lacrima. Il cucciolo cadde nella neve puzzolente con il corpo sporco di muco. La bestiola si girò con le zampe che scalciavano in aria. Stava cercando il capezzolo della madre quando questa emise un suono a metà tra un grugnito e uno sbuffo. Ash vide che cominciava a muoversi, sembrava che volesse alzarsi. «No...» il tono di voce di Ash era così roco che rischiò di svegliarsi, ma lei scelse di rimanere in quel luogo di sogno. Ash cercò di muoversi, ma, come spesso succede nei sogni, l'aria sembrò assumere la densità del miele. La luce del sole si rifletteva su ogni fiocco di neve. Afferrò il cucciolo e cercò di avvicinarlo alla pancia della madre. Le fauci si chiusero a vuoto nell'aria. Ash ritirò le mani.
In quel momento la scrofa sembrò notare il cucciolo, aprì la bocca, staccò il cordone ombelicale con un morso, dopodiché tornò a guardare davanti a sé. Il cucciolo, incurante del fatto che la madre non si curava di lui né lo leccava, si attaccò a un capezzolo e cominciò a succhiare con vigore. «Non nella neve» borbottò Ash. «Non può sopravvivere.» «Sono successe cose molto strane. Deo gratias.» «Godfrey?» «È difficile raggiungerti!» Il passo pesante di Robert Anselm fece tremare il pavimento mentre la superava per andare a controllare il vino vicino al fuoco. Ash si girò di schiena e aprì gli occhi. «Sono io che decido quando farmi trovare» sussurrò tenendo la bocca contro la coperta. «Potresti essere un dèmone. Dimmi qualcosa che solo tu potresti sapere.» «Quando lavoravi a Milano come apprendista armaiolo, il tuo padrone ti faceva dormire sotto il tavolo da lavoro, non potevi entrare nelle locande e non potevi sposarti se prima non avevi il suo permesso. Io ti facevo visita spesso e tu mi dicevi che avresti voluto aprire un'armeria o metterti nel commercio delle armi.» «Buon Dio, sì! Mi ricordo...» «Dovevi avere circa undici anni, da quello che potevamo vedere. Mi dicevi che eri stufa di rompere le teste degli altri apprendisti. Credo che lo facessi con la scopa.» La voce nella testa di Ash assunse una venatura divertita. «Godfrey, tu sei morto. Ti ho visto, ho toccato la ferita.» «Sì, ricordo.» «Dove sei?» «Nel nulla. In mezzo al tormento. In purgatorio.» «Cosa sei diventato... Godfrey?» Gli lascio dire che è un'anima, pensò Ash piantando le unghie nel palmo della mano. Tutt'intorno a lei la compagnia era impegnata nella solita routine. Udì la voce di Angelotti, quella di Thomas Rochester e Ludmilla Rostovnaya che si lamentava delle ustioni e della bendatura. «Cosa sei diventato?» sussurrò nuovamente, sfruttando il rumore intorno a lei per coprire la voce. «Un messaggero.» «Un messaggero?» «Sono immerso nel buio, continuo a pregare e ricevo le risposte. Sono risposte per te, bambina. Ho cercato di parlarti per riferirti questi messaggi.
Ti rilassi solo quando stai per addormentarti.» Ash avvertì i capelli che le si rizzavano sulla nuca. Anche se era sdraiata sentì il corpo che si tendeva come se stesse per rispondere a un attacco imminente. Rivide per un attimo le centinaia di scontri e schermaglie a cui aveva preso parte e ripensò alla voce che, chiara nella sua testa, le diceva quando attaccare, attendere o ritirarsi. Era il Golem di Pietra: la machina rei militaris. Quella che stava udendo in quel momento era la stessa voce solo che era in qualche modo diversa, come illuminata da una nuova presenza che la cambiava del tutto. «Sei tu» disse Ash con gli occhi colmi di lacrime. «Non m'importa cosa è successo. Non m'importa se c'entrano dèmoni o miracoli, ma farò di tutto per riportarti indietro, Godfrey.» «Non sono più l'uomo che conoscevi un tempo.» «Non me ne frega niente se sei diventato un santo o uno spirito. Stai per tornare a casa.» Ash si coprì il volto con le mani. «Riesci a parlare con me solo quando parla il Golem di Pietra? Anche tu riesci a sentirlo, Godfrey?» «Sento una voce dentro di me che parla di guerra. Visto che sono diventato... questo... quanto sento dovrebbe essere la machina rei militaris. Ho cercato di sfruttarla per parlare con i Cartaginesi, ma credono che le mie parole siano frutto di una disfunzione nella macchina.» Ash scoprì il volto e vide che erano state accese le candele. Era sdraiata su un lettino da campo circondata dai suoi uomini, non si trovava in mezzo alla neve o in una cella a Cartagine. La luce gialla le balenò davanti agli occhi dopodiché avvertì un'ondata di caldo seguita immediatamente dopo da una di freddo. «Mia sorella ti sta parlando?» «Non con me. Ho provato a comunicare con lei, ma non ne vuole sapere di parlare con me né con la machina rei militaris.» «Non...?» È successo da quando le ho parlato la scorsa notte. Merda! Se... «Gesù! Se quello che mi dici è vero, allora non è ricorsa al suo aiuto quando ha ordinato di attaccare le mura...» «Le mura?» Ash scosse la testa e sussurrò: «Non importa! Non in questo momento! Se è stata lei a decidere di tirare sui suoi stessi uomini quella è stata proprio una scelta pessima.» «Bambina, io sono perso.»
«Però puoi sentirla se parla alla macchina, giusto?» «Io sento tutto.» «Tutto?» Ash sentì il pavimento che scricchiolava e sussultò. Al piano sottostante circa duecento uomini in libera uscita stavano rientrando. «Godfrey, ho dato la mia parola che parlerò ancora con il Golem di Pietra. Ho paura, anzi ho paura di quello che posso sentire dalle altre macchine» ammise Ash, muovendo appena le labbra. «Il nome che si sono date è 'Macchine Impazzite', come se la machina rei militaris fosse buona e mansueta!» Ash cadde preda della paura e dello stupore. Non può conoscerle, pensò, è morto prima che le contattassi! Questo però è Godfrey e sa tutto. «Come fai a sapere di loro?» «In questo luogo parlo con più di una voce, figliola. Ho cercato di parlare con te, ma hai creato un muro che mi tiene a distanza, quindi ho dovuto ascoltarle. Forse questo è il bordo dell'inferno e sto sentendo le voci dei grandi diavoli che parlano tra di loro.» «Cosa... dicono?» «Dicono che mi stanno studiando...» La voce di Godfrey portò l'eco di quella delle Macchina Impazzite e Ash sentì la mente squassarsi. «Forse vogliono sapere come sono fatte le persone» disse. «Solo il Cristo Verde sa perché!» aggiunse in tono sarcastico. «Hanno avuto duecento anni per ascoltare i rapporti militari dell'impero visigoto. Sapranno tutto quello che c'è da sapere sulla politica, la corruzione e il tradimento!» «Sento le loro voci nell'oscurità che affermano di studiare la grazia di Dio nell'uomo... dicono che la scorsa estate hanno fatto scomparire il sole dalle Germanie e che era solo una prova della loro forza.» Ash rabbrividì. «Le hai sentite parlare in questo modo? Sono le cose che hanno detto a me.» «Era solo una dimostrazione di forza. Ma non era per quel motivo, non era concepita per oscurare la Cristianità. L'hanno fatto per trarre maggiore energia dal sole. Un'energia che non è ancora stata del tutto usata.» «Hanno tratto energia dallo spirito stesso del sole. Le ho sentite dire che in diecimila anni non avevano mai ricavato tanta energia come nella scorsa estate.» Ash si umettò le labbra secche. «La prossima volta che succederà useranno il faris per compiere un miracolo. Quello che non capisco è perché non l'hanno ancora fatto...»
«Esse ricavano l'energia dal sole, come noi preghiamo i santi per ricevere la grazia divina» disse la voce di Godfrey Maximillian, in tono agonizzante, ma determinato. «Come io ho usato la grazia di Dio per compiere dei piccoli miracoli, esse creeranno un canale per compiere i loro di miracoli. Succederà molto presto.» «Sì, ma Godfrey...» Una voce, composta da molte altre, fece irruzione nella sua mente con tale violenza che Ash si morse la lingua. «È LEI!» Ash si sedette di scatto sul lettino. «Chiamate il prete!» Tutti si girarono a fissarla. «Mi hanno trovata.» IV «È troppo pericoloso parlare con i dèmoni!» protestò Robert Anselm. «Abbiamo bisogno di te qua. Devi comandare la compagnia. I dèmoni potrebbero... farti impazzire.» Hai bisogno di me per comandare la compagnia? pensò Ash. È solo quello? È questo quanto hai scoperto negli ultimi tre mesi? Merda, Roberto. Cosa è successo? «Si tratta proprio di meister Godfrey, Madonna?» chiese Angelotti, tranquillo. «È ancora vivo?» «No, è morto. È...» Ash incespicò sulle parole. «È la sua anima. Conosco l'anima di Godfrey quanto la mia.» Sorrise. «Anche meglio.» Floria posò una mano sulla spalla di Ash che avvertì il calore della mano contro la pelle fredda del collo. «Cos'era il prete per te?» Si rivolse ad Angelotti. «Non vale la pena perdere la ragazza per lui» disse. L'artigliere, solitamente pulito e ordinato, sembrava che finalmente avesse preso parte a una campagna. Le rughe gli incorniciavano i lati della bocca e gli occhi erano infossati. Una fasciatura sporca di sangue avvolgeva il braccio sinistro dalla spalla al gomito. «Ash mi ha salvato la vita e meister Godfrey ha pregato con me. Se posso fare qualcosa per aiutarlo lo farò.» «Cosa succederà se sarai posseduta nuovamente dai dèmoni?» «È troppo pericoloso» disse il chirurgo. «Ho firmato una condotta. Il duca ha diritto di chiedermelo, anche se sta
morendo.» Ash allungò le braccia verso i paggi. «Lo farò solo una volta ragazzi. Meglio che sia io a parlare con le Macchine Impazzite. Sanno che sono viva e potete scommettere che vorranno parlare con me!» Uno dei paggi terminò di abbottonare i pantaloni al farsetto e le passò una tunica corta che Ash si infilò. «Allora?» chiese Robert Anselm. «Se c'è una cosa che abbiamo sempre saputo, Roberto, è che dobbiamo ottenere tutte le informazioni possibili, altrimenti la compagnia è fottuta. Sono io che decido.» Ash scrollò le spalle. «Digorie, Richard.» I due preti della compagnia fecero capolino dalla scala a chiocciola. Digorie Paston sembrava entusiasta, mentre Richard Faversham lo seguiva simile a un gigantesco orso. «Capitano.» Digorie Paston, che portava la stola di sghimbescio sulle spalle, si guardò intorno. «Sgombrate la stanza. I paggi dovranno portare acqua pulita e pane. Dovranno andare via tutti tranne mastro Anselm, mastro Angelotti e... il chirurgo.» Arrossì fino alla punta delle orecchie. «Mastro Anselm, mastro Angelotti, voi vi occuperete della porta.» «Solo un attimo.» Ash portò i pugni sui fianchi. «Per favore, capitano» disse il prete. «Si tratta di un esorcismo.» Ash lo fissò per un lungo minuto. «Già... potrebbe diventarlo.» «Allora lasciate che io e padre Faversham facciamo il necessario. Avremo bisogno di tutta la grazia di Dio che potremo ottenere.» Sul soffitto danzavano le ombre provocate dalla luce delle candele. Ash si avvicinò al camino, incrociò le braccia sul petto e osservò i preti che sgomberavano la stanza senza fretta. Richard Faversham cominciò a far ondeggiare un turibolo spandendo l'incenso in tutta la stanza e il corridoio seguito da Digorie Paston. I due salmodiavano ad alta voce comparendo per qualche breve attimo quando passavano vicini alle finestre aperte nelle pareti interne. «Allora stai per farlo?» domandò Floria, rassegnata, mentre raggiungeva Ash. «Qualcuno deve farlo.» «Lo devono fare?» «Per vincere questa...» «Oh, la guerra» Floria diede la schiena alle fiamme e per un momento Ash ebbe l'impressione di essere osservata dagli occhi di suo marito. «Sanguinosa, inutile, distruttiva...! Riuscirò mai a fartelo entrare in testa? La maggior parte delle persone passano la loro vita a cercare di costruire
qualcosa.» «Non quelle che conosco io» rispose Ash, tranquilla. «Tu, forse, sei l'unica eccezione.» «Io passo la vita a rimettere insieme gli uomini che tu hai mandato al macello. A volte ne ho fin sopra i capelli. Oggi ne sono morti dieci su quel muro!» «Tutti moriamo, prima o poi» disse Ash. Floria cominciò a girarsi e lei l'afferrò per un braccio. «Tutti moriamo, prima o poi» sentenziò. «Non importa se coltivi la terra, vendi lana o passi tutta la vita chiusa in un convento a pregare. Quattro cose si abbattono su questo mondo regolari come le stagioni: la fame, le pestilenze, la morte e la guerra185 . Tutto questo succedeva da molto prima che io nascessi e continuerà ancora per molto. La gente muore. Ecco tutto.» «E tu segui i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse perché ti piace e ti pagano bene.» «Smettila di cercare la rissa, Floria. Non ne ho voglia. Non si tratta solo di questa guerra. Non è solo una brutta guerra. Si tratta di una distruzione totale...» «La morte è morte» sbottò Florian. «Non penso che alle vittime civili importi molto se la guerra in cui crepano è 'giusta' o 'sbagliata'!» «Christus Imperator, Christus Viridianus.» Le voci di Paston e Faversham echeggiavano contro le pareti alzandosi e abbassandosi di tono. Angelotti e Anselm, che si trovavano nella zona in ombra della stanza, potevano essere scambiati per due qualsiasi dei suoi soldati. Sembrava che l'artigliere stesse tenendo una conversazione sottovoce con Anselm che la fissava, torvo. Impaziente, Ash guardò le finestre chiuse e le casse dell'armeria. «Ah, già, mentre mi ricordo... Florian... Ho visto Soeur Simeon nella Torre Philippe le Bon. Rivuole indietro la tua Margaret Schmidt. Quella sì che è stata una bella sorpresa... non mi sarei mai aspettata di vederla tra gli artiglieri. Pensavo che l'avresti nominata tua assistente.» «Non è la 'mia' Margaret Schmidt.» «Oh!» esclamò Ash, consapevole di essere stata colta alla sprovvista. Floria la fissò con un'espressione che era in parte torva e in parte divertita. «Qualunque cosa tu ti sia aspettata... no. Lei... sembra che si sia arruolata nella compagnia come apprendista artigliere.» Ash non sapeva bene cosa dire, si sentiva persa. «Starà bene» la rassicu185
Apocalisse, capitolo 6.
rò, mentre aspettava che la benedizione finisse. «È con uno degli uomini migliori di Angelotti, l'addestrerà come si deve.» Florian fissò Ash negli occhi. «Non riesco proprio a fartelo capire, vero? Le stanno insegnando a uccidere altri uomini! Non per difesa, neanche per il suo signore. Per denaro. Finirà con il piacerle. E se invece ne rimarrà disgustata? Cosa ne sarà di lei? Non può tornare indietro.» «Non sono stata io a dirle di unirsi a noi» scrollò le spalle Ash, tranquilla. «È troppo giovane per ragionare con la sua testa!» I due preti rientrarono nella stanza continuando a intonare la benedizione solenne. «Va bene» disse Ash, autoritaria «farò quello che faccio con ogni nuova recluta. Stanotte la metterò di guardia sul muro est, quello che dà sull'Ouche. Nessuno attaccherà da quel lato, ma farà un freddo del diavolo.» Lanciò un'occhiata ai due preti, quindi tornò a concentrarsi su Floria. «La maggior parte dei ragazzi mollano subito dopo. Possono dire di essere stati al fronte e si sentono a posto con il loro orgoglio. Se vuole andare via, non avrò nulla in contrario a lasciarla andare. Ma se vuole restare non potrò fare nulla, Florian. Abbiamo bisogno di lei. A meno che non riceviamo rinforzi da fuori, abbiamo bisogno di ogni singolo individuo.» Il silenzio improvviso che era sceso nella stanza fece capire ad Ash che la benedizione era finita. Faversham e Paston la fissarono arrabbiati. Floria guardò i due preti in attesa. «Ragazza... non hai pietà per nessuno, vero?» Le labbra di Ash si piegarono in una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso se il volto non fosse stato rigido per la paura. «Ti sorprenderò.» «Il... chirurgo... dovrà assistere. Il rito potrebbe essere pericoloso» avvertì Digorie Paston. «Va bene.» Ash posò le mani sulla cintura e si accorse di averla lasciata sul letto insieme al fodero con la daga. «Digorie, Richard, voglio che preghiate per me e quando ve lo domanderò. Voglio che preghiate Dio affinché zittisca le voci tra la mia anima e il Golem di Pietra.» Floria alzò lo sguardo. «Vuoi tagliare il legame che ti congiunge alle Macchine Impazzite? Il duca non sarà affatto contento.» «Porrò le domande che lui mi ha chiesto. Se Godfrey ha ragione, ho spaventato il faris al punto da non farle più usare la machina rei militaris. Per il momento non saprò nulla sulle sue tattiche e tutti sappiamo qual è
l'obbiettivo di Cartagine.» «Potrebbero cambiarlo e non lo sapremmo.» «Quelle cose... mi hanno fatta girare, Florian.» La voce di Ash si era assottigliata. «Mi hanno costretta a camminare verso di loro. Oh, sì, siamo molto distanti da Cartagine, ma non succederà di nuovo. La vita di altre persone dipende da me.» «E Godfrey?» Prima che Ash potesse rispondere, Digorie Paston la prese per mano e la fece avvicinare al camino. Le fiamme avvolgevano i ceppi. La stanza polverosa era piena di spifferi freddi e ombre danzanti. Il religioso la tirò verso il basso con insistenza e Ash si inginocchiò. Le sculture sull'architrave sembravano fissare la scena con aria minacciosa. Le ombre lambivano gli occhi e il fogliame intorno alla raffigurazione del Cristo Verde. Digorie Paston prese la forma di pane nero, la spezzò e Richard Faversham l'asperse con l'acqua e il sale. «Fuoco, sale e la luce della candela: Cristo ricevi la sua anima...» Ash chiuse gli occhi escludendo dalla vista i volti dei due preti e quello di Floria, che passeggiava nervosa al limitare del cono di luce proiettato dalla candela e le voci di Anselm e Angelotti. Si era escoriata le ginocchia durante la battaglia e il pavimento era molto duro. «Non ti serve a niente guidare un attacco, figliola! È un peccato tentare la Morte in questo modo.» Un tozzo di pane salato le toccò le labbra. Ash prese in bocca il boccone che assunse una consistenza gelatinosa. «Come diavolo...» deglutì «... fai a sapere quello che ho fatto oggi, Godfrey?» «Stavi pregando il Nostro Signore o la machina rei militaris. Entrambi, forse. Ti ho sentita: 'Lasciami in vita finché non mi raggiungono gli altri!' Non so dove e come hai combattuto, ma non sono uno stupido e ti conosco.» «Va bene, ero in prima linea. Alle volte è necessario. Non era una mossa suicida, Godfrey.» «Ma neanche molto sicura.» Ash rise, ingoiò il boccone di pane e rischiò di tossire. Aveva gli occhi chiusi, ma gli altri sensi erano tesi al massimo. La parte del suo essere che aveva sempre condiviso con la voce in quel momento era pervasa da gioia, gentilezza e amore. Le lacrime le bruciarono gli occhi, ma Ash riuscì a evitare di piangere. Nel profondo della sua mente sentiva che c'era spazio
anche per le altre voci. «Cosa succede quando si muore?» Non era proprio la domanda che voleva fare. Udì la benedizione pronunciata da Digorie Paston e il secco amen di Richard Faversham. «Cosa posso dire? Questo è il limbo, il purgatorio. Questo è il dolore. Non sono nella Comunità dei Benedetti!» «Godfrey...» Ash fu pervasa dall'angoscia che venava la voce dell'amico. «Ho bisogno di vedere il volto di Dio! Me l'avevano promesso!» Sentì una fitta di dolore e aprì gli occhi per un attimo accorgendosi che aveva piantato le unghie di una mano nel palmo dell'altra. «Ti troverò.» «Sono... nel nulla. Non mi puoi trovare. Sono privo d'occhi per vedere e mani per toccare. Sono qualcosa che ascolta. È tutto buio qua intorno. Le voci... mi perseguitano. Mi espongo a loro... Le ore, i giorni... sono passati degli anni? Qua ci sono solo voci...» «Godfrey!» «Nient'altro che il buio e i grandi diavoli che mi divorano!» Ash allungò le mani e sentì che qualcuno rispondeva alla stretta. Erano mani rovinate dal freddo e dal lavoro, ma le strinse come se fossero quelle di Godfrey Maximillian. «Non ti lascerò.» «Aiutami!» «Tenteremo di tutto. Abbi fiducia. Di tutto! Troverò qualcuno che possa aiutarti.» In quel momento Ash si sentiva pervasa dalla stessa determinazione che tirava fuori durante un combattimento. Era pienamente convinta di quello che diceva. Il fatto che il salvataggio di quell'uomo si rivelasse un'impresa impossibile non era niente paragonato alla necessità di raggiungerlo. Una risata gentile echeggiò nella mente di Ash. «È la stessa cosa che dicevi prima delle battaglie più disperate.» «È vero.» Ash si mise ad ascoltare dentro di sé, sondando la zona vuota della sua anima in cerca delle voci più potenti di quella di Dio. «Quanto tempo è passato dall'ultima volta che abbiamo parlato insieme?» «Minuti... neanche un'ora.» «Non saprei, figliola. Il tempo non significa nulla in questo luogo. Una volta lessi gli scritti del d'Aquino il quale sosteneva che un anima può
permanere all'inferno anche solo un attimo, ma per il dannato quell'attimo rappresenta l'eternità.» Ash provò per qualche secondo la tristezza dell'amico deceduto. «Hai sentito mia sorella?» gli chiese in tono brusco. «Ha parlato ancora con il Golem di Pietra?» «Una volta sola. In principio ho pensato che fossi tu. Ha informato Cartagine che sei ancora viva, avvertendoli che sei in grado di ascoltare la machina rei militaris, che puoi fare delle domande e ottenere risposte. Ha detto al califfo-re che in questo momento c'è qualcuno che origlia.» Nelle orecchie di Ash echeggiavano il suono del suo respiro e il sussurro nella sua mente. «Siete molto diverse voi due.» «In che senso? No, dimmelo dopo.» Le ginocchia le facevano male, ma il dolore le permise di concentrarsi. «Dimmi quanti uomini sono accampati fuori dalla città e quali sono gli ultimi messaggi che ha ricevuto dalla Spagna e da Venezia. Vorrei sapere a quanti uomini ammonta il contingente a nord... So che aveva altre due Legioni quando eravamo a Basilea che adesso devono essere nelle Fiandre!» «Io... penso di poterti riferire le risposte della machina rei militaris.» Ash chinò il capo in avanti continuando a stringere le mani dell'uomo di fronte a lei. «E... devo parlare con le Macchine Impazzite, se ci riesco. Rimarrai al mio fianco?» Per la prima volta da quando era entrata in contatto con l'anima del prete, Ash si accorse che si era creata una netta divisione. La tristezza di Godfrey la investì. «Quando ero un ragazzo» spiegò l'anima «amavo trascorrere le mie giornate nelle foreste. Mia madre mi fece diventare prete. Io avrei voluto stare all'aria aperta con gli animali. Io amavo il monastero dove ho studiato quanto tu amavi quello di santa Herlaine. Sono stato picchiato brutalmente quanto te, Ash. Continuo a essere convinto che Dio non voleva che facessi il prete, tuttavia mi ha concesso la grazia di compiere piccoli miracoli e il dono di entrare nella tua compagnia. Ne è valsa la pena. Sulla terra, come qua, io sarò al tuo fianco. L'unica cosa di cui mi rammarico è di non poter più guadagnare la tua stima.» Ash scaraventò il 'ne è valsa la pena' nella parte più oscura della sua mente, ignorandolo. I muscoli del petto si irrigidirono e prima di perdere
del tutto il coraggio disse: «Posizione delle truppe impiegate nell'assedio di Digione.» «VI Legione Leptis Parva» disse Godfrey parlando con la voce della machina rei militaris «quadrante nord-ovest. Truppe di schiavi in numero di...» «È LEI...» La mente di Ash fu pervasa dallo stesso silenzio che aveva avvertito quando era passata tra le piramidi nel deserto. Per un attimo ebbe l'impressione che le mani di Digorie Paston e le assi del pavimento fossero scomparse. «Figlio di puttana...» Ash riaprì gli occhi e il volto si contrasse in una smorfia. Richard Faversham la teneva per le spalle e Digorie continuava a stringerle le mani. Vide i volti di Anselm, Angelotti e Floria, ma le sembrarono lontani come se si trovassero sul campo di battaglia. Strinse le mani ossute del prete. «Godfrey!» Non udì nessuna risposta. Sentì il gelo che cominciava a espandersi nella mente, si immerse in se stessa e le sembrò di essere diventata sorda e muta. Allora, non possono arrivare fino qua, pensò. Cristo per tutto il tragitto da Cartagine fino a qua...! Come mai riesco a comunicare con il Golem di Pietra e non con loro? «Godfrey!» «Sono sempre qua» sussurrò la voce del prete. «È LEI. SEI TU, PICCOLA...» Le vite di Thomas Rochester, di Ludmilla Rostovnaya, di Carracci, di Margaret Schmidt e di tutti gli altri non sono un motivo abbastanza valido per giustificare quello che sto facendo, pensò Ash. Nessuno è indispensabile. In quel momento era solo una donna esposta al vento freddo e al calore del camino. Una donna inginocchiata sul pavimento di una stanza che intonava mentalmente una preghiera che non recitava più da quando era bambina: Leone, proteggimi. Ricordò i pezzi d'intonaco che si sbriciolavano sotto gli zoccoli del cavallo mentre passavano in mezzo alle piramidi e la sensazione d'intontimento provocata dal silenzio e dal freddo. «SAPPIAMO CHE CI SENTI» dissero le voci nella sua mente parlando all'unisono. «No? Davvero?» rispose Ash, inacidita. Rimase in ginocchio, sfilò le mani da quelle del prete e sentì la morsa del dolore che si allentava. Si
sedette sui calcagni. Sentiva che non c'era nessuna forza estranea che cercava di impedirle quei movimenti. «Non potete raggiungermi» disse, sollevata. «Potrei essere ovunque.» «È VERO, PERÒ SEI A DIGIONE. È STATA LA FIGLIA DI GUNDOBAD A DIRLO.» «Non credo. Forse potrà averlo riferito al Golem di Pietra nella casa di Leofric, ma non a voi perché non vi ascolta.» «NON IMPORTA. ASCOLTERÀ QUANDO VERRÀ IL MOMENTO GIUSTO. PICCOLINA, PICCOLINA, SMETTILA DI RESISTERCI.» «'Fanculo.» Ash aveva sempre voluto che tutti la vedessero nelle vesti del mercenario. Un individuo sboccato, allegro, brutale e indistruttibile. Se c'era qualcos'altro sotto quella superficie, l'adrenalina che scorreva in lei non gli permetteva di emergere. «Non siete Impazzite.» Le lacrime le solcavano le guance, ma Ash non sapeva dire se erano frutto del dolore o del divertimento. «Siamo stati noi a costruirvi. Molto, molto tempo fa... per sbaglio... ma siamo stati noi a crearvi. Perché ci odiate? Perché odiate la Borgogna?» «HA ASCOLTATO.» «HA CONDIVISO.» «SA QUELLO CHE SAPPIAMO NOI.» «POCO QUANTO NOI.» «CONOSCE L'INIZIO, MA CHI È IN GRADO DI DIRE COME ANDRÀ A FINIRE?» Le voci, che avevano parlato intrecciandosi, erano colme di dispiacere. Ash batté le palpebre rapidamente e in un attimo scorse le fiamme del camino e la pietra annerita da secoli di accensioni. Nel punto in cui le fiamme ardevano con più energia il calore aveva spaccato la pietra. La crepa ricordò ad Ash quelle che aveva visto formarsi nelle pareti del palazzo reale di Cartagine durante il terremoto. «SAPPIAMO COME ANDRÀ A FINIRE...» «LA MALVAGITÀ DELLA CARNE!» «PICCOLE CREATURE MALVAGIE CHE NON MERITANO DI VIVERE...» «... A CAUSA DELLA VOSTRA EMPIETÀ...» Ash piantò le unghie nel palmo della mano. «Non lasciatevi influenzare da duecento anni di storia cartaginese» rispose ironica. Ebbe l'impressione di avvertire una venatura di mesto divertimento die-
tro il vociare assordante delle voci nella sua mente. Godfrey? «CARTAGINE NON SIGNIFICA NULLA...» «... I VISIGOTI SONO NULLITÀ...» «GUNDOBAD PARLÒ CON NOI MOLTO PRIMA DI LORO...» «IL PIÙ MALVAGIO TRA GLI UOMINI!» «LO RICORDIAMO!» «LO RICORDIAMO...» «TI SEPPELLIREMO PICCOLA CREATURA DI CARNE.» L'ultima eco la fece sussultare. Ash sentì un sapore metallico in bocca e si accorse di essersi morsa la lingua. «Non preoccupatevi» disse ai compagni presenti nella stanza continuando a tenere gli occhi chiusi. «Se potessero provocare un terremoto anche qua l'avrebbero già fatto. Se non è successo nulla è perché non possono.» «NE SEI TANTO SICURA, PICCOLA?» Un brivido corse lungo la spina dorsale di Ash. Piccola, pensò disgustata. È Godfrey che si rivolge a me in questo modo, devono averglielo carpito. «C'è qualcosa che vi sta fermando» continuò ad alta voce. «Secondo quello che mi avete detto il faris non ha bisogno di un esercito!» sentenziò, sarcastica. «È la figlia di Gundobad, è una fautrice di miracoli, può ridurre la Borgogna a un deserto con un semplice schiocco delle dita. L'unica cosa che dovete fare è pregare il sole e... bang! ecco fatto. Un solo miracolo. Perché non l'avete ancora compiuto?» La veemenza con la quale aveva parlato la proiettò nello stato di concentrazione in cui cadeva ogni volta che maneggiava la spada e si mise in ascolto. Un impatto privo di suono le fece sfuggire un grugnito. La bocca bruciava. Alzò le mani, aprì gli occhi, vide il sangue e si rese conto di essersi morsa un labbro. Qualcuno al suo fianco disse qualcosa in tono brusco. Ash non riuscì a rispondere e agitò una mano per dire ai presenti di rimanere fermi dov'erano. Si sentiva intontita e priva di fiato come le succedeva da bambina un attimo prima di toccare terra ogni volta che cadeva da cavallo. Si irrigidì, ma non sentì nessun dolore fisico. «NON PUOI SENTIRCI SE DECIDIAMO DI IMPEDIRTELO. NON CI PRENDERAI PIÙ DI SORPRESA.» «Merda, no.» Ash si passò la mano sulla bocca sentendo il sangue appiccicoso sulla pelle. «No, signori.»
«NON TI CAPIAMO.» «È vero. Benvenuti nella congrega» rispose. Ash sentiva che l'amarezza e la confusione che aveva sentito dentro di lei era stata spazzata via dal suono delle voci. Il sangue che si rapprendeva le tirava la pelle. Tastò il taglio con la punta della lingua, pensò che sarebbe stato doloroso e ingoiò il bolo di saliva e sangue che si era formato. «Non potete tenermi lontana per sempre.» Nessuna risposta. «Cosa vi costa dirmelo? Fa già freddo. Avete oscurato il sole e nella vostra terra fa freddo. Molto presto non avrete bisogno del faris o del miracolo perché l'inverno ci ucciderà tutti.» «L'INVERNO NON COPRIRÀ TUTTO» risposero le voci all'unisono. «Dannazione!» Esasperata, Ash batté un pugno sulla coscia. «Perché la Borgogna è tanto importante per voi?» «POSSIAMO CONSUMARE LO SPIRITO DEL SOLE...186 » «POSSIAMO USARE IL SUO POTERE, INDEBOLIRLO E PORTARE L'OSCURITÀ...» «OSCURITÀ, FREDDO E INVERNO...» «... MA ...» «L'INVERNO NON COPRIRÀ TUTTO IL MONDO.» Ash aprì gli occhi. Robert Anselm si era acquattato di fronte a lei con una mano sull'elsa della spada. Dietro di lui Angelotti gli aveva posato una mano sulla spalla. I due la osservavano. Floria si era acquattata tra i due preti lasciando penzolare le braccia tra le cosce. Le dita delle mani toccavano il pavimento. «L'INVERNO NON COPRIRÀ...» «... TUTTO!...» «L'OSCURITÀ NON AVVOLGERÀ TUTTO IL MONDO.» «In nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti» cominciò a sussurrare Richard Faversham in tono roco. «'L'oscurità non avvolgerà tutto il mondo'...?» Non chiuse gli occhi, ma la presenza delle voci richiamò la sua attenzione facendole dimenticare le persone nella stanza. Un'ondata di dolore rischiò di travolgerla. «... L'INVERNO POTRÀ DISTRUGGERE IL MONDO, MA PER 186
Mi chiedo se usando la parola 'energia' la traduzione sarebbe più comprensibile per il lettore moderno. Forse potrei usare 'energia solare'? Forse si riferisce all'elettromagnetismo del sole?
LUI.» «L'OSCURITÀ POTRÀ AVVOLGERE TUTTO IL MONDO... MA PER LUI.» «NON POSSIAMO RAGGIUNGERLO...» «LA BORGOGNA SPARIRÀ SOLO AL SUO COMANDO...» «LEI DISTRUGGERÀ LA BORGOGNA. SARÀ IL NOSTRO MIRACOLO OSCURO E AVVERRÀ ALLA MORTE DEL DUCA.» «Tutto il mondo» disse Ash. «QUANDO SARÀ MORTO...» «... PORTEREMO LA DESOLAZIONE, IL DESERTO...» «VERRÀ IL NULLA: SARÀ COME SE LA BORGOGNA NON FOSSE MAI ESISTITA...» «DOPODICHÉ TUTTO...» «IL MONDO INTERO...» «... IL MONDO INTERO SARÀ MONDATO E PURIFICATO...» «... LIBERO DALLA CARNE; DALLA CARNE MALVAGIA E DISTRUTTRICE; LIBERO...» «COME SE NON FOSTE MAI ESISTITI.» Le voci scomparvero. Ash sentì il pavimento ondeggiare sotto i piedi. Un attimo dopo era tornato solido, ma lei perse l'equilibrio e si adagiò sul sedere. Richard Faversham l'afferrò e Ash si ritrovò le spalle cinte dalle braccia da fabbro del prete. La sua anima era pervasa da un silenzio carico di desolazione e privo di voci, neanche quella di Godfrey. Fu travolta da una grande stanchezza. «Avete pregato?» chiese Ash. «Per scacciare le voci e i dèmoni» confermò Faversham. «Direi che ha funzionato...» Tirò su con il naso senza sapere se era prossima a ridere o piangere. «Godfrey, Godfrey.» «Sono con te» rispose una voce gentile all'interno della sua anima. «Figlio di puttana.» Diede un pugno amichevole sul braccio di Digorie Paston. «L'esorcismo non ha funzionato. Proprio no, ma non so se è poi così importante...» Fissò il volto di Floria. «Cos'hai scoperto?» le domandò il chirurgo. «La Borgogna non è un obbiettivo» spiegò Ash. «È un ostacolo.» «Che cazzo dici, ragazza?» ringhiò Anselm. Ash rimase appoggiata al prete perché non pensava di poter stare in piedi o seduta senza un ausilio. Si sentiva debole e febbricitante.
«La Borgogna non è un obbiettivo, ma solo un ostacolo» ribadì alzando lo sguardo per fissare il volto sudato di Robert Anselm. «E non so il perché! Continuavano a dire che dovevano distruggere la Borgogna... ma questo non è il loro scopo principale. Dopo la scomparsa della Borgogna...» Rabbrividì: era stanchissima, esausta. «Si vogliono sbarazzare di noi. Degli uomini. Di tutto il genere umano. La Borgogna... anche Cartagine. Sono... come dei contadini che appiccano il fuoco al granaio per sbarazzarsi dei topi. È questo il motivo che li spinge a voler attuare il 'miracolo oscuro'. Dicono che dopo la scomparsa della Borgogna potranno estendere l'Oscurità su tutto il mondo.» V «Devo vedere il duca! Immediatamente!» decise Ash. Floria, che teneva una candela vicino al volto di Ash, smise di esaminarle gli occhi e si concentrò su di lei. «Sì, certo. Vado a parlare con gli altri dottori.» La donna in abiti da uomo si alzò di scatto, superò Digorie Paston e si diresse con passo deciso verso la scala. «Chiamo la scorta» disse Robert Anselm che si alzò in piedi e cominciò a urlare. Ash udì gli uomini che correvano verso la stanza. «Dovreste riposarvi, signora» protestò Digorie Paston. Il prete le girò le mani studiandole i palmi per qualche attimo. «La grazia di Dio non vi ha tratto in salvo. Dovreste pregare, umiliarvi e pregare di nuovo.» «Dopo. Verrò per il servizio di Complina187 . Il duca deve sapere!» Ash tentò di stabilire un contatto con una voce. «Godfrey...» «Che tu sia benedetta» rispose la voce nella sua mente. Un suono simile a quello provocato dal vento tra gli alberi le colmò l'animo. In principio era debole poi, con il passare dei secondi aumentò d'intensità. Ash, commossa, si massaggiò le tempie e disse: «Va bene...» A mano a mano che allontanava l'impulso dalla mente, il suono si ridusse a un borbottio. In fondo all'anima sentiva le Macchine Impazzite che emettevano uno strano lamento in una lingua incomprensibile. Doveva essere quella nella quale avevano parlato con Gundobad tantissimi secoli prima: un idioma di derivazione gotica impenetrabile e antico. «Non dite 'dopo' a Dio, signora. Potrebbe non piacergli» l'ammoni Ri187
Il servizio finale della giornata. Nove di sera.
chard Faversham. Ash lo fissò per un secondo, quindi sghignazzò. «Allora non fateglielo sapere, mastro prete. Venite con me dal duca. Potrei aver bisogno del vostro aiuto per spiegare che le preghiere hanno fallito e che non posso recidere il legame con il Golem di Pietra.» Dovrò chiedergli ancora perché la Borgogna è così importante? aggiunse tra sé. Perché rappresenta un ostacolo per i piani delle Macchine Impazzite? E questa volta otterrò la risposta che cerco. Rickard e i paggi più giovani entrarono nella stanza e qualche minuto dopo Ash era vestita di tutto punto, la spada in prestito agganciata alla cintura e il bordo del cappuccio tirato sull'elmo. Anselm e la scorta si strinsero intorno a lei mentre attraversavano le strade buie della città. Il rombo dei cannoni ruppe il silenzio e da un punto imprecisato delle mura a nord echeggiò lo scoppiettio del fuoco. Uomini e donne scivolavano nell'ombra: potevano essere civili che fuggivano o ladri, ma Ash non si fermò a investigare. Un centinaio di soldati burgundi li superò di corsa diretti verso il muro sotto attacco. Ash posò la mano sulla spada e continuò a camminare. Il palazzo ducale era illuminato a giorno. Ash scorse una figura ferma di fronte ai cancelli. Floria, rossa in volto, gesticolava discutendo animatamente con un sergente. «Sono un cacchio di dottore, ma questi non mi fanno entrare!» spiegò il chirurgo appena la vide arrivare. Ash si parò tra le guardie e gli uomini della sua compagnia. Il fumo delle torce le bruciava gli occhi, mentre il vento freddo aggrediva il viso scoperto e le mani guantate. Sentì lo stomaco che si chiudeva. «Ash, mercenario, un uomo del duca» spiegò rapidamente al sergente. «Devo parlare con Sua Grazia. Mandate a dire che sono qua.» «Non c'è tempo...» Il sergente si girò e quando la vide l'espressione scocciata che aveva impressa sul volto scomparve. «Demoiselle Ash! Siete entrata la scorsa notte. Io ero al cancello. Dicono che avete raso al suolo Cartagine. È vero?» «Vorrei che lo fosse» rispose Ash, cercando di sembrare più onesta possibile. Approfittò del momento di silenzio e rispetto che aveva ottenuto e disse: «Fatemi passare. Ho delle informazioni molto importanti per il duca Carlo. Qualunque sia la crisi in corso in questo momento, questo è molto più importante.»
Ash sapeva che non era necessario cercare di blandire quell'uomo perché si rese conto che il suo tono di voce era stato sincero e convincente. «Mi dispiace, capitano. Abbiamo fatto uscire tutti i medici. Non posso farvi entrare. Ci sono solo i preti, adesso.» Il sergente le fece cenno di allontanarsi dai suoi uomini. Ash lo seguì. «Non serve a niente, bellezza» disse il sottufficiale in tono più confidenziale. «Ci saranno una dozzina di vescovi e abati intenti a consumare il pavimento della stanza del duca con le ginocchia, ma ormai le preghiere non servono a un bel niente. Dio ha posato il più pesante dei Suoi fardelli sul Suo servo più fedele.» «Cosa è successo?» «Sai bene che le condizioni dei feriti a volte cambiano in maniera repentina.» Il sergente inclinò la testa. «Tranquillizzati, bellezza, per favore. Tra poco ci sarà fin troppo casino. Qualunque sia la cosa che dovevi dire al duca serbala per il successore. Sua Grazia il duca giace sul suo letto di morte.» Floria entrò nella stanza ai piani superiori della torre. «È vero.» Attraversò la stanza ignorando Anselm e Angelotti, si sedette vicino al fuoco e allungò le mani per scaldarle. «Ho cercato di avvicinarmi il più possibile alla sua camera» disse, rivolgendosi direttamente ad Ash. «C'era ancora un medico: un Tedesco. Carlo di Borgogna sta morendo. È cominciato tutto due ore fa con febbre e sudore. Ha perso conoscenza. Non urinava e defecava da giorni. Il corpo ha cominciato a puzzare. Non sente neanche le preghiere188 .» Ash si alzò e fissò il chirurgo. «Quanto tempo ancora, Florian?» «Prima che muoia? Non è un uomo fortunato.» La luce delle fiamme si rifletté negli occhi di Floria. «Stanotte, domani, dopodomani al più tardi. Soffrirà molto.» «Se fosse uno dei tuoi uomini, ragazza, saresti già salita lassù con una misericordia189 » le fece notare Robert Anselm. 188
A giudicare dalla descrizione si direbbe un collasso renale dovuto a una lunga malattia. La storia, però, riporta che Carlo l'Intrepido morì due mesi dopo, il 5 gennaio 1477, a causa di una ferita mortale infertagli dagli Svizzeri durante la battaglia di Nancy. 189 Una daga usata per dare il colpo di grazia. Chiamata in questo modo perché era considerato uno strumento in grado di fornire una morte rapida
Tutti si sentivano a disagio nella torre, dai cuochi ai paggi fino alle guardie dietro la porta. Ash sapeva che qualcuno stava origliando le parole del chirurgo, ma non fece nulla per impedirlo. Se ci saranno dei problemi con il morale, voglio che siano ben visibili, pensò. «Siamo fottuti» fece notare Robert Anselm. «Rimaniamo fino alla fine di questo cazzo d'assedio e non ci sarà nessun secondo tentativo a Cartagine.» Il passo pesante dell'Inglese e il clangore metallico dell'armatura echeggiarono nella stanza. Fuori dalle finestre giungeva il rumore dei bombardamenti. Le macchine-golem continuavano a martellare le mura di Digione incessantemente senza avere bisogno di dormire o nutrirsi. Un colpo cadde più vicino del solito e Ash vide Anselm sussultare. «Cosa succederà con la morte del duca? Cosa faranno queste Macchine Impazzite?» «Stiamo per scoprirlo.» Antonio Angelotti entrò nella stanza. «Madonna, padre Paston mi ha mandato a dirti che sta per cominciare il servizio di Complina.» «Assisterò al Mattutino 190 » rispose Ash, irritata. «Non possiamo rimanere seduti qua con le mani in mano, Angeli. Se la 'figlia di Gundobad' che sta là fuori... Se le Macchine Impazzite sostengono che il faris è in grado di fare un miracolo simile a quello di Gundobad quando ridusse l'Africa a un deserto... come puoi aspettare di vedere cosa succede?» L'artigliere andò ad acquattarsi vicino a Floria del Guiz. Angelotti piegava il braccio per vedere come si muoveva, con l'aria di chi sapeva bene che, una volta terminati i bombardamenti, ci sarebbe stato un attacco. «Cos'altro possiamo fare se non aspettare, Madonna? Fare una sortita e ucciderla?» Ci fu un lungo momento di silenzio. Angelotti inclinò il capo. I Visigoti avevano cessato il bombardamento. «Mi ha promesso una seconda incursione a Cartagine e io ci contavo» disse Ash in tono calcolatore. «Con la sua morte va tutto in fumo. Quindi: se non riusciamo a distruggere il Golem di Pietra non ci resta che una soluzione. Angeli ha ragione. Dobbiamo ammazzare il faris, dopodiché non importerà più a nessuno quello che avevano in mente le Macchine Impazzite o il motivo per cui l'avevano allevata. La morte è morte. Non si fanno miracoli da morto.» Robert Anselm scosse la testa sorridendo. «Sei pazza. Quella si trova nel e pietosa. 190 Primo servizio del giorno che si teneva a mezzanotte.
centro di un cazzo d'esercito!» Fece una pausa. «Allora... qual è il piano?» Ash scrollò le spalle e cominciò a esaminare le mappe e i calcoli posati sul tavolo da campo. «Piano? Chi ha parlato di piano? Sarebbe bello averne uno...» Ash riuscì a sentire il trambusto in fondo alle scale nonostante la risata sonora di Anselm e quella più soffusa di Angelotti. Qualcuno stava urlando al piano di sotto. Un attimo dopo si trovava spalla a spalla con Anselm e Angelotti. I tre avevano posato le mani sull'elsa delle loro spade. Ash lanciò un'occhiata a Floria per essere certa che fosse al sicuro alle loro spalle. Rickard entrò di corsa, inciampò e cadde in ginocchio ribaltando sul pavimento il fagotto che teneva tra le mani. Dalla coperta si levò un clangore metallico ovattato. «Che cazzo è?» chiese Ash. Il ragazzo aprì la coperta. La luce delle candele si rifletté su una cumulo di pezzi di metallo sagomato. Ash notò l'espressione confusa sul volto di Floria, mentre i due uomini si erano già messi a ridere. Robert Anselm imprecava divertito. Ash si avvicinò alla coperta, si inclinò in avanti, prese la corazza adagiata sopra gli anelli di maglia piegati a fisarmonica e la tirò su lasciando che le piastre di metallo ondeggiassero in aria agganciate l'una all'altra dalle fibbie in cuoio. «Mi ha restituito la mia cacchio d'armatura!» Le gambe, gli schinieri, la gorgiera e tutte le altri parti dell'armatura giacevano sulla coperta. Una delle punte che si protendevano verso l'esterno dalla protezione del gomito era smussata. Ash posò la corazza, prese un guanto e le piegò facendo scivolare le placche una sopra l'altra. Vide alcuni graffi e delle infiorescenze di ruggine. «Merda!» imprecò Ash, incredula. «Deve essere rimasta impressionata da come abbiamo tenuto il muro! Se sono ancora brava a truffare... Forse pensa che gli consegneremo la città? Che apriremo un cancello?» Una parte di Ash pensava con intensità al significato di quel gesto e l'altra ricordava tutti i campi di battaglia sui quali aveva combattuto per guadagnare il denaro che un giorno le aveva permesso di andare da un armaiolo e dirgli: «Fammi questa.» «Perché adesso? Se ha cominciato a pensare che la soluzione migliore siano gli assalti diretti...» Cosa ha... sentito? terminò tra sé.
Si girò e si rivolse a Rickard raggiante dall'orgoglio. «Perfetto. Meglio che tu la pulisca, giusto? Finisci il lavoro.» «Sì, capo!» Sotto l'armatura trovò la spada con la cintura arrotolata con cura intorno all'elsa macchiata dal sudore delle mani. «Figlia di puttana» disse Ash continuando ad accarezzare i guanti. Si accucciò per toccare il piastrone della schiena, l'elmo e controllare le cinghie e le fibbie, quasi avesse bisogno di confermare che gli oggetti sulla coperta erano reali e non il frutto di una visione. «Mi ha restituito spada e corazza...» E non è stata Cartagine e dirglielo... se Godfrey dice il vero, vuole dire che il faris non sta più consultando il Golem di Pietra! Rickard si sedette sui talloni e si pulì il naso. «Ha mandato anche un messaggio» disse il ragazzo, quando vide Ash che tornava a fissarlo. «Un messaggio dal faris?» «Sì, me l'ha riferito un araldo. Dice che vuole vederti, capo e che è disposta ad accordare una tregua se uscirai dalla porta nord e ti incontrerai con lei all'alba.» «Una tregua!» esclamò Robert Anselm. «Domani mattina, capo.» Anche Rickard sembrava scettico. «Davvero? Per Dio.» Ash si raddrizzò continuando a tenere un guanto in mano e fissò pensierosa le piastre. «Florian, il duca... hai detto che potrebbe succedere anche stanotte?» «Potrebbe succedere in qualsiasi momento» ripose il chirurgo che si trovava alle spalle di Ash. «Se adesso cominciassero a battere le campane da morto non mi stupirei per niente.» «Allora non c'è molto da parlare.» Ash si girò verso i suoi ufficiali. «Tutti sappiamo che questa non è una democrazia. Rickard manda un paggio a cercare l'araldo. Roberto, procurami una scorta per l'alba... voglio gente tranquilla, niente testa calde. Prendi il comando finché non rientro in città.» «Sì» rispose Robert Anselm. Floria del Guiz aprì la bocca, la richiuse, fissò Ash per qualche attimo, quindi sbottò: «Sempre se ritorni.» «Vengo con te, Madonna» disse Antonio Angelotti alzandosi in piedi. «Ludmilla è ustionata, ma può camminare. Le affiderò il comando temporaneo dell'artiglieria. Tu potresti avere bisogno di me. Conosco i loro
scienziati-magi e potrei cogliere dei particolari che a te sfuggirebbero.» «Hai ragione.» Ash strofinò una mano sul guanto. «Che ne dici di aiutarmi a indossare l'armatura, Rickard? Solo per fare un po' di pratica prima dell'alba...» «Ti fermeranno alle mura. Un capitano mercenario che esce per parlare con il nemico appena ha avuto notizia che il duca è moribondo? Non gli piacerà» le fece notare Robert Anselm. «Allora mi farò dare un permesso scritto da Olivier de la Marche. Io sono l'eroe di Cartagine! Sa che il duca Carlo si fida di me. Inoltre, sa benissimo che non lascerei mai il mio tesoro - che sareste voi ragazzi - in città se non avessi l'intenzione di tornare indietro. Potrete organizzare una sortita e salvarmi nel caso i Visigoti si comportassero da infami.» «Se?» sputò Floria. «Hai un po' di buon senso in quella testa, donna? Se esci dalle mura quella ti ucciderà!» «Ecco perché mi sto cagando addosso» rispose Ash, asciutta e vide le rughe intorno agli occhi di Floria che si increspavano a causa di un sorriso. Ash cominciò a spogliarsi e Rickard tirò fuori dal baule un farsetto e dei pantaloni imbottiti. «Robert, Florian, Angeli» disse Ash «ricordatevi che adesso è tutto diverso... Carlo sta morendo. Non perdete di vista l'obbiettivo. Non siamo qua per difendere Digione o per combattere i Visigoti. Siamo qua per sopravvivere... e, visto che non possiamo andare via, vuol dire che dobbiamo cercare di fermare il faris.» Robert Anselm la gratificò con un'occhiata furba. «Chiaro.» «Non dobbiamo farci trascinare nella lotta al punto di dimenticare il nostro vero scopo.» Floria del Guiz sollevò la corazza con un gesto goffo e mentre Rickard correva in suo aiuto disse: «Domani la ucciderai?» «Ha chiesto una tregua» protestò Rickard, scandalizzato. «Non fare mai caso alle questioni morali» commentò Ash, divertita. «Non me ne darà l'opportunità, non questa volta. Forse se riuscirò a combinare un altro incontro per ulteriori negoziati, allora... forse...» Fissò il ragazzo. «È chiaro che lei pensi di non aver terminato la conversazione con me. Avrò più probabilità quando abbasserà... la guardia...» Lo scatto familiare delle chiusure echeggiò nella stanza. Rickard cominciò a chiudere la fibbie sul lato destro. «Non ti dimenticare che quella è tua sorella» mormorò Florian toccandole una guancia. Il chirurgo aveva gli occhi lucidi. «So cosa intendi dire quando usi la parola 'fermare'... è cinque anni che ti guardo uccidere.»
«Non dimentico nulla» disse Ash. «Robert? Chiama Digorie e Richard Faversham, i comandanti di lancia e i sergenti. Voglio che vengano qua, subito.» «Come va, capo?» chiese Rochester. «Di merda, grazie!» Ash lanciò una rapida occhiata a Digorie Paston seduto dietro il tavolo coperto di mappe. Il prete teneva in mano una piuma d'oca consumata. Le mani e il viso erano sporchi d'inchiostro. «... Aspetta un attimo, Tom... Ripeti fino a dove siamo arrivati, padre.» Digorie Paston alzò la pagina in modo che fosse illuminata dalla candela e lesse: «Così nella prima fase delle operazioni sono state impiegate quindici Legioni...» Ash cominciò a parlare facendo eco alle parole del prete. «Nella prima fase delle operazioni sono state impiegate quindici Legioni...» «Sì» confermò la voce nella sua anima. Ash scosse la testa come se fosse stata disturbata da un insetto. «'Con le dieci dispiegate in questo momento, come avevo detto...'» «... con le dieci dispiegate in questo momento...» La voce di Godfrey non dava alcun segno di stanchezza. La machina rei militaris poteva parlare per quanto tempo voleva senza mai esaurirsi. Ash aveva la voce roca perché aveva urlato sulle mura e ora dopo aver dettato tanto rapidamente sentiva la gola che raschiava. «'... questa è la situazione aggiornata alla ricorrenza di san Benigno'191 .» «Sì.» «Ecco, capo.» Ash svuotò la coppa di vino - aspro - offertale da Rickard. «Grazie.» «Gli altri stanno arrivando» la informò il ragazzino girandosi a servire Rochester. Ash distese le braccia sotto le piastre asimmetriche della corazza gustando le sensazioni che le davano le cinghie di cuoio che raschiavano contro il vestito e la pelle... dopo tre mesi non vi era più abituata. L'armatura le cingeva il corpo. Non era molto pesante, ma scoprì di avere qualche difficoltà nel respirare. Provava una piacevole sensazione di calore. «E le Macchine Impazzite?» domandò a Godfrey. 191
1 novembre. Martire del secondo secolo, che, per una strana coincidenza, fu giustiziato a Digione.
«Niente.» Ah, merda, forse credono che siano informazioni non molto importanti e mi lasciano fare? No: mi sto sbagliando! Digorie Paston si drizzò fissandola di sottecchi. Si umettò le labbra preparandosi a leggere, ma non disse nulla. Ash appoggiò le mani sul tavolo da campo. «Va bene, per il momento è tutto.» Si alzò nell'istante stesso in cui i comandanti di lancia e i sergenti cominciavano a entrare. Il vociare coprì il rumore delle imposte scosse dal vento e quello dei cannoni fuori dalle mura. «Merda, anche questa notte non dormirò più di due ore!» «Sei giovane.» La luce delle candele conferì un che di diabolico al sorriso di Robert Anselm. «Tu puoi farlo. Pensa a noi, poveri vecchietti. Giusto, Raimon?» L'ingegnere militare dai capelli bianchi rispose affermativamente con un cenno del capo e si mise a fianco dell'apprendista di Dickon Stour che era stato promosso a capo armaiolo. Dietro di lui Euen Huw e Geraint ab Morgan confabulavano tra di loro. Ludmilla Rostovnaya, che non si era rasata la testa, si muoveva piano e con dolore a causa della vistosa e massiccia fasciatura che le cingeva il corpo e la spalla. «Stavi parlando con la tua macchina, capo?» chiese Ludmilla, torva. «Pensavo che non volessi far sapere loro dove sei.» «Un po' troppo tardi per preoccuparsi di questo particolare...» Ash le sorrise, mesta. «Le teste di tela hanno già informato Cartagine della mia presenza in città.» Una quarantina tra uomini e donne affollarono la stanza, scaldandola con il calore dei corpi. Ash camminava intorno al tavolo da campo coperto di carte dietro il quale sedevano Richard Faversham e Digorie Paston. «Va bene, quello che abbiamo in questo momento sono alcune... informazioni sulla disposizione delle truppe visigote nella Cristianità. Vi dico subito che non c'è nulla di cui rallegrarsi. Come tutti noi pensavamo hanno chiuso tutti gli spazi, tranne che in qualche rara eccezione» aggiunse in tono pensieroso, sporgendosi sopra la mappa aperta davanti ai due religiosi. Gli uomini presenti nella stanza la seguirono. «Per esempio... adesso capisco come siamo riusciti a tornare da Marsiglia lungo il percorso che abbiamo seguito. Durante il primo sbarco, il faris mandò tre Legioni a Marsiglia... ma queste finirono per aprirsi la strada combattendo fino a Lione e Auxonne. Credo che passando per la costa
abbiamo evitato di incontrare la XXIX Legione Cartenna. Hanno subito molte perdite, per questo il faris ha stanziato la VIII Legione Tingis e la X Sabratha ad Avignone e Lione, ma a per il resto non c'è nessuno che presidi la Langue d'Oc.» «Ecco perché siamo riusciti a mangiare» comprese Henri Brant «c'era la metà delle pattuglie nemiche che mi aspettavo d'incontrare.» «Siamo stati maledettamente fortunati.» «Certo, capo» convenne Pieter Tyrrell con voce impastata dall'alcool posando un braccio sulla spalla di Jan-Jacob Clovet con fare cameratesco. Deve essere la prima volta che rivede l'amico da quando è partito per Cartagine, pensò Ash. Tyrrell alzò gli occhi dalle mappe e disse: «Ci hai portati fin quassù. Siamo molto fortunati!» «Tu non sai cosa sia la gratitudine, Tyrrell! Se fossimo attraccati qua, proprio dove volevano i capitani veneziani» spiegò Ash posando un dito in un punto preciso della carta «in questo momento staremmo godendoci l'ospitalità delle due Legioni fresche e riposate che sorvegliano le coste dalmate!» Tyrrel sghignazzò. «Quindici Legioni cartaginesi sbarcate nella prima fase dell'invasione» borbottò Antonio Angelotti posando il piatto e il coltello che usava per mangiare sul bordo della mappa. «In seguito ne sono arrivate altre dieci per rinforzare i porti come Pescara, Madonna... più altre cinque di riserva. Diciamo che si tratta di circa centoottantamila uomini.» Robert Anselm fischiò rompendo il silenzio che era seguito al calcolo dell'artigliere. Thomas Rochester consultò rapidamente le mappe tracciate da Angelotti e gli schizzi dei preti. «Questa è la loro disposizione? A quando risalgono queste notizie, capo?» «All'inizio del mese. È l'ultimo rapporto che il faris ha mandato a Cartagine. Alcuni dati sono vecchi per via dei problemi dovuti al viaggiare nel buio - specialmente quelli riguardanti le truppe di stanza nel nord della Francia e della Germania. Ma quello che abbiamo...» Ash si fermò, riprese fiato e si avvicinò al camino dove si trovava un ragazzino dai capelli ispidi che Rickard aveva fatto sistemare in quel punto per spegnere le braci che potevano cadere dal camino. Ash si vide riflessa negli occhi del ragazzino e notò che i muscoli delle caviglie non erano del tutto a posto perché nelle ultime settimane aveva camminato molto e cavalcato poco. Anche le cosce erano dimagrite per lo stesso motivo, ma a parte tutto (e anche questo lo notò negli occhi del ragazzo) cominciava a
muoversi come se la corazza fosse una seconda pelle. Una parte del suo essere. «Quello che abbiamo» disse girandosi verso gli uomini «è quanto è successo nella prima parte dell'invasione e nella fase due: il rifornimento e lo stanziamento delle truppe fresche. Adesso sappiamo dove sono.» Simon Tydder, promosso da poco sergente, disse: «Noi sappiamo benissimo dove siamo, capo. Siamo nella merda fino al collo...» Dopodiché arrossì e cambiò tono di voce. «Hai perfettamente ragione!» confermò Ash dandogli una pacca sulla spalla mentre passava. «Ma adesso conosciamo anche i dettagli!» L'aria puzzava di cavallo, ma era inevitabile con i cavalieri. Malgrado la mancanza di sonno la maggior parte dei volti avevano espressioni aggressive e attente. Ash batté le palpebre perché l'odore di muffa, urina e il fumo cominciavano a bruciarle gli occhi. Estrasse il quadrello e lo lasciò cadere sul centro della mappa. «Questi sono i punti dove hanno attaccato con maggior forza. Marsiglia e Genova... siamo stati abbastanza fortunati da incontrarli...» «Fortunati, il mio fottuto buco del culo!» tuonò John Price. «Quello che fai con il tuo buco del culo sono solo ed esclusivamente affari tuoi...» borbottò Angelotti. Ash fulminò con un'occhiataccia l'artigliere che nel frattempo aveva assunto un'espressione innocente. «Va bene. Il grosso delle truppe sotto il comando del faris ha effettuato due sbarchi, quello che ho menzionato a Marsiglia e altre sette Legioni a Genova.» Ludmilla si sporse con fatica oltre Katherine Hammell e studiò gli schizzi di Paston. «Allora Agnes aveva ragione, vero capo? Circa trentamila uomini?» «Proprio così.» Ash fece scorrere il dito sulla mappa. «Il faris ha mandato tre di queste Legioni per radere al suolo Milano, Firenze e il resto dell'Italia, quindi ha preso le quattro Legioni rimanenti, ha attraversato il Gottardo ed è entrata in Svizzera. Da quello che ho capito ha impiegato qualche giorno per fare a pezzi gli Svizzeri vicino al lago di Lucerna, poi si è diretta a Basilea. A quel punto, visto che le Germanie si erano arrese, ha puntato a ovest per incontrare le Legioni provenienti da Lione e si è diretta verso il confine meridionale della Borgogna.» «Che mi fottano, capo, non mi dirai che ad Auxonne abbiamo affrontato sette Legioni!» «Certo che le abbiamo affrontate... ma sembra che gli esploratori abbia-
no esagerato un po' troppo con i numeri. Le teste di tela hanno subito molte perdite durante la marcia verso Auxonne. Quando li abbiamo affrontati noi eravamo in superiorità numerica.» «Avremmo dovuto fotterli» ringhiò Katherine Hammell. «Già, avremmo dovuto, ma non l'abbiamo fatto...» «Colpa di quei finocchi di Burgundi» aggiunse John Price. «Fottuti golem da guerra! In ogni caso siamo riusciti a tenere la città!» disse Henri van Veen, uno dei comandanti di lancia fiamminghi che erano rimasti con la compagnia. L'alito gli puzzava di vino. Dietro di lui i suoi sergenti annuivano entusiasti. «Avresti dovuto vederci, capo!» disse Adriaen Campin. Il robusto sergente fiammingo si guardò intorno e batté un pugno sul tavolo. «Avresti dovuto essere qua! È stata dura, ma non ci hanno ancora allontanati!» «Non siamo come quello stronzo di van Mander» dichiarò Willem Verhaecht, l'uomo a fianco di Campin, un altro dei comandanti di lancia fiamminghi rimasti. Il volto pallido dell'ufficiale era annerito in alcuni punti dal sangue rappreso. «Noi siamo il Leone, lui no» tagliò corto Ash, brusca. «Allora, da quello che ho potuto apprendere dai rapporti sulle perdite compilati dal faris, l'esercito visigoto ha subito il quaranta per cento delle perdite combattendo contro i signori della Francia meridionale. Le Legioni sbarcate a Genova hanno subito il cinquanta per cento di perdite combattendo contro gli Svizzeri. La maggior parte delle Legioni ora sono amalgamate. Lo stesso vale per quelle nel Langue d'Oc. Le Legioni che hanno invaso la Francia hanno subito perdite molto pesanti, quelle in Germania quasi nulla...» «Cinquanta per cento?» Thomas Rochester batté le palpebre. «Direi che quando abbiamo affrontato il faris ad Auxonne le sue truppe non ammontavano a più di quindicimila uomini in tutto. Noi gli abbiamo inflitto un altro venticinque per cento di perdite.» Ash scosse la testa. «A lei non importa nulla quanti uomini perde... Quella Legione e mezza schierata qua fuori è composta dalla XIV Legione Utica al gran completo e dai resti della XX Solunto, XXI Selinunte e i rimasugli della VI Leptis Parva. Circa settemila uomini. Price i tuoi ragazzi hanno fatto centro.» La maggior parte dei presenti sorrise, John Price si limitò a borbottare un ringraziamento. «Inoltre... c'è il distaccamento in Francia e la XVII Legione Lixus di stanza in Sicilia. Controlla la base navale e fa in modo che tutta la zona ovest del Mediterraneo rimanga in mano ai Cartaginesi. Il faris non li toc-
cherà. Questa era la situazione a metà agosto. Ha fatto arrivare la seconda ondata poco dopo la resa di re Luigi e dell'imperatore Federico. C'è una Legione in più, la XVI Elissa in centro Italia in modo che l'abate Muthari possa poggiare il fondoschiena sullo Scranno Vuoto.» «Quelli? Tipi cazzuti, capo» disse Giovanni Petro. «Li ho già incontrati ad Alessandria.» Ash annuì. «Altre due Legioni nel Nord Italia, intorno a Venezia e Pescara per controllare i Turchi e la loro flotta. Altre due per rinforzare Basilea e Innsbruck: quelle che hanno fatto a pezzi i cantoni, credo. E altre due per tenere buono il Sacro Romano Impero... Una è di stanza in Aachen sotto il comando di Daniel de Quesada. L'altra ha ricevuto l'ordine di raggiungere Vienna e a quest'ora dovrebbe essere arrivata. Poi hanno mandato altre tre Legioni in aiuto al faris.» «Tre? Merda!» imprecò Robert Anselm. Ash cercò un foglio sul tavolo, lo passò a Rickard che le lesse la lista sottovoce. «... la V Alalia» ripeté lei «la IX Himera e la XXIII Ruscurru. Il faris ha ordinato loro di non raggiungere Digione e puntare sulla Lorena e le Fiandre. Sono nella zona tra Antwerp e Gand. Sono quelle che spero vengano fatte a pezzi dall'esercito al comando di Margherita di Borgogna.» Angelotti baciò la medaglietta raffigurante santa Barbara che portava al collo. «Dio ci concede tanta grazia. Mi chiedo quanti cannoni possono avere.» «Rickard ha compilato una lista dell'artiglieria...» Ash si drizzò. «Le perdite totali subite dalla prima ondata ammontano a sette Legioni su un totale di trenta. Sono sotto il venticinque per cento e questo secondo loro è un risultato accettabile» disse usando lo stesso tono piatto e inespressivo della machina rei militaris. «Il suo problema è che sta morendo troppa gente per cercare di prendere Digione...» «Guardate qua» richiamò l'attenzione Angelotti indicando con un dito. L'artigliere sapeva leggere una mappa velocemente quanto padre Faversham o padre Paston. «Gelimero ha altre due Legioni a Cartagine, ma non le muove, anche se hanno il controllo sulla Sicilia e il Mediterraneo occidentale, perché la flotta turca è intatta.» Ash si affiancò a Robert Anselm che nel frattempo si era sporto sulla carta grattandosi i morsi delle pulci. L'ufficiale inglese seguì i contorni delle coste nord africane con il dito sporco e tozzo. «L'Egitto. Ecco la spina nel culo di Gelimero» grugnì. «Guardate! Ha stanziato tre Legioni complete in Egitto e non le può muovere, altrimenti si
ritroverebbe i Turchi che attraversano il Sinai nel tempo di dire Santa Madre! Però ne ha un fottuto bisogno in Europa, perché... se quello che è segnato qua sopra è esatto... si sono estesi troppo... Non può neanche mandare rinforzi nella Francia meridionale.» «Calma» lo avvertì Angelotti. «In questo momento il faris pensa di potersi permettere di lasciare tre Legioni nelle Fiandre. Può sempre richiamarle. Scaglia tre Legioni contro questa città e vedrai quanto velocemente cadrà.» «Forse ha dovuto smettere di usare i porti francesi e sassoni per ricevere i rifornimenti. Cercherà di rifornirle usando i battelli fluviali.» «Bisogna vedere fino a che punto sono gelati il Reno e il Danubio...» «Ecco un altro motivo per il quale non possono spostare le Legioni dall'Egitto. Anche la Spagna è avvolta dall'oscurità e i Visigoti dovranno pur prendere il grano da qualche parte...» Ash li interruppe. «Il re Luigi o i suoi nobili non si fanno vedere, fatto notevole. E anche i principi elettori sono incarogniti con l'imperatore per essersi arreso. Penso che sia rimasto impressionato da quello che è successo a Firenze, Milano e in Svizzera. Non osano muoversi... non sanno che le linee visigote sono troppo estese.» Anselm, Rochester e Angelotti si scambiarono un'occhiata. Geraint ab Morgan buttò sul tavolo il foglio che aveva cercato di decifrare fissando disgustato Richard Faversham. «Troppi fottuti scrivani... senza offesa, padre. Come fai a sapere che queste notizie sono vere? La tua voce demoniaca potrebbe mentire. Che ne sappiamo che non hanno altre Legioni imboscate da qualche parte?» Savaric, Folquet, Bieiris, Guillelma e Alienor, vecchi sergenti di Geraint, ora sotto il comando di Ludmilla, fissarono Ash, insieme con John Price e John Burren. Henry Wrattan e Giovanni Petro intavolarono una discussione a bassa voce. «Non è la voce di un dèmone» spiegò Ash «è padre Godfrey.» Ebbe un attimo d'incertezza: doveva spiegare tutto, sentire le dicerie che erano circolate nelle ultime ventiquattro ore, tornare fino al terremoto di Cartagine? Due o tre uomini si fecero il segno della croce, altri toccarono le medagliette dei santi o le Croci di Rovi che portavano al collo. «Be'» esordì Jan-Jacob Clovet sfoderando un sorriso ingiallito. «Padre Godfrey ha sempre fornito delle notizie dannatamente buone. Non penso che da morto farebbe diversamente.» Una serie di risatine soffocate si levarono tra i presenti. Henri van Veen
disse qualcosa a Tyrrel che gli diede un pugno sul braccio e, divertito, rispose: «Stronzo!» John Price e Jean il Bretone bevvero dalle borracce piene di vino. Thomas Rochester alzò una serie di disegni. «Daremo queste informazioni anche ai Burgundi, capo?» «Ho ordinato a Digorie di redigere una copia per monsieur de la Marche. Non abbiamo ancora rotto la condotta...» Attese fissando i volti intorno a lei per vedere se qualcuno diceva che c'era sempre una prima volta. «Siamo stati noi a tenere il fottuto muro nord!» borbottò nuovamente Campin. «Ho perso fin troppi uomini a causa del Fuoco Greco, capo. Attenta a quei finocchi di Burgundi, capo...» «So che hai ammesso che non possiamo uscire senza di te, capo, ma come ce la caveremmo se ci dirigessimo in Inghilterra?» Euen Huw si sporse oltre il tavolo fissando le mappe con il volto privo d'espressione. «Non porteranno le Legioni a nord oltre la Manica con la duchessa Margherita ancora in grado di combattere. Diciamo che andiamo a nord o a est, supponiamo di tornare indietro verso ovest e poi entrare nelle terre di Luigi. Che ne dici di Calais?» «Nell'oscurità? Con la fame attaccata ai denti?» Ash posò un dito sulla mappa. «All'inizio di luglio il faris ha fatto sbarcare tre Legioni qua, a Saint Nazaire, che hanno occupato la valle della Loira. La II Oea e la XVIII Rusicade hanno occupato Parigi. Non raggiungeremo mai Calais se volessero fermarci... Per quanto riguarda l'Ovest, la IV Legione Girba è stanziata a Bayonne pronta a essere imbarcata per raggiungere la costa ovest della Francia o per tornare in Spagna nel caso la situazione dovesse peggiorare... non si aspettavano che l'oscurità coprisse metà della Spagna e questo ha danneggiato parecchio la loro logistica. Quella è una Legione che potrebbero spostare a est.» «L'ha fatto?» «Cristo, Euen, come cazzo faccio a saperlo! Quella invia rapporti giornalieri a Cartagine!» Ash riprese fiato. «Godfrey mi ha riferito i rapporti delle ultime tre settimane. Non penso che abbia mandato la IV Girba in Spagna.» Fece una pausa e si sistemò all'interno dell'armatura. Doveva riabituare i muscoli e l'equilibrio a un livello ben al di là di quello conscio. Mancavano poche ore al mattino. «È improbabile» disse Ash. «Non con tutta quelle serie di grossi pro-
blemi logistici. Ma... se fosse così stupida da dare l'ordine e non riferirlo a Cartagine... be', allora non sapremmo nulla.» «Quindi se andiamo a ovest incontreremo le Legioni.» Geraint ab Morgan si fece largo a spallate e si fermò a fianco di Euen Huw. «E se tornassimo a sud, capo? Verso Marsiglia? So che è un inferno, ma potremmo prendere una nave, uscire dal Mediterraneo e risalire la Spagna lungo la costa ovest.» «Buon Dio, no, Geraint... non crederai che io passerò un viaggio di cinquecento miglia marine a guardarti che vomiti oltre le murate della nave...!» Tutti scoppiarono a ridere. Simon Tydder si avvicinò a Rickard, fece una risata che sfumò in una sorta di squittio, quindi riprese a ridere. «A cosa serve questa tregua se non stiamo pensando di andare in Inghilterra, capo?» «A sconfiggere il nemico, tanto per iniziare.» «Ma, capo...» «Non ci stanno bersagliando con i massi tanto per passare il tempo, Tydder! Abbiamo firmato con i Burgundi, quindi siamo il nemico. Ascoltami, quelle Legioni non contano nulla. Solo che il faris è in mezzo a loro...» «Dobbiamo ritirarci!» sospirò Adriaen Campin. «Forse potremmo andare a chiedere aiuto ai Turchi» suggerì Florian che era rimasta zitta fino a quel momento intenta a controllare le ferite dei vari ufficiali e sottufficiali. «Qual è la situazione a est?» Anselm consultò le annotazioni sulla mappa. «Debole, se padre Godfrey ha ragione. Sta cercando di tenere a bada le Germanie con una paio di Legioni.» «Quindi... forse...?» «Se abbiamo delle uova, potremmo avere uova e prosciutto... se avessimo del prosciutto...» «Non pensavo che l'avrei mai detto» sbuffò Geraint ab Morgan «ma l'Inghilterra diventa più attraente ogni minuto che passa...» Katherine Hammell, che si muoveva ancora con un certo impaccio a causa della ferita subita a Cartagine, fissò Ludmilla Rostovnaya. «E la tua gente, Lud? Potremmo provare ad andare in Russia. Come ce la passeremmo a San Pietroburgo? C'è qualche buona guerra?» Il comandante degli arcieri la fissò in cagnesco. «Ci sono sempre buone guerra, ma fa troppo freddo. Perché credi che sia venuta fin qua?»
«Freddo ovunque, allora...» «Sì quella fottuta puttana non poteva evitare di portarsi dietro il cazzo di tempo che c'è a casa sua?» Ash lasciò che la discussione procedesse indisturbata, studiando senza che se ne accorgessero i volti dei suoi uomini. «Per il momento siamo qua» disse in tono piatto Ash. «Passeremo le nostre informazioni ai Burgundi anche perché è un obbligo del nostro contratto.» Le Macchine Impazzite credono che non so stare tranquilla... e loro? pensò Ash. «E per il resto... chi mai saprà quello che ci siamo detti?» Ash sogghignò. «Nella migliore delle ipotesi sarà solo una delle tante dicerie confuse che girano... giusto?» «Sì, capo» disse Euen Huw con aria innocente. «Puoi contare su di noi.» «Ci siamo già fatti una reputazione per aver rotto il contratto a Basilea, può importare adesso?» grugnì Morgan. «Sì.» Morgan distolse lo sguardo da Ash che a sua volta prese a fissare i volti degli uomini che erano vicini al Gallese, Campin, Raimon e Savaric, per vedere se egli godesse di qualche appoggio. «'Fanculo, pensano che siamo delle persone che rompono i contratti» borbottò Morgan. «Non voglio discutere con voi. Ma non è vero che rompiamo i contratti, siamo professionisti.» «Fottiamo i Burgundi. Chi se ne frega?» disse il Gallese. «Ha ragione su una cosa, Madonna» disse Angelotti. Ash lo fissò sorpresa. «Fottiamo i Burgundi. Perché la responsabilità di uccidere il faris dovrebbe essere nostra?» Ash non si scompose minimamente, né ringraziò l'artigliere per aver posto la domanda. «Abbiamo bisogno di valutare tutte queste informazioni» disse semplicemente mentre un paggio le portava uno sgabello. «Adesso esamineremo questi dettagli. Voglio sapere se qualcuno degli uomini ha già combattuto contro queste Legioni; voglio sapere tutto su di loro, che tipi sono i comandanti, tutto. Voglio sapere se qualcuno ha delle idee o dei suggerimenti. Ma, prima di tutto, risponderò alla tua domanda.» Geraint ab Morgan si sporse sul tavolo. «E quale sarebbe?» chiese. Ash lo guardò, tranquilla.
«Fottiamo i Burgundi... va bene, possiamo rimanere dietro queste mura cercando un modo per uccidere mia sorella. Tu, Geraint, sapresti dirmi dove andare? Quando le Macchine Impazzite uccideranno ogni essere umano di questo mondo non ci servirà molto essere in Inghilterra, a seicentoquaranta chilometri da Digione... neanche un po'!» VI Il via vai continuo dei messaggi terminò e Ash scoprì che la lunga notte di novembre era quasi finita: tre ore prima Digorie aveva suonato le Laudi e adesso mancava poco all'inizio del servizio della Prima. La mancanza di sonno le aveva fatto gonfiare gli occhi. Ash camminava lungo le strade di Digione. Avanti ragazza, pensa! si rimproverò. Non deve volerci molto. Ci deve essere altro? «Posizione attuale del comandante supremo dell'esercito visigoto?» sussurrò. Nella sua testa echeggiò la voce di Godfrey che parlava attraverso la machina rei militaris. «Campo d'assedio di Digione, quadrante nordovest, quattro ore dopo la mezzanotte; nessun ulteriore rapporto.» Nulla intervenne a soffocare la voce. Perché non si fanno avanti? Che sia per via del faris? Forse le Macchine Impazzite non vogliono spaventarla. O si tratta d'altro? Uno degli aiutanti di de la Marche la raggiunse tra le case squadrate, mentre il sole si alzava lentamente da est. C'erano uomini, donne, bambini che dormivano adagiati contro i muri o contro le porte. I cavalli e i muli da carico nitrivano impastoiati fuori dalle stalle che erano diventate alloggi per i profughi. «Abbiamo tutto» ansimò l'aiutante, pallido in volto per la mancanza di sonno. La boccetta d'inchiostro ballava appesa alla cintura. L'uomo, che doveva essersi fermato lungo la strada per cercare di scrivere, aveva il mantello di lana macchiato. «Capitano... farò rapporto sulla posizione dell'esercito nemico al luogotenente del duca...» «Ditegli che forse non potrò più farlo. Ora che sanno che le comunicazioni sono compromesse.» La campana di una chiesa suonò a qualche strada di distanza e tutti si fermarono ad ascoltare. Dopo qualche attimo Ash sospirò. La campana non suonava a morto, ma annunciavano la messa. «Dio salvi il duca» mormorò l'aiutante.
«Va' a fare rapporto a de la Marche» gli ordinò Ash. Riprese a camminare. Il selciato era reso scivoloso dal ghiaccio e i palazzi impedivano alla luce dell'alba di illuminare la strada. Servitori e contadini cominciavano a svegliarsi, qualcuno vide Ash e la sua bandiera e la salutò con l'appellativo 'eroe di Cartagine'. «Sei sicura che sia una buona idea, capo?» le chiese Rochester. «È una stronzata» ripose Ash continuando a marciare per le strade di Digione. «Il duca ha già un piede nella fossa e noi stiamo per entrare nel campo di un nemico che ha ogni buon motivo per farci fuori appena ci vede... sì, sì, certo, Thomas: un'ottima idea!» «Oh. Perfetto. Mi fa piacere sentirtelo dire, capo. Altrimenti avrei cominciato a preoccuparmi.» «Preoccupati quel tanto che basta per rimanere allerta» disse Ash, ironica. «Chiediti se loro preferiscono 'l'eroe di Cartagine' nonché sorella bastarda del faris viva o morta.» L'Inglese dall'aspetto torvo sorrise incurante. «Puoi sentire cosa dice il faris quando parla con la macchina da guerra? Scommetto tutti i soldi che ho che ci fanno abbattere dai balestrieri appena siamo a tiro! Io non sprecherei l'occasione, capo. Perché dobbiamo pensare che loro siano più stupidi di me?» «Sarebbe quasi impossibile.» Thomas Rochester e gli uomini alle sue spalle soffocarono una risata. «Non mi ucciderà... almeno per il momento.» Lo spero, aggiunse tra sé. Sono l'unica persona al mondo oltre lei in grado di sentire le Macchine Impazzite. Però a mia sorella non potrebbe importare più di tanto. Rochester sapeva che sarebbe potuto morire in quella che sembrava una missione di pace come nel corso di una battaglia, ma non era preoccupato. Questa è la cosa più difficile, pensò Ash. Dare un ordine che potrebbe causare delle morti. «Il faris mi vuole parlare» disse Ash. «Guardate il lato positivo. Forse ci uccideranno solo alla fine della chiacchierata.» «Va bene, capo» disse uno dei sergenti di Rochester: un Inglese dai capelli lunghi che fungeva da portabandiera. «Potresti parlare delle zampe posteriori di un asino...!» L'armatura che le avvolgeva il corpo le dava una familiare sensazione d'invulnerabilità. Stava cominciando a muoversi come se non gliela avessero mai portata via. Aveva legato il fodero della spada a una gamba così,
se fosse stato necessario, avrebbe potuto estrarla con una sola mano. Uno dei ragazzi di Rochester le portava l'ascia. Un brivido freddo le percorse lo stomaco. «Bella attrezzatura» disse Ash passando il guanto sulla corazza del sergente. Tutti i componenti della scorta si erano fatti prestare i pezzi delle corazze dai compagni. «Facciamo vedere alla teste di tela quello che abbiamo» borbottò il sergente. In mezzo a quegli uomini in armatura e più alti di lei, Ash provava un fallace senso di sicurezza. Sorrise e scosse il capo. «Tutto questo metallo e cosa succede? Un bastardello vi pianta un bastone nel deretano. Non fateci caso, ragazzi. Stiamo indossando tutti le brache di maglia192 , vero?» «Non ho intenzione di voltare loro le spalle!» sbuffò Rochester. L'attesa rendeva l'atmosfera elettrica e carica d'euforia: succedeva sempre così di fronte al rischio. Ash si accorse che si stava dirigendo con passo deciso verso una pusterla. Il clangore metallico della sua armatura spaventò un ratto nero e un cane randagio. «Ha parlato ancora con il Golem di Pietra, Godfrey?» La voce del prete risuonò calma nella sua mente. «Solo una volta. Ignora Cartagine, i messaggi che le giungono attraverso la machina rei militaris sono sempre più concitati... Ha chiesto solo se tu avevi parlato con la machina... dov'eri, cosa stavano facendo i tuoi uomini e se avevi intenzione di attaccare.» «Cosa le... hai... detto?» «Niente se non quello che dovevo e potevo in base a quello che mi avevi detto. Le ho riferito che stavi andando all'incontro e basta perché per il resto non mi hai detto nulla riguardo gli uomini e la tua tattica.» «Esatto, e ho intenzione di continuare così.» Parlava tranquillamente, consapevole che gli uomini più vicini potevano sentirla. «Le Macchine Impazzite?» «Stanno zitte. Forse vogliono farle pensare che sono un sogno, un errore, una storia.» La bandiera personale di Ash pendeva inerte sull'asta perché non c'era abbastanza vento per farla sventolare. I soldati burgundi a guardia della pusterla la riconobbero. 192
vitali.
Una fila di anelli metallici rivestiti di lino che proteggeva i punti
Angelotti uscì dall'ombra del muro. Dietro di lui si sentivano zoccoli che battevano sul selciato. «Vi ho trovato dei cavalli, Madonna.» Ash diede una rapida occhiata alle bestie e notò che erano tutte in brutte condizioni a causa dell'assedio. «Ben fatto, Angeli.» Mentre Rochester confermava le parole d'ordine e i segnali, Ash rimase silenziosa a osservare il cielo a est con le mani chiuse sui gomiti. Nuvole grigie incombevano sui merli delle mura e sui tetti a punta. Uno dei palazzi più vicini fumava ancora. L'incendio che l'aveva bruciato aveva fatto accorrere tutti gli abitanti della zona per cercare di spegnerlo. Nella notte aveva piovuto, ma adesso la temperatura stava calando di nuovo. «Ringrazio Cristo per il brutto tempo!» «Se fosse estate saremmo soffocati dal caldo e sarebbe scoppiata la peste» concordò Angelotti. «Godfrey, sai dove sia?» «Non ha più parlato dalle Laudi.» «Strano, non trovi?» «Se questa fosse stata una guerra come tutte le altre tu non l'avresti fatto. In otto anni ti ho vista compiere azioni avventate e coraggiose, ma non ti ho mai vista sprecare vite.» Un uomo della scorta la guardò di sottecchi. «Il capo parla con le sue voci, ecco tutto» gli disse, sfoggiando un sorriso rassicurante. Il giovane aveva il volto pallido, ma le rispose con un cenno del capo secco che denotava efficienza. «Certo, capo. Cosa ci hanno preparato là fuori? A cosa dovremmo stare attenti, capo?» Chi cazzo lo sa! pensò Ash. A circa diecimila Visigoti, credo. «Occhio agli archi curvi. Non sembrano un gran che, ma sono veloci come gli archi lunghi anche se non hanno lo stesso potere di penetrazione. Quindi, su le gorgiere e giù le ventaglie.» «Sì, capo.» «Adesso si sentono più tranquilli» osservò Angelotti sottovoce. «Non sono le armi. Madonna. È il numero che li spaventa.» «Lo so.» Il brivido di paura che le aveva attraversato lo stomaco poco prima si trasformò in una morsa. «Ecco qual è il problema con le armature» osservò Ash, divertita. «Sei chiusa dentro. Non puoi andare a cagare di corsa se ti scappa...» «Ah. La dissenteria: la scusa del guerriero» commentò la voce nella sua mente.
«Godfrey!» esclamò Ash divertita e scandalizzata. «Ti sei dimenticata che ti ho seguita per otto anni bambina. Ero io che gestivo il convoglio dei carri. So cosa fanno le lavandaie dopo una battaglia. Non puoi nascondere nulla a quelle donne. Il colore del coraggio è il marrone.» «Sei un uomo estremamente disgustoso per essere un prete, Godfrey!» «Se fossi ancora un uomo, sarei al tuo fianco.» L'affermazione la scosse, non per la mancanza fisica della persona, ma per il dolore di cui erano intrise quelle parole. «Verrò a liberarti, ma prima mi devo occupare di questo problema» disse a bassa voce, quindi alzò il tono e continuò: «Va bene, andiamo!» Mentre gli uomini imboccavano il tunnel che portava alla pusterla, uno dei sergenti le si avvicinò e chiese: «Cosa dice?» «Cosa dice, chi?» L'Inglese sembrava a disagio. «Lui. La tua voce. San Godfrey. La grazia di Dio è con noi in questa missione?» «Certo» rispose Ash, senza pensare e convinta. San Godfrey! pensò divertita. Be', era inevitabile... «Movimenti delle truppe nel campo visigoto. Settore centro-nord.» «Niente» rispose la voce di Godfrey. Il che vuol dire 'fanculo a tutti quanti, pensò Ash, torva e intenta ad ascoltare l'eco degli stivali contro le pareti del cunicolo. Nella sua mente udiva un mormorio distante, antico e inumano. In quel momento neanche il faris stava parlando con il Golem di Pietra. Gli stallieri del Leone portarono fuori le bestie e Ash montò in sella al suo nuovo cavallo, Orgoglio: un incrocio tra un sauro e un baio facilmente distinguibile dalle zampe più scure rispetto al pelo quasi giallo del dorso. Angelotti si affiancò a lei in sella a un sauro bianco. Ash notò la massa delle bende che stringevano l'avambraccio sotto il farsetto imbottito. Davanti a loro i Burgundi fecero scivolare fuori dalle guide la massiccia sbarra che chiudeva la pusterla, aprirono il battente e incitarono il drappello a sbrigarsi. Ash alzò la testa per cercare di vedere gli arcieri e archibugieri che sperava fossero stati schierati sulle mura, ma l'elmo non le offriva molta libertà di movimento. La sella molto alta la costringeva a tenere le gambe quasi distese. Ash spostò il peso per superare il pendio insidioso subito fuori le mura. Uno dei suoi uomini spostò uno dei triboli. Ash lanciò una rapida occhiata a est e vide le mura di Digione che emer-
gevano dalla foschia mattutina e il fossato pieno di fascine. Oltre la terra dissodata dai bombardamenti c'era una distesa di trincee e file di pavesi. «Va bene, andiamo...» Una volta che tutti furono usciti, il sergente sollevò il vessillo personale di Ash. «ASH!» L'urlo era arrivato dall'alto delle mura per poi trasformarsi in un'ovazione diretta 'all'eroe di Cartagine!' o alla 'signora capitano!' per poi terminare in un urlo che echeggiò chiaro nell'aria del mattino. Ash girò il cavallo in modo da poter vedere gli uomini sulle mura. «Sfre-gia-ta! Sfre-gia-ta!» Gli spalti erano affollati. Alcuni si sporgevano dai merli e dai ripari in legno. Ash sollevò una mano e salutò. Dalle mura si levò una seconda ovazione irriverente e sfrontata: lo stesso tipo di ovazione che precedeva un assalto. «Prendi a calci in culo quella stronza!» urlò una voce acuta. «Ah, è arrivato, Madonna. Adesso abbiamo anche il parere del dottore» disse Angelotti. Ash salutò Floria del Guiz e gli uomini del Leone che formavano gran parte della folla riunita sugli spalti. «Non si può tenere nulla segreto per più di una notte.» Ash girò il castrato. «Proprio così. Però potremmo essere noi quelli che rischiano d'avere bisogno di qualcuno che tiri fuori i nostri culi dal fuoco.» Davanti a loro, sulla sponda est del fiume, la foschia pervadeva ancora il campo nemico. L'umidità faceva risplendere le funi delle tende e i picchetti dove erano stati legati i cavalli. L'aria gelida faceva sbattere le falde delle tende. Una fila di soldati visigoti si era disposta lungo la palizzata. Sentì un urlo distante. Ci sono i coraggiosi, pensò, e gli stupidi. Questa è una cosa stupida. Non ci faranno tornare indietro. Ash toccò i fianchi del cavallo con gli speroni e Orgoglio cominciò a trotterellare tranquillo. Non aveva l'andatura e il portamento di un cavallo da guerra. No, continuò a pensare Ash socchiudendo gli occhi per proteggerli dal sole nascente. Non sono stupida. Cosa ho detto a Roberto? Che non bisogna perdere di vista il vero obbiettivo. Non sono qua per combattere i Visigoti.
Si accorse che il brusio di fondo provocato dalle Macchine Impazzite stava aumentando d'intensità e si chiese se anche il faris se ne fosse accorta. Anche se ci fosse una possibilità di fare fuori mia sorella non riuscirei a uscire viva dal campo, pensò. Non ho idea di che tipo sia veramente mia sorella. «Non mi piace, capo» le disse Thomas Rochester, tranquillo. «Ti ho dato degli ordini precisi. Se veniamo attaccati in presenza del faris, uccidila. Ci preoccuperemo di uscire dopo che lei sarà spacciata. Se veniamo attaccati e il faris non c'è ce la filiamo a gambe levate in direzione del cancello nord-ovest. Suona la ritirata in maniera chiara e udibile e prega che i Burgundi vengano in nostro aiuto, capito?» Vide che l'espressione sul volto dell'Inglese era allerta. Le rughe sul viso le fecero capire che si aspettava di essere morto prima della fine del mattino. Tuttavia, era inaspettatamente allegro. «Capito, capo.» «Se la situazione dovesse essere troppo sfavorevole non facciamo nulla: si aspetta.» Antonio Angelotti si mosse sulla sella e indicò la foschia mattutina. «Arrivano.» La chiarina suonò la tregua e una bandiera bianca sventolò a qualche centinaio di metri da loro. «Andiamo» ordinò Ash. Rochester e la scorta si chiusero intorno a lei e si mossero in avanti. Ash si rese conto che gli uomini a piedi e a cavallo che l'avevano attorniata non l'avevano fatto in maniera protettiva, ma con orgoglio, quasi volessero dimostrare la loro efficienza come guardie del corpo. Uomini che non avrebbero mai permesso alla paura di trasparire sui loro volti. Si lasciò cullare dal passo del castrato fissando i soldati visigoti tra le tende. Adesso non era più una donna scalza che, prigioniera, doveva essere tradotta a Cartagine, ma un capitano circondato da uomini armati delle cui vite poteva disporre nel bene o nel male. Il faris si fece avanti illuminata dal sole che cominciava a far capolino dall'orizzonte. Era troppo lontana e Ash non riuscì a scorgere l'espressione del suo viso. Potrei ucciderla anche adesso, pensò. Se solo potessi raggiungerla. Gli uomini che componevano la XIV Legione Utica, indossavano le divise bianche ancora umide. La luce si rifletteva sulla punta delle lance.
Devono essere circa duemila, duemilacinquecento unità, valutò mentalmente Ash. Gli occhi di quei soldati erano puntati su di lei e sui suoi uomini. «Dio vi maledica» disse Ash, tranquilla. «'Fanculo a Cartagine!» «Scavati la fossa prima di andare a compiere una vendetta» le ricordò Godfrey nella sua mente. Un sorriso aleggiò sulle labbra di Ash che nel frattempo aveva fatto in modo di controllare e non far trasparire la rabbia che sentiva ribollire in lei. «Sì... non sono mai stata sicura di cosa volessi dirmi con quella frase.» «Significa che nessuna vendetta vale tanto odio e rabbia. Significa che potresti perdere la vita nel tentativo.» Ash ascoltò il dondolio dei fianchi e posò una mano sulla falda dell'armatura che le proteggeva la pancia. Il ricordo di una cella fredda come quella mattina e dell'odore del sangue la fece rabbrividire aiutandola a rendersi conto della spada affilata che pendeva dal fodero assicurato al fianco. «Ci può essere una seconda interpretazione per il tuo proverbio» borbottò Ash. «Forse vuol dire che bisogna considerarsi già morti per essere sicuri di portare a termine una vendetta. Non c'è nessuna difesa da un'attaccante che non ha paura di morire. Scavati la fossa prima di andare a compiere una vendetta.» «Assicurati di avere ragione, figliola.» «Oh, non sono sicura di nulla. Ecco perché devo parlare con quella donna.» «Li hai perdonati per la perdita del figlio di lord Fernando?» le domandò Angelotti, calmo. «Carracci, Dickon e tutti quelli morti nella casa di Leofric... be', quella è guerra, ma tuo figlio?» «Non aveva ancora l'anima. Quando vivevo sui carri Isobel era solita abortire due volte su tre. Era regolare come un orologio. Succedeva ogni anno.» La nebbia si stava alzando e l'intensificarsi della luce costrinse Ash a socchiudere gli occhi. «Mi chiedo se Fernando sia ancora vivo.» «Chi lo sa?» «Quello che non posso perdonare al faris è che avrebbe dovuto pensarci prima. Sapeva che stava ascoltando la voce di una macchina e non si è chiesta il motivo di questa guerra.» Angelotti sorrise enigmatico. «Quando mi hai slegato da un traino per cannoni fuori Milano ti sei limitata a dirmi: 'Unisciti alla mia compagnia perché sento la voce di un Leone che mi dice come vincere le battaglie.' Anch'io avrei potuto dire: 'Hai mai chiesto al Leone quale guerra in parti-
colare?» «Non ho mai chiesto al Leone quali battaglie combattere» ringhiò Ash. «Gli ho sempre e solo chiesto come vincerle una volta schierati sul campo. Non era compito suo trovare lavoro.» Angelotti reclinò la testa all'indietro ridendo di gusto. Diversi Visigoti lo fissarono incuriositi, mentre sui volti della scorta apparve l'espressione tipica di chi considerava quello scoppio d'ilarità come una delle tante follie degli artiglieri. «Sei la donna migliore che esista al mondo, Madonna!» Angelotti si calmò. «E anche la più pericolosa. Ringrazio Dio per avermi dato l'opportunità di combattere al tuo fianco e tremo all'idea di cosa sarebbe successo se così non fosse.» «Prima di tutto saresti ancora legato a culo all'aria al traino per cannoni e in secondo luogo il mondo avrebbe un capitano artigliere in meno...» «Durante la tregua andrò a parlare con i capitani artiglieri visigoti. Nel frattempo, Madonna...» I riccioli biondi di Angelotti erano resi flosci dall'umidità del mattino. L'artigliere sollevò la mano guantata. «Laggiù, Madonna, vedi? Ti sta aspettando.» Ash osservò la gemella che si allontanava dagli ufficiali dirigendosi verso una tettoia in tela montata in mezzo al campo sotto la quale erano state sistemate un tavolo e due sedie. Non c'era spazio per nascondere niente e sarebbero state sotto gli occhi di tutti. In pubblico, ma senza dare a qualcuno la possibilità di origliare, rifletté Ash, giudicando la distanza che separava il piccolo padiglione dai vari qa'id, arif, nazir e soldati semplici. L'arif Alderico andò incontro ad Ash, proprio come lei aveva previsto. «Felice che vi siate unita a noi, capitano» disse l'uomo in tono formale. Ash smontò, passò le redini al paggio di Rochester e posò senza neanche rendersene conto la mano sulla spada. «Accetto la tregua» rispose Ash in tono altrettanto formale. Fece vagare lo sguardo per lo spiazzo pensando che sarebbe stata il migliore dei bersagli per gli arcieri. «Le vostre armi, jund Ash.» A malincuore Ash slacciò il cinturone, lo passò all'arif, lo salutò con un cenno del capo e si incamminò verso il padiglione. Sotto la corazza e il farsetto imbottito, la pelle sudava copiosamente. Il faris la vide arrivare e quando mancavano una decina di metri al tavolo si alzò dalla sedia lasciando penzolare le braccia inerti lungo i fianchi.
Le mani erano vuote, ma l'abito lungo e l'usbergo che indossava potevano nascondere facilmente una daga. Ash lasciò la gorgiera alzata e inclinò la visiera in modo da poter vedere la sorella senza però lasciare troppo spazio per far passare un'ipotetica stilettata. «Avrei fatto preparare del vino» disse il faris appena Ash fu abbastanza vicina da poter sentire «ma ho pensato che non l'avresti bevuto.» «Esatto.» Ash si fermò per un attimo appoggiando la mano guantata sullo schienale intagliato della sedia, percependo i contorni dei melograni ricavati nel legno. Osservò il faris che si sedeva all'altro capo del tavolo. La vista di quel volto che a lei era familiare perché l'aveva visto migliaia di volte riflesso negli specchi o nell'acqua, non mancava mai di metterla a disagio. «Ma in questo caso» aggiunse Ash «visto che rimarremo sedute qua fuori a gelarci il culo potrebbe venirmi sete.» Si sforzò di sfoderare un ghigno fiducioso e si sedette. Il faris fece un cenno alle sue spalle senza neanche guardare e dopo qualche secondo arrivò un servitore con una brocca di vino. Il vento freddo che aveva spazzato via la nebbia ora spingeva alcune ciocche di capelli sul viso e le guance pallide del faris. Cosa saranno quei cerchi rossi sotto gli occhi? si domandò Ash. Fame? No, deve essere qualcosa di più. «I miei uomini mi hanno detto che eri sulle mura, in prima linea, durante l'assalto di ieri» esordì il faris. Ash fece scattare il perno della gorgiera, l'abbassò leggermente e prese la coppa di vino offertale dallo schiavo. Il vino odorava di vino e basta. Portò la coppa alle labbra. Sembrò bere di gusto, ma neanche una goccia le entrò in bocca. Terminò la finta e si passò una mano sulla bocca per rendere la cosa più credibile. «Non prenderai quella città con gli assalti.» Fissò le torri e le mura di Digione che avevano un'aria incredibilmente solida. Notò che erano lontani dagli altri cunicoli che si avvicinavano lentamente alle mura. «Diavolo. Ha un aspetto pessimo da qua. Sono contenta di non essere fuori, con o senza torri d'assedio e il resto...» «Tu stavi combattendo!» insistette il faris ignorando le ultime frasi di Ash. Il tono di voce della sorella rivelò molte cose ad Ash che continuò a mostrarsi sicura di sé e attenta a cogliere ogni sfumatura nel suo comportamento.
«Certo che combattevo.» «Ma te ne stavi in silenzio. Non hai chiesto nulla al Golem di Pietra! Lo so. Non hai chiesto nulla riguardo la disposizione e le tattiche del nemico.» La luce del sole era passata dall'arancione al bianco pallido. La foschia era scomparsa del tutto e Ash arrischiò un'occhiata al campo visigoto. Solchi profondi nel fango, tende e meno cavalli di quanti se n'era aspettata. Dietro gli uomini schierati in ranghi al limitare dello spiazzo - dovevano essere i migliori perché avevano la funzione di sfoggiare l'efficienza dell'esercito - vide diversi soldati sdraiati a terra di fronte alle baracche. Da quella distanza Ash non poteva dire se erano feriti o stavano riposando. Sui volti dei soldati cominciavano ad apparire i primi segni di denutrizione. Un ammasso di macchine d'assedio erano ferme vicino al ponte sul Suzon, ma anche in quel caso non era in grado di stabilire se erano pronte a muoversi o erano danneggiate in modo irreparabile. «Come puoi rischiare di combattere senza la voce della macchina?» sbottò il faris. «Oh, adesso capisco...» L'armatura non le avrebbe permesso di appoggiarsi allo schienale, quindi Ash si limitò a posare le braccia sui braccioli della sedia dando l'impressione di essere tranquilla. «Lascia che ti dica una cosa, faris. All'età di cinque anni ero già in grado di combattere» disse a voce alta continuando a vagare con lo sguardo per quantificare il numero di archi, lance e di carri carichi di barili dietro di loro. «I ragazzini dei carri vengono addestrati. Potevo uccidere un uomo con la fionda. All'età di dieci anni ero in grado di usare una mezza picca. Le donne dei convogli non sono un ornamento. La Grande Isobel mi insegnò a usare una balestra leggera.» Ash fissò la sorella, attese che aprisse la bocca per parlare, ma l'anticipò. «No. Mi hai fatto una domanda e questa è la risposta. Ho ucciso due uomini quando avevo otto anni perché mi avevano stuprata. Ho iniziato l'addestramento con la spada insieme agli altri paggi del campo all'età di nove anni, con una spada spezzata che mi ero fatta modificare. Se non fossi stata abbastanza forte i cani del campo mi avrebbero fatta a pezzi... ma anche quello faceva parte dell'addestramento, riesci a capire quello che ti sto dicendo?» La donna visigota annuì silenziosamente fissando Ash dritta negli occhi. «Continuavano a buttarmi a terra e io continuavo a rialzarmi. A dieci o undici anni ero già una donna e il Leone mi parlò. Il Golem di Pietra» si corresse Ash. Il vento freddo spazzava il campo. Cristalli di neve si posa-
vano sulle guance sfregiate. «Nell'anno seguente, prima che tornassi alla compagnia, mi convinsi che non dovevo fidarmi di niente... santi, il Nostro Signore, o il Leone: niente e nessuno. Così ho imparato a combattere senza la voce.» Il faris la fissava. «Papà mi ha raccontato che l'hai sentita quando hai avuto le prime perdite da donna. Io, invece, non ho mai potuto fare a meno di sentirla. Tutti i miei giochi da bambina consistevano nel trovare un modo diverso per parlare con la machina rei militaris. Non avrei potuto combattere in Spagna senza il suo aiuto.» La voce e il volto del faris erano tranquilli, ma Ash si accorse dei pugni stretti sotto il tavolo. «Dobbiamo finire una conversazione. Quando sono venuta al tuo campo due notti fa, mi hai fatto delle domande riguardo il mio prete» disse Ash, brusca. «Godfrey Maximillian. Anche tu lo senti, giusto? Lui ti parla tramite la macchina.» «No. Sento solo la voce del Golem di Pietra...» «No.» Ash aveva replicato a voce abbastanza alta da farsi sentire ben oltre il confine dello spiazzo. Uno dei qa'id fece per muoversi, ma il faris gli fece cenno di rimanere al suo posto senza distogliere gli occhi dal volto di Ash. «Dannazione, donna» imprecò Ash. «Sai che quelle voci sono vere, altrimenti non avresti smesso di parlare con il Golem di Pietra. Hai paura che ti ascoltino! Nel corso degli ultimi vent'anni hai seguito i loro consigli. Non puoi ignorarlo.» La donna visigota aprì i pugni e bevve il vino nella sua coppa. «Posso» disse brevemente. «Potevo. Non più, adesso. Ogni volta che mi addormento ho gli incubi. Mi parlano nel dormiveglia... il Golem di Pietra, le Macchine Impazzite... quel tuo prete, padre Godfrey, mi parla dove prima sentivo la machina rei militaris. Come può essere?» Ash scrollò le spalle. «È un prete. È morto mentre parlavo con la macchina. Suppongo che Dio l'abbia salvato mettendo la sua anima all'interno della macchina. O forse non è stato Dio... ma il diavolo. Le ore passano in una maniera diversa per Godfrey. Per lui il posto dove si trova è più simile all'inferno che al paradiso!» «È strano sentire la voce di un uomo parlare qua» Il faris si toccò la tempia. «Questo è una delle altre ragioni che mi spinge a dubitare. Come posso fidarmi delle indicazioni della machina rei militaris se al suo interno è imprigionata l'anima di un uomo che, per giunta, è anche un nemico?»
«Godfrey non è mai stato nemico di nessuno. È morto cercando di salvare uno dei medici che stavano curando il califfo-re.» Ash rimase sorpresa nel vedere il faris che annuiva. «Messere Valzacchi. È uno degli uomini che si sta occupando di papà sotto la guida del cugino Sisnandus.» Il sole del mattino fece socchiudere gli occhi ad Ash. Il freddo aumentava. Il vento spostò una nuvoletta di polvere sul terreno, mentre a nord le nuvole si ammassavano all'orizzonte. «Cosa è successo a Leofric?» chiese Ash. Non si aspettava una risposta, ma il faris si inclinò in avanti e disse: «Era tornato nella Cittadella in tempo per asserragliarsi nella stanza della machina rei militaris.» «Ah, quindi era là sotto mentre cercavamo di distruggerla.» «Era là sotto quando il Golem di Pietra ha... parlato» continuò il faris come se Ash non l'avesse mai interrotta. «Quando ha ripetuto quanto riferito dalle... altre voci.» Il faris distolse lo sguardo. Quello che le altre voci ti hanno detto, pensò Ash, terminando la frase. «Non sono una stupida» disse improvvisamente il faris. «Se il cugino Sisnandus pensasse che quanto sentito da mio padre non fosse il frutto di un esaurimento nervoso e ci fosse dell'altro, non direbbe comunque niente al califfo-re perché priverebbe la casata dei Leofric della sua influenza politica. Lo so. Ma so che papà è ancora malato. L'hanno trovato il giorno dopo tra le piramidi circondato di schiavi morti e con i vestiti stracciati. Aveva raschiato una tomba a mani nude.» Il pensiero di Leofric quasi impazzito e delle sue mani, quelle che l'avevano analizzata con degli strumenti metallici, fossero rovinate, la fece sorridere. Che tristezza, pensò, ironica. «Tu hai sentito la voce di Godfrey» insistette Ash «poi quella delle Macchine Impazzite.» «Sì.» Il faris distolse lo sguardo. «La scorsa notte non ho potuto fare altro che ascoltare.» Ash seguì lo sguardo della gemella e vide che si stava concentrando sui suoi soldati: il fato di Digione si giocava nel fango di un campo. «Loro ti seguono da molto, vero, faris?» «Sì.» «Forse dalle campagne in Spagna o dalla battaglia d'Alessandria contro i Turchi.» «Sì.»
«Bene, hai ragione» disse Ash e quando la donna si girò a fissarla continuò: «Anche i tuoi stessi uomini sono in pericolo. Alle Macchine Impazzite non importa nulla se vincono questa guerra. Prima di tutto ti stanno dicendo di sbrigarti a prendere la città e uccidere il duca usando la forza bruta: sai bene che è una pessima tattica perché potresti perdere metà degli uomini senza arrivare a nulla. Questo significa sprecare delle vite inutilmente: vite di uomini che conosci.» «Secondo?» domandò il faris, secca. «E... secondo: 'Abbiamo allevato il faris affinché compisse un miracolo oscuro come quello di Gundobad. Noi useremo il nostro generale, il nostro faris, il nostro fautore di miracoli... per far sì che la Borgogna non sia mai esistita.'» Ash si rese conto che le sue parole avevano fatto apparire un'espressione disperata sul volto della gemella. «Sì» confermò il faris. «Ho sentito queste parole. Dicono di essere state loro a oscurare il sole sopra Cartagine.» «Vogliono distruggere la Borgogna e uccidere il duca in modo da poter compiere un miracolo che trasformi il mondo in un deserto. Secondo te, alle Macchine Impazzite importerà qualcosa se l'esercito visigoto si troverà entro i confini della Borgogna quando accadrà tutto questo? Pensi che qualcuno sopravviverà quando ci sarà solo oscurità, ghiaccio e decadenza, come sta cominciando a succedere intorno a Cartagine?» Il faris si appoggiò allo schienale. Ash, pronta a cogliere qualsiasi movimento ostile da parte della sorella, aveva l'impressione di guardarsi allo specchio. Una piccola nuvola di neve piroettò tra le tende. «L'inverno» disse il faris fissandola dritta negli occhi. «L'inverno non coprirà tutto il mondo.» «L'hai sentito anche tu.» Ash cominciò a sentire che la tensione dentro di lei diminuiva. Era qualcosa di cui non era neanche cosciente. Aveva detto le stesse cose a Roberto, Angeli e Florian. Le sue scelte, quelle che l'avevano portata a rischiare la vita dei suoi uomini e degli abitanti della città, erano dipese proprio da quelle parole. Ora non sapeva se era tutto vero o falso, ma almeno era certa di non essere stata la sola a udire le parole di quegli esseri. «Se è vero» disse il faris «dove pensi che dovrei portare i miei uomini... o tu i tuoi per essere al sicuro? Se loro vogliono ridurre il mondo intero a un deserto salato e bruciato... Dimmi, donna franca, dove pensi che po-
tremmo essere al sicuro?» Ash batté una mano sul tavolo. «Sei tu la discendente di Gundobad! Non posso neanche accendere una cavolo di candela con un miracolo. Sei tu quella che farà il miracolo per loro!» Il faris distolse nuovamente lo sguardo. «Non so se è vero» disse con un filo di voce. «No sai se è vero? Bene, allora te lo dico io cos'è vero. Quando ero fuori Cartagine quelle dannate macchine mi hanno fatto girare e camminare verso di loro senza che io avessi la minima possibilità di opporre resistenza! Se il duca Carlo morirà tutti noi sapremo se tu hai la possibilità di scegliere, ma sarebbe troppo tardi!» «Quindi non ti rimane che uccidermi.» Ash ebbe l'impressione di essersi schiantata contro un muro. Il condottiero visigoto passò dalla paura, alla concentrazione, di nuovo alla paura, quindi aggiunse: «So pensare da sola. Tu hai pensato che se io muoio le Macchine Impazzite non potranno fare più nulla. Sappi che se farai una mossa ci sono dodici dei miei migliori tiratori pronti a colpirti con le balestre prima ancora che tu possa alzarti dalla sedia.» I quadrelli avevano le aste spesse quanto un dito e punte lunghe dieci centimetri in grado di perforare il metallo. Ash allontanò quell'immagine dalla testa. «Certo che hai fatto appostare gli arcieri» disse Ash, tranquilla. «Ho origliato la tua conversazione con Cartagine. Mi avresti già fatta uccidere solo che poi Digione sarebbe ancora più dura da prendere dopo aver ucciso uno dei suoi eroi. Inoltre, continui a pensare che potrei tradire la città e consegnartela.» «Sei mia sorella. Non ti ucciderò a meno che non sia strettamente necessario.» Ash provò un improvviso impulso di pietà per la donna di fronte a lei. È giovane, considerò. Continua a pensare di poterlo fare. «Se dovesse essere necessario, io ti ucciderei senza pensarci un attimo» affermò Ash. «Certo.» Lo sguardo della donna vagò al ragazzino che teneva la brocca di vino e agli altri schiavi nelle vicinanze, quindi si posò su Ash. «Non possono obbligarmi a fare nulla» precisò il faris. «Nessun miracolo, niente. Non parlerò più con la machina rei militaris e non l'ascolterò! Loro non possono raggiungermi se non parlo con la macchina.» «Forse è una possibilità.»
«Cosa vorresti che facessi?» L'espressione del faris si indurì. «Vorresti che mi uccidessi perché delle voci nella mia testa mi dicono che compirò un miracolo diabolico? Io e te siamo uguali, jund Ash, siamo soldati. Non ho mai compiuto un miracolo! Prego, vado a messa e faccio i sacrifici quando è il momento, ma non sono un prete! Sono una donna. Aspetterò dopo la morte del duca e vedrò se...» «Allora sarà troppo tardi!» L'interruzione di Ash zittì il faris. «Quelle creature hanno oscurato il sole. Sono state loro a farlo. Hanno risucchiato nuovamente lo spirito del sole e lo riverseranno in te, mi sapresti dire come pensi di poterti opporre?» Il faris si leccò le labbra, ma quando parlò non aveva un'inflessione isterica. «Cosa vorresti che facessi? Che deponessi la spada?» «Dovresti persuadere l'amir Leofric a distruggere il Golem di Pietra.» La donna visigota la fissò in silenzio. Il nitrito dei cavalli echeggiò nell'aria. Le aquile delle Legioni visigote brillavano al sole. Non posso raggiungerla e ucciderla prima che i suoi uomini mi freghino. Forse non sarà necessario. «Fallo» la incalzò Ash. «Loro non possono raggiungerti. Il Golem di Pietra è la loro unica voce.» «Mio Dio!» Il faris scuoteva la testa stupita. «Esse hanno parlato una volta con Gundobad e poi con Bacone» continuò Ash «infine con noi attraverso la machina rei militaris. È la loro unica voce. Tu hai un esercito a disposizione. Leofric è pur sempre tuo 'padre' anche se malato. Tu hai una certa autorità. Nessuno ti può impedire di andare a Cartagine e fare a pezzi il Golem di Pietra.» Il faris fu colta da una sorta di apprensione che Ash interpretò come la possibilità che lei stesse prendendo in considerazione la questione. «Tagliare i collegamenti con le Macchine Impazzite a costo di non tornare più sul campo.» «Si tratta di te o delle macchine.» Una sorta di umorismo macabro fece apparire un sorriso sulle labbra di Ash. «Hai ragione: sono qua con il generale dell'esercito visigoto e le chiedo di distruggere la macchina tattica che le ha permesso di vincere tante guerre...» «Come vorrei che questo fosse solo uno dei tanti trucchi che si tentano in guerra.» Il faris unì le mani, vi posò sopra le labbra e appoggiò i gomiti sul tavolo. Ash non sentì nessuna voce nella sua mente, era ovvio che la donna di
fronte a lei non stava comunicando con Cartagine. «Adesso dovrei pregare che il tuo duca non muoia» disse il faris. «Non è...» Ash stava per protestare, voleva dirle che non era il suo duca, ma decise di tagliare corto. «È quello che mi sta facendo lavorare, quindi è normale che io voglia che viva! Sarebbe lo stesso anche se non ci fosse tutto questo in ballo.» Il faris sorrise, afferrò la coppa di vino e la svuotò. Il labbro superiore rimase macchiato di rosso. «Perché proprio il duca di Borgogna?» «Non lo so. Tu non l'hai chiesto?» «No, non oso.» Il faris alzò la testa e socchiuse gli occhi per fissare il cielo che si stava coprendo di nuvole giallo-grigie. «Papà... Leofric non distruggerebbe mai il Golem di Pietra. Neanche adesso. Ha dato tutta la sua vita per allevarci. Lui è malato e io non posso parlare con il cugino Sisnandus a meno che non usi la machina rei militaris. C'è il rischio di essere ascoltati. L'altra soluzione è che io torni a Cartagine di persona e gli parli faccia a faccia.» «Allora fallo!» «Non... è così facile!» Ash intuì dal tono di voce della gemella che si stava rilassando. Sedevano ai lati opposti di un tavolo. Una indossava un'armatura milanese completa. L'altra un abito bianco rivestito di piastre metalliche. I due volti, quello sfregiato e quello intatto rimasero immobili. «Perché no? Prolunga la durata della tregua.» Ash tamburellò un dito sul tavolo. «I tuoi ufficiali preferirebbero allungare l'assedio e cercare di prenderci per fame piuttosto che perdere un sacco di uomini negli assalti. Prolunga la tregua!» «E andare a Cartagine?» «Perché no?» «Mi ordinerebbero di tornare indietro immediatamente e di non lasciare più l'esercito.» Ash prese fiato. L'atmosfera era gravida di eccitazione e aspettativa. La tensione tra loro due stava diminuendo. «Merda! Pensaci! Sei il faris nessuno può mettere in dubbio la tua autorità. Vai a Cartagine, questo assedio può aspettare per mesi.» Ash comprese che la sensazione inspiegabile che stava provando era speranza. «Ma, sorella...» disse la donna di fronte a lei. «Meglio tornare a Cartagine e far distruggere il Golem di Pietra, che Le-
ofric lo voglia o no. Meglio quello che stare seduta qua sapendo che basterebbe essere uccisa per fermare tutto questo.» Ash agitò un dito in aria. «Qui non si parla più di guerra! Qua si tratta di non essere spazzati via. Diavolo, porta via l'esercito e radi al suolo la casa di Leofric se necessario!» Un sorriso increspò le labbra del faris. «Non penso che gli uomini lo farebbero, neanche per me. L'impero prende delle precauzioni al riguardo. Ma... papà potrebbe ascoltarmi. Se partissi, forse saremmo ancora al sicuro, Ash. Forse non succederà nulla se mi allontanerò dalla Borgogna.» «Non possiamo saperlo.» Se tu dovessi andare via da qua, pensò Ash, non ci sarà nessuno con te che sappia che tu dovrai essere uccisa. Merda: avrei dovuto capirlo. Ma questa è comunque una possibilità di distruggere il Golem di Pietra... «Ci sono i grandi Diavoli» disse il faris in tono sobrio. «Principi, Troni e i Domini dell'Inferno liberati nel mondo.» «Prolungherai la tregua?» Il faris alzò il capo. Sembrava che stesse pensando ad altro. «Almeno per un giorno. Devo ponderare la questione con cautela.» È bastato questo a fermare i bombardamenti per un giorno? pensò Ash. La paura che il faris potesse ritirare la concessione seccò la bocca di Ash che si costrinse a rimanere sicura di sé comportandosi come se stesse prendendo parte a uno dei tanti negoziati intavolati nel corso della sua vita. Cercò di impedire alla speranza di apparirle sul viso. «Ho sentito dire che il duca Carlo è malato» disse il faris. «Dicono che abbia subito una ferita mortale nella battaglia di Auxonne.» Ash si rese conto che la donna di fronte a lei era molto seria. Crede davvero che glielo dica? pensò Ash. «Alcune voci dicono che è malato, altre che è ferito e altre ancora che è morto» disse Ash, caustica. «Sai come sono fatti i soldati.» «Jund Ash, ti sto chiedendo quanto tempo ci rimane.» Era la prima volta che usava il 'ci' nel rivolgersi a lei. «Faris... non posso dire niente riguardo il mio datore di lavoro.» «L'hai detto tu: qua non si tratta di guerra... Quanto tempo ci rimane, Ash? Come vorrei poter parlare con Godfrey, pensò Ash. Lui avrebbe saputo dirmi se potevo fidarmi di lei. Ma adesso non posso domandargli nulla. Tenne la parte della sua anima che ascoltava le voci passiva, silenziosa,
assorta, pronta a recepire anche il minimo consiglio. La paura di udire quelle voci antiche le rodeva la mente come un topo. Sono io che devo decidere, pensò. Non posso demandare questo fatto ad altri. «Puoi anche chiamarmi sorella» cominciò Ash «ma non lo siamo, non rappresentiamo nulla. Siamo solo unite dal sangue. Non so se posso fidarmi della tua parola. Tu sei seduta circondata dal tuo esercito e io potrei mandare a morte degli uomini se prendessi la decisione sbagliata.» «Io sono la figlia di Gundobad» rispose il faris, convinzione. Ora che poteva vederla da vicino, Ash notò che l'abito rosso indossato dal faris sopra l'usbergo era consumato e sporco. Anche i capelli della donna erano unti. La terra sporcava le rughe intorno agli occhi. Il faris puzzava di fumo e degli altri odori di un campo. Ash fu colta da una sensazione di familiarità che la lasciò senza fiato: quella era sua sorella in più di un modo. «Nessuno di noi sa cosa significhi con certezza, ma correresti il rischio di scoprirlo?» domandò il faris. «Quanto tempo ci rimane, Ash? Il duca sta bene?» Ash ricordò il sogno del cinghiale nella neve e Godfrey che le diceva che anche lei era un animale con le zanne e che aveva impiegato molto tempo per avvicinarla e guadagnarsi la sua fiducia. Il faris si alzò in piedi e Ash osservò la cascata di capelli bianchi che le scendeva lungo le spalle incorniciandole il corpo fin oltre i fianchi. Ash chiuse gli occhi per qualche attimo per eliminare quella somiglianza tanto stupefacente. «Più che sorelle» mormorò Ash riaprendo gli occhi per fissare i soldati che le circondavano mentre parlavano tra di loro di tattiche, strategie e decisioni da prendere lontano dalle loro orecchie. «Non importa la nostra nascita. Noi facciamo lo stesso mestiere. Sappiamo cosa stiamo facendo... Non impiegare troppo tempo a decidere, faris. Il duca è moribondo. Potrebbe mancare da un momento all'altro.» Il generale visigoto la fissò attonita. Adesso scopriremo quanto crede a tutto quello che ha sentito, pensò Ash. Vedremo se sente veramente la voce delle Macchine Impazzite. Capirò se per lei questa è solo una delle tante guerre e io le ho appena consegnato Digione. Adesso potrebbe colpire la città visto che è priva di un capo e niente le impedirebbe di entrare. Ash fissò il faris e improvvisamente sentì la mancanza della spada al
fianco. La giovane Visigota allungò le mani tenendole con i palmi verso l'alto i maniera che tutti i presenti potessero vedere. «Non avere paura» disse il faris. Ash fissò le mani della sorella. Erano sporche e segnate dai calli e dalle cicatrici. Erano le mani di un contadino, di un fabbro o di chi era stato addestrato a combattere. «Prolungherò la tregua fino all'alba di domani. Giuro che troveremo una risposta prima di allora. Sarà Dio a inviarla!» Ash si sfilò lentamente il guanto destro e strinse la mano del faris. L'ovazione che si levò dalle mura di Digione scosse l'aria. «Non ho l'autorità per farlo!» disse Ash, sorridendo. «Ma se sono riuscita a ottenere una tregua quegli stronzi del concilio la rettificheranno! Puoi tenere buoni i tuoi qa'id?» «Per Dio se posso!» Il rintocco delle campane echeggiò nell'aria. Ash stava per dire qualcosa al faris e non comprese immediatamente il significato di quel suono secco, duro e triste allo stesso tempo... La grande campana dell'abbazia all'interno di Digione suonò nuovamente. Ash attese con il cuore in gola che la seconda campana si unisse alla prima. La prima campana batté ancora. Un suono solenne, pressante. Un rintocco ogni dieci battiti del cuore. Il clangore metallico che echeggiava nel campo si spense lentamente a mano a mano che gli uomini comprendevano il significato dei rintocchi. «La campana del trapasso.» Il faris si girò verso Ash. «Anche voi avete questa usanza? La prima campana per l'inizio delle ultime ore e la seconda campana per il momento della morte?» Il singolo rintocco continuava a echeggiare nell'aria. «Il duca Carlo l'Intrepido sta per morire» confermò Ash. Il faris che continuava a tenerle la mano, aumentò la stretta. «Se è vero non ho scelta...!» Ash sussultò nel sentire il vigore della stretta e venne pervasa dalla calma che provava ogni qualvolta si trovava sul campo di battaglia. Decise e cominciò a chiudere il pugno avvolto nel guanto metallico. Aveva già scelto il bersaglio: la gola. Le piastre metalliche che ricoprivano le nocche avrebbero reciso la carotide del faris. Le frecce saranno più veloci di me? Sì. Dovrò farla fuori al primo colpo,
non avrò una seconda possibilità... «Lo stendardo del duca di Borgogna!» urlò un nazir visigoto, scosso dalla vista. Il faris lasciò andare la mano di Ash e si comportò come se non avesse percepito nessuna forma di pericolo. Perché non sto facendo nulla? pensò Ash stupita, mentre fissava nella direzione indicata dal nazir. Il cuore le balzò in gola. Il portone ricavato nel cancello nord-ovest di Digione era stato aperto. L'avevano fatto nel momento in cui tutti ascoltavano stupefatti la campana dell'abbazia. Merda! Riusciranno a chiuderlo prima di un assalto...? Il faris urlò degli ordini e i soldati visigoti rimasero immobili. Ash cercò di capire chi stava arrivando. Erano in due. Uno, quello a cavallo, reggeva lo stendardo dei duchi di Valois, mentre il secondo era a piedi e camminava con un cane al suo fianco; nessun nobile, nessun duca alzatosi miracolosamente dal suo letto di morte. Al momento giusto il faris diede un altro ordine e gli uomini si fecero da parte per far passare i messaggeri. Ash infilò rapidamente il guanto destro armeggiando con le fibbie. Lanciò una rapida occhiata a Rochester e la scorta: una manciata di uomini che spariva di fronte allo strapotere dei Visigoti. Il portatore dello stendardo fermò il cavallo di fronte al faris. Ash, che non riusciva a riconoscerlo perché la celata dell'elmo era quasi del tutto abbassata, si chiese se non fosse Olivier de la Marche, ma osservando la divisa si rese conto che non era un personaggio di spicco. Era un semplice arciere a cavallo. Mentre Ash e il faris continuavano a osservare la scena, l'uomo a piedi si fermò poco più avanti rispetto al cavaliere e si tolse il cappello. Il cane al guinzaglio, un animale dal muso squadrato che sembrava troppo grosso rispetto al resto del corpo, annusò incuriosito la gamba di Ash. «È un...» farfugliò Ash. Il vecchio canuto, con le guance arrossate e percorse da una tela di capillari rotti tipici di chi aveva passato gran parte della sua vita all'aperto, sorrise compiaciuto «Esatto, capitano, ed è uno dei migliori. Può trovare un cervo, un cinghiale o addirittura un unicorno se gli va, lo giuro su Cristo e su tutti i santi.» Ash lanciò una rapida occhiata al faris che osservava la scena stupita. «Faris?» l'uomo fece un inchino, quindi cominciò a parlare lentamente, ma in tono carico di rispetto. «Vorrei chiedervi il permesso di lasciar pas-
sare la caccia.» «La caccia?» Il faris fissò stupita Ash e la trentina di qa'id che la stavano raggiungendo. «La caccia?» ripeté. Questa è una follia! pensò Ash. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non proferì parola. Riusciremmo a raggiungere i cancelli se dovessi dare l'ordine adesso? Il vecchio abbassò lo sguardo e borbottò qualcosa, visibilmente intimidito dalla vista del comandante in capo dell'esercito visigoto e dei suoi ufficiali. Il cane scrollò la testa, le orecchie penzolavano verso il terreno e la coda si agitava nell'aria. Il faris si concentrò sull'uomo di fronte a lei. «Non sei in pericolo, vecchio. Nella mia terra ci insegnano a rispettare le persone sagge e anziane. Dimmi quale messaggio porti da parte del duca.» Il vecchio alzò lo sguardo e disse: «Non porto nessun messaggio, gentile signora. Non ce ne saranno più. I preti dicono che il duca Carlo morirà prima di mezzogiorno. Io sono stato mandato a domandarvi il permesso per far passare la caccia.» «Quale caccia?» Già vorrei saperlo anch'io, pensò Ash senza interrompere il generale visigoto. Quale caccia? «È usanza che i duchi di Borgogna vengano scelti con una caccia al cervo» spiegò l'uomo. Quando vide che il faris si limitava fissarlo in silenzio, il messaggero continuò: «È sempre stato così, generale. Ora che il duca Carlo sta per morire dobbiamo cacciare il cervo al fine di trovare il suo successore. Colui che uccide la preda prende il titolo di duca. Ho il compito di chiedervi di lasciar passare i cacciatori attraverso il vostro campo. Se accettate, allora io e Jombart andremo in cerca della preda.» Il faris alzò una mano per quietare il brusio levatosi alle sue spalle. «Qa'id!» «Ma questa è una follia...» L'ufficiale si zittì immediatamente appena fu raggiunto dall'occhiata del faris. Ash lo riconobbe: era Sancho Lebrija. «Capitano, ne sapete qualcosa?» chiese il faris rivolgendosi ad Ash. Ash guardò il vecchio cacciatore. Anche se il comandante visigoto lo intimidiva egli rimaneva sereno e consapevole del suo compito. «Non ne so nulla!» confessò Ash. «Non è neanche la stagione adatta per la caccia al cervo visto che è terminata con la festa della Croce Santa193 .» 193
14 settembre.
«Signora, la caccia ha luogo il giorno della morte del duca e questo non si può decidere a priori.» «È solo un trucco per portare fuori i nobili dalla città assediata» sbottò Sancho Lebrija. «E dove potrebbero andare?» lo sfidò il faris. «La guerra ha spazzato questa terra. Le città e i castelli sono stati saccheggiati. A meno che tu non pensi che possano superare il nostro schieramento, marciare per centinaia di chilometri verso nord senza cibo e arrivare nelle Fiandre e per trovare cosa...? Altra guerra. Con la morte del loro duca rimarranno senza un capo e cosa pensi che potrebbero fare, qa'id Lebrija?» Il cacciatore interruppe la discussione portata avanti in gotico cartaginese senza essere sicuro di aver capito bene. «Non abbiamo molto tempo. Farete passare la caccia senza che nessuno la ostacoli?» Lo sguardo di Ash andò automaticamente al cielo. Il sole biancastro si stagliava sull'orizzonte a sud-est. Le nuvole lo coprivano e scoprivano e l'aria era pervasa da un nevischio polveroso. L'odore della legna bruciata era forte. A giudicare dalla poca luce dovremmo essere in autunno, pensò Ash. «Forse un duca è buono quanto un altro» disse Ash sulla scia delle parole del cacciatore. Gli ufficiali che circondavano il faris fissarono Ash indispettititi, come se avesse fatto un commento frivolo. Solo il faris fece un rapidissimo cenno del capo. «E sia» concesse il comandante supremo dei Visigoti «avete il mio permesso.» Gli ufficiali cominciarono a protestare. «Silenzio!» Gli ufficiali ubbidirono immediatamente e Ash, che nel frattempo si era resa conto di aver trattenuto il respiro, li osservò scambiarsi rapide occhiate. «Li lascerò liberi di seguire le loro usanze» disse il faris. «Siamo venuti qua a conquistare questa terra. Non voglio ritrovarmi nella stessa situazione della Spagna dove migliaia di piccoli nobili litigano tra di loro senza un uomo in grado di controllarli!» Alcuni ufficiali annuirono d'accordo con le parole del faris. «È meglio far comandare questa terra dal loro duca. I sudditi risponderanno al duca che a sua volta ubbidirà a noi. In caso contrario ci sarebbe solo il caos e centinaia di piccole guerre che ci terrebbero inchiodati qua quando dovremmo combattere i Turchi.» I consensi tra gli ufficiali aumentarono.
Ha quasi convinto anche me, pensò Ash torva. Non ha tutti i torti... È ovvio che non sono l'unica brava a dire stronzate nella famiglia. «Vai a dire al tuo padrone che farò passare la caccia» disse il faris rivolgendosi al cacciatore. «A una condizione. Una compagnia dei miei uomini cavalcherà dietro i cacciatori per assicurarsi che tornino in città insieme al nuovo duca.» Alzò la voce in modo che anche gli ufficiali potessero sentire. «Durante la caccia dichiaro una tregua in questo campo e a Digione. Sarà come un giorno consacrato a Dio nel quale nessun uomo leverà la mano contro i suoi simili. I combattimenti cesseranno. Ne risponderete voi, capitano Ash?» Ash lasciò vagare lo sguardo sugli ufficiali di grado minore. A loro non piace, pensò. Mi chiedo quanto tempo ci impiegheranno ad ammutinarsi. Ore? Minuti? Il faris potrebbe avere già perso. Meglio agire quando ha ancora il comando della situazione. La campana echeggiò nell'aria fredda e umida. Un duca è buono quanto un altro, pensò Ash, torva. Presto lo vedremo. «Sì» disse Ash ad alta voce. «Garantisco che oggi verrà osservata una tregua. A meno che Olivier de la Marche non sia un folle nessuno combatterà fino alla prima di domani. Il faris, che aveva le tempie sudate, si girò verso il cacciatore «Ottimo. Andate. Cacciate. Scegliete il vostro duca. Non perdete tempo.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash: — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Pierce —
#162 (Pierce Ratcliff) Ash 11/12/00 ore 07,02 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
È fantastico. Ho bisogno del resto! Avrò una menzione per averlo scoperto?:-) Dobbiamo avere il resto della traduzione del manoscritto di Sible Hedingham al più presto possibile. Dovrai scrivere una prefazione che lo unisca al 'Fraxinus'. Dobbiamo pubblicare il tutto tra soli quattro mesi, Pierce! Dobbiamo prendere alcune decisioni. Continuare e pubblicare prima il 'Fraxinus' e poi 'Sible Hedingham' in seguito? Ritardare la pubblicazione di entrambe per qualche mese? Io propendo per la seconda ipotesi e ti spiego perché. Se riuscissimo a pubblicare entrambe le traduzioni dei manoscritti allo stesso tempo, insieme alla realizzazione del documentario TV della dottoressa Napier-Grant sul sito sottomarino di Cartagine come avevamo programmato, allora penso che potremmo avere quel genere di successo a livello accademico che si verifica una volta ogni generazione. Accademico e popolare, Pierce: diventeresti famoso!;-) Devo avere il tuo OK per parlare al mio direttore del manoscritto di Sible Hedingham. Lui sa che gli accademici sono molto riservati! Tutto questo è così frustrante - lui dispera di poter continuare le trattative con l'università della dottoressa Napier-Grant o con lei in persona, e io devo scantonare. Non voglio che le politiche d'ufficio mi portino via da questo! Quando pensi che la dottoressa Napier-Grant sarà pronta a rivelare alcuni dettagli del sito marino? Quando potrò dire a John che abbiamo trovato un nuovo manoscritto? Quando posso dire a qualcuno del Golem di Pietra? Non hai idea di quanto sono eccitata! — Anna
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#304 (Anna Longman) Ash/Sib. Hed. 11/12/00 ore 04,23 p.m. Ngrant@
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Anna — Non posso tradurre più velocemente! Il latino medievale è notoriamente complicato e se non fosse che ormai conosco come scrive l'autore di questi testi potresti aspettare per anni! Da una prima e rapida lettura del manoscritto posso affermare con assoluta certezza che si tratta di una continuazione del 'Fraxinus' e che è stata scritta dalla stessa mano. Ma i particolari storici che narrano gli eventi dell'inverno 1476-77 sono del tutto diversi da quelli che conosciamo noi. Non riconosco questa storia! E alcuni messaggi alla fine del manoscritto sono impenetrabili, impermeabili a ogni sorta di traduzione! Anche verso la fine del testo che sto per inviarti la scrittura diventa molto difficile. Il linguaggio è oscuro, metaforico: potrei aver sbagliato... un passato, un caso, l'uso di una parola poco familiare alterando i significati! Ricordati che questa è solo una prima stesura! Risparmiamo le opinioni. Il 'Fraxinus' offre una pianta precisa della città che abbiamo scoperto sul fondo del mar Mediterraneo. Può darsi che leggendo e traducendo a tarda notte mi sia confuso. Non lavoravo con questa intensità dai giorni dei miei esami di fine corso e solo il caffè e le anfetamine mi hanno fatto resistere! Oggi mi hanno chiesto di fare una piccola pausa. Isobel vuole che incontri alcuni dei suoi vecchi amici di Cambridge (durante il dopo laurea sembra che sia diventata amica di molti fisici) e l'elicottero dovrebbe arrivare entro un'ora. La squadra addetta al ROV ha finito di ripulire il Golem di Pietra in situ e ora vorrei esaminare le nuove immagini. Se il nuovo equipaggiamento passa le prove, i primi sommozzatori si immergeranno nel tardo pomeriggio. Quello che voglio fare è toccare con mano l'oggetto. Ci impiegherò delle settimane... non sono un sommozzatore! E, anche venisse recuperato
dal fondo marino io mi trovo in fondo alla coda. Dovrò accontentarmi delle immagini che arrivano dal fondo del mare. Non so dove sbattere la testa... il sito archeologico, il nuovo manoscritto! Ovviamente ho cercato di sottoporre queste notizie all'attenzione di Isobel che, sorprendentemente, le ha trovate astratte. È inutile dire che lei lavora duro... e da quando la conosco sono anni che lavora a testa bassa. Passa ventiquattro ore al giorno sul sito! Forse è proprio per questo motivo che quando le ho chiesto se potevo rivelare dei dettagli della scoperta, lei, come dicono i suoi collaboratori, 'mi ha staccato la testa a morsi'. Forse non c'è nulla di cui sorprendersi! Le farò vedere il resto della traduzione. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Anna —
#310 (Anna Longman) Ash/golem 12/12/00 ore 06,48 p.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Pensavo che volessi essere informata: Isobel mi ha appena dato i risultati sul 'golem messaggero' trovato nel sito terrestre di Cartagine. Sembra che il dipartimento di metallurgia affermi che il materiale incorporato nelle giunture durante il processo di fusione può risalire a cinque o seicento anni fa! Non è carino da parte loro ammettere un simile errore? (Anch'io sono soddisfatto). Quando avrò il tempo di leggere il rapporto chiederò a Isobel - sempre che riesca a placcarla - se posso includerlo in appendice al mio libro. Torno a tradurre. — Pierce. ——————————————————————————————
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Pierce —
#180 (Pierce Ratcliff) Ash 12/12/00 ore 11,00 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Sono così contenta, Pierce! Come hanno fatto a commettere un simile errore? La dottoressa Isobel dovrebbe rivolgersi a un dipartimento di metallurgia più efficiente. Tutte quelle preoccupazioni inutili! Credo che dovremmo pensare a come muoverci in fretta. Jon Stanley mi ha detto che circolano voci nel mondo accademico che tu stai traducendo 'qualcosa'. Credo che si riferiscano al 'Fraxinus'. Ho tenuto l'esistenza di tutto il resto strettamente confidenziale, però, Pierce, non posso dire cosa fare del manoscritto originale a William Davies, giusto? Mi aspetto che ci siano voci nel giro degli archeologi. Potresti suggerire alla dottoressa Isobel che una sorta di diffusione controllata di alcune notizie potrebbe essere molto utile al momento? Non trovi che sia tutto così eccitante? Sono così contenta anche se sono coinvolta a distanza! Con affetto, Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Pierce —
#187 (Pierce Ratcliff) Ash 13/12/00 ore 06,59 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
HO BISOGNO DEL RESTO DELLA TRADUZIONE Le teorie sono molto belle, Pierce, ma...
No. Fa niente. È successo qualcosa, STA succedendo qualcosa. Giusto? Adesso ti spiego perché lo so... Circa mezz'ora fa sono tornata a casa e mi sono messa a guardare la televisione. Passavo dal telegiornale locale di Londra a quello dell'East Anglia. Sono incappata in quest'ultimo per puro caso. Il piatto forte era un caso umano: la storia di un veterano della guerra che incontra il fratello perduto dopo sessant'anni. Ho ascoltato metà della vicenda senza sentire nomi, quindi mi sono seduta, ho alzato la cornetta del telefono e ho trovato un messaggio sulla segreteria. Era William Davies. Una voce formale che usciva dalla segreteria e mi diceva che voleva sapere se avevo intenzione di parlare con suo fratello, Vaughan. Vaughan è 'stato via' e adesso è tornato. Non lo farò io, Pierce. Voglio che tu torni in Inghilterra e gli vada a parlare. Sono un editore, non uno storico o un giornalista e penso che non ho neanche voglia di avvicinarmi a quella persona. Quella è la TUA creatura. Pensaci tu. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Pierce —
#188 (Pierce Ratcliff) Ash 13/12/00 ore 07,29 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Rispondi al messaggio! — Anna ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Pierce —
#189 (Pierce Ratcliff) Ash 13/12/00 ore 09,20 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Leggi la posta!!! — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Pierce —
#192 (Pierce Ratcliff) Ash 14/12/00 ore 10,31 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Dove diavolo sei finito? Va bene, l'ho fatto. Sono andata a casa dei fratelli Davies e ho visto William insieme a Vaughan. Due anziani signori che non hanno molto da dirsi, non pensi che sia triste? Vaughan Davies non è spaventoso, solo vecchio... e senile. Ha perduto la memoria in seguito a un trauma subito durante il Blitz. Non è più il brillante accademico di un tempo. Sembra che la sua amnesia sia genuina. William è un chirurgo e ha ancora un sacco di contatti nel mondo medico. Ha fatto visitare il fratello dai migliori neurochirurghi di uno dei migliori ospedali d'Inghilterra e la diagnosi è stata amnesia in seguito a uno shock. Le cose sono andate così, Vaughan Davies fu investito dall'esplosione di una bomba e perse la memoria. Alla fine della seconda guerra mondiale fu ricoverato in una casa di riposo e dimenticato. Dopo qualche anno venne messo in strada affinché se ne 'prendesse cura la comunità'. La polizia l'ha acciuffato quando ha cercato di entrare nella sua vecchia
casa di Sible Hedingham. È piuttosto tocco e nessuno sapeva chi era, tranne uno degli abitanti del castello che lo riconobbe perché era presente quando, anni prima, aveva fatto il terzo o quarto tentativo di entrarvi. Siamo arrivati a un binario morto, Pierce. Non ricorda di aver pubblicato la seconda edizione di ASH. Non ricorda di essere stato un accademico. Parla con William come se fossero ancora quindicenni e vivessero insieme ai genitori nel Wiltshire. Non riesce a capire come mai William sia 'vecchio'. Vedere la sua immagine riflessa allo specchio lo sconvolge, allora William gli dà una leggera pacca sulla mano e gli dice che andrà tutto a posto. Mi veniva da piangere nel sentirli parlare. A volte non mi piace come mi comporto. Non mi piace perché ho di fronte una persona vera che ha sofferto molto e suo fratello è un vecchio dolce al quale mi sto affezionando. Perché non controlli la posta elettronica, Pierce? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#322 (Anna Longman) Ash 14/12/00 ore 10,51 p.m. Ngrant@
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Anna — Non posso andare via. Non posso sottrarre tempo alla traduzione e presto capirai il motivo di queste mie parole. Sto mandando la prossima sezione. Ti prego di tornare a parlare con Vaughan Davies per conto mio. Per favore. Se è coerente chiedigli delle informazioni sulla sua teoria riguardo la 'connessione' tra i documenti di Ash e la storia - la nostra storia - che ha soppiantato quella narrata nei documenti in nostro possesso. Chiedigli cosa aveva intenzione di pubblicare dopo la seconda edizione! — Pierce
—————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Pierce —
#196 (Pierce Ratcliff) Ash 14/12/00 ore 11,32 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
SEI IMPAZZITO? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
Anna —
#196 (Pierce Ratcliff) Ash 14/12/00 ore 11,32 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
No, non sono impazzito. È tardi. Fin troppo tardi per continuare a tradurre, inoltre sono troppo stanco per pensare in inglese, figuriamoci in latino scorretto. Ti spedisco un'altra sezione completa. Domani mi sveglio all'alba e continuo, ma per oggi basta. Adesso ti spiego come mai non torno in Inghilterra. Mi hanno fatto vedere le carte di questa zona del Mediterraneo disegnate dall'ammiragliato. Come potrai immaginare, visto che nel corso dell'ultima guerra mondiale questo mare è stato teatro di grandi scontri, le mappe dei fondali sono estremamente dettagliate e accurate. In nessuna di esse appare alcun tipo di 'trincea' sul fondo del mare nel punto in cui ci troviamo in questo momento. — Pierce
DODICESIMA PARTE 16 NOVEMBRE AD 1476 La caccia al cervo 194 I «C'è un cazzo d'esercito fuori dalle mura e voi pensate di uscire e andare a caccia?» sbraitò Ash. Olivier de la Marche fece evitare una pila di macerie al grosso stallone sauro che montava e rispose alla domanda mentre impartiva una serie di ordini ai cacciatori. «Si va adesso, capitano. Abbiamo bisogno di un duca.» Ash osservò il volto consumato dal tempo sotto la visiera e riconobbe un uomo capace che doveva organizzare un sacco di cose, ma che possedeva qualcosa d'altro: una capacità d'astrazione non comune. La piazza dietro il muro nord di Digione doveva essere affollata da circa tremila persone, o almeno così stimò Ash e altre ne arrivavano con il passare dei minuti. Cavalieri in sella ai destrieri, arcieri che correvano a destra e sinistra portando messaggi, cacciatori con i loro paggi e diverse coppie di cani da caccia. Ma soprattutto - Ash dovette socchiudere gli occhi per proteggerli dal sole che illuminava le macerie dei palazzi bruciati - uomini e donne con indosso abiti incolori. Negozianti. Apprendisti. Contadini rifugiatisi in città con le famiglie. Vinai, venditori di formaggi, pastori e bambini. Tutti avvolti negli abiti sporchi e rattoppati, con i volti rossi a causa del vento freddo. Alcuni di loro avevano un'espressione solenne, altri persa nel vuoto. Per la prima volta dopo mesi nessuno si aspettava di vedere cadere un masso dal cielo da un momento all'altro. Tutto era calmo. Il rumore più forte era provocato dai passi degli uomini di Ash e dalla sua voce roca, dagli occasionali nitriti dei cavalli e dai rintocchi della campana. «Se tra i vostri uomini ci sono Burgundi allora possono prendere parte alla caccia» la informò Olivier de la Marche. Ash scosse la testa. Il cavallo che montava si innervosì a causa del movimento e scartò di lato. Ash ne riprese immediatamente il controllo. «Chi erediterà il ducato?» 194
Seconda parte del manoscritto rinvenuto a Sible Hedingham.
«Qualcuno che abbia sangue reale nelle vene.» «Chi?» «Non lo sapremo fino alla fine della caccia. Se lo desiderate potete venire, capitano, altrimenti salite sulle mura e assicuratevi che la tregua venga rispettata!» Ash lanciò uno sguardo ad Angelotti mentre il visconte si allontanava per unirsi ai cacciatori. «'La caccia al cervo'... Sono io o sono loro a essere impazziti?» Prima che Angelotti potesse rispondere una figura alta e magra si avvicinò e scostò il cappuccio dalla testa. Era Floria del Guiz che batté le mani avvolte nelle muffole di pecora. «Ash!» la chiamò, allegra. «Roberto ha una dozzina di uomini che vorrebbero parlarti della caccia. Gli dico di portarli alla torre o preferisci andare tu a parlare con loro?» «Qua.» Ash smontò da cavallo. Stava rilassandosi dopo la tensione per la visita al campo del faris e i muscoli le dolevano. Scesa a terra si rese conto che il numero di uomini e donne che affollavano la piazza era impressionante. Camminavano tutti in silenzio con i volti addolorati. Nei punti in cui la strada si stringeva a causa delle macerie, molti cedevano cortesemente il passo ai vicini o facevano un cenno del capo per scusarsi. I soldati burgundi, che Ash si era aspettata dovessero ricorrere alla forza per tenere a bada la folla, formavano dei piccoli gruppetti che sorvegliavano il flusso della gente. Qualcuno di loro di tanto in tanto scambiava commenti con i contadini. Molte donne aveva acceso delle candele e le tenevano in mano con cautela. «Il silenzio... non ho mai sentito nulla di simile.» Dietro Floria c'erano due donne: una indossava l'abito verde delle suore e l'altra un vestito bianco, macchiato. Appena la folla si diradò un poco, Ash poté vedere che si trattava di sorella Simeon e di Jeanne Châlon. «Florian...» Ash si girò stupefatta verso il chirurgo. Il chirurgo diede un messaggio a un ragazzino e alzò lo sguardo. «Roberto dice che una dozzina dei Fiamminghi che sono rimasti con noi vogliono prendere parte alla caccia. Ci sono anch'io.» «Quando è stata l'ultima volta che hai pensato a te come a una Burgunda?» le chiese Ash, scettica. «Non importa» disse la Superiora. Non c'erano né condanna né disapprovazione nello sguardo della religiosa. «Il vostro dottore è stato trattato
male dalla sua terra natale, ma questo fatto ci unisce.» Ash si accorse che Jeanne Châlon la guardava senza astio. Le lacrime avevano arrossato gli occhi della donna. Ash non seppe dire se la donna continuava a tirare su con il naso per via del vento freddo o del pianto. Il fatto più incredibile fu vederla a braccetto con Floria. «Non posso credere che stia morendo» gracchiò. Ash sentiva la gola che si stringeva. Provava una sorta di simpatia per quella donna addolorata. «Era il nostro cuore» aggiunse Jeanne Châlon. «Dio ha posato il più pensate dei fardelli sulle spalle del Suo servo più fedele... Solo Dio nella sua misericordia sa quanto sentiremo la sua mancanza!» Ash si rese conto che, eccettuata la Superiora, non c'erano altri religiosi per la strada. La campana continuava a suonare. Ogni prete doveva essere a palazzo con il duca. Provò un impulso improvviso: avrebbe voluto andare là e aspettare la notizia della morte. «Io sono nata qua» disse Floria. «Certo, ho vissuto altrove e sono un reietto. In ogni caso, Ash, voglio vedere un nuovo duca. Non ero in Borgogna alla morte di Filippo e non presi parte alla caccia in cui Carlo si guadagnò il titolo di duca. Prenderò parte a questa caccia anche se...» socchiuse gli occhi e sul suo volto apparve un'espressione di tetro umorismo «... anche se penso che siano tutte stupidaggini!» Ash aveva il naso gelato dal vento. Sentì qualcosa che colava e prese un fazzoletto guardando gli arcieri e i cacciatori con le livree dell'Hainault e della Piccardia montare in sella. Vide che anche Armand de Lannoy, il nobile francese scappato dalla sua terra, avrebbe preso parte alla battuta insieme ai nobili burgundi. Ash si strofinò il naso con vigore e disse: «Vengo con voi. Robert e Geraint possono prendersi cura della baracca.» «E se i Visigoti non dovessero rispettare la tregua, Madonna?» le chiese Antonio Angelotti in sella al suo magro cavallo. «Il faris ha delle ottime ragioni per non infrangere la tregua. Ti spiegherò tutto dopo.» Il tono di voce si alleggerì. «Andiamo, Angeli. I ragazzi si stanno annoiando. Mostrerò loro che non dobbiamo stare dentro Digione come dei bambini spaventati. È buono per il morale!» «Non se piantano la tua testa in cima a una lancia, Madonna.» «Non credo che quello aumenterebbe il mio morale, proprio no...» Ash si girò mentre il bambino con il messaggio si faceva strada tra la folla e vide Robert Anselm insieme a un certo numero di soldati. «Cosa vogliono?» Pieter Tyrrel era alle spalle di Anselm con la mano mutilata infilata nella
cintura. Il volto sotto l'elmo da arciere era pallido. Insieme a lui c'erano Willem Verhaecht e il suo secondo Adriaen Campin. Tutti e tre avevano un'aria attonita. «Non credevamo che lui stesse per morire, capo» esordì Tyrrell senza bisogno di spiegare a chi si stesse riferendo. «Vorremmo partecipare alla caccia in suo ricordo. So che siamo sotto assedio, ma...» «Una dozzina dei miei uomini sono Burgundi di nascita, capo» si intromise Willem Verhaecht. «È una questione di rispetto.» «Era un buon datore di lavoro» aggiunse Adriaen Campin. Ash fissò i tre uomini e la parte più pragmatica della sua mente pensò che una dozzina di uomini non avrebbero impedito ai Visigoti di tradire i patti e l'altra parte rispose all'effetto che aveva fatto la massa di gente radunata nella piazza. «Se la mettete su questo piano avete ragione» disse infine. «È vero, si tratta di rispetto. Sapeva quello che stava facendo, cosa che non succede con la maggior parte dei bastardi che ci pagano. E sia; avete il permesso di partecipare alla caccia. Capitano Anselm, tu, insieme a Morgan e Angelotti terrete la torre. Se ci fosse un tradimento preparatevi ad aprire il cancello perché dovremo tornare con una certa fretta.» Il gruppo ridacchiò. Willem Verhaecht si girò a organizzare i suoi uomini. Robert Anselm osservò Ash in silenzio. «Ascolta.» «Non sento nulla.» «Certo che senti anche tu. Senti il dolore.» Ash aveva abbassato il tono di voce e indicò il punto in cui si trovavano i cacciatori, i cani, Philippe de Poitiers, Ferry de Cuisance e Olivier de la Marche senza il cappello. «Se questa città deve resistere ha bisogno di un successore di Carlo. Se lui dovesse morire e non ci fosse nessuno al suo posto allora è finita: Digione cadrebbe entro domani.» Il rintocco della campana echeggiava chiaramente sopra il mormorio soffuso che si levava dalla folla. Ash osservò i tetti a punta, ma dal punto in cui si trovava non poteva vedere i campanili gemelli dell'abbazia. Gli staranno impartendo l'estrema unzione, pensò. Si rese conto che aveva i capelli ritti sulla nuca. Era in attesa del secondo e fatale rintocco. I cacciatori pensano che morirà prima di mezzogiorno e siamo alla quarta ora del mattino... «E il faris?» chiese Robert Anselm. «Manderà una scorta a seguire la caccia» rispose Ash.
«Una scorta?» disse Anselm stupefatto scuotendo la testa. «Non era quello che intendevo dire. Quando lui morirà... quella non è la figlia di Gundobad? Può compiere il miracolo?» «Non credo che lo sappia.» «E tu lo sai, ragazza?» Ash carezzò il suo cavallo che strofinò il muso contro il guanto. «Non lo so... Roberto. Anche lei sente la voce delle Macchine Impazzite. Le parlano. E se le parlano...» Tornò a concentrarsi sul volto del suo secondo. «Mi hanno fatta girare e camminare senza che io lo volessi... per cui, qualunque cosa lei sia capace di fare, loro possono fargliela fare.» Quell'autunno i cespugli non erano fioriti, ma Ash poteva sentire l'odore dei pini perché metà degli uomini e delle donne nella piazza avevano delle ghirlande. Ash era ferma in mezzo ai suoi ufficiali, ai cavalli portati dagli stallieri della compagnia e agli uomini con la divisa del Leone che si preparavano alla caccia. Adesso è tutto diverso, pensò. I loro sguardi erano molti più seri di quelli che di solito precedevano una battaglia. «Il faris è spaventato. Forse l'ho spaventata a tal punto da convincerla a tornare a Cartagine... ma di questo non ne sono certa» disse Ash, pensierosa. «Anche lei ha sentito dire dalle Macchine Impazzite che l'inverno non ricoprirà il mondo se prima non cadrà la Borgogna. Lei ha vissuto da sempre nel Crepuscolo Eterno e non ha idea di quello che sta succedendo a Cartagine. Laggiù sta gelando tutto.» Lo sguardo di Ash corse al sole in cielo come per assicurarsi della sua presenza. «Io sono stata costretta a muovermi da quelle creature, lei no. Pensa che non potrebbe accadere a lei, non so se vorrà distruggere il Golem di Pietra anche se adesso sa che quella macchina è solo uno strumento delle Macchine Impazzite.» «È dipesa da quel marchingegno per dieci anni» Robert Anselm completò la frase per Ash. «È la sua vita» Sul volto di Ash apparve un ghigno. «Ma non la mia. Se solo potessi ridurrei il Golem di Pietra in briciole... se solo potessi, il che significa che non mi rimangono molte scelte.» Sentì che la sua mente, stimolata dalle sue conclusioni, stava già cominciando a elaborare un piano. «Robert, Angeli, Florian, ho detto al faris che un duca vale l'altro, ma potrei sbagliarmi. Se alle Macchine Impazzite ba-
stasse solo la morte di Carlo... allora molto presto sapremo tutto.» Ash si sforzò d'ignorare la folla silenziosa. «Speriamo che i Visigoti concentrino tutte le loro attenzioni sulla caccia. Una volta nella foresta, io guiderò un gruppetto di uomini verso il campo visigoto e cercherò di uccidere il faris.» «Siamo morti» disse Anselm. «Neanche se prendessi tutta la compagnia potresti superare quelle migliaia di uomini.» Ash non lo contraddisse. «Va bene, allora prendo tutta la compagnia, o almeno tutti quelli che hanno un cavallo. Roberto, il faris ha dichiarato una tregua, ma nel suo campo potrebbe esserci un tentativo di ammutinamento prima di mezzogiorno. La caccia potrebbe trasformarsi in un massacro. Questa è l'unica occasione che ho per cercare di eliminare il faris.» Anselm scosse la testa. «'Fanculo alla tregua. Se fossi un Visigoto ucciderei ogni nobile che mettesse la testa fuori dalle mura. De la Marche rischia di fare la fine del topo in un canale di drenaggio!» «Tutta questa caccia è una follia» concordò Ash abbassando la voce. «Ma va bene. La confusione giocherà a nostro favore, ma se fossi in te, comincerei a pregare...» Abbozzò un sorriso. «Prenderò solo dei volontari, Roberto.» «Poveri bastardi!» Robert Anselm lanciò una rapida occhiata agli uomini del Leone che stavano raggruppando i loro uomini. «Quelli che hai portato a Cartagine pensano di essere degli 'eroi' e dimenticano che sono stati presi a calci in culo, mentre quelli rimasti qua pensano di essersi persi tutto il bello e tutti pensano che tu abbia un piano.» «Ho intenzione di lasciare qua Angelotti perché si occupi delle artiglierie» disse Ash, attenta a ogni sfumatura. «Penso che anche i fanti avranno bisogno di un ufficiale, forse potresti rimanere tu a Digione e non offrirti volontario per l'impresa.» Ash si aspettò una protesta del tipo: 'lascia il compito a Geraint ab Morgan!', ma Anselm si limitò a fissare i cancelli della città e annuire. «Metterò delle sentinelle sulle mura. Appena vedremo che attacchi il campo cominceremo a tirare da qua per creare più confusione. 'Fanculo alla tregua. Altro, ragazza?» le chiese distogliendo lo sguardo. «No. Procurami tutti i cavalli che puoi per gli uomini che verranno con me.» Ash rimase ferma a osservare l'Inglese che si allontanava. «Robert che rifiuta un combattimento?» esclamò Floria incredula. «Ho bisogno di qualcuno in gamba da lasciare in città.»
Il chirurgo gratificò Ash con una breve occhiata colma di cinismo. Non disse ad alta voce che Anselm aveva perso il coraggio, ma lei glielo lesse sul volto. «Andrà tutto bene» disse Ash, calma. «Succede a tutti. Neanche il mio stato d'animo è dei migliori in questo momento. Forse è qualcosa che ha a che fare con gli assedi. Dagli uno o due giorni.» «Forse non avremo neanche un giorno.» Floria si morse il labbro. «Ti ho vista parlare con Godfrey e ho visto le Macchine che ti facevano girare contro il tuo volere... tutti l'abbiamo visto. Tutti sappiamo che potrebbe restarci poco più di un'ora di vita, ma non sapremo nulla finché non succederà qualcosa.» Ash avvertì un freddo che le era familiare. «Devo andare senza Robert. Sa quello che ho in mente e sa che potrebbe essere un viaggio senza ritorno. Ho bisogno di gente che sia ben consapevole di questo fatto, ma che abbia ancora voglia di venire.» Il campanile batté dieci rintocchi rompendo il silenzio. Ash vide delle persone prendere il pane tenuto all'interno di fagotti sporchi, sedersi sui cumuli di macerie e cominciare a mangiare, ma sempre con gesti colmi di contegno. Floria prese la mano di Ash. «Non farlo» le disse, come se stesse facendo un grande sforzo per pronunciare quelle parole. «Non farlo, ti prego. Non ne hai bisogno. Lasciala vivere. Tra una o due ore ci sarà un altro duca. Rischi di farti uccidere per niente.» «Io passo la mia vita a rischiare di farmi uccidere inutilmente. È il mio lavoro.» «E io sto cominciando a stufarmi di ricucirti ogni volta!» Floria la fissò in cagnesco. Malgrado il viso sporco e l'abito da uomo e le chiazze di cera bianca sul mantello, sembrava più giovane. Puzzava di erbe e sangue rappreso. «So che è necessario e che hai paura. Non stai parlando con Godfrey, vero?» «No.» Il pensiero di ascoltare o parlare le seccò la bocca. Nella parte del suo animo che aveva condiviso per decenni con la machina rei militaris sentiva una tensione crescente frutto della silenziosa presenza delle Macchine Impazzite; era come se si stesse preparando un temporale. «Almeno scopri chi sarà il successore del duca prima del tuo suicidio!» La voce di Floria era permeata da una vena d'umorismo macabro. «Appena l'avremo scelto nel campo ci sarà ancora più confusione, quello sarebbe il momento migliore per coglierli di sorpresa. Dai, non vuoi dirmi che vorre-
sti perderti de la Marche che diventa duca?» «Pensavo che nessuno sapesse chi sarà scelto.» disse Ash, rispondendo all'umorismo del medico. Sapeva che era solo un modo per nascondere il nervosismo. Floria le strinse la mano, quindi la lasciò. «Tecnicamente non lo sa nessuno. Tecnicamente può essere eletto chiunque abbia qualche goccia di sangue ducale che gli scorre nelle vene. Il che significa che dal modo in cui le famiglie fanno sposare i figli potrebbe essere chiunque tra qua e Gand.» Ash lanciò un'occhiata a Adriaen Campin e agli altri Fiamminghi. «Ehi, forse il prossimo duca di Borgogna sarà uno della compagnia!» Floria si asciugò gli occhi e sorrise cinica. «E forse Olivier de la Marche non è il candidato più probabile. Andiamo. Chi pensi che sceglieranno?» «Vuoi dire che quando squarteranno il cervo e osserveranno le interiora o qualsiasi altra cosa facciano dopo averlo ucciso, appariranno in cielo le parole 'Sieur del Marche' in lettere maiuscole?» «Credo che sarà più o meno così.» «Il che rende tutto più facile.» Ash scosse la testa. «Perché prendersi il disturbo di cacciare, allora? Cristo. Non capirò mai come ragionano i Burgundi... tranne i presenti, è ovvio.» Quando fissò Floria, vide solo una giovane donna che le sorrideva e si puliva il naso con la manica della giubba. «Tu non capisci niente» disse Floria con voce tremante. «Per la prima volta nella mia vita vorrei sapere come usare uno di quei coltellacci da macellaio che usi per fare a pezzi le persone. Voglio venire con te, Ash. Non voglio vedere che ti imbarchi in questa missione suicida senza che io sia al tuo fianco...» «Avresti le stesse possibilità di un topo che finisce tra le pale di un mulino.» «E tu?» Il fatto che quella mattina dove le nuvole si assottigliavano a nord e il sole a sud si faceva sempre più caldo potesse essere l'ultima della sua vita, non era nulla di nuovo per Ash, ma era una sensazione a cui era difficile abituarsi. Ash fece un profondo respiro per cercare di allentare la morsa che sentiva al petto. «Se riusciamo a fottere il faris, allora scoppierà un bel casino e noi potremo darcela a gambe nella confusione. Hai ragione, è un atto stupido e suicida, ma non sarebbe la prima azione che ha successo proprio per questi
motivi. Là fuori nessuno si aspetta che noi lo facciamo.» L'afferrò per un braccio per impedirle di allontanarsi. «Adesso viene la parte difficile. Non andrai a piangere in un angolo. Dovrai rimanere qua con la faccia di chi sa che andrà tutto bene.» «Cristo, quanto sei stronza!» «Proprio tu parli, chirurgo? Tu che dai un misto di oppio e cicuta195 ai miei ragazzi e poi tagli loro gli arti senza pensarci due volte.» «Non è proprio così.» «Ma lo fai. Li ricuci sapendo che torneranno a tutto questo.» «E tu li guidi sapendo che non lo farebbero per nessun altro» borbottò Floria dopo qualche attimo di silenzio. Un trambusto tra i nobili burgundi costrinse Ash a girare la testa e si accorse che tutti stavano montando in sella. Gli squilli delle chiarine e dei corni da caccia echeggiarono nell'aria e la gente radunata nella piazza cominciò ad alzarsi. Ash avvertì un borbottio praticamente impercettibile al limitare della sua anima, voci antiche che mormoravano qualcosa. «Va bene... ma rimani con i cacciatori, Florian. Mi allontanerò alle prima urla. Non posso aspettare che la caccia sia finita per attaccare. Non c'è tempo.» II Ash cavalcava a zig zag fra le trincee che si estendevano a nord della città. I Visigoti osservavano silenziosi il passaggio dei cacciatori. Ash sentì un formicolio alla base del collo, si girò e vide il manipolo di Visigoti che, simile a un groviglio di formiche nere, li stava seguendo. «Brutta caccia» si lamentò Euen Huw. Ash ricordò il trasferimento da Colonia a Neuss avvenuto sei mesi prima. L'imperatore Federico III non aveva fretta e l'esercito aveva marciato con passo svogliato. Un giorno si erano fermati per permettere ai nobili di cacciare. L'imperatore aveva fatto disporre i tavoli da campo coperti dalle tovaglie di lino e dato ordine che la colazione fosse pronta per l'alba. Ash si era rimpinzata di pane bianco. I cacciatori erano tornati e avevano posa195
Insieme al giusquiamo nero la cicuta era uno degli ingredienti di un anestetico scoperto durante gli scavi in un ospedale agostiniano del quattordicesimo secolo a Soutra, vicino Edimburgo. Una soluzione di galla di quercia serviva a risvegliare il paziente.
to le loro prede sui tavoli discutendo i pregi e i difetti di ogni bestia con i compagni. Il sole caldo che splendeva sopra la foresta tedesca era solo un lontano ricordo. «Non troveranno un cervo tanto in fretta» aggiunse il capitano gallese «senza contare che non ci sarà nessuna caccia. Abbiamo fatto scappare tutta la selvaggina dei dintorni con il casino che stiamo facendo.» Ash prese mentalmente nota della posizione di Euen Huw, che attendeva febbrile, di Thomas Rochester, di Willem Verhaecht e della scorta armata di cinquanta uomini che la seguiva. Ho avuto qualche problema a trovare i cavalli e gli uomini, pensò Ash. Saranno abbastanza? Riusciremo a entrare nel campo? «Attenti al mio segnale» disse Ash. «Allontanatevi dalle altre lance appena siamo tra gli alberi.» E sperate che possiamo allontanarci senza che nessuno dia l'allarme, continuò nella sua mente. La brezza che spirava dai fiumi era gelata. Il sole si rifletteva sugli elmi dei Visigoti, sulle armature degli uomini di Ash e sulle insegne dei cavalieri burgundi. Ash indossava un abito di lana spessa lungo fino ai fianchi sopra il piastrone in modo da avere le braccia libere. Nell'aria continuava a echeggiare il rintocco della campana. «Sento ancora la campana dell'abbazia, capo» disse Thomas Rochester «Charlie è ancora con noi.» «Non per molto. Il nostro chirurgo ha scambiato quattro chiacchiere con i suoi colleghi e gli hanno detto che nella notte lui è entrato in coma...» Ash vide de la Marche che si fermava al limitare del bosco e si arrestò a sua volta imprecando. I cacciatori a piedi, contadini e abitanti della città, si radunarono intorno ai cavalli. I cani da caccia uggiolavano ansiosi. «Aspettate qua.» Ash avanzò seguita da Thomas Rochester e una lancia di scorta. Il visconte scese da cavallo e venne immediatamente circondato da una dozzina di uomini con i cani al guinzaglio. «Fottuti Burgundi. Come vorrei che mio nonno fosse qua» borbottò Thomas Rochester. «Bastava mostrargli lo sterco di un animale e lui sapeva dirti se era vecchio o giovane, maschio o femmina... tutto. Era solito dire: 'Se trovi uno stronzo lungo, nero e grosso vuol dire che nelle vicinanze c'è un cervo di dieci anni.'» Cinquanta uomini piuttosto lontani, pensò Ash osservando il manipolo davanti a lei. Quelli a piedi non potrebbero farcela. Cinquanta uomini a
cavallo con corazze medie e pesanti che si devono aprire un varco nel campo... ho bisogno di sapere la disposizione delle truppe e dove si trova lei... Si morse il labbro per resistere all'impulso di parlare con la machina rei militaris. No, non devo ricorrere al Golem di Pietra perché le Macchine Impazzite sono attive, posso sentire la loro presenza. Era da qualche ora che avvertiva una sorta di pressione nell'animo. Neanche il faris sta usando il Golem di Pietra, concluse. «È questa la situazione?» domandò Olivier de la Marche. L'uomo in armatura al quale si era rivolto il visconte aveva l'aria di chi avrebbe preferito organizzare un torneo o una guerra piuttosto che essere là in quel momento. Ash si chiese se una volta diventato duca de la Marche sarebbe stato in grado di tenere il controllo di una regione invasa occupandosi al tempo stesso della guerra in Lorena e nelle Fiandre... Il cacciatore dalla barba bianca si girò in cerca di consensi da parte dei compagni. «È vero, mio signore. È da prima dell'alba che cerchiamo. Abbiamo battuto le sponde del fiume, la pianura, siamo andati a est e sulle colline a ovest. Abbiamo battuto la foresta da nord a ovest. Le tane sono fredde e le fratte rinsecchite da giorni. Non c'è più selvaggina.» «Che sorpresa!» borbottò Ash. Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle. Erano a meno di un chilometro dal campo visigoto, ma non potevano ancora staccarsi dal gruppo. Bel guaio se non ci sarà la caccia... pensò. «Certo che sono vuote!» sbuffò Thomas Rochester, disgustato. «Pensaci bene, capo! C'è un cazzo di esercito accampato a pochi chilometri da qua. È probabile che le teste di tela abbiano finito di sterminare la selvaggina dei boschi sei mesi fa! Secondo me, capo, la caccia te la scordi.» La notizia della mancanza di prede provocò un brusio preoccupato tra i cacciatori. Olivier de la Marche montò in sella. «Portate via i segugi» ordinò. «Sono inutili, non ci sono odori da seguire. Prendete i levrieri e mandateli a nord.» Alzò la voce. «Nel bosco a nord!» I cacciatori superarono Ash, che dovette tenere sotto controllo il cavallo, seguiti a distanza dai Visigoti. Arcieri! Merda! pensò Ash notando che il drappello nemico era compo-
sto in gran parte da lancieri e arcieri a cavallo. «Andiamo!» Alzò un braccio e indicò di fronte a lei. Girò il cavallo e i suoi uomini la seguirono. «Dove andiamo, capo?» le chiese Thomas Rochester. «Nord» ordinò Ash. «Ci dirigiamo verso gli alberi, una volta che saremo nel bosco ci dividiamo. Ci incontriamo al guado ovest.» Gli uomini di Verhaecht la superarono e Ash vide sfilare davanti ai suoi occhi una serie di volti familiari. Un ragazzino girò la testa, ma lei lo riconobbe lo stesso. Era Rickard: gli era stato proibito di prendere parte all'incursione, ma adesso era troppo tardi per mandarlo indietro. «È una stupidaggine» disse Rochester, fumante dalla rabbia. «Cosa credono di ottenere usando i levrieri? Non sanno neanche da che parte sia la selvaggina. Come è possibile cacciare se mancano le prede, capo?» «I Burgundi sono fatti così» rispose Ash, allegra. Sentì una risata soffocata levarsi alle sue spalle. Ash avvertiva l'apprensione e l'eccitazione dei suoi uomini che stavano per defilarsi dal resto del gruppo. Alzò gli occhi allo stendardo. Li capirei se non volessero seguirmi, pensò. Sto per commettere un omicidio. Posso raggiungere il faris da sola? Tornare indietro, consegnarmi alle teste di tela, nascondere una daga... no. Lei sa di essere un bersaglio. Ash spinse il castrato verso il gruppo di signore in abiti da caccia che montavano palafreni. Il cavallo grigio e magro di Floria spiccava come un mercenario in una chiesa. Il chirurgo si allontanò dalla zia e si avvicinò a lei. «Cosa stiamo facendo?» le chiese Ash. «Chi cazzo lo sa!» disse il medico, ignorando gli sguardi attoniti della gente a piedi. «Non chiederlo a me» continuò abbassando la voce. «Chiedilo al Maestro di Caccia. Chiedilo a de la Marche. Siamo in pieno novembre, ragazza. È già tanto se riusciremo a trovare una lepre. Questa è una follia!» «Dove ci sta portando?» «Nord-est, lungo il fiume e poi dentro il bosco.» Floria indicò con un dito. «Lassù.» Ash vide che la testa del gruppo era già arrivata a destinazione e stava cavalcando tra gli alberi spogli. I rami marroni spiccavano contro il cielo smorto. Ash raggiunse un punto del terreno costellato di ceppaie. Poteva vedere il legno chiaro degli alberi nei punti in cui era sparita la corteccia annerita. I fuochi da campo spandevano nell'aria l'odore della legna brucia-
ta. Qualcuno aveva piantato un'ascia in una ceppaia e l'aveva lasciata ad arrugginire. Non c'era alcun segno dei boscaioli, carbonai e allevatori di maiali che avrebbe visto in quella zona in tempo di pace. Erano tutti partiti settimane prima con i profughi. «Là» indicò Floria, appena comprese cosa stesse cercando Ash. Alcuni uomini a gambe nude, con indosso solo delle tuniche sporche e la testa protetta da cuffie nere, camminavano con i cacciatori discutendo animatamente con le persone che tenevano i cani. Un uomo anziano, ma ancora robusto teneva in mano una candela accesa la cui fiammella era praticamente invisibile a causa della luce del sole. L'area al limitare della foresta era coltivata a bosco ceduo, carpine, cespugli, frassino per i bastoni e nocciolo. I rami anneriti dal gelo invernale erano spogli. Solo sui rami più grossi era possibile scorgere qualche foglia o le ultime castagne. Ash abbassò lo sguardo per far evitare al cavallo un ceppo e quando lo rialzò si accorse di aver perso di vista il gruppo di cacciatori. Il suono degli zoccoli dei cavalli veniva attutito dal muschio e dallo strato di foglie umide che ricopriva il terreno. Il cacciatore con la barba portò il corno alle labbra e lo squillo infranse la tranquillità del bosco. I cani vennero immediatamente sciolti e incitati. Uno degli uomini con i cani chiamò le bestie a lui affidate per nome. «Marteau! Clerre! Ribanie! Bauderon!» La Superiora della Figlie della Penitenza piantò i talloni nei fianchi del cavallo e schizzò via. Jeanne Châlon fermò il cavallo sotto le querce, fece un cenno deciso a Floria e le disse: «Cavalca per noi! Sarai il mio testimone!» «Sì, zia!» Un gruppo di cavalieri al galoppo le superò dividendole dalle altre donne in sella. Ash li seguì, quindi si girò verso Thomas Rochester, Willem Verhaecht e i suoi uomini. «Tra gli alberi!» urlò. Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle e vide altri uomini a cavallo o a piedi che si addentravano nel bosco. Erano i Visigoti. Floria, rossa in volto, urlò qualcosa ai cani che la superarono di corsa e, riluttante, fermò il suo cavallo a fianco di quello di Ash. I rami spogli strusciavano uno contro l'altro sopra le loro teste, mentre nella foresta echeggiavano i passi rapidi e i guaiti dei cani. Ash dovette lanciare il cavallo al piccolo trotto per riuscire a stare dietro alla folla di uomini e donne che correva per i boschi e più di una volta dovette abbassare la testa per evitare
i rami o controllare che non ci fossero buche nel terreno. «Cosa diavolo credi che abbiano trovato?» urlò Floria alle sue spalle. «A quest'ora del giorno?» Ash indicò il sole con il pollice. Era quasi mezzogiorno. «Niente! Non è rimasto un fottuto coniglio tra qua e Bruges. Va' con tua zia.» «Vengo con te... la raggiungerò tra un minuto...» «Thomas.» Ash fece un segnale. «Comincia a dividerli. Una lancia alla volta. Prima nord, quindi ovest attraverso la foresta.» L'Inglese annuì. Girò il cavallo con una certa difficoltà districandolo tra i rovi e le verghe d'oro rinsecchite e partì in direzione dei compagni. Ash l'osservò giusto il tempo di assicurarsi che stesse arrivando a destinazione. «Florian.» Ash controllò la posizione del suo stendardo personale, dei cacciatori e quella dei Visigoti che si trovavano ancora al limitare del bosco. «Muovi il culo, vai con i cacciatori. Quando torni in città prepara tutto per i feriti.» «Stanno tornando indietro!» rispose il chirurgo, ignorandola. Un gruppo di uomini a cavallo e a piedi insieme a una coppia di cani si stava muovendo troppo rapidamente su quel terreno insidioso. Ash si spostò indietro verso un cespuglio, portò il peso in avanti e tirò le redini. Il cavallo reagì all'ordine. Ash riportò il peso indietro e il cavallo si girò. Eccettuato il sergente della lancia di Rochester che portava lo stendardo, tutti le persone nelle vicinanze erano dei perfetti sconosciuti. Ash arrischiò un'occhiata rapida sulla destra e vide le schiene dei suoi uomini che sparivano nel bosco. Due ufficiali nemici con l'armatura che splendeva al sole stavano per raggiungere i cacciatori, lo stendardo visigoto si trovava a una cinquantina di metri dietro di lei attorniato da una cinquantina o più di soldati a piedi o a cavallo. «Non serve a niente rimanere qua!» le disse qualcuno alle sue spalle. Ash si girò e si trovò faccia a faccia con Jeanne Châlon. «Non sono fatti vostri!» aggiunse la donna. Il tono di voce non era ostile, ma colmo di disapprovazione. Ash non riusciva a distinguere sorella Simeon o Florian in mezzo a tutta quella gente. Strinse con forza le redini del castrato che roteava gli occhi e batteva gli zoccoli e lo fece scendere lentamente per il pendio di fronte a loro. «Meglio sperare che la caccia non venga da questa parte!» disse Ash
sorridendo alla zia di Floria indicando al tempo stesso i Visigoti che si facevano strada nel sottobosco. «Cosa succederà alla Borgogna se il cervo verrà ucciso da un nemico?» Jeanne Châlon premette le labbra oltraggiata. «Non sono eleggibili. Lo stesso vale per voi perché nelle vostre vene non scorre neanche una goccia di sangue burgundo! Sarebbe inutile: niente duca!» Ash fermò il cavallo. L'acqua nera serpeggiava nel bosco. La luce pallida del sole filtrava tra i rami. Alcune donne tiravano su i lembi sporchi delle gonne attendendo con pazienza che degli uomini, coperti di fango fino alle cosce, le aiutassero ad attraversare il ruscello. Ash alzò ulteriormente la ventaglia dell'elmo. Un odore molto forte la raggiunse alle narici. Era un misto di cavallo - il suo castrato si muoveva tra le persone sudando - legna bruciata e quello del sudore delle persone che non si lavano spesso e lavorano nei campi. Perché mi sono fermata? si chiese. Cosa... Cosa mi ricorda? Nella sua testa apparve l'immagine di un pezzo di legno stagionato color argento crepato dal calore delle estati. Una balaustra di legno sopra un gradino. Un grosso carro coperto con la scaletta posata sul prato, la terra spianata e l'erba che cresceva tra i raggi delle ruote. Un campo. Ash sentì in bocca il sapore vago del tarassaco e del sambuco usato per disinfettare l'acqua e renderla bevibile anche dai bambini. Ricordò quando sedeva sulle ginocchia della Grande Isobel, che in verità era poco più vecchia di lei e si divincolava per scendere e correre con il vento che agitava l'erba tra le file di tende. L'odore delle pentole sui fuochi da campo, quello degli uomini sudati dopo l'addestramento con le armi e dei vestiti lavati e stesi ad asciugare. Voglio tornare a tutto quello, pensò. Non voglio questa responsabilità; voglio tornare a quel genere di vita in attesa che l'addestramento diventi la guerra vera e propria e tutte le paure svaniscano. I cani avevano trovato qualcosa. La gente vicino al ruscello lo attraversò di corsa sollevando una pioggia di schizzi. Il sergente che portava lo stendardo di Ash era scomparso. Ash imprecò, slacciò la fibbia sotto il mento, si tolse l'elmo, passò una mano tra i capelli corti e inclinò la testa per ascoltare meglio. I latrati dei cani risuonavano confusi tra gli alberi. «Non si tratta di una pista... devono averla persa di nuovo.» Ash scoprì
di aver parlato a vuoto: madame Châlon era sparita. Le truppe di schiavi visigote la superarono. La maggior parte indossava solamente la tunica nere, l'elmo e aveva i piedi scalzi insanguinati. Ash sentì un brivido che le correva lungo tutta la spina dorsale e non osò portare la mano alla spada. Rimase in sella, allerta e con le orecchie tese aspettandosi da un momento all'altro di udire il suono provocato da un arco che scagliava le frecce. «Cristo Verde» disse una voce all'altezza della staffa. Ash abbassò lo sguardo. Vicino al cavallo c'era un Visigoto con l'elmo in testa e un archibugio in mano. Gli stivali e la cotta di anelli metallici lasciavano intuire che non era uno schiavo. Il volto parzialmente nascosto dall'elmo era quello di un uomo di mezza età con la pelle segnata da una vita passata all'aria aperta. «Ash!» esclamò l'uomo. «Cristo santo, ragazzina, non pensavo che si riferissero proprio a te.» Il trambusto permise loro di passare inosservati. Ash portò il cavallo vicino a una betulla dai cui rami pendeva ancora qualche foglia avvizzita. Gli ufficiali visigoti, troppo impegnati a urlare ordini ai propri uomini, passarono oltre. Allerta, Ash mise l'elmo sotto il braccio e fissò l'uomo. «Sei uno degli schiavi di Leofric? Ti ho incontrato a Cartagine? Sei un amico di Leovigild o Violante?» «Ti sembra che parli come un fottuto Cartaginese?» La voce roca dell'uomo era a metà tra l'offeso e il divertito. Tenne l'archibugio con una mano e si tolse l'elmo. Una cascata di capelli bianchi incorniciò il volto. Il centro della testa era perlato. L'uomo spostò i capelli con una mano dalle vene fortemente in rilievo e disse: «Cristo, ragazza! Non ti ricordi di me?» I latrati dei cani scomparvero e Ash ebbe l'impressione di essere sola in quel bosco. Fissò gli occhi neri sotto le sopracciglia bionde. C'era qualcosa di estremamente familiare in quel volto, tanto familiare da zittirla. Ti conosco, pensò, ma come faccio a conoscere qualcuno che viene da Cartagine? «Anche i Goti assoldano i mercenari, ragazzina, non farti ingannare dalla divisa» disse l'uomo. Le rughe incorniciavano la bocca e segnavano la fronte. L'uomo di fronte a lei doveva avere cinquanta o sessant'anni, un principio di pancetta, i denti marci e una peluria bianca sulle guance. In quel momento comprese che il vuoto intorno a lei era solo il passato:
una lunga caduta verso l'infanzia dove tutto era diverso e c'era sempre una prima volta per ogni cosa. «Guillaume» la riconobbe. «Guillaume Arnisout.» Sembrava più piccolo rispetto a lei e l'impressione non era giustificata dal fatto che fosse a cavallo. Quell'uomo ormai doveva avere delle ferite e degli sfregi di cui lei non sapeva nulla, ma quello di fronte a lei era sempre lo stesso - canuto e più vecchio - artigliere che aveva conosciuto quando faceva parte del Grifone d'Oro. Lo fissò in silenzio. «Pensavo che fossi tu» disse Guillaume Arnisout. Dal suo fianco pendeva una lunga lama ricurva sporca e stringeva tra le mani una copia visigota di un'arma da fuoco europea. «Pensavo che fossi morto quando avevano giustiziato gli altri.» «Sono andato a sud. Sono molto ricchi al di là del mare.» Socchiuse gli occhi come se stesse fissando la luce. «Noi ti trovammo al Sud.» «In Africa.» Si sporse dalla sella e afferrò l'avambraccio dell'uomo ridendo. «Merda, nessuno dei due è cambiato!» Guillaume Arnisout si diede una rapida occhiata alle spalle e si nascose sotto l'albero. A una cinquantina di metri da loro un sergente visigoto stava urlando contro il portatore del vessillo. L'aquila si era impigliata tra i rovi. «La cosa ti importa, ragazzina? Vuoi sapere altro?» Il tono dell'uomo era serio. Non la stava prendendo in giro. Ash lo fissò per qualche secondo, poi infilò l'elmo, saltò giù dalla sella e impastoiò il cavallo a un ramo. «Dimmi tutto. Non che faccia molta differenza, adesso, ma voglio sapere.» «Vent'anni fa ero a Cartagine con il Grifone d'Oro.» L'uomo scrollò le spalle. «Una notte con una dozzina di compagni andammo al porto e ci ubriacammo dopo aver rubato la barca di qualcuno. Yolande - non l'hai mai incontrata, era un arciere, ma è morta da tempo - sentì il pianto di un bambino su una delle barche e ci fece remare per raggiungerlo e salvarlo.» «Le barche in disarmo?» chiese Ash. «Non lo so. Noi le chiamavamo barche e basta.» Il suono del corno echeggiò nell'aria. I due registrarono immediatamente il passaggio di un nobile burgundo a cavallo preceduto dai cani, che raggiunse gli altri cacciatori che si erano raggruppati oltre il ruscello. «Continua!» lo incitò Ash. L'uomo la fissò con aria triste. «Non c'è molto alto da dire. Tu avevi quel taglio profondo e sanguinante alla gola, così Yolande ti portò da un dottore, ti fece cucire dopodiché pagò una nutrice perché ti allattasse. Noi
volevamo abbandonarti, ma lei voleva portarti con noi, così dovetti prendermi cura di te per tutto il viaggio in nave fino a Salerno.» Guillaume Arnisout si passò una mano sulla fronte sudata e si incupì in volto. «Piangevi molto. La nutrice morì di febbre a Salerno, ma Yolande ti portò al campo. Dopo qualche tempo perse l'interesse per te. Ho sentito dire che è stata violentata e uccisa a coltellate in una rissa poco tempo dopo. In quel periodo persi le tue tracce.» Ash rimase a osservarlo a bocca aperta per qualche secondo cosciente solo delle foglie attaccate ai rami e dei fianchi caldi del cavallo. «Mi stai dicendo che mi ha salvato la vita e poi si è stufata di me?» «Forse non l'avrebbe fatto se non fosse stata ubriaca.» Il volto dell'uomo arrossì leggermente. «Ti ritrovai qualche anno dopo ed ero abbastanza sicuro che si trattasse della stessa bambina perché nessuno aveva i capelli come i tuoi e decisi di starti dietro per cercare di aggiustare le cose.» «Cristo santo.» Non c'è niente di nuovo in tutto questo, pensò Ash. Avevo intuito o sospettato tutto, perché allora ho le gambe e le mani intorpidite e ho la nausea? «Adesso sei diventata il gran capo.» La voce gracchiante di Guillaume era venata da un certo scetticismo misto a adulazione. «Me l'aspettavo. Sei sempre stata in gamba.» «Ti aspetti che ti sia grata?» «Ho cercato di insegnarti a badare a te stessa e credo che abbia funzionato. E adesso hai una sorella generale e, da quello che ho sentito, un'ottima posizione da parte tua» Sorrise. «Vorresti prendere un vecchio soldato nella tua compagnia, ragazzina?» Ash indossava un'armatura che valeva una fortuna, un guscio di metallo forgiato e lavorato per il quale Guillaume Arnisout avrebbe dovuto risparmiare dieci anni prima di comprarne uno - ammesso che ci fosse riuscito, visto che non l'aveva fatto in tutta una vita. Aveva pagato la sua armatura con i soldi proveniente dalla terza parte di un riscatto: un terzo per l'uomo che compiva la cattura, un terzo per il suo capitano e un terzo per il comandante della compagnia. In quel momento per lei era solo una prigione di metallo dalla quale avrebbe voluto scivolare fuori per poter tornare a correre libera tra i boschi come quando era bambina. «Tu non ne sai niente, Guillaume» disse Ash. «Ti sono grata. Non avevate nessun motivo per farlo, ma l'avete fatto... credimi, ti sono veramente
grata.» «Allora fammi uscire da questo cavolo d'esercito di schiavi!» Altro che informazione disinteressata, pensò Ash. Il vento faceva agitare i rami sopra le loro teste. Le foglie marce sul fondo del ruscello fangoso emanavano un odore carico d'ammoniaca. I baffi del cavallo di Ash. La fiumana di gente che si assottigliava e il luccichio dell'aquila visigota impigliata in un cespuglio. Lo farei per ogni uomo... ogni mercenario... se me lo chiedesse in questo momento. «Sbarazzati della divisa.» Cominciò ad armeggiare intorno ai lacci che chiudevano la divisa sopra il piastrone. Nel tempo che lei ci impiegò a toglierla, l'uomo aveva già buttato via l'archibugio di fattura cartaginese e l'elmo. Ash gli passò l'abito e il simbolo blu e giallo stropicciato, quindi si girò e montò in sella. «Burgundi!» gridò una voce aspra. Ash spronò il cavallo fuori dalla protezione offerta dalla betulla. Dietro di lei un uomo con indosso la divisa del Leone Azzurro che zoppicava a causa di una vecchia ferita. Spada e cotta di maglia: uno dei tanti mercenari europei assolutamente anonimi. «Da che parte si è spostata la caccia?» «Stanno cacciando dappertutto!» ripose nel patois dei campi militari un nazir visigoto. Ash non poté trattenere un sorriso nel vedere la frustrazione del soldato che aprì le braccia disperato e disse: «Cosa ci fate in questo bosco, signora?» «Non me lo chiedere, sto lavorando e basta. Tu» disse Ash indicando Guillaume Arnisout «vediamo di trovare i Burgundi, svelto!» I Burgundi possono andare al diavolo, pensò, devo trovare il Leone Azzurro! Il terreno era troppo accidentato per far aumentare l'andatura del cavallo. Ash guadò un torrente. Guillaume Arnisout continuava a seguirla. Il sole che filtrava attraverso gli alberi le serviva per farsi un'idea del punto in cui si trovavano. Un altro paio di furlong, poi svolto a ovest e cerco di trovare il bordo della foresta e il guado... «Che razza di caccia è questa» le fece notare Guillaume Arnisout dietro di lei. «Fottuti Burgundi, non riuscirebbero a organizzare una pisciata in una birreria inglese.» «È una fottuta perdita di tempo» concordò Ash. A lei era sempre piaciu-
to cacciare quando ne aveva avuto l'occasione: un trambusto organizzato e rumoroso che correva su un terreno accidentato che non aveva molto di diverso da una battaglia. Questo... Ash si tolse l'elmo e cavalcò a testa nuda nonostante il vento freddo. Era troppo lontana per sentire i rintocchi della campana di Digione. Due rintocchi significavano che Carlo l'Intrepido aveva esalato il suo ultimo respiro. Fu pervasa da una sensazione di solennità che durò qualche attimo. Vide che a un centinaio di metri da lei c'era una massa indistinta che doveva essere il nucleo principale dei cacciatori e udì un rumore confuso di urla, latrati, nitriti e squilli di corno. «Strano gioco per dei soldati.» Ash controllò la posizione dei Visigoti dietro di lei. «Dirigiamoci a ovest...» Ash cavalcò lentamente evitando le tane dei tassi e tutte le altre insidie del terreno. Su alcuni rovi spiccavano dei pezzi di stoffa che testimoniavano il passaggio dei cacciatori. La forma bianca di un levriero intento ad annusare furiosamente il terreno fece capolino tra gli alberi. Guillaume Arnisout e un cavaliere in sella a un destriero magro gli urlarono di andare via nello stesso momento. «Ti ho trovata, finalmente!» Il cavaliere, dritto sulle staffe, rosso in volto, con il cappuccio calato e i capelli pieni di rametti, era Floria del Guiz. Il chirurgo girò il cavallo e indicò. «Ash! Il cervo!» Nel volgere di qualche secondo arrivarono alcuni cavalieri burgundi, due arif con l'aquila seguiti da una fiumana di soldati. Una ventina di cacciatori fecero annusare ai cani gli alberi e il terreno mentre il corno suonava incessantemente. I cani vennero liberati e scomparvero nella foresta. Merda! pensò Ash. Ero quasi riuscita ad allontanarmi. Un lampo chiaro balenò davanti ai suoi occhi per un attimo. Ash si drizzò sulle staffe. Floria indicò gridando. Il corno suonò nuovamente per far sapere agli altri cacciatori che avevano liberato i cani. «Eccolo!» Due levrieri passarono sotto le zampe del cavallo di Ash spaventandolo. Ash sentì le redini che le scivolavano tra le dita e il sangue che le pulsava nelle vene. Imprecò e tirò indietro le redini. Il cavallo strinse il morso tra i denti, dopodiché scattò in avanti e piombò in mezzo a un gruppo di nobili burgundi a cavallo. Spostò un grigio con una spallata e si fermò di fianco a un sauro, ignorando totalmente il tentativo di controllarlo effettuato da Ash.
Floria si affiancò ad Ash e, rossa in volto, incitò i cani. Ash la vide dimenticare ogni sorta di precauzione, piantare i talloni nei fianchi scarni del cavallo e lanciarsi nella foresta in preda all'eccitazione della caccia. «Il cervo! Il cervo!» Ash aveva le gambe distese al massimo e non poté fare altro che afferrare il pomello della sella. Il trotto irregolare la faceva sobbalzare sulla sella. L'armatura cigolava. Il castrato, che doveva essere stato addestrato per la guerra, decise di dimenticare l'addestramento e si lanciò al galoppo. Ash si abbassò ma non riuscì a evitare che il ramo di un albero le frustasse il viso. Il dolore l'accecò per qualche attimo. Sputò del sangue. L'elmo era caduto. Si raddrizzò, tirò le redini con forza e sentì il morso che faceva presa. La bestia drizzò le orecchie, non udì più il rumore della caccia e si fermò. «Dio ti maledica» inveì Ash. Si guardò indietro in cerca dell'elmo ma non vide nulla. Posso salutarlo, il bosco è pieno di soldati. A giudicare dalle macchie scure che erano apparse sulla bardatura il cavallo stava sudando copiosamente. Ash gli permise di scegliere con cura la strada da seguire. Dei ciottoli rimbalzarono lungo il pendio. Davanti a lei c'era un'altura bianco gesso coperta di cespugli che superava a malapena le punte degli alberi. Il sole splendeva debolmente. Ash alzò lo sguardo aspettandosi di vedere le nuvole, ma il cielo continuava a rimanere bianco. I rami spogli ondeggiavano contro il cielo e divennero una massa indistinta. Ash portò la mano guantata agli occhi e li stropicciò con cautela. La luce del sole diminuì d'intensità. Aveva paura. Era sola; il resto della caccia era finito chissà dove e non poté fare altro che scendere dall'altura. Portò il peso indietro lasciando che le anche dondolassero assecondando l'andatura del cavallo. L'alta sella da guerra scricchiolava. Le prime tracce di ruggine scurivano il dorso dei guanti e le protezioni delle cosce. Ash pensò che una volta tornata a Digione, Rickard avrebbe radunato una dozzina di paggi per lucidare e pulire la corazza e sorrise. Sempre che riesca a tornare a Digione, pensò. Bisogna vedere per quanto tempo esisterà ancora la Borgogna. «Halloo!» urlò Ash a squarciagola. «Halloo, il Leone! A me! Il Leone!» La voce si perse nel bosco. La luce cambiò di nuovo.
È troppo tardi. Carlo sta morendo, pensò Ash. Il vento soffiava freddo tra gli alberi facendo ondeggiare i rami più alti rendendoli simili alle onde del mare. La parete di gesso dell'altura brillava pervasa dalla luce che precede i temporali o le tempeste. «A me!» urlò. «Cy va!» gridò una donna in lontananza. I cani ricominciarono ad abbaiare. Ash si guardò intorno senza capire da che direzione provenissero i latrati e gli uggiolii delle bestie. Il castrato si accorse della sua esitazione, abbassò la testa e cominciò a brucare l'erba ai piedi dell'altura. «Halloo!» urlò nuovamente Ash. Deglutì. Era troppo spaventata per avere un tono di voce adeguato alla situazione. «Il Leone!» «Qua!» Il rumore provocato dal cavallo che strappava l'erba la distrasse impedendole di capire da che direzione fosse arrivata la voce. Premette esitando i fianchi del cavallo con i talloni e si incamminò giù per la china. I tronchi d'albero le impedivano di scorgere ogni tipo di movimento intorno a lei. Un uccello lanciò il suo richiamo a si alzò in volo sbattendo le ali in un turbinio di penne. Il cavallo ondeggiò la testa. «Il Leone!» Nessuno rispose. Il lungo pendio terminava in prossimità di un altro torrente. Le sponde erano coperte di rovi che protendevano i rami sull'acqua. Il castrato sentì l'odore dell'acqua e Ash gli permise di berne qualche sorso. Il terreno circostante era privo di tracce, l'acqua era limpida e non c'era alcun segno del passaggio dei cacciatori. Attraversò il torrente e, istintivamente, si diresse verso il punto in cui la luce era più intensa. Una macchia bianca e silenziosa fluttuò tra lei e un'altura. Il gufo sparì quasi nello stesso momento in cui lei lo vide. Ash si inclinò in avanti e guidò il cavallo su per il pendio. Raggiunta la cima poté vedere il paesaggio a ovest. Uno schermo piccoli rami grigio-neri le ostruì la visuale. Era circondata dalle cime degli alberi. La foresta che si stendeva intorno a lei a perdita d'occhio, era la più antica della Cristianità Il silenzio era totale. Una forma bianca si mosse più in basso nel punto in cui le pendici dell'altura sparivano nella foresta. Che sia un altro gufo? pensò Ash. La
figura scomparve prima che lei potesse esserne sicura. Continuò a osservare tra gli alberi e vide un altro lampo color oro. Spronò il cavallo giù per il pendio e solo quando fu a metà strada cominciò a pensare che poteva aver visto la testa di un uomo o di una donna a capo scoperto. L'aria era frizzante. Stava cavalcando sola, senza elmo, con la testa esposta al freddo vento dell'Est. In quel momento anche i soldati visigoti sarebbero stati una vista rassicurante. Trovò una piccola apertura nella fila di alberi e si inoltrò nuovamente nella foresta. Cercò di scorgere le divise dei Burgundi o lo scintillio dei corni da caccia e tese le orecchie per sentirne gli squilli. Il grosso dei cacciatori deve pur essere da qualche parte, pensò Ash. Se avessero già ucciso il cervo avrebbero già radunato i cani. Il vento fece scricchiolare i rami. «Halloo!» chiamò. Registrò un movimento con la coda dell'occhio. Ash si trovò a fissare un paio di occhi castani e si pietrificò. Il cavallo sbuffò. A poca distanza da lei poteva scorgere il muso allungato di un cervo. Le corna avorio scuro si levavano nell'aria partendo dalla fronte. Era un cervo di dodici anni, fermo con uno zoccolo sollevato da terra. Il manto era tanto bianco da ricordare il latte appena munto. Ash strinse le redini. Il castrato si impennò immediatamente. Ash imprecò, diede un sonoro ceffone sul collo della bestia che tornò immediatamente a terra, ma purtroppo il cervo era sparito. «Halloo!» urlò spronando il cavallo. Un nuvola di detriti si sollevò dal terreno rimbalzando sul viso e sull'armatura di Ash. Una goccia di sangue le macchiò il piastrone. In quel momento pensava che l'unica cosa importante era far convergere i cacciatori sull'unico cervo che doveva essere rimasto nella foresta. Ash spronò il cavallo al galoppo per inseguire la bestia incurante degli alberi, e dei mucchi di detriti lasciati dai carbonai nella radura. Una fila di cespugli le sbarrò il passo. Cercò una punto in cui superarli, ma quando trovò l'apertura era troppo tardi, il cervo era scomparso. Rimase seduta immobile ad ascoltare con attenzione. Non sentì nulla e fu colta dal panico: che fosse rimasta l'unico essere vivente in tutta la Borgogna? Un levriero abbaiò. Ash girò la testa di scatto, in tempo per vedere il cane che correva lungo quella che doveva essere stata la strada usata dai carbonai per portare via i carichi di minerale. Le zampe dissodavano il terre-
no. Un secondo dopo era scomparso. Passò ancora qualche attimo e Ash udì il rumore provocato dagli zoccoli che affondavano nel fango. Ebbe la fugace visione di un cavaliere con il cappuccio sulla testa che correva a rotta di collo accompagnato da sei o sette cani e da un cacciatore a piedi che teneva le labbra premute sul corno. «Dio li maledica!» Ash raggiunse la strada carreggiabile, ma non trovò nessuna traccia. Cercò per diversi minuti ma non ottenne nessun risultato. Fermò il cavallo, smontò e controllò nuovamente, ma trovò solo le impronte degli zoccoli del suo cavallo. «Hanno attraversato il sentiero!» Lanciò un'occhiata rabbiosa al suo cavallo che la fissò stanco e disinteressato. «Cristo e tutti i santi del paradiso, aiutatemi voi.» A circa un centinaio di metri dal punto in cui si trovava, i solchi lasciati dai carri cominciavano a essere coperti da ciuffi di erba marrone. Ash fece muovere il cavallo che, insieme ai cigolii della sua armatura, era l'unica fonte di rumore a rompere il silenzio che pervadeva quella zona della foresta. Dopo ancora qualche centinaio di metri la pista si perdeva in un dedalo di cespugli, rovi e rami abbattuti. «Figlio di puttana!» Ash rimase immobile, in ascolto, osservando al tempo stesso il terreno circostante. Cominciò a pensare che si trovava su una pista abbandonata che finiva chissà dove e che avrebbe potuto morire di fame e di sete. Allontanò quel genere di pensieri. «Questo non è un bosco selvatico. Scavalcheremo gli alberi abbattuti se sarà necessario, giusto? Andiamo.» Carezzò il muso del castrato che abbassò la testa come se fosse stanco. Ash non poteva dire se lo era veramente perché non aveva idea di quanta strada avessero fatto dall'inizio della giornata. Non sapeva neanche che ora fosse perché non riusciva a scorgere il sole. Una macchia oro e bianco si mosse nella foresta. Vide il cervo stagliarsi chiaramente contro un albero. I fianchi erano bianchi. Le corna affilate e biforcute puntate verso il cielo. La bestia si guardava intorno dilatando le narici. Ash si rese conto che il vento spirava da lei verso il cervo. Cristo Verde! pensò Ash quando vide la corona dorata che cinge» va il collo dell'animale. Era un particolare molto chiaro, il metallo premeva sul quarto anteriore
segnando il pelo bianco e morbido. Dalla corona penzolava una catena d'oro. L'ultimo anello batteva contro il petto della bestia. III Il cervo bianco si girò e sparì nel sottobosco senza lasciare traccia. Ash si avvicinò con passo deciso continuando tenere il castrato per le redini. Nel minuto che impiegò per superare i cespugli non pensò a nulla limitandosi a fissare davanti a sé incredula. Raggiunto il punto in cui aveva visto il cervo, controllò le spine. Non trovò nessuna traccia di sangue allora si concentrò sul terreno. Non c'erano impronte nette. Vide una traccia piuttosto confusa. Poteva essere stata lasciata dalle gambe posteriori del cervo, o da un cinghiale. Cercò di spingere da parte i rami di agrifoglio. «Merda!» Una macchia rossa si formò sul palmo della mano. Una delle foglie era riuscita a penetrare il guanto e a ferirla. Oltre i cespugli la vegetazione sembrava troppo fitta per permettere il passaggio di qualsiasi tipo d'animale. Prese in considerazione l'idea d'impastoiare il cavallo, ripararsi il volto con le mani e lasciare che l'armatura la proteggesse mentre attraversava la vegetazione, ma dopo qualche attimo scartò l'idea perché non aveva intenzione di rimanere a piedi. Cominciò a guidare il cavallo verso ovest, ma non era molto sicura di andare in quella direzione perché aveva perso ogni punto di riferimento per orientarsi. Non era irritata all'idea che il cibo e l'acqua fossero rimasti con il resto della compagnia che ora si trovava sicuramente al guado. Cristo, dovrei esserci anch'io, pensò. Entreranno anche se non ci sono. Thomas e Euen prenderanno il comando, ma non riusciranno a eliminare il faris. Lo so! Non si trattava di orgoglio, ma di conoscenza oggettiva della situazione: i suoi uomini avrebbero combattuto più a lungo e con maggiore convinzione se lei fosse stata al loro fianco e avrebbero preso molto sul serio la determinazione che la spingeva a portare a termine la missione con successo. Il sottobosco cominciò a diradarsi. Vide dei monconi di albero anneriti e pensò che qualche generazione fa un incendio doveva aver interessato quella parte del bosco. La foresta cominciava a essere caratterizzata da
frassini e ontani piuttosto giovani e il terreno era privo di rovi. Il cavallo camminava stancamente dietro di lei evitando le pietre ricoperte di muschio. Una luce lattiginosa rischiarava la zona. Ash alzò gli occhi al cielo per cercare di capire dove si trovasse. Batté violentemente le palpebre, distolse lo sguardo per qualche secondo, quindi tornò a fissare la porzione di firmamento visibile attraverso i rami spogli e contorti degli ontani. Dei puntini bianchi spiccavano all'orizzonte. Erano troppo bassi per capire cosa fossero, ma la sua mente le diceva che erano qualcosa di familiare. Le stelle, è chiaro, si rese conto dopo qualche secondo. Le costellazioni autunnali splendevano fioche sullo sfondo del cielo pomeridiano. La luce del sole era tanto debole da permetterle di scorgerle. «Cristus vincit, Cristus regnit, Cristus imperad» sussurrò. Il bosco scricchiolava intorno a lei. Il terreno vicino ai suoi piedi digradava bruscamente e spariva in mezzo agli alberi. L'erba era scivolosa. Ash montò a cavallo, sentiva il corpo intorpidito dalla stanchezza. Incitò il cavallo a passare tra gli alberi. Dei punti rossi costellavano il terreno. Era troppo in alto per rendersi conto che il cavallo stava passando su un tappeto di rose selvatiche dai gambi ancora giovani e facili da schiacciare. L'odore della vegetazione pressata e la fragranza dei petali di rosa staccati dal gambo pervasero l'aria. Deve trattarsi di qualche bocciolo rimasto al riparo dal freddo, arguì Ash. Si diresse verso delle alte rocce che spuntavano tra gli alberi. Il terreno in quel punto era più pianeggiante. Il muschio verde scuro ricopriva gran parte delle rocce. Ash alzò gli occhi al cielo e vide le stelle. Il castrato si fermò improvvisamente. Un ruscello che nasceva da una polla di acqua immobile e scura scorreva tra due sponde erbose costellate di fiori bianchi e rossi. Ash non fu sorpresa di vedere il cervo che si abbeverava alla polla. La corona intorno al collo era tanto splendente da fare male agli occhi. Un levriero sbucò di corsa da dietro una roccia. Il cane ignorò il cervo e cominciò ad annusare l'erba intorno al corso d'acqua. Un secondo cane si unì al primo, vagarono per il prato per qualche attimo, quindi andarono via. Ash li guardò allontanarsi e quando girò la testa vide che il cervo era
sparito. Un gatto con le orecchie ornate di ciuffi la stava fissando. Era grande quanto un segugio. Gli occhi grossi e brillanti come ciottoli non la mollavano un attimo. La bestia arricciò le labbra, mostrò i denti e dalla gola scaturì una sorta di ringhio. «Chat-loup! 196 » Infilò le redini sotto una coscia e strinse il fodero con la sinistra e l'elsa della spada con la destra. Il gatto si girò e svanì dietro le rocce. Ash carezzò il cavallo sul collo e smontò. Non le importava nulla se quello non era il cavallo migliore del mondo, ma non voleva vedere i fianchi della bestia lacerati dagli artigli. Nell'erba non trovò né le tracce del cervo né quelle del gatto. L'odore delle rose era tanto forte che le sembrò di cadere preda dell'ebbrezza di un'estate ormai troppo lontana. «Salvaci, nostro Signore...» borbottò sforzandosi di resistere alla tentazione di ricorre all'aiuto di Godfrey. Nella parte della sua anima che aveva sempre condiviso con le voci la tensione crescente che sentiva da ore divenne qualcosa di simile a un trionfo trasformandosi in un suono lontano, interiore e appena percettibile. «... PRESTO CI LIBEREREMO DI TE...» «... OSCUREREMO IL SOLE!...» «... RAGGIUNGEREMO LA NOSTRA PRESCELTA, NOSTRA FIGLIA...» «... RICORREREMO AL NOSTRO POTERE...» Le voci delle Macchine Impazzite si erano ridotte a una sorta di mormorio inintelligibile. Lo squillo di un corno echeggiò nell'aria. «Di qua!» Ash rimase immobile con gli occhi ben aperti e la testa inclinata di lato. Una voce di donna proveniente dal fondo del pendio? si chiese. Il castrato premette il muso contro il piastrone della corazza di Ash. «Oof!» sbuffò sorridendo alla bestia. Il cavallo drizzò le orecchie e si incamminò lungo il pendio. «Va bene... se lo dici tu.» Mise un piede su un ceppo annerito e saltò in sella. Fece girare la bestia con cautela abbassandosi per evitare i rami. «Halloo! Il Leone!» «Il Leone sarai tu» disse Floria del Guiz spuntando dalla vegetazione in compagnia di quattro cani e due cacciatori. La donna vestita da uomo si 196
Gatto-lupo. Forse, a giudicare dalla descrizione, si tratta di una lince.
avvicinò ad Ash sobbalzando sulla sella incurante del terreno circostante. «L'hai visto? Abbiamo perso la tracce.» «Visto cosa? Ho visto un sacco di cose nell'ultima ora» rispose Ash, torva. «Non credo a metà di quello che ho visto, Florian... rose in inverno, cervi bianchi, corone d'oro...» «Ah, si tratta di un cervo bianco, perfetto.» Floria guidò il cavallo in direzione dei cacciatori. «Anche noi l'abbiamo visto. È un esemplare albino, come il cucciolo che Brifualt diede alla luce a Milano.» Il tono divertito del chirurgo si venò di un certo scetticismo. «Corone? Non eri tu quella che mi dicevi di stare lontana dal vino di queste parti?» «Senti, ti sto dicendo che...» cominciò Ash, testarda. «Stupidaggini!» la interruppe Floria, divertita. «È solo un cervo. Non dovremmo cacciare fuori stagione... e invece eccoci qua.» Ash sentiva l'odore delle rose che svaniva nell'aria, aveva intenzione di parlare, ma non sapeva bene cosa dire. Questa caccia non è la cosa più importante, pensò. A quest'ora dovrei guidare degli uomini, uomini che conosci anche tu. Guarda il sole! Un'occhiata all'espressione di Floria la indusse a stare zitta e non le disse neanche che aveva ricominciato a udire le Macchine Impazzite e non sapeva come fermarle. «La caccia copre un territorio di cinque leghe!» Floria abbassò il cappuccio e lanciò un'occhiata ad Ash. «È meglio che Thomas ed Euen non trovino la strada per il campo visigoto, altrimenti sono morti.» «Se non la trovano siamo tutti morti. Avrei dovuto rimanere con loro!» Ash batté un pugno sul palmo della mano, si sentiva frustrata: una donna con i capelli corti come quelli di una schiava con indosso un'armatura e un ronzino infangato. Il cavallo nitrì il suo disprezzo. Ash guardò il cielo coperto dalle nuvole e non riuscì a vedere il sole. Uno dei cacciatori si chinò vicino a una roccia. I cani furono subito al suo fianco. Dei deboli latrati echeggiavano tra gli alberi. L'aria cominciava a essere pervasa dall'odore di sterco prodotto dai due cavalli. «Non possiamo distruggere il Golem di Pietra» disse Ash «così dobbiamo ucciderla. Non importa se è mia sorella. Se in questo momento Thomas ed Euen non stanno organizzando un assalto per ucciderla, allora siamo finiti.» L'attenzione del chirurgo sembrò distogliersi momentaneamente dalla caccia. Socchiuse gli occhi e scrutò il cielo color latte. «Cosa succede?» Ash sorrise, ironica. «Non mi sono mai trovata dall'altro capo di un mi-
racolo! Non lo so. Se c'era qualcuno che sapeva cosa succedeva quando Gundobad compiva uno dei suoi miracoli ormai è morto da troppo tempo per dircelo!» Floria rise. «Merda. E io credevo che tu lo sapessi!» Ash afferrò la mano del chirurgo e le diede una pacca sulla spalla. I due castrati si erano fermati fianco a fianco. Ash vide che il volto sporco e escoriato di Floria aveva un'espressione felice. Una di quelle escoriazioni doveva essere stata provocata da una caduta da cavallo. «Qualsiasi cosa stia succedendo sta... succedendo. Comincia, lo sento.» In quel momento vide una macchia bianca con la coda dell'occhio. I levrieri abbaiarono e scattarono in avanti, uno dei cacciatori suonò il corno per avvertire il Maestro della Caccia che aveva liberato i cani. Floria del Guiz si drizzò sulle staffe e urlò: «Cy va! Andiamo, capo!» Il cervo correva tra gli ontani a un furlong di distanza da loro. Ash osservò i cani che correvano a rotta di collo verso la preda. Il cavallo di Floria scattò in avanti sollevando grosse zolle di terra seguito dai cacciatori. «Cristo santo sull'albero, non si può cacciare il cervo in un momento simile...» Ash incitò il suo castrato con un urlo. Il cavallo avanzò al piccolo trotto sul terreno accidentato. Mentre avanzava Ash vide un lampo rosso e si rese conto che gli ontani stavano lasciando posto ai frassini e che i rami erano carichi di bacche rosse. Nella radura di fronte a lei arrivarono un'altra dozzina di cani che si diressero verso le guglie di granito. «Florian!» Il chirurgo sobbalzava vistosamente in sella al cavallo, alzò una mano per far capire che l'aveva sentita, ma non si girò. Ash la vide piantare i talloni nei fianchi del cavallo per lanciarlo al galoppo. Figlia di puttana, pensò, è impazzita. Il cavallo rischia di spezzarsi una zampa... Il terreno più pulito. I massi di granito sotto i sorbi rossi erano ammantati di muschio e ciuffi d'erba marrone. La pallida luce autunnale rischiarava bene la zona. Ash alzò la testa e vide che quella porzione di cielo era limpida e non c'erano stelle all'orizzonte. Rallentò l'andatura del cavallo per godersi la vista che le sollevò il morale. «Florian! Aspettami!» urlò. Il suo appello venne sommerso dal latrare furioso dei cani. Ash si avviò nella direzione del suono e si inerpicò su per il pendio. Le scie nel fango facevano capire che uno dei cacciatori era caduto. Guidò il cavallo tra le
strisce. Ai piedi delle sporgenze granitiche si udivano il suono del corno, le urla e i latrati. «L'hanno bloccato, Ash... merda!» Ash scorse il cavallo di Floria tra i frassini. Un cane dal muso schiacciato saltò e morse il cavallo. Ash vide Floria che lo prendeva a calci. Il cane nero saltò via ringhiando selvaggiamente. «Vieni a prendere il tuo cazzo di cane!» grido Ash, rivolta a uno dei cacciatori che correvano tra gli alberi. Si avvicinò al punto in cui si trovava Floria per parlarle, ma lei si era già allontanata. «Devo raggiungere il guado... merda!» Ash si lanciò all'inseguimento di Floria. Il vento soffiava freddo tra i sorbi e Ash sentiva la mancanza dell'elmo o di un cappuccio. Aveva la punta delle orecchie e del naso rossa. Si strofinò le narici con il palmo della mano e il fiato si condensò sul metallo della protezione. Floria spronò il suo cavallo su per il pendio. Il pendio portava in cima a una sorta di altopiano che si stendeva per leghe nella foresta, ma sia Ash sia i cacciatori non potevano rendersene conto. L'incendio che era divampato in quella zona della foresta moltissimi anni prima aveva bruciato tutti gli alberi secolari. Il pendio era coperto di sorbi alti due o tre metri. Il rosso delle bacche schiacciate dai cavalli o dagli stivali macchiava le pietre. Ash venne superata da due o tre coppie di cani, piantò i talloni nel fianco del cavallo che pur essendo esausto continuava ad avanzare facendo ricorso alla pura forza di volontà. Una piccola cascata striava la parete di granito. Il sole si rifletteva sull'acqua. Il castrato chinò la testa. Ash smontò, impastoiò l'animale a un ramo e andò a piedi fino alla cresta dietro la quale era scomparsa Floria. Lo squillo di un corno lacerò l'aria. Più in basso c'era una grande massa di uomini a piedi o a cavallo che cominciava a risalire le pendici dell'altura. Gli abiti rossi e blu le fecero capire che si trattava dei Burgundi. Ash continuò a camminare. Le bruciava il petto, l'armatura le impediva di muoversi liberamente. Due uomini dal fisico tozzo la superarono per correre dietro ai cani. Entrambi avevano i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia. Il suono dei corni era assordante. Vide due cavalieri spronare i destrieri su per il pendio e abbassare le teste per evitare i rami. Ash raggiunse la cima e si trovò tra i cespugli e i rovi alla base della sporgenza rocciosa. Un cane annusò la roccia, uggiolò e si girò a fissarla. Ash posò la mano sulla
daga. «Provaci, piccolo bastardo» ringhiò a bassa voce. Il cane abbassò il muso, annusò il terreno per qualche attimo e infine si allontanò trotterellando lungo il bordo della roccia. Udì il suono dei corni alla sua sinistra. Ash esitò per un attimo ansimando e si ritrovò in mezzo a due o tre dozzine di persone. Cittadini di Digione, donne dal volto arrossato, cacciatori e cani che correvano dietro la preda, nessuno di questi badò al cavaliere appiedato in mezzo a loro e continuò per la propria strada. «Dio ti maledica, Florian!» urlò Ash. Un altro cavaliere appiedato la superò di corsa. Ash riconobbe le insegne di Armand de Lannoy. Il nobile francese si girò e disse: «Giuro che oggi avremo stanato almeno una dozzina di cervi, ma non siamo riusciti a bloccarne uno!» Scivolò su una roccia, recuperò l'equilibrio e riprese a correre. «Me ne può fregare qualcosa?» domandò Ash in tono retorico al vuoto che la circondava. «Certo che no! Non mi è mai piaciuto cacciare!» Un attimo dopo la voce di Godfrey risuonò nella sua anima. «Ma tu avrai un altro duca.» Ash si morse il labbro sussultando per la sorpresa e si tese per prepararsi. Un attimo dopo un coro di voci possenti soffocò quella di Godfrey. «È TROPPO TARDI: EGLI SI INDEBOLISCE, MUORE...» «È GIUNTO IL MOMENTO.» «... È IL PASSATO CHE ABBIAMO SCELTO E STA PER AVVERARSI...» «EGLI MUORE.» «EGLI MUORE!» «ANCHE IN QUESTO MOMENTO. STA MORENDO...» «Dio lo faccia riposare in pace» ansimò Ash in un attimo di devozione dettata dalla paura. Cominciò a correre malgrado il dolore alle gambe e alle caviglie. Sapeva che così facendo non poteva sfuggire alle voci nella sua testa, però non riusciva a stare ferma. Corse sulla scia del cane lungo il versante destro della sporgenza rocciosa. Aveva la bocca secca e la corazza le impediva di respirare bene. Corse sulle rocce, si coprì il volto con le mani e si gettò nei cespugli di rovi di fronte a lei. Le spine lunghe più di cinque centimetri grattarono sul dorso dei guanti e le graffiarono la testa. Un attimo dopo era oltre i cespugli. «Ash!» sentì la voce di Floria che la chiamava, nonostante i latrati furiosi dei cani.
Ash si fermò e tolse le mani dalla faccia. Il cane bianco e quello nero saltavano di fronte alla parete rocciosa mentre il loro padrone urlava loro qualcosa. Il cervo bianco abbassò la punta delle corna fissando con rabbia le due bestie che aveva di fronte. Teneva il dorso contro la roccia e il collo era privo di catene o corone. Il cervo bianco scattò verso Ash e i cespugli di rovi. Il cane nero balzò in avanti e addentò il cervo ferendogli una zampa posteriore all'altezza del garretto. Il cacciatore suonò il corno con tutto il fiato che aveva in corpo, quindi fece per correre dietro ai cani, ma inciampò e finì con il sedere nel fango gelato. «Uccidilo!» gridò Floria che si trovava tra i cespugli di rovi a una ventina di metri di stanza. Il castrato del chirurgo si allontanò giù per il pendio. Floria cominciò a correre urlando con le braccia distese. Il cervo la fissò, abbassò le corna e squarciò il muso del cane che aveva di fronte. «Uccidilo, Ash! Non farlo scappare!» Floria cominciò a battere le mani. «Dobbiamo sapere... chi sarà il duca...» «Perché devi leggerlo nelle viscere di un cervo... devi trarne gli auspici?» Ash estrasse la spada senza neanche rendersene conto. L'elsa raschiò contro il palmo guantato della mano. Sia l'armatura che la spada erano ricoperti da un sottile strato di ruggine. Uscì dai rovi chiudendo l'unico varco che avrebbe permesso al cervo di scappare giù per il pendio. Il cacciatore rimase seduto nel fango continuando a suonare il corno con foga. I suoni dei cacciatori che si avvicinavano erano appena udibili. Il cane bianco balzò verso il cervo. Un secondo dopo il cane si contorse in aria emettendo un guaito di dolore e cadde a terra con un fianco aperto. Il cervo bianco tornò vicino alla roccia sporcandola. Abbassò la testa coperta di corna e cominciò a perdere muco dal naso. «Ash!» la implorò Floria. «Usa il cane! Lo uccidiamo!» Nel sentire la voce del chirurgo Ash cominciò a pensare come se stesse prendendo parte a una battaglia e non a una caccia. Aumentò automaticamente il passo e si posizionò dalla parte opposta rispetto al cane nero tenendo la spada in posizione di guardia. Si mosse verso sinistra senza staccare gli occhi dal cervo, mentre il cane si spostava sulla destra. La foresta di punte in cima alle corna del cervo si abbassò minacciosa verso il cane. Il sole filtrò attraverso le corna e Ash vide l'immagine di un uomo su un albero. La visione la indusse ad abbassare la spada. Il cane uggiolò e arretrò con la coda tra le gambe.
Il cervo sollevò il muso con la delicatezza di un ballerino e fissò Ash che in quel momento poté scorgere ogni dettaglio dell'albero tra le corna della bestia: il Cinghiale alle radici e l'Aquila sui rami. Il cervo mosse le labbra. Ash avvertì un forte odore di rose e fu sicura che la bestia stesse per parlarle. «Muoviti, Ash!» Floria corse verso di lei. «Sta per scappare!» Il cane nero saltò su un fianco del cervo e affondò i denti nella coscia. Il sangue macchiò il pelo bianco. «Bloccatelo» urlò il cacciatore. «Il Maestro non è arrivato!» «Non siamo ancora riusciti a bloccarlo!» disse Floria. Il cane era macchiato di sangue. Il cervo emise un richiamo straziante, agitò la testa avanti e indietro e cominciò a barcollare sulle gambe posteriori. Il cacciatore strisciò fino ai cespugli di bacche a qualche metro da Ash che continuava a non muoversi. «NO!» urlavano le voci nella sua testa. Ash non sapeva dire se stava vedendo un cervo dal pelo sporco di sangue e fango che roteava gli occhi rossi, o una bestia con il manto color latte e gli occhi dorati. Si sentì tirare per la mano. Qualcuno le stava sfilando la spada. L'improvviso alleggerirsi della mano la scosse dallo stato di torpore facendola tornare allerta. Floria del Guiz si diresse verso il cervo brandendo goffamente la spada di Ash. Una donna vestita da uomo che avanzava nell'aria fredda. Il chirurgo si avvicinò da destra. Ash osservò l'espressione attenta, frustrata e determinata del medico. Le brillavano gli occhi e tutto il corpo era pervaso dalla tensione che precede l'azione. È chiaro, pensò Ash, appartiene a una famiglia della nobiltà burgunda e da ragazzina avrà preso parte a più di una caccia. Ash stava per lamentarsi della perdita della spada quando il cane nero fece una finta sulla sinistra e Floria scattò in avanti. Il chirurgo afferrò un corno del cervo, che scosse la testa e la ferì a un braccio. «Florian!» urlò Ash. Il cane si spostò dal fianco della bestia e addentò una delle gambe posteriori del cervo recidendogli un tendine. Il cervo bianco cadde di lato. Floria del Guiz sollevò la spada e la piantò dietro la spalla della bestia scaricandovi sopra tutto il peso del corpo. Ash udì uno sbuffo. Uno spruzzo di sangue volò nell'aria, Floria impresse una forte torsione alla lama che
penetrò nel cuore del cervo. Ash non riusciva a muoversi. Floria e il cervo sembravano formare un corpo unico. Il chirurgo era inginocchiato a terra e ansimava. L'elsa della spada spuntava dal corpo del cervo, mentre il cane terminava di spezzargli la gamba. Il corpo del cervo fu scosso da un ultimo fremito poi rimase immobile. «Allontana questo cazzo di cane!» protestò debolmente Floria, dopodiché alzò la testa e fissò Ash. Il chirurgo aveva un'aria attonita, spaventata, illuminata. «Cosa...?» Ash schioccò le dita in direzione del cacciatore. «Tu! Alzati e suona la morte. Fa' arrivare gli altri per la macellazione.» Portò la mano al fodero e con stupore si rese conto di non avere più la spada. «Quale parte del corpo serve come auspicio per l'elezione del duca? Quando sapremo il nome del nuovo reggente?» Un lampo di colore balenò tra i cespugli: era un cappello di velluto. Qualche secondo dopo apparve un uomo a cavallo seguito da venti o trenta nobili burgundi appiedati accompagnati dai cacciatori. «Non ci sarà un duca» disse Floria del Guiz. Aveva la voce roca. Quello che mise in allerta Ash e le fece capire tutto fu l'improvviso silenzio che sentì all'interno del suo essere. Il coro di voci nella sua mente era sparito. Florian carezzò il corpo del cervo con la mano sporca di sangue e si morse il labbro. «Abbiamo una duchessa» disse Floria. «Una duchessa.» Il vento sibilava tra i rovi. L'aria puzzava di sterco, sangue, cane e cavallo. Gli uomini e le donne arrivati sul posto si zittirono e i cacciatori smisero di suonare i corni. Tutti ansimavano rossi in volto e osservavano la scena meravigliati. Due uomini con indosso la divisa della guardia personale di Olivier de la Marche fecero passare i loro castrati nel varco tra i cespugli. De la Marche li raggiunse qualche attimo dopo e smontò da cavallo. I suoi uomini presero immediatamente le redini. Il visconte superò Ash con un'espressione raggiante sul volto. «Voi» disse rivolto a Floria. «Siete voi.» Floria spostò il corpo del cervo dalle ginocchia e si alzò. Il cane nero si accucciò ai suoi piedi. Floria lo allontanò con un calcio dal corpo del cer-
vo. Il guaito fu l'unico rumore che ruppe il silenzio e l'immobilità. Il chirurgo socchiuse gli occhi per proteggerli dalla luce autunnale e fissò Olivier de la Marche. «Chi ha ucciso il cervo?» chiese il visconte in tono formale e calmo. Ash vide Floria che si stropicciava gli occhi con le mani e dava un'occhiata a de la Marche e a tutti i nobili più importanti della Borgogna riuniti intorno a lei. «Sono stata io» disse Floria. «L'ho ucciso io.» Ash osservò Floria stupita. Gli abiti della donna erano sporchi di sangue e fango, lacerati in più punti. Il berretto si era perso durante la caccia. Floria arrossì in volto sotto gli occhi di tutti. Ash si fece avanti con noncuranza e svelse la spada dal corpo del cervo. «È un problema?» le chiese a bassa voce mentre recuperava l'arma. «Vuoi che ti tiri fuori?» «Vorrei che potessi farlo.» Floria le strinse un braccio con la mano. «Hanno ragione loro, Ash. Io ho ucciso il cervo. Sono la duchessa.» Ash continuava a non sentire più le Macchine Impazzite e decise di correre il rischio. «Ci sono ancora... Godfrey?» domandò a bassa voce. «Grandi sono le lamentazioni nella casa del nemico! Grande è il...» Un coro di voci infuriate, ma lontane seppellì la voce di Godfrey. Era come scorgere una tempesta all'orizzonte. Ash non riuscì a comprendere una parola: doveva essere l'idioma usato ai tempi del profeta Gundobad. «Carlo è morto» disse Floria in tono sicuro. «È successo qualche minuto fa, me ne sono resa conto quando ho ucciso il cervo.» Il sole era abbastanza caldo. «Duca o duchessa vanno bene» disse Ash. «Chiunque sia le ha fermate di nuovo. Ma non so il perché! Non riesco a capire!» «Anch'io non lo sapevo, poi ho ucciso il cervo e ho capito.» Floria fissò Olivier de la Marche e disse. «Concedetemi un minuto, messere. Ora so tutto.» «Siete una donna» disse il visconte osservandola stupefatto. Il nobile si girò verso la folla e annunciò: «Non un duca, una duchessa! Abbiamo una duchessa!» L'ovazione che si levò dai presenti lasciò Ash senza fiato. In un primo momento aveva pensato che si potesse trattare di qualche giochetto politico, ma l'esultanza dei Burgundi fugò ogni dubbio. Tutti i presenti, dal più blasonato dei nobili all'ultimo dei contadini, erano raggianti; pervasi da una gioia genuina. E qualcuno sta facendo quello che faceva Carlo, pensò Ash. Qualunque
cosa sia, quel qualcuno ha respinto le Macchine Impazzite. «Cristo» borbottò Ash. «Questi non scherzano, Floria. Cazzo.» «Neanch'io sto scherzando.» «Spiegami tutto» la incitò Ash. Aveva parlato con il tono di voce che spesso nel corso degli anni aveva usato per chiedere un rapporto sui feriti e i morti o quando le chiedeva di confidarsi. Potrò ancora parlarle in questo modo? si chiese, tremando. Florian fissò le mani sporche di sangue e fango e disse: «Cosa hai visto durante la caccia?» «Un cervo» rispose Ash fissando il corpo albino sdraiato nel fango. «Un cervo bianco con una corona d'oro. Una volta mi è apparso come il cervo di sant'Uberto197 . Ma quella visione l'ho avuta qualche minuto prima che morisse.» «Tu hai dato la caccia a un mito e io l'ho reso reale.» Floria annusò il sangue sulla mano, quindi tornò a fissare Ash. «Era un mito e io l'ho reso abbastanza reale da permettere ai cani di sentirne l'odore. L'ho reso abbastanza reale da essere ucciso.» «E per questo sei diventata duchessa?» «È qualcosa nel sangue.» La donna chirurgo represse una risata, si asciugò gli occhi con il dorso della mano sporcandosi le guance. Si avvicinò ad Ash e fissò il corpo del cervo che non era stato ancora macellato dai cacciatori. «È la Borgogna» spiegò Floria. «Il sangue dei duchi scorre in tutti noi. Non importa in quale percentuale. Non importa quanto ti allontani dalla patria, non puoi scappare.» «E già, adesso sei di sangue reale.» Il sarcasmo di Ash fece tornare Floria quella che era stata fino a qualche attimo prima. Il chirurgo le sorrise e passò le nocche sul piastrone dell'armatura. «Io sono una Burgunda pura e sembra che sia sufficiente.» «Sei di sangue reale.» Ash rise sollevata e indicò il corpo del cervo. «Un miracolo da poco, per essere un miracolo reale.» Floria assunse un'espressione seria e lanciò un'occhiata alla folla intorno a loro. Il vento soffiava tra i cespugli. «Ti sbagli. I duchi e le duchesse di Borgogna non compiono miracoli, anzi impediscono che si compiano.» «Impediscono...» «Adesso lo so, Ash. Ho ucciso il cervo e ho capito.» 197
Sant'Uberto (morto nell'AD 727) è uno dei santi a cui è accreditata la visione del Cristo in croce tra le corna di un cervo.
«Non trovi che sia già un miracolo il fatto di aver trovato un cervo fuori stagione e in un bosco privo di selvaggina?» chiese Ash in tono ironico. Olivier de la Marche si intromise. «Non si tratta di un miracolo, capitano. Un vero duca di Borgogna, o, come in questo caso una vera duchessa, possono trovare il mito della nostra bestia araldica, il cervo incoronato, e renderlo reale. Niente di miracoloso, solo una bestia vera e propria fatta di carne e sangue, come me e voi.» «Lasciatemi sola» ordinò Floria in tono secco facendo cenno al nobile di allontanarsi. L'uomo chinò la testa e ubbidì. Ash l'osservò allontanarsi e vide una bandiera dai colori blu e oro che ondeggiava in fondo alla folla. Il sergente Rochester raggiunse Ash con la bandiera, visibilmente imbarazzato. Willem Verhaecht e Adriaen Campin si fecero strada a spallate e quando la videro sui loro volti apparve un'espressione sollevata. Metà degli uomini alle loro spalle appartenevano alle lance di Thomas Rochester e Euen Huw. Non c'è stato nessun assalto al campo visigoto. Sia lodato Gesù Cristo, sono vivi, pensò Ash. «Eravamo a un tiro d'arco dal campo, capo» spiegò Rochester «quando sono arrivati dei messaggeri ed è scoppiato il panico tra i loro ufficiali...» La vista del chirurgo lo zittì. Floria del Guiz si inginocchiò a fianco del cervo bianco e ne accarezzò il manto. «Carne. Sangue.» Alzò le mani sporche facendole vedere ad Ash. «È quello che fanno i duchi, quello... che faccio io... non è una prerogativa negativa. Preservo... Preservo la realtà. Qualunque essa sia...» Floria esitò. «Qualunque cosa sia vera nella luce dorata delle foreste burgunde, nello splendore della corte o nel vento gelido che aggredisce le mani del contadino che nutre i maiali in inverno. È la roccia su cui poggia questo mondo. La realtà.» Ash si tolse i guanti e si inginocchiò a fianco di Floria. Il corpo del cervo era ancora caldo, ma il battito cardiaco era assente e il flusso di sangue dalla ferita si era interrotto. Ash non vide boccioli di rosa vicino al corpo, solo fango e sopra la testa c'erano solo i rami spogli dei sorbi. «Tu fai sì che il mondo rimanga così com'è» disse Ash. Fissò il volto di Floria e si accorse che era angosciata. «Anche la Borgogna ha la sua discendenza. Le Macchine hanno allevato la figlia di Gundobad» spiegò Floria del Guiz. «E questo è l'esatto opposto.
Le Macchine volevano compiere un miracolo per spazzare via il mondo, e io... io ho fatto in modo che il mondo rimanesse solido, reale.» Ash prese le mani fredde di Floria ma sentì che si ritraeva, non era qualcosa di fisico. Lo sguardo del chirurgo sembrava chiederle cosa avrebbero dovuto fare in quel momento visto che tutto era cambiato. Cristo santo, pensò Ash. Duchessa! «Hanno dovuto allevare il faris» disse Ash continuando a fissare Floria «in modo da poter attaccare la Borgogna nell'unico modo possibile: dovevano farlo sul piano fisico, militarmente. Una volta rimossa la Borgogna... potranno usare il faris. La Borgogna era l'unico ostacolo perché: 'l'inverno non ricoprirà il mondo' finché la stirpe del duca impedirà al faris di compiere un miracolo.» «E adesso c'è una duchessa.» Ash sentì le mani del chirurgo che tremavano. Il cielo si rischiarava e il sole illuminava il paesaggio autunnale. Qualche metro dietro di loro i nobili attendevano con pazienza, mentre gli uomini del Leone osservavano il loro comandante e chirurgo. Floria socchiuse nuovamente gli occhi per proteggerli dal sole e disse: «Io ho lo stesso compito di Carlo. Preservo la realtà. Finché vivrò, non ci sarà nessun 'miracolo' da parte delle Macchine Impazzite.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quinta e Sesta di Ash — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#350 (Anna Longman) Ash 15/12/00 ore 03,23 p.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Lo so. Sembra incredibile, ma è la verità, niente di più niente di meno. Nessuna ricerca precedente alla nostra ha dimostrato l'esistenza di questa trincea sul fondo del mare. Isobel ha voluto che alla riunione che abbiamo appena terminato partecipassero alcuni membri dello staff tecnico e ha mostrato loro le immagini scaricate dal satellite. Non sono molte, l'esercito tunisino si è dimostrato riservato come tutti gli altri eserciti, ma le immagini che abbiamo a disposizione non lasciano spazio ai dubbi. Acque profonde e nessuna traccia di trincee oltre i mille metri di profondità, ma i ROV sono là sotto e la stanno esplorando. Non mi piace, Anna. Il Medio Oriente e il Mediterraneo sono due aree tra le più sorvegliate nel mondo per poter affermare che si tratta di prove perdute o male interpretate, analisi distorte o documenti falsi. È impossibile negarlo, in base alle ultime foto satellitari e secondo le carte dell'Ammiragliato britannico, il fondo marino in questo punto era piatto, niente trincee. Vista l'attività sottomarina in questa zona sessant'anni fa, solo Dio sa quanto queste carte sono accurate! Senza contare che non si tratta di una formazione geologica che può passare inosservata. Nel corso della riunione ho suggerito a Isobel di far controllare gli ultimi dati sismografici della zona: forse c'è stato un terremoto. Isobel mi ha risposto che è quello che ha fatto negli ultimi dieci giorni: ha riscosso tutti i favori che le dovevano diversi colleghi nei campi più svariati, per controllare i dati aggiornati dei satelliti e delle esplorazioni geologiche. Nessun terremoto. Neanche un piccolo fremito del fondo marino. Ti scriverò di nuovo quando avrò qualche altro elemento... sono passate poche ore da quando Isobel ha indetto una riunione e lei e i suoi amici fisici stanno continuando a parlare. Andranno sicuramente avanti fino all'alba. Sono salito sul ponte, ho osservato l'oscurità e assaporato l'aria umida.
Ho cercato di venire a patti con questa idea... con le centinaia di idee che si affastellano nella mia testa... no: non c'è nulla che abbia senso. C'è una frase di Florian che mi perseguita. Le traduzioni dal latino medievale possono rivelarsi qualcosa di infernale. 'Dn', è un'abbreviazione per 'dominus' o 'domina'? Maschile o femminile? O forse si tratta di un'abbreviazione di 'deum'? Il contesto è tutto, la calligrafia è tutto e anche se esistono tre traduzioni che potrebbero essere perfette, solo 'una' rispecchia il pensiero dell'autore. Conosco la 'mano' di chi ha scritto il 'Fraxinus', di Sible Hedingham: l'ho letta per otto anni. Posso affermare realisticamente di non aver letto altro. Floria dice: 'Tu hai dato la caccia a un mito e io l'ho reso reale.' — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#199 (Pierce Ratcliff) Ash 15/12/00 ore 05,14 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
— Fisici? Ho appena controllato le altre e-mail che mi hai spedito in precedenza e me ne avevi già parlato. Perché un'archeologa come la dottoressa Isobel ha convocato dei fisici? Si tratta di una visita di semplice 'cortesia', Pierce? Non ne ha l'aria. Non vorrei farlo, ma ti devo chiedere di inviarmi una conferma su quello che hai scritto. Non dirò niente a nessuno, neanche a mia madre. — Anna ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#365 (Anna Longman) Ash 15/12/00 ore 06,05 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
I fisici? Si tratta di Tarai Inoshishi e James Howlett. Sono amici di Isobel esperti in intelligenze artificiali e fisica teoretica. Suppongo che siano venuti su espressa richiesta di Isobel e la loro presenza sia quasi informale. Hanno offerto il loro aiuto per la spedizione e vogliono mettere le mani sul Golem di Pietra per poterlo esaminare e sottoporre tutte le scoperte a una serie di test al CERN. Ho cercato di parlare con loro, ma sono incredibilmente vaghi, o forse sarebbe meglio dire, preoccupati. Il fatto strano è che la signorina Inoshishi non è per niente interessata all'idea che la 'machina rei militaris' possa essere una specie di computer 'primitivo' e che Howlett non bada molto ai golem che abbiamo scoperto nel sito terrestre. La cosa che interessa loro sono la traduzione del testo e le immagini che provengono dal fondo marino. Sembrano molto interessati al fatto che le prove stiano cambiando. Il fatto che mi inquieta maggiormente è che quando suggerisco che le opere di del Guiz e Angelotti possono aver subito una serie di mutamenti, loro mi prendono sul serio. Parlami, Anna. Non sei qua, quindi non puoi essere preda dell'entusiasmo. Ti sembro pazzo? — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#202 (Pierce Ratcliff) Ash 15/12/00 ore 06,10 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
La signorina Inoshishi e il signor Howlett sono sulla nave in veste ufficiale? Da come ne parli sembra che pur essendo colleghi della dottoressa Napier-Grant siano a bordo in veste informale. La dottoressa dirà qualcosa alla sua università? Cosa succederà dal punto di vista ufficiale? Cosa ne pensi di tutto quello che sta succedendo, Pierce? Mi gira la testa. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#372 (Anna Longman) Ash 15/12/00 ore 08,12 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Non penso. Non ho ancora abbastanza prove per poter formulare un'ipotesi. Potrei solo provare ad azzardare alcune speculazioni prive di fondamento. Sto continuando la traduzione. Ho tradotto un'altra sezione considerevole del manoscritto e troverai i file allegati a questo messaggio. Ho bisogno di risolvere alcune anomalie apparenti che ho trovato nella parte successiva del testo. Ho la sensazione che non potrò dire nulla di definitivo finché non avrò terminato di tradurre tutto il manoscritto. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#376 (Anna Longman) Ash 15/12/00 ore 11,13 p.m.
Da: Anna —
Ngrant@
Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Sono costretto a credere a una serie di fatti contraddittori. — Secondo i cataloghi delle biblioteche sono cinquant'anni che i testi dell'Angelotti e di del Guiz sono classificati sotto la categoria 'romanzi', tuttavia, Anna, quando li ho consultati io si trovavano negli scaffali riservati alla storia del tardo Medioevo. — Il 'Fraxinus' è una biografia originale di Ash che risale al quindicesimo secolo e ci ha permesso di trovare le prove dell'esistenza di una tecnologia post-romana in un insediamento 'visigoto' e le rovine di 'Cartagine' sul fondo del Mediterraneo, tuttavia, se studiamo le immagini del fondo marino di quella zona scattate nel corso degli ultimi sessant'anni non ne troviamo nessuna traccia. Senza contare che recentemente non c'è stata alcuna attività sismica in grado di produrre tali tracce. Un 'golem messaggero' con le piante dei piedi consumate, classificato da un rinomato dipartimento di metallurgia come un falso, prodotto dopo il 1945, che adesso diventa un manufatto originale il cui bronzo è stato colato circa cinque o sei secoli fa. Non ho ancora letto i rapporti, Anna, ma quello che Isobel e gli altri stanno presentando non è un'apologia dell'errore. Si tratta di due serie di dati, presi a due settimane di distanza, che portano a conclusioni diverse. L'alterazione dello status delle opere di Ash è una cosa, ho già mandato una serie di e-mail ai curatori, ma ci sono alcuni oggetti che non sono più nelle teche: il cosiddetto 'elmo di Ash' è sparito da Rouen, INSIEME alla sua registrazione d'entrata nel catalogo. Tali sparizioni non sono inquietanti neanche la metà di quello che sta succedendo qua. Vedi, Anna, ho cominciato a formulare una teoria. C'è qualcosa che è necessario spiegare. Voglio essere onesto, Anna. So che i documenti riguardanti 'Ash' sono originali, ne ho avuto la certezza fin dalla prima volta che li ho avuti tra le mani. Come ricorderai, qualsiasi cosa si possa dire riguardo a una serie di errori di riclassificazione, io non sono stato in grado di spiegare il tutto in maniera soddisfacente. Pensa che, spinto dalla disperazione, ho cominciato a credere alla teoria di Vaughan Davies sul fatto che è esistita una 'prima
storia' del mondo che in qualche modo è stata cancellata e che ora noi stiamo vivendo una 'seconda storia' nella quale sopravvivono alcuni brandelli della prima. Le vicende di Ash in un primo tempo erano 'verità storica' e ora stanno diventando - mutando, se preferisci - in quello che definiamo un romanzo, un ciclo di leggende. Nel corso degli ultimi dieci giorni sono giunto a una conclusione. Non esistono prove che smentiscano completamente né l'esistenza della Borgogna di Ash né quella di un impero visigoto nel Nord Africa, quindi non vedo perché dovrei dirti il contrario. Ho cominciato a pensare che entrambi appartengono a una 'versione precedente' del nostro passato che diventa sempre meno reale con il passare dei decenni. Un'altra versione della storia nella quale il 'miracolo' a cui fa riferimento il testo è 'accaduto' veramente. Un passato nel quale il faris e le 'Macchine Impazzite' (o qualsiasi cosa rappresenti quella metafora letteraria) siano riusciti a dar luogo a un'alterazione della storia, o, spiegandomi in termini scientifici, una storia alternativa e precedente alla nostra nella quale lo stato subatomico sia stato (involontariamente o deliberatamente) fatto collassare in una realtà differente... quella che abitiamo. La teoria di Vaughan Davies non è altro che quello: una teoria. Dobbiamo ancora scoprire la verità. Ricorda solo che quando quell'uomo era giovane conosceva Bohr, Dirac, Heisenberg e, sempre se vogliamo dare credito ai suoi biografi, era in grado di discorrere con loro alla pari. Davies, non conosceva - come d'altronde io, fino a che non ho parlato oggi con James Howlett - i nuovi sviluppi della teoria quantica e le nuove versioni del principio antropico. Forse sono stato troppo influenzato dal punto di vista medievale, ma ho trovato inquietante scoprire che un fisico rinomato mi ascolta seriamente quando gli chiedo se 'l'inconscio profondo' può cambiare l'universo! La mia conoscenza del campo è di poco superiore a quella di un profano, ma ho cercato lo stesso di seguire James quando mi ha parlato dell'interpretazione di Copenaghen e del modello a più mondi. James, malgrado la teoria degli universi multipli che si creano dal collasso di ogni momento, non può rispondere a due domande. La prima è: perché si sarebbe verificata solo 'una' grande frattura nella storia, come Davies ama chiamarla? La teoria quantica più in voga sostiene, proprio come mi hai scritto tempo fa, che tali fratture si creano in continuazione, quindi viviamo all'interno di un universo dal quale in ogni secondo si dipanano un numero infinito di universi.
Pur ricevendo una risposta adeguata a questa domanda e partendo dal presupposto che, come richiedono alcune versioni del principio antropico, si è verificata solo una gigantesca riconfigurazione della storia e che, osservando l'universo in questo momento in un certo senso diamo origine a una sorta di 'Big Bang' e a ciò che osserviamo del cosmo... Anna, io mi chiedo, perché troveremmo diverse prove di ciò che esisteva prima della frattura? Uno stato precedente dell'universo 'non' esiste nella maniera più assoluta, neanche a livello teoretico! James Howlett si è limitato a guardare oltre la mia spalla, scuotere la testa ed è tornato a dedicarsi ai software che riproducono modelli di realtà matematica. Non credo che sia riuscito a darmi una spiegazione per quello che sta succedendo. Forse, proprio perché sono uno storico e, a dispetto del fatto che sperimentiamo solo il momento presente, io continuo a nutrire una convinzione superstiziosa che il passato esiste... che è reale. Tuttavia abbiamo percezione solo di questo momento... Quello che ho suggerito a James Howlett era che le prove contraddittorie che avevamo in nostro possesso diventavano sempre meno 'possibili'... meno 'reali'. Stavano trasformandosi da storia medievale in leggenda... stanno svanendo nell'impossibile. A questo punto tu trovi il manoscritto di Sible Hedingham e la squadra di Isobel scopre le rovine di Cartagine. Sono stato così impegnato a tradurre... quando non ero incollato agli schermi che trasmettono le immagini fornite dai ROV, che non ci ho pensato. No, non volevo pensare. Fino a oggi, fino a questo momento, fino a che James Howlett mi ha detto: 'Penso che la domanda importante da porre sia, perché queste scoperte sono apparse?' 'Riapparse.' l'ho corretto io, immediatamente, senza pensare. Se è esistita una 'versione precedente' dell'universo e noi ci troviamo in una 'seconda storia'... se uno qualsiasi di questi eventi è possibile e non si tratta d'insulsaggini... allora la 'sparizione graduale di una prima storia' non è tutto. Dov'erano i ritrovamenti che abbiamo fatto sul fondo del Mediterraneo, le rovine di Cartagine e la 'machina rei militaris', prima di dicembre? Capisci? Malgrado Vaughan Davies non sono in grado di formulare una teoria in grado di spiegare come mai alcune prove sembrano 'tornare indietro'.
Anna, se tutto ciò è vero, vuol dire che le cose stanno ancora cambiando. E se le cose stanno cambiando allora vuol dire che non siamo di fronte a una 'storia morta'... non è ancora finita. — Pierce.
TREDICESIMA PARTE 16 NOVEMBRE - 23 NOVEMBRE AD 1476 Lo scranno vuoto198 I La pioggia mista a neve gelata accecò Ash nel momento stesso in cui uscì dal bosco insieme agli altri cacciatori e si lanciò al galoppo verso l'entrata nord-ovest di Digione. Il cielo passava lentamente dal grigio al nero. «Portatela in città!» ordinò Ash, che sentiva la gola secca. «Portatela dentro le fottutissime mura. Adesso! Veloci!» Si avvicinò al cavallo montato da Florian. Christus Viridianus! pensò. Duchessa Florian! Gli altri componenti del Leone si chiusero intorno alle due donne. Lo stendardo della compagnia sventolava schioccando nell'aria. Gli zoccoli dei cavalli dissodavano la strada fangosa che portava al ponte sul fossato. Una fiumana di uomini a cavallo con indosso le livree blu e rosse dei cavalieri burgundi affiancò il drappello. Erano gli uomini di de la Marche. Ash allontanò la mano dalla spada. Sono usciti per scortarci. I soldati formarono una sorta di guscio protettivo intorno ai cavalieri che avevano partecipato alla caccia e il gruppo attraversò il campo visigoto sollevando una nuvola di schizzi fangosi. Poco prima di raggiungere lo stretto ponte i cavalli rallentarono l'andatura e Ash diede un pugno sul pomello della sella per scaricare la frustrazione. Duecento uomini a cavallo. Imprecò sonoramente e si girò, ma la cortina di neve e pioggia le impedì di vedere il campo nemico. Avrebbero impiegato circa dieci minuti per attraversare il ponte, ma per lei era come se si trattasse di mezz'ora. Si chiese se i Visigoti avessero intenzione di ricorrere agli arcieri a cavallo, ma scartò immediatamente la possibilità a causa delle condizioni atmosferiche. Sentiva i capelli alla base del collo che si rizzavano. Potrebbero usare i golem che lanciano il Fuoco Greco come hanno fatto ad Auxonne, pensò. Siamo imbottigliati e sarebbe fin troppo facile. Fa198
Manoscritto di Sible Hedingham, terza parte.
remmo la fine delle vespe sul fuoco! La tensione dell'attesa le faceva dolere lo stomaco. Dopo qualche minuto gli uomini ripresero a muoversi. Le voci e lo scalpitio degli zoccoli echeggiarono contro le pareti di pietra dell'entrata. Il fiato delle bestie si condensava a contatto con l'aria gelata. Ash affiancò il suo cavallo a quello esausto e zoppicante di Floria. Attraversò il breve tunnel oltre il cancello e dopo qualche metro entrò in città. Antonio Angelotti prese le briglie del cavallo. «Il duca è morto!» urlò l'artigliere italiano. La pioggia gli bagnava il viso. «È arrivato il momento di cambiare parte! Posso mandare un messaggero dai Cartaginesi, Madonna?» «Niente panico, Angeli!» Ash spostò il peso all'indietro per impedire al cavallo di scivolare di lato sul selciato e la sella scricchiolò. «C'è un nuovo duca... una duchessa» si corresse immediatamente. «È Florian. Il nostro Florian.» «Florian?» «Cazzo!» ringhiò Robert Anselm che si trovava alle spalle di Angelotti. Ash riuscì a riguadagnare il controllo del cavallo stanco. Il buon senso le imprecava contro e le consigliava di radunare gli uomini, recuperare lo stretto necessario e abbandonare la città alle conseguenze del cambio di potere. Come! pensò, battendo un pugno sulla sella. Come! «Capitano!» Olivier de la Marche la raggiunse e la salutò stringendole l'avambraccio. «Occupatevi della difesa di questo cancello! Avete il comando su Jonvelle, Jussey e Lacombe. Organizzate la difesa del tratto di mura che va da questo cancello fino a nord, alla Torre Bianca! Dopo ho bisogno di parlarvi!» «Sieur...!» Ash non riuscì a terminare la frase perché de la Marche si era già allontanato seguito dai suoi uomini. «Figlio di troia» commentò Jan-Jacob Clovet. Prese le redini del cavallo di Ash dalle mani di Angelotti e sputò a terra. «Finiamo sempre col mettere i mercenari nei luoghi più pericolosi come al solito, eh?» commentò Ash, sarcastica. «O forse intendeva affidarci un posto d'onore perché quello sarà il punto dove il nemico colpirà più duro quando attaccherà?» «Dio ci salvi dai favori ducali, capo» rispose Jan-Jacob Clovet. «Di qualsiasi duca. O duchessa. Sei sicura che sia il dottore? Non può essere
lei.» «O, può esserlo. Eccome se può! Florian!» chiamò Ash. Gli attendenti di de la Marche e i soldati si interposero tra lei e Florian guidando il chirurgo verso il palazzo ducale. «Florian!» Ash vide per un attimo Floria del Guiz che, pallida in volto, cavalcava in mezzo ai cavalieri che la circondavano, poi il varco si chiuse. Merda! pensò. Non ho fatto in tempo! Ash girò il cavallo verso il cancello. «Angeli! Thomas! Portateli sulle mura! Rickard, vai ad avvertire il capitano Jonvelle che i Visigoti stanno per piombarci addosso!» II «Perché non arrivano!» Ash osservava il paesaggio martellato dalla pioggia oltre la finestra della Torre di Guardia. Le gocce d'acqua rimbalzavano contro le mura di Digione. La pioggia scendeva in rivoletti lungo la visiera dell'elmo. Il respiro e il calore del corpo avevano riscaldato l'armatura rendendo l'interno appiccicoso e sudaticcio nonostante facesse freddo. «Qualche altra ora e sarà buio» commentò Robert Anselm avvicinandosi a lei. L'armatura arrugginita dell'Inglese sfregò contro quella di Ash. «Che il diavolo mi porti, credevo di avere le teste di tela alle calcagna!» «Avrebbero dovuto! Se fossi in loro... era un'occasione d'oro, non so se ne avranno un'altra!» Il boato del cancello che si chiudeva dietro di loro rimbombava ancora nelle ossa di Ash. «Forse c'è stato un ammutinamento! Forse il faris è morto. Non lo so» disse Ash. «Non dovresti... saperlo?» Ash sondò cautamente quella parte della sua anima che condivideva con le Macchine Impazzite. Sentiva alcune voci, ma non riusciva a capire se erano Godfrey, le Macchine Impazzite o la machina rei militaris perché erano troppo lontane. Era la prima volta nella sua vita che le capitava qualcosa di simile. Sentiva il corpo pervaso dall'eco di una pressione fortissima, una sensazione subliminale che aveva avvertito fin nelle ossa e che l'aveva scossa durante la
caccia al cervo e mentre il sole si affievoliva lentamente nel cielo autunnale. Le voci erano più deboli rispetto al momento in cui aveva vanificato i loro piani. «C'è stato un qualche genere di... danno, credo. Non so a cosa o a chi. Non ho la minima idea se sia temporaneo o permanente... non so.» Ash provava un misto di paura e frustrazione. «Proprio quando Godfrey poteva tornarci utile, eh, Roberto? Forse il faris è morto! Forse i qa'id stanno correndo intorno come se fossero un branco di galline senza testa cercando di riorganizzare la struttura di comando: ecco perché non hanno attaccato...» «Non durerà a lungo.» Anselm guardò fuori della finestra per cercare di scorgere qualcosa oltre la pioggia. «Ho fatto l'appello. Mancano ancora due ufficiali. John Price ed Euen Huw.» «Merda...» Ash guardò fuori a sua volta. Una folata di vento fece sbattere la pioggia contro la pietra, ma lei non arretrò. «Price non è neanche un fottuto cavaliere... Non uscirà nessuno per cercare di salvarli.» Ash sentì che la voce le risuonava asciutta nelle orecchie. «Ragazza...» protestò Anselm. «Non piace neanche a me» lo interruppe Ash. «Non succede nulla finché non capiamo come va a finire. Il duca è morto. Questa città potrebbe crollare dall'interno in ogni momento! Voglio un incontro con de la Marche, voglio vedere Florian. Dopo, forse, manderemo fuori un uomo attraverso una posteria.» «Non abbiamo la minima idea di quello che stanno facendo le fottute teste di tela e i Burgundi e la cosa non va a genio a nessuno di noi due» commento Anselm, ironico e torvo. Il sibilo della pioggia che frustava le mura della torre aumentò d'intensità. Ash si avvicinò alla finestra premendo le mani contro i bordi. La visibilità era ridotta solo a pochi metri. Si spostò di lato per quanto le era possibile al fine di lasciare spazio anche a Robert, il quale raschiò con la gola e sputò: una chiazza di muco biancastro colpì il davanzale di pietra. «Almeno questo tempo di merda inumidisce la loro polvere da sparo e rammollisce le corde delle macchine d'assedio.» Appena ebbe terminato di parlare un fischio acuto e, un attimo dopo, un boato, echeggiarono nell'aria. Tutti gli uomini presenti nella torre sussultarono. Ash saltò giù dal davanzale e andò a guardare fuori della finestra che dava sulla porta della città. Le implicazioni del tonfo sordo che udì e la
vista di un bagliore nella pioggia la fecero rabbrividire. «La pioggia non fermerà i golem» disse. «O il Fuoco Greco.» Robert Anselm non si allontanò dalla finestra. Ash attese ancora qualche attimo, quindi lo raggiunse. «Non hanno ancora cominciato il funerale di Charlie?» grugnì l'Inglese. «Secondo te qualcuno si prenderà il disturbo di dircelo?» «Non hai notizie del dottore?» Ash distolse lo sguardo dalla distesa di terreno fangoso di fronte alla torre costellata di pezzi di scale e cavalli morti e gonfi. Vide anche un paio di cadaveri. Dovevano essere schiavi visto che indossavano un'uniforme grigia e nessuno si era preso il disturbo di andarli a riprendere. «Non so cosa voglia dire, Robert, comunque sia... lei è la duchessa.» «E io sono il fottuto re di Cartagine!» «Ho sentito le Macchine Impazzite nella mia anima» disse Ash fissandolo intensamente. «Le ho anche viste... ho sentito il terreno che tremava sotto i piedi. Ho visto il volto di Florian e ho sentito le Macchine, Robert... hanno cercato di compiere il miracolo malvagio e sono state bloccate. Florian è la causa di questo freddo. È stata lei a rendere... reale la bestia araldica della Borgogna.» Ash vedeva che sul viso di Anselm, parzialmente nascosto dalla visiera semiabbassata e dal cappuccio gocciolante, era apparsa un'espressione d'incredulità cinica. «No so ancora cosa significhi per i Burgundi, ma, Robert... tu non c'eri.» Anselm girò la testa e Ash ne scorse solamente il profilo che si stagliava contro l'apertura della finestra. «Lo so» protestò l'Inglese. «Certo che non c'ero! Ero impegnato a pregare per te insieme ai ragazzi, Paston e Faversham. Eravamo tutti sulle mura...» Continuo o no? si chiese Ash, distratta. Devo continuare. Devo sapere quanto è brutta. Devo sapere se posso contare su di lui. «Se fossi uscito per una sortita avresti visto cosa è successo durante la caccia. Ti sei fatto bloccare.» Robert Anselm si girò e le puntò un dito a pochi centimetri dal piastrone. «Non dirlo mai più!» Ash era cosciente che gli uomini della scorta che si trovavano vicini alla porta della torre stavano osservando la scena e segnalò loro di stare tranquilli. «A parte l'ovvio qual è il problema, Robert?» Si tolse un guanto e si asciugò il volto bagnato. «Abbiamo visto assedi peggiori. Pensa a Neuss.
Ammetto che è sempre meglio essere fuori dalle mura...» La risolutezza del suo capitano non poteva essere intaccata dall'umorismo. Anselm s'irrigidì ulteriormente. Era così vicino che Ash poteva vedere il colore verde castano degli occhi e la ragnatela di vene sul naso e sulle guance. L'elmo però impediva di capire quale fosse l'esatta espressione del viso. Ash attese. La pioggia spinta dal vento sciabordò simile a un'onda contro le mura della torre e, per un attimo, Ash rammentò Cartagine e il rumore del mare che si infrangeva contro la scogliera ai piedi dello strapiombo sul quale si ergeva un lato della casa dei Leofric. La sua mente in quel momento era qualcosa di simile a quel grande vuoto: una vasta distesa d'aria percorsa da torrenti d'acqua gelata. Uno spruzzo di pioggia le bagnò le guance. Ash alzò la mano sinistra protetta dal guanto che, nonostante fosse stato raschiato con la sabbia e spalmato di grasso d'oca, cominciava ad arrugginire e abbassò la visiera. «Cosa c'è, Roberto?» L'Inglese fece un sospiro e il semplice spostamento di quel corpo massiccio costrinse Ash a premersi ulteriormente contro il bordo della finestra. Robert fissò il flusso della pioggia in continuo movimento e quando parlò aveva il tono di voce di un mercenario che riconosceva al proprio condottiero il diritto di porre delle domande. «Dopo Auxonne non avevo la minima idea se eri viva o morta. Nessuno era riuscito a sapere se era stato trovato il tuo corpo sul campo. Mi aspettavo che prima o poi la tua testa sarebbe comparsa in cima a una lancia. Se fossi morta non c'erano dubbi riguardo al fatto che i Goti avrebbero esposto il tuo cadavere!» Il tono di voce tornò tranquillo e basso. Solo Ash, che gli era molto vicino, poteva sentirlo. «Se fossi stata fatta prigioniera ti avrebbero mostrato a tutti in catene... Potevi essere ferita nel bosco. Potevi essere strisciata tra gli alberi e poi morta e nessuno ti avrebbe trovata.» Si girò a guardarla. La pioggia lo costrinse a socchiudere le palpebre evidenziando le rughe intorno agli occhi. «Ecco qual era la situazione, ragazza. Pensavo che ti avessero buttata dentro una fossa comune senza che nessuno ti avesse riconosciuta. Quei lanciafiamme... Molti degli uomini che sono tornati mi hanno detto che i cadaveri erano bruciati al punto di essere irriconoscibili. Tony affermò che
visto l'interesse che avevano dimostrato nei tuoi confronti a Basilea, eri stata portata in Nord Africa, ma non importava se eri viva o morta. I magi scienziati mi fanno venire i brividi» aggiunse Anselm, scosso da un fremito inconscio. Ash attese ascoltando il rumore della pioggia senza fare domande. «Tre mesi e poi...» Lo sguardo dell'Inglese si posò nuovamente su di lei. «Dovevi essere morta, non c'era altra possibilità, poi, tre giorni fa, dal nulla arriva un messaggio attaccato a un quadrello...» «Ti eri abituato a comandare la compagnia.» Le mani di Robert la inchiodarono alla finestra. Ash diede una rapida occhiata alle braccia poi al volto. Schizzi di saliva provenienti dalla bocca di Anselm le macchiarono il petto della divisa. «Io volevo venire in Africa! Non volevo stare a Digione! Dolce Cristo Verde... cosa pensi che sia successo, ragazza? Un bel momento è arrivato John il fottuto de Vere e mi ha detto che il duca inviava metà della compagnia a Cartagine e lui aveva bisogno di un uomo per comandare qua...» Gli uomini vicini alla porta cominciarono a dare segni di nervosismo. Robert continuò, ma abbassò il tono di voce. «Viva o morta potevi essere solo in un posto, a Cartagine! Solo che non avevo una cavolo di scelta! Mi avevano ordinato di rimanere qua! E adesso scopro che sei viva...» Ash posò le mani sui polsi protetti dell'Inglesi e gli abbassò le braccia. Il metallo della corazza era freddo e scivoloso a causa della pioggia. «Capisco perché Oxford si è comportato in questo modo. Aveva bisogno di Angeli per i cannoni. Tu eri il mio secondo in comando, eri tu quello che mandava avanti la baracca, non poteva lasciare nessun altro. Robert, io potevo essere morta o chissà dove. Era giusto che tu rimanessi qua.» «Sarei dovuto andare con lui! Ero sicuro che tu fossi morta. Mi sbagliavo!» Robert Anselm tirò un pugno contro il bordo della finestra poi diede un'occhiata incurante al metallo intaccato del guanto e flesse le dita. «Se avessi portato via la compagnia, a quest'ora Digione sarebbe già caduta, ma lascia che ti dica una cosa, ragazza: sarei dovuto venire a Cartagine. Per te.» «Se lo avessi fatto» spiegò Ash, misurando ogni parola «forse saremmo riusciti a conquistare la casa di Leofric. Avremmo avuto più uomini e cannoni. Avremmo distrutto il Golem di Pietra eliminando così l'unica con-
nessione che le Macchine Impazzite hanno con questo mondo... l'unico canale che avrebbe permesso loro di compiere il miracolo.» L'Inglese la fissò. Le lunghe ciglia facevano sembrare gli occhi molto piccoli. «Però» continuo Ash «se tu fossi venuto, Digione sarebbe caduta prima ancora che tu avessi raggiunto la costa, il duca sarebbe stato giustiziato e le Macchine Impazzite avrebbero impiegato il faris per raggiungere i loro scopi e questo lo sai bene quanto me. Tre mesi fa, come ora, l'avrebbero fatto senza pensarci un attimo!» «Forse no» borbottò Anselm. «Adesso siamo qua. Cosa importa quello che non hai fatto? Roberto, niente di quello che mi stai dicendo spiega come mai oggi non sei uscito per attaccare il faris. Niente spiega come mai hai perso l'occasione e io ho bisogno di saperlo. A parte me, ci sono un mucchio di altre persone che dipendono da te.» Ash era onesta e si stava sforzando di dar voce alle sue paure. L'espressione che vide sul volto del luogotenente non era vergogna. «Sei uscita aspettandoti di morire» borbottò Anselm. «Sì. Ma se prima fossi riuscita a ucciderla...» «Oggi non sarei potuto uscire con te» la interruppe Robert Anselm. Aveva parlato con tanta calma che lei non se n'era quasi accorta. «Non potevo sopportare che ti uccidessero davanti ai miei occhi.» Ash lo fissò. «Non dopo tre mesi» terminò l'Inglese. Aveva la voce colma di dolore. «Ho fatto dire delle messe per te, ragazza. Ho pianto, ma ho tirato avanti senza di te. Poi torni e mi chiedi di uscire con te per vedere che ti uccidono. Questo è chiedere troppo.» La furia della pioggia aumentò ulteriormente. L'acqua penetrò tra gli interstizi del tetto in legno e cominciò a gocciolare sonoramente sul pavimento di assi. So cosa devo rispondere, pensò Ash. Perché allora non riesco a farlo? «Adesso mi vorrai privare del grado e dell'incarico, giusto?» domandò, brusco, Anselm. «Sai che non sono più affidabile in combattimento e pensi che invece di fare il mio lavoro starò tutto il tempo a guardarti la schiena.» La tensione che Ash aveva accumulato fino a quel momento raggiunse il punto di crisi. «Cosa vuoi che ti dica, Robert?» sbottò. «La solita vecchia tiritera: 'Tutti possiamo essere uccisi là fuori, quindi è meglio che ti abitui'? 'Il nostro lavoro è fare la guerra e la gente viene uccisa'? Se vuoi te lo
dico. Sei mesi fa lo avrei fatto! Adesso no!» Robert Anselm slacciò la cinghia dell'elmo e inclinò la testa in avanti per sfilarlo. L'imbottitura aveva fatto sì che il cranio pelato fosse ricoperto da una velo di sudore lucido. «E adesso?» le chiese. «Fa male» disse Ash. Raschiò le nocche contro la parete, come se il dolore fisico potesse darle sollievo. «Tu non vuoi vedermi infilzata e io non voglio mandare Angeli e gli altri sulle mura. Ho riportato indietro quei ragazzi passando attraverso una terra impossibile! Non voglio vederli mentre finiscono a pezzi durante un assalto al campo visigoto o perché devono portare a compimento uno dei brillanti piani ideati da de la Marche. Voglio che rimaniamo indietro, che stiamo seduti nella torre lontano dai bombardamenti... Incomincio ad avere paura che la gente si faccia del male.» Ci fu una lunga pausa. Robert Anselm tirò su con il naso. «Sembra che siamo tutti e due nella merda, eh?» Appena lei lo fissò, l'Inglese si sforzò di trattenere una risata. «Gesù! Roberto...!» La risata la colse di sorpresa. Sentì un vuoto nel petto e un attimo dopo, quello che era cominciato come uno sghignazzo trattenuto a stento, si trasformò in una risata di gusto. Non poteva impedire il manifestarsi di quello sfogo che le riempì gli occhi di lacrime rendendola incapace di pronunciare una frase coerente. La risata di Robert Anselm si spense gorgogliando. L'Inglese posò le mani sulle spalle di Ash e la scosse. «Siamo fatti» constatò, allegro. «Non c'è nulla da ridere!» «Siamo proprio una bella coppia di idioti» aggiunse Anselm. Si raddrizzò e tolse le mani dalle spalle di Ash. Le piastre della corazza tornarono a scivolare una sopra l'altra. Aveva gli occhi ancora lucidi, ma si era tranquillizzato. «Dovremmo uscire tutti e due dal gioco, ma non credo che le teste di tela ce lo permetteranno.» «Già...» Ash si succhiò il sangue che le macchiava le nocche. «Non posso continuare a fare questo lavoro se comincio ad avere paura che gli uomini siano feriti o uccisi.» «È arrivato il momento di scoprirlo, vero?» domandò Robert Anselm, fissandola. «Adesso sapremo di cosa siamo capaci quando il gioco si fa veramente duro, giusto? Come ci comporteremo quando verrà il momento
di non curarsi più di niente e nessuno.» Le narici di Ash erano pervase dall'odore del metallo umido, del sudore maschile, della lana bagnata e dal lezzo dei letamai cittadini. Gli spruzzi di pioggia le colpivano le guance. Una folata di vento più forte delle altre fece girare i due soldati verso la finestra. «Devono sapere che non c'è nessuno al comando! Perché continuano a non attaccare?» si domandò Ash. Passò ancora un'ora e Ash inviò una serie di messaggeri al palazzo, ma nessuno fu in grado di fornirle notizie della nuova duchessa, di Sieur de la Marche o del ciambellano Ternant. Il palazzo era un formicaio brulicante d'attività nel quale un'orda caotica di cortigiani, servitori, nobili, officianti e preti dovevano organizzare un'incoronazione e un funerale allo stesso tempo. «Il capitano Jonvelle mi ha detto qualcosa!» aggiunse Rickard, ansante e sudato fino all'osso. Ash pensò di chiedere come mai aveva smesso di spettegolare con i capitani di de la Marche, poi vide il volto arrossato del paggio e decise altrimenti. «Le teste di tela stanno continuando a scavare gallerie. Sono stati sentiti dai suoi uomini.» «Spero che affoghino» ringhiò Ash sottovoce. Passò il suo tempo passeggiando su e giù per la stanza nella torre in mezzo a una piccola folla di uomini armati pronti a uscire sugli spalti nel caso in cui le mura fossero state minacciate. Di tanto in tanto mandava fuori una lancia per controllare la situazione all'esterno. A quasi un centinaio di chilometri lungo quella strada, pensò Ash, ci sono solo freddo e oscurità per ventiquattro ore al giorno. Visto la situazione intorno ai confini della Borgogna, non c'è da stupirsi se il tempo è di merda. «Capo...»Thomas Tydder, spinto in avanti con una gomitata da suo fratello Simon, la fissò negli occhi. Era bagnato fradicio e quando parlò una goccia d'acqua che penzolava dalla punta del naso dondolò. «È vero che san Godfrey ci ha abbandonati?» Ash segnalò al capo della lancia di Tydder di lasciarlo andare. «No, non ci ha abbandonati» spiegò in tono convinto. «Ora ci parla dalla Comunione dei Santi. Lo sai anche tu, vero?» Sollevato e imbarazzato il ragazzo rispose con un cenno affermativo del
capo. Ash lanciò un'occhiata oltre le spalle del giovane mercenario e vide che l'espressione di Robert Anselm era rimasta del tutto impassibile. Ash sondò la sua anima con cautela, come se stesse tastando la gengiva con la lingua nel punto in cui fino a poco prima c'era stato un dente. Anselm si avvicinò. «Sta bene?» chiese, borbottando. Il rumore della pioggia battente aveva nascosto il sussurro con il quale di solito si rivolgeva a Godfrey, al Golem di Pietra o, dannazione, alle Macchine Impazzite. Anselm, però, la beccava sempre. «Niente che riesca a capire» rispose Ash, succinta. «Leone e Cinghiale, proteggeteci» borbottò Anselm. «Secondo te è un segno buono o cattivo?» «Che cazzo ne so, Robert!» La frustrazione dell'attesa era qualcosa di tremendo, in quel momento Ash avrebbe dato il benvenuto a qualsiasi cosa, anche al tonfo provocato dalle scale d'assedio contro gli spalti. Si avvicinò alla porta della torre. Il rumore di un proiettile di terracotta e il boato delle fiamme echeggiò lungo gli spalti. Un'ondata di fuoco blu e giallo investì il parapetto di pietra continuando a bruciare nonostante la pioggia torrenziale. I secchi di cuoio pieni di sabbia e terra che erano stati disposti lungo le mura erano troppo pesanti per essere sollevati perché la pioggia li aveva bagnati. Ash segnalò di lasciar perdere e osservò le fiamme gelatinose che colavano lentamente nella città sottostante. Non c'è rimasto nulla da bruciare, pensò. Non rischiamo un incendio. Circa quaranta minuti dopo quello che avrebbe dovuto essere il tramonto, due robusti soldati burgundi apparvero sulla porta della torre, in mezzo a loro c'era un uomo più magro. «Capo!» chiamò Thomas Rochester correndo lungo gli spalti, abbassandosi ogni volta che attraversava lo spazio tra due merli. «Euen è tornato!» proclamò una volta entrato nella torre. Le teste di tutti gli uomini del Leone, quelli dentro la torre, quelli al riparo dietro gli scudi di legno e quelli disposti lungo gli spalti, si girarono all'unisono alla notizia, dopodiché si affollarono intorno alla figura che trotterellava lungo il parapetto sotto la custodia dei Burgundi. «È uno dei nostri, sergente.» Ash sorrise. «Figlio di puttana...» I Burgundi accennarono un cauto saluto militare, quindi sparirono nella pioggia. Ash rise sollevata alla vista del Gallese bagnato fradicio che tremava a causa del vento gelato, ma con un sorriso tanto radioso sulle labbra
da spiccare nell'oscurità crescente del crepuscolo. «Qualcuno procuri un mantello a questo idiota! Vieni, Euen!» Ash attese che una delle donne portasse una scodella di minestra al Gallese. «Sei bagnato, Euen... molto bagnato.» «Ho attraversato il fossato a nuoto e sono passato dalle chiuse che portano l'acqua ai mulini. Qualche bastardo di un Burgundo ha cercato di beccarmi con una freccia. Fanno bene la guardia, laggiù.» «Informazioni?» domandò Ash. Euen Huw sospirò e si appoggiò con la schiena alla parete visibilmente sollevato. «Vuoi sapere quello che è successo dal momento della caccia? Mi sono avvicinato parecchio al campo delle teste di tela, io e gli altri eravamo pronti a far fuori il loro capo, solo che eravamo separati. Poi quei bastardi di Cartaginesi sono tornati di fretta e furia, sembrava che avessero il diavolo alle calcagna. Sono stato tagliato fuori del tutto dal resto della lancia e ho impiegato tutto il resto della giornata per uscire dal campo nemico.» Ash immaginò l'uomo con la divisa nascosta in un fagotto che sedeva intorno ai fuochi da campo mangiando (e senza dubbio bevendo) con i liberti visigoti, gli schiavi e i mercenari prestando orecchio a tutte le chiacchiere del campo e alle dichiarazioni ufficiali. «Gesù! Va bene. Prima cosa: si stanno preparando a un attacco?» «Non saprei, capo. Sono passato attraverso il campo in cui tengono le macchine d'assedio e non ho visto quello che succedeva sul lato nord.» Ash aggrottò la fronte. «Il faris è ancora vivo?» «Oh, lei è viva, capo, è solo caduta.» «Caduta?» «Un attacco di tocco di Dio199 , capo! Sbavava! Hanno detto che è tornata in piedi, solo che è un po' intontita.» Merda, pensò, Ash, senza neanche rendersi conto dell'espressione torva che le era apparsa in viso, se fosse morta avremmo risolto tutti i problemi...! «Qualcuno ha detto che aveva impartito ordini per organizzare il suo rientro a Cartagine, poi li ha cancellati tutti» aggiunse Euen. Le speranze che Ash aveva nutrito fino a quel momento, avvizzirono in un attimo. Tutta la sua fatica per convincerla a tornare indietro e persuadere la ca199
Forse una traduzione migliore potrebbe essere 'attacco epilettico'?
sata dei Leofric a distruggere il Golem di Pietra non era servita a nulla. Ash non voleva menzionare Godfrey. Il silenzio che pervadeva la sua anima ormai da ore era snervante ed era servito solo a far salire la tensione alle stelle. «Gli ufficiali odiano questa situazione.» Gli occhi di Euen brillarono. «Da quello che ho sentito ognuno dei qa'id spera di ottenere abbastanza aiuto da assumere il comando al posto del faris.» «Ah, non trovate che questo sia un bel problema che affliggerà il loro morale?» L'irriverenza trasparente di Ash fece sogghignare Euen Huw. «Forse è proprio per questo motivo che non hanno ancora attaccato.» «Forse adesso vorranno prenderci per fame, capo.» Il Gallese ripulì il fondo della scodella con fare pensieroso, quindi vi posò dentro il cucchiaio. «O forse pensano di far saltare le mura. Non so, capo, l'unica cosa di cui sono sicuro è che per poco non riuscivo a rientrare. Non c'è da preoccuparsi dei ragazzi del signor Mander o di quelli di Agnus Dei... le teste di tela stanno rinforzando le guardie lungo tutto il perimetro della città.» «Non possono sigillare la zona. È un'area troppo vasta da coprire.» Euen scrollò le spalle. «Jack Price saprà sicuramente molto di più, capo. L'ho visto parlare con i lancieri. È già tornato?» «Non ancora.» Ash spostò la sua attenzione su Rickard e sui due o tre comandanti di lancia che attendevano sulla porta della torre, era ovvio che stessero cercando delle risposte. «Raggiungi i tuoi ragazzi, Euen e rilassati. Li hai fregati per bene.» Attese che il Gallese si girasse poi disse: «Sono contenta che tu sia tornato...» «Oh, sì.» Huw alzò le braccia indicando la pioggia, la roccia bruciata dal fuoco, le case demolite e la città assediata. «Non riuscivo a pensare a un posto migliore, capo» commentò, acido e sarcastico. «Hai ragione.» Ash sorrise. «Non sei mai stato un tipo molto intelligente.» L'oscurità continuava ad aumentare lentamente e la pioggia non accennava a diminuire d'intensità. Dal palazzo ducale continuavano a non arrivare notizie. Il faris continuava a non attaccare. Perché? si chiese Ash. Cosa le hanno fatto le Macchine Impazzite? Tornò alla torre della compagnia dove i paggi le tolsero la corazza e lei poté concedersi un sonno nel quale non sognò i cinghiali. Prima dell'alba era già in piedi e di nuovo in armatura, pronta a unirsi al cambio degli uomini sulle mura.
Circa un'ora dopo giunse l'alba... ma se ne resero conto solo perché potevano scorgere meglio la pioggia. Ash e la scorta cavalcavano per le strade di Digione. La visibilità non era delle migliori: la pioggia rimbalzava sul selciato e tutto era avvolto da una coltre di foschia. Si stavano dirigendo verso il palazzo ducale, ma si persero. Il cavallo da guerra senza nome che stava montando infilò gli zoccoli nello sterco. L'acqua stava cominciando a sciogliere i depositi di letame della città e le strade erano invase da ruscelli di acqua mista a sterco. Ash arricciò il naso nel sentire l'odore acido e guidò il cavallo fuori dal rivolo maleodorante. Jan-Jacob Clovet indicò con un braccio bagnato. «Da quella parte, capo! Riconosco la taverna.» Ash sogghignò al balestriere che, essendo rimasto con quella parte della compagnia distaccata a Digione, conosceva alle perfezione l'ubicazione di tutte le taverne e dei locali dove servivano da bere. «Fai strada...» Passò due ore ad aspettare fuori dal palazzo ducale insieme a una folla di questuanti civili e militari. Erano sorvegliati da un manipolo di soldati burgundi visibilmente imbarazzati con i quali Ash non volle infuriarsi perché sapeva benissimo che stavano eseguendo degli ordini. Fortunatamente la gente è qua, pensò. Non hanno rubato le armi, i piatti, i mobili e tutto il resto per consegnarlo ai Visigoti. Che sia un buon segno? Tornò verso le mura della città, ma dovette farsi da parte per far passare un corteo funebre che andava a seppellire due vittime del Fuoco Greco. Padre Faversham seguiva la processione camminando con attenzione per non scivolare sul selciato bagnato. Il prete si tolse il cappuccio e la fissò. «Capitano» domandò «Florian tornerà presto all'ospedale? Abbiamo bisogno di lei!» Non ci avevo pensato, rifletté Ash. I muscoli del corpo le dolevano, la pioggia aveva cominciato a filtrare in ogni giuntura della corazza la cui superficie, nel frattempo, era stata ricoperta da un pellicola di ruggine marrone. Ash scosse la testa e sbuffò facendo schizzare via la pioggia dal volto. «Non lo so, Padre» disse. «Fai del tuo meglio.» Questo non è l'unico motivo per il quale devo parlare con Floria, pensò, mentre saliva gli scalini che portavano in cima alla torre. Merda, cosa sta succedendo? Verso l'Ora Nona un messaggero l'accompagnò indietro dal suo giro di
controllo sulla sezione di mura che comprendeva il cancello di nord-ovest e le due torri del muro a nord. Ash si fermò solo un istante e chinò il capo mentre i preti burgundi recitavano le preghiere per la festa di san Gregorio 200 . Entrò nella torre e il rumore provocato dalla pioggia che batteva sulla corazza cessò immediatamente per poi riprendere dopo che, salita la scala di legno, raggiunse la cima della torre spazzata dal vento. Anselm e gli altri ufficiali osservavano la situazione. La pioggia aveva annerito le divise gialle e blu del Leone. «Sta mollando!» urlò Anselm per farsi sentire sopra il rumore del vento. «Dici?» Ash si avvicinò fino a raggiungere Anselm ed effettivamente si rese conto che la pioggia stava diminuendo d'intensità. Osservò le centinaia di metri di terreno smosso che separava la città dai pavesi visigoti che riparavano i minatori intenti a scavare i cunicoli. «Che cazzo sono quelli?» La visibilità aumentò e Ash vide le sagome grigie delle tende e delle baracche visigote e il bagliore del fiume Suzon emergere dal muro di pioggia che diminuiva di spessore. C'era qualcosa di nuovo tra il fossato di Digione e la terra di nessuno che separava la città dal nemico. Ash socchiuse gli occhi. Di fronte al lato nord del campo visigoto si vedevano delle montagnole di terreno smosso da poco. «Per l'inferno...» imprecò Ash. «'Fanculo» fece eco Anselm. «Trincee?» A mano a mano che la pioggia diminuiva d'intensità, gli uomini cominciarono a muoversi. Dalle trincee uscirono centinaia di schiavi coperti di fango fino ai capelli che si riunirono nello spazio aperto. Anche se erano piuttosto lontani i soldati sulle mura videro chiaramente alcuni uomini che sorreggevano altri compagni. Ash vide che gli schiavi si inchinavano per essere benedetti. Tra le pareti di tela delle tende avanzavano ondeggiando le bandiere con le teste d'animale e le aquile. Una processione di preti ariani e immaginife200
Esistono due santi di nome Gregorio che sono festeggiati in novembre: Gregorio Thaumaturgus ('il fautore di miracoli'), 270 d.C. e Gregorio di Tours, 594 d.C. Entrambe le feste sono celebrate il 17 novembre. Gli eventi di questo testo devono essere successi nelle quarant'otto ore che hanno seguito la 'caccia al cervo'.
ri201 si fece strada tra le tende accompagnata dalle note dei cornice 202 . Ash osservò i soldati che uscivano dai ripari bagnati per ricevere la benedizione. È qualcosa di più di una processione! si rese conto Ash, mentre il suo sguardo era attratto da un altro immaginifero nei pressi del ponte ovest. Il rumore assordante della pioggia diminuì poi cessò del tutto. Ash osservò il cielo coperto attraverso le nuvole del suo fiato condensato a contatto con l'aria fredda. Anselm appoggiò le mani su due merli e si sporse oltre le mura. Ash si girò verso est e cercò di osservare il campo nemico. «Figli di puttana» sentenziò Robert, parlandole all'orecchio. Oltre la sponda ovest del Suzon gli uomini stavano togliendo i teli protettivi dalle macchine d'assedio e i serventi armeggiavano intorno agli argani. I trabocchi manovrati dai golem cominciarono a lanciare salve di pietre. Ad Ash non interessava dove sarebbero caduti i massi che, molto probabilmente, sarebbero finiti in centinaia di schegge nelle strade della zona sud della città, poiché il suo sguardo era fisso sulle dozzine di trincee protette da palizzate che incidevano il terreno a est e a ovest delle mura. Osservò le decine di cumuli di terra che si perdevano a vista d'occhio. Ash si sporse a sua volta per guardare fuori. «È impossibile!» si sfogò Anselm. «Non ci riuscirebbero neanche se scavassero ininterrottamente per le prossime quarant'otto ore.» «Basta avere parecchi schiavi a disposizione. A quelli non importa nulla se ne fanno morire a centinaia.» Ash batté il palmo della mano sulla roccia. «Jonvelle ha sentito scavare! Non erano cunicoli. Era questo. Golemscavatori, Robert! Se hanno usato tutti...» Ash rivide nella sua mente i golem di marmo e ottone nella tenda del faris: volti privi di lineamenti e mani che non conoscevano la fatica. «... chi lo sa quanti golem hanno! Ecco come ci sono riusciti!» Non c'era nessuna interruzione nei cumuli di terra ammassati lungo le trincee scavate a nord della città. Molto probabilmente si estendevano fino all'Ouche. I Visigoti avevano costruito anche un ponte di barche. 201
Nell'esercito romano 'l'immaginifero' era il portainsegne dell'imperatore. È molto probabile che il testo sottintenda che l'immaginifero visigoto stia portando le insegne del califfo-re. 202 Curioso! Già menzionati nell'esercito romano ai tempi dell'imperatore Traiano come suonatori di corni ricurvi, è ovvio che in questo caso si tratta dei Visigoti che adoperano un termine romano per legittimare una qualche loro musica rituale.
«Robert!» Il tono di voce era asciutto e Ash deglutì. «Manda un messaggero ad Angelotti e agli ingeniatores di de la Marche. Chiedi loro se sanno per quanti chilometri si estendono le trincee. Voglio sapere se è davvero come sembra. Devo capire se sono riusciti a coprire il tratto di terreno da est a sud.» Anselm si ritrasse dai merli. «Non riesco a vedere interruzioni. Devono aver scavato per giorni e notti intere...» Ash immaginò, quasi fosse stata presente, le schiene piegate degli schiavi che scavavano nel fango nella notte illuminata dal Fuoco Greco. Il nemico aveva messo a lavorare alle trincee anche i golem messaggeri, quelli che usavano i lanciafiamme e quelli impiegati nell'uso delle macchine d'assedio: creature di pietra che non conoscevano il dolore, non avevano alcun bisogno e che non necessitavano di riposo. Le salmodie di un cantore si aggiunsero al suono dei corni. «Ci saranno diverse pattuglie in quelle trincee» fece notare Robert Anselm indicandole. «Dannazione. Sembra che ci sia più di una legione.» «Cristo Verde fottuto!» L'assedio di Neuss era stato molto duro, tuttavia, gli schieramenti di entrambi le parti presentavano alcuni varchi che avevano permesso alle spie di raccogliere informazioni, disertare, spargere voci di tradimenti, razziare le provviste degli assediati, tentare degli omicidi. C'erano sempre dei punti da sfruttare per infiltrarsi. Sempre. L'assedio di Digione, però, non era un assedio 'come tutti gli altri'. Non c'era nulla di normale. «Avremo il nostro bel da fare a cercare di far passare qualcuno» commentò Ash. «Inoltre con tutte quelle trincee l'idea di una sortita è fuori discussione.» Si allontanò dagli spalti. «Torno a palazzo. Tu, tu e tu: con me. Roberto... dobbiamo parlare con Florian.» III La pioggia era diminuita d'intensità e una catena di soldati aveva cominciato a spostare le macerie per rinforzare gli spalti dov'era necessario. Angelotti, che sembrava del tutto incurante delle schegge di pietra che tempestavano le mura esterne e del rombo dei cannoni nemici, alzò la mano in segno di saluto lasciando che i suoi uomini terminassero di portare un can-
none sui camminamenti senza il suo aiuto. «Vorrei essere ancora un ingeniator degli amir, Madonna!» Spostò le piume tinte di giallo e blu che pendevano dall'elmo d'arciere davanti agli occhi e sorrise. «Hai visto quello che hanno fatto là fuori? L'abilità...» «'Fanculo tu e la tua ammirazione professionale!» Il sorriso d'Angelotti non vacillò neanche quando un masso centrò il muro un paio di metri sotto gli spalti facendoli tremare. «Procurati più mangani e arbaleste!»203 Ash alzò la voce per farsi sentire nonostante il baccano provocato dagli uomini. «Vai a prendere Dickon... no... chiunque abbia occupato il posto di mastro fabbro...» «Jean Bertran.» «... Bertran. Voglio frecce. Non voglio rimanere a corto di polvere da sparo prima del tempo.» «Ci penso io, Madonna.» «Tu vieni con me.» Socchiuse gli occhi e osservò la coltre di nuvole che si apriva cercando di capire di quanto sarebbe calata la temperatura in seguito alla schiarita. «Rochester, occupati della difesa... a meno di un attacco, io non esisto! Tieni Jussey sotto controllo, Tom.» «Sì, capo!» Il bombardamento nemico aumentò d'intensità. Gli spalti cominciarono a essere bersagliati da rocce delle dimensioni di un cavallo morto e da proiettili metallici che servivano per spaccare la merlatura. Ash imboccò la scalinata che portava alla città insieme a Robert Anselm, Angelotti e il portainsegne. Prima di montare a cavallo ebbe un momento d'esitazione nel quale il suo sguardo vagò per la zona coperta di detriti che separavano la città dalle mura. «Sembra più pericoloso stare qua che sui fottuti spalti.» Angelotti inclinò la testa per finire di chiudere l'elmo sui capelli biondi e sudati. «I loro artiglieri hanno tarato i pezzi sull'alzo di questa zona.» «Oh, che bello...» Premette i talloni contro i fianchi del cavallo che scivolò di lato sul selciato umido prima che Ash gli facesse girare la testa e lo indirizzasse verso i tetti distanti e intatti del centro città. Giovanni Petro e dieci arcieri, tutti uomini che non avevano preso parte all'incursione a Cartagine, la seguirono. Tenevano le corde degli archi all'asciutto sotto i cappelli e una mano 203
'Mangani': catapulte militari di varie dimensioni. 'Arbalesta': una balestra d'assedio di grandi dimensioni solitamente montata su un supporto.
posata sui coltellacci o sulle fibbie delle cinture. Bonniau e Brifault, i due mastini di Ash, uggiolarono vicino agli zoccoli del cavallo. Robert Anselm cavalcò in silenzio. Se non fosse stato per la divisa avrebbe potuto essere scambiato per uno dei tanti cavalieri al servizio di de la Marche. Ash non riusciva a decifrare l'espressione del luogotenente. Angelotti continuava a tenere gli occhi al cielo lasciando che la cavalla magra che montava posasse le zampe dove meglio credeva. Che stesse ancora valutando l'abilità degli artiglieri nemici? Il cielo cominciò ad assumere una colorazione biancastra, l'aria era quasi umida. Il lato sud-ovest dell'orizzonte cominciava a tingersi di giallo. Forse rimanevano ancora due ore prima del tramonto. Florian, pensò Ash. Il faris. Godfrey. John Price. Merda: perché non so più quello che sta succedendo alla gente? Aveva rivolto alcune domande riguardo a un archibugiere canuto e di mezza età con indosso una divisa del Leone Azzurro: se Guillaume Arnisout era entrato a Digione il giorno prima, adesso se ne stava buono e tranquillo rintanato da qualche parte. Cosa devo aspettarmi? si chiese. Lealtà. Mi conosce da quando ero una bambina e mi prostituivo. Non è sufficiente per portare qualcuno a stare da questa parte delle mura! «Riusciremo a vedere il dottore?» domandò Anselm. «Certo. Guarda come farò.» Le rovine delle case e dei negozi oltre le mura erano deserte... squadre di lavoro composte da civili e militari avevano tolto le macerie annerite e abbattuto, se necessario, gli edifici pericolanti, creando una sorta di labirinto di strade tra le rovine. Il muro più alto non superava un uomo. «Voglio dei ragazzi qua a erigere barricate. Se il cancello di nordovest dovesse cadere potremo ancora respingere le teste di tela, avendo qualcosa a cui ancorare una linea di difesa.» «Giusto» concordò Anselm. Ash cavalcava al passo perché non voleva correre il rischio di perdere il cavallo. Se ci beccano ci beccano, concluse. Il tonfo di una pietra caduta a circa trecento metri di distanza dal punto in cui si trovava la fece sussultare. Un altro oggetto scuro balenò nell'aria alto e vicino. Ash sentì aumentare la tensione in attesa del tonfo che non giunse. Il volto di Giovanni Petro si irrigidì. «Diavolo, capo!» «Lo so.» La scorta si aprì automaticamente di fronte e dietro di lei. Ash annuì. Il
vento freddo le lambiva il viso e gli ultimi rivoli d'acqua piovana ruscellavano tra le macerie. Ash spostò il peso sulla sella e fece girare il cavallo dietro l'angolo di quella che un tempo era stata una casa. Vide quattro arcieri radunati intorno a una cosa... anzi, si trattava di due cose. Petro si raddrizzò mentre Ash si avvicinava trattenendo il mastino che teneva al guinzaglio. «Deve essere quello che ha lanciato il trabocco, capo» grugnì bruscamente, l'Italiano. «Non era un proiettile. Si tratta di un corpo umano. È caduto in due posti. La testa è laggiù.» «È uno dei nostri» sentenziò Ash. Altrimenti non ti saresti fermata, pensò parlando a se stessa. «Credo che sia John Price, capo.» Ash fece cenno ad Angelotti e Anselm di rimanere a cavallo mentre lei smontava dal suo e si avvicinò agli uomini che stavano sollevando il corpo privo di testa dal selciato. I due balestrieri, Guilhelm e Michael, persero la presa intorno al torso e alle gambe proprio nel momento in cui lei passava loro vicino. La massa rossa e blu degli intestini scivolò fuori dallo stomaco e cadde a terra accompagnata da altri fluidi corporali che si mischiarono con l'acqua. «Non abbiamo ancora trovato le braccia, capo» borbottò, Guilhelm. «Forse sono cadute altrove.» «Non c'è problema. Padre Faversham gli darà una sepoltura cristiana anche se il corpo non è integro.» Oltre i due mercenari c'era una donna inginocchiata nel fango che piangeva. Aveva il volto rosso e segnato dalle lacrime. Ash si avvicinò. La ragazza udì il clangore metallico della corazza e alzò la testa: era Margaret Schmidt. La ragazza stringeva una testa tra le mani e Ash riconobbe il volto di John Price. «Guarda il lato positivo» disse Ash, più per Giovanni Petro che per Angelotti. «Almeno era già morto prima che lo lanciassero oltre le mura.» «Già» sbuffò Petro. «Va bene, Schmidt... metti la testa nella coperta insieme al resto.» La ragazza sollevò la testa che stringeva tra le mani. «No» rispose. Aveva le lacrime agli occhi. «Piccola stronza fottuta, non osare parlarmi in questo...» «Va bene...» s'intromise Ash. «Va bene.» Rivolse un cenno del capo a Petro per fargli capire che doveva allontanarsi e l'Italiano tornò, riluttante,
a esaminare il corpo di Price. Ash era consapevole che gli altri suoi ufficiali la stavano osservando. Osservò il modo in cui la pelle della testa di Price era segnata dalle dita di Margaret Schmidt e le macchie di sangue sulla lunga gonna e giunse alla conclusione che il suo uomo doveva essere stato ucciso qualche attimo prima di essere lanciato con il trabocco. «È necessario controllare se è stato torturato» disse ad Anselm. Che abbia detto qualcosa d'importante? si chiese, dopodiché si girò verso Margaret Schmidt e, tranquilla, le disse: «Mettila giù.» Lo sguardo della ragazza divenne improvvisamente freddo e la paura mista alla rabbia le indurì l'espressione del viso. «Questa è la testa di un uomo, Cristo Santo!» «So cos'è!» Ash si chinò posando un ginocchio a terra, nonostante fosse un movimento piuttosto difficile da compiere con l'armatura completa addosso. «Non discutiamo. Non costringere Petro a consegnarti al prevosto. Fallo.» «No...» Margaret Schmidt fissò il volto bluastro, ma ancora riconoscibile di John Price. «No, non capisci. Sto tenendo in mano la testa di qualcuno. L'ho vista volare verso di noi... pensavo fosse una pietra...» L'ultima volta che Ash aveva fissato con attenzione il volto di John Price era stato sulla strada di Auxonne illuminata dalla mezza luna. Un viso stanco, arrossato dall'alcool, ma che irradiava fiducia e allegria. Niente a che vedere con lo scarto di macelleria cui somigliava la testa tra le mani della ragazza. «Se questo non ti piace, ti assicuro che le sanzioni disciplinari di Geraint ab Morgan ti piaceranno ancor meno» rispose Ash, sforzandosi di essere cinica e sarcastica. Le lacrime che colavano dagli occhi di Margaret solcavano lo sporco sulle guance. «Cosa stiamo facendo qua? È una follia! Camminate tutti su e giù lungo le mura, aspettando che quelli ci attacchino in modo che possiate combattere... e i Visigoti ci hanno intrappolati qua dentro...!» Fissò Ash dritta negli occhi. «Tu vuoi combattere. Ti ho vista. Io sono... quella che sto tenendo fra le mani è la testa di qualcuno, di una persona!» Ash si rimise lentamente in piedi. Alle sue spalle, Petro e gli altri arcieri avevano avvolto il corpo nella coperta di qualcuno e lo stavano trasportando via in quattro. Il fondo della coperta colava sangue e altri fluidi. «Non è stato interrogato» la informò Angelotti. «È morto per un colpo di lancia allo stomaco, Madonna.»
«Andate avanti!» ordinò Ash. «Mettetevi al coperto!» Angelotti spronò il cavallo. Anselm si sporse dalla sella e disse qualcosa a Guilhelm che prese le redini del baio e si fermò ad aspettare mentre il resto della squadra di Petro si allontanava. Ash tornò a dedicarsi a Margaret. Perché perdo tempo con lei? si chiese. Un mezzo artigliere. È sempre una di noi... si rispose. «Questa non è la prima volta che vedi un morto» Ash parlò sopra il rumore degli ordini e degli zoccoli dei cavalli. Margaret Schmidt la fissò con un'espressione che in un primo momento Ash non riuscì a decifrare, poi quando si rese conto di cosa si trattava pensò che era un'espressione che non era abituata a vedersi indirizzare. «Ho lavorato in un bordello» le rammentò la ragazza in tono aspro. «Alle volte mi è capitato di dover superare il corpo di qualcuno con la gola tagliata per entrare. Si trattava di un furto o di un regolamento di conti: non c'era niente di volontario. Non uccidevano persone che non conoscevano!» Ash sentiva i muscoli del corpo tesi al punto da farle male. Era pronta a scattare al primo segno di un proiettile scagliato dai trabocchi. Si sforzò di mantenere un tono di voce tranquillo e disse: «Ti cancellerò dai libri della compagnia, ma prima dovrai consegnare la testa di John Price al tuo sergente. Dopo farai quello che ti pare.» «Me ne vado adesso!» «No. Prima di tutto devi eseguire gli ordini.» Margaret Schmidt posò con molta cura la testa sul terreno umido continuando a tenere una mano sui capelli appiccicosi. «La prima volta che ti ho vista a Basilea ho pensato che fossi un uomo... lo sei. Non t'importa nulla di tutto ciò, vero? Tu non sai cosa succede in questa città. Pensi solo ai tuoi soldati... non sai di cosa hanno paura le donne... pensi solo alla tua compagnia. Se io non fossi stata della compagnia non mi avresti dedicato neanche dieci minuti d'attenzione e non ti sarebbe importato nulla di quello che facevo o non facevo! Ecco l'unica cosa che t'importa! Impartire ordini!» Ash si passò una mano sul viso continuando a prestare attenzione al cielo. «Hai ragione» ammise, tranquilla. «Se non fosse stato che ti ho vista combattere sulle mura con la divisa del Leone non mi sarebbe importato nulla di te. E se non fosse che per te tutto questo è nuovo a quest'ora saresti già al cospetto di messer Morgan. Ci saresti finita così velocemente che i
piedi non avrebbero avuto il tempo di toccare terra, ma, visto come stanno le cose, tu farai quello che ti detto. Se tu non lo farai c'è il rischio che qualcun altro non possa farlo.» «E io che ho sempre pensato che Madre Astrid potesse essere una stronza e una tiranna!» Ero uno sfogo melodrammatico, ma genuino e, se si fossero trovati in un'altra situazione, Ash avrebbe sorriso. «È facile chiamare qualcuno tiranno. Non è altrettanto facile mantenere la disciplina di un gruppo di uomini armati.» La ragazza bionda cominciò a respirare affannosamente. «Tu e i tuoi dannati soldati! Siamo intrappolati in questa città! Ci sono famiglie. Ci sono donne che non si possono difendere. Ci sono uomini che hanno passato la vita a mandare avanti un negozio e neanche loro sanno combattere! Ci sono i preti!» Ash batté le palpebre. Margaret Schmidt tossì, si passò una mano sulla bocca e la fissò, inorridita, mentre la testa di John Price rotolava di lato sul selciato. Una pellicola bluastra gli copriva gli occhi. Ash ricordò le grosse mani dell'Inglese che la facevano accucciare nel sottobosco e indicavano i fuochi del campo visigoto e sentì il fiato che si mozzava in gola. Robert ha ragione, pensò. Questo succede quanto tutto si fa troppo duro. Un corvo atterrò a qualche metro da loro e cominciò a saltellare verso la testa tagliata. Margaret Schmidt alzò il capo e cominciò a piangere come se fosse una bambina. In quel momento Ash si rese conto che non doveva avere più di quindici o sedici anni. «Voglio andare via! Vorrei non essere mai venuta! Vorrei non aver mai lasciato le suore.» Lacrime copiose le solcavano il viso. «Non capisco! Perché non siamo partiti prima? Adesso non possiamo più uscire! Moriremo tutti!» Ash sentì un groppo alla gola. Non riusciva a parlare e per un attimo la paura le attanagliò il cuore facendole bruciare gli occhi. Una rapida occhiata intorno le permise di scorgere il suo stendardo che si allontanava ondeggiando verso le case intatte del centro. Guilhelm, che continuava a tenere il cavallo, non poteva sentirla. «Non moriremo.» Spero, aggiunse nella sua testa. La ragazza indicò la testa tagliata, quindi ritrasse le dita insanguinate
tremando. «È solo colpa tua se è morto!» Ash cacciò il corvo che saltellò indietro sbattendo le ali e prese a camminare avanti e indietro senza toglierle gli occhi di dosso. «Alla fine lo è» concesse Ash e vide la ragazza che la fissava a bocca aperta. «Prendi la testa. Tutti sono spaventati, solo che qua dentro siamo tutti più al sicuro, inclusi i negozianti, i contadini e i preti cui tieni tanto.» «Ma per quanto?» Dieci minuti? Dieci giorni? Dieci mesi? «Abbiamo cibo per settimane» rispose Ash, cauta. Ha ragione, pensò Ash, rendendosi conto di quello che aveva detto la ragazza, che nel frattempo si era finalmente decisa a riprendere la testa. Le ho parlato in questo modo solo perché era lei. Avrei fatto lo stesso con Rickard se fosse stato spaventato, ma non lo avrei fatto con nessuno dei due se non fossero stati in grado di usare una spada o una balestra. Non me ne sarebbe importato nulla. Cosa me ne sarebbe venuto in tasca? «Nessuno vuole combattere.» Ash tentò di scorgere il volto della ragazza inginocchiata. «È molto meglio attaccare qualcuno in un combattimento corpo a corpo che essere spazzati via da un muro da una cannonata.» Appena Margaret Schmidt alzò la testa, Ash aggiunse: «Be', forse non è poi così tanto meglio.» La donna tossì emettendo un suono che sembrava una via di mezzo tra una risata e un singhiozzo. Si alzò in piedi, prese la testa e l'avvolse in un lembo della tunica lunga fino alle ginocchia. «Questo è meglio che scopare uomini per denaro.» Margaret Schmidt alzò lo sguardo dalla gonna e diede un calcio a una pietra per allontanare il corvo. La pietra rimbalzò diverse volte. «Ma non di molto. Mi dispiace, capitano Ash. Devo lasciare la compagnia?» Ecco un'altra che crede che io abbia una risposta per ogni cosa! pensò Ash esasperata. Ma perché non dovrebbe farlo? Mi sono sempre comportata come se sapessi sempre quello che faccio. Sempre. «Parlerò... con Petro. Se mi assicura che vai bene, puoi rimanere.» Ash osservò ancora per qualche attimo la ragazza che teneva la testa nella falda dell'abito, dopodiché si girò a fissare il sergente che l'aspettava con il cavallo. E cosa dovrei dirti? Saresti più al sicuro con noi o tra i civili sei i Goti dovessero conquistare la città? Forse si limiterebbero a ucciderti e non a stuprarti prima? Eh, sì, direi che c'è molta differenza.
Perché non sei con Florian? Chi è il dannato idiota che ti ha convinta che volevi diventare un mercenario? «Portala a Petro» le ordinò Ash. «Non è arrabbiato con te. È arrabbiato solo perché John Price era un suo compagno.» Era quasi sera quando il drappello giunse a poca distanza dal palazzo ducale. La folla impediva loro di muoversi. Le grondaie delle case, che ancora gocciolavano, erano ornate da drappi di velluto nero. L'insegna del Toson d'oro 204 era stata appesa a ogni edificio. Anselm e Angelotti precedettero i compagni aprendo loro la strada senza che fosse necessario impartire un ordine. Ash passò sotto un drappo di velluto lungo un paio di metri che terminava a punta che le gocciolò sulla corazza. Quel velluto poteva essere usato per fare abiti caldi per l'inverno. Merda, pensò lei, che spreco! Cosa credono che faremo quest'inverno? A dire il vero non credo che ci sarà 'un inverno' se i Goti decidono di assaltare le mura oggi o domani, concluse. La calca spinse Petro e gli altri uomini della scorta contro i fianchi della cavalla di Ash che fu costretta a calmarla. Ash si concentrò sugli edifici che si trovavano oltre la massa di teste e cappelli di fronte a loro. Davanti alla folla una gruppo di uomini vestiti di nero - diverse dozzine - leggevano alcune liste e spingevano con vigore le persone da una parte o dall'altra. Anselm si avvicinò a uno degli uomini in nero e si sporse dalla sella. L'uomo lo superò, osservò lo stendardo con il Leone e fece un segno sulla pergamena. «Dopo sieur de la Marche!» disse, rivolgendosi ad Ash. «Se lo ricordi, demoiselle!» «Bella faccia di culo.» Robert Anselm fece rallentare Orgoglio per cavalcare accanto ad Ash. «E adesso? Non possiamo passare di qua.» La luce delle torce divenne più intensa a mano a mano che il giorno digradava nella sera. Tra i vicoli era già buio e solo il cielo sopra i tetti spioventi conservava ancora qualche brandello di luce pallida. In prossimità di un incrocio, Ash vide un gruppo di persone vestite di nero con in mano torce che spingevano da parte la folla. Ash socchiuse le palpebre. «Dobbiamo vedere Florian, ne abbiamo molto più bisogno noi che questi dannati Burgundi!» Cappellani e chierichetti, tutti vestiti di nero, avanzavano al centro della strada verso il palazzo ducale sfruttando lo spazio creato qualche secondo prima dagli uomini con le torce. 204
Ordine cavalleresco fondato dal duca Filippo di Borgogna.
Ash notò che più di una persona aveva le lacrime agli occhi. Lanciò un'occhiata nell'altra direzione. La cattedrale è da quella parte? si chiese, cercando di far riemergere dalla memoria i ricordi dell'estate precedente quando si era recata in quell'edificio insieme a John de Vere e Godfrey. Intorno a lei in quel momento c'era una fitta calca di persone intenta a togliersi il cappello in segno di rispetto. Erano così pressati che era impossibile far giungere una missiva a palazzo. Sarebbe stata un'impresa impossibile anche per un messaggero a piedi. «È il funerale!» si rese conto Ash. «Stanno seppellendo il duca Carlo.» Anselm, stranamente, non sembrò per nulla impressionato. «E allora? Cosa facciamo adesso?» «In che punto della lista siamo?» Batté il guanto corazzato sul pomello della sella. «Dopo de la Marche... era il campione di Carlo. Siamo dopo i nobili, ma prima dei soldati. Non ti sembra ottimo, Robert?» «Oh, certo. Sembra che non faremo la fine dei mercenari franchi al soldo del faris, non ci troveremo a farci massacrare in prima linea. Sempre che continuiamo a lavorare per la Borgogna, ovviamente.» Antonio Angelotti fece arretrare il cavallo e scosse la testa per liberarsi dall'acqua che gli era gocciolata addosso da una grondaia. La luce delle torce creò un gioco d'ombre sul volto dell'artigliere italiano che ricordava quello di un'icona per poi riflettersi sull'elmo. «Il nostro chirurgo è diventato duchessa, quindi vuol dire che sarà al funerale, Madonna.» «Ah, ci sei arrivato anche tu, giusto?» Ash sogghignò. «Abbiamo tempo da vendere per oziare, vero? Vogliono seppellire Carlo? Perfetto. Sono sicura che lui preferirebbe che i suoi concittadini si dedicassero alla difesa di Digione. Vogliono incoronare Florian? Va bene lo stesso... ma è meglio che si sbrighino. Dobbiamo cominciare a fare dei piani.» «Ammesso che dopo questo ci sia ancora tempo per un'incoronazione...» Angelotti scrollò le spalle. «Dobbiamo sapere chi è che sta comandando effettivamente in questo momento» meditò Ash, ad alta voce. «È necessario che prendiamo alcune decisioni. Un piccolo spintone da parte del nemico e l'assedio è finito. Inoltre... qualsiasi cosa accada, Florian deve vivere.» Gli ultimi sprazzi di luce si spensero lentamente. Clero e civili, conti, servitori, dottori, segretari, sergenti, funzionari del duca, maîtres de requêtes e procureurs-générals 205 , sfilarono davanti ad Ash e il drappello alle 205
Direttori e procuratori generali (N.d.T.).
sue spalle. I pochi nobili rimasti, quelli che non si trovavano con l'esercito al Nord o stavano marcendo nei campi vicino ad Auxonne, avanzavano nei loro lunghi abiti neri portando un pallio dorato. La luce svanì del tutto e l'odore acre della pece bruciata riempì le strade. La luce delle torce era così intensa da non permettere ad Ash di scorgere la bara. Abbagliata, riconobbe uno degli abati che camminava sulla scia del feretro, due fratelli bastardi di Carlo, quindi, dietro i suoi attendenti, scorse la divisa rossa e blu di de la Marche. Il cavallo del generale dell'esercito burgundo, come quello degli altri nobili, era coperto da bardature nere. Ash premette i talloni contro i fianchi del cavallo e si mise, determinata, sulla scia di de la Marche per seguire la bara di piombo avvolta in un drappo nero che si dirigeva verso la cattedrale 206 . Ash prese posto vicino a una colonna, non molto lontana dalla nobiltà burgunda. Gli aiutanti di de la Marche, quasi a intervalli regolari di qualche minuto, gli si avvicinavano, quindi, nella maniera più discreta possibile, gli sussurravano qualcosa all'orecchio. Ash pensò che si trattasse di messaggi provenienti dalle mura. Petro, fermo vicino alla porta della cattedrale, filtrava le notizie che arrivavano dai messaggeri del Leone: il cancello nord-ovest, almeno per il momento, non era stato assaltato. Ash sudava, mentre i presenti alle esequie intonavano salmodie e inni. Sopra la bara c'erano due urne di piombo nelle quali erano contenuti il cuore e le interiora. Entrambi gli organi erano stati imbalsamati. Il catafalco era coperto da un drappo nero lungo fino al pavimento ornato da quattro grosse candele ai rispettivi angoli. Le salmodie andarono bel oltre i Vespri e Complina. Ash continuava a sudare. Le quattrocento candele che ardevano rendevano l'aria quasi irrespirabile. Lungo le pareti della navata gli uomini stavano usando le daghe e i quadrelli per praticare buchi nelle vetrate per far entrare un po' d'aria fresca e far uscire quel calore insopportabile. Ash si addormentò due volte mentre era in ginocchio. Una volta fu svegliata da Anselm che le posò educatamente una mano sulla spalla e la scosse piano. Ash annuì e ingollò una sorsata dalla brocca di vino che le aveva passato Angelotti. La seconda volta, proprio mentre stava per cominciare un'altra messa, sentì che stava scivolando dalla veglia al sonno senza avere la capacità di impedirlo. 206
Carlo l'Intrepido non ebbe un funerale così formale dopo la battaglia di Nancy. Questo funerale sembra simile a quello concesso a suo padre, Filippo il Buono, nel 1467, nove anni prima.
Si svegliò appoggiata ad Angelotti con il corpo che le doleva. «Cristo Verde!» imprecò borbottando. L'imprecazione fu sommersa dalla canto del coro che l'aveva svegliata. Il suono spazzò via gli ultimi rimasugli del sonno e l'aria calda. Un gruppo di uomini cominciarono a muoversi rispettando un rituale ben preciso. Al suo fianco, Anselm si alzò in piedi in segno di rispetto, quindi allungò una mano e la tirò in piedi, nonostante lei sentisse un forte dolore alle gambe dovuto all'intorpidimento. La bara di piombo del grande Duca dell'Occidente sfilò lungo la navata: Carlo detto l'Intrepido, figlio di Filippo, nipote di Giovanni; erede di Borgogna e Arles era trasportato nella cripta, accompagnato da quattro vescovi con l'abito talare verde e ventidue abati. Una luce pallida si rifletteva contro le vetrate. Non erano le candele, ma un'alba chiara salutata dai rintocchi delle campane che suonavano l'Ora Prima, mentre il coro nella cattedrale terminava di cantare. Ash flesse il ginocchio ferito e distese la gamba. Cristo Verde, pensò, mai addormentarsi con l'armatura addosso in una chiesa! Lasciò vagare lo sguardo in cerca del paggio che le teneva l'elmo. «Madonna!» Angelotti indicò in fondo alla navata. Ash si girò. Robert Anselm, sempre al suo fianco, aggrottò la fronte e si guardò intorno incerto sul da farsi. Parte delle candele si era spenta e la fioca luce dell'alba illuminava una donna alta e magra che camminava lungo la navata centrale seguita da una piccola folla di cortigiani. Non era giovanissima, doveva avere circa una trentina d'anni, ma era ancora dotata della tipica bellezza delle donne di corte. Il nero del velluto e del broccato non facevano altro che evidenziare il verde degli occhi e il biondo dei capelli. Dimmi se quella donna non somiglia a mio marito Fernando, pensò Ash fissando i lineamenti del viso leggermente lentigginoso all'altezza degli zigomi celato sotto il velo. Un attimo dopo aver formulato il pensiero comprese di chi si trattava e sentì il respiro che si mozzava in gola. Quella è Floria! si disse. Cominciò a camminare senza neanche rendersene conto. Non era ancora del tutto sveglia e allerta, ma si parò lo stesso di fronte alla processione. Ci ho pensato per tutta la notte e adesso non so cosa cacchio devo dire! imprecò. «Non pensare a tutto questo, Florian!» Ash indicò la cattedrale e i presenti con un unico cenno della mano. «Ho richiesto un incontro con gli ufficiali. Adesso. Non possiamo aspettare oltre!»
Gli occhi verdi del suo ex chirurgo la fissarono da sotto il velo e per un momento Ash si sentì imbarazzata. Era difficile guardare quella donna e vedere l'alto chirurgo dal volto sporco con il quale si era ubriacata sui carri e che il giorno dopo socchiudeva gli occhi, mentre, con mano piuttosto ferma nonostante i postumi della sbronza, ricuciva le ferite e rimetteva insieme gli intestini di qualcuno. «Sì, hai ragione» mormorò Floria del Guiz che si sentiva a sua volta a disagio. La duchessa lanciò un'occhiata alla popolazione dolente riunita nella cattedrale. «Non qua, Vostra Grazia!» mormorò uno degli abati vestiti di verde alle sue spalle. Il rumore dei passi risuonava contro le volte della navata. Trovandosi alla presenza di così tanti personaggi del clero e non essendosi ripresa ancora del tutto dal sonno, Ash portò una mano al cuore. «Quindi» disse, fissando Florian «sei veramente la duchessa. Vuol dire qualcosa o sei diventata il fantoccio dei nobili? Dobbiamo parlare e trovare un sistema per tenerti in vita!» Florian la fissò senza dire nulla. Ash sentì una voce tranquilla come la neve quando cade echeggiare nella sua mente. «Figliola?» sussurrò Godfrey Maximillian. IV Ash si appoggiò alla spalla di Robert Anselm. Quella mattina del diciotto novembre, Ash era ancora sconvolta. Ignorò le rapide parole che i nobili intorno a Floria rivolsero alla duchessa, consapevole solo del ricordo di una pressione, di una forza, di un'influenza. «Godfrey!» Alcuni ufficiali si sporsero oltre la spalla di Florian sussurrando qualcosa in tono pressante. «Difesa perimetrale!» Ash si rese appena conto di Petro e dei suoi arcieri che la circondavano dandole le spalle. Non estrassero le armi perché si trovavano in un luogo sacro, ma se fosse stato necessario non avrebbero avuto remore al riguardo. Ash portò le mani avvolte dai guanti freddi al volto e sussurrò: «Godfrey... sei davvero tu?» «Ash, piccola...» La voce che sentiva nella mente non era più permeata della forza che
l'aveva caratterizzata fino a poco tempo prima. Era una presenza tranquilla come una brezza che fa ondeggiare rami nudi, morbida come la neve che si posa su un altro strato di neve. Per un attimo le narici furono permeate dall'odore resinoso degli aghi di pino e da quello selvatico dello sterco di cinghiale, ma nella sua mente non comparve nessuna visione. Cosa ti era successo? pensò Ash e si mise in ascolto con la stessa intensità che usava per udire le parole del Leone, il Golem di Pietra, la machina rei militaris. «Ash» la chiamò nuovamente Godfrey. «Godfrey?» domandò lei, esitante. «Godfrey?» «Non ci sono parole per descrivere quanto sono stanco e a pezzi, figliola, ma, sì, sono io: Godfrey.» «Cristo Verde, Godfrey. Pensavo di averti perso.» «Sentivi solo il silenzio, non percepivi assenza.» «Non... saprei!» scosse la testa consapevole di essere circondata dai suoi uomini e, in un certo senso, anche dai presenti nella cattedrale. «Adesso mi senti... e hai paura che oltre me sentirai anche le voci del Dio Caduto.» «Non penso che le Macchine Impazzite abbiano qualcosa a che fare con Dio.» «Tutto ciò che giunge a noi, giunge per Grazia di Dio.» La voce era debolissima e sembrava provenire da una distanza impossibile da misurare. La luce che illuminava il pavimento sotto i suoi piedi lo faceva sembrare granulare e lei ne colse il bagliore attraverso le dita guantate. Sentiva una mano sotto ognuna delle due braccia: alcuni uomini camminavano e c'era qualcuno di fronte a lei... Florian, forse... che guidava la processione. Ma dove? «Riesci a sentire le Macchine Impazzite?» chiese Ash. «Le ho sentite quando il cervo è stato abbattuto, poi più niente. Esistono ancora, Godfrey?» «Sono stato ferito, ma ora sto recuperando. Ci fu una grande immanenza: era cominciata una grande tempesta che si è dissolta nel nulla. Poi solo confusione. E adesso ci sei tu, figliola. Ho sentito che mi chiamavi.» «Sì, ti ho... chiamato.» «Ti ho sentita piangere» le disse Godfrey con la stessa voce della machina rei militaris. Due notti prima aveva pianto in maniera tanto sommessa da non sveglia-
re Rickard o qualcun altro dei paggi. Si era svegliata, dopodiché aveva dimenticato tutto. A volte succedeva nel corso di una campagna. Inciampò e tolse per un attimo le mani dal viso, si concesse una breve occhiata alla fredda mattina fuori della cattedrale, alla scorta approntata da de la Marche e alla carrozza ducale, quindi tornò al suo dialogo interiore. «Le Macchine Impazzite esistono ancora, Godfrey?» «Per ora non sento nulla, ma non ne ho avvertito la morte, figliola.» Sentivi solo il silenzio, non percepivi l'assenza. «Noi l'avremmo saputo se fossero sparite o danneggiate, giusto?» Un'emozione improvvisa la indusse a scoprire il volto e a respirare l'aria fredda. Aveva gli occhi umidi. Si stavano avvicinando alle mura bianche del palazzo ducale. Anselm e Angelotti continuavano a sorreggerla. Ash camminava barcollando. I paggi seguivano portando i cavalli. Il cielo era limpido e l'aria molto fredda. «No. Come potrei saperlo? Dovrei? Merda, sarebbe tutto troppo facile...» «Tutto quello che sento è il loro silenzio.» Ash non notò né la folla che aveva partecipato al funerale disperdersi per le strade di Digione né il borbottio superstizioso dei suoi uomini che la osservavano parlare con la sua voce. Non pensano che stia parlando con san Godfrey, rifletté Ash per qualche attimo, poi tornò a ignorare tutto ciò che la circondava, compresi i due ufficiali che la aiutavano a raggiungere il palazzo e cercò con tutte le sue forze di non interrompere il debole contatto instaurato con la voce. «Hanno provato a compiere il miracolo» disse Ash. «Me ne sono accorta quando il duca è morto. Hanno cercato di azionare il faris. L'ho sentito anche se non era diretto a me!» Sentì una serie di gradini sotto i piedi, ma non prestò loro attenzione. «Ho sentito anche la loro... rabbia... dopo la fine della caccia. Merda, se non sono distrutte o danneggiate, per quello che ne so potrebbero riprovarci alla morte della duchessa.» «Duchessa?» Lo stupore che venò la voce fugò ogni dubbio: era proprio Godfrey. «Margherita di York è stata eletta duchessa» commentò la voce del prete. «Chi? Lei? Diavolo, no. Non ha neanche preso parte al funerale del marito!» Ash sentì di essere stata ironica anche nei propri confronti. Il bordo di uno sgabello urtò contro gli schinieri e lei, quasi fosse un automa, si sedet-
te. «Speravo che lei si facesse vedere con almeno diecimila uomini armati e ponesse fine all'assedio. No la vedova Margherita è ancora da qualche parte al Nord. Florian è stata eletta duchessa.» «Florian?» Ash udì uno sbuffo esasperato e familiare nelle vicinanze. «Hai più sentito il faris dalla caccia, Godfrey? Sta bene? È impazzita?» «È viva e sta bene.» Ash avvertì lo spettro di quella che un tempo sarebbe stata un'espressione divertita del prete. Era come se Godfrey Maximillian avesse dimenticato come si rideva. «Non parlerà con la machina rei militaris.» «Ha cercato di comunicare con le Macchine Impazzite?» «No. I grandi diavoli sono silenti... sono rimasto scosso, sordo e muto... Quanto tempo è passato?» Ash era consapevole di trovarsi in una stanza dove i Burgundi parlavano a voce alta con la donna che somigliava a Florian e che quest'ultima cercava di controllarli. «Circa quarant'otto ore, ora più ora meno.» «Non ho idea di cosa significhi il loro silenzio.» La voce nella sua mente non scomparve, ma divenne improvvisamente silenziosa quasi come se fosse stata sfiancata dalla stanchezza. Poteva ancora avvertire la sua presenza. Era come se san Godfrey fosse stato infuso nella parte più sacra della sua mente. Se solo potessi farmi ascoltare dalle Macchina Impazzite, pensò Ash. No, non è ancora il momento. Devo pensare. Batté le palpebre e si rese conto che stava guardando fuori dalle finestre della Torre Philippe le Bon. Alle sue spalle l'aria risuonava delle discussioni tra i Burgundi. Una mattina nello stesso palazzo, se non nella stessa stanza, aveva visto Carlo di Borgogna per l'ultima volta. Il grosso camino inserito in una delle pareti era uguale a quello che aveva visto durante il colloquio. Il fuoco ardeva con vigore per cercare di bloccare il freddo pungente. Il pavimento di tavole e le pareti di calce bianca coperte dagli arazzi erano uguali a quelle che ricordava. L'unica differenza era che nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il letto c'era un trono posto in cima a una predella. Ash si rammaricò di non essere stata sveglia per tutta la notte a vegliare il corpo del duca con preghiere e inni. Merda, pensò, un altro morto. 'Fanculo a Cartagine. La rabbia la fece tornare in sé portando un po' di sollievo al freddo silenzio che sentiva nella sua mente. Non va bene essere implicati in tutto que-
sto, pensò. Il calore del camino la rese lentamente consapevole del farsetto imbottito e dei pantaloni che le si erano asciugati addosso, del peso della corazza la cui superficie lucida era sempre più macchiata dalla ruggine, dei dolori e dei crampi che sentiva in tutto il corpo. «Tutto a posto?» le chiese Robert Anselm. «Sono sempre la stessa vecchia Ash. Vivrò. Dov'è Florian?» Allungò una mano, la serrò intorno all'avambraccio corazzato del suo luogotenente e si alzò in piedi. La stanza ondeggiò. «Merda.» «Hai bisogno di mangiare» sentenziò Robert, mentre attraversava la stanza. La luce che penetrava dalle finestre le faceva male agli occhi. Guardò nuovamente fuori dalle finestre. Oltre la torre che avevano adibito a caserma per i suoi uomini, l'alba lambiva i carri appartenuti alla sua compagnia che ora, affondati nel fango fino al mozzo delle ruote, servivano da riparo alle catapulte per lanciare il Fuoco Greco che coprivano lo spazio di fronte al cancello nord-ovest. «Mangia.» Anselm le mise in mano un pezzo di pane. L'odore del cibo le fece aumentare la salivazione e sentì lo stomaco che brontolava. Addentò il pane famelica e ringraziò il suo luogotenente. «Hai perso il fottuto senno.» Anselm sogghignò. «Fottimi, che branco di stronzi. Scusami se me ne vado.» Si allontanò da lei mischiandosi agli altri cortigiani presenti nella stanza. Una voce femminile echeggiò aspra nella stanza. «Prima di tutto un petit conseil207 . Messere de la Marche. Messere Ternani. Vescovo Giovanni. Capitano Ash. Il resto verrà ascoltato dopo. Fuori!» Florian aveva usato lo stesso tono impiegato con i suoi aiutanti quando dovevano scattare a prendere le bende. La donna vestita di nero si alzò e si allontanò dal tavolo. Gli uomini si fecero da parte inchinandosi al suo passaggio. «Protesto!» sbottò uno dei presenti. Ash riconobbe la voce del visconte maggiore, Richard Follo. In un certo senso ha ragione, rifletté. Sarebbe bene che ci fosse anche un rappresentante dei commercianti. Che razza di duchessa sarà Florian? Tre uomini di de la Marche cominciarono a far uscire le persone dalla stanza nel modo tipico degli uomini che indossano una corazza pesante. 207
Un piccolo concilio.
Un modo d'agire che permetteva loro di far spostare la gente disarmata senza ricorrere alle armi. Una piccola folla di sergenti, ufficiali, scudieri, servitori, medici, segretari, ex tutori, ufficiali minori e amministratori venne fatta uscire rapidamente. «Ash...» Floria del Guiz lanciò uno sguardo attraverso la stanza e scosse la testa in direzione dei tre scudieri che cercavano di far uscire, senza successo, Robert Anselm e Antonio Angelotti. I tre videro il segnale, fecero un inchino e uscirono dalla stanza. Nessuno di loro guardò Olivier de la Marche o Philippe Ternant per ricevere conferma dell'ordine. Interessante, pensò Ash. Un maggiordomo, seguito da un gruppo di servitori che portavano tovaglie di lino bianche per la tavola e una dozzina di uomini con piatti d'argento, si inchinò al passaggio di Florian. La neoduchessa burgunda si girò e si avvicinò verso Ash con il passo di chi non è abituato a indossare un abito lungo. Un piede pestò il bordo dell'abito e inciampò. «Attenta!» Ash l'afferrò impedendole di cadere. Fissò quel volto così familiare e si rese conto che l'alito della donna non puzzava di vino. «Merde» sussurrò Florian. Ash vide il suo sguardo evitare gli uomini presenti nella stanza. Ash lasciò andare il braccio. Florian riprese l'equilibrio. Il bordo della manica si impigliò tra le piastre del guanto corazzato del suo ex capitano. La duchessa si piegò in avanti per liberare il bordo della gonna lunga rivelando una sottoveste di broccato argentato sulla quale erano stati applicati zaffiri e diamanti. L'abito, cucito con filo d'argento e stretto in vita da una larga cintura che raggiungeva la linea del busto, si stringeva all'altezza delle spalle e del petto. Sotto di esso il broccato ornava una V di lino così fine che era possibile scorgere la pelle rosea del seno. Come chirurgo, Floria del Guiz si ingobbiva, nelle vesti di una nobildonna di corte, invece, era decisamente impettita. «Christus Viridianus, perché non avevo questo aspetto nel mio abito nuziale?» si chiese Ash, secca. «E tu mi vieni a dire che Margaret Schmidt ti ha rifiutata?» L'occhiata di Florian fece riflettere Ash sul fatto che l'ultima parte della frase era indelicata e fuori luogo. Cristo, pensò Ash. Cosa le dico? C'era qualcosa nel fatto di vedere Florian in piedi di fronte a lei vestita con un abito da donna che la innervosiva. Forse l'averla vista con Margaret Schmidt quando si vestiva da uomo non era poi così strano. «Il capo ha sentito di nuovo le voci mentre era nella cattedrale?» le chie-
se Florian. «Ho sentito Godfrey. Penso che sia stato in qualche modo... ferito. Per quanto riguarda le Macchine Impazzite... niente: neanche una fottuta parola.» «Perché no?» «Vorrei saperlo anch'io. Godfrey non pensa che siano morte... sempre che sia il termine giusto. Forse sono danneggiate. Sei tu la duchessa. Sei tu quella che dovrebbe dirmelo!» Floria sbuffò come se per un attimo fosse diventato nuovamente il chirurgo che cercava di estrarre frammenti di metallo dalle carni dei soldati dentro una tenda dalle pareti schizzate di sangue. «Cristo, Ash! Te lo direi subito se lo sapessi! Il fatto di essere diventata 'duchessa' non mi aiuta in questo.» L'hanno lavata da capo a piedi, pensò Ash, accorgendosi che sotto le unghie dell'ex chirurgo non c'erano più i piccoli grumi di sangue rappreso. «Dobbiamo parlare, 'duchessa'.» Ash lanciò un'occhiata a Florian. I capelli erano stati pettinati all'indietro e trattenuti da una coroncina che bordava la fronte ampia e bianca. La neoduchessa di Borgogna lasciò andare il lembo dell'abito che aveva trattenuto con la mano sinistra che ricadde a terra. È difficile pensare che sia un chirurgo, rifletté Ash. Giurerei che è sempre stata una nobildonna. Ash si rese conto che la donna di fronte a lei era perfettamente consapevole di tutte le persone che le stavano osservando. Si girò per nascondere l'espressione del viso ai presenti e vide il riflesso di Florian nel gelido vetro piombato della finestra. Una donna alta con il collo e i polsi ornati dai gioielli dei Valois. Solo gli occhi segnati tradivano la fatica e la confusione. Al suo fianco c'era una donna con i capelli corti, una guancia sfregiata e gli occhi dall'espressione stupita che indossava una corazza sporca. «Chiedi» esordì Ash, bruscamente «e ti tiro fuori di qua. Non so come, ma lo farò.» «Non sai come» commentò ironica, Florian, sfoderando il sorriso cinico del chirurgo da campo. «Non esiste problema militare privo di soluzione!» Ash si interruppe. «Tranne quello che ti uccide, certo...» «Certo. Le Macchine Impazzite.» Una donna attraversò la stanza con passo deciso e si interpose tra Ash e Florian con gli occhi ridotti a una fes-
sura dalla rabbia. Ash impiegò qualche attimo prima di riconoscere Jeanne Châlon e cominciare a guardarsi intorno per trovare qualche soldato che la scortasse fuori della stanza. «Ho ordinato il pranzo funebre...» esordì Jeanne Châlon in tono acuto. «Mi hanno portato due selle di castrato, un cappone bollito, trippa, e tre pernici... non è un pasto degno per una duchessa di Valois! Ho detto loro che devono portare cibo in quantità maggiore e più adatto al tuo rango!» Ash riuscì finalmente a incrociare lo sguardo con Roberto e fece un cenno con il capo. Floria non disse nulla e spinse gentilmente la zia verso la porta. «La dama ha ragione» disse la voce baritonale di de la Marche. «Portate cibo adatto alla duchessa.» Fece un cenno ai servitori. Ash vide un'espressione di trionfo apparire sul volto dell'anziana nobildonna mentre veniva accompagnata fuori dalla stanza. «Sei stata tu a farla entrare?» domandò Ash. «Nel corso degli ultimi due giorni è stata gentile con me. È l'unica famiglia che ho.» «No» rispose Ash «non è vero.» «Vorrei tanto che questo fosse come organizzare la tenda del chirurgo, Ash. Nella tenda sapevo sempre cosa facevo, qua non ne ho la minima idea. So appena chi sono.» I servitori avevano quasi terminato di preparare la tavola e l'odore della salsa al vino fece venire l'acquolina in bocca ad Ash. Anselm la raggiunse con passo pesante, facendo scricchiolare le tavole del pavimento seguito da Angelotti. Entrambi gli ufficiali gratificarono Florian con un'occhiata neutra. La duchessa salì rapidamente sulla predella e posò una mano sul bracciolo di quercia del trono ducale. «So chi sono e so cosa devo fare.» Ash aveva visto Florian sopra il corpo insanguinato del cervo e comprendeva bene cosa significava il fatto che i regnanti di Borgogna 'preservassero la realtà'. Lo stesso, però, non si poteva dire per i suoi due ufficiali perché non erano Burgundi. «In che modo?» chiese Robert Anselm. «Non so come o perché!» sbottò Florian esasperata, incontrando lo sguardo dell'Inglese. «Non importa che nome gli dai! Ciò che è veramente importante è che è così. Loro lo definiscono 'essere duchessa'. Loro credono che io sia la duchessa. Ash, se ce ne andassimo questa città cadrebbe
sicuramente.» Si interruppe. «Se me ne andassi» si corresse. «Ne sei sicura?» domandò Ash. Florian fissò la condottiera. «Devo essere io a ricordarti cos'è il morale?» Strinse il bracciolo del trono. «Non voglio tutto questo. Guarda. Sembra dire: 'benvenuta sul trono bollente...'»208 Florian alzò la testa dando un'occhiata alla stanza e Ash notò che si era concentrata sul gruppo che comprendeva il vecchio ciambellano, de la Marche e un vescovo per poi spostarsi sui servi che stavano uscendo. «Se non so chi sono, scappo. Mi conosci, Ash. Potrei scappare comunque.» «Già, se non altro in una bottiglia.» Florian smise di grattare il bracciolo incerato con il pollice e scese dalla predella per fermarsi tra Anselm e Angelotti. Per Ash era chiaro che i due ufficiali non si sarebbero avvicinati finché la nobile non avesse palesato in qualche modo che non desiderava più stare sola. Quell'avvicinamento creò una breccia nella tensione e nella stanchezza che permeavano Ash inducendola a ripensare che la città ormai aveva le ore contate. Cosa devo fare? Ash fissò a sua volta i presenti. Nel frattempo il cibo venne sistemato sui tavoli. «Godfrey ha provato dolore... quando ho ucciso il cervo?» domandò Florian abbassando lo sguardo sulle sue mani. Le stava strofinando una contro l'altra quasi fossero sporche di sangue. Ash fissò gli occhi dell'ex chirurgo e vide un'espressione che ricordava l'autocommiserazione. «Penso che sì stia riprendendo.» «Quindi qualsiasi cosa sia successa le Macchine Impazzite sono distrutte, giusto?» «Forse, ma non ci farei troppo affidamento. Le ho sentite subito dopo la morte del cervo.» «Se siamo stati molto, ma molto fortunati, sono state danneggiate...» sbuffò Robert Anselm. «... sempre che» terminò Angelotti, riprendendo le fila del discorso «quello che è successo quando la caccia è terminata abbia fatto loro male, Madonna. Per cui: se sono danneggiate... potrebbero recuperare entro domani o forse potrebbero impiegarci cinquant'anni. O, se siamo fortunati, potrebbe non succedere mai più.» Florian fissò Ash con aria interrogativa e lei scosse il capo. «Godfrey di208
Nel testo originale in latino medievale si leggeva: 'il seggio periglioso'.
ce che 'sente solo il silenzio, ma non percepisce l'assenza.' Non riesco a credere che siano sparite. Forse non sono state neanche danneggiate. Chi lo sa perché stanno zitte? L'unico modo sicuro di agire è comportarsi come se io dovessi tornare a sentirle domani» Il funerale durato due giorni, la mancanza di sonno e l'impatto brutale con la corte burgunda sembravano aver ammansito Florian. La duchessa sospirò, passò un dito sulle sfaccettature degli anelli d'oro che le ornavano le mani e fissò Ash. Aveva la stessa espressione di certezza imbarazzata di quando l'aveva vista nel bosco sporca di sangue di cervo: era conscia che Ash in qualche modo conosceva tutto. «Lo avremmo saputo se nei due giorni passati il sole fosse tornato a sorgere oltre il confine?» «Merda!» L'espressione di disgusto di Robert Anselm fece sussultare i pochi nobili burgundi rimasti nella stanza i quali arretrarono verso il camino. «Già, hai ragione. Euen. Merda! Voglio dire Euen Huw» si spiegò Ash, rivolgendosi a Floria «è stato nel loro campo. Se il sole fosse tornato a splendere oltre il confine la voce avrebbe girato tra le tende e lui l'avrebbe saputo. Una notizia simile si spargerebbe in meno di un quarto d'ora.» Ash scrollò le spalle facendo cigolare le piastre dell'armatura. Il movimento fece cadere qualche granello di ruggine. «Io mi sono ammutolita. Se il sole fosse tornato i Goti non si sarebbero posti il problema che posso ascoltare le loro comunicazioni e avrebbero senza dubbio usato il Golem di Pietra per avvertire il faris! Senza contare che lo avrei saputo anche da Godfrey. Lo sapremmo se il sole fosse tornato a splendere su tutta la Cristianità. Continua a essere buio, quindi significa che le Macchine Impazzite sono ancora con noi.» «A meno che...» azzardò Florian «può darsi che siano state distrutte, ma che l'oscurità sia permanente anche senza di loro.» «Speriamo di no» commentò Ash, torva. «Altrimenti il prossimo anno sarà un vero inferno.» «Non è cambiato nulla e tu continui a non sentire le Macchine Impazzite.» «Perché? mi chiedo» disse Ash. «Niente duca. Una duchessa forse. Nessun tentativo di assalto alle mura. Nessuna minaccia da parte delle Ferae Natura Machinae» borbottò Angelotti alzando un dito per ognuno dei punti enunciati. «Se c'è uno schema dietro tutto questo, Madonna, io non riesco a comprenderlo.»
Ash ignorò il brusio degli uomini dietro di lei. «Questa potrebbe essere la ragione per il loro silenzio. Forse stanno cercando di nascondere un danno. Come facciamo a saperlo? Se c'è una cosa che odio è prendere decisioni senza avere il maggior numero d'informazioni possibili a disposizione. Però, bisogna anche dire che le informazioni non sono mai troppe e le decisioni sono necessarie.» Prese fiato. «La nostra priorità è la sicurezza di Floria. Borgogna o non Borgogna, duchessa o non duchessa, lei è ciò che sta bloccando le Macchine Impazzite...» Si interruppe. «A meno che non ce ne sia più bisogno...» Florian lisciò l'abito con le mani. La veletta di lino non nascondeva l'espressione del volto, anzi, sembrava evidenziarla. «È stato nel deserto» disse. «Cosa?» «È stato là che le hai costrette a parlarti. Me l'hai detto tu.» Angelotti annuì. Sulla bocca di Robert Anselm era apparsa un'espressione simile a un ringhio. «Rifallo! Adesso!» la esortò Florian. «Scoprilo. Ho bisogno di sapere. Ho veramente la stessa funzione di Carlo? Sono io l'ostacolo? Sono io che mantengo la realtà contro il nulla?» «Ci ho provato prima della caccia, ma loro hanno imparato a non farmi passare.» Ash esitò. «Però continuano a parlarmi.» Se ci penso troppo, non lo farò mai, si disse. Un ricordo balenò fugace nella sua mente: il volto dell'amir Leofric quando aveva fatto filtrare le parole della machina rei militaris nella sua mente e quello di quando era caduta sulla sabbia fuori Cartagine la prima volta che aveva cercato di fare qualcosa di più rispetto al limitarsi ad ascoltare le Macchine Impazzite. Era stato allora che aveva strappato loro conoscenze importanti in un solo attimo. Si preparò. Non doveva essere semplicemente passiva, era necessario che si svuotasse completamente per ospitare le voci: doveva diventare lei stessa un vuoto che chiedeva di essere riempito. Chiuse gli occhi, si isolò dal mondo che la circondava e, tramite il Golem di Pietra, diresse una richiesta verso ciò che si trovava a centinaia di chilometri da quel luogo: oltre Cartagine. «Avanti, stronze...» E ascoltò. Udì un debole suono nella solitudine della sua anima: poco più che un
sussurro incerto, venato dall'angoscia di Godfrey e un attimo dopo, per la prima volta da quando il corpo del cervo giaceva morto di fronte a lei, sentì nuovamente la voce composta di molte voci. «PIANIFICA FIN CHE PUOI, PICCOLA CREATURA DI TERRA, NON SIAMO ANCORA SCONFITTE.» La parete fredda della stanza le rinfrescava la guancia. «Lo prendo io, capo.» Ash si spostò leggermente e si rese conto della presenza di Rickard al suo fianco che le sfilava l'elmo di mano. Lo lasciò fare. Si raddrizzò lasciando che il paggio cominciasse a slacciare le fibbie della corazza. Il ragazzino strinse alcune piastre sotto il braccio, quindi, con fare goffo, le sfilò la cintura con la spada continuando a fissarla. «Capo...» Lei si girò dandogli la schiena. Ora si muoveva più facilmente. I riflessi sulle finestre le mostravano quanto stava succedendo nella stanza: Anselm, torvo in viso, parlava con gli altri componenti della sua scorta personale mentre uscivano e la bella mano di Antonio Angelotti si posava sul braccio di Florian. Mi sono bastati due giorni per dimenticare come mi sento dopo che le voci mi parlano, pensò Ash. Posò le dita sulla superficie del vetro e il freddo filtrò attraverso i guanti. Da lassù poteva vedere Digione inondata dalla luce del mattino. Muri ricoperti da strati di calce bianca, altri parzialmente crollati a causa dei proiettili scagliati dai trabocchi, la spirale di fumo che si levava dalla torre di selce grigio-azzurra nei pressi di un mulino. La città sottostante era una ammasso di tetti dalle tegole rosse. A sud, in mezzo alle guglie di un centinaio di chiese, poteva vedere il corso del Suzon che serpeggiava brillando tra le colline verdeggianti. Non c'era neanche un uccello in volo. Le campane di una chiesa risuonarono in lontananza. Poteva vedere le sponde del fiume a ovest, il tratto di terreno oltre il fossato e la strada che conduceva al ponte occidentale... gli unici tratti di paesaggio che non erano stati ancora nascosti dagli scavi del nemico. Le trincee visigote erano piccolissime e poteva scorgerle grazie alla presenza dei pavesi che le proteggevano. Il suono dei corni echeggiò nel campo nemico. Ash aveva l'impressione che al limitare della sua mente si fosse creato un baratro al fondo del quale, dopo una caduta più vertiginosa rispetto a quella che avrebbe fatto se si fosse lanciata dalla finestra della torre, si
sarebbe trovata al cospetto delle voci. «Devo supporre che non ci sono buone notizie, giusto?» chiese Robert Anselm, sarcastico. È la prima volta che mi vede parlare con le Macchine Impazzite, pensò Ash. Merda, Robert! Come vorrei che tu fossi venuto a Cartagine! «Esatto...» Ash stava cercando quel piacevole senso d'intontimento che le portava il fatto di agire, la sua vecchia capacità di tagliare fuori ogni forma di sentimento. L'unica azione che poteva compiere per avvicinarsi il più possibile a quella condizione era continuare a fissare le mani che tremavano. «Madonna» disse Angelotti prendendola per un braccio e tirandola da parte. Ash inciampò, riacquistò l'equilibrio. L'artigliere italiano la fece sedere su una delle sedie poste intorno al tavolo, dopodiché fece qualche passo indietro, porse con fare aggraziato la mano alla duchessa di Borgogna, quindi la fece accomodare quasi con la stessa solerzia dimostrata con Ash. «Mangia» ingiunse Angelotti, rivolgendosi ad Ash. «Madonna Florian, dovrebbe esserci anche del vino, giusto?» Ash sfilò i guanti dalle mani tremanti, li lasciò cadere pesantemente sulla tovaglia di lino e prese una coppa d'oro tempestata di rubini. Era consapevole dei pochi Burgundi che si accomodavano e dei servitori che si lamentavano per le mancanze al cerimoniale, ma tutto quello che voleva in quel momento era bere un vino corposo. Servita la carne, cominciò a mangiare proprio come avrebbe fatto al campo e impiegò qualche secondo per rendersi conto che invece del coltello stava usando la daga. Ah, in fondo sono un mercenario... pensò. Il sapore delle cipolle e dei piselli unito a quello dell'ortolano209 e il peso del cibo nello stomaco cominciarono a farla tornare del tutto in sé, a renderla consapevole della solidità della tovaglia, del tavolo, dell'armatura, del farsetto, del piastrone. Ruttò. Non possono raggiungermi, pensò. Non più di quanto potevano farlo prima della caccia. Possono solo parlare. «Non so se sono state danneggiate» disse, rivolgendosi a Florian. Aveva parlato con la bocca piena e alcuni frammenti di cibo erano caduti sulla tovaglia. «Come faccio a saperlo? Comunque ci sono ancora.» «Mio Dio.» 209
Un uccello le cui carni sono una vera prelibatezza.
Non è da Florian sembrare devota, rifletté Ash. Posò il cucchiaio, passò le dita dentro la scodella vuota e le succhiò continuando a fissare Floria del Guiz. «Quindi vuol dire che sono come Carlo di Valois» concluse la duchessa. «Guarda il lato positivo» commentò Ash, allegra. «Adesso siamo in quattrocento determinati a tenerti in vita.» Lanciò un'occhiata a Olivier de la Marche. «Il che ci rende una buona fetta di duemila cinquecento uomini.» «Non è uno scherzo!» «Non ci pensare» le consigliò Ash, ammorbidendo il tono di voce. «Pensa invece a come rimanere viva. Quella è una cosa normale, tutti lo vogliono. Non pensare a quello che succederà se muori...» «Il faris compie il miracolo costretta dalle Macchine Impazzite» sentenziò Florian con voce bassa e tesa. «La Borgogna, come tutto il resto del mondo, sarà ridotta a una distesa di terra desolata...» «Non ci pensare.» Ash posò la mano sporca su quella del medico e strinse finché non fu sicura di farle male. «Non ci pensare» le ripeté. «Non te lo puoi permettere. Chiedi a Roberto e ad Angeli. Se pensi a tutto quello che dipende da te non sarai mai un comandante, non diventerai mai una figura chiave in un assalto. Pensa solo a rimanere viva, Florian. Pensa che a noi non importa nulla di cosa ci toccherà fare per mantenerti in vita.» Nel basso ringhio d'assenso che uscì dalla bocca di Robert c'era solo lealtà, mentre nella rapida occhiata di Angelotti c'era più consapevolezza di ciò che Cartagine e la Borgogna rappresentavano. Il biondo artigliere girò la testa per osservare Olivier de la Marche, Philippe Ternani e il vescovo. «Mi chiedo se è necessario che tu rimanga in Borgogna e prenda parte all'assedio» considerò Ash. Floria abbassò la voce. «Che ti piaccia o no, Ash, io sono quella che questa gente d'ora in avanti chiamerà duchessa.» «Già» ammise Ash. «Lo so e non riesco a trovare una scappatoia.» Stiamo parlando del mio dannatissimo chirurgo, aggiunse mentalmente. Sentì la mano di Floria che si agitava dentro la sua e la mollò. Sulla pelle erano apparsi dei segni rossi e la duchessa flesse le dita in un gesto che aveva ben poco di femminile. Lo sguardo di Floria vagò dal camino ai servitori. «Gesù, Ash, non sono una duchessa.»
«Dillo di nuovo» borbottò Robert Anselm mostrando un sorriso che rivelava alcuni pezzi di carne impigliati tra i denti. «Sei il segaossa e basta!» Floria rispose con il tono più normale che Ash avesse sentito da quando si erano incontrate nella cattedrale. «Fottiti, Anselm!» «Con piacere. Non pensavo che avessi simili inclinazioni.» «Ho visto molta più figa di te, finocchio di un Inglese! E sarà sempre così.» «Non è un finocchio, Madonna.» Angelotti fece scivolare una mano tra le gambe di Anselm. «Niente da rimpiangere.» Robert Anselm strinse il pugno, quasi volesse dare una gomitata all'artigliere, quindi tornò a sedersi. «Continua, piccolo succhiacazzi. È giunto il momento che provi un cazzo come si deve!» Florian posò i gomiti sul tavolo e disse: «Non so... visto che lui è un vero cazzone, perché non dovrebbe sentirsi tale?» Ash rimase a bocca aperta, incurvò la schiena e fissò i nobili burgundi seduti al tavolo. Aveva le mani sudate. I commensali ricambiarono l'occhiata, stupiti. Ash cercò di fare un sorriso disperato. Olivier de la Marche inclinò la testa in un gesto carico di cortesia assorta. Calma, si intimò Ash continuando a tenere gli occhi fissi sui nobili, ripassando al tempo stesso il battibecco. Roberto ha iniziato in inglese... inglese yorkista... e lei gli ha risposto... Gesù Cristo ti ringrazio. «Non posso portarvi da nessuna parte, branco di bastardi» li rimproverò Ash tra i denti senza cambiare espressione del viso. «Certo che puoi.» Florian si rilassò e toccò con un pugno il braccio di Anselm e il piastrone di Angelotti. «Due volte. La seconda per scusarmi.» Ash notò una certa rilassatezza e percepì il legame che li univa. Chirurgo, artigliere e comandante: tutto quello sarebbe potuto succedere in un qualsiasi momento dei cinque anni appena trascorsi, ma quella era la prima volta che accadeva dalla separazione tra loro e la nomina della neoduchessa avvenuta quarant'otto ore prima. 'Fanculo, pensò Ash. Ne avevamo bisogno. Tutto sta cambiando, però. Prese la coppa di vino e la alzò per farla riempire, quindi bevve. «Va bene! È necessario fare un piano. Hai ricevuto qualcuno dei messaggi che ti ho inviato, Florian?» «Forse.» Florian parlò con una sorta di divertimento contenuto che pote-
va servire a nascondere l'imbarazzo o il panico che l'ex chirurgo poteva provare. «Una volta passati attraverso una dozzina di segretari.» «Merda! Che modo di mandare avanti un ducato!» «Sei anche fortunata. De la Marche dice che la maggior parte dei funzionari è andata al Nord con Margherita prima di Auxonne.» Ash si sporse oltre il bordo del tavolo. «Non hai ancora abbandonato il Leone Azzurro. Non finché non me lo dirai.» L'espressione di Florian divenne inintelligibile. «Dobbiamo conoscere tutto sul tuo status. Cosa vuol dire veramente essere 'duchessa'... che genere di duchessa pensa che tu sia Olivier de la Marche? Se c'è una persona che in questo momento ha in mano il comando del contingente militare burgundo della città, quella persona è lui non tu.» Florian lanciò una rapida occhiata al comandante dell'esercito. Ash vide il militare abbandonare il suo posto; doveva aver interpretato lo sguardo come una convocazione. Ash ebbe l'impressione che il volto di de la Marche si fosse velato di una certa insicurezza nel vedere Floria, ma appena gli occhi del generale si spostarono su di lei, l'uomo sorrise. «Però, dovrebbe piacergli la sua duchessa, ma non pensavo di essere tanto popolare.» L'espressione di Floria era esasperata. «Capo! Sai anche tu cosa abbiamo... cosa ha fatto la compagnia negli ultimi due giorni. E tu? Sulle mura. Avanti e indietro dalla terra di nessuno oltre il cancello ovest. Là fuori a sparare.» «Ah, già, dimenticavo» rispose Ash, secca. «Non che avessimo molta scelta! Diavolo, anche Jussey e Jonville ci hanno coperto bene...» Olivier de la Marche li raggiunse, salutò la duchessa con un inchino rigido, quindi tornò a fissare Ash. «E perché non avrebbero dovuto?» Ash impiegò un attimo per comprendere che si trattava di una domanda retorica posta in maniera più che onesta e fissò de la Marche con sguardo interrogativo. «Voi portate la spada che ha sparso il Sangue del Cervo» le rammentò Olivier de la Marche. «Tutti a Digione lo sanno.» «'Portate la spada...'» Ash si interruppe. «Ho usato la tua spada» disse Florian socchiudendo le labbra come se stesse cercando di mascherare un sogghigno compiaciuto. «Me l'hai presa perché non ne avevi una ed era l'unica a portata di mano!» Ash si girò verso de la Marche. «Cristo Verde! Ha usato la mia spada, e allora? Avrebbe potuto usare anche un bastone acuminato per la diffe-
renza che faceva!» Il volto di de la Marche si raggrinzì e intorno agli occhi apparvero le rughe profonde causate dal tempo e dalle risate. C'era qualcosa di più sofisticato che ammantava la sua espressione: forse si trattava del rifiuto di Ash di trarre un vantaggio da quella situazione. «Comunque» aggiunse Ash «è stata pulita da allora. Ed è meglio che lo sia veramente altrimenti i miei paggi rischieranno di non sedersi per diversi giorni!» Alzò una mano e Rickard, che si trovava appoggiato contro una parete, scattò in avanti presentandole la spada dall'elsa. Ash l'afferrò e la estrasse dal fodero. Il grigio del metallo era segnato solo dalle abrasioni della molatura che aveva ordinato dopo la caccia. Non c'era nessun altro segno sulla lama tagliente come un rasoio. «Era questa? O sto ancora usando la tua, Robert?» «Questa è la tua, Madonna» si intromise Angelotti. «È quella che ti ha restituito il faris. Giuro che pensavamo che tu ci dormissi insieme.» «Grazie, lo farò.» La infilò nel fodero e Rickard arretrò soddisfatto. «Rimane il fatto, capitano» insistette de la Marche, ignorando deliberatamente i modi spigliati con i quali lei si rivolgeva ai suoi ufficiali «che la vostra spada ha estratto il Cuore del Cervo. Credete che la gente in città si limiti a pensare a quell'arma come a un oggetto qualunque che voi tenete affilato e pulito per il suo vero uso? Fate un giro per le strade. Oltre a 'Eroe di Cartagine' sentirete che hanno aggiunto 'Cuore del Cervo' e ' Spada del Ducato'. Ormai per il popolo della Borgogna non siete più un semplice mercenario.» Ash represse uno sbuffo, consapevole dell'esclamazione scurrile di Robert Anselm al suo fianco. «Tutti questi titoli sono segni della grazia divina» disse de la Marche. «Uno stendardo è solo un pezzo di tela e seta, capitano, ma gli uomini si fanno uccidere e mutilare per difenderlo. La duchessa è il nostro stendardo e penso che malgrado lei non lo voglia, sia diventata davvero una delle nostre bandiere.» L'espressione divertita di Ash scomparve. Sapeva che Angelotti la stava fissando e Robert Anselm si era immobilizzato e che tutti i presenti, compresi i servitori che sparecchiavano, avevano concentrato la loro attenzione su di lei. «No» disse Ash. «Non lo sono.» Il robusto comandante burgundo si girò e fece un inchino formale rivolto
a Floria del Guiz. «Ho il vostro permesso, Vostra Grazia?» Il cenno d'assenso di Floria fu altrettanto formale, ma inquieto. Ash comprese quanto stava succedendo e con molta difficoltà riuscì a mantenere inalterata l'espressione del viso. Merda! Non può competere con me... sarò anche una donna vestita da uomo, ma sono un soldato. Non può far finta che sia un uomo. Florian... lui vede Floria come Florian. E lei è un civile. Non sa come trattarla. Non sa come considerarla una duchessa. Però, al momento, questo è l'uomo più potente a Digione. «Capitano, la vostra condotta è da considerarsi legalmente terminata con la morte del mio signore, il duca.» De la Marche fece una pausa. «Avete quattrocento uomini e sapete ciò che si trova oltre le mura in questo momento... mi riferisco alle nuove trincee. Se fossimo in una situazione normale, vi chiederei di firmare una nuova condotta con la Borgogna e mi aspetterei il vostro rifiuto.» «È bello sapere che hanno fiducia nella loro città» commentò Anselm, retorico. De la Marche lanciò una seconda rapida occhiata a Floria del Guiz e continuò: «'L'Eroe di Cartagine' non potrà mai ottenere un contratto con i Cartaginesi. Forse potrebbero riuscirci i vostri uomini al comando di un centeniers210 . Comunque, potrebbero anche scegliere diversamente. Io sono il comandante dell'esercito del nostro vecchio duca: so cosa vuol dire avere degli uomini che credono nel proprio comandante. So che è una grande responsabilità, demoiselle Ash.» «Avete pienamente ragione!» Solo un attimo dopo si rese conto di aver parlato. La stanchezza le aveva fatto abbassare la guardia inducendola a esprimere i propri pensieri a voce alta. «Capitano, abbiamo trovato il successore al duca Carlo. Sua Grazia la duchessa Floria. Il vostro chirurgo. Data questa...» «Possiamo finirla con le stronzate?» si intromise Robert Anselm. Ash lo fulminò con un'occhiataccia. Merda! pensò. Avvertimi la prossima volta che giochiamo a 'il duro' e il 'nobile comandante'! «Siamo impantanati in città» continuò Anselm «perché le teste di tela odiano Ash, e i ragazzi non la mollano perché è il capitano, e adesso il nostro segaossa è diventata duchessa... ma questa città, messer de la Mar210
Nell'esercito burgundo ai tempi di Carlo l'Intrepido, il centenier era una capitano che comandava una compagnia composta da cento soldati.
che, cadrà. È solo questione di tempo. Se pensate di poter ottenere i nostri servigi solo perché siamo intrappolati qua dentro è meglio che pensiate ad altro!» La scortesia di Anselm echeggiò contro il soffitto e si spense. Olivier de la Marche non cambiò espressione. «Rimane la vostra condotta con il conte di Oxford» le ricordò, mesto. «Al momento l'Inglese potrebbe essere morto. Ho una proposta per voi, capitano.» Ash lanciò un'occhiata a Florian sul cui volto c'era solo stupore. Può anche essere qualcosa di cui hanno discusso insieme, pensò, ma quarant'otto ore di caos possono averglielo fatto dimenticare. Merda vorrei essere preparata per tutto questo! Ash posò le mani sulla tavola e flesse le dita intirizzite. Osservò il guanto corazzato per qualche secondo notando che i bordi delle piastre metalliche erano arrugginiti, quindi alzò lo sguardo fissando l'uomo dall'altra parte del tavolo. «E quale sarebbe la vostra proposta?» «Demoiselle Ash» disse Olivier de la Marche «vorrei che prendeste il mio posto come comandante in capo dell'esercito burgundo.» V Il silenzio si protrasse per qualche attimo. Anselm, Angelotti e Florian stavano in silenzio. Il vecchio ciambellano, Ternant, si sporse in avanti e sussurrò qualcosa al vescovo, ma il suono della voce era coperto dal crepitio del fuoco. I servitori si paralizzarono. Ash si alzò in piedi facendo stridere la sedia sul pavimento. Il rumore e il tono di voce calamitarono l'attenzione dei servitori e delle guardie su di lei. «Siete impazzito!» Il gigantesco Burgundo rise divertito, dopodiché, tornato perfettamente serio, le batté la mano tozza sul petto. «Ponetevi una serie di domande, demoiselle! Chi è quella che è uscita trionfante dal cuore di Cartagine? Chi ha combattuto per mezza Europa senza farsi sconfiggere portandoci la nostra nuova duchessa? Chi è arrivata miracolosamente appena in tempo prima che il duca Carlo di Valois morisse?» «Cosa?» Ash batté la mano sul tavolo. Il rumore rimbombò contro le pareti. «Mi state fregando!»
«E chi ha sorvegliato la duchessa durante la caccia al cervo mettendole in mano la lama che le ha permesso di uccidere il cervo?» «All'inferno!» Ash aggirò il tavolo con passo deciso e si fermò di fronte al comandante burgundo. «Non siamo usciti 'trionfanti' da Cartagine! Ci siamo ritirati il più velocemente possibile! Siamo riusciti ad arrivare fino qua da Marsiglia precedendo di appena un passo i Visigoti... Io penso che abbiamo compiuto una ritirata dietro l'altra per tutta l'Europa a partire da Basilea! E quando siamo arrivati qua...» Scosse la testa. «Nessuno di voi ha mai sentito parlare di coincidenze? E mi sarebbe piaciuto vedervi mentre cercavate di fermare Floria che cacciava! Cristo Verde in cima alla fottuta Quercia!» Olivier de la Marche fece un rapido segno della croce. La luce del mattino metteva in evidenza il blu, il rosso e l'oro della divisa. «Non sempre Dio si preoccupa di far sapere agli strumenti del Suo volere quello che stanno facendo, capitano. Perché dovrebbe? Avete fatto tutto ciò che Egli desiderava.» «Siete voi il comandante, de la Marche: lo siete da anni, vi hanno visto nei tornei e in battaglia... anche se accettassi questa idiozia, nessuno seguirebbe i miei ordini in veste di capitano generale dell'esercito burgundo!» «Lo faranno!» De la Marche si girò e si allontanò di qualche passo serrando le mani dietro la schiena, quindi si voltò e si fermò nuovamente di fronte a Florian. Lasciò vagare lo sguardo sulla duchessa, su Angelotti e Anselm, valutando che non fossero importanti ai fini della discussione, quindi tornò a concentrarsi su Ash. «Lo faranno» ripeté. «Vi ho già detto perché, capitano. Siete stata sulle mura. Fatevi un giro per le strade se non mi credete e ascoltate la gente: siete diventata una leggenda! Crediamo che sia stato Dio a mandarvi per portarci la nostra duchessa, quando tutto rischiava di scomparire alla morte del duca Carlo. Gli uomini di Digione vi hanno vista combattere per noi contro i Visigoti. Li avete già sconfitti una volta. La città non cadrà finché combatterete.» Philippe Ternant si alzò e camminò verso di loro, puntellandosi con una mano al tavolo. Il vescovo lo sorreggeva dall'altro gomito. «È vero. Li ho sentiti anch'io.» «Li avete ammaliati» insistette de la Marche. «Come la Vergine Giovanna ha fatto in Francia. Adesso è il vostro turno: dovete diventare la
Giovanna d'Arco di Borgogna. Non potete negarlo.» Cacchio, se posso... pensò Ash. Distolse lo sguardo da de la Marche e incrociò quello di uno dei servitori con il farsetto bianco e quello della guardia al suo fianco. Entrambi i volti erano speranzosi e privi di cinismo. «No, no» Ash alzò le mani con i palmi rivolti verso l'esterno come se volesse bloccare le parole del generale burgundo. «Non io. Ho già visto questo pacco e ticchetta...»211 «Avete un dovere...» «Non ho nessuno dovere! Sono una fottuta mercenaria!» Ash ansimava frustrata e fissava l'uomo in cagnesco. «Non l'ho chiesto io! È una montagna di stronzate! Non ho mai comandato più di ottocento uomini...» «Avreste il mio aiuto e quello dei miei ufficiali, demoiselle.» «Non lo voglio! Non doveva andare a finire in questo modo! La Borgogna e Digione non significano nulla per me!» «Noi crediamo in voi, che vi piaccia o no!» tuonò de la Marche usando il tono di voce impiegato sul campo di battaglia. «Non ve l'ho chiesto!» Aveva urlato in faccia all'uomo e adesso era senza fiato. L'espressione del comandante burgundo la lasciò senza parole. «Pensi che voglia che tu diventi generale, ragazza?» le domandò Olivier de la Marche, con calma, abbandonando ogni formalità. «Pensi che mi piaccia farmi da parte? Sono stato il braccio destro del duca Carlo da prima che tu nascessi. Gli ho visto scrivere un ordine dietro l'altro, trasformare l'esercito burgundo nella migliore macchina da guerra della Cristianità... ora metà di quella forza giace sui campi fuori Auxonne, nessuno sa cosa sta succedendo nelle Fiandre e dentro questa mura ci sono a malapena duemila uomini. Trovo difficile accettare il fatto che si creda che io non sia l'unico degno di difendere la città. Tuttavia continuo a trovare impossibile che tu non sia stata mandata da Dio. Sei qua per essere il nostro orifiamma212 . Come posso obiettare? Dio richiede il tuo servizio.» Ash respirava a fatica, tuttavia la risposta giunse cinica. «Potrebbe essere, ma non mi ha ancora pagata!» «Non è uno scherzo!» «Giusto! Non lo è.» Ash si accorse di essere alle spalle della sedia di 211 212
Ho tradotto liberamente una difficoltà del testo. In origine era il gonfalone di san Denis.
Florian, si fermò le posò le mani sulle spalle. «Per niente.» «Allora...» «Ascoltatemi» chiese Ash, calma. Attese che i nobili burgundi smettessero di urlare e cominciassero ad ascoltare. «La Borgogna non è importante. L'unica cosa veramente importante è Florian.» Ash sentì Floria che si muoveva a disagio sotto le sue mani. «Non è importante» continuò «che Digione cada insieme al resto della Borgogna e che i Visigoti vi massacrino tutti quanti. L'unica cosa veramente importante, ripeto, è che Florian rimanga viva. Finché vivrà le Macchine Impazzite non potranno fare un bel niente. E se morirà non servirà a nulla difendere la Borgogna perché spariremo tutti, Visigoti compresi!» «Capitano...» «Non ho il tempo di essere il vostro eroe!» «Demoiselle Ash...!» «Ehi, non sono l'unica dotata di carisma.» Sulle labbra di Ash comparve un sorriso impertinente che le permise di trovare un equilibrio per meglio affrontare le persone di fronte a lei. «Non siete voi il Campione di tutti i tornei? E cosa mi dite di Antoine de la Roche? Quello sì che è carismatico...» «È nelle Fiandre» rispose de la Marche, torvo. «Voi siete qua, invece! Demoiselle, non posso credere che vogliate sfidare Dio fino a questo punto!» «Non mi state ascoltando!» Stava per urlare il nome della neoduchessa di Borgogna con tutto il fiato e la frustrazione che aveva in corpo, ma Robert Anselm, che si trovava al suo fianco, cominciò a parlare. «Non stai pensando, ragazza.» Il massiccio capitano inglese posò una mano sul bracciolo della sedia e si alzò in piedi accompagnato dal clangore metallico dell'armatura. Aggiustò il piastrone con un movimento del corpo che, ormai, dopo anni di campagne, era diventato inconscio e fissò Ash. «Vuoi essere certa che Florian rimanga viva?» le domandò indicando la finestra con il pollice. «Con quella gentaglia là fuori? Non pensi che la cosa migliore da fare sia proprio prendere il comando dell'esercito burgundo?» Ash lo fissò di rimando. «Gesù, Robert!»
«In un certo senso ha ragione, Madonna.» Ash batté un pugno sul palmo della mano. «No!» Si girò per fissare Olivier de la Marche. «Non prenderò il comando del vostro dannatissimo esercito! Voglio avere la possibilità di portare Florian fuori di qua il può velocemente possibile.» Vide de la Marche che dilatava le narici e ingoiava la risposta furibonda che stava per darle. «Non siete stato a Cartagine» disse Ash, calma. «Non avete mai visto le Macchine Impazzite...» «Lei è la nostra duchessa!» «Non ha importanza, razza d'idiota!» Antonio Angelotti si alzò in piedi parandosi tra Ash e Olivier de la Marche. Ash arretrò di un passo fissando in cagnesco il nobile burgundo. Aveva la gola arsa. Angelotti toccò la medaglia della santa che portava attaccata al guanto di fattura germanica e fissò Ash per ricevere il permesso di parlare. Ancora ansante, Ash annuì. «Vostra Grazia.» Angelotti si rivolse al vescovo in piedi dietro de la Marche. «È necessario che la duchessa rimanga entro i confini del territorio burgundo?» Il vescovo, un uomo dai capelli scuri il cui volto rotondo conservava alcuni tratti tipici dei Valois, sembrò colto alla sprovvista dalla domanda. «Si tratta di qualcosa che ha a che fare con la superstizione.» «Davvero?» chiese Ash, giungendo in difesa di Angelotti e ignorando deliberatamente la fronte aggrottata e torva di de la Marche. «Ma guarda un po'! Ho visto qualcuno materializzare la visione di un santo. Voi dite che è stata la vostra duchessa e poi avete il coraggio di dire al mio mastro artigliere che si tratta di superstizioni?» «Perché la sua domanda dimostra una certa superficialità» spiegò il religioso. Lasciò andare la mano posata sul gomito del ciambellano e si portò le dita alle labbra. «Se al sovrano della Borgogna non fosse consentito lasciare i confini del regno, allora mio fratello Carlo non avrebbe mai potuto fare guerre o andare in missione diplomatica.» «Be'...» Ash si accorse di essere arrossata in volto. «Sì, certo. Adesso che me lo fate notare.» «È la caccia che deve avvenire nel territorio burgundo.» Il vescovo si inchinò deferente alla volta di Florian. «Ed entro un certo lasso di tempo. Se la nostra duchessa... chiedo scusa... Vostra Grazia, dovesse morire al di
fuori dei confini della Borgogna la notizia non ci raggiungerebbe mai in tempo, anche se la città stesse ancora resistendo. A questo punto non ci sarebbe più nessuna caccia, nessun nuovo duca o duchessa e...» Terminò la frase con un'eloquente scrollata di spalle e uno sguardo al pallido sole mattutino oltre la finestra. «Quindi Digione e la duchessa devono resistere!» concluse Olivier de la Marche, brusco. «Mi sembra abbastanza chiaro, demoiselle Ash. Il vostro chirurgo ora è la nostra duchessa. E voi siete destinata a diventare il nostro comandante in capo, non io. La nostra Pulzella.» «Non sono...» Ash abbassò il tono di voce per non urlare. «Non sono il vostro stramaledettissimo comandante in capo!» Un'espressione di profonda frustrazione apparve sul volto di de la Marche. Fulminò Ash con un'occhiataccia, fissò Florian per un attimo, quindi tornò a concentrarsi su Ash. «È vero, la nostra duchessa è stata il vostro chirurgo. Questo significa che non la seguirete?» «Non ha ancora smesso di essere il chirurgo! Messer de la Marche, so cos'è Florian e sono lontanissima dal credere che questo la renda una duchessa. So bene quanto la nobiltà possa essere faziosa. Questa città potrebbe cadere in qualsiasi momento!» Ash lo punzecchiò con un dito. «Quanti sono i cavalieri e i nobili che credono fermamente che Florian sia la duchessa?» Per la prima volta dall'inizio della discussione de la Marche rimase senza parole. «Da' un'occhiata fuori dalla finestra, Florian» la invitò Ash, sorridendo torva senza staccare gli occhi di dosso al generale burgundo. «Forse la vista potrebbe aiutarti a concentrarti. Adesso vorresti dirmi chi è il capo dopo la morte di Carlo? La risposta del chirurgo giunse intrisa di un'onestà innegabile. «Sono io» confermò, parlando come se de la Marche, Ternani e il vescovo non fossero presenti. Ash, stupefatta, lanciò un'occhiata oltre la spalla. «Pensavo che non lo sarei mai stata. Credevo di essere solo un simbolo, ma non è così.» I lineamenti del volto di Florian si alterarono. «Non pensi che sia ridicolo? Sono scappata a Padova e a Salerno perché avevo paura che mi trasformassero in una delle tante nobili giovenche da matrimonio e adesso sono intrappolata a Digione perché sono il successore di Carlo di Borgogna! E lo sono. Lo sono, Ash. Questa gente fa quello che dico loro. È spaventoso.»
«Hai fin troppa ragione» borbottò Ash. Vide l'occhiata ironica del suo ex chirurgo e aggiunse: «Ti conosco, Florian. Tu sai governare un ducato quanto l'ultimo stronzo che ho cagato! Perché dovresti? Ma se è per il 'sì, mia signora', 'sì, Vostra Grazia...'» «Sì» rispose Florian. Spinta da un impulso personale al quale mai prima di allora avrebbe permesso di esprimersi, Ash, che si sentiva in un certo senso spiazzata, borbottò: «Cristo Santo, donna, non riesci a capire quando vai fuori, eh? Non hai idea cosa voglia dire dimostrare giorno dopo giorno che sei tu quella che ha il diritto di comandare perché hai ucciso il cervo e questo ti ha fatto diventare duchessa.» «Uccidere il cervo mi ha fatto diventare quella che sono. Niente mi ha fatto diventare una duchessa!» Floria strinse il pugno fino a far sbiancare le nocche. «Devo entrare nel mezzo dei giochi politici degli altri! Posso solo sapere quello che mi dicono gli altri. Ho bisogno di tutto l'aiuto che posso ottenere. Ho bisogno della gente di cui mi fido e tu rientri in quella categoria Ash.» Ash si aggiustò dentro l'armatura. Per la prima volta dopo giorni, sentiva caldo. Distolse lo sguardo dall'espressione di Floria, consapevole che le stava domandando qualcosa. «Ci sei tu. C'è la compagnia. C'è messer de la Marche.» Ash scosse la testa. «C'è la Borgogna. C'è la Cristianità... non riesco a venirne a capo. Tutto... tutto quello che so è che devo fare in modo che tu rimanga in vita e fare in modo che tutti noi raggiungiamo un punto che ci permetta di resistere.» Spostò lo sguardo su de la Marche. «E voi volete che diventi una sorta di Sacra Vergine Guerriera. Io non vengo dalla cacchio di Donrémy213 . Sono nata a Cartagine e sono figlia di schiavi. Cristo Verde! Volete svegliarvi!» «Svegliati tu.» Florian si alzò e posò un mano sull'avambraccio di Anselm. «Questa volta sono d'accordo con Roberto. Tu mi hai ripetuto migliaia di volte che gli uomini vincono quando credono di poterlo fare.» «Merda...» Antonio Angelotti tornò a sedersi. «È necessario che parli con i nostri ufficiali e gli uomini» disse in tono pensieroso. «Il Leone Azzurro non dovrebbe diventare la guardia personale della duchessa...» Olivier de la Marche sbuffò. Ash lo fissò. «Le mie scuse, capitano» disse il generale con tono di voce normale. «È naturale che un comandante 213
Città natale di Giovanna d'Arco.
debba parlare con i suoi uomini. Quanto presto contate di farlo?» «Quanto presto?» I volti intorno ad Ash non avevano la minima traccia dell'incredulità che era apparsa sul suo. Fissò il volto di Florian e vide che era impassibile. Una certa ansia adombrava l'espressione di Philippe Ternant, mentre il viso del vescovo era una maschera inintelliggibile. «Non siete più un semplice capitano mercenario» le ripeté Olivier de la Marche. «Non per noi. Se proprio ci tenete, madame, potete pure dare il via a una lotta di potere, con il solo risultato di spaccare in due la città. Invece, io vi offro il comando. Io sarei al vostro comando e potrei impartire ordini quando non siete in servizio, la responsabilità sarebbe sempre vostra.» Il comandante dell'esercito burgundo terminò la frase e arcuò le labbra: per un attimo sembrò essere tornato il giovane campione della Borgogna che incurante di ogni pericolo si gettava in un torneo. Un coraggio avventato che non aveva bisogno di essere analizzato e messo a confronto con la consapevolezza che la lealtà è un concetto semplice, mentre gli uomini sono esseri complessi. «Se non duriamo più di due o tre giorni» aggiunse «io condividerò la disgrazia con voi, capitano: non pensate che sia una buona offerta?» Ash sostenne lo sguardo di de la Marche consapevole che anche Angelotti e Anselm la stavano fissando e che sui volti del ciambellano e del vescovo era apparsa un'espressione colma di speranza. Si strofinò una mano sul naso. Angelotti si aggiustò le piume dell'elmo e le lanciò una rapida occhiata di sotto le sopracciglia bionde. Ash conosceva l'artigliere e Anselm da così tanto tempo che non aveva bisogno di sentirli esprimere la loro opinione ad alta voce. «Dovete dirlo ai vostri uomini» continuò de la Marche «che state soddisfacendo la richiesta di ogni abitante di Digione. Inoltre i miei uomini aspettano una risposta da voi.» Cristo, pensò Ash, allora è una cosa molto seria. Cazzo... «State mettendo un comandante mercenario al comando della nobiltà burgunda» gli fece notare, cauta. «Non voglio dover affrontare una guerra intestina con i Visigoti fuori dalle mura!» Olivier de la Marche annuì con aria assente. «La peggiore delle prospettive esistente, demoiselle.»
«Cosa avete intenzione di fare riguardo gli attriti tra le varie fazioni della nobiltà?» Ash indicò Floria con un cenno del capo. «Florian non è neanche una Valois. Sono passati quindici anni dall'ultima volta che si è comportata da nobile!» L'ex chirurgo portò una mano al velo e borbottò qualcosa nel tono cinico così familiare ad Ash. «E alla fine della storia» concluse Ash «aggiungete me.» «I Turchi hanno i giannizzeri214 , giusto? Siamo solo uomini» sottolineò de la Marche «inoltre, demoiselle, stata parlando di fazioni e lotte politiche con l'uomo sbagliato. Sono un soldato, non un politico. Tutti i politicanti sono andati a nord, il mio signore, il duca, li ha mandati insieme alla duchessa Margherita, prima di Auxonne. Dio e i Santi del Paradiso la proteggano!» «Ma Florian...» cominciò Ash. «Lasciate che vi dica una cosa, capitano» la interruppe de la Marche. «La duchessa Floria riceverà la stessa lealtà che era indirizzata al mio signore, Carlo. Questa è la Borgogna. Siamo solo uomini e gli uomini di onore sono piuttosto inclini alle discussioni, ma siamo anche uomini di fede e sappiamo riconoscere una donna che ci è stata inviata da Dio: lei è la nostra duchessa.» Seguì un attimo di silenzio. «E anche voi siete un dono divino» aggiunse. «Cosa avete intenzione di fare, demoiselle Ash.» Cinque ore dopo, Ash tornò alla Torre Philippe le Bon con l'armatura lucidata e una divisa pulita. I presenti alzarono la testa interrompendo il pasto che si protraeva da mezzogiorno. A un cenno di Ash, Anselm e Angelotti si posizionarono in fondo alla tavola e Rickard si mise contro il muro con il suo elmo e la spada. Ash si avvicinò al tavolo e si accomodò sulla sedia vuota a fianco di Floria del Guiz. «Allora?» domandò l'ex chirurgo sottovoce. «C'è ancora del frumento bollito nel latte zuccherato? Ne ho bisogno.» Ash tossì. «O dell'idromele, qualsiasi cosa che contenga del miele: ho parlato così tanto con i ragazzi della compagnia che ho la gola a pezzi.» «Ash!» «Va bene, va bene!» Lanciò una rapida occhiata che le permise di contare i presenti nella stanza: due dozzine di comandanti di de la Marche, due 214
Truppe formate da schiavi i cui componenti spesso avevano raggiunto alte cariche all'interno dell'esercito.
abati, il vescovo e i servitori. Tutti la fissavano curiosi di sapere la risposta. «Fatemi mangiare.» Florian sorrise e fece un cenno ai servitori. «Non voglio che il capo rimanga senza cibo. Succedono brutte cose quando il capo non mangia...» Appena i servitori giunsero a tiro, la duchessa di Borgogna cominciò a servirsi e a servire Ash che osservava il maggiordomo e gli altri servitori. Li ha conquistati, pensò Ash. Ed è anche grazie a me... Quello che lesse sui quei volti non era sdegno per degli atti così poco nobili, ma una sorta di orgoglio per i modi spicci e militareschi della duchessa. Ash allungò una mano per prendere il piatto dorato, ma, non essendo abituata al lusso di avere una sedia vera e propria fece battere le protezioni dei gomiti contro i braccioli. Mangiò l'avena e il miele notando che il cucchiaio di metallo dava un sapore diverso al cibo rispetto a quello di corno che era solita usare. Lanciò una rapida occhiata in fondo al tavolo e vide che Angelotti e Anselm la ignoravano ingollando il cibo con la velocità tipica dei soldati. La testa bionda dell'artigliere e il cranio pelato del capitano inglese si alzarono contemporaneamente per domandare altro vino. Vicino ad Angelotti sedeva il ciambellano Ternani. Il consigliere aveva gli occhi segnati puntati su Ash e stava ignorando deliberatamente la carne nel piatto perché impegnato in una rapida e concitata conversazione appena sussurrata con Olivier de la Marche. Oltre il campione del duca c'era un uomo di mezza età con l'abito talare indosso. L'aveva già visto all'alba nella cattedrale. Ash aveva la bocca piena e chiese a Floria chi fosse quell'uomo arcuando un sopracciglio. «Il vescovo John di Cambrai» mormorò Floria a bocca piena. Ingoiò il boccone e continuò: «Uno degli ultimi fratellastri bastardi del duca. È un vero uomo: non ci sono abbastanza donne al mondo per lui215 ! La sua presenza è un altro dei motivi per i quali avevo bisogno di te qua. Dopo dobbiamo parlare con lui. Non importa cosa hai deciso. Cosa ha detto la compagnia, Ash?» Ash studiò il vescovo: il volto era tondo, gli occhi neri e una soffice coltre di capelli neri crescevano intorno alla tonsura. Solo il profilo del naso 215
Ho equiparato il testo, il quale si riferisce al religioso come al 'vescovo Jean' oppure 'Vescovo John di Cambrai' Ci sono altre prove oltre il commento di Floria nel testo, infatti alla messa funebre del Vescovo, tenutasi nel 1480, erano presenti ben trentasei suoi figli illegittimi.
non lasciava dubbi sul fatto che fosse un figlio di Filippo il Buono. Ash scosse la testa indicando la gorgiera lucidata al collo di Floria. «Tra un minuto.» «Prenditi tutto il tempo che ti serve... In che stato è l'infermeria?» domandò Florian. «Come sta Rostovnaya? E Vitteleschie e Szechy?» Tutto pur di rimandare il momento, eh? Ash smise di masticare e deglutì concentrando i pensieri sull'infermeria della torre. «Bianche e Baldina la stanno mandando avanti insieme a padre Faversham. Sembra che vada tutto bene.» «Cosa ne sai?» «Parla con Bianche per quanto riguarda Ludmilla, dice che le bruciature non guariscono.» «Non guariranno mai finché quella stupida donna continua a stare sugli spalti!» «Vostra Grazia» le interruppe de la Marche. Ash continuò a fissare gli altri commensali senza girarsi a guardare la duchessa. Gli ufficiali smisero di mangiare e si voltarono a fissare de la Marche lasciando da parte ogni forma d'etichetta. «Con il vostro permesso, Vostra Grazia... capitano Ash, cosa avete deciso?» Ash posò il cucchiaio che raschiò sul fondo del piatto e si soffermò a fissare per un attimo il bagliore caldo della stoviglia d'oro. Un attimo dopo sollevò il capo per guardare le persone silenziose che la fissavano di rimando. Cominciò a grondare sudore nel lasso di tempo che si alzò in piedi.: «Hanno votato» li informò con un tono di voce che alle sue orecchie suonava debole e roco. Il silenzio continuava a gravare sulla stanza. «Tutti sono d'accordo sul fatto che Floria deve rimanere viva. Voi morireste per tenerla in vita. Lo stesso vale per noi solo che le ragioni sono diverse, ma entrambi faremo quello che è necessario.» Una nausea fredda le pervase il corpo. Posò i pugni sul tavolo per impedire alle vertigini di costringerla a sedersi. «Diventerò la 'Pulzella' se è necessario per tenere alto il morale.» I Burgundi la fissavano attenti. Gli unici che conosceva per nome erano Jussey e Lacombe, gli altri solo di vista o per niente. Ash era consapevole dell'armatura lucida e della divisa pulita che indossava e anche dei capelli tagliati corti, della guancia sfregiata.
No, pensò fissando i volti degli uomini di fronte a lei che dovevano essere tutti intorno alla trentina, solo qualcuno, forse, più vecchio. Non importa quello che sembro... stanno vedendo quello che vogliono vedere. Spostò lo sguardo su de la Marche. «Accetto l'incarico di comandante in capo e voi sarete il mio secondo.» Sentì un vociare confuso levarsi tra i presenti. «Ci sono due condizioni!» La voce si incrinò. Tossì, si guardò intorno, tornò a fissare de la Marche e continuò: «Primo: manterrò il comando finché non troverete qualcuno migliore di me... quando Antoine de la Roche torna dalle Fiandre, questo torna a essere il suo lavoro. Volete un Burgundo che abbia carisma e sappia comandare: lui è perfetto. Secondo: rimango a Digione solo finché potremo continuare a combattere il nemico. Bisogna uccidere mia sorella, il faris, perché lei è il canale attraverso il quale le Macchine Impazzite porteranno il loro attacco.» Per un momento Ash provò un impulso fortissimo di abbandonare quella città in pezzi e claustrofobica. Un'altra tremenda marcia forzata, come quella sostenuta da Marsiglia fino a Digione, in quel momento le sembrava un'alternativa rosea in confronto all'idea di rimanere tra quelle mura. «E se in qualsiasi momento dello scontro troviamo un modo sicuro per portare via la duchessa... la nostra Florian... dalla città, lo facciamo e lasciamo la città alle teste di tela. Queste sono le mie condizioni che sono state approvate da una votazione di tutto il Leone Azzurro» terminò. Il vociare si trasformò in un'ovazione e in una valanga di imprecazioni da parte degli abati. Gli uomini intorno al tavolo si alzarono in piedi. Uno dei religiosi vestiti di verde si diresse verso la porta di fretta e furia, ma i militari si radunarono intorno ad Ash sorridendo, parlando e urlando. De la Marche la raggiunse con passo deciso e le strinse la mano con forza. Ash si costrinse a non sussultare davanti a tutti. «Benvenuto capitano!» «È un piacere» borbottò Ash. Si liberò dalla stretta, portò la mano dietro la schiena e la massaggiò.» «'Capitano-generale!'» lo corressero quasi all'unisono un ufficiale dai capelli mossi che non conosceva e il robusto capitano che rispondeva al nome di Lacombe. Capitano-generale di Borgogna. Merda, pensò Ash. La paura non sembrò diminuire, anzi aumentò trasformandosi in crampi allo stomaco. Cercò di rimanere impassibile. Lungo il tavolo, Angelotti le fece l'occhiolino, ma anche quel gesto non
servì a rincuorarla. Quel che è fatto è fatto, pensò, rassegnata. I cavalieri si presentarono uno a uno. Ash si trovava in mezzo a un gruppo di persone molto più alte di lei che pronunciavano i loro nomi ad alta voce. Si guardò alle spalle e vide che il vescovo aveva monopolizzato l'attenzione di Florian. Lo sguardo del cavaliere dai capelli mossi seguì il suo. Il ragazzo doveva avere circa venticinque anni. Era abbastanza vecchio per aver ucciso e dato ordine di uccidere diversi uomini in battaglia, ma in quel momento stava fissando Floria con un'espressione riverente. «Due di voi benedette da Dio» disse improvvisamente e in tono contrito. «Sono contento che siate diventata il nostro capitano, demoiselle Ash. Siete un guerriero. Sua Grazia è così al di sopra di noi...» Ash arcuò un sopracciglio e gli lanciò un'occhiata all'altezza della spalla. «E io non lo sarei?» «Io... be'... io...» L'ufficiale arrossì vistosamente. «Non era quello che volevo...» «Penso che le parole che stai cercando siano: 'oh, merda', soldato...» gli suggerì Ash come se stesse parlando a uno dei suoi comandanti di lancia. Lacombe sbuffò e sorrise a beneficio del compagno. «Cosa ti avevo detto? Capitano Ash, lasciate che vi presenti sieur de Romont. Non fateci caso, in queste situazioni è un vero imbranato, ma si fotte quei legionari là fuori ogni volta che cercano di scalare le mura.» «Ne sono sicura» rispose Ash, asciutta. Il vedere lo sguardo compiaciuto e imbarazzato le fece ripensare a una frase che Floria le aveva detto nel campo fuori Digione: 'Chiamalo carisma, se vuoi...' Un accenno di sorriso le apparve sulle labbra. Mi piacerebbe vedere de la Marche che copia il mio modo di comandare, pensò. Spostò lo sguardo sugli ufficiali. Se sbaglio qualcosa finiamo tutti morti per le strade nel giro di qualche giorno. Si girò, raggiunse il tavolo, posò le mani sullo schienale della sedia e, quasi avesse dato un ordine, i centeniers dell'esercito burgundo tornarono ai loro posti per ascoltare. Ash attese che anche Floria si fosse seduta, quindi cominciò: «Non sono quella che decide tutto.» Si appoggiò allo schienale fissando uno per uno gli ufficiali. «Non lo sono mai stata. Ho degli ottimi ufficiali e io mi aspetto che mi dicano quello che pensano. Infatti...» guardò Anselm e Angelotti
«... la maggior parte delle volte non riesco più a zittirli, i bastardi!» Non fu la risata a rincuorarla, ma la vista che i presenti assumevano l'atteggiamento tipico di chi è pronto ad ascoltare. Le espressioni dei volti erano un misto di cinismo, speranza e giudizio. Queste sono le stronzate di rito che deve dire un comandante, pensò. Siamo nella merda fino al collo. Sarò abbastanza brava da tirare fuori tutti? La Borgogna potrà anche essere diversa da tutti gli altri regni, ma i soldati sono soldati in tutto il mondo. Grazie a Cristo ho de la Marche. «Quindi mi aspetto che mi parliate e mi teniate informata su quanto sta succedendo e mi comunichiate quello che dicono gli uomini. Non voglio che ci muoviamo alla cieca perché qualche imbecille ha pensato che non fosse necessario mettermi al corrente di un problema o perché pensa che i suoi uomini non debbano sapere quello che si dicono i comandanti. Non ho bisogno di dirvi che siamo appesi a un filo. Dobbiamo essere uniti e muoverci molto in fretta.» Ci furono solo due teste su venti che si girarono automaticamente a fissare de la Marche dopo che Ash ebbe finito di parlare. Ash prese nota mentalmente dei volti. Due su venti, va dannatamente bene, pensò. «Bene.» Ash si allontanò dalla sedia e si avviò verso la finestra per far vedere a tutti la sua armatura di fattura milanese tirata a lucido e perché voleva dare un'occhiata agli illogici lavori di scavo intrapresi dai Visigoti. «Quello che adesso ci preme sapere è: per quale cazzo di motivo quelli ci hanno dato tre giorni di tempo per parlare e organizzarci?» VI «Madonna?» Angelotti fissò le persone intorno al tavolo. «Il mio magister ingeniator» lo presentò brevemente Ash, dandogli al tempo stesso l'assenso a parlare con un gesto della mano. «Le trincee scavate dai golem sono profonde almeno un metro e ottanta e altrettanto larghe. In alcuni punti ce ne sono tre una dietro l'altra. Se volessimo tentare un qualsiasi tipo di attacco saremmo costretti a buttare fascine, pavesi e tavole per superarle, e questo darebbe tempo ai Visigoti di suonare l'allarme e dispiegare le forze per affrontarci.» Ash vide diversi centeniers annuire. «Ho parlato con gli ingegneri burgundi» aggiunse Angelotti. «Le trincee
raggiungono il tratto di terreno aperto sulla sponda est dell'Ouche e lo seguono.» Scrollò le spalle. «Siamo bloccati qua dentro, Madonna. Non possiamo uscire in nessun modo. Ecco perché ci hanno concesso tre giorni di tregua. Se...» Ash stava per interromperlo, ma fu preceduta da qualcun altro. «Perché un canale è così importante, per Dio!» chiese Florian, sporgendosi oltre il bordo del tavolo, come aveva sempre fatto quando prendeva parte alle riunioni degli ufficiali nella tenda di Ash. «Ci impedisce di compiere una sortita» spiegò Anselm battendo un pugno sul tavolo. «Ma è una follia! Perché dovrebbero preoccuparsi di una simile eventualità? Possono prendere la città anche adesso! Perderebbero un sacco di uomini, certo... ma ci riuscirebbero.» Olivier de la Marche fece un impercettibile cenno d'assenso con il capo. «Un canale è importante.» Ash attese che Florian tornasse a concentrare l'attenzione su di lei. «Le trincee, invece, vengono scavate quando ci si vuole difendere e non attaccare. Avranno avuto le Macchine Impazzite che li spronavano ad attaccare e quello che abbiamo bisogno di sapere è come mai invece di assaltare le mura hanno passato le ultime quarant'otto ore a scavare.» Florian annuì e fissò con attenzione Ash che nel frattempo stava facendo scorrere un dito sul tavolo per enfatizzare quanto stava per dire. «Perché limitarsi a scavare e non attaccare? Io credo di saperlo e... se ho ragione, allora vuol dire che abbiamo del tempo a disposizione.» Sul volto arrossato di Lacombe apparve una traccia di speranza. Ash controllò l'espressione degli altri ufficiali. «Il faris ha interrotto gli assalti alle mura e si limita a bombardare facendo scavare una trincea intorno a tutta la fottuta città...» «Non avete sentito i suoi ordini?» la interruppe de la Marche. «Non ha parlato con il Golem di Pietra?» «G... san Godfrey mi ha detto che non lo ha fatto. Se ha ragione, allora vuol dire che lei non ha usato la machina rei militaris dal giorno in cui le ho parlato nel suo campo prima di rientrare in città. Il che vuol dire che non sta ascoltando le direttive di Cartagine... E sono pronta a scommettere che ho ragione: l'ultimo attacco al cancello nord-ovest, prima della morte del duca, deve averlo ideato senza l'aiuto del Golem di Pietra.» «Sono quasi riusciti a prendere il cancello!» protestò il ciambellano Ternant. «Quello era l'atto di una donna folle?» «Non è stata una bella mossa.» Ash alzò la voce per porre immediata-
mente fine agli interventi disordinati dei vari centeniers. «Ha fatto una finta sul muro dove ci trovavamo e quando sembrava che li stessimo respingendo ha ordinato di lanciare Fuoco Greco sui suoi stessi uomini. Oh, so bene che ha pensato che mandando all'attacco gli uomini di van Mander i miei ragazzi avrebbero avuto delle remore a respingere persone con le quali avevano combattuto fianco a fianco fino a qualche giorno prima, ma i miei ragazzi sono dei bastardi e ci vuole ben altro per intenerirli. Poi ha pensato che riversando il Fuoco Greco su di noi e sui suoi uomini avrebbe spazzato le mura per lasciare che le sue truppe scelte attaccassero indisturbate e prendessero la città. Quello è stato un errore gravissimo. Ha ucciso i suoi stessi mercenari e ora a Digione non c'è neanche un mercenario franco che abbia voglia di passare dalla parte dei Visigoti.» Tornò per un attimo sulle mura ricordando, non come si sarebbe aspettata il corpo di Ludmilla Rostovnaya in fiamme, bensì l'espressione di Bartolomey St. John quando gli aveva piantato trenta centimetri di lama nell'orbita di un occhio e il sangue le aveva sporcato la brigantina. C'ero anch'io il giorno in cui aveva ordinato quella daga dall'armaiolo... anche Dickon Stour è morto, pensò. «La machina rei militaris le avrebbe sconsigliato di farlo» continuò Ash. «Lo so perché lo avrebbe fatto anche con me se mai avessi pensato che una simile soluzione fosse una buona idea.» Sorrise. Le espressioni dei volti intorno al tavolo non erano molto chiare. Non riusciva a capire se erano preoccupati per il fatto che la Pulzella non ricevesse più consigli divini o fossero rassicurati dalla sua conoscenza della tattica. «Il faris non sta usando il Golem di Pietra. Ci scommetto tutto quello che volete. Sa bene che qualsiasi cosa chieda... noi siamo in ascolto. Anche a Cartagine hanno la bocca cucita. Non sta ricevendo ordini da lì. È abbandonata a se stessa, almeno per il momento.» «E...?» la sollecitò Olivier de la Marche. «Cosa significa tutto questo, capitano?» Ash rivide per un attimo con gli occhi della mente l'immagine del faris seduta nel suo quartiere generale con le mani in grembo e le unghie rosicchiate. «È bloccata. Credo che abbia paura di commettere un errore. Sa che qualcuno origlia le informazioni che le giungono dal Golem di Pietra ed è a conoscenza dell'esistenza delle Macchine Impazzite. È molto semplice. Non può più far finta che non esistano. Sa quello che le possono... potreb-
bero fare.» Ash aggrottò la fronte. «Non può chiedere nessun consiglio di natura tattica e questo la spaventa.» «E questa machina plena malis216 , queste Macchine Impazzite conservano ancora il loro potere, demoiselle?» domandò il vescovo John, tranquillo. Calò un silenzio infranto solo dal crepitio del fuoco. Gli ufficiali si voltarono a guardarla. Il vescovo di Cambrai portò una mano sulla croce di rovi che portava sul cuore. «Le sento ancora» ammise Ash, studiando al tempo stesso i volti intorno a lei. «Potrebbero essere danneggiate e mentire al riguardo, ma non ci scommetto. Ho parlato con loro una volta su richiesta della duchessa e non ho intenzione di rifarlo... se non altro perché le comunicazioni funzionano in maniera ambivalente: ogni volta che entro in contatto con le Macchine Impazzite i Visigoti lo vengono a sapere. A quel punto a loro basta chiedere al Golem di Pietra e la machina riferirà loro quello che ho chiesto.» Annuì in direzione di de la Marche. «Meno le Macchine Impazzite, il califfore e la casata dei Leofric sanno, meglio è.» «Il califfo-re Gelimero è a conoscenza dell'esistenza di queste... 'Macchine Impazzite?'» chiese Romont. «Certo.» Una risata sinistra apparve sulle labbra di Ash. «Definiscono le luci che splendono sopra le tombe dei califfi-re i 'Fuochi della Benedizione'. Me lo ha detto l'arif Alderico quando ero nel campo visigoto.» Cominciò a camminare su e giù per la stanza pensando ad alta voce. «Fino a questo momento il faris è tranquilla per quello che riguarda le Macchine Impazzite, ma... se fossi in lei, non lo sarei tanto. Se i Visigoti dovessero crederlo potrebbero dire: 'Ehi, che bello, abbiamo altre macchine tattiche dalla nostra parte', e il loro morale andrebbe alle stelle!» «Già» commentò Anselm, sinistramente. «Sono abbastanza stupidi!» «L'ultima volta che ho visto il faris durante la tregua ha ammesso che sentiva le Macchine Impazzite. Poi è cominciata la caccia, ma io credo che si sia cagata addosso. Sicuramente sa già che c'è il successore di Carlo, ma non è sicura che le Macchine siano danneggiate. Appena il successore del duca morirà... scusa Florian... lei dovrà compiere il miracolo per le Macchine Impazzite. Il faris verrà usato...» Il vescovo e de la Marche si scambiarono una rapida occhiata che dove216
'Machina plena malis': 'una invenzione abominevole'. Nel testo la parola 'invenzione' deve essere interpretata nel senso di trucco come in quello di costrutto.
va essere qualcosa di più che paura. «Ha infilato la testa nel culo» commentò Ash, brutale «e aspetta che il problema scompaia, ma non succederà. Sarebbe una buona idea se noi evitassimo a nostra volta di infilare la testa nel culo!» «Se ha intenzione di lasciare che il freddo, la fame e il tempo pongano fine all'assedio, allora abbiamo tempo per concepire un piano» disse un centeniers con un forte accento del Nord. Ash raggiunse la sedia sulla quale si trovava l'ufficiale e gli posò una mano sulla spalla. «Anche se lo facesse, capitano... uno dei qa'id potrebbe sollevarla dal grado entro domani e noi saremmo fottuti.» De la Marche annuì. Ash incrociò lo sguardo dell'ex comandante in capo dell'esercito burgundo e riprese a camminare sul pavimento d'assi che scricchiolava sotto il peso dei suoi passi. «Supponiamo che il faris continui ad attenersi alla linea morbida... Cartagine comincerà a stufarsi di lei. Loro vogliono la resa della Borgogna. Non vogliono condurre nessuna campagna invernale e devono stare dietro ai desideri del califfo-re Gelimero. L'amir Leofric è malato e non so quanto peso abbia questo Sisnandus. Quanto tempo ci vorrà prima che Gelimero mandi un...» Ash fece una pausa «... generale più 'convenzionale' a sostituire il faris? Dalle due alle quattro settimane, sempre che il nuovo comandante non sia già in viaggio. Cosa faremo» chiese, rivolgendosi a de la Marche «quando quello arriva e attacca?» Olivier de la Marche la fissò, si passò una mano sulla bocca e quando la tolse non stava sorridendo. «Sembra che abbiate un ottimo quadro della situazione, capitano.» «Lo so, è il mio lavoro» gli fece notare Ash portando le mani ai fianchi. Qualcuno in fondo al tavolo rise in segno di apprezzamento. Ash sentì che l'umore dell'uditorio stava cambiando, il principio di un disprezzo che qualcuno aveva provato nei suoi confronti fino a quel momento, de la Marche compreso, cominciò a sparire. «Se ho ragione...» lanciò l'ennesima occhiata fuori dalla finestra «... il faris si siederà dietro la trincea che ha fatto scavare in attesa che moriamo di fame, solo che non glielo lasceranno fare a tempo indeterminato. Potrebbero passare quindici minuti come quattro settimane prima che le cose finiscano a gambe all'aria.» Incurvò le labbra in una smorfia. «Sempre che abbiamo abbastanza cibo da resistere quattro settimane...» Olivier de la Marche cominciò a fare una serie di calcoli mentali, quindi dopo qualche secondo si interruppe e fissò Ash. «Allora, se ho ben capito,
il faris ha dei qa'id esperti al suo servizio. Potrebbero darle consigli e lei potrebbe riguadagnare la loro fiducia. Potrebbe usare la machina rei militaris per ideare un piano per prendere la città.» «Certo. Tutto è possibile. Credo che abbiamo del tempo, non molto, ma ne abbiamo. Va bene...» Ash cominciò a indicare a casaccio le persone intorno al tavolo. «Suggerimenti.» «Potremmo sfruttare l'idea dei loro magister ingeniator» suggerì Angelotti. Ash fece una pausa e lo fissò. Allontanò dalla sua mente il pensiero improvviso che forse aveva sbagliato tutto e che i suoi quattrocento uomini più i duemilacinquecento dell'esercito burgundo potevano correre gravi rischi a causa della sua decisione. Decise di allinearsi alla nuova atmosfera che ora pervadeva la stanza. Ora possiamo fare un piano, pensò. «Continua, Angeli.» «Un cunicolo» spiegò l'artigliere italiano. «Fatemi dare un'occhiata al terreno della zona nord-est del quartiere. Potremmo scavare un cunicolo sotto quel muro, passare a ovest sotto le sponde dell'Ouche e sotto il lato nord del campo nemico. Potremmo far uscire Madonna Florian da quella strada, in questo modo la duchessa sarebbe al sicuro anche se Digione dovesse cadere. Voi potete andare a nord e continuare a combattere» terminò, fissando de la Marche. Olivier de la Marche batté le palpebre. «Scavare per una distanza simile? Sotto quei canali e sotto il campo? Abbastanza in profondità da non essere sentiti? Richiederebbe moltissimo tempo e legname, messer Angelotti.» «A me sembra una buona idea...» approvò Robert Anselm. «Va bene, questa è una proposta.» Ash schioccò le dita. «Il prossimo. Voi!» «Mandare alcuni gruppi di uomini con granate e polvere per far saltare i loro magazzini!» suggerì l'ufficiale. «Sempre che riusciamo a raggiungerli.» Ash diede un'occhiata alla finestra. «Godfrey mi ha detto che ci sono tre legioni stanziate a nord che combattono intorno a Bruges, Antwerp e Gand. Qua sono rimaste solo due legioni, una delle quali è ridotta a metà, senza contare che può far arrivare cibo e rifornimenti dal Mediterraneo... Anche se questo la obbliga ad avere una lunghissima colonna di rifornimenti.» «È sufficiente a dar loro un problema?» grugnì Anselm. «È possibile prenderli di sorpresa. Non si aspettano che noi siamo in grado di abbandonare la città. Non credo che si aspettassero che l'oscurità
coprisse anche la Spagna. Là hanno le fattorie e i campi di grano, ma non è un gran danno, visto che possono approvvigionarsi dall'Egitto e hanno avuto vent'anni per prepararsi.» Guardò fuori dalla finestra e per un attimo non vide il sole, ma la neve che cadeva su Cartagine e la gelida oscurità che avvolgeva Lione e Avignone. La metà della Cristianità che non morirà di fame a questo raccolto lo farà al prossimo. Ci sarà una grande carestia, ma arriverà troppo tardi per esserci d'aiuto, concluse Ash tra sé. «I sabotaggi sono da considerare qualcosa di extra. Altre proposte?» Uno dei centeniers, poco più vecchio di un ragazzo, sorrise e disse: «Abbiamo alcune divise sottratte al nemico, capitano! Alcuni degli uomini al mio comando sono abbastanza coraggiosi da infiltrarsi in quelle trincee vestiti come il nemico. Non è mancanza di cavalleria operare un sabotaggio.» Ash avrebbe voluto far notare che neanche tornare in città lanciati da un trabocco era cavalleresco, ma si trattenne. «Se riuscite a far uscire degli uomini» fece notare, torva «la cosa migliore che possono fare è uccidere mia sorella.» Sul volto del vescovo Giovanni apparve un'espressione di disgusto, ma non disse nulla. Lo stesso fece Philippe Ternani... il vecchio aveva finito di mangiare e sembrava che stesse schiacciando un sonnellino. Nessuno degli ufficiali dimostrava disgusto o disinteresse. «Eliminiamo il faris e le Macchine Impazzite sono bloccate e sospetto che lo stesso valga per l'esercito visigoto. Discuteremo questo aspetto in dettaglio tra un minuto. Potremmo inviare delle squadre di due o quattro uomini e cercare di assassinarla, ma non sarà facile. È probabile che le teste di tela pattuglino le trincee ventiquattro ore al giorno...» «Ma se ci riuscissimo impediremmo loro di portare a compimento il miracolo!» esclamò de la Marche. «Le legioni nemiche si troverebbero nel caos più totale. Tutto questo potrebbe permetterci di salvare Digione, trovare il tempo per organizzare una sortita o fare sì che l'esercito a nord ci raggiunga!» «Sempre che riusciamo a sapere dove si trova, mio signore» commentò acido uno dei centeniers di cui Ash non ricordava il nome. «Potrebbe aver spostato il suo quartiere generale in fondo al campo, in una città vicina o all'interno di una fortezza. Vi garantisco che le spie potrebbero dircelo, ma prima di tutto dobbiamo farle uscire e rientrare.»
«Va bene.» Ash raggiunse la fine del tavolo, si fermò e fissò i cavalieri burgundi. «Altri suggerimenti?» «Mandare fuori gli araldi.» Ash si girò, sorpresa. Era Floria che aveva parlato. «Mandiamo fuori gli araldi. Se hai ragione, il faris deve sapere che c'è qualcosa di sbagliato e forse potrebbe parlare con noi. Forse potremmo aprire un negoziato.» «Ci sono gli araldi ducali, Vostra Grazia. Sono sempre pronti» le ricordò de la Marche in un tono di voce che ad Ash parve venato da un certo scetticismo. «Altro?» «Se riuscissimo a superare le trincee potremmo tentare un assalto di massa, capo... ma non sappiamo neanche quale sia l'ammontare esatto delle truppe in città» borbottò Robert Anselm. Grazie, Roberto, pensò Ash. «Questo mi sembra un punto interessante.» Ash si avvicinò a Floria, dopodiché si sporse oltre il bordo del tavolo e fissò Olivier de la Marche. «Potreste darmi il quadro completo della situazione?» «Capitano.» Olivier de la Marche cominciò ad armeggiare con i fogli di fronte a lui con gli occhi puntati su Floria. Ash si rese conto che la stava valutando, stava comparando la nobildonna burgunda appena tornata dall'esilio con l'uomo che aveva servito per anni. E Carlo è morto solo da due giorni! pensò Ash. Cristo quanto gli deve mancare. Philippe Ternani aprì gli occhi. «Non siamo più la potenza di un tempo» affermò, perfettamente sveglio. «Un tempo, Vostra Grazia, avrei potuto offrivi un centinaio di ciambellani, con me a ricoprire la carica di primo ciambellano. Un centinaio di cappellani sotto il primo cappellano...» Olivier de la Marche zittì il vecchio con un cenno della mano. Ash poté vedere il mutuo rispetto che i due uomini nutrivano l'uno nei confronti dell'altro dall'occhiata che si lanciarono. «Abbiamo subito moltissime perdite ad Auxonne» dichiarò de la Marche in tono addolorato. «Prima della battaglia, Vostra Grazia, avrei potuto mettere a vostra disposizione duemilacinquecento uomini con il compito di proteggervi. Ad Auxonne abbiamo perso quaranta ciambellani e nobili appartenenti al seguito ducale. Dei quattrocento cavalieri che avevamo ne sono rimasti quaranta.» L'espressione dei volti intorno al tavolo divenne grave. Ash si rese conto
di essere stata osservata anche nel corso di quella battaglia e non solo quando aveva tenuto il cancello nord-ovest. «Io stesso» continuò de la Marche «ho guidato quello che rimaneva di centosessanta compagnie di arcieri a cavallo e fanti a Digione. Eravamo trecento.» Fissò Floria del Guiz. «Abbiamo lasciato bombarde, serpentine e mortai su quel campo. I nostri morti ammontano a millecentocinque uomini...» Diede un'occhiata al foglio che teneva in mano. «Abbiamo perso più di tremila arcieri a cavallo, poco meno di mille balestrieri, ottocento arcieri a piedi, più di cinquecento ronconieri.» Romont, Lacombe e altri due ufficiali abbassarono gli occhi. Florian non disse nulla. Ash mosse le labbra, ma senza emettere un suono. La lista le fece ricordare quella mattina cupa e flagellata dalla pioggia, striata dalle fiammate del Fuoco Greco. Per un chirurgo deve essere peggio, pensò, perché vede solo il risultato del massacro e non quello che lo provoca. «Vi posso ancora offrire i vostri arcieri personali, ma ne sono rimasti venti con un solo capitano. Sono le vostre guardie del corpo e sono disposte a morire pur di far sì che viviate. Per il resto ho riorganizzato le compagnie di Berhes, Loyecte e Saint-Seigne.» Annuì in direzione dei centeniers ai quali aveva affidato il comando delle unità appena nominate. «Possiamo considerarci fortunati se riusciamo a mettere insieme venti compagnie. Più che altro abbiamo cavalieri, arcieri a piedi, archibugieri e qualche cannone. Non più di duemila uomini.» «Il Leone ha meno di quarant'otto lance» si intromise Robert Anselm. «Sono soprattutto fanti, arcieri, archibugieri e qualche cannone. L'artiglieria leggera della compagnia è rimasta a Cartagine. A meno che le teste di tela non le abbiano portate qua per includerle tra le loro batterie.» Angelotti lo gratificò con un'occhiata infuocata. «Le guardie sulle mura e sulle torri sono in numero più che sufficiente. Se il nemico dovesse attaccarci ci avvertiranno in tempo e gli uomini si atterranno in maniera disciplinata ai segnali delle trombe e si riuniranno correttamente sotto i rispettivi stendardi, allora potremo disporre rapidamente tutte le compagnie lungo il perimetro del muro e forse respingere anche due attacchi contemporaneamente.» De la Marche aprì la bocca come se volesse completare il pensiero, poi la richiuse e si zittì. Abbiamo tenuto il cancello per un soffio, pensò Ash, e il nemico ha ab-
bastanza uomini per eseguire due o tre attacchi contemporaneamente. Senza contare che non abbiamo abbastanza soldati per una sortita. Ash si drizzò smettendo di appoggiarsi allo schienale della sedia. L'orgoglio le impediva di sedersi e riprese a camminare avanti e indietro. «Voglio che le compagnie ruotino. Nessuno dovrà occupare la stessa sezione di mura per più di ventiquattro ore consecutive.» Lacombe aggrottò la fronte. «Gli uomini diranno che cercate di risparmiare i vostri uomini... e i miei... dal pericolo costante a cui è sottoposto il cancello nord-ovest.» «Possono dire quello che gli pare e piace.» Ash si fermò. «Non voglio che le teste di tela sappiano con sicurezza quali sono i Franchi che affronteranno assaltando una determinata sezione delle mura. Non voglio familiarità tra noi e il nemico... è allora che gli uomini vengono spinti dagli avversari ad aprire le posterie. Si fa come dico io, chiaro?» «Va bene, demoiselle.» «Sono 'capitano', o 'capitano-generale'» Sorrise. «O 'capo'.» «Va bene, capo» si corresse, Lacombe, come se, quarant'otto ore prima, quando erano sulle mura, divertito, non avesse usato lo stesso termine. L'ufficiale continuò a fissarla ancora per qualche secondo: sembrava che si fosse impegnato in un duello di volontà con Ash. Il farsetto di seta che portava sotto l'armatura era fradicio di sudore. Duemilacinquecento uomini e chilometri di mura da coprire...! pensò Ash. «Va bene» continuò, dirigendosi con passo sciolto verso la sedia occupata da de la Marche. «Andiamo avanti. Messere, quando ho mandato Padre Paston da voi prima della caccia... sapevo che c'era un rapporto visigoto giunto dalle Fiandre.» Continuò a parlare sopra il mormorio scaturito dal crescente interesse per la notizia. «Allora l'ho dettato nel sonno! Facciamolo leggere da uno dei vostri funzionari. Dobbiamo sapere quante possibilità abbiamo che le truppe a nord giungano qua per togliere l'assedio, ma non credo che si tratti di un rapporto molto recente.» De la Marche aggrottò la fronte e cominciò a cercare tra le carte sparse sul tavolo, imitato da un aiutante del vescovo di Cambrai. Ash avvertì un movimento, si spostò e vide Rickard che, rosso in volto, la superava ed estraeva un foglio da una pila di documenti. «È la scrittura di Padre Paston» spiegò. «Devo leggere?» Il ragazzino fissò automaticamente Ash che annuì e solo dopo vide l'espressione divertita dell'ex chirurgo. Ash notò che anche i centeniers erano divertiti.
Il paggio si sedette al tavolo, si girò in modo da sfruttare il massimo della luce, distese del tutto il foglio. Ash ammirò la calligrafia ordinata e pulita del religioso. «Si tratta di notizie che Godfrey ha sentito dalla machina rei militaris?» domandò Florian che allungò una mano e si versò una coppa di vino senza rivolgersi a un servitore. De la Marche aggrottò la fronte combattuto dall'imbarazzo per il gesto... una duchessa non dovrebbe comportarsi così... e l'impossibilità di criticare la sovrana. «Sì, un rapporto visigoto giunto prima che il faris smettesse di usare la machina.» Florian batté il fondo della coppa sul piano del tavolo. «Fornisce notizie riguardo la duchessa Margherita e le sue forze?» Il ricordo di aver dettato quelle parole nelle prime ore del mattino fece venire in mente ad Ash un particolare. «Per essere precisi, sarebbe Margherita di York, duchessa madre di Borgogna.» Avremo qualche problema con Maria, la figlia di Carlo? Era lei che avrebbe dovuto ereditare il trono. Fissò i volti dei Burgundi. No. Florian ha ucciso il cervo. Guardali: la loro convinzione al riguardo è salda come una roccia. Ash fece un segnale a Rickard e il ragazzo fece scorrere le dita lungo il foglio di carta muovendo le labbra senza emettere un suono finché non raggiunse il punto desiderato e cominciò a leggere ad alta voce: «'La città di Le Crotoy è caduta in mano nostra, in questo giorno, il tredicesimo nel segno dello Scorpione.'»217 Consapevole di essere ascoltato da tutti i capitani, Rickard alzò il tono di voce. «'Gloria al califfo-re Gelimero, che, guidato dalla mano dell'Unico Vero Dio, ci ha ricordato che il trattato con il re franco, Luigi, lo obbliga ad aiutarci. Poiché la città burgunda di Le Crotoy si trova nei pressi del confine francese, lo abbiamo obbligato a permetterci di attraversare il suo territorio per rifornire le legioni. Il monarca ha concesso il passaggio, quindi abbiamo attaccato Crotoy'.» «Piccolo fottuto bastardo!» borbottò Ash. «Mi riferivo a Luigi.» Olivier de la Marche si schiarì la gola. «So che la mia signora Margherita aveva intenzione di scrivere a Luigi, poiché oltre a essere sorella del re d'Inghilterra è anche duchessa di Borgogna, implorando il suo aiuto. Il Ragno ha sovvenzionato a lungo entrambe le parti in lizza nella guerra civile inglese. C'era una possibilità che cambiasse l'alleanza con la donna 217
3 novembre. Sempre che il riferimento sia ai segno astrologico dello Scorpione.
d'Angiò 218 passando agli York e dalla nostra parte. Da quando Edoardo, il fratello di Margherita è salito al trono, Luigi si è dimostrato disponibile nei suoi confronti di Edoardo e gli paga un vitalizio.» «Non appoggerà una forza Anglo-Burgunda ai confini con la Francia» sentenziò Floria. «Ho ascoltato le parole di messer Ternani e dei suoi consiglieri. Vede i Visigoti come un utile contrappeso al potere dei Burgundi e degli Inglesi» aggiunse Floria, scrollando le spalle. «E i Francesi si aspettano che il califfo-re tenga i territori conquistati» continuò Ash. «Saranno terrorizzati dall'oscurità. Sanno che è arrivata anche in Spagna... il bacino di grano di Cartagine. È probabile che Luigi speri che i Visigoti abbiano un sistema per eliminarla!» «E possono?» si intromise Rickard. Arrossì. «Chiedo scusa, mio signore de la Marche...» «Rickard è uno dei miei ufficiali inferiori, mio signore» spiegò prontamente Ash. «Durante gli incontri tra ufficiali, tutti hanno la possibilità di parlare, dopo valuto quanto detto.» «Rickard» lo apostrofò Floria «penso che se i Visigoti avessero la possibilità di eliminare il Crepuscolo Eterno l'avrebbero già fatto.» Lacombe e un altro paio di ufficiali - Berhes? Loyecte? - borbottarono un assenso. «Continua» gli ordinò Ash. Rickard riprese a leggere senza esitazione. «'La donna franca e le sue truppe si sono ritirate da Le Crotoy ed è molto probabile che si dirigano a Bruges, Gand o Antwerp. State attento, gran califfo, che a Gand, città in cui un tempo la donna era cancelliere, è stata costretta a sciogliere gli stati.'» 219 «Chi è il cancelliere, adesso?» chiese Ash, rivolgendosi a Ternant. «Guillaime Hugonet, lord di Saillant, Cancelliere di Borgogna» lo precedette Floria, parlando come se avesse imparato il nome a memoria. «Mi hanno detto che è bravo a raccogliere le tasse, quindi Margherita può paga218
Margherita d'Angiò, moglie del re inglese Enrico VI, fu sovvenzionata dal re di Francia in alcuni dei tentativi fatti per riguadagnare la corona per il marito o il figlio. Sembra che nel 1476, Margherita sia stata riscattata dall'Inghilterra e fosse stata vista nella corte francese. 219 Si tratta della parte fiamminga degli stati generali: rappresentative delle città e delle province. Infatti questi eventi sembrano molto simili alla storia dei primi mesi del 1477, subito dopo la morte del duca Carlo nella battaglia di Nancy.
re l'esercito. È un bravo oratore... Apparentemente sembra sia stato con Margherita anche nelle Fiandre e nel Brabante.» Philippe Ternani inclinò la testa in segno d'assenso. «Hugonet sarà anche bravo a finanziare l'esercito del Nord» ringhiò de la Marche «ma anche se c'è la guerra, dubito che qualcuno voglia avere a che fare con lui! Quell'uomo si è fatto un numero imprecisato di nemici politici a Gand e a Bruges. È un falco, demoiselle. Se Guillaime Hugonet ha convinto lady Margaret a sciogliere gli stati, significa che le città saranno in fermento.» «Credete che Antoine de la Roche sia ancora il comandante militare?» indagò Ash. «È uno dei figli bastardi del nostro duca!» esclamò uno dei centeniers. «Dovrebbe essere leale!» 220 Ash vide lo sguardo di Floria. Non aveva bisogno di far notare la rivalità professionale, era chiaro che la duchessa avesse pensato la stessa cosa. «Rickard?» «'La donna franca ha un esercito perché è devota nella sua religione eretica. Sappi, grande Gelimero, che non bestemmia mai né contro Dio né contro i santi, che assiste alla messa tre volte al giorno anche se è in viaggio con l'esercito. Ha un coro e musici per far cantare la messa. Viaggia come si addice a una dama, cavalcando con una sella da donna accompagnata dai preti. Il mio cuore è triste, califfo-re, perché devo dirti che gode di molto favore tra la gente comune che continua a riverire il nome del marito.'» «Questo due settimane fa?» mormorò il capitano Romont. «Mi chiedo come l'uomo che l'ha inviato a Cartagine abbia potuto conservare a lungo il comando dopo questo rapporto.» Ash sorrise all'indirizzo del cavaliere e fece cenno a Rickard di continuare. «'La donna franca ha con sé circa ottomila uomini...'» In fondo al tavolo si levò un fischio. Ash lanciò uno sguardo ai presenti e vide che molti sorridevano. Ottomila uomini! pensò lei. Questa sì che è una cifra rassicurante. «'... tutti che indossano i colori burgundi, prima sotto il comando di Phi220
Antoine de la Roche fu preso prigioniero a Nancy nel gennaio del 1477, quando Carlo l'Intrepido fu ucciso. Piuttosto che rimanere leale a Margherita o alla nipote acquisita, Maria di Borgogna, decise di allearsi di fretta e furia con Luigi XI mantenendo così intatti i suoi possedimenti.
lippe di Croy, signore di Chimay, ma dopo la sua morte221 , sotto il comando di Antonio, figlio bastardo del duca, conte di La Roche. Quest'uomo, grande califfo-re, è un guerriero degno di nota. In battaglia è stato al comando della bandiera ducale e molto spesso ha agito in veste di reggente per conto del duca morto. Lui è il primo ciambellano di Margherita e gli uomini dicono che lei lo tiene in grandissima considerazione, perché durante il torneo per festeggiare il suo matrimonio con il fratellastro Carlo, egli fu gravemente ferito, difendendo i suoi colori...'» «Oh, risparmiatemi i particolari!» sospirò Floria. Ash sorrise. «Mi piace questo. Sono pettegolezzi.» «Ottomila uomini» ripeté Olivier de la Marche. «Circa il numero d'uomini che si trovano fuori delle mura» commentò Ash, seria. «Margherita ne ha radunati altri? Continua a leggere, Rickard.» Il ragazzo armeggiò con i fogli di carta, ne estrasse uno dalla pila, lo mise in cima e lo stirò con le mani. «'Ho sentito'» riprese a leggere socchiudendo gli occhi per comprendere la calligrafia «'nel nome dell'Unico Vero Dio affinché voi, califfo-re, possiate ascoltare, che la donna franca è stata costretta a viaggiare personalmente di città in città dopo aver sciolto i consigli cittadini. È passata da Hague, Leiden, Delft e Gouda per arruolare altri uomini. Non ho paura d'affermare che avrà radunato al massimo poco più di mille uomini222 . Alcune voci affermano che ha fatto fondere le campane per costruire nuovi cannoni. Le nostre tre legioni viaggiano a marce forzate verso est e verso nord, al suo inseguimento e tra poco potrò rallegrare il cuore di Cartagine con la notizia di nuove vittorie.'» «Tra poco» osservò Ash «quell'uomo finirà a scavare latrine. Cristo! Capisco come mai il faris voleva andare a nord e non stare qua. È lassù che si svolge l'azione!» «Vedo che entrambe siete ansiose di incontrarvi sul campo di battaglia, capitano. Tanto ardore e coraggio sono encomiabili.» Olivier de la Marche allungò la mano paffuta e la batté piano sul braccio di Floria senza rendersi 221
Infatti, il signore di Chimay fu preso prigioniero nel corso della battaglia di Nancy, il 5 gennaio 1477, e dopo essersi riscattato tornò a servire lealmente Maria di Borgogna e i suoi eredi, alla corte del duca Massimiliano. 222 Nell'inverno del 1476-77 si dice che Margherita radunò circa altri quattromila uomini provenienti da queste città affinché si unissero all'esercito del marito.
conto dell'espressione di cinico umorismo apparsa sul volto della duchessa. «Queste notizie ci informano che il nemico ha ottenuto una vittoria minore e che la Roche sta guidando un esercito... questa è una buona notizia!» «È una buona notizia vecchia di quattordici o quindici giorni.» Ash tamburellò leggermente le dita sulla gamba della corazza. «È troppo presto per dirlo con sicurezza, ma se la duchessa madre ha avuto a disposizione altri quattordici giorni da questo messaggio e non è stata sconfitta... dovremmo vederla spuntare da sud.» «Non vengono menzionati l'amir Leofric, il faris o la machina rei militatis?» chiese Florian, interrompendo il silenzio carico d'ottimismo che era calato tra i presenti. «No. I rapporti diretti al faris non dicono nulla... non so chi sia questo 'cugino' Sisnandus che ha preso in mano le redini della casata dopo il terremoto. Non so se Leofric è ferito gravemente, più di quello che pensavo all'inizio.» Dimenticò per un attimo i centeniers intorno al tavolo e lasciò vagare lo sguardo nel nulla. «Ma ricordo che non è successo nulla che abbia indotto il califfo-re a non fidarsi più dei consigli tattici del Golem di Pietra. Per quello che li riguarda, tutto ciò è un segno del favore divino! La machina continua a dirgli: 'Conquista la Borgogna'... ecco cosa sta per fare. Dannazione: abbiamo bisogno di Margherita, adesso!» Calò una mano sul tavolo dando sfogo alla frustrazione. La pacca risuonò secca come un colpo d'archibugio. Rickard si contrasse e si strofinò gli occhi. «Supponiamo che Dio permetta alla duchessa madre di sconfiggere le legioni a nord.» Olivier de la Marche spostò un mucchio di carte rivelando una mappa. «Non sarà facile per dama Margherita nutrire i propri uomini una volta lontana dalle grandi città, ma se i suoi comandanti usano le barche, capitano... i fiumi li porterebbero a sud molto più velocemente di una marcia forzata. Il sole splende ancora sulla Borgogna. La Mosella e la Marna non sono gelate.» Chinò il capo in direzione di Florian. «Vostra Grazia, se riescono a vincere a nord, possono venire in nostro aiuto. Dio falli vincere!» «E anche in fretta... sarebbe bello» fece notare Ash, secca. De la Marche sghignazzò e lei continuò: «Va bene, parliamone. Disponiamo le truppe e mentre aspettiamo l'arrivo di Margaret cerchiamo di escogitare un modo per uccidere il faris prima che arrivi. C'è qualcuno che pensa che non abbiamo tenuto conto di qualche particolare?» Silenzio.
«Solo una cosa, capo» disse Angelotti in tono languido. «Potremmo smettere di tenere il concilio nella Torre Philippe in pieno giorno? Ogni comandante di batteria visigoto la userà di certo come punto di riferimento per i tiri d'esercitazione!» I centeniers risero, un uomo si chinò per parlare con un altro, due cavalieri condivisero lo stesso boccale di birra. Ash sentì lo stomaco che si stringeva. Non essere stupida, ragazza! si disse. Si vede anche dalla finestra che il nemico non si sta preparando a un attacco. Non c'è bisogno che vada al cancello... Non posso andarmene ancora. Cristo Verde, non è che da ora in avanti dovrò passare tutto il tempo a parlare? «Il capo ha bisogno di colpire qualcosa?» indagò Floria, acida. «Il capo non ne avrà l'opportunità, vero?» Ash continuò a fissare i volti per memorizzarli. Romont, Loyecte, Berghes... no, Berghes è quello magro che indossa l'armatura gotica. «Perché non è una cosa che fanno i grandi capi, giusto?» terminò. «Non sei il gran capo» le rammentò Floria, seccamente. Alzò la voce per attrarre l'attenzione. «Bene. Il duca è rimasto a Digione, ma questo non gli è stato di molto aiuto. Se scavare un lungo cunicolo può essere d'aiuto, allora è meglio iniziare. Subito.» Rickard cominciò automaticamente a scrivere su un pezzo di carta. «Potrebbero attaccarci in qualsiasi momento» aggiunse Floria. «Mandate fuori gli araldi, ma mandate anche gli uomini di... sieur Loyecte, giusto? Sì. Anche loro.» «Florian...» «Vostra Grazia...» disse de la Marche. «Me ne prendo tutta la responsabilità.» L'ex chirurgo alzò una mano che, per quanto fosse coperta dallo sciamito, rimaneva l'estremità di una persona che aveva passato lungo tempo all'aperto e maneggiato attrezzi d'acciaio affilato. «È una mia responsabilità» ripeté. «Anche solo per oggi, quindi è mia.» Ash la fissò. Dopo un attimo sia de la Marche che il vescovo John chinarono il capo. «Già quando ero un chirurgo ero responsabile della vita o della morte degli uomini. Va bene. Inviate i vostri assassini.» L'espressione del viso sembrava risoluta, ma Ash vi lesse una sorta di in-
torpidimento che conosceva bene. «Vedere morire qualcuno quando stai cercando di estrarre dal suo corpo una palla d'archibugio è qualcosa di diverso dall'ordinare la morte di una persona. L'avrei fatto io, Florian.» «Può anche non essere la duchessa, demoiselle Ash» le rammentò Philippe Ternani, senza aprire le sottili palpebre venate «ma potete agire solo con il suo permesso.» Avrebbe voluto far notare all'uomo che Florian non aveva bisogno di quel genere di cose in quel momento, ma si morse la lingua. Florian strofinò le dita una contro l'altra. «Non ho mai desiderato di diventare, duchessa, Ash. Se avessi avuto voglia di immischiarmi nella politica burgunda sarei potuta venire a corte quando ero una ragazza.» Ash notò un certo disappunto apparire sui volti dei presenti. «Tornerò a palazzo ogni giorno, ma non posso mandare avanti l'ospedale della compagnia a distanza» annunciò Floria, decisa. «Baldina non è abbastanza esperta per far fronte a tutto da sola. Parlerò con gli abati per quanto riguarda gli ospedali per i feriti civili. Occuperò il piano terra. Gli uomini possono dormire nei sotterranei.» Neanche questo è il modo di comportarsi, pensò Ash. Questi uomini hanno bisogno di te qua. Sei la loro duchessa... Trattenne l'impulso di urlare al chirurgo e disse: «Visti i bombardamenti non sarebbe meglio mettere i feriti nei sotterranei?» Floria annuì con decisione. «Va bene, sarà fatto.» Dall'esterno giunse un boato lontano. Ash si avvicinò alla finestra e vide gli ultimi bagliori di una scia di fuoco che tracciava un arco nel cielo. «Non trovate che sia carino? Il bombardamento dell'Ora Nona. Possiamo regolare l'ora con l'attività dei ragazzi al ponte sud. Hai ragione riguardo la torre, Angeli. Non è necessario rendere loro la vita facile.» L'atmosfera si rilassò un poco. Non voglio riparare fratture ogni volta... pensò Ash. Incontrò lo sguardo di Floria e vide che la determinazione nei suoi occhi era impercettibilmente minata dal panico. «Va bene, ragazzi. Adesso abbiamo qualcosa su cui lavorare. Dieci minuti di pausa per cazzeggiare e bere una birra.» Sorrise. «Poi si torna qua e cominciamo a scendere nei particolari.» «Ho bisogno dell'esercito di Margaret il più presto possibile, giusto?» le chiese Floria, sfruttando la copertura offerta dal rumore delle sedie che strisciavano contro il pavimento per nascondere il tremito nella voce.
Il consiglio andò avanti fino a sera. I servitori portarono le candele di cera d'api e Ash sospirò nel mezzo di una discussione. In confronto alle puzzolenti candele di sego che teneva nei magazzini della compagnia quelle erano un vero e proprio lusso. Il grado ha i suoi privilegi. Un sorrisetto cinico le incurvò le labbra. Si accorse che Romont la stava fissando e tornò al tavolo dove spostò i piatti per visualizzare la disposizione delle compagnie burgunde sulle mura di Digione. «La metà dei suoi uomini sono figli di mercanti!» tuonò Saint-Seigne, uno dei centeniers. «Non voglio che i miei uomini difendano lo stesso cancello difeso da quelli di Loyecte!» Sant'Iddio! esclamò Ash tra sé e sé, trattenendosi a stento dallo sbottare. «Questo consiglio comincia a segnare il passo a causa della stanchezza» fece notare educatamente de la Marche. Si girò verso Floria. «Vostra Grazia, nessuno di noi ha dormito. C'è molto da fare per essere sicuri di esser pronti. La metà di noi dormirà di giorno e l'altra di notte.» «Tranne la Pulzella di Borgogna che può resistere fino al Mattutino e alzarsi per i Vespri...» sussurrò Anselm ad Ash. «'Fanculo, rosbif!» L'Inglese rise di gusto. «Anche tu hai bisogno di dormire!» Ash gli diede una gomitata. «Florian...» «Non muoverti» disse il chirurgo in tono secco. La stanza si era riempita del rumore provocato dai cavalieri che si alzavano o sistemavano i fogli di carta. Il vescovo John di Cambrai si alzò dal suo posto, ma invece di avvicinarsi alla porta come fecero tutti gli altri, si diresse verso la duchessa Floria. «Vescovo John» lo accolse Floria indicando al tempo stesso Ash con un dito. «Riguardo domani notte... questo è il testimone per la mia investitura.» Il religioso si illuminò in volto. «Certo, duchessa.» «Non ho tempo da perdere in un'altra cerimonia pubblica che dura ore, Florian!» protestò Ash, consapevole che Anselm e Angelotti la stavano aspettando mentre parlavano in tono concitato con la sua scorta che nel frattempo era potuta rientrare nella stanza. «Cerimonia pubblica?» Il vescovo rimase molto stupito. «La gente non
ha bisogno di vedere questa cerimonia. Hanno riconosciuto la duchessa nelle strade. L'incoronazione ducale è una cosa tra lei e Dio.» «Un altro buon motivo per il quale non sono necessaria» rispose Ash, determinata. «La duchessa desidera che voi vegliate con lei, me e altri due testimoni per tutta la notte. Il mattino seguente ci sarà la messa che la incoronerà, ma niente di quello che gli uomini possono fare può renderla più o meno di quella che è.» «Sono impegnata! Ho una... compagnia da mandare avanti! Anzi, no! Un esercito! Devo controllare i servizi delle compagnie burgunde...» Floria le posò una mano sul braccio e la strinse con tutta la forza che aveva in corpo. «Voglio un'amica che stia con me, Ash. Non voglio che tu mi dica che si tratta solo di un mucchio di stronzate.» «Non devi dirmi che pensi la stessa cosa!» gracchiò Ash, stupita. Floria sorrise ignorando l'espressione del religioso. «Non è questo il punto. Ricordi quando hai parlato con Carlo? Tu vuoi sapere perché proprio la Borgogna. Lo stesso vale per me. Sono la duchessa, Ash. Anch'io voglio sapere perché la Borgogna e perché me.» Ash batté le palpebre. La stanchezza cominciava ad avere la meglio. Relegò la debolezza crescente in quell'angolo della mente riservato a quel genere di sensazioni. «E questa 'veglia' ci fornirà la risposta?» Floria fissò il vescovo. «Meglio che lo faccia.» VII Ash dormì un'ora nel corpo di guardia al cancello sud e un'altra ora nell'armeria mentre i funzionari stilavano l'inventario. Il resto della notte e della mattina seguente lo passò con gli uomini. Parlò con loro, ne giudicò il morale e ascoltò i rapporti degli ufficiali, ma la cosa più importante era che la vedessero in circolazione. «Una Pulzella?» si chiese incuriosito un vecchio privo di naso, veterano delle campagne del duca Filippo. «Mi sembra giusto... Dio ne ha inviata una ai Francesi, il minimo che poteva fare era mandarne una anche a noi!» Il discorso diede l'occasione ad Ash di far finta di non aver capito. «Nonno, tu sei semplicemente stupito di scoprire che a Digione c'è ancora una vergine» gli fece notare, sorridendo. Prima che Ash lasciasse le caserme, l'aneddoto fu ripetuto più volte con diverse aggiunte e la seguì fino alla sala del visconte maggiore, dove fu
accolto con disagio piuttosto che con divertimento. Ormai, dopo aver parlato contemporaneamente con tre o quattro uomini, Ash non badava più a quello che potevano pensare i civili. A mezzogiorno tornò alla torre della compagnia, si tolse la corazza aiutata dai paggi, si sdraiò sul letto e si addormentò ancora prima di toccare con il viso la federa imbottita di paglia. Dormì per tutto il primo pomeriggio svegliandosi solo quando udì il rumore provocato dai tre paggi seduti vicino al camino intenti a pulirle l'armatura arrugginita. L'odore dell'olio le penetrò nelle narici e la destò al punto da farle battere le palpebre. Dall'altra parte della stanza, Robert Anselm dormiva abbandonato sul lettino da campo. Ash si puntellò su un braccio e si alzò. «Capo.» Rickard si accucciò vicino al pagliericcio. «C'è un messaggio dal capitano Angelotti: 'Non sei indispensabile, la compagnia se la cava benissimo anche senza di te: torna a dormire!'» Ash grugnì una protesta incomprensibile e ricadde sul cuscino addormentandosi all'istante. Al secondo risveglio vide uno dei paggi che mangiava del pane vicino al camino e Angelotti buttato sul letto. Dormiva sulla schiena e il russare da cinghiale contrastava nettamente con l'aspetto angelico del volto. Rickard, inginocchiato a terra, alzò gli occhi e smise di sabbiare la ventaglia dell'elmo. «Capo, un messaggio dal capitano Anselm e messer de la Marche: 'Non sei indispensabile; l'esercito va alla grande...» «Ah, stronzate!» tagliò corto Ash. Non aveva sognato. Non c'era stata nessuna traccia del cinghiale o della neve fredda. Era sprofondata in pozzo. Godfrey, se era presente, doveva trovarsi a un livello troppo profondo per riuscire a essere percepito. Quando si svegliò per la terza e definitiva volta si trovò arrotolata tra le coperte e le lenzuola con la luce del tramonto che le batteva sul volto conferendo alla pelle un colorito dorato. «Il dottore... la duchessa ha mandato un messaggio» la informò Rickard, appena si accorse che era sveglia. «Vuole che tu vada nella cappella.» Ash arrivò nella sala da bagno della cappella dedicata al culto di Mitra nell'istante in cui Floria del Guiz usciva da una tinozza di legno e i servitori si affrettavano ad asciugarla. L'acqua bagnò gli asciugamani e il vapore che riempiva l'aria cominciò a dissiparsi rimpiazzato velocemente dal
freddo. «E questo per te sarebbe immediatamente?» le chiese Floria. Ash diede il mantello a un paggio e si girò. La duchessa aveva indossato un abito lungo bordato di pelliccia. «Ho un lavoro da svolgere. Dovevo parlare con Jonvelle, Jussey e gli altri centeniers di de la Marche.» Ash sbadigliò e fissò Floria che congedava i servitori con un cenno della mano. «Per non parlare dei cavalieri tedeschi e francesi che hanno cercato rifugio da noi. Sono tutti molto simpatici, adesso bisogna vedere cosa succederà quando saranno impartiti loro i primi ordini...» «La prossima volta vieni subito quando ti chiamo.» Floria aveva parlato in tono aspro, Ash aprì la bocca per replicare, ma Floria aggiunse: «Si suppone che io sia la duchessa. Mi hai presa sottogamba di fronte a queste persone. Ho poca autorità, quindi non c'è bisogno che venga minata.» «Ah.» Ash la fissò, quindi scrollò le spalle e si passò una mano tra i capelli corti. «Va bene. Mi sembra giusto» acconsentì. Si fissarono per qualche secondo. «Ho capito» assicurò Ash. «Il capo è stato ferito nell'orgoglio.» «Tu...» Ash si fermò perché avrebbe voluto farle notare che non era una duchessa nel senso stretto del termine. «Sai che qualunque cosa tu possa rappresentare per le Macchine Impazzite... per me e la compagnia non sarai mai la duchessa.» «Sono contenta di sentirlo» disse la nobildonna, malinconica. «Rimane il fatto che non ho tempo da perdere con queste cose. Hai già parlato con il vescovo?» «Non dirà nulla finché non avremo finito la veglia.» «'Fanculo. Facciamola. Chi ha bisogno di dormire?» I servitori personali della duchessa uscirono nuovamente da dietro la tenda, uno di essi portava il vino e gli altri due asciugamani e abiti puliti. Ash rimase a osservare Floria mentre i servitori la spogliavano continuando a pensare alle liste degli uomini. La duchessa girò la testa, aprì la bocca per dire qualcosa, arrossì e si girò nuovamente. Un colorito rosato era apparso sulla gola e sui seni nudi di Floria. Ash, che dal suo ex chirurgo si aspettava un commento caustico da un momento all'altro piuttosto che l'imbarazzo, sentì improvvisamente che arrossiva e distolse a sua volta lo sguardo.
Anche lei si sente come mi sentivo io quando Fernando mi guardava? pensò. Erano passati cinque mesi da quando erano stati a letto insieme: le sue dita ricordavano ancora il calore del pene e la pelle vellutata... il movimento delle natiche nude sotto le sue mani mentre la penetrava. Fernando poteva essere morto nel terremoto di Cartagine o, se non era andata così, doveva aver divorziato. Era troppo pericoloso per un cavaliere germanico rinnegato avere una moglie franca e vivere in una tenuta visigota... Ed essere fratello di una duchessa burgunda? rifletté improvvisamente. Mi chiedo se questo non gli porterà altri problemi, sempre che sia ancora vivo. «Andiamo» ordinò Floria, alle sue spalle. Osservò Ash che sussultava con curiosità, ma non disse nulla. La pelle era ancora velata da un lieve colorito rosa che, però, poteva essere stato provocato dallo sfregamento degli asciugamani. «Quanto tempo ci vorrà?» «Fino all'Ora Prima di domani.» «Tutta la notte? Cazzo...» Floria indossava un abito lungo di colore bianco sopra un altro abito lungo di lana d'agnello. Entrambi gli abiti avevano un aspetto sobrio. I capelli biondi erano coperti da una cuffia di lino. La duchessa fece un passo indietro, schioccò le dita e un attimo dopo una ragazza le portò la vestaglia bordata di pelliccia. Ash osservò Floria che infilava l'abito voluminoso, quindi si girò e fece cenno al paggio di portarle il suo mantello e il cappello. Il gelo conservato dalle pareti di pietra stava già permeando l'aria anche se la sera era scesa da poco. «Chi ha bisogno di una veglia» mormorò Ash, sorridendo appena. «Non devi fare altro che continuare a comportarti come una duchessa...» Floria si fermò, fece uscire il braccio dalla manica larga, diede una rapida occhiata alle sue spalle per essere sicura che i servitori stessero andando via e disse: «Non è giusto!» Ash sistemò le spalle dell'abito di Florian e si girò verso la tenda che nascondeva l'ingresso del passaggio che portava alla cappella mitriaca. Fece un passo avanti e la scostò. «Credo che la duchessa abbia sempre la precedenza...» Florian non rise. Le torce che illuminavano il passaggio rendevano l'aria acre. Ash si rese conto che le sue dita si erano posate automaticamente sulla daga che por-
tava al fianco. Il sollievo che provava per il fatto di poter indossare per qualche ora solo gli abiti civili e non l'armatura, era smorzato dal freddo. Si avvolse nel mantello e seguì Florian. La duchessa si fermò. «Oggi pomeriggio ho ordinato ad alcune persone di uscire dalla sala del consiglio» le raccontò senza girarsi. Ash lasciò cadere la spessa tenda alle sue spalle tagliando fuori ogni suono proveniente dalla stanza attigua e rimase sola con l'ex chirurgo nel passaggio dal basso soffitto di granito. «E lo hanno fatto» continuò Floria. «Se avessi voluto li avrei potuti far buttare fuori.» «Avresti potuto fare molto di più se solo avessi voluto» le fece notare Ash, parandosi di fronte a lei. Diede un'occhiata alla tenda. Immobile: i preti non erano ancora arrivati. «Questo è il problema.» La voce di Floria risuonava piatta e ovattata contro la pietra. «Ah, aspetta» disse Ash, in tono riflessivo prendendola a braccetto e incamminandosi verso la fine del corridoio. «Aspetta quando dovrai far buttare fuori qualcuno in malo modo. Allora comincerai a tirare dritto...» «Vuoi dire che ho fatto un uso illegittimo del potere che mi è stato affidato?» La domanda di Floria era venata da un certo panico. «Succede a tutti prima o poi. A ogni comandante di lancia, a ogni centeniers. A tutti i nobili.» «E a te?» sbottò Floria. «A me?» Ash scrollò le spalle abbandonando quello di Floria e continuando a camminare tranquilla verso il fondo del cunicolo. «Deve essere successo... la prima volta che ho ordinato a sei dei miei uomini di storpiare un tizio. Era a... non ricordo bene... in qualche città del nord della Francia.» Sapeva che Florian la fissava e che era attraversata da un brivido. «Cosa era successo?» «Un civile disse: 'Ehi, ragazzina, porterai anche i pantaloni e meni la spada a destra e sinistra, ma sei sempre una stronza che deve accucciarsi per pisciare', pensava di aver detto qualcosa di divertente. Io ho pensato: 'Va bene, ho qua con me sei ragazzoni che indossano una cotta di maglia che io ho pagato con i miei soldi e le insegne della mia compagnia...' Lo hanno massacrato di calci. Gli ruppero le ginocchia e la faccia.» Floria si girò verso di lei con un'espressione disperata in viso. «E quanto tempo sarebbe durata la tua autorità se non avessi permesso loro di stor-
piarlo... se avessi lasciato correre?» domandò, quasi stesse cercando una scusa. «Oh, circa cinque minuti.» Ash arcuò un sopracciglio. «Ma a quel punto non avrei avuto bisogno di farlo storpiare e non dovevo andare in città in cerca di rogne.» Non era consapevole che sul suo volto era apparsa un'espressione che era un misto di vergogna, rammarico e orgoglio. «Ero piuttosto giovane. Forse dovevo avere quattordici anni. Capiterà anche a te, Floria. La prima volta che cinquecento persone cominceranno a ripetere il tuo nome all'infinito, dopodiché si lanceranno all'attacco perché sei stata fu a dirlo... comincerai a sentire che puoi fare di tutto. E alle volte lo farai.» «Non voglio scoprirlo.» Ash allungò una mano per spostare una seconda tenda. «Dimmelo tra sei mesi, sempre se saremo ancora qua. Una volta che l'hai assaporato non puoi farne a meno, ma non devi neanche prenderci troppo gusto.» Spostò il drappo. «Se lo fai troppe volte, la gente smette di darti retta. Non sei in comando, sei solo di fronte...» Florian strinse il mantello. «Non trovi che sia spaventoso? Tu hai il comando di un esercito!» «Non chiedere mai a Baldina in che condizioni è la biancheria intima che le porto da lavare» disse Ash, lanciandole una rapida occhiata e sorridendo al tempo stesso. Florian distolse lo sguardo senza rispondere. Ha bisogno di risposte serie, pensò Ash, e io ho paura di dargliele. «Allora? Avanti!» sbraitò Ash, alzando la voce. «Non c'è neanche un fottuto prete in questa cappella? Dov'è quel dannato vescovo?» «Sta consacrando la cappella, demoiselle» le spiegò una voce colma di disapprovazione. «Volete che gli dica di sbrigarsi?» Ash entrò nell'anticamera e per attimo si aspettò di trovarsi faccia a faccia con Jeanne Châlon, ma la figura che si trovò di fronte non somigliava per nulla alla zia della duchessa. Le torce ardevano nell'aria gelida e Ash socchiuse gli occhi per osservare il volto tondo e paffuto della donna di fronte a lei. Alle sue spalle c'era un uomo anziano dal volto vagamente familiare. «Demoiselle» l'accolse l'uomo togliendosi la cuffia che rivelò il cranio calvo. «Temo che non vi ricordiate di me, ma credo che vi ricorderete di Jombert. È un bravo cane. Questa è mia moglie Margaret. Io sono Culariac, il guardiacaccia del duca.» Si girò verso Floria. «Il guardiacaccia del-
la duchessa, vi chiedo scusa, Vostra Grazia.» Ash sentì un naso freddo contro le dita, abbassò la mano e grattò dietro le orecchie il grosso cane da caccia che le annusava il bordo di pelliccia del vestito che indossava sotto il mantello. «Jombert!» esclamò Ash. «Mi ricordo. Siete l'uomo che si è recato al campo visigoto per chiedere la tregua per svolgere la caccia.» L'uomo sorrise, ma la donna continuò a fissarla in cagnesco e dopo qualche secondo Ash riconobbe il tipo d'occhiata. Be', non imparerò a combattere con la gonna solo per farle piacere, pensò. «Siamo qua in veste di testimoni, Vostra Grazia» aggiunse il vecchio inchinandosi. Tutta la reverenza che ci poteva essere nello sguardo del guardiacaccia scomparve quando il cane finì di annusare Ash, diede una rapida annusata alla duchessa e tornò vicino alle gambe del suo padrone. Culariac lo fissò con sguardo colmo d'affetto. Di che cos'è più orgoglioso? si domandò Ash. Del cane o della sua posizione? Domani notte berrà a entrambe le cose. Sempre che la città esista ancora. «'Testimoni?'» indagò Ash. «Solo per essere sicuri che Vostra Grazia rimanga dentro tutta la notte.» La donna indicò con il pollice la stanza che si trovava oltre la tenda ricamata in verde e oro. «Rimarremo qua fuori» assicurò Margaret. «Non dovete preoccuparvi, Vostra Grazia, ho portato il cucito con me e Culariac mi sveglierà se dovessi addormentarmi e io farò lo stesso con lui.» «Giusto» rispose Floria in tono piatto. Un fremito quasi impercettibile attraversò il pavimento di pietra. Ash pensò immediatamente a un colpo di trabocco caduto a poca distanza dal palazzo. La vecchia portò una mano al petto facendo il segno delle corna. «Dove cacchio l'hanno trovata?» domandò Ash mettendosi alle calcagna di Floria che si era incamminata verso la tenda. «Estratta a sorte» rispose la duchessa a bassa voce. «Dammi forza mio Signore!» «Anche quella.» «È meglio che il tuo dannato vescovo ci dia una serie di risposte.» «Già.» «Hai scelto un uomo di mondo come prete.» «Perché avrei dovuto sceglierne uno devoto?» Ash fu presa alla sprovvista dalla risposta e spostò la tenda. Il granito
delle pareti e del soffitto fu sostituito dall'arenaria. Il pavimento si inclinò verso il basso trasformandosi in una serie di scalini alti e larghi. Le staffe che spuntavano dalle pareti reggevano le torce. Ash vide che sulla pietra erano ancora visibili i segni degli scalpelli. Il fumo ondeggiava a causa dell'aria umida che penetrava dai condotti di ventilazione scavati nella pietra. «Non farebbe così freddo se fossimo sottoterra» fece notare in tono pragmatico. Florian tirò su i lembi del vestito per impedire che strusciassero sul pavimento. «Mio padre tenne la sua veglia per diventare cavaliere qua. Mi ricordo che me ne parlava quando ero molto giovane. Forse è l'unica cosa che ricordo ancora di lui.» Diede un'occhiata al soffitto a volta, come se potesse vedere il palazzo soprastante. «Era il favorito del duca Filippo, prima di diventare leale all'imperatore Federico.» «Diavolo. Adesso capisco da chi ha preso Fernando.» «Mio padre si sposò nella cattedrale di Colonia.» Floria si girò e sorrise per l'espressione scossa di Ash. «Ricevemmo la notizia da Costanza. Un motivo in più per non essere stata presente al tuo matrimonio.» Ash inciampò su uno spigolo del pavimento e superò la soglia barcollando. Per un attimo non le sembrò di entrare in un stanza fumosa, ma di essere tornata tra le alte colonne della cattedrale gotica nella quale si era sposata. Rivide Fernando che le toccava il viso e le diceva: «Sento odore di piscio...» Mi ha trattato peggio di una puttana! pensò furibonda. Non avrebbe riso di una puttana. Ash fece il segno delle corna. Florian era ferma di fronte a lei, immobile come una statua con la testa rivolta al soffitto. Le piastrelle di terracotta della cappella erano sconnesse e consumate dalle migliaia di piedi che le avevano calpestate per assistere a riti sanguinosi. Ash si rese conto che il locale era largo pochi metri quadrati. Il senso di claustrofobia non era diminuito dalla luce delle torce poste oltre le griglie sul soffitto. «Ho freddo ai piedi» sussurrò Florian. «Non ti geleranno solo i piedi se dobbiamo restare qua tutta la notte!» Ash dovette sforzarsi di tenere la voce bassa. «Cristo Verde!» esclamò, appena la vista si adeguò alla penombra. Ogni spazio libero delle pareti era coperto da un mosaico le cui tessere erano gemme preziose. «Guarda. Il riscatto di un re. Anzi, di più!» borbottò Floria. «Non mi
stupisco della gelosia di Luigi.» «Al diavolo il riscatto di un re, potresti pagare una dozzina di legioni con tutto questo...» Ash si avvicinò al mosaico che rappresentava la nascita del Cristo Verde per osservarlo meglio. La madre, che apparteneva a una famiglia imperiale ebrea, giaceva mezza morta sotto i rami della quercia nel tentativo di dare alla luce il figlio. Il bambino che succhiava il latte dalle mammelle del Cinghiale; l'Aquila sui rami che alza la testa e sta spiccare il volo affinché, tre giorni dopo, Augusto e le sue legioni potessero raggiungere il punto giusto situato nella foresta germanica. Nel pannello seguente era raffigurato il Christus Viridianus che guariva la madre con le foglie della quercia. «Potrebbero essere rubini» disse Ash. La cera calda della candela le colò sulla mano facendola sussultare. Avvicinò la candela a uno dei pannelli studiando il quadrato che delimitava il sangue perso alla nascita provando un'improvvisa ondata di nausea. «O forse granati» aggiunse, con uno sforzo. Floria seguì il circuito dei pannelli posti lungo le pareti: Viridianus e la sua legione in Giudea che si riposano dopo le guerre persiane, Viridianus che parla agli Anziani ebrei; Viridianus e i suoi ufficiali che adorano Mitra. Infine il funerale d'Augusto con la conseguente incoronazione del suo vero figlio, mentre, sullo sfondo, l'espressione del figlio adottivo, Tiberio, e quella degli altri cospiratori permettono di capire che vogliono impiccare Viridianus alla quercia rompendogli prima le ossa, senza però spargere una goccia di sangue. Uno dei circuiti della stanza finiva dove si trovava Ash: l'ultimo pannello prima di quello della nascita rappresentava Costantino che, tre secoli dopo, converte l'impero alla religione di Viridianus. I Giudei continuarono a considerarlo come un profeta, mentre i seguaci di Mitra lo consideravano già da tempo come il Figlio del Sole mai Conquistato. «Non mi sembra che ci sia stata una messa» azzardò Ash, dubbiosa. Nel centro della stanza c'erano i due blocchi di pietra ai quali era incatenato il toro. In mezzo a essi la grata annerita dai resti dei sacrifici precedenti. Le sbarre non erano bagnate. Ash provò la resistenza delle grate di ferro che chiudevano i condotti dell'aria. Le catene si mossero appena. Fissò per qualche secondo la discesa che serviva a condurre il toro nella stanza. Quando si girò fissò Floria e comprese dal suo sguardo che stava per scoppiare a ridere. «Cosa c'è?» le chiese aggrottando parzialmente la fron-
te e prossima anche lei a ridere. «Hanno portato un toro per la messa» disse la donna dopodiché tirò su con il naso e aggiunse: «Mi chiedo cosa se ne farebbero di un paio di vecchie vacche?» «Florian!» Il chirurgo attraversò la stanza senza esitare, si avvicinò alla porta di legno che si trovava all'altro angolo della stanza e la aprì. La scalinata buia fu illuminata dalla luce della torcia. Florian lanciò un'occhiata alle sue spalle, raccolse l'abito in modo che non le fosse d'intralcio i piedi e cominciò a scendere. Ash attese per un minuto, quindi la seguì. «Aspetta, dannazione!» La ripida scala incassata tra le spesse pareti scendeva a vite e Ash si rese conto che se avesse indossato l'armatura non sarebbe riuscita a muoversi. La pietra umida le macchiava l'abito. Il corpo di Florian schermava la luce. Ash la seguiva a fatica. A un certo punto toccò con una mano lo stipite in legno di una porta. La superò e un attimo dopo si ritrovò su uno stretto pianerottolo che si apriva su un pozzo molto profondo. «Merdaaaa...» «Questo è antico. Deve essere stato fatto dai monaci» osservò Florian che fissava a sua volta il baratro dalle pareti in mattoni. «Forse la Grazia di Dio impediva loro di cadere dentro.» La luce proveniente da oltre la griglia sacrificale posta sul soffitto rischiarava appena l'oscurità del pozzo e permise loro di vedere che sul fondo brillava la luce di altre candele. La porta da cui erano entrate dava un accesso quasi diretto al pozzo. Gli occhi di Ash si abituarono alla penombra e vide che sulle pareti del pozzo c'erano dei gradini. «Andiamo.» Toccò un braccio di Floria e si mise sulla piccola piattaforma. Un muretto alto fino al ginocchio ricoperto di mosaici era l'unica barriera che le separava dal baratro, ma non era rassicurante: un piede che scivolava e la caduta nel vuoto era assicurata. «Dannazione!» borbottò Florian. Ash si girò con il fiato mozzato in gola e vide che il volto dell'ex chirurgo era imperlato di sudore. «Attaccati alla mia cintura.» «No, me la cavo da sola.» «Prima arriviamo là sotto, meglio è.» Ash inalò l'odore della cera delle candele e della pietra umida, si tran-
quillizzò e cominciò a scendere come se quelle fossero le scale di un castello qualsiasi. I gradini erano alti e consumati nel centro da anni e anni di passaggi. All'angolo del pozzo, la scala curvava bruscamente formando un piccolo pianerottolo dopodiché tornava a scendere. Con il passare del tempo, gli occhi di Ash si abituarono sempre di più all'oscurità e si rese conto che le forme indistinte che aveva intravisto sulle pareti erano in realtà mosaici. Evitò di fissare il vuoto oscuro e continuò a scendere sempre più in basso. Sempre più in basso e una svolta. Sempre più in basso... «Ci deve essere un altro modo per entrare!» sbottò Florian, alle sue spalle. «Forse no. Chi dovrebbe venire qua sotto se non i preti?» L'ennesima svolta. Ash teneva una mano davanti a sé e appoggiata sul muro per mantenere l'orientamento e per controbilanciare l'impulso di lasciarsi cadere nel vuoto. «Ecco uno dei requisiti per il cappellano del duca, Florian... non deve soffrire di vertigini!» «Il cappellano della duchessa» le rammentò Florian, trattenendo una risata. Vorrei che fosse così facile, pensò Ash. Il bagliore giallo delle candele le avvolgeva. Ash alzò lo sguardo e si rese conto che la luce impediva loro di vedere la grata in cima al pozzo. Dovevano trovarsi circa sei o sette metri dal fondo. Vedeva il pavimento di marmo rosso e nero... no: terracotta, ma con le tracce della messa giornaliera che ancora gocciolavano dal blocco di pietra dell'altare. L'ultimo angolo, gli ultimi gradini. Il muretto terminò e Ash entrò in una cappella. Si era consumata la pelle dei polpastrelli a forza di strofinarli contro il muro. «Ringrazio Dio per aver fatto giungere la fine!» disse, infilandosi i guanti. Floria arrivò in fondo alle scale e la urtò. Si asciugò il viso. I capelli splendevano alla luce delle candele. «Grazie a Dio, sono d'accordo» disse un'ombra che si trovava dietro l'altare «ma vorrei che fosse pronunciato con maggiore devozione, se possibile, demoiselle.» «Vescovo John?» «Vostra Grazia» salutò il religioso, rivolgendosi a Floria del Guiz. Ash, sorpresa di sentire le ginocchia leggermente deboli, fece qualche passo attraverso la cappella. Grazie alla luce delle candele riuscì a vedere che era più larga del pozzo e orientata da est verso ovest. Il soffitto a botte era di mattoni. Sotto una delle volte era custodito un piatto da chiesa, l'al-
tra conteneva una pala dipinta. Quanto tempo dovrà passare prima di potergli chiedere perché la Borgogna? E quanto tempo ci vorrà prima che risponda? Un novizio vestito di verde e bianco passò di fronte al vescovo con uno stoppino acceso in mano, si inchinò di fronte all'uomo, quindi cominciò ad accendere le candele. Pochi attimi dopo l'odore di c'era d'api pervase l'aria e ogni centimetro della cappella fu illuminato. I muratori avevano squadrato l'arenaria, mentre gli artigiani avevano creato una serie di mosaici rappresentanti l'Albero, il Toro, il Cinghiale e, proprio intorno all'altare di marmo scurito dal sangue rappreso, un Cristo Verde dagli occhi ovali inscritto all'interno di un quadrato. Floria si tolse la cuffia e Ash fece scendere il cappuccio del mantello. Si erano mosse quasi all'unisono. Ash represse un sorriso. Ci siamo vestite da uomini troppo a lungo! pensò, mentre sentiva il corpo intirizzito dal freddo che si rilassava a contatto del calore crescente. «Dobbiamo celebrare una messa?» chiese Floria. «No.» La voce dell'uomo risuonò piatta contro le pareti. «No?» Ash si rese conto che poteva sentire i passi dei preti e dei novizi che camminavano sul pavimento del locale soprastante, ma non sentiva né l'odore né i suoni prodotti da un torello. «Potrò anche essere accusato di cercare di ripopolare la Borgogna da solo» esordì il vescovo di Cambrai, in un tono che sembrava velato da un certo divertimento «e di abbandonarmi troppo spesso ai piaceri della carne, ma non sono un ipocrita, duchessa Floria, quello proprio no. Nel corso dell'incontro svoltosi nella torre ho avuto modo di osservare sia voi sia il vostro capitano qui presente. Non ho bisogno di ripetere quello che avete detto. Siete ormai così lontana dalla vostra fede che ci vorrebbe più di una notte per riportarvi in comunione con Dio.» «No, Vostra Grazia» disse Ash, tranquilla. «Il chirurgo... voglio dire, la duchessa... ha sempre assistito alla messa che si teneva al campo e ha lavorato con i diaconi nell'ospedale...» «Non sono l'inquisizione» precisò il vescovo girandosi a guardarla «ma so riconoscere un eretico quando ne vedo uno e so anche riconoscere quando un brava donna è allontanata da Dio da un destino crudele. Questa è Floria, figliola, ma lo stesso discorso vale anche per voi. Io penso che abbiate perso quel minimo di fede che vi rimaneva durante la detenzione a Cartagine.»
Ash strinse le labbra per un momento. «È successo molto prima di allora.» «Davvero?» Il religioso arcuò le sopracciglia. «Ma è da quando siete tornata da Cartagine che parlate di macchine, marchingegni e donne allevate come i tori di Mitra... nulla di tutto ciò ha a che fare con Dio, 'Pulzella di Borgogna.'» Ash strofinò una mano sulla pancia. Il vescovo tornò a dedicarsi a Floria. «Non posso certo rifiutarvi la comunione se me la chiedete, ma vi consiglio caldamente di non farlo.» Floria sbuffò esasperata e incrociò le braccia sul petto. I lembi del vestito le scivolarono di mano e tornarono a strusciare per terra. La luce calda delle candele faceva risaltare il biondo dei capelli e il profilo donando un certo colorito alla pelle, senza però, nascondere l'estrema magrezza del volto. «Cosa facciamo, allora?» chiese Floria, acida. «Rimaniamo seduti qua sotto per una notte? Se è tutto qua, sarei molto più utile al ducato se potessi dormire.» «Vostra Grazia, io sono un uomo di chiesa con una famiglia molto grande di bastardi speranzosi, per non parlare di quelli che devono arrivare. La carne è quello che è. Come posso essere io a scagliare la prima pietra contro di voi? Anche senza una messa, questa rimane sempre la vostra veglia.» «Il che significa?» «Lo saprete presto.» Il vescovo di Cambrai posò una mano sull'altare come se cercasse sicurezza. «Lo stesso vale per tutti noi. Perdonatemi se vi dico che messer de la Marche è ansioso quanto me di sapere cosa ne farete di tutto questo.» «Ci scommetto che lo è» borbottò Ash. «Va bene, niente messa: cosa deve fare la duchessa?» Le fiammelle delle candele si agitarono facendo danzare le ombre sulle pareti. La zaffata di fumo acre rischiò di far tossire Ash, che tuttavia riuscì a trattenersi. «Prenderà la corona ducale, se Dio lo vorrà. Vi suggerisco di passare il tempo in meditazione.» Il vescovo inclinò di poco la testa verso Floria. Ash si schiarì la gola rumorosamente con un colpo di tosse. «Mi aspettavo che ci fosse un rituale stabilito, Vostra Grazia» disse, asciugandosi gli occhi. «Volete dire che Floria può fare quello che crede meglio?» «Mio fratello Carlo passò la notte in preghiera con la corazza completa addosso. Quattordici ore senza una pausa. Questo mi fece almeno capire
che genere di duca avremmo avuto. Mi ricordo che mio padre mi disse che lui si era portato del vino e aveva fatto arrostire la carne del Toro.» Le labbra del vescovo si incurvarono in un sorriso. «Non me lo ha mai detto, ma sospetto che si fosse anche portato una donna affinché gli tenesse compagnia. Una notte in una cappella fredda è molto lunga quando si è soli.» Ash scoprì che stava sorridendo ammirata all'indirizzo del fratellastro di Carlo, figlio di Filippo. «Voi» continuò indicando Floria «avete portato una donna con voi; una donna che si veste da uomo.» Ash smise di sorridere. «Come avrete capito» disse il vescovo «vostra zia Jeanne Châlon mi ha parlato.» «E cosa vi ha detto?» La domanda diretta di Floria mise visibilmente in imbarazzo John di Cambrai. Ash, che aveva già avuto più di un'esperienza con uomini simili, pensò: cosa gli avrà detto la vecchia vacca poco fa? Il vescovo parlò chiaro e con ovvio disprezzo. «È vero che avete avuto un'amante donna?» «Ah.» Sul volto di Floria era apparso un sorriso tutt'altro che divertito. «Fatemi indovinare. Ci sono una nobildonna e una zitella... la nipote è nominata duchessa... ma c'è uno scandalo terribile in famiglia. Lei viene a parlarvene prima che la cosa diventi di pubblico dominio e vi dice che è un suo dovere confessare tutto.» «Parati il culo» borbottò Ash, che in quel modo ebbe l'impressione di aver assunto un tono di voce simile a quello di Robert Anselm. «Gesù! Quella vacca!» aggiunse. «Non l'hai colpita abbastanza forte!» Floria non distolse gli occhi dal vescovo. «Più o meno è andata così» ammise John. «Avrebbe dovuto preferire la lealtà nei confronti della sua famiglia piuttosto che avvertirmi che voi oltre a vestirvi come un uomo vi comportate come tale anche in altre circostanze?» Passò qualche secondo nel più assoluto silenzio. «L'accusa esatta era che lei era un'Ebrea che trattava pazienti cristiani» spiegò Florian continuando a fissarlo. «'Lei?'» «Ester, mia moglie.» Sulle labbra di Floria apparve un sorriso stanco. «La mia amante. Troverete tutti i dettagli nei rapporti dello Scranno Vuoto.»
«Roma è al buio e non potreste mai fare il viaggio» si intromise Ash. «Non dire nulla che non vuoi dire.» «Oh, ma io voglio parlare.» Lo sguardo di Floria era infuocato. «Lascia che il vescovo sappia cosa sta per avere. Perché io sono la duchessa.» Ash ebbe l'impressione che l'ultima frase avesse fatto sussultare John di Cambrai. «Io ed Ester divenimmo amanti quando terminai gli studi a Padova.» Floria tornò a incrociare le braccia sul petto. «Lei non ha mai pensato neanche per un istante che io fossi un uomo. Quando fummo arrestate a Roma, lei aveva appena avuto il bambino ed era proprio a causa sua che non andava tanto bene tra noi due.» «Aveva avuto un bambino...!» Ash si interruppe e arrossì. «Un uomo che si scopò da qualche parte una notte» spiegò con disprezzo Floria. «Non era il suo amante. Litigammo per quello, ma la cosa per cui litigavamo più di tutto era Joseph... il bambino. Suppongo di essere stata gelosa. Gli dedicava troppo tempo. Rimanemmo in cella per due mesi. Joseph morì di polmonite e nessuna di noi due poté curarlo. Il giorno dopo la morte del figlio, Ester fu presa e bruciata sul rogo. Il giorno dopo l'esecuzione ricevetti un messaggio che mi diceva che zia Jeanne aveva pagato il riscatto ed ero libera di andare. A patto che andassi via da Roma. L'abate mi disse che dovevano bruciare i sodomiti, ma a chi importava cosa faceva una donna? A patto che non tornassi a praticare la medicina.» Le parole di Floria caddero nell'aria fredda della cappella, pronunciate con un genere di spacconeria che Ash conosceva bene. Lo facciamo tutti, pensò. Succede sempre dopo una battaglia. «La zia mi sta alle calcagna dal giorno in cui sono tornata» disse Floria. «Vi ha detto, vescovo, che lo scorso agosto l'ho stesa in una strada con un pugno? Non mi sorprende che mi abbia preso alle spalle e sia venuta da voi. Ma vi ha detto anche che avrebbe potuto pagare il riscatto di Ester e che aveva scelto di fare il contrario?» «Forse...» John di Cambrai era evidentemente combattuto e distolse lo sguardo fissando i mosaici. «Forse aveva poco denaro e ha salvato solo quelli della famiglia?» «Esfer era la mia 'famiglia'!» Floria abbassò il tono. «Mio padre non era ancora morto, allora. Se avesse avuto bisogno di soldi avrebbe potuto scrivergli.» «Può darsi che l'abate di Roma» continuò John «fosse ansioso di bruciare i Giudei... se ricordo bene a quel tempo c'erano diverse rivolte dovute
alla scarsità di pane. Il popolo sarebbe stato contento di vedere una donna giudea incolpata di tale carenza. Doveva stare molto attento prima di accusare una donna burgunda di nobili natali la cui famiglia era ancora in vita. Non importa come si fosse comportata.» In quel momento Ash comprese tutto: il religioso sembrava voler tendere una mano a Florian e ritrarla allo stesso tempo. È un uomo a cui piace sedurre le donne, pensò Ash, ma non può farlo con Florian perché a lei non interessano gli uomini. Non penso che la chiesa abbia molto a che fare con Sua Grazia di Cambrai. Quasi a conferma dei suoi sospetti, John di Cambrai le lanciò uno sguardo. Durò solo qualche brevissimo attimo, ma era venato di complicità. Era come se, silenziosamente, le avesse detto: «Tu e io non siamo come questa donna. Siamo normali.» Ash distolse lo sguardo momentaneamente intimidita dalla figura con l'abito talare verde. Godfrey non avrebbe mai parlato in quel modo. L'abito non fa il monaco. Ash scrollò le spalle per far scendere il mantello e lo mise intorno a quelle di Florian. «Quella vecchia vacca traditrice si è comportata da serpe, e allora? Io ero presente: è stata Florian a uccidere il cervo. Lei è la duchessa. Il fatto che Jeanne Châlon non la possa pensare nella stessa maniera è solo una montagna di sterco.» «Se si dovesse spargere la voce...» cominciò Floria. «E allora?» «La compagnia la scorsa estate...» «Quelli sono soldati e ormai hanno chiarito tutto con te.» Ash afferrò Floria per le spalle e la fece girare verso di lei parlando in maniera che le sue parole suonassero decise e chiare. «Cerca di capire quanto sto per dire. Olivier de la Marche farà quello che dici. Lo stesso vale per i capitani. Fuori Digione c'è un esercito e ogni dissidio interno sarebbe paragonabile a un suicidio, ma non è detto che non possa succedere. La gente ha altre cose di cui preoccuparsi. E se ci sono altre persone che vogliono creare casini... allora li fai sbattere in prigione o li fai impiccare alle mura delle città. Non si tratta di ottenere l'approvazione di tutti. Qui si tratta di comportarti come la loro duchessa. Il che significa tenere la popolazione compatta e indirizzata verso un unico scopo, chiaro?» Florian sorrise nervosamente, ma non seppe dire se era per l'espressione confusa del vescovo o per le parole di Ash.
«L'esercito burgundo ha i suoi preposti» aggiunse subito dopo Ash «e il visconte maggiore i conestabili. Nessuno dei due li tiene perché sono belli e divertenti da vedere. Se è necessario, usali. Se dovesse essere necessario il vescovo qua presente, può essere 'ospitato' agli arresti domiciliari nel monastero che si trova nel settore nord-est della città.» «Cercate di capire» disse il vescovo John avvicinandosi. Ash non era sicura di quanto il cambiamento di tono dell'uomo fosse una risposta al potere militare che lei rappresentava, quindi decise di farsi da parte. Il religioso prese le mani di Floria. «Duchessa, sono consapevole delle vostre... difficoltà spirituali... come lo sono delle... mie. Chiunque voi siate, io sono il vostro padre ecclesiastico e vostro fedele servo nel ducato.» I colori del mosaico alle spalle del vescovo brillarono. Ash si rese conto che John di Cambrai era di qualche centimetro più basso di Floria. «Voi siete la nostra duchessa.» Le scosse le mani, per enfatizzare le parole. «Dio ci ha salvati, Floria del Guiz, voi siete il successore di mio fratello. Se Dio vi ha permesso di prendere la corona ducale non spetta a noi disubbidire al Suo volere.» «Corona? La corona non è importante. Come può essere importante un pezzo di corno lavorato!» Florian liberò le mani e fece un passo avanti, strinse il pugno e lo batté sul petto. «So chi sono, ma non perché e come! Supponiamo che me lo diciate voi cosa fare? Vi aspettate che io torni in una città che non vedo da quando ero bambina e lo faccia? Vi aspettate che torni da persone che per me sono straniere e lo faccia? Volete dirmi cosa succede?» La voce si spense contro le pareti della cappella. Un sibilo risalì verso la grata. Era come se fossero sul fondo di un pozzo nel quale non poteva giungere nessun suono. Quando John di Cambrai non rispose, il tono di Floria divenne glaciale. «Non ho più ricevuto la comunione da quando ho lasciato lo Scranno Vuoto e non intendo ricominciare adesso. Non ci sarà nessuna messa stanotte e potete pure dire agli accoliti di tornare a casa a dormire.» Floria scrollò le spalle. «Se volete una veglia mi dovete dire come mai i duchi di Borgogna sono quello che sono. Ditemi in cosa sono implicata, altrimenti mi rannicchio in un angolo e dormo. Ho dormito in posti ben peggiori durante le campagne di guerra e Ash può confermarvelo.» «Sì, però eri sempre ubriaca» aggiunse Ash, dopo aver riflettuto qualche attimo.
«Duchessa!» protestò il vescovo. Florian disse qualcosa al religioso a cui Ash non prestò attenzione. Le ombre che danzavano sulle pareti avevano attirato la sua attenzione. Lasciò che la vista si abituasse alla penombra e finalmente riuscì a vedere chiaramente i mosaici sulle pareti. Si allontanò dal chirurgo e dal vescovo, superò l'altare. Il marmo dipinto e placcato d'oro, brillava illuminato dalla luce delle spesse candele di cera. «Christus Viridianus!» imprecò Ash. «Questo è il profeta Gundobad!» terminò appena le altre due persone presenti nella cappella si girarono. «Sì.» Il volto del vescovo John sembrava apparentemente inespressivo, ma la luce mutevole delle candele rendeva impossibile capirlo con chiarezza. «È lui.» «Perché avete un santuario dedicato a un eretico?» chiese Floria, fissando l'immagine. «Questo santuario non è dedicato a Gundobad» spiegò il religioso. Si avvicinò al mosaico e indicò due figure minori. «È intitolato a Heito, l'antenato del duca Carlo. E anche il vostro, Vostra Grazia, a quanto sembra.» «Non mi aspettavo di trovarlo qua.» Ash allungò una mano e toccò il marmo freddo del piede e del sandalo del profeta. «Il duca stava per dirmelo poco prima di morire, Florian. Ti suggerisco di porre la domanda al nostro vescovo... 'Perché la Borgogna?'» Si girò e vide che sul volto del vescovo era comparsa un'espressione guardinga ed eccitata allo stesso tempo. «La duchessa ha deciso di portarvi, demoiselle, ma è lei che deve decidere come passare la veglia. Ricordatelo e siate rispettosa.» «Oh, io rispetto Florian.» Ash portò le mani sui fianchi. «L'ho vista uscire dalla tenda del chirurgo, vomitare e tornare dentro per estrarre una freccia di arco lungo dal polmone di un uomo...» Certo, pensò, sarebbe stato meglio se prima non si fosse ubriacata. «... Non ho bisogno di una banda di Burgundi che mi venga a parlare di Florian!» «Tranquilla» la calmò Florian con uno sguardo simile a quello che aveva al termine della caccia. «Vescovo... mi avete detto quello che Carlo di Valois e il duca Filippo hanno portato qua con loro, ma non mi avete chiesto cosa ho portato io.» «Domande» rispose il vescovo. «Siete venuta piena di domande.» «Lo stesso vale per me» borbottò Ash, e quando il figlio bastardo di Fi-
lippo il Buono si girò verso di lei, indicò l'immagine con un pollice. «Sapete cosa c'è qua?» «Quello è Gundobad, profeta dei Cartaginesi al momento della sua morte.» «Gundobad il Fautore di Miracoli» disse Ash, convinta. «So chi è, anzi, devo dire che da quando sono stata a Cartagine so moltissimo su di lui. Fu lui a ridurre in un deserto la terra intorno a Cartagine. Prosciugò i fiumi. Come diavolo...» Ash abbassò la voce. «Come diavolo è possibile che i soldati del papa siano riusciti a bruciarlo sul rogo?» Ash ignorò il fremito che attraversò Floria; forse era solo una vecchia che sentiva freddo. «Buona domanda» disse il chirurgo. «Era il Fautore di Miracoli» ripeté Ash. «Se è riuscito a fare quello che ha fatto a Cartagine e alle Macchine Impazzite non sarebbe dovuto morire, solo perché qualche prete lo aveva ordinato.» «Maledì il papa Leone 223 e creò lo Scranno Vuoto» spiegò il vescovo John dopo aver lanciato una rapida occhiata a Floria del Guiz. In uno dei pannelli laterali della cappella era descritta la morte di Leone, accecato, braccato e fatto a pezzi, ma lei non aveva bisogno di fissarli perché conosceva bene quella storia. «Chiunque aveva la capacità di trasformare metà del Nord Africa in un deserto» disse Ash, convinta «non sarebbe morto per mano del vescovo di Roma, a meno che ci sia qualcosa che non sappiamo riguardo il papa Leone! No...» si corresse improvvisamente. «Non di Leone, vero?» Si girò verso la scultura. «Chi è questo Heito?» Il silenzio che calò nella cappella fu interrotto solo dal gocciolare della condensa. La voce di Floria risuonò aspra e improvvisa contro le pareti. «Stanotte sono venuta qua aspettandomi di pregare. Lo facevo quando ero bambina. Allora ero... devota. Se ci devono essere alcune risposte mi aspetto che riguardino la Borgogna e quello che mi è successo durante la caccia.» Floria sospirò. «Pensavo di essermi lasciata i demoni alle spalle quando ho lasciato Cartagine, ma sono ancora qua.» Indicò un dettaglio sul fondo della cappella: Gundobad, l'eretico, intento a pregare su una roccia immersa in un paesaggio lussureggiante e in lontananza le forme delle piramidi. 223
Che sia un riferimento al papa Leone III? Questo farebbe risalire la morte di Gundobad a prima dell'AD 816.
«Florian...» «Pensavo che fossimo arrivati in un posto dove non potevano raggiungerti.» La luce delle candele faceva sembrare gli occhi di Floria due pozzi scuri. «Ti ho vista muoverti senza che tu lo volessi, ricordi? L'ho visto con i miei occhi e so che era opera loro.» «Non ci sono riuscite quando ho parlato con loro due giorni fa. Tutto questo non riguarda me» disse Ash. «Non sono stata io a cacciare il cervo. Sei stata tu. Ora voglio sapere perché la Borgogna? E la risposta è Gundobad, giusto?» Ash si girò e vide che il vescovo continuava a fissare Floria. Attese un cenno quasi impercettibile della duchessa, quindi parlò. «Questa è la piazza di san Pietro» disse toccando una serie di punti chiave nel mosaico. «Questa è la porta della cattedrale dove fu incoronato il grande Carlo Magno. Era morto da un anno quando suo figlio e il papa Leone processarono il profeta Gundobad per l'eresia ariana. Questo è Gundobad nelle celle papali insieme alla moglie Galsuinda e alla figlia Ingundis.» «Era sposato?» domando Ash, stupefatta. «Merda. Non ci avevo mai pensato. Cosa successe alla sua famiglia?» «Galsuinda e Ingundis? Furono ridotte in schiavitù e rimandate a Cartagine prima del processo... credo che Leone le abbia usate per inviare un messaggio al califfo-re.» Il vescovo irrigidì le dita. «Io, però, credo che il califfo di allora fosse contento che qualcuno lo liberasse del profeta visto che aveva creato il deserto e portato l'oscurità in un solo anno.» «Ma non è andata così! Non successe tutto in un anno!» Ash tornò con la memoria al momento in cui la machina rei militaris raccontava la storia nella sua mente e lei la ripeteva quasi fosse un automa. «L'oscurità giunse solo quattro secoli dopo, in seguito alla maledizione del Rabbi. Fu allora che le Macchine Impazzite privarono il sole dell'energia per poter cominciare a parlare attraverso il Golem di Pietra. Gundobad visse molto prima di allora!» «È andata così?» Il vescovo John annuì. «Noi conosciamo la storia in maniera diversa. La storia dei secoli tende a essere confusa e la memoria dell'uomo è breve.» La memoria delle Macchine Impazzite invece è più lunga e dannatamente più precisa, pensò Ash. «Tuttavia» aggiunse «fu in quell'anno che le terre intorno a Cartagine si inaridirono e Gundobad fuggì a nord per predicare la sua eresia negli stati
italiani.» «Quanto c'è di vero in tutto questo?» domandò Floria. «Quanto di tutto questo è documentato e quanto è frutto di supposizioni?» «Sappiamo che il papa Leone morì lo stesso anno in cui Gundobad lo maledì. Sappiamo che il suo successore non visse per più di tre giorni dopo aver occupato lo Scranno di Pietro. L'impero di Carlo Magno si sfasciò a causa dei litigi tra i figli quell'anno o poco dopo 224 . La Cristianità si trasformò in un regno senza un imperatore lacerato da continue guerre tra contee e ducati.» «E questo Heito?» «Il mio 'antenato'» commentò Floria, secca, sulla scia della domanda di Ash. «È ovvio che se era ancora vivo ai tempi di Leone, deve essere stato l'antenato di metà della Borgogna!» «Sì.» John di Valois aveva l'aria di chi considerasse quella risposta come qualcosa di molto importante. «Ed è per questo che tutti prendono parte alla caccia» completò Ash. Si sentiva pervasa da un senso di fredda ineluttabilità: tutti i pezzi del rompicapo andavano al loro posto. «Tutti quelli che hanno il sangue burgundo... Floria appartiene a un'altra linea. Non è una discendente di Gundobad, ma di Heito.» Si girò vero il vescovo. «O mi sbaglio?» «Come tutte quelle persone che per le ultime quattro generazioni sono state figlie legittime dei Valois» confermò il vescovo, «ma, come abbiamo imparato dall'allevamento delle vacche e dei cavalli, capita che salti una generazione e si crei un ramo cadetto. Quando eravamo il regno di Arles non era importante per un contadino diventare re cacciando il cervo. Siamo diventati compiacenti dai tempi del nostro trisnonno. Dio ci ricorda di essere umili, Vostra Grazia.» «Non così umili!» ringhiò Ash. «I miei genitori erano entrambi nobili» obiettò Florian ad alta voce. «Vi porgo le mie scuse, Vostra Grazia!» «Al diavolo le scuse!» La voce di Floria si abbassò di un'ottava e prese il volume che sul campo presagiva un rapido chiarimento nella tenda del 224
Questo fatto ci permette di avere una data certa! Se questi riferimenti sono accurati si tratta dell'AD 816, due anni dopo la morte di Carlo Magno. Nonostante la dissoluzione iniziasse l'anno dopo la morte di Leone, alcuni non datano la caduta dell'impero di Carlo Magno fino all'AD 846, al trattato di Verdun.
chirurgo. «Io non ho idea di quello che sta succedendo. Supponiamo che voi me lo diciate!» «Heito.» John posò una mano sulla figura di pietra e la fissò. «Era uno dei cavalieri minori che facevano parte del seguito di Carlo Magno. Gli fu assegnato il compito di sorvegliare Gundobad dopo il processo. Fu allora che Gundobad maledì il Santo Padre e cercò di estinguere il fuoco ricorrendo a uno dei suoi miracoli.» Il vescovo lanciò un'occhiata ad Ash. «Heito aveva sentito quello che era successo in Nord Africa» aggiunse in tono più informale. «Non ci impiegò molto a capire che Gundobad non voleva solo compiere una fuga miracolosa... ma era anche desideroso di ridurre in un deserto tutta la Cristianità. E ci sarebbe riuscito se non fosse stato per Heito il Benedetto.» «Cosa fece?» chiese Floria con insistenza. «Pregò.» Ash fissò il bassorilievo e si chiese se il volto di Heito avesse assunto veramente quell'espressione pietosa... o, pensò, se la stava facendo sotto e pregava spinto dal terrore più puro. Comunque sia andata, ha funzionato perché Gundobad è morto... «Heito pregò» disse il vescovo. «Tutti gli uomini possiedono una piccola dose della grazia di Dio. Noi preti nasciamo con una dose maggiore, anche se di poco rispetto agli altri e questo ci permette di fare qualche piccolo miracolo.» Ash ricordò Godfrey e sussultò. Non poteva costringerlo a parlare con la machina rei militaris e chiederle cosa pensasse della grazia di Dio in quel momento. «Heito era pieno di grazia di Dio, anche se da buon cavaliere umile qual era lo seppe solo quando fu messo alla prova.» Rimasero in silenzio per qualche attimo ad osservare il bassorilievo. «Heito raccontò a suo figlio che mentre il fuoco veniva acceso sotto la pira di Gundobad, lui aveva udito l'eretico pregare per scappare e chiedere vendetta contro quelli che lui definiva gli 'eretici di Pietro'. La storia ci racconta che la preghiera di Gundobad fu ascoltata e le fiamme si spensero. Heito sentì l'impulso fortissimo di pregare e implorò la grazia divina affinché allontanasse la disgrazia dalla Cristianità e lo aiutasse a riaccendere il fuoco. Il figlio di Heito racconta che il padre sentì la grazia divina agire in lui.» Florian portò le mani alla bocca. La luce delle candele non era fortissi-
ma, ma la duchessa sembrava pallida. «Heito riaccese la pira, Gundobad morì e la Cristianità non fu ridotta a un deserto... Heito era presente alla morte del Santo Padre qualche tempo dopo e alla morte del suo successore. Pregò affinché la maledizione sparisse, ma, come ci racconta suo figlio Carlobad nella Histoire, Heito sentì che gli mancava la forza. Non era più in stato di grazia. Lo stesso valeva per suo figlio, sebbene Heito lo avesse fatto sposare con una donna tra le più devote di allora.» «E poi?» chiese Ash, ironica. Prese sotto braccio Floria che barcollava notevolmente. «No, ho capito. Sposarono tutti delle donne devote, giusto? Tutti i figli di Heito...» «Suo nipote, Airmanareiks fu il primo a cacciare il Cervo. Dovete capire che a quel tempo la Borgogna, come tutto il resto della Cristianità, era una terra nella quale i miracoli erano all'ordine del giorno. Le bestie araldiche apparivano in ogni regno. Fu solo dopo che, come siamo soliti dire, Dio posò il Suo fardello più pesante sulle spalle del Suo più devoto servitore. Abbiamo guadagnato la grazia di vedere una risposta alle nostre preghiere. Senza un fardello potremmo dimenticare il debito nei suoi confronti.» «Dannazione al 'Fardello'» commentò Ash, cinica. «Non puoi prendere e scegliere. Se fermi i miracoli, li fermi e basta. Fine della storia. Adesso capisco perché Padre Paston e Padre Faversham sono disperati da quando hanno attraversato il confine! E anche tu non hai avuto problemi con i feriti dalla prima volta che siamo venuti qua, dopo Basilea?» Florian annuì assente. «Pensavo che fosse febbre dovuta all'acqua infetta...» «Abbiamo sperato di diventare abbastanza forti da riuscire ad annullare la maledizione e permettere a un altro Santo Padre di ascendere allo Scranno di Pietro, ma questo non ci è stato ancora concesso. Tuttavia abbiamo continuato la tradizione di Heito. Né la Borgogna né la Cristianità sono diventate terre desolate» affermò il vescovo John. «Siamo stati sotto il regno dei Franchi, dei Germani e dei nostri duchi; ma abbiamo sempre preso le donne più devote come mogli e il lord di Borgogna è sempre stato colui che uccideva il Cervo. La Cristianità è al sicuro e noi ne paghiamo il prezzo.» Ash ignorò l'ultima parte della spiegazione, prese Floria per le mani e la girò verso di sé. «Ci siamo! Ci siamo!» prese fiato. «Heito sapeva quello che Gundobad aveva fatto a Cartagine e sapeva che il profeta aveva dei figli ancora in
vita. Ecco di cosa aveva paura. Temeva che la Borgogna diventasse un regno desolato!» «E fece in modo di creare una dinastia che non facesse i miracoli e che impedisse che avvenissero.» Florian intrecciò le dita con quelle di Ash. «Non sapevano nulla delle Macchine Impazzite. Erano solo spaventati dalla probabile venuta di un secondo Gundobad.» «Be', avevano abbastanza ragione, visto la tizia che è accampata la fuori!» Ash agitò la mano nell'aria a casaccio. «Il nostro faris. Un altro Gundobad pronto a uso e consumo delle Macchine Impazzite...» «Solo che lei non può fare nulla a causa mia.» «Prima Carlo poi tu.» Ash non poteva smettere di sorridere. «Ah, e io che credevo di essere quella brava a trovare i problemi e a tuffarmici dentro fino al collo!» «Non l'ho chiesto io!» La voce di Florian echeggiò piatta contro le pareti del pozzo e si spense. Il vento proveniente dall'alto fece agitare le fiamme delle candele portando con sé l'odore tipico del mattatoio: sangue rappreso, urina vecchia, sterco, paura, morte e sacrificio. Il silenzio divenne quasi palpabile. Non sapendo quanta parte della notte avessero passato là sotto, ora attendevano di cantare le Laudi, il Mattutino o l'ora Prima. «Il sogno del duca Carlo era quello di creare un regno dell'Europa Centrale» spiegò il vescovo. «Voleva diventare un secondo Carlo Magno, un altro imperatore supremo. In quale altro modo avrebbe potuto fermare le guerre intestine che dilaniano la Cristianità e riunirla sotto un'unica bandiera contro il nemico? Un Carlo Magno dotato della grazia di Heito. Mio fratello avrebbe potuto essere una simile figura, ma non gli è stato concesso. Se avesse rivolto il suo sguardo a sud, a quest'ora non saremmo in questa situazione disperata. Dio lo faccia riposare in pace. Adesso voi siete la duchessa.» «Oh, questo lo so» rispose Florian, in tono assente, quindi serrò le dita intorno alla tibia di Heito. «Adesso ditemi perché il sole continua a splendere sulla Borgogna.» VIII «Cosa?» Ash si guardò intorno confusa. «Fuori. Perché il sole continua a splendere e non è buio?»
«Non capisco.» Florian batté le mani insieme. «Sei stata tu a dirmelo. Le Macchine Impazzite hanno 'spento' il sole. È vero. Così... come mai non è buio in Borgogna? Perché il sole splende in Borgogna? Tutt'intorno a noi è buio.» Ash aprì la bocca come se avesse voluto rifiutare l'argomento, poi la richiuse. La fronte accigliata del vescovo faceva capire che anche lui era interdetto. Il vento che soffiava dal pozzo odorava di pietra fredda e decomposizione. «È... reale?» domandò Ash. «Il sole?» «Che ne so?» «Eri sicura riguardo il Cervo!» Florian aggrottò la fronte. «Qualunque cosa ci sia nel mio sangue io l'ho usata per la prima volta durante la caccia. So di aver fatto qualcosa. Ma dopo quel giorno... no. Non sto facendo nulla.» «Dopo la caccia non dovevate fare altro» spiegò il vescovo. «Non è quello che fate, ma quello che siete. Dovete vivere perché siete il nostro guardiano.» «Non saprei» insistette Floria. «Non sento nulla.» Il sudore imperlò le mani di Ash. Cos'altro non sappiamo? si chiese. «Forse sono tutte le persone che in città hanno pregato per la luce. Il vescovo ha detto che tutti gli uomini possiedono qualche goccia di grazia...» Cominciò a camminare su e giù sul pavimento di terracotta, quindi si fermò e si girò. «No, non funziona, perché i miei uomini hanno passato tutto il tempo a pregare come invasati mentre passavamo per la Francia e i Cantoni e non è successo nulla. Se la grazia di Dio si fosse manifestata con un miracolo attraverso la preghiera allora avremmo visto il sole che splendeva su Marsiglia e Avignone!» «Non sono più devota da tempo.» Floria sorrise, contrita. «Mentre facevo il bagno pensavo. So quello che faccio... preservo la realtà come faceva il duca Carlo. Mi sono chiesta come mai le cose andavano così male nell'infermeria. Sono morti molti uomini da quando siamo qua. Uomini che mi aspettavo di vedere sopravvivere. Anche le preghiere che i preti hanno recitato per Carlo non sono servite a molto! Questo è il mondo reale.» «'Dio posò il Suo fardello più pesante sulle spalle del Suo più devoto servitore'» borbottò il religioso. «Non possiamo avere il Suo dono senza la penitenza.» Floria batté il pugno contro il palmo aperto della mano. «Perché qua continua a esserci la luce, allora?» Si guardò l'abito e le mani. «E perché
c'è stato un miracolo ad Auxonne?» Per un attimo Ash tornò al campo fangoso straziato dalle fiamme. Si strofinò la bocca con una mano. Il puzzo della carne bruciata era un ricordo ancora vivo. Ash ricordava i preti in ginocchio e la neve che scendeva con il cambiare del vento. «Chiesi a de Vere di domandare al duca di lasciare pregare i suoi preti... per la neve. In questo modo il nemico non avrebbe avuto la visibilità e il vento contrario avrebbe diminuito la gittata delle frecce.» Floria afferrò il braccio di Ash. «Il duca è stato ferito, indebolito, ma de la Marche mi ha detto che tutto è successo prima che fosse colpito.» Floria si girò a fissare il vescovo con aria stupita. «Possibile che quei preti abbiano pregato invano? O forse c'è... che ne so... una debolezza nella discendenza?» «Siamo solo uomini» le rammentò il vescovo con aria mite. «Abbiamo fatto in modo che la discendenza del sangue ducale si protraesse nel corso dei secoli, ma siamo solo uomini e come tali, imperfetti. Questi avvenimenti si verificano solo una o due volte in una generazione. Se potessimo rifiutare tutta la grazia che Dio ci manda, come sarebbe stato possibile far incarnare il Cervo?» «Il Cervo!» esclamò Floria. «Certo: il Cervo.» «Florian non è perfetta» esordì improvvisamente Ash. «Non può esserlo. Sono stata a Cartagine... duecento anni d'incesti.» L'espressione del vescovo rischiò di farla ridere di gusto. «Questo è il tempo che hanno impiegato le Macchine Impazzite per ottenere il faris. Hanno allevato per duecento anni in maniera scientifica e calcolata degli esseri umani. Incesto! E voi in Borgogna cosa avete fatto?» «Non siamo ricorsi all'incesto» sussultò John di Cambrai. «Questo è contro le leggi di Dio e dell'uomo.» Ash non riuscì a trattenere la risata roca che proruppe dalle sue labbra. Sogghignò nel vedere l'espressione del religioso. «Ecco a cosa vi ha portato seguire le leggi di Dio» ringhiò, con fare tipico di un mercenario. «Voi stesso me lo avete detto alla caccia. La Borgogna ha la sua linea dinastica. Be', avreste dovuto lavorare un po' meglio! Matrimoni tra dinastie, amori cavallereschi e nella migliore delle ipotesi qualche adulterio... merda. Non si alleva così una razza. Da queste parti avreste bisogno di un Leofric.» «Ricordati che io sono riuscita a far incarnare il Cervo» le fece notare Florian, in tono ironico, ma la sua voce contrastava con l'espressione dello sguardo mentre camminava verso la cappella dedicata a san Heito. «Io ho
dimostrato di poter essere un duca» proseguì continuando a darle la schiena. «Se non l'avessi fatto, le Macchine Impazzite avrebbero già compiuto il loro miracolo.» «Già» ammise Ash, leggermente imbarazzata per lo scoppio d'ira. Tossì. «Bene... sì... c'è anche quello.» «... Finché non muoio» sussurrò Floria, dopodiché si girò. «Continuo a non capire. Sono viva. Quello che le Ferae Natura Machinae hanno fatto quando hanno estinto il sole è reale...» «Deve esserlo» sottolineò Ash, ironica. «Le Macchine Impazzite non fanno miracoli, perché se potessero non avrebbero bisogno del faris e la Borgogna sarebbe stata ridotta a un deserto di cenere fumante seicento anni fa.» Florian scrollò i fianchi in una maniera che non si addiceva assolutamente a una dama di corte. «Su questo siamo nel giusto, altrimenti saremmo già morti. Ma, quello che voglio dire, Ash, è che non dovremmo vedere il sole.» Le voci di alcuni novizi e il rumore di una porta che si apriva giunse dall'alto e il vescovo John disse loro di andare via. Le candele più piccole erano ridotte a macchie di cera, quelle più grosse continuavano a bruciare. Uno spiffero freddo batteva sul collo di Ash che allungò una mano per grattarsi. «Non mi serve a nulla provare a... non le prenderò di nuovo di sorpresa.» «Lo so.» Floria si strinse nuovamente negli abiti, quasi stesse cercando un conforto. «Ma ho ragione, giusto? Non sapete cosa rispondere, vero vescovo? C'è ancora qualcosa che non sappiamo.» «Questa è una domanda che deve essere posta al vostro grande consiglio» disse John di Cambrai. «O al piccolo, Vostra Grazia. Ci possono essere coloro che vi risponderanno. Se non succederà allora potremo concludere che Dio ha fatto la Sua volontà e che tale volontà è stata quella di benedirci con la luce.» «Godfrey mi dice sempre che Dio non bara.» Florian girò il viso e si trovò di fronte ad Ash. «Non voglio sapere che c'è ancora qualcosa che non so!» Ash vide il suo panico. Le pareti sembravano schiacciarli. Là sotto nulla ricordava il lusso del palazzo soprastante. Quel luogo era un pugno di terra pronto a chiudersi intorno a loro. «Perché devo?» si chiese Florian. «Non ho bisogno di farlo. Non ne ho
bisogno!» Arretrò di un passo allontanandosi dal vescovo di Cambrai. «Sia tu che io non abbiamo bisogno di questo» concordò Ash, torva «ma tu hai capito qualcosa, Florian... cerca di capire cosa. Stai scappando da tutto questo o sei veramente la duchessa? Impegnati in un senso o nell'altro, altrimenti incomincerò a prenderti a calci nel sedere con tanta forza che ti chiederai cosa ti ha investito!» «Cos'è questo per te?» chiese Floria, accigliata. Non era un tono di voce che Ash era abituata a sentire dal suo ex chirurgo, anche se sospettava che Jeanne Châlon lo avesse sentito più di una volta quindici anni prima. «Nessuno di noi deve nulla alla Borgogna» proclamò Ash. «Tu puoi rimanere quello che sei anche a Londra o a Kiev, sempre che riusciamo a raggiungerle. Quello che voglio dirti è che se decidi di rimanere qua è meglio che ti comporti da duchessa, perché non metterò mai la vita dei miei uomini nelle mani di un comandante che non ha intenzione di fare il suo dovere.» «Adesso capiamo come mai Dio vi ha mandata da noi, demoiselle» borbottò il vescovo. Ash lo ignorò. «Abbiamo... convinto il Leone a difendere Digione?» mormorò Floria. «Ah! Troverò il modo... che cazzo ne so... andranno se sarò io a dirlo. Ho parlato con loro. A loro non frega nulla della gloria della Borgogna e non gliene potrebbe fregare di meno di combattere a fianco di messere de la Marche. Alcuni di loro sono morti in questa città, ma non avevano nessuna forma di lealtà al riguardo...» «Io invece, non dovrei essere leale, visto che sto per essere incoronata?» «E lo sei?» «Sì.» Ash fissò il volto di Floria. L'espressione lasciò poco spazio ad altri interventi. Un attimo dopo la duchessa fu investita da un'ondata di paura: paura di essersi impegnata e di aver detto ciò che tutti si aspettavano da lei, ma non la verità. Le lacrime le colarono dagli occhi striandole le guance. «Non voglio farlo! Non voglio farlo!» «Avanti, parla.» «Tu e la 'Pulzella di Borgogna'» biascicò Floria in tono ironico. «I ragazzi non combatteranno per qualche duchessa» incalzò Ash «ma lo faranno per te perché noi non lasciamo nei casini uno dei nostri. Tu sei il nostro chirurgo e sei andata a Cartagine. Loro combatteranno come diavoli
per tenerti in vita, proprio come farebbero per me o per Roberto o per uno qualsiasi dei loro compagni. Ma a noi non importa nulla se dovremo combattere i Burgundi o le teste di tela. I Burgundi devono sapere che sei la loro duchessa.» «Cosa vuoi fare?» «Io? Farò tutto ciò che è necessario. Sarò la loro bandiera, ma adesso ho bisogno di sapere quello che vuoi fare tu. Loro se ne accorgeranno subito se non sei convinta!» rispose di getto Ash, rifiutando di farsi distrarre. Floria si allontanò. La postura del corpo suggeriva solo indecisione. «Questo è il luogo adatto per confessare i peccati» disse improvvisamente. «Be', sì... ma in privato...» mormorò il vescovo nell'ombra, dietro l'altare. «Dipende a chi vi dovete confessare.» Floria tornò sui suoi passi e prese la mano di Ash che rimase stupita dalla freddezza delle estremità del chirurgo. Pensò che dovesse essere una reazione violenta alla tensione di quei momenti e si costrinse a concentrarsi su quello che stava per ascoltare. «Sono una codarda quando serve. Posso andare a portare via la gente dalla prima linea. Posso fare loro del male quando è necessario. Aprirli, ma non mi chiedere di impegnarmi in altro.» Ash stava per dirle che tutti avevano paura, ma che bisognava combatterla, ma Florian la interruppe: «Ti devo dire una cosa.» Stava per rispondere che non c'erano problemi, poi si fermò e la fissò in volto. Vuole dirmi qualcosa che non voglio sentire, pensò. Fece una pausa, quindi annuì. «Dimmi.» «È dura.» Il vescovo John attirò l'attenzione su di lui con un colpo di tosse forzato. Ash vide lo sguardo di Florian posarsi per un attimo sul religioso per poi distoglierlo. Non era chiaro se aveva dato un tacito consenso alla presenza dell'uomo o se non le importava nulla che fosse là a sentire. «C'è un'unica cosa di cui mi vergogno nella mia vita» confessò Floria. «Tu.» «Io?» Ash si rese conto di avere la bocca secca. «Mi sono innamorata di te, oh... tre anni fa?» «E tu definisci codardia il fatto di non avermelo detto?» «Quello? No.» La luce si riflesse sulle lacrime. Il chirurgo non ci fece
caso e continuò con lo stesso tono di voce. «Prima ti ho voluta. Poi mi sono resa conto che avrei potuto amarti. Amarti veramente: provare quel sentimento che fa male. È stato allora che l'ho ucciso.» «Cosa hai fatto?» «Oh, si può fare» gli occhi di Floria brillarono nella luce mutevole. «Non sapevo che non mi volevi. Ester in un primo momento mi disse che non mi voleva, poi è stato l'esatto opposto. Quindi anche tu... ma ti ho guardata. Ho osservato la tua vita. Stavi per morire. Prima o poi sarebbe successo. Prima o poi saresti tornata da una battaglia in una barella con il viso e la testa a pezzi e io cosa avrei fatto? Avrei sofferto di nuovo?» Il vescovo chiuse le mani intorno alla croce di rovi e Ash vide che stava stringendola al punto di farsi sbiancare le nocche. «Così ho ucciso il mio amore e ti ho fatta diventare un'amica perché sono una codarda. Tu eri un guaio e io non ne volevo più. Basta. Non lo avrei sopportato. Ne avevo già avuti troppi.» «Si può uccidere l'amore?» chiese Ash in tono piatto. «E proprio tu me lo chiedi?» Florian scosse la testa con veemenza e la voce esplose nell'oscurità della cappella sotterranea. «Non volevo solo una scopata! Sapevo che c'era il rischio che mi innamorassi di te e ho strangolato quel sentimento. Non perché saresti morta giovane, ma perché non permetti a nessuno di toccarti. Il corpo, forse, ma non te. Fingi. Sei intoccabile. Non ho trovato il coraggio di lasciar crescere quell'amore, non con quello che sapevo!» Ash fissò il volto di Floria e, dopo aver superato l'imbarazzo e imbrigliato il desiderio di essere ovunque ma non là, si rese conto dei danni che la donna di fronte a lei aveva arrecato a se stessa. «Florian...» Sul volto di Floria non c'erano solo vergogna e rabbia. «Come hai potuto dirmelo?» chiese Ash, tranquilla. «Come puoi venire a stuzzicarmi con questo? Prima vieni a dirmi che mi vuoi, ma che ti farai da parte e poi mi dici che non puoi lasciarmi?» «Perché non posso lasciarti» fece eco Floria. Il peso di tutta la storia schiacciò Ash che in quel momento avrebbe voluto correre fuori da quel luogo, in piena luce e lasciarsi tutto dietro. Sono così distaccata? È così brutto? «Perché continuiamo a sperare?» si chiese Floria. «Proprio non lo capisco.» Attenta a non dire nulla che potesse essere scambiata per accettazione,
Ash si limitò a scrollare la testa. «Non sarebbe successo nulla di buono se me lo avessi detto tre anni fa. Ti avrei buttata fuori a calci nel sedere e avrei chiesto un prete. Ora, penso che avrei fatto di tutto se ti avessi voluto. Ma metà di questo sentimento deriva dal senso di colpa per non aver dato a Godfrey ciò di cui aveva bisogno. Inoltre il desiderio per Fernando è ancora più forte di quello che provo per te e Godfrey.» Alzò la testa e solo allora si rese conto di aver osservato per tutto il tempo il Grande Toro di Mitra sanguinante a causa di una dozzina di ferite mortali che spiccava al centro del mosaico sul pavimento. Aveva parlato con gli occhi bassi. «Sai...» Floria si passò rapidamente una mano sul volto sudato per asciugarlo. «Sai bene come finire qualcosa. Merda. È stato...» Brutale, pensò Ash. «Sono fatta così» si schernì. «Non arriverò a trent'anni e non ho voglia di scoparti; ti amo nella misura in cui posso amare qualsiasi altra persona; non voglio farti del male, ma in questo momento ho bisogno di sapere quello che hai intenzione di fare, perché devo dare dei fottuti ordini, quindi, saresti così gentile da aiutarmi?» Florian le sfiorò delicatamente una guancia. Il contatto fu breve e leggero e l'espressione sul suo viso ricordava il broncio di un bambino quando ha finito di piangere dal dolore. «Non mi piace non avere risposte!» «Già, neanche a me.» «Almeno tu sai come comandare un esercito, io non ho la minima idea di come si governa.» «Non posso aiutarti.» Floria lasciò ricadere la mano lungo il fianco. «Non cercare decisioni drammatiche.» Floria rabbrividì. «Sono stata portata qua e so che in qualche modo devo decidermi. Farò tutto ciò che posso, ma tu sai cosa? Io continuo a rimanere una della tua fottuta compagnia, ricordi? Non trattarmi come se non lo fossi! Mi preoccupo solo di noi. Se c'è una via d'uscita sicura per tutti noi da questa città, sono disposta a sfruttarla. Sono diversa adesso. Dovrei rimanere. So di non capire tutto quello che c'è da sapere sulle Macchine Impazzite. Questo è il massimo che puoi ottenere.» Ash si tolse il mantello di lana pesante e lo mise sulle spalle della donna. «Posso solo essere quello che sono. Non posso essere la tua amante e
neanche il tuo capo» Florian la guardò in viso. Ash batté le palpebre e dopo un minuto annuì. «Merda, non mi dai nessuno aiuto... Credo che dovremo cavarcela da soli, giusto?» Ash afferrò le spalle di Floria e la scosse leggermente. La donna sorrise e finse di evitare un colpo. Ash socchiuse gli occhi. «La corona, madame?» indagò il vescovo di Cambrai schiarendosi la gola. La donna prese il cerchio di corno dalle mani del religioso e lo fece penzolare con noncuranza tra le lunghe dita. «Ah, basta aspettare l'alba e 'fanculo ai testimoni» dichiarò Ash. «Vescovo John dite loro di tenere la bocca chiusa e mostrateci un altro modo per uscire da qua dentro. Se volete me e Floria ci troverete nella torre con Roberto, Angeli e gli altri ragazzi.» Il messaggio arrivò quattro giorni dopo. Un'ombra scura si disegnò contro le pareti del garderobe 225 , si rimpicciolì e un attimo dopo tornò grande, quando la fiammella della candela fu agitata dall'aria fredda che costrinse Ash a bloccare i vestiti con le dita intirizzite spingendola a imprecare. «Sei impegnata, capo?» chiese la voce di Rickard da dietro lo spesso drappo. «Christus Viridianus!» Il lembo del vestito sporco di vino e cera le scivolò tra le dita e strusciò contro le tavole. Una seconda ventata gelida la raggiunse in piena schiena. «No, non sono impegnata!» urlò. «Vorrei sapere chi te l'ha detto. Sono seduta qua con il culo all'aria e mi schiaccio un pisolino: perché non dici a tutto il fottutissimo consiglio burgundo di venire a tenermi compagnia? Cristo Santo sull'Albero, sto sprecando tempo... sei sicuro di non riuscire a trovare nulla da farmi fare anche quando sono qua dentro?» Ci fu un suono oltre la tenda che lei interpretò come una risata di maschio adolescente. «Il dottore... la duchessa... vuole parlarti, capo.» «Allora puoi dire a sua immensità la duchessa che può venire a pulirmi il...» Ash si interruppe afferrando al volo il mozzicone di candela che aveva appena fatto cadere con una gomitata. Un'ombra gigantesca danzò per un attimo sulle pareti, la fiammella avvampò per un secondo, quindi iniziò 225
Latrina.
a fumare. La cenere bollente cadde sulla mano di Ash. «Stronza!» borbottò. «Ti ho beccata piccola bastarda!» disse. Rimise dritta la candela e la osservò. Prima di cadere la candela si era consumata fino all'altezza della tacca che indicava il Mattutino, ora doveva mancare un'ora al Capitolo 226 . «Sai che cazzo di ora è?» «Il dottore dice che è arrivato un messaggio e vuole che tu vada a palazzo.» «Non mi aspetterei il contrario» borbottò Ash, mentre allungava una mano per prendere i pezzi di stoffa pulita. «È stato messere de la Marche a mandare il messaggio.» «Figlio di una puttana, rotta in culo, succhiacazzi!» «Stai bene, capo?» «Ho solo perso l'insegna del Leone. È caduta dal vestito.» Ash sbirciò oltre il lembo del vestito giù per il buco che si apriva sotto le tavole. Si alzò in piedi sapendo quali erano le conseguenze di un volo da una sessantina di metri raschiando contro una parete coperta d'escrementi. «Vieni a darmi una mano con questi dannati bottoni!» disse Ash, spostando la tenda mentre il ragazzo entrava. La luce della candela ondeggiò di nuovo. Il paggio indossava ancora la maglia d'anelli metallici e l'elmo da arciere con la piuma gialla. «Vai da qualche parte?» indagò, mentre il ragazzino l'aiutava con mano esperta. La parte in vista del collo arrossì. «Stavo solo mostrando a Margie alcune tecniche di tiro...» Al buio? Scommetto che non è l'unica cosa che le hai mostrato, pensò di dire. Con Angelotti e Anselm lo avrebbe detto, solo che il primo difficilmente si sarebbe appartato con qualcuno chiamato Margie. «Margie?» si limitò a borbottare, visto l'imbarazzo del ragazzino. «Margaret Schmidt, la balestriera. Quella che era nel convento.» La luce della candela illuminava un volto visibilmente rosso. Ash gli fece cenno di assicurarle la spada al fianco e tenne la candela per fare luce. Allora è ancora nella compagnia, pensò. Mi chiedo se Floria lo sa. «Puoi scrivere i rapporti adesso, prima del consiglio mattutino?» «Ne ho già scritti la maggior parte.» «Scommetto che in questo momento rimpiangi il fatto che i monaci ti abbiano insegnato a leggere e scrivere.» Gli diede la candela e sistemò la 226
Mattutino: mezzanotte; Capitolo: le tre del mattino, quindi dovevano essere circa le due.
spada e la giberna. «Va bene, finisci i rapporti e portali alla Torre Philippe le Bon. In fretta.» Ash udì un rumore all'esterno, esitò per un attimo, poi si rese conto che si trattava della pioggia. L'odore di ammoniaca che pervadeva la stanza divenne più intenso. Il vento alzò le tende intorno a lei e uno spruzzo di pioggia colpì le pareti della latrina. «Bene. La prossima volta avrò anche il culo bagnato.» Ash sospirò. «Rickard, chiama uno dei paggi e digli che ho bisogno degli zoccoli da fango227 e di un mantello pesante. Vado a prendere Florian in infermeria? Bene. Vai a dire ai comandati di prepararsi perché ho bisogno di sei uomini di scorta fino al palazzo.» Udì raschiare e uggiolare oltre la porta. «E sveglia anche l'addetto ai mastini... porto anche Bonniau e Brifault.» «Ti aspetti un attacco per strada?» chiese Rickard stupefatto mentre riparava la fiamma della candela con una mano. «No, solo che le ragazze non hanno ancora fatto la passeggiata.» Ash sorrise. «Va' a scrivere, ragazzo e pensa che se Padre Faversham ha ragione dopo una vita così sarà difficile che tu passi del tempo in purgatorio.» «Grazie, capo...» Uscì dalla latrina rimanendo sulla scia di Rickard per non perdere la luce della candela. Il camino principale era ancora acceso e la debole luce illuminava alcuni paggi avvolti nelle coperte. Rickard portò la candela al suo giaciglio e nel tragitto svegliò con un calcio uno dei ragazzini. Ash si stirò e sentì le ossa delle spalle che scricchiolavano. Christus Viridianus, pensò. Quando è stata l'ultima volta che ho dormito per una notte intera? Voglio solo una notte senza i dannatissimi proiettili al Fuoco Greco e le scartoffie... Alcune delle forme avvolte nelle coperte si mossero e due paggi si avvicinarono a lei per vestirla in maniera adeguata alla pioggia che l'attendeva per le strade di Digione. Bonniau e Brifault le si avvicinarono silenziosamente. Ash trovò Florian al secondo piano della torre, nella navata che correva lungo le pareti, intenta a curare un paziente. L'uomo, nudo dalla vita in giù, era seduto. L'aria era pervasa dall'odore dell'urina e della carne. «Allora de la Marche vuole parlarti?» Ash diede un'occhiata oltre le spalle del chirurgo. «Ho quasi finito.» Le dita di Florian aprirono la ferita che partiva da sopra il ginocchio del soldato facendolo sussultare. C'era qualcosa che brilla227
Pezzi di legno da mettere sotto le scarpe per camminare nel fango.
va tra la carne... osso? «Tienilo» ordinò Floria al secondo mercenario che bloccò lungo i fianchi le braccia del compagno. Ash si sedette sui talloni e osservò Florian che lavava la ferita con il vino. «De la Marche...» Il chirurgo guardò dentro la ferita, quindi la sciacquò nuovamente. «... dovrà aspettare. Qualche attimo ancora e ho finito.» Il volto del soldato era imperlato di sudore e nel corso di tutta l'operazione di pulitura non aveva fatto altro che coprire il dottore di ogni sorta d'insulto. «Grazie, dottore» le disse, sorridendo, quando ebbe finito. «Oh... di niente. Quando vuoi sono qua!» Florian si alzò e si pulì le mani sul farsetto, fissò Baldina e due giovani diaconi e disse: «Lasciate la ferita scoperta e assicuratevi che rimanga pulita. Non suturatela. Me ne sbatto del 'lodevole pus'228 di Galeno. Le ferite non suturate che ho visto ad Alessandria non puzzavano e marcivano come quelle che ho visto nei territori dei Franchi. Lo benderò tra quattro giorni, va bene? Andiamo.» I vetri piombati della Torre Philippe le Bon non lasciavano entrare la pioggia, ma il freddo si infiltrava nelle fessure che si erano create tra i telai e il muro. Ash sentiva la faccia gelata. «Non vedo un cazzo» disse Ash. «No, aspetta... hanno acceso delle lampade al Fuoco Greco lungo la sponda est dell'Ouche. Attività. È strano.» Arretrò e batté le palpebre per abituare gli occhi all'improvvisa luce provocata da due dozzine di candele quando la porta della stanza si aprì per far entrare Olivier de la Marche. «Cosa succede?» domandò Floria. «Notizie, Vostra Grazia.» L'uomo si fermò accompagnato dal clangore metallico dell'armatura. Il volto era parzialmente nascosto dall'ombra della ventaglia alzata, ma Ash pensò che l'espressione fosse piuttosto tesa. «Altri scavi?» «No, Vostra Grazia.» De la Marche serrò le mani sul pomello della spada. «Ci sono notizie da nord... da Antwerp.» «Rinforzi?» esclamarono all'unisono Florian e Ash. «Come?» chiese Floria. «Già» commentò Ash, arrossendo. «Non stavo pensando. Buona do228
'Pus bonum et laudabile ': un fraintendimento degli scritti di Galeno che deve essere costato la vita a migliaia di persone in Europa tra il declino della medicina militare romana e il Rinascimento.
manda. Come è riuscito a passare, messere? Spie?» Il comandante burgundo scosse appena la testa e la luce delle torce si riflette sull'armatura abbagliando Ash. «No, non si tratta di una spia» disse de la Marche. «Un araldo visigoto ha scortato il nostro messaggero fino ai cancelli.» Floria era interdetta e Ash sentì lo stomaco che si rivoltava. «Meglio sentire quello che ha da dire, giusto?» suggerì Ash, poi, quasi soprappensiero diede una rapida occhiata a Florian in attesa del permesso che giunse un attimo dopo sotto forma di cenno del capo. «Non si tratta di buone notizie, vero?» chiese Florian improvvisamente. «Già, non avrebbero mai permesso alle buone notizie di passare. L'unica domanda che possiamo porci è: 'quanto sono brutte?'» De la Marche impartì un paio di ordini e due soldati fecero entrare un terzo uomo, dopodiché uscirono. Ash non riuscì a leggere l'espressione sui volti dei soldati e si rese conto che aveva stretto il pugno. L'uomo fissò Floria del Guiz battendo le palpebre. Teneva le braccia strette intorno al corpo per sostenere quello che sembrava un mantello o un fagotto. De la Marche si mise dietro il messaggero e gli posò una mano sulla spalla. Ash notò che non portava l'armatura. Il tabarro e la tunica erano sporche di sangue rappreso e vomito secco. L'unico indizio che lo identificava come un Burgundo era la croce di sant'Andrea sulla divisa. «Riferisci il messaggio» gli ordinò Olivier de la Marche. L'uomo rimase in silenzio. La pelle era chiara e i capelli neri. L'esaurimento o la fame, forse entrambe le cose, gli avevano scavato il volto. «Sono stati i Visigoti a portarti qua?» lo interrogò Florian. Attese per qualche attimo nel silenzio che era sceso, quindi salì la predella e si sedette sul trono ducale. «Come ti chiami?» «Rispondi alla duchessa, ragazzo» lo invitò de la Marche. L'ex comandante dell'esercito burgundo aveva circa cinquant'anni e Ash si rese conto che in confronto a lui il soldato poteva essere considerato un ragazzo. L'uomo guardò la donna sul trono e quella in armatura senza mostrare il minimo segno d'interesse. Merda! pensò Ash. Merda! «Devo proprio farlo, messere? Non voglio. A nessuno bisognerebbe chiedere qualcosa di simile. Mi hanno rimandato indietro, ma non l'ho chiesto io...» La voce era roca e a giudicare dall'accento il soldato doveva provenire da qualche città delle Fiandre.
«Cosa ti hanno detto di dire?» Floria si sporse in avanti oltre il bracciolo del trono. «Ho preso parte alla battaglia?» Il tono di voce era interrogativo. «Giorni fa. Che siano passate due settimane?» Ash si rese conto che lo sguardo angosciato che l'uomo rivolgeva a de la Marche non era dovuto al fatto di non voler rendere conto a due donne, ma a qualcosa di diverso. «Sono morti. Tutti» spiegò in tono piatto. «Non so quello che è successo sul campo, ma abbiamo perso. Ho visto Gaucelm e Arnaud morire. Sono l'unico rimasto della mia lancia. Ci siamo ritirati nel buio, ma non ci hanno uccisi. Ci hanno circondati, così all'alba ci siamo trovati di fronte a un cordone...» Florian stava per parlare, ma Ash le fece segno di tacere con un cenno della mano. Il Burgundo strinse il fagotto che portava tra le braccia e si guardò intorno soffermandosi un attimo sulle tracce di fango lasciate sul pavimento lucido dai suoi stivali. Su un tavolo c'era una caraffa di vino, il soldato deglutì, ma non sembrò notarla. Ash vide che il mantello tra le braccia dell'uomo era di iuta e non di lana come aveva pensato in un primo momento. «È tutto fottuto!» disse. «L'esercito del Nord. Ci hanno circondati tutti: i carri, i soldati i comandanti e ci hanno fatto entrare ad Antwerp...» «I Goti hanno conquistato Antwerp? Merda!» ringhiò Ash. Floria le fece cenno di stare zitta, si sporse nuovamente in avanti e chiese: «E poi?» «... ci hanno messi sulle navi.» Il silenzio calò nuovamente nella sala. Ash fissò de la Marche interdetta. «Nessuno sapeva cosa sarebbe successo» continuò l'uomo con una sorta di lamento. «Mi tirarono fuori da là dentro... me la sono fatta sotto...» esitò e dopo un attimo continuò: «Ho visto che li spingevano sulle navi pungolandoli con le lance come se fossero bestie. Li hanno imbarcati tutti... e per tutti intendo proprio tutti: soldati, puttane, cuochi e i fottuti comandanti... Non sapevo perché stava succedendo, non sapevo perché non ero con loro.» «Perché dovevi venire qua» spiegò Ash. L'uomo le lanciò un'occhiata disgustata. Era ovvio che ai suoi occhi Ash non era la Pulzella di Borgogna. «Che cazzo ne sai tu!» Scosse la testa. «Una cacchio di donna vestita da
soldato.» Lanciò un'occhiata a de la Marche. «L'altra è veramente la duchessa?» De la Marche annuì senza rimproverarlo. «Hanno tolto gli ormeggi alle navi» continuò il soldato. «Non c'era equipaggio, le hanno lasciate andare nella baia di Antwerp. A un tratto ho sentito una grandissima vampata.» Fece un gesto con una mano. «E la nave più vicina ha preso fuoco. I Visigoti hanno continuato a bersagliare le altri navi con il Fuoco Greco e hanno usato gli uomini che si buttavano in mare come bersagli mobili per far addestrare i balestrieri. Le banchine erano illuminate dalle torce e nessuno è sopravvissuto. Anche l'acqua bruciava. Quella cosa galleggiava. I corpi... galleggiavano. Bruciavano.» De la Marche si passò una mano sul viso. «La maggior parte di noi è morta fuori Antwerp» continuò l'uomo. «Non so in quanti siano sopravvissuti, ma sono stati sufficienti a stipare sei o sette navi. Adesso non c'è più nessuno. Mi hanno mandato con questo.» Porse il sacco di iuta sporco e imbrattato come i suoi abiti. «Mostrami quello che c'è dentro» ordinò Floria ad alta voce. L'uomo si acquattò e cercò di sciogliere i nodi. De la Marche si chinò, estrasse la daga e tagliò il cordino. Il soldato sollevò il sacco per i bordi facendo rotolare un oggetto sul pavimento. «Cristo!» Floria rimase immobile. Ash avvertì il fetore e deglutì. Dannazione, avrei dovuto riconoscere l'odore di marcio. Guardò de la Marche con aria interrogativa. L'unico sopravvissuto dell'esercito mandato a nord della Borgogna sollevò l'oggetto bianco e blu e lo posò di fronte al chirurgo. «Questa è la testa di messere Antoine de la Roche» spiegò impassibile. Gli occhi velati e incassati della testa tagliata ricordarono ad Ash un pesce marcio. I capelli scuri e la barba potevano essere stati di qualsiasi colore prima di essere imbrattati di sangue. «È lui?» domandò a de la Marche. «Sì. Lo conoscevo molto bene. Demoiselle, forse non è il caso di...» «Sono un chirurgo. Continuate.» Il soldato estrasse altre due teste dal sacco trattandole con estrema delicatezza quasi potessero ancora sentire il suo tocco. Erano le teste di due donne che in vita avevano avuto i capelli lunghi. Non era chiaro se i segni sul viso erano dovuti a violenze subite o alla decomposizione. I capelli erano sporchi di sangue, fango e sperma. Ash fissò la pelle cerea di una delle teste. A dispetto della morte la don-
na più vecchia era ancora riconoscibile. L'ultima volta che l'ho vista è stato qua, ad agosto, pensò. Dipendeva tutto da loro. Stava cercando di pensare che quelle due teste appartenevano a due contadine qualunque e che erano state mandate in città per minare il morale dei difensori, ma i lineamenti erano ancora riconoscibili. Per quanto fosse devastato quel viso era lo stesso della donna che aveva litigato con John de Vere, conte di Oxford: quella era la moglie di Carlo, la pia e devota regina di Bruges. «La duchessa madre Margherita e sua figlia Maria» le presentò il soldato. Ash poté solo constatare che la seconda testa apparteneva a una ragazza perché i lineamenti erano quelli di una persona più giovane. Alzò lo sguardo e vide le guance di de la Marche striate dalle lacrime. Quella è Maria di Borgogna. «Le ho viste uccidere sulle banchine del porto di Antwerp» raccontò l'uomo. «Prima le hanno stuprate. Ho sentito la duchessa madre che pregava. Ha invocato Cristo e i santi, ma non c'è stata pietà. L'hanno lasciata vivere quanto bastava per assistere alla morte della figlia.» Il silenzio della stanza era infranto solo dal tamburellare della pioggia contro le imposte chiuse. L'aria era pervasa dall'odore dolciastro della carne in decomposizione. «Sono morte da meno di una settimana» disse Ash rialzandosi, sorpresa di avere la voce incrinata. «Il che fa risalire la battaglia a nord a circa un giorno dopo la morte del duca.» Florian sedeva scuotendo la testa, poi, improvvisamente si drizzò. «Non permettete che la gente parli con quest'uomo» disse, rivolgendosi a Olivier de la Marche. «Lo ospiteremo nell'ospedale della compagnia nella torre. Ha bisogno di riposo, di un bagno e solo Dio sa di chissà cos'altro.» «Non dovresti preoccuparti delle voci» commentò Ash, secca. «Il Leone riuscirà a sapere tutto quello che non vuoi si sappia. Non puoi tenerlo nascosto a lungo.» «Avete ragione» concordò de la Marche. «Vostra Grazia, non so se capite...» «Ho sentito!» sbottò Floria. «Non sono stupida. Non c'è più nessun esercito amico al Nord. Nessuno verrà in nostro aiuto, giusto?» Ash diede la schiena ai presenti immaginando la gioia del campo visigoto al di là della mura. «Giusto» confermò. «Non ci sarà nessun esercito che verrà a salvarci.
Dovremo cavarcela da soli.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Tredicesima e Quattordicesima di Ash: — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#377 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 06,11 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Con tutti i sismografi in attività, tutti i satelliti eredità della guerra fredda sopra le nostre teste e data l'instabilità politica del Medio Oriente... dubito che un piccione potesse evacuare senza che le autorità preposte lo venissero a sapere! È chiaro che qualsiasi cosa fosse successa sul fondo del Mediterraneo non sarebbe passata inosservata; quindi se non ci sono registrazioni... Scusa, aspetta, Isobel ha bisogno del computer. Sono troppo preso dalla traduzione per aggiungere altro. DEVO FINIRLA. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#378 (Anna Longman) Ash 15/12/00 ore 06,38 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
No, hai ragione. Dopo un po' devo fare una pausa. La mente si chiude e la traduzione perde senso. Sono ancora perseguitato dalla conoscenza che quando sarà il momento di una seconda stesura, sarà possibile che si venga a creare una versione completamente diversa della traduzione... una storia diversa in tutti i particolari, ma altrettanto valida.
Suppongo di voler dire che devo prendere una serie di decisioni, vorrei solo avere più tempo a disposizione prima della pubblicazione. Ti manderò la prossima sezione del lavoro appena avrò completato la brutta. Devo completare tutto in sequenza, perché verso la fine ci sono delle sezioni che potrebbero avere diverse interpretazioni! La scelta sarà determinata da quelle precedenti. Per questo e per altri motivi l'unica persona a cui mostro la traduzione è Isobel. Comunque, ho parlato a grandi linee con James Howlett. Non so cosa dire di lui, davvero. Parla spensieratamente di 'falle nella realtà' e 'bolle quantiche' si è incaponito riguardo il sole in Borgogna, ma se quell'uomo ha una spiegazione per il fenomeno io non la capisco. Non avevo idea che in quanto storico, avrei dovuto avere anche basi di matematica o almeno una minima infarinatura di meccanica quantistica. Pensaci Anna... sto cominciando a capire che pubblicheremo quello che sarà solo 'l'inizio' del lavoro di altri. — Pierce
QUATTORDICESIMA PARTE 15 DICEMBRE - 25 DICEMBRE AD 1476 'Tesmoign mon sang Manuel cy mis'229 I L'ululato dei lupi echeggiava lungo la valle del fiume. «Sono diventati abbastanza coraggiosi da scendere anche di giorno» disse il robusto Gallese che rispondeva al nome di Geraint ab Morgan. Il fiato del mercenario si condensava nell'aria fredda della strada che stava percorrendo insieme ad Ash. «Piccoli bastardi pelosi.» «Rickard ha preso tre cuccioli di lupo.» Il sorriso di Ash svanì. E ne ha uccisi molti di più con la fionda, aggiunse tra sé. Erano tre settimane che i giganteschi falò nel campo visigoto bruciavano notte e giorno: i Burgundi potevano guardare dalle mura e vedere il nemico che, rilassato, si godeva il calore. Erano passate tre settimane dalle notizie giunte da Antwerp: era il 15 dicembre e i Visigoti potevano permettersi di lasciare che i lupi razziassero gli avanzi del loro campo. E io ho lasciato che mi nominassero capo supremo di tutto questo, pensò Ash. Capitano-generale; Pulzella di Borgogna; Spada della Duchessa. Duchessa Florian. Dio l'aiuti. «Devo essere una pazza fottuta!» sussurrò Ash. Geraint le lanciò un'occhiata e lei chiese: «Continuano ancora a trasportare le provviste lungo il fiume?» Il vento freddo fece tirare su il muco a entrambi. Fa abbastanza freddo da far gelare anche quello, pensò Ash. «Certo, capo. Le teste di tela usano le slitte. Gli artiglieri del Leone ne hanno beccata qualcuna.» Vide le porte sbarrate di una casa. Nessuno urlava di stare attenti prima di svuotare un vaso da notte in strada, nessun bambino giocava nel fango. Dal giorno prima erano cominciate ad arrivare notizie di pozzi che gelavano. Una parte di Ash in un certo senso sì era gelata dal momento in cui ave229
Francese: 'Testimonia il sangue delle mie mani qua deposto'. Variante del più conosciuto 'testimonia il mio Manuel [firma] qua deposto' su contratti e altri documenti? Manoscritto di Sible Hedingham, quarta parte.
va visto la testa tagliata di Margherita di Borgogna. Non verrà nessuno, pensò, gli unici soldati della Borgogna sono quelli tra queste mura! E si suppone che io li debba comandare. Quella consapevolezza aveva reso il palazzo, nel quale era ancora possibile scaldarsi di fronte a un cammino acceso, solo un'interminabile catena di incontri e basta. Un'ora rubata ai suoi doveri da passare in compagnia degli uomini del Leone era un vero e proprio piacere. «La tua lista dei puniti è diventata troppo lunga» disse Ash, con voce piatta. «Quegli stupidi stronzi stavano rubando le porte per il fuoco» le fece notare Geraint con voce priva di rabbia. «Ho detto loro di prendere il legno dai palazzi abbandonati, ma non gli posso rompere le balle se vanno a prenderlo al cancello nord-est.» Le fionde di Rickard e di un altro ragazzino sibilarono alle loro spalle. «Mancato!» «Un ratto?» indagò Ash. «Un gatto.» Rickard avvolse nuovamente la fionda. Aveva le dita viola per il freddo. «Sono buoni da mangiare.» Il tiro cadenzato delle macchine d'assedio visigote riprese a martellare il cancello nord-ovest. «Non gli servirà a molto.» Le schegge di pietra avrebbero solo dato fastidio senza arrecare danni, costringendo le persone a stare nelle case, cosa che già succedeva vista la scarsità di candele e cibo: le razioni rimanenti andavano ai soldati. La dieta di tutti era carne di cavallo e acqua. Un oggetto scuro balenò nell'aria e sia Ash che Geraint sussultarono simultaneamente. Il tonfo delle macchine d'assedio faceva sì che una persona rimanesse sempre allerta, il Fuoco Greco arrivava con una sorta di tuono accompagnato da una scia di fuoco nel cielo, i colpi dei trabocchi, invece, cadevano silenziosi, non c'era nessun segnale in grado di avvertire qualcuno che la strada stava per esplodergli davanti. Rickard uscì di corsa dalla scorta del prevosto, si chinò sull'oggetto rimasto sul selciato, quindi si alzò in piedi con le mani chiuse a coppa. «Un passero» disse. Meglio quello che un'altra dannata spia o un araldo che torna indietro a pezzi, pensò Ash. Rickard si riunì al gruppo. Ash toccò il piccolo corpo del pennuto, freddo come le pietre del palazzo di Digione e alzò gli occhi al cielo. L'uccello
era privo di segni, probabilmente era morto assiderato mentre volava. «Non è un pasto decente neanche per te» disse Ash e il ragazzino sorrise. Lei fece cenno alla scorta di muoversi. Gli stivali scivolavano a ogni passo sul selciato ghiacciato, dovevano camminare perché cavalcare era troppo pericoloso. Ash si asciugava gli occhi dalle lacrime ogni volta che giravano un angolo e si trovavano con il vento contro il viso. Il bombardamento visigoto non sembrava diminuire. I suoni si trasmettevano bene nell'aria con quel tempo. Avrebbe potuto essere nei quartieri nord-ovest, invece che vicino al ponte sud. «Non stanno assaltando i cancelli» notò Geraint. «Non ne hanno bisogno.» Ci lasciano guardare il loro campo... sempre al caldo e ben nutriti, pensò. E non è una farsa, loro stanno veramente bene. I ghiaccioli pendevano dalle grondaie puntando verso la strada. C'era del ghiaccio che non si era sciolto neanche una volta da quando, quindici giorni prima, era cominciato il gelo. Il ghiaccio spezzava le corde dei mangani e dei trabocchi. Non stanno attaccando, pensò Ash, ma non stanno neanche andando a pezzi. Niente ammutinamento. Suppongo - aumentò il passo attenta a fare in modo che sul suo volto non trasparisse nulla - che questo significhi che il faris ha ripreso il controllo della situazione. Quindi... Cosa farà? Cosa faremo tutti? Cosa farò io? Le mura irradiavano il gelo. Lo sguardo di Ash sondava la strada mentre camminava pronta a inviare gli uomini di Morgan a controllare i corpi: non passava notte senza che due o tre persone morissero assiderate per le strade. Sulle mura i soldati congelavano. Un uomo era stato trovato assiderato in groppa al cavallo. La terra era dura come il marmo e i morti non potevano essere seppelliti. «Capo» la chiamò Geraint ab Morgan. «È questo il posto?» Ash stava già camminando tra il muro spaccato che fino a poco tempo prima aveva ospitato una porta. Le imposte e i capitelli di quercia stagionati erano stati tolti, insieme alla porta e a un pezzo di una trave di supporto. La facciata della casa stava cedendo. Sul pavimento c'erano sei donne e cinque bambini, sedevano stretti uno contro l'altro. Quattro uomini adulti si alzarono tremando e andarono incontro ad Ash. Il più alto rimase a guardare sènza parole la divisa di Ash e l'espressione accigliata fu sostituita da quella di una persona che non comprendeva quanto stava succedendo. «Gli uomini che hanno fatto questo devono essere puniti» decretò Ash e
si fermò. La luce proveniente dalla porta cadeva sul camino che non era più stato acceso da tempo. In quella casa faceva tanto freddo quanto in strada. «Vi farò mandare della legna.» «Cibo» disse una delle donne che stringeva un bambino. Gli occhi incavati della madre brillavano, gli zigomi erano pronunciati e la pelle sbiancata dal freddo. «Mandaci del cibo, vacca sifilitica!» Un'altra donna le afferrò il braccio, ma la prima si divincolò e fissò Ash con gli occhi colmi d'odio. «I tuoi fottuti soldati hanno tutto il cibo. Mio cugino Ranulf è venuto qua da Auxonne per non parlare dei bambini e dei neonati... come posso nutrirli?» Un attimo dopo perse tutta la violenza che albergava in lei e arretrò appena vide il prevosto e i soldati che si schieravano intorno ad Ash. Posò un braccio su un bambino. «Non volevo dire nulla. Cosa posso fare? Ho offerto loro una casa, ma stanno morendo di fame. Come posso guardarlo in faccia? Mio marito è morto combattendo per te!» Per me, pensò Ash. Non è il momento giusto per dirlo. Se fossi ancora il capo dei mercenari, cercherei di lasciare la casa all'esercito. Diavolo: era solo tre settimane fa... «Vi farò mandare del cibo» promise Ash e si girò repentinamente sbattendo contro Geraint ab Morgan per poi farsi largo tra gli uomini della scorta e tornare in strada. «Da dove, capo? Agli uomini non piacerà.» Geraint si grattò il cavallo dei pantaloni. «Siamo a metà razione e stiamo esaurendo i cavalli. Non possiamo sfamare tutte le famiglie di profughi.» Attese la risposta, poi, chiaramente frustrato dal silenzio aggiunse: «Perché pensi che la puttana che comanda le teste di tela non lasci uscire i civili dalla città, capo? Sanno quanta pressione esercitano su di noi!» «Henri Brant mi ha detto che la carne di cavallo è quasi finita.» Ash parlò senza girarsi a guardarli. «Questo significa che non possiamo permetterci di nutrire i cani. Quando avrete uccisi i miei mastini mandatene uno a questa gente.» «Ma, Brifault e Bonniau...!» protestò Rickard. Ash lo interruppe. «I cani sono buoni da mangiare.» Nelle ultime settimane le era successo di piangere per gli uomini feriti o uccisi sulle mura durante i bombardamenti e per sua somma sorpresa de la Marche, Anselm e addirittura Geraint ab Morgan, l'avevano capita facendo sì che tali sfoghi non minassero la sua autorità. Ora, mentre camminava lungo la strada gelata, poteva sentire le scie gelate delle lacrime sulle
guance. Scosse la testa pervasa da una sorta di amaro divertimento per se stessa. Chi piange la morte di un animale? «L'hai sentita, Godfrey?» chiese sottovoce, come suo solito. «Ancora nulla. Non ha neanche chiesto di parlare con me... con la machina rei militaris.» Quello che faccio sapere a lui lo sa anche il nemico. Non posso neanche chiedere a Godfrey come me la devo cavare in veste di capitano-generale. «Raddoppia le guardie ai magazzini» ordinò a Geraint. «Spellate la schiena a chiunque beccate a fregare.» C'erano diverse cose che, in veste di capitano-generale della Borgogna, sapeva e che non avrebbe voluto sapere. Abbiamo cibo per quanto ancora? Tre settimane? Due? Dobbiamo trovare il modo di prendere un'iniziativa! Ma non so come. «Forse» azzardò in tono troppo basso per farsi sentire da Geraint, Rickard o le sue voci «non dovrei fare questo lavoro.» Entrarono in una piazza aperta. Ash sentì il ghiaccio che si spezzava sotto gli stivali. Il vento gelido le faceva lacrimare gli occhi. Il ghiaccio scendeva oltre i bordi della fontana nel centro della piazza. «Andiamo ai mulini» avvertì. «Voglio controllare le guardie ai canali. Sono gelati e gli animali passano, il che vuol dire che possono passare anche gli uomini. Geraint, tu e i prevosti farete eseguire gli ordini. Rickard, tu vieni con me insieme a Petro.» Gli arcieri al comando di Giovanni Petro borbottarono qualcosa e lei sapeva che si stavano lamentando perché loro stavano per andare sulle mura esposte al vento a sud-ovest di Digione, mentre gli altri sarebbero stati al caldo nel corpo di guardia della torre. Un sorriso appena accennato le increspò le labbra. Ash imboccò uno dei vicoli che formavano il dedalo di stradine che portavano fuori dalla piazza. «Ammainate quella cacchio di bandiera prima di raggiungere le mura!» ordinò Petro. Ash diede una rapida occhiata alle sue spalle e vide la bandiera del Leone, sulla quale era stata cucita frettolosamente una Croce di sant'Andrea, che veniva arrotolata. Attraversò la parte finale di un vicolo alla sua sinistra. Un oggetto in movimento, troppo veloce per essere visto, la scaraventò a terra.
Il rumore degli uomini che correvano la svegliò. La stavano trasportando da qualche parte, tenendola per le braccia e le ginocchia. L'armatura sferragliava e il mondo girava vorticosamente. «Cosa...?» «Non è morta!» «Portatela al sicuro! Via, via, via!» Ash sentì il dolore che aumentava, ma non riusciva a capire dove fosse stata colpita. Ansimò un paio di volte per cercare di ventilare i polmoni. «Mettetela giù!» «Sto bene...» Tossì. Riusciva a stento a sentire la sua voce. Era consapevole che la stavano portando, del puzzo degli escrementi, della luce fioca, delle scale, delle torce e della luce naturale di una stanza. «Sono viva. Devo... solo... respirare.» Tossì di nuovo e batté la protezione del braccio contro la corazza cercando di cingersi il petto. Alzò lo sguardo da dove era sdraiata appoggiata tra Petro e Rickard e si trovò a fissare Robert Anselm e Olivier de la Marche. «'Fanculo.» Cercò di mettersi dritta, ma il dolore le pervase il corpo. «Sto bene. Qualcuno mi ha vista cadere, Roberto?» «La voce sta cominciando a girare...» Ash lo interruppe: «Tu e Olivier de la Marche uscite immediatamente! Se tutti vi vedono in giro allora capiranno che non è stato nulla di serio.» «Sì, Pulzella» concordò de la Marche e si allontanò insieme a un gruppo di cavalieri burgundi. Una debole luce glaciale penetrava dalla finestra illuminando i volti preoccupati che circondavano Ash. Erano al secondo piano della torre. L'ospedale di Florian. «Cosa è successo?» domandò Anselm. «Che cazzo ne so... Petro? Quanti sono stati colpiti?» «Solo tu, capo.» Il sergente degli arcieri spostò la presa e Ash sentì che poteva tornare a muoversi. Sentiva qualcosa che pungeva. Guardò la mano sinistra e vide che l'imbottitura in lino del guanto era sporca di sangue. Il freddo aveva anestetizzato il dolore. «Non lo hai sentito, capo?» le chiese Giovanni Petro. «Un colpo di trabocco» aggiunse appena vide lo sguardo inespressivo di Ash. «Ha polverizzato l'ala ovest del palazzo del visconte sparpagliandola per tutta piazza dei Fiori... le macerie sono piovute in tutti i vicoli e una ti ha centrato.» «Trabocco...» «Un grosso e fottuto blocco di arenaria.»
«Cristo fottuto!» bestemmiò Ash. Cercò di rialzarsi in piedi barcollando e udì qualcuno alle sue spalle che si faceva strada tra i presenti. Una fitta di dolore le attraversò il corpo. Posò le dita insanguinate sulla corazza. I paggi le tolsero l'elmo, Ash girò il capo e si trovò faccia a faccia con Florian. Mezza duchessa e mezzo chirurgo, pensò Ash. Florian portava un lungo abito dorato coperto da un altro indumento di vaio. Dal fianco le pendeva la daga e un sacchetto d'erbe. I bordi del vestito che strusciavano a terra erano sporchi. Ash vide che sotto l'abito lungo, Floria indossava i pantaloni e il farsetto. Al posto della cuffia c'era una coroncina che le cingeva la fronte. Le mani esperte di un artigiano avevano intagliato le corna di un cervo formando una corona ovale che premeva contro i capelli biondi. «Vediamo di togliere l'armatura» disse Floria in tono professionale e brusco annuendo al tempo stesso in direzione di Rickard. Il ragazzino, aiutato da un altro paio di paggi, slacciò le fibbie e tolse le protezioni alle spalle. Ash fissò intontita la testa del ragazzino intento a slacciare le fibbie sul lato destro del piastrone e delle piastre lasciandole penzolare, mentre si dedicava ad aprire la falda. «Va bene...» Aprì la corazza e tolse il guscio di metallo con un unico movimento. Ash ondeggiò nuovamente. L'aria era fredda. Aveva indosso il farsetto, i pantaloni e le gambe della corazza, ma si sentiva come nuda. I denti battevano. «Merda!» «Stai bene, capo?» chiese Rickard che stringeva ancora in mano la corazza. La voce da adolescente divenne acuta per la prima volta dopo settimane. «Sì... sto bene. Sto bene!» Ash lasciò penzolare le braccia lungo i fianchi. Le tremavano le mani. Il paggio slacciò i lacci del farsetto imbottito. «Dove mi ha beccato?» Rickard lasciò cadere il piastrone della corazza e lo fissò. «In pieno petto, capo.» Florian si parò di fronte a lei e le aprì lentamente il farsetto sporco. «Sto bene, Rickard. Anche voi, sto bene. Adesso vorreste essere così gentili da andare a fare in culo, grazie? In che condizioni sono Florian?» Robert Anselm rimase ancora fermo sulla porta. «Capo...» «Quale parte di 'andare a fare in culo' non hai capito?» indagò Ash, acida. «Che male» si lamentò a bassa voce quando vide l'Inglese sparire.
Floria aprì del tutto il farsetto e Ash si ritrasse al contatto con le dita fredde che le tastavano il costato sinistro. «Piano!» si raccomandò Ash sussultando. Sulle labbra le era apparso un sorriso tremante. «Ehi. Il nemico non ha mirato proprio a me.» «Non importa molto» la imitò Floria, ironica. Fissò il fianco di Ash ficcando praticamente la testa nel farsetto aperto. Il fiato si condensò a contatto con l'aria gelida. Ash sentì il calore della pelle contro la sua e si irrigidì. «Non hai qualcosa di meglio da fare che stare nell'ospedale, duchessa?» Appena ebbe terminato di parlare, Ash si rese conto che insieme a Floria c'erano delle donne che non appartenevano alla compagnia. Le ancelle della duchessa e Jeanne Châlon tirarono su con il naso e sembrava che fossero pienamente d'accordo con Ash. «No. Ci sono diversi pazienti qua, per non parlare di quelli a santo Stefano e negli ospedali delle altre due abbazie...» Floria rise. «Sei stata fortuna a trovare me, avresti potuto incontrare Bianche.» «Oh, certo, io... cazzo! Non farlo!» «Sto controllando le costole.» Ash vide che sotto il seno sinistro si era formata una zona rossa larga quanto un piatto. Si mosse appena e sentì una serie di dolori dal fianco, all'ascella, ai muscoli pettorali e - come comprese proprio in quel momento - alla base della gola. «Diventerà di tutti i colori» fece notare. Floria si raddrizzò e si sedette sul suo baule da medico che fungeva da panca perché ormai tavoli e sedie erano stati bruciati da tempo. «Il polmone è a posto» affermò picchiettando pensierosa un dito contro i denti. «Forse hai una costola incrinata.» «Niente di più facile, capo!» Rickard si raddrizzò. Indossava una giubba, la giubba della compagnia, una tunica di pelliccia e lino. Il cappuccio era giù solo perché era all'interno della torre e vicino al fuoco. «Guarda qua.» Alzò la corazza di Ash tenendola per le spalle e il fuoco si riflesse sul metallo. «Che mi fottano!» esclamò Ash, quindi allungò una mano e fece scivolare le dita guantate sulla superficie. La curvatura del piastrone era incavata. Rickard girò il piastrone a un cenno di Ash che vide un rigonfiamento del metallo proprio all'altezza delle costole sinistre. Toccò il punto corrispondente sul suo corpo. «È spaccata. Le piastre e il piastrone. Due strati d'acciaio spaccati!»
La luce dell'inverno proveniente dalla finestra balenò nuovamente sulla piastra. Si tolse lentamente i guanti e cercò di chiudere il farsetto. Florian le prese la mano sinistra e cominciò a esaminarla per cercare le schegge di pietra. Ash continuò a fissare l'armatura e fischiò. «L'armaiolo non può far rientrare il bollo a martellate. Dolce Cristo sull'Albero, questo assedio è proprio fortunato. Per san Giorgio!» «Non fare mai affidamento sui santi dei soldati» le suggerì Floria a bassa voce e in tono caustico «prova con san Jude! Tilde, ho bisogno dell'amamelide e dell'unguento di san Giovanni. Lava questa mano con il vino e non bendarla.» L'ancella fece un inchino davanti a una Floria visibilmente divertita per il gesto. Jeanne Châlon guardò di nuovo Ash e tirò di nuovo su con il naso in segno di disapprovazione. «Duchessa, ricordatevi che avete indetto il consiglio per l'Ora Nona» le ricordò, puntigliosa. «Credo di averlo convocato io, zia» le fece notare Florian. Jeanne Châlon arrossì. «Certo mia signora.» «Certo mia signora» fece eco sottovoce, con tono beffardo, Rickard. Floria lo fulminò con un'occhiataccia. «Togli il resto della corazza. Tilde, dov'è l'unguento?» Un uomo che giaceva in un lettino vicino al camino si sedette e Ash vide che si trattava di Euen Huw. Sporco e macilento oltre ogni limite con la testa rasata percorsa dai punti che gli aveva applicato Floria, il Gallese sogghignò. «Ehi, non lasciare che ti tasti, capo. Ha la mano pesante. Giuro... secondo me lavora per le teste di tela.» «Stai giù Euen altrimenti ti do altri punti a quella testaccia di legno che ti ritrovi!» Il Gallese sorrise a Florian e mentre si sdraiava borbottò: «Adesso è comodo, vero? Ecco cosa succede ad avere un capo in gamba. Fa incoronare duchessa il dottore e lui si fa nominare comandante in capo dell'esercito. Anche le fottute teste di tela si arrenderanno appena lo verranno a sapere.» Come lo vorrei, pensò Ash e dallo sguardo del chirurgo si rese conto che anche lei aveva pensato la stessa cosa. Allungò le braccia per permettere a Rickard e ai paggi di sfilare ciò che restava della corazza. Fece scivolare il farsetto imbottito giù a terra e sussultò quando Floria cominciò a tastarle la schiena.
La donna chirurgo si raddrizzò. «Qualsiasi cosa ti abbia colpito quando sei atterrata l'armatura ti ha salvata. Hai una maglia che posso strappare? Ti benderò le costole ben strette. Sarai un po' rigida nei movimenti, farà male, ma sopravvivrai.» «Grazia per la simpatia...» Floria cominciò a spalmare la poltiglia e Ash digrignò i denti. «Rickard porta la corazza in armeria e di' loro che al capo ne serve una nuova. Possono prendere tutto quello che serve loro dall'armeria e voglio che sia fatto entro domani!» «Sì, capo!» La luce che illuminava l'ospedale proveniva dalle uniche finestre con le imposte aperte. I mattoni scaldati sul camino e posti sotto le coperte servivano a contrastare il freddo dell'aria. Gli uomini sui lettini si agitavano a disagio, alcuni emettevano bassi lamenti in continuazione, un uomo borbottava qualcosa tra sé e sé. Alcuni di loro avevano ecchimosi color porpora, altri ferite cucite e lasciate scoperte, altri avevano parti del corpo avvolte in bende insanguinate. Qualcuno giocava a dadi, puliva le armi o parlava con un compagno, ma si trattava di pochi, perché la maggior parte rimaneva sui lettini avvolta nelle coperte. Ash socchiuse gli occhi e contò. «Il numero dei degenti è aumentato del doppio rispetto a ieri. Non c'è stato nessun attacco alle mura. Sono i bombardamenti?» Floria alzò lo sguardo. «Vediamo. Qua dentro ci sono ventiquattro feriti. Tre moriranno dissanguati e due per ferite infette. Le clavicole, i polsi e le costole rotte guariranno. Non dico nulla riguardo le fratture allo sterno. Baldina ha estratto una freccia a uno degli uomini di Loyecte: non voglio farlo uscire da qua. Ci sono dieci casi d'ustione da Fuoco Greco, ma sopravvivranno.» Aveva parlato senza consultare gli appunti che aveva impilato in un angolo del suo baule. «Ci sono più di ventiquattro persone qua dentro.» «Venti di loro hanno la febbre delle campagne» spiegò Floria. Studiò il corpo di Ash con occhio clinico e continuò a spalmare la poltiglia ignorando i sibili di dolore ogni volta che le toccava la pelle. «Dissenteria» continuò, bendandola con mano sicura. «Ho detto loro di seppellire i corpi lontano dai pozzi, Ash. Il terreno è duro come la pietra. Ho ordinato di far scavare delle fosse comuni nel terreno dietro la forgia230 . Cagano dove gli capita. Nelle abbazie ho dei casi di dissenteria an230
Nell'Europa occidentale post-romana, l'usanza di seppellire i morti a
che tra i civili. Più di ieri... una volta che prende piede...» «Come stiamo a scorte?» «Non ho erbe fresche. Pur contando le scorte delle abbazie siamo a corto di verga d'oro, sigillo di Salomone. Baldina e le ragazze possono somministrare la camomilla come calmante e la maggiorana per le distorsioni.» Fissò Ash. «Ho finito tutto il resto. Bendiamo e cuciamo.» Un sorriso secco le apparve sulle labbra. «Stiamo lavando le ferite con il migliore vino di Borgogna. L'uso più indicato per il vino.» Ash si infilò nuovamente nel farsetto. Rickard le fece indossare una brigantina portata da un paggio e cominciò ad allacciarla. «Devo andare. Nel caso pensassero che sono morta. Sai di cosa parlo... morale.» L'attenzione di Florian fu attratta da un uomo con una vistosa ferita a una mascella. «Non ho ancora finito il giro. Ci vediamo a palazzo al tramonto.» «Sissignore...» sorrise Ash, dopodiché fece qualche passo tremante, ma stabile. Raggiunto il primo piano vide che era pieno di fumo e puzzava di pan di serpe. L'aria era umida. Le donne stavano lavando i panni con le falde delle gonne tirate su e agganciate alle cinture, gridando ordini e commentando ad alta voce. Si trovò dietro Baldina e Bianche quando Antonio Angelotti apparve con una maglietta ingiallita e cominciò a lamentarsi in milanese stretto. «Madonna» l'accolse l'artigliere, interrompendosi. L'espressione del volto mutò quando vide la fasciatura alla mano sinistra. «Jussey vuole che tu vada ai mulini.» «Sì, stavo andando proprio là. Mi accompagni...» «Capo» l'apostrofò una voce femminile. Ash si fermò e osservò Bianche che posava una mano sulla spalla della figlia. Baldina aveva il vestito aperto e sotto di esso si vedeva il ventre di una donna gravida. Non l'avevo visto ad Auxonne, pensò Ash, ma deve essere successo in primavera. Forse è stato ad Auxonne. «Dovresti mangiare meglio» disse Ash, automaticamente. «Chiedi a Hildegarde, dille che sono stata io a ordinarlo.» Baldina posò le mani sulla pancia. La luce dell'inverno che aleggiava una certa distanza dai vivi e di scavare le latrine per l'esercito risale all'inizio del XV secolo.
nell'aria insieme al vapore sembrò avvolgere la donna in un'aura luminosa. Non vi ho già visti in un affresco in qualche chiesa? pensò Ash osservando Baldina e Angelotti vicino a lei. «C'è un padre?» aggiunse Ash. «Tu che dici, capo?» Baldina sorrise. «Bene, attingete dai fondi della compagnia: un terzo extra.» Non che siano rimasti molti soldi. La ragazza annuì. «Tocca la pancia, capo. Porta fortuna» le disse Bianche, leggermente in imbarazzo. «Porta...» Ash arcuò le sopracciglia e posò la mano non bendata sulla pancia di Baldina, sentendo il calore della pelle sotto il tessuto del guanto. Ricordò la donna medico che a Cartagine aveva detto che il cancello del suo utero era danneggiato e che non avrebbe potuto mai partorire. Provò del dolore, e sentì gli occhi che bruciavano. «Ecco un po' di fortuna. Quando nasce?» «Poco prima della messa di nostro signore. Lo chiameremo san Godfrey, se è un bambino.» Qualcuno gridò. «Va bene! Arrivo!» rispose Baldina girando la testa. «Grazie, capo.» Ash sorrise, vide la sua scorta che si radunava in fondo alla sala e si diresse verso di essa seguita da Angelotti. «Di una cosa sono sicura» dichiarò Ash, cercando di sembrare divertita. «Non è tuo!» «Non finché i ragazzini carini non potranno figliare» affermò l'artigliere. La volgarità dell'affermazione mal si addiceva alla perfezione dei lineamenti. Erano quasi arrivati alla porta della torre, quando Angelotti le posò una mano sul braccio. «Non pensare a noi come a degli amici, Madonna. Non lo siamo. Siamo uomini e donne che ti ubbidiscono. Lo stesso vale per i Burgundi. Gli amici non ubbidiscono.» Lo fissò stupefatta, ma sentì il sollievo derivato da una visione così disincantata della situazione colpire nel segno e annuì. «Anche se ciò che dico è vero a metà, allo stesso tempo non è del tutto falso» aggiunse. «Gli uomini che ti hanno affidato la responsabilità di guidarli non sono tuoi amici; si aspettano molto da te, 'Leonessa'.» «Quindi, si tratta di un avvertimento?» commentò Ash, velatamente cinica. «I mastri artiglieri vanno dovunque. I Visigoti ti darebbero un lavoro con le loro macchine d'assedio e non manderebbero i tuoi ragazzi all'assal-
to delle mura. Sei troppo costoso per essere ucciso. Devo aspettarmi che tu mi venga a dire quando andrai via e mi devo svegliare un bel giorno e scoprire che tu e i ragazzi di Jossey siete andati via?» Angelotti chiuse gli occhi per un attimo poi li aprì. «Niente di più facile, Madonna. Ormai qua ci sono fame e febbre. Presto, molto presto, ci chiederai di attaccare e noi ubbidiremo.» Quattro giorni dopo, Ash era intenta a guardarsi nell'armeria della compagnia. Gli armaioli avevano fatto un ottimo lavoro e le avevano riparato l'armatura rendendola quasi simile a quella che aveva comprato a Milano anni prima. «Proprio un bel lavoro...» Unì le braccia ed eseguì la mossa di qualcuno che menava un fendente notando che nessuna delle parti si incastrava o tirava. «Non è opera mia» ammise Jean Bertrand. L'armaiolo alto quasi due metri la gratificò con uno sguardo nel quale si leggeva un misto di diffidenza e cinismo. «Io l'ho solo limata come mi aveva insegnato mastro Dickon, poi l'ho data agli armieri del duca perché facessero il resto. I ragazzi della compagnia hanno fatto le fibbie.» «Di' loro che è ottima...» «Capo!» gridò qualcuno. «Vieni! Sbrigati!» Ash si girò e sussultò per il dolore che avvertì. Adriaen Campin, uno dei sottufficiali della lancia di Willem Verhaecht entrò incespicando nell'armeria. «È meglio che tu venga, capo!» «Stanno assaltando?» Ash si stava guardando intorno come una forsennata. «La spada, Rickard! Perché arrivano proprio adesso?» Il robusto fiammingo scosse la testa sotto l'elmo. «Si tratta del cancello nord-est, capo. Non so cosa sta succedendo. Forse non si tratta di un attacco. Qualcuno vuole entrare!» «Entrare?» Ash lo fissò dritto negli occhi, incredula. «Entrare!» «Per l'inferno!» Rickard sbucò da un angolo dell'armeria con il cinturone della spada che pendeva da una spalla e la sua giubba su un'altra. Ash si trovò in un attimo a dover rispondere simultaneamente alle domande dei comandanti di lancia arrivati sulla scia di Campin, a Robert Anselm e alla duchessa Floria. «Figlio di puttana!» urlò.
L'armeria divenne improvvisamente silenziosa fatta eccezione per il sibilo dei carboni ardenti nella forgia. «Raddoppiate le sentinelle sulle mura» ordinò rapidamente. «Potrebbe trattarsi di un diversivo. Roberto, raduna venti uomini e venite con me al cancello nord-est. Florian...» Il chirurgo gettò il sacco delle erbe in braccio a Baldina e disse: «Vengo con te.» «No, assolutamente no! I fottutissimi Visigoti sarebbero molto contenti di poter uccidere la duchessa in persona. Ti faccio scortare a palazzo.» «Quale parte di 'andare a fare in culo' non hai capito?» borbottò Floria del Guiz, sorridendo. «Morale... sei tu che ne parli in continuazione. Se sono la duchessa allora non devo avere paura di camminare per le mura della città!» «Ma non sei una duchessa come tutte le altre... oh, merda, non c'è tempo!» Rickard alzò per le maniche la divisa con il simbolo della compagnia. Ash infilò i guanti, si abbassò e si rialzò infilando il paramento facendo attenzione far passare i pugni e le braccia nelle larghe maniche. Provò un breve istante di panico, poi Rickard le mise la spada al fianco. Ash posò una mano sull'elsa, indossò il mantello e uscì con passo deciso dalla stanza. Faceva ancora troppo freddo per cavalcare, quindi marciarono a passo sostenuto raggiungendo il cancello in circa mezz'ora. In quel lasso di tempo videro solo le pattuglie di soldati burgundi per le strade e gli uomini sulle mura. Gli animali insieme ai loro versi e richiami erano spariti dalle strade. Il vento freddo le faceva lacrimare gli occhi e le toglieva il fiato. Salì ansimando le scale che portavano in cima al cancello e si unì a Olivier de la Marche e alla ventina di nobili burgundi presenti. Il robusto capitano burgundo stava schermando gli occhi con una mano intento a fissare in direzione nord-est. «Allora?» domando Ash. Willem Verhaecht la raggiunse di corsa e indicò con un dito. «Laggiù, capo.» Sentì una serie di espressioni contrariate alle sue spalle, ma le ignorò. De la Marche si stava lamentando in tono protettivo della presenza della duchessa. «Che cazzo è?» domandò. Rickard si fece strada a gomitate tra gli uomini del Leone e la raggiunse.
Le aveva portato il suo secondo elmo migliore. Ash lo prese pensierosa rimanendo a testa nuda: una donna sfregiata con i capelli che le coprivano appena le orecchie. Lanciò un'occhiata al capitano degli arcieri e senza farsene accorgere anche a Floria. «Qual è la gittata utile delle balestre da questo punto?» Ludmilla Rostovnaya sorrise. Le ustioni sul volto cominciavano a guarire. «Circa trecentosessantacinque metri, capo.» «Quanto sono distanti le linee nemiche da queste mura?» «Circa trecentosessantasei metri!» «Ottimo. Voglio che abbattiate all'istante chiunque o qualsiasi cosa superi di un metro quel limite. E occhio a quelle maledette macchine d'assedio.» «Sì, capo!» Le tende visigote splendevano bianche sotto il limpido cielo invernale. Volute di fumo si levavano dai camini delle baracche in legno. Udì un nitrito provenire dalle file dei cavalli. Cercò di cogliere i movimenti di qualche macchina ossidionale, ma non vide nulla. Un gruppo di persone a quattrocento metri da loro si divise per far passare qualcuno tra le tende. Cavalli? Pennacchi? Uomini armati o disarmati? Rickard socchiuse gli occhi umidi di lacrime. «Non riesco a vedere la divisa, capo.» «Neanch'io... aspetta, adesso sì.» Ash afferrò Robert Anselm per un braccio e il robusto Inglese si drizzò sogghignando sotto la visiera. «Cristo Santo, Robert, sono quello che penso?» «Continua, ragazza, ormai ho la vista corta» la spronò il suo luogotenente che per la prima volta dopo settimane aveva un tono di voce allegro. «Quella è una fottuta mezza luna!» Ash aveva parlato ad alta voce. Il chiacchiericcio tra i nobili burgundi si interruppe. «Sono i Turchi!» «Stronzi fottuti!» esclamò Floria del Guiz. Fortunatamente aveva usato lo sboccato patois dei campi mercenari. Jeanne Châlon spinse in avanti le labbra disapprovando la veemenza dell'esclamazione senza capirla, Olivier de la Marche tossì imbarazzato. Una colonna ordinata di cavalieri uscì dalle linee visigote. Ash riuscì a distinguere le insegne bianche con la mezza luna nel centro. Non vide punte di lancia orientate verso il cielo e dedusse che nella colonna non c'erano lancieri. La colonna si avventurò sul tratto di terreno che separava il campo nemico dalla città. Cento, duecento, cinquecento uomini... «Cosa fanno? Non ci credo!» Ash imprecò di nuovo e abbracciò Lud-
milla Rostovnaya e Willem Verhaecht. «Buona domanda! Cosa stanno facendo?» «Se hanno intenzione di attaccare vuol dire che sono dei pazzi» sentenziò Olivier de la Marche, quindi si sforzò di rivolgersi a Floria del Guiz. «Abbiamo i cannoni sulle mura, mia signora.» Sul volto del chirurgo era dipinta l'espressione di chi non sapeva dove si trovasse la bocca di fuoco e il calcio di un archibugio. Era un'espressione che Ash aveva visto più di una volta nel corso degli ultimi mesi. «Non sparate» disse Floria. Il tono di voce non lasciava dubbi sul fatto che si trattasse di un ordine. «Certo, mia signora» rispose de la Marche dopo un attimo. Ash sorrise e mormorò: «E pensare che io credevo che avessi dei problemi a fare la duchessa.» «Sono un dottore. Sono abituata a dire alla gente cosa deve fare.» Floria appoggiò le mani sugli spalti osservando la colonna in avvicinamento. «Specialmente quando non so cosa sia meglio fare.» «Proprio allora.» Ash mise l'elmo e quando ebbe terminato di chiudere le cinghie alzò gli occhi e vide che i Turchi si erano avvicinati ulteriormente. Erano armati di scudi rotondi e archi ricurvi. Gli elmi erano avvolti in un pezzo di tela che scendeva fino a coprire la nuca. «Sono proprio Turchi» constatò ad alta voce Olivier de la Marche, rompendo il silenzio glaciale sceso sulle mura. «Li ho riconosciuti. Sono le truppe scelte del sultano: i giannizzeri.» L'espressione di rispetto e timore apparsa sul viso dei nobili fece capire ad Ash che tutti condividevano l'opinione di de la Marche. «Ottimo. Sono tipi cazzuti, ma cosa ci fanno qua? Perché sono diretti verso la città?» Ash si sporse dalle mura. Un gran numero di soldati che, a giudicare dall'aquila, doveva appartenere alla VI Legione Leptis Parva, si erano radunati al limitare delle trincee limitandosi a osservare senza muovere un dito. «Se hanno intenzione di entrare in città...» De la Marche non terminò la frase. Ash fissò i giannizzeri a cavallo e scoprì che non stava pensando al loro impiego militare, ma al fatto che non avevano con loro i carri o i cavalli con le scorte di cibo. «Se hanno intenzione di entrare in città perché i Visigoti non li stanno massacrando?» «La stessa cosa che penso io, capitano.»
«Non permetterebbero mai a cinquecento Turchi di darci man forte nell'assedio. Che cazzo sta succedendo?» Robert Anselm tirò su con il naso. Ash fissò in cagnesco il robusto Inglese che si strofinò il polso sul naso sopprimendo una seconda risata; la guardò di nuovo e non riuscì a trattenersi. «Ecco cosa succede, dai un'occhiata meglio, ragazza. Lo so, è una fottuta pazzia... ma guarda chi c'è dietro tutto questo.» Ora che la colonna si trovava a una novantina di metri dal cancello, Ash vide che c'erano anche dei cavalieri europei nella colonna. Non erano molti, una quindicina al massimo. Si strofinò gli occhi per guardare meglio. Sopra gli Europei garriva uno stendardo rosso e giallo insieme alla bandiera di una casata. Una folata di vento fece danzare le piume degli elmi turchi e aprì le bandiere in modo che tutti potessero osservare. Una serie di ovazioni si levò dalle mura. Ash batté le palpebre incredula alla vista della bandiera sulla quale spiccava un cinghiale bianco affiancato da una stella bianca a cinque punte. «Merda sacra!» Non sarebbe stato necessario perché in quel momento gli uomini sugli spalti cominciarono a gridare il nome dell'uomo a cui apparteneva quel simbolo, ma Robert Anselm lo disse lo stesso: «John de Vere, tredicesimo conte di Oxford.» II Dopo un breve dialogo tra i Burgundi e Oxford i cancelli furono aperti quel tanto che bastava per far passare i cavalieri turchi. Ash scese dagli spalti. I suoi uomini si erano affollati sugli scalini. I foderi si intersecavano. Ash era preceduta di pochi passi da Robert Anselm e Olivier de la Marche. «Un Oxford!» gridava Robert Anselm, allegro. «Un Oxford!» La folla sciamò dalle mura verso la strada nello stesso istante in cui i cancelli furono chiusi e le grosse sbarre di ferro scivolavano nelle loro sedi. Qualcuno impattò violentemente contro la schiena di Ash che scivolò sul selciato e afferrò la persona che l'aveva urtata. Era Floria, aveva inciampato nei lembi della gonna ingioiellata e stava imprecando. «È lui? È veramente lui? Quell'uomo è un pazzo!» esclamò Floria. «Dimmi qualcosa che non so!»
Il nutrito contingente di Turchi ottomani, almeno cinquecento unità, si inquadrò nella piazza del mercato. Il vento gelido scompigliava le code dei cavalli. Ash notò che erano quasi tutte femmine. I cavalieri sedevano in sella, immobili, nessun urlo, nessun ordine di smontare. Un castrato grigio e magro uscì al galoppo dall'inquadramento insieme ad altri tre o più cavalli. La bandiera portata dal cavaliere garriva al vento. Il portainsegne che cavalcava senza elmo aveva i capelli sciolti e un gran sorriso impresso sulle labbra, era il visconte Beaumont. I tre fratelli de Vere erano dietro di lui. Sul castrato grigio c'era John de Vere in persona. Il conte di Oxford saltò giù da cavallo lanciando le redini al primo che capitava e Ash vide che furono prese da Thomas Rochester. «Capitano, Ash!» sbraitò il nobile inglese. «Mio signore Oxford... oof!» John de Vere la stava abbracciando con tanta forza che Ash ebbe modo di pensare che forse avrebbe fatto meglio a indossare il piastrone della corazza piuttosto che solo la maglia d'anelli metallici. Una fitta di dolore partita dalle costole la lasciò senza fiato. «Signora, Dio vi ha salvato, state bene?» le chiese il nobile inglese, scoppiando in lacrime. «Benissimo» sussurrò. «Adesso... lasciatemi...» Ash vide che tutti gli Inglesi o piangevano o parlavano tra di loro eccitati. Beaumont stringeva la mano a Olivier de la Marche, Dickon de Vere abbracciava Robert Anselm, Thomas e George erano circondati da una piccola folla di nobili burgundi. I giannizzeri a cavallo osservavano la scena immobili e impassibili. John de Vere si passò una mano sul volto. La pelle era diventata pallida dall'ultima volta in cui si era visto con Ash. Il fango dell'inverno lo copriva fino al ginocchio, per il resto sembrava il conte inglese che aveva conosciuto l'estate precedente. «Mio Dio, non sapete quanto sono contenta di vedervi!» disse Ash. «Madame, la vostra espressione vale oro!» Il nobile batté le mani, in parte per la soddisfazione e in parte per contrastare il freddo. Lasciò vagare lo sguardo sulla folla. Ash lo seguì e vide che impiegò qualche secondo prima di capire chi stava fissando. «Per le palle di Dio! Allora è vero? Il vostro dottore è l'erede di Carlo? La vostra Florian è la duchessa di Borgogna?» «Vero come il fatto che mi trovo di fronte a voi in questo momento.» Ash sentiva il volto che le doleva a causa del sorriso che non riusciva a trattenere. «Mio signore» aggiunse, pensierosa.
«Datemi la vostra mano» le disse de Vere «e non il vostro mio signore.» Ash tolse un guanto e gli strinse la mano. Anche lei sentiva di essere prossima alle lacrime. «Credo che non sia mai successo prima, per cui voi dovreste essere il primo Inglese che abbia mai avuto un principe regnante di Borgogna sul suo libro paga... poiché lei è ancora sul mio libro e io sono ancora sul vostro.» «Motivo in più per confidare nel mio ritorno.» Floria del Guiz apparve tra la folla che si fece da parte per far passare la duchessa di Borgogna. Il conte di Oxford si inchinò con grazia su un ginocchio imitato dai fratelli, dal visconte di Beaumont e dagli altri nobili burgundi. «Dio sia con voi, dottore» la salutò John de Vere che non sembrava per nulla a disagio per essere in ginocchio. «Dovete portare a termine il compito più duro che un uomo possa pensare.» Ash aprì la bocca per parlare, esitò e la richiuse. Mise le mani dietro la schiena aspettando che Floria parlasse per prima. Duchessa Florian, si rammentò a disagio. Il sorriso sulle labbra di Florian era radioso. «Dobbiamo parlare, mio signore di Oxford. Questi sono tutti i vostri uomini? Non ce ne sono altri?» «Sono tutti qua» disse de Vere, alzandosi in piedi. Ash vide che aveva lanciato una rapida occhiata ai ranghi composti dei Turchi. «Sfortunatamente, signora Florian, parlo molto poco della loro lingua.» Il conte di Oxford indicò un soldato con i baffi, l'usbergo di maglia e l'elmo con il pennacchio. «È il mio unico interprete. È un ausiliario Voynik proveniente dalla Valacchia. C'è qualcuno in città che parla il turco?» Ash lanciò un'occhiata a Floria e prima che la duchessa potesse aprire bocca, disse: «Non guardate me, mio signore. Ma non sarei sorpresa se... Robert!» Fece cenno al mercenario inglese di avvicinarsi. «C'è qualcuno tra noi che parla il turco?» «Io.» Anselm fece un goffo inchino all'indirizzo del conte e indicò l'artigliere italiano che nel frattempo si era unito a Ludmilla Rostovnaya e agli altri arcieri e balestrieri. «Anche Angelotti lo parla. Abbiamo combattuto in Morea 231 nel sessantasette, nel sessantotto e forse nell'ultima parte del settanta. Qualche maledetto Fiorentino mi aveva ferito alla gamba. Tirai fuori Angelotti dall'Adriatico. Non ho più visto il mare da allora.» Prese fiato a stento e guardò il conte di Oxford. «Sì, parlo il turco.» 231
Un teatro di guerra in Grecia nel quale i Turchi combatterono contro i Veneziani.
«Ottimo» approvò de Vere in tono assente. «Non mi va di dipendere da un uomo che può essere ucciso.» Il nobile inglese si soffermò ancora qualche istante a osservare Floria in abiti femminili e Ash lo vide scuotere la testa. «Avete intenzione di dirci cosa fare qua, mio signore?» chiese Ash, spazientita. «Dovrei dirlo alla duchessa di Borgogna.» Sul volto di de Vere apparve un'espressione divertita. «Oserei dire che vi lascerà ascoltare, signora.» Floria del Guiz, le sue damigelle, i nobili burgundi, Thomas Rochester e la sua lancia che si erano autoassegnati il ruolo di guardie del corpo della nobile, sorridevano in direzione di Ash. «Nessuna speranza!» «Oh, lo farà. Lo farà.» Ash sorrise a John de Vere e allargò leggermente le mani. «Avete di fronte a voi il capitano-generale della Borgogna, mio signore... la Pulzella di Digione.» Il conte di Oxford la fissò con aria beata per diversi secondi, poi piegò la testa all'indietro scoppiando a ridere. Beaumont e i fratelli de Vere si unirono a lui. Quello che Ash vide nell'espressione di de Vere quando si rese conto della disapprovazione dei burgundi, fu puro piacere. Il nobile inglese le diede un pugno su una spalla e disse: «Così, questo è il modo con il quale mantenete la vostra condotta con me, signora?» «Ora che siete tornato sono ai vostri ordini, mio signore.» «Certo che lo siete» confermò, divertito. «Sono un Inglese quindi sono più che contento di lasciare le Vergini Sante agli stranieri. È più sicuro. Quali notizie giungono da oltre le mura?» domandò, infine, in tono più serio. «È da tre settimane che non sappiamo nulla.» «I Visigoti non stanno assalendo le mura» aggiunse Robert Anselm «ma hanno fatto in modo di sigillare la città, mio signore.» «Non avete ricevuto nessun tipo di notizia?» Ash batté le palpebre a causa della luce del sole di mezzogiorno. «Hanno sigillato tutto nel momento stesso in cui hanno smesso di assaltare le mura. È da allora che non siamo più riusciti a far uscire spie o messaggeri.» Nel sentire menzionare gli assalti alle mura, John de Vere cambiò espressione. «Abbiamo smesso di mandare fuori inviati di ogni tipo da quando quelli che mandavamo tornavano tra le mura lanciati dai trabocchi in diversi pezzi» commentò Robert Anselm, cinico. «L'ultimo è stato il Francese,
quell'Armand de Lannoy.» Scosse la testa. «È da una settimana che sta facendo ingrassare i corvi. Non so perché credeva di essere tanto importante da uscire come se nulla fosse.» «Posso rispondere alla vostra domanda, mastro Anselm» disse il conte di Oxford. Finite le ultime manifestazioni d'esuberanza, Ash notò l'insorgere di una certa agitazione. «Ma è meglio che ne parli direttamente con la duchessa e i suoi consiglieri.» «Come cacchio avete fatto a entrare, mio signore?» chiese Ash, precedendo di pochissimo Floria. Si rese conto che stava agitando le mani quasi come il lord inglese e le lasciò ricadere contro i fianchi. «Avete viaggiato da Cartagine a Costantinopoli? Avete visto il sultano? Queste sono tutte le vostre truppe? Cosa è successo?» «Tutto a tempo debito, signora e al cospetto della duchessa.» John de Vere lanciò una rapida occhiata alla nobildonna che indossava la gonna sporca di fango, quindi spostò lo sguardo sul sole. «È ovvio» esordì «che siete il regnante di Borgogna, come lo era Carlo. Ditemi una cosa, madame, voi dovete essere... quello che era anche Carlo, altrimenti il sole non splenderebbe sulle nostre teste.» Floria portò la mano sporca al petto e strinse fino a far sbiancare le nocche la croce di rovi che le pendeva dal collo, senza fissare i nobili che la circondavano. «È il successore di Carlo» affermò Olivier de la Marche con il tono di voce di un uomo che sente leggi della natura quali le maree o i cicli lunari messi in dubbio. «Oh, lei è la duchessa.» Ash si rendeva conto che stava spostando nervosamente il peso da un piede all'altro. È quello che vogliono distruggere le Macchine Impazzite, pensò. «Vi dirò qualcosa che so, mio signore di Oxford» continuò ad alta voce. «Il faris sa che Floria è la persona che deve uccidere eppure sono cinque settimane che rimane seduta nel suo campo senza fare nulla.» John de Vere arcuò un sopracciglio e fissò i palazzi distrutti intorno a lui. Ash scrollò le spalle. «Certo, lascia che la fame e le malattie lavorino per lei, ma ha fermato gli assalti. Darei metà dei fondi della compagnia per sapere cosa dicono i suoi ufficiali e l'altra metà per sapere cosa sta pensando in questo momento.» «Penso di potervi dire anche questo, capitano Ash.» Il suono delle macchine d'assedio che bersagliavano la zona ovest della
città giunse fino a loro e il terreno fu attraversato da un tremito. «Fate allontanare i Turchi dalle mura. Dobbiamo tenere un consiglio di guerra» ordinò Floria. «Al chiuso.» La corte entrò negli appartamenti privati della duchessa e il conte di Oxford con i fratelli furono di nuovo circondati da una folla di nobili burgundi con i quali scambiarono saluti e domande. I capitani giannizzeri seguivano Oxford con un'espressione di educato stupore sul volto. Ash notò, stupita, che i Turchi indossavano tutti la stessa divisa: una lunga tunica marrone chiaro dalle maniche larghe sopra un usbergo di maglia, una spada curva al fianco, l'arco, lo scudo e l'elmo con il pezzo di tela che scendeva sul collo. L'uniformità degli abiti e i volti barbuti le davano l'impressione di essere in una stanza con un uomo solo replicato venti volte e non con venti uomini diversi. Il contrasto con l'abbigliamento consumato e le armi di ogni tipo e foggia degli uomini al comando di Thomas Rochester era netto. «Non riusciremo mai a dar da mangiare anche a loro» affermò Floria, avvicinandosi ad Ash. «Henri Brant e i castellani mi hanno informata della situazione riguardo le scorte alimentari. Non possiamo nutrire anche i nuovi arrivati.» «Cerca di vederla in questo modo. Cinquecento cavalli freschi significano duecentocinquanta tonnellate di carne.» «Buon Dio, ragazza! Pensi che lo accetteranno?» «I Turchi? Proprio per niente, credo. Vediamo di non creare problemi» continuò Ash, pensierosa. «Prima di tutto cerchiamo di capire come mai sono venuti fin qua.» Il vento gelido filtrava nella stanza attraverso le canne fumarie dei camini, producendo un suono simile a quello di un coro di voci roche. Le tende di seta decoravano il baldacchino del letto. C'erano diverse sedie e bauli sistemati in diversi punti della stanza e il fuoco ardeva nel camino. Floria fissò Jeanne Châlon con uno sguardo carico di sfida. «Vino speziato, zia.» «Certo, nipote-duchessa. Immediatamente! Sempre che ne sia rimasto in cucina.» «Se quel branco di ladri bastardi non ha nascosto da qualche parte una botte» fece notare la duchessa «allora tanto vale arrendersi ai Visigoti e farla finita...» Ash sbuffò. Floria si allontanò da lei raggiungendo il centro della stanza.
I presenti le fecero largo agendo automaticamente, senza pensare. Ash si morse un labbro, scosse la testa divertita e la seguì. «Mettete le sedie intorno al camino» ordinò Floria ai servitori. «Non c'è bisogno di gelare mentre parliamo.» Il fiato condensato aleggiava nell'aria. Ash sentiva che il freddo le faceva dolere i denti a dispetto del fuoco nel camino. Si accomodò volgendo le spalle al camino e rimase sotto la figura del Cristo incorniciata da un intricato motivo di foglie. Floria si sedette su uno scranno così massiccio che c'erano voluti due paggi per spostarlo. I cavalieri, i nobili e i vescovi si girarono a fissare in silenzio la loro duchessa. «Posso suggerire, signora» consigliò il conte di Oxford «di diminuire il numero dei presenti? Potremo cavarcela molto più in fretta se non saremo vessati da discussioni inutili.» Floria pronunciò una serie di nomi e nel volgere di qualche minuto una dozzina di cortigiani se ne andarono. Arrivò il vino e furono servite le coppe. «Parlate» ingiunse Florian, fissando Oxford oltre il bordo della coppa. «Tutto, signora? Sono passati tre mesi dall'ultima volta che ci siamo visti sulla spiaggia a Cartagine.» «Dio mi doni la forza o almeno la pazienza!» gracchiò Ash, indispettita. John de Vere scoppiò a ridere e si sedette senza chiedere il permesso ducale su una delle sedie più vicine al fuoco. Il calore mise in evidenza l'odore di sudore e cavallo addosso al nobile. Ash diede un'occhiata a Oxford, ai suoi fratelli, a Beaumont e ripensò a quando avevano mangiato fuori dalla sua tenda sotto il sole l'agosto precedente. Nonostante la presenza dei Turchi e di de la Marche, si sentiva come a casa. «Cominciamo da lui, mastro de Vere» Floria del Guiz inclinò leggermente la coppa verso l'unico ufficiale turco rimasto. «Cominciamo dal capire come mai siete qua e vivo» specificò Ash. «Quello che avete portato tra le mura è un battaglione al completo!» Il conte di Oxford allungò le gambe per scaldare i piedi. «Volete che inizi dalla fine. Molto bene. Sono qua e sono vivo perché ho portato questi uomini con me. È ovvio che cinquecento uomini non possono nulla contro i seimila Visigoti accampati qua fuori, tuttavia, ho informato il faris, in tutta onestà e onore, che se i suoi uomini dovessero morire qua, il sultano di Osmali 232 , Mehment, secondo con questo nome, si riterrà immediata232
Il titolo fu europeizzato in 'Ottomano'. Deriva da Osman Bey,
mente in guerra con l'impero visigoto.» Nella sala ci fu un momento di silenzio infranto solo dal crepitio del fuoco e dal vento nel camino. «Il faris sa che non si tratta di una minaccia vana» aggiunse John de Vere. «Le sue spie devono averla informata delle truppe turche che si stanno ammassando ai confini.» Ash fischiò piano. «Be'... certo... lui può permettersi questo genere di minacce.» 233 «Non è una minaccia.» «Ringraziamo Cristo e tutti i santi per questo» disse Ash spostandosi per alleviare il dolore alle costole. «Allora, vediamo se ho capito bene, avete attraversato la Dalmazia o una delle regioni di quelle parti...» «Cinquecento uomini rappresentano un contingente abbastanza nutrito da essere piuttosto difficile da importunare» affermò Oxford, mesto «ma al tempo stesso non rappresentano una minaccia per l'esercito del califfo-re.» «... siete arrivati fino a Digione e avete detto: 'Fatemi entrare nella città assediata! Porto loro truppe fresche!' e loro hanno risposto: 'Oh, certo...'» «Abbiamo rischiato le nostre vite per sentirci sfottere!» disse Dickon de Vere, arrossendo. «Tranquillo, ragazzo» ingiunse il conte di Oxford in tono fermo. «Non sei rimasto assediato per tanto tempo. Lascia che il capitano Ash ponga le domande a modo suo.» «I Turchi non sono truppe fresche, sono ostaggi» continuò Ash, in tono più calmo. «Non conosco quella parola» disse il comandante ottomano in un tedesco zoppicante 234 . fondatore dell'impero Turco. 233 Mehmet II (regnò dal 1451-81) fu il sultano sotto il quale gli Ottomani conquistarono Costantinopoli ed è anche considerato il responsabile della caduta dell'impero romano d'oriente. 234 In questo punto del manoscritto di Sible Hedingham si nota la grande varietà di linguaggi usati. I nobili burgundi di solito parlavano il francese quando erano al Sud e il fiammingo al Nord. Nella compagnia di Ash erano parlati diversi tipi di inglese, italiano, tedesco, due tipi di francese, inoltre avevano il loro patois e forse un misto di latino, greco e 'gotico'. Sospetto che l'ufficiale turco avesse usato le poche parole di tedesco che conosceva perché l'odierna Germania era il punto più a ovest che avesse raggiunto durante le campagne.
Ash lo fissò e rimase stupita dal colorito della pelle che tradiva una certa discendenza cristiana. «Significa che se ci attaccano e voi morite anche quelli là fuori...» indicò la finestra con un dito «... moriranno. Finché rimarrete in città ogni attacco contro le mura sarà considerata un'aggressione al sultano.» L'ufficiale sorrise. «La donna bey235 sa! Sì! Siamo le truppe nuove236 . Siamo qua per proteggere nel nome di Mehmet e Gundobad. Le nostre vite sono il vostro scudo.» «Questo è il basi Bajezet» lo presentò Dickon de Vere. «È il comandante della orta.» 237 «Dite al colonnello Bajezet che è il benvenuto» borbottò Ash. Il Voynik alle spalle del comandante ottomano tradusse e l'ufficiale barbuto sorrise. «Funzionerà?» chiese Floria, improvvisamente. «Per il momento, sì, madame Floria. Duchessa, chiedo scusa.» John de Vere si drizzò. Dagli stivali si levava il puzzo del cuoio bruciacchiato. Prese la coppa di vino offertagli dal paggio e bevve. Non era chiaro quanti giorni avesse passato in sella e per quanti chilometri avesse cavalcato. «Perché?» «Con il vostro permesso, duchessa.» Il conte di Oxford fece cenno all'interprete, gli disse qualcosa nell'orecchio dopodiché l'uomo fece un inchino e uscì imitato dall'ufficiale turco. «L'oscurità di estende fino alla Hagia Sofia e al Corno d'Oro.» «Il sole?» Florian si girò a fissare la luce oltre la finestra. «Niente sole, madame. Costantinopoli è al buio tanto quanto Colonia e Milano.» Il conte si sfregò una mano sul viso. «Fortunatamente, dopo che ci siamo separati ho raggiunto Istanbul via nave poi ho continuato via terra fino a Edirne. Sono stato ammesso al cospetto del sultano entro qualche settimana. Grazie a un interprete sono stato in grado di riferire quanto avevo visto e sentito a Cartagine. Gli ho detto che la Borgogna, solo il dolce Cristo sa come, è l'unico baluardo che ancora si interponeva tra noi e l'oscurità e la prova era che il sole splendeva ancora su questo regno.» «Le sue spie hanno confermato tutto» disse George de Vere. Oxford annuì e si sporse verso la duchessa. «Il sultano Mehmet ha due 235
'Bey': comandante. 'Yeni çeri', 'giannizzeri', letteralmente 'le truppe nuove'. 237 Reggimento. Il testo è poco accurato in questo punto, poiché una orta avrebbe dovuto essere comandata da un ufficiale superiore e non da un basi: un corbasi, o colonnello. (Letteralmente significa ' capo cuoco'). 236
pungoli che lo spronano, duchessa Florian. Teme l'oscurità che si sta espandendo dall'Africa e desidera conquistare l'impero visigoto e le nazioni europee che gli sono assoggettate come ha fatto con Bisanzio. Io gli ho detto che la Borgogna deve resistere. Non lo so se mi ha creduto, ma si è dimostrato ansioso di aiutarci. Se i Visigoti si dimostrassero troppo forti per essere sfidati in questo momento, avrebbe perso solo un reggimento di giannizzeri.» Floria aveva l'aria di chi stesse assaporando qualcosa di sgradevole. «E se i Visigoti non conquistano Digione... mi ritrovo i Turchi sulla porta di casa a dirla tutta?» Un mese fa avrebbe detto noi e non io, pensò Ash, sorseggiando il vino. Doveva essere il fondo di qualche botte, che non era stato certo migliorato dalle spezie che qualcuno aveva aggiunto. «Quanto tempo vi ha concesso?» chiese a John de Vere. «Due mesi, poi il colonnello Bajezet ha l'ordine di ritirarsi.» Il conte fissò il fuoco pensieroso. «Se io fossi un re lancaster e un conte ottomano folle mi avesse chiesto delle truppe, non so se gli avrei concesso un tale numero di uomini e per tanto tempo!» Ash sorseggiò nuovamente il vino. La stanza puzzava di sudore e cenere. Non sapeva se le costole le avrebbero fatto più male se avesse continuato a rimanere seduta o in piedi. Una mano le toccò una spalla e lei sussultò perché la parte superiore del piastrone aveva grattato contro alcune ecchimosi. «Abbiamo due mesi a disposizione, Ash?» Alzò lo sguardo. Non si era neanche resa conto che Floria si era mossa. Il volto del chirurgo con la testa incorniciata dalla corona di corno era quello di sempre, solo segnato da una serie di responsabilità non volute e da capacità sconosciute. Lei e Floria: forze irresistibili in grado di muovere le montagne. La duchessa allentò la stretta. «Se riprendono l'assedio? Ne dubito.» Ash si alzò e si avvicinò a una finestra. Oltre il vetro splendeva il cielo della Borgogna. Faceva troppo freddo anche per nevicare. «Ma il problema adesso non è l'assedio. A parte il fatto che ti terrebbe qua... ho pregato per la neve» disse. «Ghiaccio, neve, nebbia, anche la pioggia. Qualsiasi cosa che limiti la visibilità! In questo modo prenderei te e una dozzina di ragazzi e ti farei uscire. Ma il cielo continua a rimanere limpido, c'è anche la fottuta luna piena. E chiunque abbiamo mandato fuori ci è stato rispedito cadavere.»
Si girò. De la Marche aveva un'espressione severa, Oxford corrugata e Floria ansiosa. «Non si tratta dell'esercito là fuori! Non si tratta dei Turchi... chiedo scusa, lord de Vere. Si tratta della duchessa di Borgogna e del fatto che non possiamo portarla fuori di qua in un luogo più sicuro. Dobbiamo tenerti viva, Florian. Tu e tutto quello che rappresenti. Questa è l'unica cosa importante e se servisse a farti uscire sfruttando la confusione, sarei disposta a spalancare i cancelli in modo che i Visigoti possano saccheggiare allegramente la città, ma non posso rischiare perché una freccia vagante porrebbe fine a tutto.» Ash sapeva che quello che avrebbe capito il conte di Oxford sarebbe stato diverso da quanto capito da Floria del Guiz... o da quello che lui aveva sentito dire dopo la caccia al cervo. Olivier de la Marche si morse un labbro. Il chirurgo aggrottò la fronte. «Abbiamo due mesi?» Ripeté Floria. «Non abbiamo abbastanza cibo, prima che il faris...» «Non lo so! Non so se abbiamo due giorni o due ore!» Il conte di Oxford fissò le due donne: la mercenaria con la corazza e l'ex chirurgo, ora duchessa che, in modo piuttosto goffo, indossava abiti da donna, e si passò una mano tra i capelli. «C'è qualcosa che non capisco» ammise Oxford «ma prima di spiegare, madame, lasciate che finisca la mia storia. Qua in città avete idea di quello che sta succedendo nel campo del faris?» «Avremmo dovuto informarvi.» Ash aprì il pugno e si avvicinò al fuoco. «Ma non sappiamo nulla. Posso tirare a indovinare. Il faris starà ricevendo una serie di messaggi da Cartagine che le chiederanno come cazzo è che ha fermato la guerra, che non può farlo e che deve continuare, giusto? Non ci sono stati neanche corrieri. Se io sono troppo spaventata, adesso per...» Ash sorrise, spietata. «Lei non parlerà con il Golem di Pietra, sa cos'altro ascolta quando lo fa.» Sbuffò. «E scommetto che anche i suoi ufficiali stanno inviando una serie di messaggi a Cartagine. Devono pensare che è impazzita.» «Siete sicura che non lo sia veramente?» «A dire il vero, no.» Ash si girò verso il conte di Oxford. «Questa è solo una speculazione. Cosa sappiamo di certo?» «Io so che io e i miei uomini abbiamo una settimana di vantaggio su due legioni visigote dirette a Digione.» «Merda!» Ash lo fissò dritto negli occhi. «Truppe fresche dall'Africa? Il
califfo non dovrebbe averne più. Le ha ritirate dall'Egitto o sono partite da Cartagine?» «Il sultano Mehmet ha un efficientissima rete di spionaggio.» John de Vere posò la coppa sul pavimento. «Mi fido delle sue informazioni. Le fortezze del Sinai sono ancora presidiate. Per quanto riguarda Cartagine... Le legioni che stanno venendo qua sono sotto il diretto comando del califfo-re Gelimero. Ha intenzione di sollevare il faris, rispedirlo a Cartagine e prendere lui il controllo delle operazioni.» «Gelimero sta venendo qua?» domandò Ash, stupefatta. «Deve dare l'esempio alla Borgogna.» «Ma, Gelimero?» Il conte di Oxford si sporse in avanti agitando un dito in aria. «E non solo, signora. In base ai rapporti delle spie del sultano, ci sono anche i rappresentanti di due nazioni vassalle. Uno è Federico d'Asburgo, ex imperatore del Sacro Romano Impero, questo lo so di sicuro perché abbiamo attraversato le sue terre per venire fino qua. L'altro si dice essere un contingente inviato da Luigi di Francia.» Il conte inglese smise di parlare. Olivier de la Marche annuì furiosamente e si abbassò per ascoltare quello che il ciambellano Ternani gli sussurrò in un orecchio. «Il califfo-re Gelimero deve prendere Digione» annunciò in tono piatto de Vere. «E... vi chiedo scusa, madame Floria... deve uccidere il duca o la duchessa. Voi rappresentate il cuore della resistenza alla sua crociata. La Borgogna è l'ultimo baluardo che gli si oppone in Europa. Ecco perché la sua donna generale non lo farà per lui... quell'uomo deve venire qua e farlo da solo.» Olivier de la Marche lanciò un'occhiata a Floria per ricevere il permesso di parlare, dopodiché disse: «E se dovesse fallire, lord Oxford?» Lo sguardo di John de Vere si indurì evidenziando le rughe intorno agli occhi. Ash vide un sorriso privo di dolcezza apparire sulle sue labbra: sembrava diventato un lupo. «La Francia ha firmato un trattato di pace con il califfo-re.» De Vere allungò una mano ad Ash. «Il vostro cavaliere francese tanto ansioso di scappare da Digione? Avrebbe cercato di raggiungere Luigi per portargli notizie dell'assedio che andava male. La Francia non è stata praticamente toccata dalla guerra. Vi concedo il buio, ma Maine, l'Angiò, l'Aquitania e la Normandia... si possono mobilitare in qualsiasi momento, anche adesso, se solo cominciassero a sospettare che Gelimero è debole.»
«E i regni della Germania settentrionale...!» Ash ignorò lo sguardo di de la Marche, assorta nei suoi calcoli. «La scorsa estate Federico si è arreso così rapidamente che metà del suo esercito non è mai sceso in campo! Cristo Santo, se i Visigoti si trovano in una sorta di limbo!» Lo sguardo di de Vere si concentrò su Floria. «Madame, ci sono colonne di profughi dalla Germania e dalla Francia che si stanno ammassando ai confini della Borgogna. Fuori dai confini del regno ci sono un buio, un freddo e un inverno mai visti a memoria d'uomo. Questa è la scusa della quale Luigi o Federico avrebbero bisogno per arrivare adesso e attaccare il califfo-re. La loro gente ha chiesto la vostra protezione.» «Profughi» Floria sussultò, avvolgendosi nel vestito di pelliccia. «Là fuori. Buon Dio. Cosa c'è oltre il confine se qua stiamo bene? Non sapevo nulla dei profughi.» «Non avete bisogno di saperlo, madame, perché per il Ragno questa è solo una scusa.» «E adesso c'è il sultano.» Ash ignorò Floria e si rivolse a de Vere in tono di crescente esaltazione. «L'esercito turco che aspetta... Gelimero deve conquistare la Borgogna. Se non lo fa, e in fretta, la Francia, la Germania si rivolteranno contro di lui e i Turchi arriverebbero a Cartagine in un mese.» «Cristo Santo, Ash!» Floria si alzò in piedi. «Non sembrare così contenta di tutto questo!» «Forse potrebbe unirsi anche l'Inghilterra...» continuò Ash. Si guardò le mani, quindi tornò a concentrarsi su Floria. «Mi piace l'idea di sapere che quel figlio di puttana è nei guai.» «Lui sarebbe nei guai? E noi, allora?» Ash trattenne a stento una risata nel vedere l'espressione oltraggiata di Philippe Ternani. Floria rise di gusto e tornò a sedersi allargando le gambe sotto la gonna. «Niente raccolti» disse la duchessa. «Niente mandrie. Nessun riparo. Quei bastardi hanno creato una desolazione vera e propria là fuori. Se la gente viene da noi, vuol dire che deve esserci l'inferno oltre i confini...» L'eccitazione si affievolì. E non sappiamo neanche perché il sole ci spetta per diritto, pensò Ash. L'espressione di Floria era ambigua e tesa, sembrava che anche lei si stesse ponendo lo stesso quesito. Olivier de la Marche alzò una mano per attirare l'attenzione di de Vere. «È buio fino a Costantinopoli come avete detto, mio signore? Non credo
che rientrasse nei piani del califfo-re. Non poteva provocare in maniera tanto deliberata i Turchi.» «Se è vero che le uniche terre che cadono sotto la Penitenza sono quelle conquistate dal nemico, allora Costantinopoli dovrebbe ancora vedere il sole» aggiunse Philippe Ternani. «Mio signore di Oxford, la duchessa deve condividere con voi la sua conoscenza dei Grandi Diavoli.» «So già qualcosa a riguardo.» Il volto di de Vere era impassibile. Ash pensò che stesse ricordando la scena alla quale aveva assistito fuori Cartagine e il bagliore argenteo a sud. «La duchessa vi informerà in seguito.» Ash scorse l'occhiata di Floria e si sorprese ad attendere il cenno d'assenso dell'ex chirurgo prima di continuare. «Signori, mi sembra che Gelimero sia rimasto impigliato nella sua stessa trappola. Tre mesi fa ero presente alla sua incoronazione e l'ho sentito promettere ai nobili di Cartagine che avrebbe fatto sparire la Borgogna dalle carte geografiche come esempio per tutti... quindi deve farlo e adesso. Si è portato dietro i suoi amir. Luigi e Federico sono sempre più vicini e il sultano sta valutando se è il momento buono di attaccare a est.» Un sorrisetto le increspò gli angoli della bocca. «Scommetto qualsiasi cifra che quando ha cominciato a ricevere rapporti sulla condotta morbida adottata dal faris circa l'assedio, ha cominciato a farsela sotto.» «Ash, quello che vuoi dire è che lui deve uccidere me il più presto possibile?» Ash udì il suono cristallino di una campana echeggiare nell'aria limpida e fredda. Era il campanile del cimitero di Potter: altri corpi che non potevano essere seppelliti e venivano impilati. L'impatto delle pietre contro la zona sud della città echeggiava nell'aria. I tetti e i palazzi tra loro e quella parte della città non sembravano una protezione sufficiente. Ash annuì lentamente. «Cristo su un albero!» esclamò Floria, non curandosi delle facce allibite dei cortigiani. «E questa hai il coraggio di definirla una bella notizia?» John de Vere scoppiò a ridere e tutte le teste si girarono a fissarlo. Il conte inglese incrociò l'occhiata interrogativa della nobildonna, scosse la testa e allungò una mano in direzione di Ash come per invitarla a parlare. «Io credo che voi abbiate già capito, madame, vero?» «È una buona notizia!» Ash si avvicinò a Floria e le prese le mani. «È la migliore notizia che avremmo potuto ricevere!» disse, allegra. «Floria, la duchessa di Borgogna deve rimanere in vita. Tu sai cos'è importante che ti piaccia o no. Ho passato cinque settimane a cercare un modo di farti uscire
da Digione e portarti... che ne so... in Francia, addirittura in Inghilterra, cosa importa? Tutto andava bene, bastava che non fossi qua a rischio di essere beccata dal primo fottuto contadino visigoto armato d'archibugio. Ogni volta che ho mandato qualcuno oltre le mura è tornato morto.» «Qualcuno che non si è seduto fuori dalle mura ad aspettare» suggerì la duchessa, mentre aumentava la stretta nella mano di Ash. «Cristo Ash! Cosa succede se Gelimero arriva qua e comincia a provarci veramente!» «Resistiamo.» Aveva risposto così prontamente da cancellare le parole di Floria. De la Marche e Ternani cominciarono a mostrare un cauto entusiasmo. «Resistiamo» ripeté Ash. Perché più lo facciamo... più Digione resiste... più debole appare Gelimero. Giorno dopo giorno. Ha fatto di noi una prova di forza pubblica. Più sembrerà debole e più è probabile che Luigi o Federico rompano i trattati e lo attacchino senza preavviso. Senza contare un'invasione improvvisa da parte del sultano. Una volta successo il nemico si troverà chiuso su tre angoli... e noi torneremo ad avere una possibilità. Possiamo tirarti fuori di qua e nasconderti.» «Portarvi in una corte straniera» si intromise il conte di Oxford. Ash lasciò andare le mani di Floria e prese la croce che la duchessa portava al collo. «Se tu dovessi essere uccisa fuori Digione e il nemico fosse occupato in una guerra su vasta scala, allora potrebbe avere luogo un'altra caccia. Non importa chi sarà il duca o la duchessa, l'importante è che qua ci sia qualcuno in grado di fermare il faris.» Ash vide che sul volto di de la Marche era apparsa l'espressione pragmatica tipica dei militari. «Tu hai sempre avuto delle priorità alquanto bizzarre» sbuffò Florian. «Voglio vivere, ma hai ragione: potrebbero indire la caccia e ci sarebbe qualcuno a bloccare le Macchine Impazzite.» Anch'io preferirei vederti viva, pensò Ash Sentì un dolore all'altezza del petto, una fitta violenta che sembrò spezzarle le costole. Ash fissò la donna che nel corso delle ultime settimane non aveva detto neanche una parola per rifiutare il fardello del comando. Sono cinque settimane che non ti sbronzi, pensò. «Abbiamo una possibilità» disse Ash, tranquilla. «Altri nemici per i Visigoti significavano altri alleati per noi. Il faris può morire sul campo con la stessa facilità di Jack il contadino. Se l'esercito visigoto è distrutto da qualcun altro, noi li respingiamo, andiamo a sud e facciamo a pezzi Carta-
gine, la machina rei militaris... e le Macchine Impazzite.» «Le facciamo saltare per aria!» disse Floria. «Dovessimo impiegare tutta la polvere da sparo della Cristianità!» «L'unica cosa che adesso possiamo fare è resistere.» Ash sorrise a beneficio dei presenti e sul suo volto comparve un'espressione che era un misto di cinismo, umorismo macabro, disperazione ed eccitazione. «Resisti Digione» ribadì. «Ancora un poco. Contro Gelimero e le sue legioni. È una guerra di nervi e tutto quello che dobbiamo fare è tenere duro ancora per poco.» III Cinque giorno dopo, appena, le legioni del califfo-re apparvero a sud di Digione. Le torce dei Visigoti circondavano la città formando un anello ininterrotto. Malgrado il freddo pungente della notte, Ash era salita in cima agli spalti della torre che ospitava la sua compagnia. La luna, piena fino a tre giorni prima, illuminava ancora ogni metro di terreno, le trincee, le punte delle tende e le aquile del campo nemico. Dormono al caldo e mangiano bene, pensò Ash. ... e hanno pattuglie ovunque. Scese, schiacciò un sonnellino di un'ora tra una riunione e l'altra con gli ufficiali e all'alba era già tornata in cima alla torre. Rickard la raggiunse con la colazione e si sedette al suo fianco avvolto nel grosso mantello grigio di Robert Anselm, cercando di non far vedere quanto gli battevano i denti. «Li facciamo venire, eh, capo?» Ash strinse ulteriormente l'abito che indossava sopra la maglia. La fame le faceva dolere lo stomaco. «Esatto. Gli facciamo fare il peggiore errore della loro vita.» Con l'arrivo dell'alba arrivò anche un gelo polare. Una campana solitaria suonò l'Ora Terza238 . «Là» indicò Rickard. Ash era intirizzita e aveva la vista parzialmente annebbiata dal condensato che le usciva dalla bocca. Guardò il campo nemico osservandone l'attività finché non vide dove indicava il paggio. «Si svegliano presto» commentò Ash. «Il mio signore di Oxford li ha 238
Le nove del mattino.
sottovalutati.» Prego Dio che sia stato il suo unico errore, aggiunse tra sé. Gli uomini correvano nella mattina gelata: truppe visigote che si inquadravano fuori delle baracche e delle tende. Il sole brillava sulle corazze e sulle lance. Il suono secco delle chiarine e dei corni echeggiò per tutta la terra gelata. Ash si schermò dalla luce del sole con una mano chiedendosi se il faris si era svegliato e stava impartendo degli ordini oppure se era seduto da solo in qualche punto imprecisato del campo. Nel volgere di pochi minuti le truppe visigote avevano composto i ranghi e le aquile della XIV Utica e della VI Leptis Parva si innalzavano sopra gli schieramenti fuori dalla portata degli arcieri e dalla gittata dei cannoni. Il vento portò l'eco degli squilli di corno. Ash osservò che la strada a sud era coperta da una colonna di uomini che marciavano a ranghi serrati: un mare di elmi preceduto dal carro da guerra del califfo-re. Ash annuì quando vide una bandiera con un cancello d'argento su campo nero. Il crepuscolo di Cartagine era un ricordo ancora molto vivo e lo stomaco brontolava in maniera poco piacevole. «Ecco che arrivano, Rickard. Quella è la guardia personale del califfo. Poi c'è la III Legione Caralis... non riesco a vedere l'altra...» Ash mise un braccio sulle spalle del ragazzo. «Laggiù c'è lo stendardo personale di Gelimero e l'altro appartiene al faris. Ottimo. Adesso dobbiamo solo aspettare che l'acqua della pentola cominci a bollire.» Due ore più tardi Ash si addormentò nella sala principale del palazzo. In un angolo in prossimità del grosso camino era stato appoggiato un baule di quercia sul quale lei si era seduta in armatura completa per ascoltare i rapporti e i problemi con la truppa dei centeniers e dei suoi uomini. L'esperienza e l'istinto sopperivano ai momenti in cui la stanchezza le impediva di pensare lucidamente. Si addormentò appoggiata a un angolo nel bel mezzo di un rapporto. Sentì le piastre metalliche che raschiavano contro la pietra, ma il rumore non fu sufficiente a svegliarla. Il fuoco ardeva nel camino riscaldandole un lato del viso. In un certo senso rimase sempre consapevole e sentì le voci e gli uomini esausti che lasciavano cadere le armi e le armature e andavano a dormire nella speranza che il sonno sedasse anche la fame. Udì Anselm che dava gli ordini per un'esercitazione. Una parte della sua mente stava ancora valutando le cifre che le avevano fornito Jussey e Angelotti per quanto ri-
guardava le munizioni per i cannoni e gli archibugi, le frecce e i quadrelli. Era paralizzata dal sonno, ma una parte di lei continuava a rimanere vigile. Non voglio sognare, pensò. Non voglio ascoltare la voce di Godfrey perché so benissimo che il nemico potrebbe chiedere al Golem di Pietra cosa ho detto e perché le Macchine Impazzite sono in ascolto, anche se non parlano... dopodiché cadde in un sonno profondo e le sembrò di precipitare in un pozzo senza fondo. Un attimo dopo fu scossa dalle mani di Robert Anselm e si svegliò con la bocca impastata. «Cos...?» «Ti dico che avresti dovuto vederlo!» La luce del sole che penetrava dalla finestra si allargava sul pavimento. Ash batté le palpebre. «Rapporto, Robert» chiese, allungando una mano per afferrare la coppa d'acqua portata da Rickard. «Abbiamo visto un araldo uscire dal campo delle teste di tela.» Robert Anselm si acquattò di fronte al baule. «Avresti dovuto vederlo! Sei cazzo di golem messaggeri ognuno con uno stendardo. Un cacchio di nano tamburino e in mezzo a loro un povero stronzo con una bandiera bianca che pregava che i ragazzi al cancello nord-ovest non fossero dal grilletto facile.» «Chi era?» «Il signor sacrificabile in persona» annunciò Robert Anselm con un sorriso a metà tra il simpatico e il torvo. «A chi pensavi, ragazza? A Gelimero in persona? Non se ne parla nemmeno. Hanno mandato Agnes.» Sorpresa, Ash, ridacchiò a sua volta. «Sì, me lo vedo Agnello che se la fa sotto. Ricordami di fare un'offerta a quell'uomo se la situazione dovesse cambiare. Digli che se firma per Florian non gli affiderò compiti tanto merdosi! Quando è successo? Perché vogliono un incontro? A che scopo?» «È successo un'ora fa.» Gli occhi castani di Robert Anselm brillarono sotto l'elmo. «Il risultato è stato che il dottor Florian vuole uscire a parlare con loro.» «Tu sei fuori dalla tua cazzo di testa!» I nobili e i cavalieri presenti nella sala fissarono Ash in cagnesco, ma lei ignorò loro e lo sguardo di celata approvazione di Olivier de la Marche. «Qualcuno doveva dirglielo» disse uno degli attendenti della duchessa. «Se metti un piede fuori dalle mura, non me ne frega niente se ti ficchi su per il culo anche tutti i cinquecento cavalieri turchi di Mehmet, sei morta. Mi hai capito?»
Floria, che teneva la corona in mano accarezzandone i contorni con le dita, alzò gli occhi. «Sveglia» le consigliò. «Sveglia? Tu datti una cazzo di svegliata!» Ash strinse i pugni. «Ascoltami, Florian. Le Macchine Impazzite ti vogliono uccidere e il nemico lo sa perché Gelimero continua a ricevere consigli tattici dal Golem di Pietra. Ti deve uccidere perché tu sei la Borgogna: se ti uccide la guerra al Nord finisce, il resto della Cristianità torna a dirgli: 'Sì capo', e i Turchi vorranno firmare un trattato di pace!» Ash si rese conto che alle sue spalle i presenti annuivano convinti, mentre John de Vere e i suoi fratelli commentavano tra loro la situazione in tono tranquillo. «Sai cosa farei se fossi Gelimero?» continuò Ash, ammorbidendo il tono di voce. «Una volta fuori dalle mura farei aprire il fuoco da tutte le macchine d'assedio per far cancellare il punto in cui ti trovi da ogni mappa. Tu e chiunque fosse in quel pezzo di terra verrebbe ucciso. A lui non importa nulla se per raggiungere il suo scopo farà fuori anche i suoi. A lavoro finito chiederà scusa al sultano per aver ucciso i suoi soldati... uno 'sfortunato incidente'. Una volta che tu sarai morta, l'Europa tornerà a fare fronte comune con Gelimero e ci sono due possibilità contro una che Mehmet decida che non è ancora il momento buono per fare la guerra. Te lo ripeto: vai là fuori e sei morta, dopodiché più nulla potrà fermare le Macchine Impazzite!» Il sole splendette attraverso la finestra. Le nuvole in movimento si aprirono su un sole che per luminosità e aspetto somigliava a una luna piena. Floria del Guiz continuava a rigirare la corona tra le dita sporche. Aveva gli occhi segnati dalla stanchezza. «Ascolta» disse. «Ho parlato con questo consiglio e col mio signore di Oxford. Non abbiamo cibo. Sono arrivate le prime malattie: dissenteria e forse anche la peste. Abbiamo una città piena di gente affamata. Voglio trattare con i Visigoti, voglio negoziare il rilascio dei civili.» «Così possono morire di fame là fuori insieme agli altri profughi?» chiese Ash, indicando con un pollice la finestra. «Non sono una duchessa, sono un dottore!» sbottò Florian. «Non ho chiesto questa corona, ma me la ritrovo sul capo, per cui devo fare qualcosa. Gli ospedali sono pieni e due ore fa ho ricevuto l'abate di santo Stefano: era in lacrime. Non ci sono abbastanza preti per pregare per gli ammalati. Ho fatto un giuramento, Ash! Prima di tutto non fare mai male. Farò uscire
i civili dalla città prima che scoppi un'epidemia.» «Ne dubito. Gelimero sarà fin troppo contento di farci ammazzare da una epidemia.» «Merda!» imprecò Floria e cominciò a passeggiare su e giù per la stanza spostando a calci la gonna davanti ai piedi: una donna alta e magra come uno spaventapasseri la cui magrezza in quel momento spiccava molto di più di quando aveva cavalcato nella foresta per cacciare il cervo. Florian aggrottò la fronte. «Come al solito hai ragione. Però ci deve essere un modo per farlo, Ash. Se vogliono parlamentare significa che non attaccano. È un'opportunità per guadagnare tempo, quindi dobbiamo accettare.» «Noi possiamo. Tu no. Ricordi di aver cacciato il cervo, vero?» Ash diede un'occhiata ai presenti e notò Richard Faversham. Il diacono inglese aveva il volto scavato dalla stanchezza e stava annuendo. «Ma Gelimero ha specificato che non ci sarà nessuna trattativa se non sarò presente» disse Floria. «Accettate la trattativa, madame, ma assicuratevi che sia presente anche Gelimero» consigliò John de Vere. «In questo modo non verrà loro in mente di usare macchine d'assedio o cannoni.» «Non ci conterei troppo. Se fossi in lui, andrei all'incontro, poi me la darei a gambe lasciando il campo all'artiglieria.» Ash fece scivolare la mano lungo il fodero quasi volesse trarre conforto dal contatto con l'arma. «Però, Florian ha ragione su un punto. Abbiamo bisogno di andare per le lunghe. Una volta che inizieranno ad attaccare seriamente capiranno subito quanto siamo a corto di munizioni e uomini. Va bene...» Floria scrollò le spalle. «Troverò un modo di farlo, Ash. Non pensare al cervo. Dove possiamo condurre le trattative?» «Su un ponte?» azzardò de Vere. «I ponti sono crollati tutti? Quello sarebbe un terreno neutrale.» «No!» ringhiò Olivier de la Marche. «No!» «È una follia, mio signore!» urlò Philippe Ternant. «Sappiamo quanto possono essere traditori i ponti. Il nonno del nostro ultimo duca, il duca Giovanni fu assalito a tradimento su un ponte durante una tregua da quei figli di puttana di Francesi239 . Gli tagliarono la mano destra! Fu un atto tra i più vili che si possano concepire!» «Ah!» esclamò de Vere arcuando al tempo stesso le sopracciglia. «Allora, niente ponti» concesse mesto. Ash trasformò una risata in un colpo di tosse. «Dove, allora? Non all'a239
Giovanni l'Intrepido, 1419.
perto. Anche se Gelimero fosse presente sarebbe fin troppo facile caricare una catapulta, lanciare Fuoco Greco e colpirci mentre torniamo indietro.» Il silenzio scese sull'assemblea interrotto qualche attimo dopo dalla risata di Robert Anselm. Ash lo fissò. «Sputa! Hai in mente qualcosa?» Anselm diede un'occhiata ad Ash, poi spostò lo sguardo su de Vere e si alzò in piedi. «Volete un posto per tenere l'incontro, ma non deve essere allo scoperto, giusto, capo?» Il colonnello Bajezet disse qualcosa all'interprete, ma Robert Anselm stava annuendo prima ancora che il Voynik traducesse. «Sì, i vostri ragazzi l'hanno fatto un paio di volte in Morea. Hanno costruito un fortino nella terra di nessuno ed entrambe le parti si sono incontrate all'interno. Se qualcuno cominciava a combattere morivano tutti.» Anselm incurvò le spalle. «Non funzionerà, basi. Possono essere uccisi mentre vanno all'incontro o al ritorno.» Il Turco alzò le mani. «Un piano? Quale?» «Far svolgere l'incontro sottoterra. In un cunicolo.» «In un...» Ash si interruppe. Robert Anselm la fissò dritta negli occhi. Il suo luogotenente non puzzava né di vino né di quell'immondizia fermentata che i cuochi di Henri Brant distillavano dagli scarti per i maiali. Che sia a causa di de Vere? si chiese Ash. O finalmente ha deciso di alzare un dito in mio favore? Comunque, cosa me ne importa se l'ha fatto? Me ne importa eccome. Sono io che devo mettere le vite degli altri nelle sue mani. «Un cunicolo» ripeté Ash. «Pensi che dovremmo incontrarli sottoterra?» John de Vere e suo fratello scoppiarono a ridere. «E suppongo che dovremmo chiedere al nemico di pazientare finché non avremo scavato un cunicolo, vero?» affermò allegramente il visconte di Beaumont parlando in inglese. Anselm posò una mano sulla spada e lanciò uno sguardo ad Ash che annuì. «Gelimero non correrebbe mai il rischio di usare l'artiglieria. Il cunicolo crollerebbe...» Anselm batté insieme i palmi delle mani per illustrare visivamente il concetto. «Tutti morti. Lo stesso vale per uno scontro. Una schermaglia in un cunicolo si risolve solo in un bagno di sangue per entrambe le parti... il che include anche Gelimero. Portiamo il colonnello dei Turchi con noi.» La stanza fu pervasa dal brusio delle discussioni. Ash fissò Robert An-
selm senza parlare e lui ricambiò lo sguardo. Ash annuì lentamente. «Ma non Florian. Io, de la Marche, chiunque; non Florian. Non...» si illuminò. «Non la prima volta. Ecco cosa diremo a Gelimero. Che giorno è oggi, il ventitré? Possiamo tirarla per le lunghe ancora per tre o quattro giorni, l'incontro avverrà dopo la Messa di Cristo. Così facendo avremo guadagnato altro tempo... se gli facciamo pensare che Florian verrà se potremo iniziare dei negoziati...» Florian la interruppe. «Se tu fossi là fuori, attaccheresti per far accelerare i tempi del negoziato.» «Gelimero lo farà comunque. Perderemo degli uomini.» L'espressione torva di Ash divenne stupore quando fissò Anselm. «Un cunicolo. Non funzionerà, Roberto, non abbiamo tempo per andare a minare fuori dalle mura.» «Non è necessario. So dove si trova una delle loro gallerie che abbiamo controminato sotto la Torre Bianca. Ricordi, ragazza? Era quella che i ragazzi di Angelotti hanno sgomberato con l'orso.» Sul volto di de la Marche comparve un'espressione agghiacciata, il conte di Oxford sputò il vino che aveva appena sorseggiato nella coppa e Floria sogghignò. «Non me lo avevate mai detto! Un orso?» «È successo due o tre giorni dopo la caccia.» Ash sogghignò. «Prima che pensassimo che la bistecca d'orso potesse essere buona. C'era un orso nel serraglio di Carlo.» «I ragazzi di Angelotti avevano sentito i Visigoti che minavano» continuò Robert Anselm. «Le teste di tela stavano scavando sotto le mura puntellando il cunicolo con i tronchi. Volevano dare fuoco ai puntelli in modo da far crollare le mura. Gli ingegneri di Angelotti scavarono una galleria di contro mina. Una volta sbucati nel cunicolo del nemico hanno aspettato la notte e il nemico, dopodiché hanno liberato l'orso.» «Non c'era solo l'orso, vero...?» chiese Ash aggrottando la fronte cercando di ricordare. «Avevano preso anche un paio di arnie dal giardino dell'abate. Hanno fatto entrare l'orso nella galleria, hanno buttato le arnie e hanno chiuso tutto veloci come diavoli.» Il volto di Floria era stravolto da una smorfia. Era ovvio che stava immaginando la scena: gli uomini, l'oscurità, le api e un animale reso folle dalle punture. «Cristo!» I soldati scoppiarono a ridere di gusto nel sentire l'esclamazione. «Li abbiamo visti uscire dall'altro lato del cunicolo piuttosto velocemen-
te!» confessò Anselm. «Anche la bestia e le api. Il nemico ha chiuso la galleria e non sono più scesi là sotto! Potremmo riaprirla e ripulirla dai corpi.» Le risate che si levarono tra i presenti erano venate da un certo umorismo macabro. Ash vide l'espressione di Floria, sconvolta dalla crudeltà del gesto, e smise di ridere. Florian fissò la corona che aveva in mano. «Vale la pena provare. Non voglio assistere a un altro assalto alle mura. Dobbiamo mettere un'esca appetitosa. Diremo loro che la duchessa sarà presente... no.» Floria si interruppe per un secondo poi, inflessibile, riprese: «No, questa decisione spetta a me. Dite ad Agnus Dei che incontrerò Gelimero.» Quarant'otto ore dopo il giorno dedicato alla Messa di Cristo, la duchessa di Borgogna, il conte di Oxford, insieme al colonnello del contingente Turco e la guardia del corpo mercenaria della duchessa, si incontrarono per trattare con il califfo-re Gelimero, i suoi ufficiali e gli alleati dell'impero visigoto. La galleria puzzava di sudore stantio, sangue, terra umida e urina. Il fetore era così forte da smorzare la luminosità delle torce. Ash camminava tenendo una mano posata sul manico del martello da guerra che portava alla cintura. Non c'era spazio per i ronconi o le lance: tutti si erano portati solo armi per il combattimento corpo a corpo. Diede una rapida occhiata alla galleria che era stata allargata in fretta e furia nel corso degli ultimi due giorni: le tavole che sostenevano le pareti erano nuove e il soffitto si trovava ad appena una cinquantina di centimetri dalla sua testa. Angelotti che si trovava a fianco di un ingegnere visigoto e di Jussey, annuì. «Sì, può andare, capo.» «Un sassolino che mi cade in testa e il tuo culo ne patirà le conseguenze...» disse Ash in tono assente, facendo segno a Robert Anselm di alzare la lanterna perché aveva sentito delle voci provenire dall'altro lato della galleria. L'aria fredda la faceva rabbrividire. Suppongo che con Floria presente non dobbiamo preoccuparci di un miracolo, pensò. Merda. Non hanno bisogno dei preti. Gli basta mandare qua sotto uno dei loro golem scavatori e il soffitto crollerà seppellendoci sotto tonnellate di terra...
Si morse un labbro e le parole si formarono senza che lei potesse quasi rendersene conto. «Posizione delle truppe visigote e sito del comando?» Non saprà nulla. Le notizie che sono arrivate a Cartagine da qua sono vecchie. Se il faris non sta facendo rapporto al Golem di Pietra, allora non può dare consigli tattici sul campo. Non servirebbe a nulla neanche parlare con Godfrey. Come vorrei farlo. «C'è?» chiese Robert Anselm, tranquillo. La ghiaia che ricopriva il pavimento della galleria scricchiolava sotto i suoi passi. Ash socchiuse gli occhi e udì le voci di fronte a lei che si zittivano. Una pallida luce blu cominciò a brillare nel cunicolo. Erano schiavi visigoti che portavano globi di Fuoco Greco non più grossi del pugno di Ash. Lei vide una serie di volti familiari inginocchiati a lato del passaggio. In mezzo a loro comparvero due file di uomini che indossavano abiti lussuosi. Al centro, con indosso un abito di pelliccia e la barba intrecciata con grani d'oro, il califfo-re Gelimero. Sembrava stanco, ma allerta. Niente bandiere perché il soffitto non lo permetteva, ma tutti gli uomini della scorta indossavano le divise della guardia personale del califfo-re. Le altre insegne erano un'aquila a due teste sopra una ruota su campo nero e i gigli di Francia su sfondo blu a strisce bianche. Sembrava che l'imperatore del Sacro Romano Impero avesse portato con sé solo una gigantesca guardia del corpo armata di mazza. Federico vide Ash e un sorrisetto gli apparve sulle labbra. A dispetto della sconfitta o della vittoria, quell'uomo sembrava sempre lo stesso che aveva incontrato nel campo fuori Neuss. «In persona? Figlio di puttana...» Ash si fece da parte mentre i Turchi di de Vere la superavano e si allineavano contro le pareti in file di tre. Floria del Guiz avanzò circondata da venti uomini del Leone Azzurro che indossavano corazze leggere ed elmi aperti. Le guardie del corpo ducali erano affiancate da un manipolo di soldati burgundi. Ash era gomito a gomito con Floria su un lato e con il colonnello Bajezet e il suo interprete all'altro. John de Vere era dietro di lei. In quel momento ricordò il gruppo suicida che aveva ferito il duca Carlo ad Auxonne e rivide il sangue che colava tra gli interstizi dell'armatura del nobile. Sentì una sorta di prurito alle mani e cominciò a sudare. Cominciò a comportarsi come aveva sempre fatto in quelle situazioni: lasciò che la vista si abituasse alla luce innaturale del cunicolo e cominciò
ad annotare mentalmente quali tra i nemici erano armati di spada perché avrebbero avuto più di una difficoltà a estrarla data la ristrettezza dell'ambiente, quali con mazze, picche o martelli. Si concentrò per qualche secondo sugli amir che indossavano elmo e armatura... considerò tutto... specialmente i potenziali bersagli. Uno dei burgundi al suo fianco imprecò a bassa voce, Ash lo fissò con aria interrogativa e il gruppo si fermò. «Quello è Carlo d'Amboise»240 le spiegò Lacombe, indicando i Francesi. «È il governatore dello Champagne, e quel figlio di puttana lecca culo al suo fianco è Philippe de Commines, l'uomo che ha tradito l'amicizia del duca Carlo.» Ash si parò di fronte a Floria e ai giannizzeri silenziosi. «Siamo venuti per trattare con il califfo-re.» La voce risuonò piatta. «Non con metà dei signori di Francia e Germania! Non erano questi gli accordi! Noi andiamo via.» Non c'è molto da sperare, pensò, ma almeno dovrei riuscire a ottenere qualche altro giorno di ritardo... Il cavaliere francese a fianco di de Commines fece un inchino e disse: «Io sono d'Amboise. Il mio signore, Luigi, mi ha mandato a servire il califfo-re. Sono qui per mettere a conoscenza la duchessa dei benefici della Pax Carthaginiensis. Lo stesso vale per il mio signore d'Asburgo, Federico.» Carlo d'Amboise continuò a fissare Ash con un'espressione cordiale e aperta e lei sogghignò. «Voi siete qui in veste di spia di Luigi» gli fece notare. «E, proprio come 'il mio signore d'Asburgo', siete qui per vedere se la Borgogna resiste contro il califfo-re. Se fossi in lui mi guarderei bene dal voltarvi le spalle...» Il ghigno di Ash non tremò di fronte al disagio del nobile francese. Più zizzania spargo, meglio è, pensò. Sei Turchi si erano posizionati di fronte ad Ash e Floria. Ash guardò oltre le spalle dei giannizzeri, uomini che avevano acconsentito a fungere da scudo umano per lei e Floria, e vide il volto barbuto di Gelimero illuminato dal Fuoco Greco. L'espressione non tradiva alcun tipo d'emozione e di certo non lasciava trasparire rabbia o incertezza. Sembrava più vecchio e marziale di quando 240
Un fedele servitore di Luigi XI, mandato nell'autunno del 1476 a rapire la duchessa Yolanda di Savoia per conto del re di Francia e per ragioni politiche.
l'aveva visto l'ultima volta a Cartagine. Le rughe gli tendevano la pelle intorno alla bocca e sotto il mantello indossava un usbergo d'anelli metallici. La scarsa illuminazione e il buio freddo non rendevano la galleria molto diversa dal cupo palazzo di Cartagine dove la Grande Bocca di Dio e le tegole del tetto avevano tremato prima di crollare a causa del terremoto. Il fatto di rivedere quell'uomo la sconvolse. Non ricordò la vista di Gelimero che si alzava dal trono e fuggiva, ma ebbe un ricordo fisico, tattile, del corpo morto di Godfrey Maximilian. Un brivido le percorse la schiena. «Dov'è la duchessa?» chiese la voce tenorile di Gelimero. «La state guardando» rispose Floria, secca. Il califfo-re si concentrò su Ash ancora per qualche istante, quindi spostò l'attenzione sulla donna che indossava la corona d'osso. «La fortuna della guerra vorrebbe che io vi uccidessi, ma io non sono un uomo crudele. Arrendetevi, cedete il regno di Borgogna a me e io risparmierò i contadini e i cittadini. Morirete solo voi duchessa.» Floria rise e Gelimero sussultò. Non era una risata divertita. Ash l'aveva sentita più di una volta provenire dalla tenda del chirurgo, quando Floria aveva svuotato due o tre caraffe di vino: era un suono alto, roco e da contralto. «Arrenderci? Dopo che abbiamo resistito? Fuori di qua!» consigliò Floria. «Sono il chirurgo di un'unità mercenaria e ho visto quello che succede alle città assediate quando le truppe nemiche le saccheggiano. Le persone sono molto più al sicuro tra le mura, a meno che non firmiamo una pace.» Gelimero tornò a concentrarsi su Ash e sui nobili burgundi. «E questa... donna... sarebbe la vostra guida?» Non ci fu nessuna risposta, né, come Ash ebbe modo di constatare, nessuno sguardo dubbioso tra i presenti. Solo volti caparbi e occhi colmi di disprezzo nei confronti del califfo-re. «È molto saggia e coraggiosa» disse John de Vere, con una sorta di cortesia irriverente. «Cosa volete dalla duchessa, signore?» Ash fece la parte del generale mercenario scorbutico e grezzo e disse: «Se questa è l'unica offerta che siete in grado di fare, allora possiamo anche andarcene. Qua non c'è nulla di serio. 'Fanculo a tutto.» De Vere lasciò trapelare un'espressione divertita. «Mandate fuori la vostra donna-Leone» ingiunse il califfo-re rivolgendosi a de Vere. Ash vide gli occhi di Gelimero passare dal nobile inglese ai Burgundi, passando oltre lei, il comandante turco e Floria del Guiz.
Sta cercando chi comanda, comprese Ash. Sta pensando: non l'Inglese. I nobili burgundi? Ma quale? O forse è Olivier de la Marche? Fu allora che vide la rapida occhiata che Gelimero scoccò a d'Amboise, a de Commines e a Federico d'Asburgo, tradendo, per una manciata di secondi, una perdita di controllo della situazione. Dio ti benedica, John de Vere! Tutto quello che hai detto era vero. È qua perché deve prendere la Borgogna e perché deve far vedere ai suoi alleati che è un duro. Ash sorrise in maniera rassicurante, lanciò un'occhiata Florian e le si avvicinò per parlarle all'orecchio. «Gelimero avrebbe fatto bene a non richiedere una trattativa... adesso gli altri lo stanno guardando per vedere cosa farà.» «Continuiamo a parlare, Ash?» La vista di Gelimero con l'elmo in testa le fece ricordare quando l'aveva incontrato sotto la neve insieme al figlio di cui, in quel momento, non riusciva a ricordare il nome. Starà ancora nevicando a Cartagine? si chiese. Ash formulò un giudizio rapido e brutale. «Per lui sarebbe perfetto se si trattasse solo di una questione di ordine militare. Se potesse dire ai suoi generali quello che devono fare, allora noi saremmo finiti, ah c'è anche il freddo e il buio. Non so quanto lui sappia. Esiterà appena gli forniremo mezza possibilità.» «Continua a parlare» mormorò Floria. «Tiriamola alle lunghe.» Il califfo-re si girò, ascoltò l'uomo alle sue spalle, dopodiché annuì. L'aria cominciava a scaldarsi a causa del Fuoco Greco e dei corpi premuti nella galleria. Gli schiavi che tenevano i globi sembravano sbiancati dalla luce: ciglia e sopracciglia lunghe che spiccavano su volti consumati dalle intemperie. Il gruppo alle spalle di Gelimero si aprì a fatica e Ash non riconobbe subito i nuovi arrivati. Il Fuoco Greco si riflesse su una cascata di capelli argentei e Ash si ritrovò a fissare il volto del generale visigoto. «Faris» la salutò. La donna non rispose fissando Ash come se non fosse là. Quell'espressione fece corrugare la fronte della mercenaria, stava per commentare, ma si rese conto che il califfo-re stava solo apparentemente ascoltando i suoi consiglieri, perché, in verità, la stava fissando con sguardo avido. Infastidita, fece un secondo cenno del capo che il faris ignorò. La donna
visigota indossava la divisa nera sotto il piastrone della corazza e portava una daga alla cintura. Ash non vide nessuna spada. Perché Gelimero continua a fissarmi? si chiese. Che stia creando un diversivo per far uccidere Florian? Inalò l'aria della galleria a pieni polmoni per cercare di carpire l'odore di una miccia a combustione lenta. Forse c'era un archibugiere nascosto tra il seguito del califfo-re. Un movimento attirò la sua attenzione e Ash posò immediatamente una mano sul corpo pronta ad agire, ma si fermò. Due preti visigoti arrivarono sulla scia del faris. Tenevano per i gomiti un amir alto e magro. I capelli del nobile erano scompigliati e lo sguardo ricordava quello di un gufo. Dietro l'amir c'era il medico italiano di nome Annibale Valzacchi. L'amir era Leofric. «Cristo Verde...!» Ash si rese conto di aver serrato la presa intorno al braccio di Florian solo quando la sentì sussultare. «Quello è l'amir che ti ha fatta imprigionare? Il padrone del Golem di Pietra?» «Sì, tu non hai mai visto Leofric quando sei stata a Cartagine, vero? È proprio lui.» Ash continuò a tenere gli occhi fissi sul volto di Leofric. «Già.» Non solo mia sorella, pensò, ma anche lui. Il ricordo delle scale, della cella, del sangue, la sensazione d'intromissione della visita: tutto era ancora nitido nella sua mente e una fitta di dolore le chiuse la bocca dello stomaco. La sensazione durò qualche attimo, poi la allontanò senza permetterle di filtrare sul volto. Leofric indossava un abito da nobile sopra la maglia metallica. Sembrava non rendersi conto dei preti che lo sostenevano per le braccia e osservò Ash con aria interrogativa. «Benvenuto, mio signore» lo salutò Ash che sentiva la bocca secca. «Parlate, madame!» la incoraggiò John de Vere sussurrandole in un orecchio. «Ogni parola è tempo guadagnato.» Dietro l'amir Leofric, parzialmente nascoste dal drappello di soldati, c'erano due schiave: una bambina e una donna grassa. Ash non riuscì a capire chi fossero, ma vide che la bambina stringeva qualcosa contro il vestito sporco e la donna sbavava. Gli occhi di Leofric si concentrarono su Ash, il volto fu stravolto da una smorfia e cominciò a piagnucolare. «I diavoli! I grandi diavoli ci uccideranno tutti!»
IV I giannizzeri di fronte ad Ash rimasero immobili e attenti. Florian sembrò presa alla sprovvista. Lo stesso valeva per John de Vere, solo che il nobile inglese riuscì a non farlo trapelare. Ash spostò lo sguardo da Leofric all'espressione impassibile del califfo-re. «Il capo della casata dei Leofric non sta bene» li informò Gelimero. «Se fossi in lui mi scuserei per la maleducazione.» «Chiedetelo a lei!» Leofric si girò implorante verso Gelimero e i due preti gli strinsero le braccia con più vigore. «Non sono pazzo, mio califfo! Chiedete anche a lei! Anche lei le sente. È un'altra delle mie figlie. Ash le sente come questa...» «No» lo interruppe la voce del faris. «Non sento più la voce della machina rei militaris.» Ash la fissò e la donna visigota la evitò apertamente. Mente, pensò Ash, sicura. «Mi hai detto che non parlava con il Golem di Pietra...» le sussurrò in un orecchio Floria a disagio. «Non perché non può.» Ash vide Gelimero sussultare e lanciò un'occhiata ai suoi alleati. Sulle labbra di Federico d'Asburgo aleggiava un sorrisetto calcolatore che lei aveva già visto a Neuss. Quando l'imperatore del Sacro Romano Impero incrociò il suo sguardo arcuò un sopracciglio. «Torniamo ai nostro affari, signori» disse Gelimero, fissando Floria. «Strega di Borgogna...» «Dove ho sbagliato?» si chiese l'amir Leofric, ovviamente dimentico della situazione in cui si trovava. Floria, che sembrava prossima a rispondere a tono, si fermò e, con qualche difficoltà, dato il poco spazio, portò i pugni ai fianchi e fissò il lord visigoto. «'Sbagliato?'» Ash osservò per quello che poteva il volto di Leofric. L'espressione della bocca la fece rabbrividire. Gli uomini sani di mente non avevano quell'aria. Ricordò Cartagine e fu pervasa da un misto di repulsione, odio e pietà. Non sta bene. Gli è successo qualcosa. Non è per niente a posto... Allontanò quei pensieri concentrandosi solamente sulla situazione in corso. Leofric guardò la bambina schiava di fronte a lui, divincolò un braccio dalla presa del prete, prese il topo bianco che la bambina teneva in braccio,
quindi lo sollevò fissandolo negli occhi color rubino. «Continuo a chiedermi dove ho sbagliato.» La bambina, Violante, alzò le mani per riavere indietro l'animale. Ash riconobbe sia la bambina, che era diventata più alta e magra, sia il topo che si agitava nella stretta dell'amir. La bestiola aveva chinato il muso e cercava di leccare le dita della ragazzina. Ash sentì uno sguardo analizzatore che la sondava, si girò e vide che si trattava di Gelimero. «Merda...» sussurrò. Gelimero fece un segnale. I due preti si chiusero davanti a Leofric e Valzacchi abbassò la mano dell'amir tenendosi alla larga dal topo. Il nobile visigoto restituì la bestiola alla schiava con un gesto distratto e disse: «Califfo, il pericolo...» «Hai messo in scena la tua follia come scusa per il tradimento» lo accusò il califfo-re in un rapido latino cartaginese. Ash pensò che solo lei, de Vere e gli uomini al seguito di Gelimero avessero capito. «Se devo ucciderti per ridurti al silenzio, allora lo farò.» «Non sono pazzo» rispose Leofric ricorrendo allo stesso idioma del suo sovrano. Ash vide che Federico d'Asburgo e d'Amboise sembravano interdetti, mentre de Commines sorrideva tranquillo. Ash lanciò una rapida occhiata a de Vere e il conte inglese annuì. Attese finché non fu sicura che lui stava fissando le delegazioni germaniche e francesi quindi aprì la fibbia dell'elmo, lo tolse e scosse i corti capelli. È tempo di mescolare la zuppa, pensò. «Mio Dio, ma sono gemelle!» esclamò Carlo d'Amboise. «Una mercenaria burgunda e un generale visigoto? Le voci, i volti... cosa significa?» «Sono sorelle, da quello che sento» si intromise secco de Commines fissando il califfo-re. «Lord Gelimero, anche Sua Grazia il re di Francia si chiederà come mai i vostri generali combattono con entrambi gli schieramenti in questa guerra! Sempre che si tratti di una guerra e non di una cospirazione di qualche tipo contro la Francia!» «La donna di nome Ash è una rinnegata» spiegò Gelimero con noncuranza. «Davvero?» L'urlo di Carlo d'Amboise fece sussultare la ragazzina schiava che si strinse il ratto al petto. «Davvero? Cosa devo dire al mio signore Luigi? Che voi e la Borgogna cospirate insieme e che questa guerra-farsa è sempre combattuta da voi e basta? Che la Borgogna, il più antico nemico della Francia, si è alleata con i Visigoti? E, peggio ancora...» Il
nobile francese indicò John de Vere con un violento gesto del braccio «... che anche gli Inglesi sono coinvolti.» Ash esultò, ma fu sommersa dalle risate, dai miagolii e dalle congratulazioni a de Vere che giunsero dagli uomini della lancia di Rochester. Lo stesso Thomas aveva quasi le lacrime agli occhi per le risate. Gelimero si carezzò la barba. «Non usiamo le nostre legioni per radere al suolo le città degli alleati, messer d'Amboise» lo informò il califfo-re, dopo che le ovazioni, gli applausi e i fischi furono terminati. Chiaramente allarmato dalla voce di Gelimero, l'amir Leofric cominciò a urlare: «Dovete chiedere a lei! Ash! Ash!» Della terra filtrata tra le tavole gli sfiorò il viso e l'uomo saltò indietro con un urlo, poi, ansimante, riprese a fissare Ash. «Parla con il mio signore, il califfo-re! Diglielo. La pietra del deserto possiede un'anima. Grandi voci parlano attraverso il Golem di Pietra. Tu e il faris le sentite...» La voce di Leofric perse di profondità e il volto si intristì. «Come potete portare avanti una guerra tanto insulsa sapendo di un simile pericolo?» «Io...» Ash si interruppe. Sentiva la spalla di Floria che premeva contro la piastra dorsale dell'armatura e vide che de Vere aveva posato una mano sul manico della mazza. «Diglielo!» urlò Leofric. «Mia figlia mi ha tradito e io lo chiedo a te, ti imploro...» Si divincolò dalla stretta dei preti, poi alzò la testa e fissò Ash dritta negli occhi. «L'impero è stato tradito, moriremo tutti. Ogni uomo, donna o bambino, tutti. Non importa se Burgundi o Visigoti... di' al califfo-re quello che senti.» Ash si rese nuovamente conto che Gelimero la stava fissando, distolse lo sguardo da Leofric e, indecisa, si concentrò sulla rappresentativa di fronte a lei. Un debole sibilo si levava dai globi nei quali bruciava il Fuoco Greco. Violante, che continuava a cullare il topo, la fissò con un'espressione incomprensibile. La schiava adulta cominciò a tirare la tunica della bambina uggiolando come un cane. «Va bene» Ash posò una mano sulla cintura a pochi centimetri dalla daga e con un immenso senso di sollievo disse: «Può anche essere sconclusionato, ma non è pazzo. Ascoltatemi, dice la verità.» Gelimero aggrottò la fronte. «Ci sono...» Ash esitò. Doveva scegliere le parole con cura. «Ci sono
delle gigantesche piramidi-golem nel deserto a sud di Cartagine. Le avete viste anche voi, califfo-re.» Gelimero contorse le labbra e si passò una mano sulla bocca. «Sono i monumenti funebri in memoria dei nostri sacri morti. Ora Dio li sta benedicendo con il Fuoco Freddo.» «Li avete visti, sono dello stesso materiale di cui è fatto il Golem di Pietra.» Il sovrano dell'impero visigoto scosse il capo. «Insulsaggini.» «Non sono insulsaggini. Il vostro amir Leofric ha ragione. Le ho sentite e posso affermare con assoluta sicurezza che sono le loro voci che parlano attraverso il Golem di Pietra. Sono stati i loro consigli a portarvi qua e, credetemi, a loro non importa nulla del vostro impero!» Ash si sentì pervadere da uno strano senso di sollievo e annuì. «L'amir Leofric non è pazzo. Ci sono diavoli là fuori che non avranno pace finché il mondo non sarà ridotto a una distesa fredda e morta come le terre oltre i confini burgundi.» Dall'espressione sul viso di Gelimero, Ash sapeva che aveva ben poche speranze di convincerlo, tuttavia continuò a parlare per liberarsi, per poter dire ad alta voce ciò che aveva appreso. Fissò Gelimero attraverso la fila di giannizzeri sapendo che lui non poteva guardare altrove. «Qual è l'eventualità più probabile?» chiese il Visigoto. «Che queste storie sui diavoli siano vere anche quando i segni del favore di Dio sono innegabili? O che la casata dei Leofric abbia imbastito un complotto contro il trono al quale il suo comandante schiavo si è unito dietro suo ordine? Per quanto riguarda voi, capitano Ash, sareste dovuta morire nella mia corte ed essere sezionata per capire cosa siete. Ecco come morirete quando avrò preso Digione.» «Quando» sottolineò Ash, secca. «Sta dicendo la verità, califfo-re» intervenne Florian. «Ci sono alcuni golem nel deserto e vi hanno ingannato.» «No, non sono io quello che è stato ingannato.» Gelimero fece un altro segnale. Il più robusto dei due preti che sorreggevano Leofric lasciò la presa e andò a prendere la donna che si trovava a fianco di Violante. La donna si allontanò con un urlo, dopodiché cominciò a singhiozzare e tossire. Il prete la portò davanti a tutti tirandola per il collare metallico. «Miei lord di Francia e del Sacro Romano Impero» esordì il califfo-re. «Come avete potuto constatare voi stessi, lord Leofric è malato. Avete visto che anche la sua figlia-schiava, il nostro generale, non sta bene. E
quello che avete appena sentito dal generale di Borgogna sono le farneticazioni di una folle. Ora capirete il motivo, signori. Ho portato questa donna con me affinché possiate giudicare da soli. Questa è Adelize ed è la madre di queste donne.» Il prete diede un pugno alla donna che smise di lamentarsi. Il silenzio scese nella galleria. Thomas Rochester serrò una mano sulla spalla di Ash. «Se questa è la madre che le ha generate non c'è da stupirsi che le figlie siano folli.» Ash fissò la donna a fianco del faris. Sotto i rotoli di grasso i lineamenti del viso potevano essere simili a quelli della sua gemella. Adelize possedeva un'aura familiare che faceva chiudere lo stomaco ad Ash. Una vecchia di circa cinquanta o sessant'anni con i capelli bianchi. Ash aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì a dire nulla. «Cosa potete aspettarvi dai cuccioli con una madre simile?» ribadì Gelimero, retorico. «Insulsaggini come la storia dei diavoli.» «Anche il vostro faris è folle?» chiese de Commines, secco. «Le crociate del nostro impero non sono mai dipese da un solo comandante.» Il califfo-re aveva un'aria serena. John de Vere aggrottò la fronte: era ovvio che non fosse convinto di tutta quella serenità. «Madame, crede che valga la pena screditare il comandante che ha vinto in Europa per gettare fango su di voi e Leofric?» Ash non disse nulla e fissò Adelize che piangeva senza emettere un suono. Duecento anni d'incesto, pensò. Dolce Cristo e tutti i Santi. È questo che io... Il faris carezzò la testa della donna rimanendo impassibile. «Adesso che abbiamo chiarito l'equivoco» proseguì il califfo-re Gelimero «dobbiamo tornare a parlare della Borgogna.» Ash non sentì quello che disse Floria. Si girò, trattenne il vomito, sputò in una mano e fece cadere a terra la saliva. Lasciò correre lo sguardo tra i presenti e batté le palpebre nel caso qualcuno pensasse che stava piangendo. «... un inviato» stava dicendo il califfo-re. «Un inviato?» «Ha detto che vuole mandarne uno da noi» le sussurrò Florian. Il volto dall'espressione attenta prometteva compassione e analisi in seguito, ma in quel momento era solo quello di una duchessa allerta. «Se è accettabile sarò d'accordo.» Gelimero carezzò la barba e accennò un sorriso. «Lo troverete accettabi-
le, duchessa di Borgogna. Si tratta di vostro fratello.» Ash non registrò immediatamente la frase. Ci furono dei movimenti nel gruppo di soldati di fronte a lei e il suo sguardo superò il monarca visigoto. Conosco quel viso! pensò, chiedendosi poi se si trattava di un Franco al soldo di Gelimero... forse era un mercenario che aveva già incontrato in Italia, o un mercante iberico? Un attimo dopo il volto dell'uomo fu illuminato dal Fuoco Greco e lei vide Fernando del Guiz con indosso l'abito talare. Un prete? Come fa a essere diventato prete, se è mio marito? L'ultima volta che l'aveva visto portava i capelli lunghi fino alle spalle e indossava una divisa da cavaliere visigoto. Ora, completamente disarmato, non aveva neanche una daga, indossava un abito austero e scuro da prete chiuso in vita da una cintura che metteva appena in evidenza la larghezza delle spalle e del torace. C'era qualcosa in quell'uomo che la induceva a raggiungerlo e posare la testa sul collo per odorare il suo odore di maschio. La luce danzante del Fuoco Greco creava una serie di giochi d'ombra che nascondevano la sua espressione. Stupita, sentì le guance che arrossivano. «Fernando» disse ad alta voce. Improvvisamente si rese conto dei capelli tagliati corti e del fatto che in veste di generale doveva mostrare un certo grado di rudezza. Sul petto del marito non c'era nessuna croce, ma solo un pendaglio che rappresentava il volto di un uomo con delle foglie che uscivano dalla bocca. Sei un prete ariano. Christus Viridianus! Cosa diavolo...? Ash alzò lo sguardo, era arrabbiata con se stessa per il suo comportamento. Notò la tonsura da novizio. Fernando sembrava quasi divertito. «L'abate Muthari deve essere a corto di uomini» rilevò in tono brusco Ash. «Ma dovevo saperlo che avresti indossato la tonaca alla prima occasione.» I soldati ridacchiarono divertiti e Ash ascoltò Anselm che traduceva per gli uomini di Bajezet i quali, un attimo dopo, si unirono alle risatine. Ecco che rimango senza parole, pensò Ash continuando a fissare Fernando sapendo che qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe stato altro che un riempitivo per prendere tempo e pensare. Ha davvero preso i voti come prete ariano? Con tanto di voto di celibato? Un brivido caldo la percorse e sentì i muscoli delle cosce che si rilassavano. Lei sapeva che le pupille dovevano essere dilatate.
«Questo è il mio ambasciatore» affermò il califfo-re. Fernando del Guiz fece un inchino. Ash lo fissò. «Merda» imprecò. «Be', buon fottuto Natale.» Gelimero ignorò Ash e si rivolse a Floria facendo vagare lo sguardo da lei agli altri Burgundi. «Potete vedere oltre le mura. Ho tre legioni fuori Digione. È ovvio che non potete resistere. Arrendetevi. Vi offro questa possibilità, per onorare l'etichetta di guerra, ma nulla di più. Mandatemi una risposta tramite il mio inviato entro domani, a santo Stefano.» V «Fate bloccare immediatamente quel cacchio di cunicolo!» ordinò Ash. «Prima rocce e poi terra. Non voglio che nessuno possa assalirci passando da là. Veloci!» «Sì, capitano!» uno dei comandanti burgundi tornò di corsa dai suoi uomini acquattati vicino ai resti di una casa e cominciò a dirigerli con una serie di urla decise che denotavano efficienza. «Uno di voi... Thomas Rochester» disse Floria «vada a dire a de la Marche che sono con Ash. Dobbiamo indire un consiglio.» «Vado io» si offrì John de Vere, cogliendola alla sprovvista. «Sono ansioso di discutere delle parole del califfo con mastro de la Marche.» Floria fece un cenno col capo. Il conte inglese diede un ordine all'interprete e si allontanò scortato dai giannizzeri. Il fragore dei barili pieni di macerie che rotolavano sul selciato mascherò il rumore del loro passaggio. Le strade puzzavano di bruciato. Il vento gelido non portava l'odore del legno bruciato, ma quello metallico del Fuoco Greco. Ash spostò lo sguardo dagli uomini che stavano chiudendo la galleria a Floria, la donna si era appena tolta la corona e stava passando una mano tra i capelli corti come quelli di un uomo... come quelli di suo fratello. «Andiamo» disse Ash. «Sarebbe un peccato se un tiro lungo di un mangano ti sparpagliasse per tutta la strada proprio adesso.» «Non pensi che terranno fede alla tregua?» «No, se diamo loro una buona opportunità!» Ash distolse lo sguardo da Floria a Fernando del Guiz che si trovava in mezzo ai mercenari del Leone Azzurro. Per tutti quelli che erano stati a Neuss, Genova o Basilea, lui era un rinnegato.
«Copritelo» ordinò Ash a uno dei sergenti di Rochester. «Dategli un mantello con il cappuccio.» Osservò il sergente che metteva il mantello sulle spalle di Fernando, lo chiudeva e tirava su il cappuccio provando una sorta d'invidia perché avrebbe voluto farlo lei. È mio marito, pensò. Sono stata a letto con quest'uomo e avrei potuto avere un figlio da lui. Ma ho smesso di volerlo prima di andare via da Cartagine. È un debole. È solo carino e basta. «Portatelo con noi» ordinò Ash. «Florian rimarrà nell'ospedale della torre.» C'era una sorta di rilassatezza quasi impercettibile nei mercenari intorno a Fernando del Guiz. Non sarebbe così se fosse ancora un cavaliere in armatura, pensò Ash. L'espressione sui volti dei soldati le fece capire che lo consideravano solo un prete. «Per quelli che non lo sapessero» disse alzando il tono di voce «un tempo quest'uomo era un cavaliere del Sacro Romano Impero. Non pensate di lasciarlo vicino a una spada, chiaro? Va bene, andiamo.» «Sono un ambasciatore e un prete cristiano» le rammentò Fernando, in tono leggermente autocompiaciuto. «Non devi avere paura di me, Ash.» «Paura di te?» Lo fissò per un attimo, sbuffò e si girò. «Gelimero non mi conosce molto bene, vero?» mormorò Floria. «Il sangue non conta molto in questo caso.» Ash si sforzò di sembrare cinica. «Probabilmente Fernando ha detto a Gelimero che era tuo fratello e che avrebbe potuto persuaderti a uscire dal cancello nord e firmare una resa...» «Oh, piantala, sbaglio o quello è il tuo amato maritino?» Appena uscirono del tutto allo scoperto, Ash non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Del gruppo, solo Fernando si stupì per i soldati che fissavano il cielo e di nuovo Ash. «Certo» commentò Ash sarcastica. «Mi fido molto della pace di Gelimero...» Essere circondata dagli uomini della scorta era una situazione familiare per Ash. Posizionata tra la bandiera e i soldati, attenta a dove metteva i piedi, poteva prestare ben poca attenzione all'ex cavaliere germanico. Una piccola parte della sua mente, però, non poteva fare a meno di pensare che quello era suo marito. Ne era contenta. Il freddo era pungente. Il cunicolo era più caldo delle strade esposte di Digione e del freddo cielo invernale.
Ash batté le mani insieme facendo cigolare le piastre dei guanti. Le ombre dei tetti a nord si allungavano sulla strada e la campana dell'abbazia suonava l'Ora Terza. Un rapido sguardo alle mura le permise di vedere i Burgundi e gli uomini del Leone che pattugliavano le mura. Appena raggiunsero le strade nella zona sud della città, Florian la gratificò con uno sguardo strano e segnalò alla scorta di accelerare il passo. Ash rimase a fianco di Fernando che la superava in altezza di una ventina di centimetri abbondanti. Lasciamoli ascoltare, pensò Ash. «Bene» esordì lei. «Almeno continui a rimanere il fratello della duchessa. Suppongo che abbiamo divorziato.» La frase suonò ironica come lei aveva voluto e la voce che la pronunciò non era incrinata. Fernando del Guiz la fissò con gli occhi verdi. Ash era consapevole della forza del corpo che camminava al suo fianco e dell'attrazione che esercitava su di lei, c'era qualcosa di speciale in lui, qualcosa che aveva a che fare con l'essere ben nutrito, pulito e forte. Ci avevo già pensato a Cartagine! rifletté Ash. «Alla fine non si è trattato di un divorzio.» Sembrava quasi volesse scusarsi e abbassò il tono di voce fissando la scorta. «I legali dell'abate Muthari hanno decretato che il matrimonio tra un nobile libero e una schiava non era valido e l'hanno annullato.» «Ah, capita a puntino, direi. Non ti impedisce di fare il prete.» Ash non riusciva a mascherare la curiosità che trapelava dal suo tono. Non riusciva ancora a capire cosa pensava dell'annullamento. Ci penserò dopo, si disse, quando avrò tempo da perdere. Fernando del Guiz non disse nulla, le lanciò una rapida occhiata e tornò a concentrarsi di fronte a lui. «Gesù, Fernando, cos'è questo?» «Questo?» Lo punzecchiò con un dito sotto l'immagine del Cristo sull'Albero e pensò di aver fatto un errore perché lei continuava a desiderare di poterlo toccare. «'Questo'. Tutta la storia del prete. Non mi dirai che hai preso veramente i voti!» «Li ho presi.» Fernando la fissò. «Ho preso i primi voti a Cartagine e l'abate Muthari mi ha concesso i secondi quando ha riconsacrato la cattedrale di Marsiglia. Dio mi ha accettato, Ash.» «Il dio ariano.»
Fernando scrollò le spalle. «È sempre lo stesso, giusto? Non importa come lo chiami.» «Ahhh!» Ash non poté fare a meno di sorridere alla noncuranza con la quale erano stati liquidati dodici secoli di scisma. «Perché, Fernando? Non venirmi a dire che Dio ti ha chiamato. Se l'ha fatto vuol dire che sta raschiando il fondo della pentola.» Alzò lo sguardo per fissare Fernando e vide che era imbarazzato e determinato allo stesso tempo. «Mi è venuta in mente quest'idea dopo che tu mi hai parlato a Cartagine. Avevi ragione. Indossavo ancora le armi e le insegne del califfo-re: perché lui avrebbe dovuto darmi retta quando dicevo che questa non era una guerra da combattere? Così ci ho pensato bene e questo era l'unico modo per abbandonare la spada e far sì che gli uomini continuassero ad ascoltarmi.» Continuò a fissarlo abbastanza a lungo allentando la concentrazione per la probabile minaccia dal cielo. Inciampò, ma recuperò subito l'equilibrio grazie al suo addestramento alla spada. «Sei entrato nella chiesa per questo motivo?» L'espressione della bocca lo fece sembrare per un attimo un ragazzino. «Non voglio essere ignorato come una donna o un contadino. Se non sono un cavaliere devo essere qualcosa che loro rispettano. Sono sempre un del Guiz. Continuo a essere un nobile! Ho preso i voti per diventare un peregrinatus Christi.» Le lacrime riempirono gli occhi di Ash che batté le palpebre violentemente. Era ritornata per qualche attimo a Cartagine e aveva sentito il nazir dire: «Lascialo entrare, è solo un peregrinatus Christi» dopodiché aveva visto il volto segnato e barbuto di Godfrey tra i soldati. Ho bisogno di lui, ma non come voce nella mia testa! «Tu non sarai mai un prete» sentenziò Ash, dura. «Sei solo un fottuto ipocrita.» «No.» La scorta attraversò un cancello e si fermò di fronte all'entrata della torre nella quale era ospitata la compagnia. Una folata di vento freddo entrò con loro infastidendo i cavalli rimasti. Anselm urlò una serie di ordini agli uomini per farsi sentire sopra il rumore della forgia. Floria fu raggiunta immediatamente da una dozzina di cortigiani. «Così non saresti un ipocrita.» Ash si asciugò le lacrime. «Certo, come no.» «Non ho mai pregato molto perché pensavo fosse un lavoro da prete.
Ero un cavaliere.» Fernando si fermò e parlò sfruttando il baccano degli uomini come copertura. «Ma adesso sono un prete. Forse Dio mi ha fatto capire quanto sia folle questa guerra! Tutto quello che so è che un giorno ero un cavaliere franco traditore, senza un patrono e nessuno che mi ascoltasse... e adesso non sto uccidendo nessuno e posso farmi ascoltare da alcuni dei nobili della corte di Gelimero quando dico che questa guerra è ingiusta. Se tutto ciò tu lo definisci ipocrisia, per me va bene.» «Ah, merda.» C'era qualcosa nel tono di voce di Ash che incuriosiva Fernando. «Niente» si schernì Ash, che si sentiva sempre più nervosa. È possibile che non mi sia andata giù la separazione, pensò Ash, ma ora è tutto sistemato. Non mi sarà piaciuto il fatto che sei un voltagabbana, piccolo sacco di merda mentitore... ma almeno sapevo dov'ero con te. Sono arrabbiata con te perché sei tornato a farmi sentire determinate cose. «Niente» ripeté Ash, sottovoce. Se lui le avesse risposto in maniera facile, lei si sarebbe allontanata. Fernando del Guiz abbassò lo sguardo, imbarazzato come un adolescente, quindi batté il tallone dello stivale sul terreno. Ash sospirò. «Perché non sei tornato indietro facendo qualcosa che potevo rispettare?» Un gruppo di persone bloccava gli scalini della torre e Ash sentì la voce di Floria che si alzava. Lanciò un'occhiata e vide che Anselm cominciava a impartire ordini in tono brusco. Gli uomini con la divisa del Leone fecero spostare i cortigiani burgundi che coprivano la porta. «Ti sbagli sulla guerra, lo sai» disse Ash, senza guardare Fernando. «E se ci fosse un modo migliore per fare la guerra ormai siamo troppo avanti per impiegarlo, ma suppongo che tu non abbia le palle per stare in prima linea...» Ash non riuscì a capire se Fernando era scoppiato a ridere o stava tossendo. «Questa è la confraternita ariana, non Nostra Signora della Mezza Luna Insanguinata!» Uno dei soldati turchi che componevano la scorta gli lanciò un'occhiata, diede una leggera gomitata al compagno e gli disse qualcosa sottovoce. Ash represse un ghigno. «La dea Astarte è piuttosto popolare da queste parti ultimamente, quindi vediamo di tenere a bada i dissensi religiosi, va bene?» Fernando sorrise. «E poi hai il coraggio di chiamarmi ipocrita.»
«Non sono un'ipocrita» disse Ash, girandosi per entrare nella torre. «Sono un'opportunista eretica egualitaria... penso che tutti voi parliate con il culo...» «Questo da una donna che è stata marchiata dal Leone.» Fernando fece per toccarle la guancia sfregiata e lei glielo lasciò fare prima ancora di capire che non si sarebbe mossa. «Quello era allora» precisò. «Adesso è adesso.» Sentì una coro di risate maschili, salì i gradini due alla volta ed entrò nel caos della sala al primo piano. «Capo!» Henri Brant sorrise mostrando i denti mancanti, quindi diede una pacca alla spalla di un uomo e urlò qualcosa ai presenti. Richard Faversham arrossì. Ash fissò per un attimo il locale. Il fuoco ardeva impetuoso nel camino circondato dagli uomini del Leone che non erano di servizio, intenti a servire il contenuto di un calderone. Le travi erano decorate con lunghi viticci di edera. Baldina batteva un tamburo. Cieco e menomato, Carracci, suonava un flauto insieme ad Antonio Angelotti. Non c'erano tavoli coperti da tovaglie di lino giallo, ma uomini seduti contro le pareti intenti a mangiare dalle scodelle di legno. «Buona Messa di Cristo!» esclamò Henri Brant alitandole in viso. Non c'erano più i porci da nutrire, quindi, molto probabilmente quello che stavano bevendo era un liquore distillato dalle rape e, a giudicare dall'alito del cuoco, doveva essere molto forte. «Dio ti benedica!» Richard Faversham si abbassò e le diede il bacio della pace. «Cristo sia con te!» «E con te!» ringhiò Ash, ignorando la risatina di Floria. Fissò per un attimo gli uomini intorno alla sala e sorrise a Henri Brant. «Scommetto che hai organizzato per due pasti. Uno anche per i ragazzi che sono di pattuglia.» «Sì, altrimenti cucinerò le mie palle!» Il cuoco si tolse la cuffia rivelando i capelli bianchi sudati per la vicinanza al fuoco e per la calca. «Non siamo riusciti a raccogliere molto. Mastro Anselm ha pensato che è meglio mangiare adesso che morire di fame dopo, e non festeggiare la Messa di Cristo. Anche mastro Faversham era d'accordo!» Ash studiò il robusto Inglese barbuto per un attimo. «Ben fatto!» Gli strinse le mani. «Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di qualcosa che ci distragga dal letamaio in cui ci siamo infilati!» Si girò e incontrò lo sguardo nascosto sotto il cappuccio di Fernando del
Guiz che stava fissando i soldati con una strana espressione sul viso. Non è disprezzo, pensò Ash. Compassione? No, non è da Fernando. «Stiamo per tenere un consiglio, i Burgundi arriveranno a minuti. Scenderò per la messa. Puoi mandarmi Roberto, Henri? E Angeli. Sono al piano superiore.» L'ultimo piano della torre era stato decorato per la festa. L'edera spiccava contro il colore ocra delle pareti e sulle arcate. Una candela verde profumava la stanza. Rickard, che stava controllando i paggi, la sentì entrare e si girò visibilmente orgoglioso per gli addobbi, per il fuoco nel camino e per il cibo che stava facendo cuocere. La vista di Fernando del Guiz lo gelò. «La duchessa userà questa stanza per parlare con suo fratello» spiegò Ash in tono formale. «Stiamo aspettando de la Marche, Rickard, puoi far mettere dei ragazzi alla porta e far uscire i bambini?» «Capo.» Rickard guardò due volte gli abiti sotto il mantello di Fernando del Guiz, quindi lo superò fissandolo in cagnesco, posando una mano sulla spada. Ash notò che il suo paggio ormai era quasi alto quanto l'ex marito. Non era più un ragazzino. Ormai era uno scudiero, un adulto e tutto nel corso degli ultimi sei mesi. Floria scosse la testa, non disse nulla, si avvicinò al camino e allungò le mani verso il fuoco. Ash era di nuovo vestita da uomo. Fernando del Guiz abbassò il cappuccio e fissò interdetto la duchessa. «Sei una duchessa molto strana, sorella.» «Davvero? E tu non pensi di essere un prete altrettanto strano?» «Perché ti hanno scelto per venire qua?» indagò Ash, brusca. «Perché i preti sono sacri? A de la Marche piacerebbe impiccare un traditore alle mura... farebbe felice più di una persona!» «Non avevo scelta» rispose Fernando, rivolgendosi però a Floria. «Sono arrivato qua con l'abate Muthari da Cartagine. Il califfo-re mi ha fatto trascinare a corte appena ha saputo chi era la duchessa di Borgogna. Mi hanno interrogato... ma non c'era molto che potessi dire loro sul tuo conto, vero Floria?» «No» ammise Floria, girandosi per guardare il fuoco. «Ricordo di averti visto solo una volta, quando avevo dieci anni. L'unica volta che ho visitato i possedimenti tedeschi di papà. Tu eri nato proprio quell'anno.» «Mamma era solita chiedere a zia Jeanne se eri ancora viva, dopodiché cominciavano a sussurrare tra loro.» Ash pensò che tutto sommato l'ex marito avesse un'espressione rilassata,
come se fosse veramente in pace con se stesso. «Pensavo che fossi scappata con un uomo» aggiunse Fernando. «Non sapevo che fossi scappata per essere un uomo!» «Sono 'scappata' per diventare un dottore!» sbottò Floria. «E adesso sei la duchessa di Borgogna.» Si girò a guardare Ash. «Quando si è saputo che eri diventata il comandante in capo dell'esercito burgundo allora io sono diventato doppiamente utile.» «Quello deve essere stato uno scambio piacevole» sbottò Ash. «Ho potuto dire loro che mi hai sposato, ma non ti fidi di me. Ho aggiunto che eri un bravo soldato, mentre io non lo sono, ma di questo se ne erano già accorti.» L'espressione contrita di Fernando la confondeva e Ash distolse lo sguardo. Sentiva l'impulso di dargli da bere e da mangiare. L'impulso di toccargli la peluria bionda sulle guance. «No, non lo sei» disse in tono deliberatamente brutale. «Le teste di tela ti permettono ancora di tenere Guizburg?» «I preti non hanno terre. Ho perso quasi tutto quello che avevo. Sono ancora utile in virtù del fatto che sono il fratello di Floria. Mentre sono ancora utile, posso parlare e dire che questa è una guerra senza speranza per entrambe le parti...» «Cristo sull'Albero, ho bisogno di bere!» Ash cominciò a passeggiare su e giù battendo le mani per riattivare la circolazione. «E dove cavolo è finito de la Marche? Così la facciamo finita con questa stronzata dell'inviato!» Non c'erano paggi a servire il pasto. Tutti i ragazzini erano al piano di sotto e a giudicare dalle risate e dalle grida che echeggiavano contro le pareti della scala a chiocciola si stavano divertendo. Il vento freddo penetrava dagli spifferi delle finestre. La tensione costringeva Ash a continuare a camminare. Floria si accucciò di fronte al camino con il mantello aperto per intrappolare il calore. Un trucco che aveva imparato nel corso della mezza dozzina d'inverni passato all'aperto con la compagnia. Fernando del Guiz rimase in piedi a braccia conserte osservando entrambe le donne con un sorrisetto sulle labbra. Ash si avvicinò alle scale. «Rickard!» urlò. Questa volta passò più tempo del solito prima che il ragazzo rispondesse, ansimando: «Sì, capo?» «Dove cacchio sono de la Marche, Oxford e i civili?» «Non lo so, capo. Non è arrivato nessun messaggero!» «Cosa state facendo?»
Un volto arrossato apparve in fondo alle scale. «Stiamo per iniziare la pantomima e ci sono anch'io, capo! Vieni giù.» «Nessun messaggio da parte di Oxford?» «Il capitano Anselm ha appena mandato un altro uomo a palazzo per vedere qual è la situazione.» «Cosa stanno facendo?» Ash diede un'occhiata alle spalle. «Là sotto fa molto più caldo di qua, giusto? E c'è da mangiare. Va bene aspetteremo i signori di Borgogna e Inghilterra al piano di sotto! E trovami da bere prima che cominci a blaterare in giro.» «Sì capo!» Appena entrò nella sala al piano inferiore udì una cascata di rumori. In un primo momento pensò che fosse qualcosa che aveva a che fare con lei o con Fernando del Guiz, poi si rese conto che era un inno natalizio intonato da duecento voci maschili ubriache: «La testa del cinghiale in mano tengo io Guarnita di allegre ghirlande e rosmarino, Vi prego di cantare tutti insieme e allegramente, Qui estis in convivio. Capur apri defero, Reddens laudes domino.» Floria prese posto a fianco di Ash, mentre gli uomini salutavano il loro comandante. Ash fece loro segno di tornare a cantare. «Potremmo fare qualcosa con un testa di cinghiale...» mormorò Floria. «Però non credo che abbiamo il rosmarino per cucinarla!» Ash sentì qualcuno che le metteva in mano una ciotola di legno con il cucchiaio e urlò un ringraziamento a uno dei paggi. In quel momento si rese conto che si era appoggiata a) muro ed era spalla a spalla con Fernando del Guiz. Le sarebbe bastato alzare la testa per guardarlo negli occhi. Mi ero dimenticata di quanto fosse alto e giovane, pensò. Non c'erano tavoli con i vassoi. Alcune donne cucinavano e altre servivano i diversi gruppi. Ash ingoiò una cucchiaiata di zuppa, contagiata dall'atmosfera conviviale della festa. L'inno volgeva al termine. «I mimi!» urlò qualcuno. «Fate entrare i mimi!» L'ovazione fece tremare il soffitto. Fernando del Guiz studiava indeciso il contenuto della scodella, quindi cominciò a mangiare esitante. Per gli altri era solo un prete anonimo che
non attirava l'attenzione. Ash si concentrò sugli uomini che si stavano facendo strada verso il centro della stanza. John Burren e Adriaen Campin si fermarono sotto il paio di vecchi pantaloni verdi che pendevano da una trave in sostituzione dell'agrifoglio e fecero finta di baciarsi. Ash ascoltò, fredda, le ovazioni e i miagolii ai quali, però, non prendevano parte tutti gli uomini. Lanciò un'occhiata alle guardie alla porta. Niente messaggeri. Cosa li sta trattenendo? Fernando masticò un pezzo di cartilagine e lo ingoiò. Accanto a Ash, Floria stava parlando in tono entusiastico con Baldina. I soldati intorno a loro stavano osservando il centro della sala. Ci fu un certo sollievo sul volto del giovane quando si girò. «Possiamo parlare in privato?» «Se ti porto in un angolo tutti si gireranno a guardare. Parliamo qua.» Ash si accorse con sorpresa che aveva parlato senza malizia. Fernando prese una seconda cucchiaiata di minestra, aggrottò la fronte, rimise il cucchiaio dentro la scodella, batté sulla spalla di un uomo e gliela passò. Quando tornò a guardare Ash il volto all'ombra del cappuccio era teso e incerto. «Sono venuto per fare pace con te.» Ash lo fissò per un lungo momento. «Non mi sono neanche preoccupata di scoprire se eri ancora vivo o morto dopo il terremoto a Cartagine. Suppongo che per me fosse più facile pensare che avevo cose più importanti di cui preoccuparmi.» Fernando la studiò per un attimo. «Forse.» Ash stava per sindacare su quel punto quando fu interrotta da un'ovazione. La processione dei mimi si stava facendo strada tra la folla per raggiungere il centro della sala. Il battito ritmico delle mani fece tremare le pareti insieme alle urla inebriate. «Cos'è?» chiese Fernando urlando per farsi sentire. I due massicci soldati che si trovavano di fronte a lui si girarono e lo zittirono con un verso. «Sono i mimi» spiegò Ash. La testa della processione raggiunse lo spazio libero nel centro della sala. Ash si rese conto che si trattava di Adriaen Campin. Il robusto Fiammingo era avvolto in una pelle di cavallo e portava le briglie sulla tesa. Le caviglie erano decorate da pezzi di straccio che dovevano fungere da fiocchi. Campin lasciò cadere la pelle portò le mani ai fianchi e abbaiò:
«Sono il cavallino da san Giorgio montato Entrati siamo per ripararci dal fottuto freddo. Fateci spazio per la nostra storia poter inscenare, Poi, Grazie a Dio, via potremo andare!» Ash nascose il volto con le mani, mentre i soldati esultavano e il cavallino cominciava a danzare. Floria stava piagnucolando. Fernando rideva e lei sentì il braccio dell'ex marito premuto contro il suo corpo. «Non ero abituato a vedere i mimi alla Messa di Cristo» disse. «A Guizburg li abbiamo sempre fatti all'Epifania... devo pensare che non credi che la città reggerà fino alla Dodicesima Notte?» «È quello che dirai a Gelimero?» Un sorriso da ragazzino apparve sulle labbra di Fernando. «Gelimero odierebbe tutto questo. Il califfo-re spera che vi tagliate la gola a vicenda e non che vi divertiate.» Ash distolse lo sguardo da Campin che imitava un cavallo scalciante credendo che uno o due degli uomini intorno a lei avessero sentito il nome del califfo-re e scosse la testa in direzione di Fernando come per avvertirlo di stare più attento. Il calore della stanza fece giungere l'odore del suo corpo: sudore maschile e un odore particolare, tipico di lui. Ash udì una serie di commenti osceni e brutali si girò e vide che alcuni dei soldati avevano riconosciuto il religioso come la persona che per breve tempo era stato il loro signore feudale. I commenti si allontanarono e lei non sentì più nulla. Perché ho riguardo dei suoi sentimenti? si chiese. «Me lo devi dire, Fernando!» disse, cedendo all'impulso. «Come ti è venuto in mente di diventare prete!» Fernando per tutta risposta allungò un braccio, tirò leggermente in su la manica scoprendo un taglio piuttosto recente che ormai stava guarendo. «Me lo sono fatto trascinando fuori l'abate Muthari durante il crollo del palazzo» spiegò. «Io l'avrei lasciato là dentro!» «Stavo cercando un patrono» le fece notare Fernando, cupo. «Avevo appena parlato in tua difesa, ricordi? Nel palazzo. Sapevo che Gelimero mi avrebbe scaricato più velocemente di quanto un cane possa cagare. Avrei trascinato chiunque vestito bene e ingioiellato fuori da quel casino... ed è capitato l'abate Muthari.» «Ed è stato così stupido da lasciarti prendere i voti?»
«Tu non sai cos'era Cartagine in quei giorni.» Del Guiz aggrottò la fronte e l'espressione divenne distante. «In un primo momento tutti pensarono che il califfo-re fosse morto e che l'impero si stesse per sfasciare in diverse fazioni... poi giunse notizia che era ancora vivo e che si era trattato di un miracolo. Subito dopo sono apparse le luci spettrali nel deserto proprio sopra le tombe fin dove abbiamo cavalcato. In principio tutti pensarono che si trattasse di una maledizione...» Ash non disse nulla perché lo vedeva molto concentrato nel flusso dei ricordi. «Io continuo a pensare che lo sia» affermò Fernando, dopo un secondo di riflessione. «Io ero con il gruppo che è andato a riprendere lord Leofric. Là fuori c'erano capre, agnelli e schiavi che erano... morti. Erano rimasti parzialmente fusi con le tombe... metà dentro e metà fuori. E la luce... le tende luminose nel cielo... Adesso le chiamano il Fuoco Benedetto di Dio.» 241 Ash aveva visto le piramidi dalle pareti dipinte avvolte nel silenzio imposto dalle Macchine Impazzite. Il ricordo le fece rizzare i capelli sulla nuca. Fernando afferrò il pendaglio della collana. «Io li chiamo djinn.» «Non sono né djinn né demoni. Sono le Macchine Impazzite.» Indicò il cielo oltre l'arco di pietra sotto il quale si apriva la finestra. «Stanno risucchiando la luce dal mondo. Non hai idea di cosa significa trovarsi al loro cospetto.» «Non ci voglio pensare» disse Fernando, scrollando le spalle. Non si capì se Adriaen Campin aveva finito la sua danza o se il cavallino era caduto, ma una mezza dozzina di uomini lo trascinarono fuori. Baldina e diverse altre donne cosparsero il pavimento di segatura. Henri Brant entrò nello spazio vuoto. Indossava un abito lungo di velluto che prima di diventare nero a causa delle macchie di grasso era stato rosso. La testa era incoronata da un cerchio metallico con le punte rivolte verso il soffitto e qualcuno aveva trasformato i finimenti di un cavallo in una collana. Anselm ha fatto bene, pensò Ash cercando di individuare il suo secondo in comando. Ne avevamo bisogno. Henri Brant alzò le mani per ottenere il silenzio e, con voce autoritaria, 241
Questa descrizione è molto simile ai fenomeni che si sono verificati durante gli esperimenti con campi magnetici molto forti che si dice abbiano eseguito i militari. Le 'tende di luce' forse sono formate da particelle caricate come succede durante l'aurora boreale.
declamò: «Il vero re d'Inghilterra sono io E coraggioso appaio Vado cercando il figlio che tanto temo... Il principe Giorgio è qua?» «Sei un re dei Lancaster o degli York?» urlò uno degli arcieri inglesi. Henri Brant indicò il mimo che impersonava san Giorgio. «Cosa ne dite!» «È Anselm!» esclamò Floria rizzandosi sulle punte dei piedi per vedere meglio, dopodiché, allegra, si girò verso Ash. «È Roberto!» «Allora credo che sarà un re lancaster.» Ci fu un gran baccano tra gli uomini della compagnia che non venivano dall'Inghilterra, ma che erano ben contenti di incitare gli interessati. Ash rise, contenta di vedere che si stavano divertendo e per l'espressione concentrata sul volto di Fernando. «Quasi mi aspettavo che mi chiedessi di firmare un contratto con il califfo» gli disse. «No. Non sono così stupido.» Dopo un secondo Fernando del Guiz le toccò il braccio e indicò i mimi con il volto illuminato dal puro divertimento. Ash sentì una stretta allo stomaco. Era colpita dalla grazia di quell'uomo, dalle sue spalle e dal pensiero che, se non ci fosse stata la guerra a disturbarlo, Fernando molto probabilmente avrebbe continuato a vincere tornei e scommesse. Presto o tardi si sarebbe sposato con un'ereditiera bavarese che gli avrebbe dato dei figli e lui non avrebbe mai sentito il bisogno di entrare più di tanto in profondità dentro se stesso; di certo non sarebbe mai arrivato al punto di prendere i voti. «Cosa vuoi da me?» gli chiese. Un'ovazione seppellì la risposta. Ash alzò gli occhi e vide Robert Anselm che, lancia alla mano, entrava in scena. «Mio Dio. Non vedrai mai più un'armatura simile!» urlò Floria. Il fratello rimase a bocca aperta. «Dio volendo, no!» Diversi pezzi d'armatura erano stati legati uno sopra l'altro sulle spalle di Robert Anselm. Sembrava impossibile che l'uomo potesse sostenere tutto quel peso. Le protezioni delle gambe erano quelle della sua corazza, ma il piastrone era stato ovviamente disegnato per un uomo molto più robusto. Ash sospettò che Roberto lo avesse chiesto in prestito a uno degli ufficiali
burgundi. Il piastrone rifletteva la luce nei punti in cui non era coperto da una vecchia divisa marrone con sopra impresso un muggine bianco. Sulla lancia spiccava una bandiera ricavata da una camicia bianca da donna ricamata con una rosa. Anselm alzò la ventaglia dell'elmo mostrando il volto sorridente, batté la lancia per terra e alzò il braccio libero. «Io sono il principe Giorgio, un cavaliere valente do il mio sangue al servizio dell'Inghilterra!» Agitò un pugno in aria mimando chi attendeva un'ovazione e quando giunse portò una mano a coppa all'altezza dell'orecchio e disse: «Non vi sento! Più forte!» Le urla echeggiarono contro le mura della torre e Ash ne sentì il riverbero nella cassa toracica e nelle orecchie. Anselm continuò: «Non c'è cavaliere più coraggioso di me... E calci nel culo prenderete se d'accordo non sarete!» Fernando del Guiz emise una sorta di grugnito. «Non ricordavo che i mimi si facessero così alla corte di Federico!» «Devi stare con i mercenari per capire cos'è la vera classe...» C'era qualcosa che lo faceva ancora sembrare un ragazzino quando si mise a ridere, ma scomparve appena finì. Ash notò una serie di rughe sul viso di Fernando che non aveva visto l'ultima volta che si erano incontrati a Cartagine. Tre mesi, pensò Ash. Il sole era nella Vergine e adesso è nel Capricorno. Così poco tempo. Lo vide irrigidirsi quando un coro di urla esultanti accolsero un nuovo mimo. Euen Huw entrò nello spazio libero barcollando. Indossava un usbergo di maglia metallica coperto da una camicia da donna consunta. Il lembi sventolavano intorno alle ginocchia. I soldati esultarono, una delle donne, che Ash credette di riconoscere in Bianche, emise un fischio acuto. Ash aggrottò la fronte, incapace di smettere di ridere. Fu solo quando il Gallese mise un elmo visigoto sulla testa, sussultando per i punti ancora freschi, che lei riconobbe la parodia del personaggio. Euen Huw mimò di muoversi con circospezione stringendo una lancia cartaginese e declamò:
«Sono il campione saraceno, vedete, Giunto da Cartagine alla Borgogna. Ucciderò il principe Giorgio e quando sarà andato. Ucciderò anche voi uno per uno.» «Ci impiegherai un bel po' di tempo!» urlò qualcuno. «Posso riuscirci» protestò il Gallese. «Guardatemi.» «È più probabile che ti guardiamo scopare una pecora!» «Ti ho sentito, Burren!» Ash non fissò Fernando. Floria dei Guiz rideva di gusto e cominciò a singhiozzare. Ash strinse le braccia intorno al piastrone cercando di sembrare autoritaria e indifferente. «Devi scusarli se sono così rozzi» gli disse, sforzandosi di rimanere seria. Euen Huw prese una coppa dalle mani di uno spettatore, bevve, quindi si girò ad affrontare Robert Anselm. «Io ti sfido, principe Giorgio, il coraggioso Io dico che sei solo un furfante matricolato. Posso mantenere ogni singola parola Perché hai una spada di legno!» «Inoltre sei uno stronzo d'Inglese» aggiunse il comandante di lancia. Robert Anselm mostrò a tutti la lancia e si mise in posa. «Grazie alla mia mano e a questa spada A morte prematura ti spedirò...» «Evviva» esclamò Floria. Antonio Angelotti apparve al suo fianco e mormorò. «Sono stata io a suggerirglielo. La terza rima...» Ash vide l'artigliere italiano che prendeva Floria sottobraccio come avrebbe fatto con qualsiasi uomo o con il chirurgo della compagnia, ma non con la duchessa di Borgogna e sorrise. Quando si girò vide un'espressione malinconica sul volto di Fernando. Anselm puntò la lancia contro il petto di Euen Huw, che arretrò automaticamente di un passo, e proclamò:
«Ti mando al cospetto di Dio nell'alto dei cieli Così preparati a morire o a volare!» Ash vide le lance che venivano gettate via e i due uomini estrarre le spade d'addestramento in osso di balena. Le urla e le ovazioni aumentarono d'intensità mentre il combattimento iniziava e metà degli arcieri inglesi incitavano san Giorgio battendo i piedi sul pavimento di pietra. «Guarda» Ash indicò con un dito. «Non ce la fanno proprio a resistere.» Nel centro della sala Robert Anselm ed Euen Huw avevano smesso la pantomima e adesso si muovevano come se si dovessero affrontare veramente. Nel momento stesso in cui Ash aveva parlato, Anselm era scattato con un affondo che il Gallese aveva scansato con una parata circolare per poi partire a sua volta con un affondo bloccato prontamente da Anselm... «Doveva essere un combattimento vero altrimenti non erano contenti.» Floria sospirò e sorrise. Le urla dei presenti diventarono ancora più forti nel vedere l'inizio della gara d'abilità. «Suppongo che prima o poi torneranno alla pantomima... Avanti, Euen! Fagli vedere come ti ho ricucito bene!» «C'è pace tra di noi, Ash?» le domandò Fernando sfruttando la copertura dei rumori del duello. Ash fissò il volto sotto il cappuccio. Adesso lo riconosco, pensò. Ha paura. «È passato molto tempo da Neuss» disse lei. «Sposati, separati, perdita dei beni e annullamento. E siamo molto lontani da Cartagine. Perché hai parlato in mio favore durante l'incoronazione?» «Tu pensavi che io ricordassi il tuo viso, ma non era così» mormorò Fernando del Guiz. «Ti ho dimenticata per sette anni. Non mi è passato minimamente per la testa che la donna in armatura che avevo incontrato a Neuss fosse la stessa persona che avevo visto... a Genova.» «Che cos'è questa? Una risposta? Sono delle scuse?» I raggi trasversali del sole illuminavano la stanza gettando una luce argentea sulla folla e si riflettevano su Robert Anselm e Euen Huw che continuavano a duellare. Le grida della folla facevano tremare l'edera appesa alle travi. Il freddo cominciava a penetrarle nelle ossa e Ash si guardò le mani bianche. «Sono delle scuse?» ripeté. «Sì.» Nel centro della sala, Robert Anselm si mosse rapido e deciso come un
uomo che taglia la legna e fece arretrare Euen Huw eseguendo una serie di colpi perfetti. L'osso di balena toccò il metallo del piastrone e gli arcieri inglesi esultarono. «Perché sei venuto qua, Fernando?» «Ci deve essere una tregua e poi la pace.» Fernando del Guiz prima si fissò le mani vuote poi tornò a fissarla. «Stanno morendo troppe persone, Ash. Digione sta per essere spazzata via e lo stesso vale per te.» Ash era lacerata da due sentimenti contrastanti. È così giovane! pensò. Però ha ragione. La logica militare non è molto diversa per me come per gli altri. A meno che Gelimero non sia più spaventato dai Turchi di quello che penso, l'assedio finirà molto presto in un massacro. «Cristo su una pietra!» esclamo Fernando. «Vuoi arrenderti per una volta nella tua vita? Gelimero mi ha promesso che ti terrà in vita e lontana dalle mani di Leofric. Ti sbatterà in prigione per qualche anno.» Aveva alzato la voce e Ash si rese conto che Floria e Angelotti li stavano fissando. «E questo dovrebbe colpirmi in qualche modo?» disse. Robert Anselm fece una finta, quindi disarmò Euen Huw. «San Giorgio!» gridarono i presenti. Disarmato il cavaliere saraceno guardò oltre la spalla di Robert Anselm e gridò: «Dietro di te!» Anselm si guardò poco saggiamente alle spalle e il Gallese gli diede un calcio in mezzo alle gambe. «Cristo!» si lamentò Fernando. Euen Huw si spostò lasciando cadere Anselm in avanti, gli prese la spada e gliela calò sull'elmo. «Sei mio, bastardo di un Inglese» si raddrizzò rosso in volto. Ash si morse un labbro, vide Robert Anselm che si dimenava drammaticamente sul pavimento. Tutto a posto, pensò, il colorito del volto è normale. Euen Huw gli diede un altro calcio all'interno della coscia. Era ovvio che i due avessero pianificato tutto. Ash cominciò ad applaudire imitata da Fernando e dalla sorella. Angelotti rideva con le lacrime agli occhi. «Rovinato!» urlò Henri Brant, correndo verso il corpo sdraiato a terra in uno sbattere di regali vestiti e con la corona sghemba sulla testa. «Rovinato!» «Non c'è un dottore per salvare mio figlio, e curare la ferita mortale del principe Giorgio?»
Un brusio carico d'aspettativa si levò dalla folla. Ash lasciò vagare lo sguardo e vide che nessuno stava mangiando, bevendo o incitando i mimi. Non guardò Fernando. La pausa si allungò. Nel gruppo dei mimi vicino al camino era scoppiato un piccolo alterco. «No...» Rickard si allontanò dal gruppo dei mimi. Indossava un abito lungo di qualche misura più grossa e portava a tracolla una borsa piena di strumenti. Era lui quello che avrebbe dovuto recitare il ruolo del dottore. Il ragazzo si diresse verso Ash e gli uomini lo lasciarono passare. Una volta raggiunta salutò sia lei che la duchessa con un inchino. «Non sono tanto istruito per fare la parte del Nobile Dottore» balbettò «ma in questo luogo c'è qualcuno che può farlo. Messere Florian, per favore!» «Cosa?» Florian sembrava stupita. «Recita il ruolo del Nobile Dottore nella pantomima!» ripeté Rickard. «Per favore.» «Fallo!» la incitò qualcuno. «Dai, dottore!» gridarono John Burren e gli arcieri al suo fianco. Robert Anselm che continuava a recitare la parte del morto, alzò la testa. «Il principe Giorgio sta morendo! È meglio che qualche bastardo cominci a fare il dottore.» «Sarà meglio che tu vada, messere Florian» le consigliò Angelotti, raggiante. «Non conosco i versi!» «Li conosci» la smentì Ash, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. «Che faccia! Tutti conoscono i versi della Pantomima, Florian. Devi averla già fatta in qualche Dodicesima Notte. Vai! È il capo che lo ordina.» «Certo, signor, capo» rispose torva Floria del Guiz. La nobildonna esitò, poi sbottonò rapidamente l'abito che indossava, quindi, aiutata da un paggio, cominciò a infilare l'abito da dottore e lo fece scendere scuotendo le spalle. «Questa me la paghi, Ash» le borbottò e si avviò verso il centro della sala a grandi passi. Rickard le passò la borsa degli strumenti, lei la prese, raggiunse il punto dove giaceva Robert Anselm, gli mise un piede sul petto e appoggiò un gomito al ginocchio. «Oof.» «Io sono il Dottore...»
«'Fanculo» imprecò Floria. «Aspettate: fatemi pensare.» «Mio Dio, è uguale a papà!» Fernando guardò la sorellastra, poi tornò a fissare Ash. «Uguale identica al vecchio bastardo. Gli sarebbe piaciuto sapere che aveva avuto due figli maschi.» «Va a fare in culo anche tu, Fernando» gli consigliò Ash, in tono amabile. «Lo sai che farò di tutto per mantenerla in vita, vero? Puoi dirlo a Gelimero.» Nel centro della sala, Floria spostò una delle falde dell'armatura di Anselm con un paio di pinze, quindi le posò delicatamente sullo scroto dell'Inglese. «Quest'uomo è morto!» «Lo è da anni!» urlò Baldina. «Morto come la borchia di una porta» ripeté la duchessa. «Oh merda... zitti, zitti... non ditemi nulla... faccio tutto in un minuto...» Ash prese Fernando per un braccio e lui le si avvicinò posandole una mano sulla sua. Il suo calore si aggiunge ad altro calore e gli strinse il braccio. Nella sala, Floria spostò il piede dal petto al pene di Anselm. Ovazioni, miagolii e urla di simpatia fecero tremare la torre. «Il dottore son io e tutte le malattie curo, La sifilide e le zecche e i raffreddori. Vi saldo le ossa Vi cucio la testa, Posso far rivivere anche un morto.» «Puoi scommetterci!» urlò Willem Verhaecht, ammirato. Floria posò le pinze sulle spalle. «Non so perché ti preoccupi, Willem, le tue sono cadute anni fa!» «Dannazione, sapevo di aver lasciato qualcosa a Gand!» Ash sorrise e scosse la testa. Vicino al camino il calderone e le pentole erano già state pulite. Le donne stavano finendo di asciugarsi le mani sui grembiuli e applaudivano sudate. Non eravamo neanche a metà razione e Robert Anselm è stato indulgente perché era un giorno speciale, pensò Ash. Siamo nella merda. «Gelimero vuole farti un'offerta» esordì Fernando. «Non gli credo, ma mi ha detto di dirti che se Digione si arrende lascerà andare i civili, però sarà costretto a impiccare la guarnigione e per quanto riguarda mia sorel-
la... il califfo-re prenderà la duchessa di Borgogna come moglie.» «Tu, cosa?» «Christus!» imprecò Antonio Angelotti, intromettendosi. «È tutto chiaro, Madonna. I rappresentanti delle gilde e i mercanti faranno immediatamente pressione su di noi affinché ci arrendiamo. Siamo già alle strette con quelli.» «Come moglie?» ripeté Ash. «È un suo errore.» Fernando sembrava leggermente arrabbiato con l'artigliere italiano. «Gli uomini di Federico» continuò rivolgendosi ad Ash «stanno dicendo che Gelimero è debole altrimenti non sarebbe venuto fin quassù. Dall'offerta non ricaverà altro che una 'scrollata di spalla' è questo che mi hanno detto di dire.» «Oh, questa non vedo l'ora di raccontarla a de la Marche.» Ash tornò a fissare la porta. Nessuno tranne le guardie che stavano osservando il chirurgo e san Giorgio. Floria declamò: «Per mio diritto e comando il morto san Giorgio ora in piedi si leverà. Per mio capriccio e vostro vantaggio Rivivere lo farò Ora di fronte ai miei occhi Solleva la testa: alzati, alzati!» Robert Anselm scattò in piedi e fece un profondo inchino facendo raschiare un pezzo dell'armatura contro il pavimento. Euen Huw, Henri Brant e Adriaen Campin corsero nel centro della sala; il cavaliere saraceno, il re e il cavallino si presero per mano. Floria prese la mano di Anselm e quella di Euen Huw, quindi chiamò Rickard. Ash la vide chinarsi e sussurrargli qualcosa all'orecchio. Rickard annuì e gridò: «Il principe Giorgio vive ancora Questa è la Dodicesima Notte di Natale Pagateci il dovuto E vi augureremo la buonanotte!» Gli applausi furono accompagnati da una pioggia di monetine e i mimi
fecero un inchino. Gli uomini della compagnia si strinsero intorno agli attori per battere loro pacche sulle spalle. Qualcuno aveva tirato giù l'edera e l'aveva avvolta intorno al dottore, al luogotenente, al comandante di lancia e al paggio. Ash fissò Floria in viso e si sentì improvvisamente privata di qualcosa. Anche se riusciremo a cavarcela, tutto sarà diverso. Qualcuno esultò: Floria era stata sollevata da Euen Huw e Robert Anselm. Ash attese prima di andare a congratularsi, fissò Fernando e vide che era più nervoso rispetto ad alcuni minuti prima. «Un prete...» Scosse la testa e sulle labbra le apparve un sorriso meno caustico di quello che si sarebbe aspettata. «Non hai ancora fatto qualche miracolo?» «No, ho solo preso i primi voti, quelli di celibato: non saprò se potrò fare quel genere di cose finché la grazia non si sarà manifestata in me.» Ci fu una pausa infinitesimale. «Ash...» aggiunse «è un tipo di religione diversa. Non c'è bisogno di essere celibi per ricevere la grazia. Quando raggiungi i livelli più alti della gerarchia puoi sposarti. Muthari l'ha fatto. Ho visto sua moglie: è Nubiana.» «Sono contenta per lui» commentò Ash, ironica. Notò con sorpresa di avere la bocca secca e che una sorta d'apprensione le aveva gelato lo stomaco. «Cosa stai cercando di dirmi, Fernando?» Un angolo della bocca del suo ex marito si incurvò in un sorriso. Ash si rese conto che lo stava trattenendo; c'era qualcosa che lo teneva lontano dall'idea di essere in una città assediata. Non si preoccupava dei bombardamenti, delle tregue rotte e di tutte quelle altre cose che avevano schiacciato Ash nel corso degli ultimi tre mesi. «C'è qualcosa che ti devo dire» confessò. «Davvero?» Rimase in silenzio per diversi secondi. Ash lo fissò in volto. Voleva toccargli le labbra, il viso, non solo per l'eccitazione che le dava quell'idea, ma anche per una sorta di tenerezza. «Avanti» lo incitò. «Va bene. Non mi sarei mai aspettato...» Guardò la sala colma di uomini allegri poi tornò a fissarla. Era come circondato da un'aura di energia repressa. «Non mi sarei mai aspettato di innamorarmi» disse in tono grave e con la voce incrinata di un ragazzino. «O comunque pensavo che mi sarei in-
namorato della figlia di qualche nobile che mia madre avrebbe scelto per me a causa della dote, o della moglie di qualche conte, forse... Non mi sarei mai aspettato di innamorarmi di una donna soldato, Ash... qualcuno che ha gli occhi castani e i capelli argentei e al posto della gonna porta l'armatura...» Ash sentì il fiato che si mozzava in gola e un dolore al petto. Il volto di Fernando era trasfigurato e non lasciava dubbi riguardo la genuinità dei suoi sentimenti. «Io...» Ash non riuscì a continuare. «Non riavrò indietro le mie terre. Sarò solo un prete che dovrà tirare avanti sulla carità. Anche se poi potrò sposarmi... Lei non mi guarderà mai, vero? Una donna così?» «Potrebbe anche farlo.» Ash lo fissò negli occhi. Sentiva le mani che sudavano e formicolavano. Ebbe l'impressione che i muscoli si afflosciassero. Perché non ho capito subito che voleva arrivare a questo punto? fu l'unica cosa che riuscì a pensare. «Potrebbe anche farlo» ripeté. Non osava prendergli la mano. «Non so cosa dire, Fernando. Non volevi sposarmi, ma sei stato costretto a farlo. Io volevo averti, ma allo stesso tempo ti rifiutavo. Non so, sei tornato con questo...» indicò l'abito da prete «... posso rispettare la tua decisione, anche se continuo a pensare che non convinci nessuno.» Posso rispettare la tua decisione, pensò sentendo il corpo pervaso da una sensazione di leggerezza. «Fernando ho pensato che fossi diverso nel momento stesso in cui ti ho rivisto. Non lo so. Anche se i preti ariani si possono sposare, io non sono ancora adatta dal punto di vista legale, tuttavia... se ci vuoi riprovare... sì, lo voglio.» L'eccitazione le faceva girare la testa e impiegò diversi secondi prima di capire che Fernando la stava fissando attonito e sconvolto. «Cosa? Cosa?» «Oh, merda!» commentò lui, affranto. «Ho sbagliato tutto, vero?» «Cosa vuoi dire?» Ash lo vide alzare gli occhi al soffitto e sbuffare. «Mio Dio, mi sono spiegato male! Non parlavo di te.» «Cosa vorresti dire con: 'Non parlavo di te?'» «Ho detto: 'occhi castani e i capelli argentei...'» Strinse un pugno e lo batté sul palmo della mano. «Merda, mi dispiace!» «Non parlavi di me, ti riferivi a lei, vero?» chiese Ash, calma.
Fernando annuì. Fu pervasa da una vampata di calore e appoggiò le mani contro la parete per rimanere in piedi. Aveva le guance rosse. L'imbarazzo spazzò via tutto, anche il dolore pungente al petto. Tese i muscoli. Voleva uscire dalla sala e salire le scale... per andare dove? pensò. Per andare sul tetto e buttarmi di sotto? «Oh, Gesù!» esclamò Fernando del Guiz. «Non stavo pensando. Mi riferivo al faris. Volevo dirtelo, Ash non volevo che tu pensassi che...» «No.» «Ash...» «Non farci caso» si infuriò. «Non farci il fottutissimo caso. Merda!» Premette i pugni contro il plesso solare senza neanche rendersene conto. «Oh, merda, Fernando! Che cosa ha quella donna? Non è una delle tue donne ideali! Anche lei è un soldato! Siamo due gocce d'acqua!» Si interruppe ricordando i capelli tagliati e gli sfregi sulla guancia. Non riusciva a fissare Fernando. «Siamo uguali!» «No, non lo siete. Non so quale sia la differenza» borbottò imbarazzato. «Ma c'è.» «Oh, non sai dove sia?» Ash alzò il tono di voce. «Davvero non lo sai. Oh, te lo dico io dove sta la differenza, Fernando. Non è mai stata sfregiata. Non è mai stata povera. È stata adottata da un amir. Non ha dovuto cominciare a prostituirsi all'età di dieci anni! Ecco la differenza. Non è usata, lei!» Lo fissò dritto negli occhi per un lungo minuto. «Avrei potuto amarti» gli disse tranquilla. «Credo di essermene resa conto solo adesso e vorrei che tu non l'avessi mai saputo.» «Mi dispiace, Ash.» «Allora» chiese Ash, recuperando contegno, arroganza e sforzandosi di non scoppiare a piangere «te la sei già scopata?» Fernando del Guiz arrossì. «No?» «Era insieme alla scorta del califfo-re quando è venuto a Digione e mentre tornavamo indietro mi chiese di raccogliere la sua confessione.» Fernando deglutì facendo andare su e giù il pomo d'Adamo. «Voleva sapere come mai non ero più un cavaliere ed ero diventato un prete...» «L'hai scopata?» «No.» L'ex cavaliere sembrò cadere preda della rabbia per un attimo, poi
si calmò e si passò una mano tra i capelli. «Come potrei? Anche se dovessi raggiungere una posizione adeguata all'interno della chiesa che mi permettesse di sposarmi...» «Tu vivi nel fottutissimo mondo dei sogni!» «La amo!» «Ti sei innamorato di un sogno» lo stroncò Ash. «Cosa credi che sia? Una donna che guida gli uomini in battaglia in sella a un cavallo bianco e non uccide nessuno? Pensi che sia tanto buona quanto bella?» «Ash...» «È una di noi, Fernando. È una di quelle che studia i modi per ammazzare le persone. Questo è quello che sono io, che sei stato tu e che è lei. Christus! Possibile che tu riesca a pensare solo con il cazzo!» «Mi dispiace.» Fernando del Guiz allargò le braccia imbarazzato. «Ho sbagliato tutto. Non pensavo che credessi che parlavo di te. Credevo sapessi che io...» Ash lasciò che il silenzio tra loro due si prolungasse. «No! Voglio dire...» Fernando abbassò lo sguardo. «Non riesco a spiegarlo. Ti ho vista le altre volte, ma questa volta era... diverso.» «Ahh... 'fanculo!» Accalorata e infreddolita al tempo stesso per l'umiliazione, Ash lasciò vagare lo sguardo nel vuoto senza notare gli uomini di fronte a lei e il cielo buio oltre la finestra dai bordi sbeccati. Adesso so cosa prova la gente quando dice che vorrebbe essere ingoiata dal terreno, pensò. «Non ha nulla a che fare con te» la rassicurò Fernando, tranquillo, ma autoritario. «Non c'è niente di sbagliato in te. Ti ho odiata... poi ti ho ascoltata... Ash, non sarei mai diventato un prete se non fosse stato per te! L'ho scoperto solo adesso, quando mi sono reso conto di quanto ti ho fatto male. Io la amo. Ti vedo come, non so, mia sorella, forse. O un'amica.» «Fermati all'amica» rispose Ash, ironica e sull'orlo delle lacrime. «Tua sorella vuole toccarmi molto più di te.» Fernando batté le palpebre. «Non farci caso» si schernì Ash. «Dimentica tutta la maledetta storia. Non voglio più sentire niente.» «Va bene.» «Lei lo sa?» chiese Ash dopo un attimo. «No.» «Quindi la stai adorando da lontano, proprio come nelle storie dei trova-
tori.» Fernando arrossì per il sarcasmo. «Forse è così. Non sono bravo in queste cose. Volevo solo scusarmi con te e farti sapere quello che provavo nei confronti del faris. Non volevo farti del male.» «Ci sei riuscito meglio di quando volevi farlo intenzionalmente.» «Lo so. Cosa posso dire?» «Cosa possono dire tutti?» Sospirò. «Se vuoi fare qualcosa, Fernando, fallo, ma non dirmi nulla. Va bene?» «Va bene?» Distolse lo sguardo da lui e guardò i suoi uomini. Una sorta di intontimento allontanò il dolore, la rabbia e l'orgoglio, rimpiazzandoli con il sollievo. Fa troppo male quando ci penso, ma non ne vale la pena, pensò. Dopo un istante le guance si contrassero per lo sforzo di respingere le lacrime. «Non è facile come un tempo» disse. «Cosa?» «Non importa.» Stava per riguadagnare il controllo della voce quando sentì un trambusto alla porta principale. Una ventata d'aria fredda si mischiò al caldo della sala. Sentì il rumore di passi e quello delle armi e alzò una mano per riparare gli occhi dalla luce. John de Vere, suo fratello Dickon, venti Turchi, Olivier de la Marche e alcuni ufficiali burgundi entrarono nella sala. Jonvelle si paralizzò e sbiancò in volto. «Cosa vi avevo detto!» tuonò John de Vere. Ash vide tutti che la fissavano. Il fratello di Oxford aveva gli occhi sgranati e anche i giannizzeri sembravano interessati. Ash portò i pugni ai fianchi. «Qual è il problema? Non mi sono vestita?» chiese, sarcastica. Jonvelle deglutì. «Hé Dieux 242 ! È lei. È il capitano-generale.» Ash fissò il nobile inglese e, autoritaria, chiese: «Qualcuno mi vuole spiegare cosa sta succedendo?» I Burgundi la fissavano come se stessero studiando ogni dettaglio di lei: l'armatura milanese, i capelli sporchi e corti, le orecchie e le macchie di fuliggine sul volto sfregiato ancora leggermente arrossato. «Eravate qua» disse Jonvelle. Ash si girò verso Fernando del Guiz e serrò le braccia sul petto. «Per 242
'Per Dio!'
questo ho mandato un cacchio di messaggero da voi! Va bene... dove avrei dovuto essere?» «Domanda opportuna» concesse John de Vere. «Scusate mastro Jonvelle. Ha visto, come tutti gli altri, che il capitano-generale Ash è qua, ma sembra che un'ora fa il capitano-generale Ash sia tornato dal campo visigoto con una scorta di schiavi e sia entrata a Digione dal cancello nordest... Lei è qua!» Ash fissò il conte inglese. «Sta dannatamente bene, vero?» «L'abbiamo lasciata nelle prigioni dieci minuti fa» la informò John de Vere. «Si tratta di vostra sorella... madame. Il faris. Ha detto che è venuta ad arrendersi a voi.»
Fogli sparsi trovati tra le parti Quindicesima e Sedicesima di Ash: — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#381 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 07,47 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Che cambiamento tornare a scrivere in inglese! Allego un file con un'altra parte della traduzione. Domani faccio una pausa. Le correzioni stamattina. Finalmente ho avuto un po' di tempo per confrontare i due rapporti mandati dal dipartimento di metallurgia sui golem-messaggeri trovati sul sito di terra. È possibile che si tratti di due reperti archeologici 'diversi' che sono stati confusi nel laboratorio. Se si tratta di due rapporti sugli stessi campioni di bronzo, allora si contraddicono a ogni riga, dal materiale di base fino alla radiazione di fondo. I casi sono due: o il dipartimento ha sbagliato una delle due analisi, spiegazione alla quale, ti posso garantire, giunge ogni persona sana di mente, o questi rapporti rivelano 'un processo all'interno dell'artefatto stesso' che si sarebbe verificato tra la prima analisi, fatta a novembre, e l'ultima eseguita due settimane fa. Com'è possibile che un artefatto appaia 'recente' (post 1945) a novembre e 'antico' a dicembre (400, 500 anni)? Anna, se in questo momento è in corso qualche tipo di processo, non importa se ho sbagliato i dettagli e le premesse... allora 'a cos'altro stiamo per assistere?' Ho persuaso Isobel a contattare il colonnello...... e a implorarlo di usare un elicottero militare. Poco fa mi ha annunciato che ha ricevuto l'autorizzazione e un Mil-8, un tempo appartenuto ai russi, mi sta aspettando all'aeroporto di Tunisi poco prima dell'alba. Parto per l'aeroporto tra due ore. Isobel mi farà coadiuvare da uno dei suoi studenti. Il pilota è pronto a sorvolare l'area a sud di Tunisi spingendosi fino alle montagne dell'Atlante. Abbiamo le telecamere. Le ricognizioni aeree giocano un ruolo molto importante nell'archeologia. A quell'ora la luce incide con un angolo molto basso e anche la più
piccola increspatura del terreno crea un'ombra e la forma, il 'piano terra', di un insediamento abbandonato da secoli, salta all'occhio. Una precedente ispezione geofisica della zona alla quale sono interessato non mostra nulla di definitivo, ma io credo che per noi sarà diverso. Fosse solo perché io e Isobel ricorriamo al 'Fraxinus' che ci fornisce un'idea di dove cercare. Se rimane ancora qualcosa - se qualche reperto 'adesso' è là - allora si deve trattare di una parte delle strutture piramidali che nel 'Fraxinus' sono definite Macchine Impazzite. Se è così, voglio che la prova sia catalogata. Per caso o a causa di un disegno premeditato, siamo diventati quello che siamo, ma, dato che, sia nel periodo medievale, sia in altri periodo storici non esiste nessuno 'impero' visigoto descritto come nei testi che sto traducendo, allora non mi rimane altro che concludere... già, concludere cosa? Che entrambe le fazioni del conflitto sono mutate: sono state sradicate? E che questa nostra versione della storia post-frattura contiene ancora qualche rimasuglio, un palinsesto, di ciò che era prima? E ancora, e ancora. Il manoscritto di Sible Hedingham avrebbe potuto giacere, sconosciuto, nel castello di Hedingham come aveva suggerito William Davies. Il golem-messaggero poteva rimanere un artefatto sepolto sotto la sabbia. Ma, 'cosa' ne devo fare di questo sito archeologico sul fondo del mare che contraddice i controlli satellitari e dell'Ammiragliato? Se abbiamo trovato Cartagine, cos'altro potremo trovare nelle aride distese del Sud? Ti farò sapere cosa ho trovato subito dopo il volo in elicottero. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#211 (Pierce Ratcliff) Ash 16/12/00 ore 08,58 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
La state prendendo sul serio laggiù!
Fammi parlare con il dottor Isobel. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#216 (Pierce Ratcliff) Ash 16/12/00 ore 09,45 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Scusa l'impazienza... cosa è successo durante il volo? Sei tornato? Ho appena parlato con Jonathan: sebbene non siano consci dell'importanza della scoperta, la casa cinematografica indipendente vuole cominciare a girare sul sito appena possibile... prima delle vacanze natalizie. Cosa ne dice il dottor Isobel? AVETE TROVATO QUALCOSA NEL DESERTO? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#383 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 10,20 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile Ms Longman —
Spero che non se la prenderà se aggiungerò qualcosa a questa congiuntura. Io penso che non sarebbe consigliabile far iniziare le riprese. Forse, potrete iniziare diciamo... dopo capodanno? Comunque continuo a tenere aggiornata la videoteca della spedizione.
Per favore, chiamami Isobel. I. Napier-Grant —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Cara Isobel,
#218 (ING) Ash 16/12/00 ore 10,32 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Pierce ti ha informata che l'autore della seconda edizione di Ash, Vaughan Davies, è riapparso dopo essere stato dato per morto per sessant'anni? Puoi confermare quello che Pierce mi ha detto riguardo le condizioni del sito sottomarino al largo delle coste tunisine? Tutto questo ha qualche connessione con la tua riluttanza all'impiego di una troupe cinematografica? O, forse Pierce è stressato? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#385 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 11, 30 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Ho dato una rapida lettura ai files che ti ha inviato Pierce e in linea di massima sono perfettamente d'accordo con lui. Questo, forse, servirà a rispondere alla tua ultima domanda. Per quanto mi riguarda... sono stupefatta. Pierce ti ha raccontato che forse, un giorno, io e lui avremmo inviato la teoria Ratcliff-Napier-Grant che
spiega scientificamente i miracoli? Quello su cui stanno ragionando Tami Inoshishi e Jamie Howlett non è molto distante. Se i miei colleghi scienziati esperti in fisica teoretica hanno ragione, allora è la coscienza di massa che sembra 'creare' l'universo. Immagina un processo costante nel quale il fronte delle Probabilità (il caos), sia fatto collassare, attimo dopo attimo, dallo stato in cui tutto 'potrebbe' esistere in uno stato in cui tutto esiste. In breve, un processo nel quale il possibile è costantemente trasformato in realtà. Questo è il tempo: il modo in cui percepiamo l'universo. Tami sostiene, con una fiducia nelle sue asserzioni che ha dell'incredibile, che ciò che fa collassare il fronte in un 'presente' stabile che noi percepiamo come 'momento presente' è la sua percezione, grazie alla coscienza di una specie (la percezione è attiva e non passiva). Stamattina, avevo ancora fresca in mente la traduzione di Pierce, ho detto scherzando a Tami e a James che la capacità di far collassare il fronte di probabilità potrebbe essere genetica. Tami, seria, ha risposto che non è affatto improbabile. Sarebbe uno dei più grandi balzi evolutivi possibili: un universo stabile, nel quale l'effetto segue la causa, nel quale quanto hai fatto ieri ha ottime probabilità di essere valido anche oggi. Secondo Tami non si tratterebbe di una capacità cosciente. Si tratterebbe di un fenomeno che avrebbe luogo a livello subatomico: a un livello istintivo, qualcosa di simile alla fotosintesi per le piante o al battito del cuore per gli esseri umani. Avrei voluto che Pierce fosse sulla nave, ma dovrò attendere finché non sarà tornato per porgli alcune domande. Mi chiedo se è possibile speculare su questo tipo di realtà: prima di diventare intelligente, la razza umana era più flessibile, meno capace di confinarsi in una possibilità, ma di spaziare nel numero infinito di varianti nel quale può esistere l'universo? Per quello che mi riguarda - ed è per questo che sono riluttante a confinare queste scoperte in un libro e in un documentario - io sono seriamente intenzionata ad aprire il sito a una serie di studi interdisciplinari. Far arrivare esperti di ogni campo. Per quello che ne so tutte le forme di vita hanno una capacità limitata di far collassare il fronte delle probabilità in una realtà prevedibile. Le piante, i delfini, gli uccelli: ognuna di queste forme di vita cerca di influenzare favorevolmente l'ambiente. La forma più primitiva di questo agire deve essere la percezione della struttura subatomica della realtà nel momento presente come 'qualcosa' che non è né instabile né causale, ma come un ordine, uno schema e una sequenza. Sono un archeologo, non un fisico e guardo e ascolto Tami e James a
bocca aperta. Prima di partire stamattina, Pierce mi ha detto che quando lì sente parlare gli sembra di sentirli enunciare veramente la teoria RatcliffNapier-Grant che spiega scientificamente i miracoli. Il fatto stesso di dire che potrebbe esistere una capacità genetica che permette di far collassare 'coscientemente' tutti gli stati probabili dell'universo in una singola realtà non è di per sé un 'miracolo'? Teniamo conto, però, che una simile capacità genetica creerebbe alla persona un numero tale di difetti genetici che questa sopravvivrebbe a stento al proprio concepimento e alla nascita. Poi do un'occhiata alla traduzione di Pierce e mi scopro a pensare che ci sono il Rabbi, Ildico, il faris e Gundobad, un profeta visigoto, di cui non c'è traccia perché non è mai esistito, nella nostra storia, almeno. Ho trascorso la maggior parte della mia vita da adulta con la consapevolezza di quanto poco è rimasto del nostro passato e del fatto che ogni scoperta deve essere vagliata e interpretata con molta attenzione. Se tu non fossi a Londra, dove effettivamente ti trovi, ma al largo delle coste nordafricane, con un sito 'impossibile' a un migliaio di metri di profondità sotto i tuoi piedi... allora capiresti come mai non smentisco le speculazioni sulla 'frattura' della storia. Non dico neanche che ci credo fermamente. Poi, è ovvio, ci sono le conseguenze pratiche. Speravo di riuscire a dare pubblicamente l'annuncio delle scoperte dopo Natale, ma credo che dovrò ripensarci. I. Napier-Grant —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Isobel —
#219 (ING) Ash 16/12/00 ore 11,36 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Hai fornito a Pierce un assistente e gli hai procurato un elicottero. Devi pur dargli credito. — Anna
—————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da:
#388 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 03, 15 a.m. Indirizzo precedente cancellati Ngrant@ e password irrecuperabile
Pierce ha mandato un messaggio radio. Trascrizione della parte più importante. I. Napier-Grant 'Non abbiamo il permesso di decollare. È già stato brutto decollare dalla nave. Siamo tornati a Tunisi. Se non riuscirò ad affittare una jeep o a comprare un maledetto cammello, sono pronto a CAMMINARE nel deserto. Il sole al tramonto va bene quanto all'alba.' —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#390 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 06, 15 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Niente. — Pierce ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#221 (Pierce Ratcliff) Ash 16/12/00 ore 06, 36 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Cosa intendi per: NIENTE? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#391 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 07, 59 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Il quotidiano, suppongo. La vita di tutti i giorni. Niente su cui lavorare. Non c'è nulla nel deserto a sud di qua. Isobel ha consumato il suo 'buono acquisto' con il mio uso di un elicottero militare che ha volato - una volta rimossi i divieti - nello spazio aereo tra qua e le montagne dell'Atlante. Forse c'è qualcosa sepolto sotto le aeree residenziali o gli impianti industriali: chi lo sa? Di sicuro non c'erano squadre di archeologi in giro quando sono state costruite quelle aree. Se c'erano dei resti, sono scomparsi: le 'prove' del manoscritto sono solo simboli, i rapporti metallurgici sono da imputare all'errore umano. Cosa ti aspettavi che trovassi, Anna? Una piramide fluorescente? Mi dispiace. Devo confessarlo, avevo sperato di trovare QUALCOSA. Dei resti frastagliati che spuntavano dal terreno all'alba o al tramonto. Non sarebbe stato molto chiedere che un'ombra nel terreno potesse 'tornare' indietro? Solo per farci capire che le 'Macchine Impazzite' non sono quello che possono sembrare a prima vista: un'invenzione letteraria medievale. Un trucco.
La squadra di Isobel sta esaminando i miei filmati, ma, ovviamente, la priorità non spetta al sito terrestre ma a ciò che rimane della 'Cartagine gotica' sott'acqua. Avrai il libro e il documentario, non preoccuparti. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#222 (Pierce Ratcliff) Ash 16/12/00 ore 08, 45 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Al diavolo il libro e il documentario. Cosa mi dici di te? Stai bene? So di aver fatto ben poco, ma ho parlato personalmente con i Davies e anch'io sono implicata in tutto questo. Posso immaginare come vi sentiate tu e il dottor Isobel in questo momento, ma questo, per quello che mi riguarda, non è solo uno dei tanti libri. Se c'è qualcosa che posso fare, lo farò. Sai che dico sul serio. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#392 (Anna Longman) Ash 16/12/00 ore 08, 57 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Lo so. Grazie. Sì, suppongo che sia difficile vedere Tami Inoshishi e James Howlett immersi fino alle ginocchia in questo progetto parlare come mitragliatrici a
tutti i componenti del progetto. Devo confessare che in questo momento nessuno ha molto tempo da dedicare a un semplice storico, suppongo che verrà il mio momento quando dovrò fornire prove testuali. Ma niente di tutto ciò ha molta importanza, a parte un incredibile senso di delusione. Ero così sicuro che avremmo trovato i resti delle 'Macchine Impazzite' o almeno il sito dove sorgevano un tempo. Quando riusciremo a portare in superficie la 'machina rei militaris' per esaminarla, ma suppongo che ci vorranno mesi, se non degli anni, risponderà ad alcune domande, ma, proprio come per il golem di Isobel credo che non ci fornirà nessuna indicazione su come funzionava effettivamente. Eppur si muove, come diceva Galileo anche se in circostanze diverse! Citazioni scolastiche a parte, mi sento molto triste. Ero così sicuro. Vedi, una volta che vengono accettate le premesse di base, niente di tutto ciò diventa irragionevole. La mia prima stesura della 'Postfazione' dice più o meno la stessa cosa. La trovi qua di seguito. Questa era basata sugli elementi del 'Fraxinus' e sulla scoperta del golem messaggero, prima che scoprissi il manoscritto di Sible Hedingham, quindi è ancora da revisionare: POSTFAZIONE alla III edizione: ASH: LA STORIA PERDUTA DELLA BORGOGNA (Estratto:) (III) TEOLOGIA E TECNOLOGIA: LE IMPLICAZIONI DEL 'FRAXINUS ME FECIT' ... la mente medievale che si trova dietro il 'Fraxinus' descrive le varie macchine cartaginesi in termini quasi mitologici e quasi religiosi, per esempio riferisce che 'l'anima' di frate Godfrey Maximillian rimane 'intrappolata nel Golem di Pietra'. Ai nostri giorni beneficiando dei termini e delle allocuzioni derivate dallo studio delle intelligenze artificiali, descriveremmo in maniera più appropriata quel fenomeno in termini di pattern neurali della sua personalità caricati o impressi nella machina rei militaris in un momento di forte trauma fisico o mentale. Si potrebbe pensare che sia stata la vicinanza di Ash, il canale genetico con il Golem di Pietra, al momento della morte di Godfrey Maximillian ad aver creato un legame unico con la machina rei militaris. La stessa similitudine può essere applicata alle 'Macchine Impazzite' che vengono descritte in termini religiosi e spirituali. Tuttavia, è possibile compiere un'altra traduzione, differente da quella romanzata che ho usato
per il libro. Si tratta di una traduzione 'alla lettera', ma con un vocabolario che non poteva esistere nel 1476. Questa è una versione ratificata di quanto Ash aveva 'scaricato a Cartagine': Le Macchine Impazzite non conoscono le loro origini, perché sono perdute nella loro memoria primitiva. Si sospetta che siano stati gli umani che nel costruire alcune strutture religiose, diecimila anni fa misero casualmente le 'rocce in un certo ordine' creando edifici a forma di [piramide] di silice e pietra [silicone]. Strutture [di silicone] abbastanza grandi da assorbire l'energia spirituale [energia elettromagnetica] del sole. Da quell'ordine iniziale e da quella struttura si generò una mente spontanea [divennero forme di vita senzienti]. Le prime scintille di energia [elettromagnetica] cominciarono a organizzarsi [in un network allo stato solido] creando le ferae natura machinae [macchine senzienti a base di silicone]. Cinquemila anni fa, queste menti primitive [protointelligenze] divennero coscienti e da allora cominciarono a evolversi deliberatamente. La Macchine Impazzite manipolarono le energie del mondo spirituale [attinsero dal campo elettromagnetico del sole] al punto da fare in modo che la luce [lo spettro visibile] non fosse più visibile nelle regioni più vicine a loro. A mano a mano che diventavano più strutturate, organizzate e potenti, la loro capacità di estrarre potere dalla fonte più grande e vicina che si trovava nei cieli [estrarre e immagazzinare l'energia solare] divenne sempre più efficiente causando un'espansione dell'oscurità. Così questa [la costa del Nord Africa] divenne una terra di pietra e crepuscolo [energia solare in 'ombra']: grandi monumenti e piramidi sotto un cielo eternamente stellato. [Le macchine intelligenti] sapevano dell'esistenza degli uomini e degli animali: registravano le loro piccole e deboli anime [campi neuroelettrici]. Non furono in grado di stabilire un contatto diretto fino all'arrivo del profeta Gundobad. Dopo la morte del profeta le Macchine Impazzite dovettero attendere che la famiglia Leofric sviluppasse il Golem di Pietra [un computer tattico allo stato solido] prima di avere un canale affidabile con il quale comunicare con l'umanità e non solo tramite i fautori di miracoli [menti umane capaci di far collassare consapevolmente lo status quantico locale]. Si nascosero dietro la voce del [computer tattico] facendo filtrare i loro suggerimenti [nei dati], spingendo, manipolando, gli antenati di Leofric inducendoli a dare inizio al programma di allevamento. Il santo visigoto, il profeta Gundobad, le cui reliquie [frammenti di DNA] furono usati per la machina rei militaris e la cui discendenza pro-
dusse il faris e Ash, fu una delle rarissime persone (come il Nostro Signore il Cristo Verde) [prima storia] che era in grado di operare miracoli [alterare individualmente il tessuto della realtà]. Quello che l'allevamento segreto [ingegneria genetica] era destinato a produrre, non era qualcuno che potesse parlare a distanza con il Golem di Pietra [essere in grado di scaricare dati a distanza tramite un collegamento neuroelettrico o neurochimico] anche se era necessario [che comunicasse tramite computer] visto che era l'unico legame tra le Macchine Impazzite e l'umanità. Quello che stavano cercando di fare le Macchine Impazzite era creare un altro fautore di miracoli [un umano in grado di influenzare il flusso quantico]. Un Gundobad. Un individuo che, sotto il loro controllo e soggetto a un loro comando [un fortissimo impulso magnetico] fosse in grado di [emettere] dare luogo al miracolo malvagio [alterazione guidata e cosciente del tessuto di base della realtà probabile]. ********* (Estratto:) (VI) GENETICA E MIRACOLI: L'ALLEVAMENTO DEL GATTO DI SCHRODINGER (Passaggio rivisto dopo la scoperta del manoscritto di Sible Hedingham:) ... Nella storia del passato che abbiamo perso, poteva capitare che un individuo avesse la capacità di far collassare il fronte delle probabilità. In questa prima storia, a dispetto dai catastrofici legami genetici era possibile che un talento conscio potesse venire allevato per essere abbastanza forte da essere efficace... da qui i piccoli miracoli dei preti; la discendenza prodotta dalla casata dei Leofric che diede origine al faris. Per contro, anche la possibilità di contrastare coscientemente gli 'eventi' miracolosi potrebbe essere frutto di una mutazione genetica spontanea; da qui la linea nobiliare della Borgogna. Ma cosa successe dopo che tutto cambiò?... Non so perché ero sicuro che alcune tracce delle Macchine Impazzite fossero rimaste dopo qualche frattura nella storia dell'universo. Mi ponevo semplicemente questa domanda: se non c'è stato nessun miracolo nero' non dovremmo vedere le tracce di una frattura nella storia. Ma, se le Macchine Impazzite hanno costretto il faris a creare la frattura e alterare il tessuto dell'universo, perché non è sopravvissuta nessuna traccia?
Se vuoi cancellare la razza umana dalla storia, presumibilmente dopo vorrai essere in giro per goderti i frutti del tuo lavoro! Cosa è SUCCESSO? — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#223 (Pierce Ratcliff) Ash 17/12/00 ore 03, 10 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Scusa, ma non dovrei scrivere a quest'ora del mattino perché non riesco a pensare correttamente, ma... Se il sito di Cartagine e i golem messaggeri sono quelli che credi siano, non vuoi dire: Cosa è SUCCESSO? Vuoi dire: cosa STA ANCORA SUCCEDENDO? Cosa succederà se tra... diciamo un mese... sorvolerai di nuovo il deserto? Le troverai? — Anna
QUINDICESIMA PARTE 25 DICEMBRE - 26 DICEMBRE AD 1476 'Ex Africa sempre aliquid novi'243 I Una folata di vento gelido e umido proveniente dalla porta aperta spazzò la sala. Lo stupore fu prontamente rimpiazzato dalla chiarezza. Uccidila e le Macchine Impazzite non potranno più fare nulla per almeno vent'anni, pensò Ash. «Dobbiamo giustiziarla immediatamente» disse lei. «Certo, madame, lo faremo» concordò il conte di Oxford. Ash vide Jonvelle che fissava un punto oltre lei e girò il capo. Floria si avvicinò loro, togliendosi l'edera dalle spalle. Robert Anselm era subito dietro di lei. Jonvelle s'inchinò alla sua duchessa. «Cosa succede?» chiese Floria. Ash lanciò una rapida occhiata a Fernando del Guiz che ascoltava stupito. Angelotti si trovava al fianco del prete e teneva la mano posata sulla daga. «Il faris è qui» la informò Ash, in tono piatto. «Qua?» «Già.» «Qua a Digione?» «Sì!» C'era un pubblico al completo, ma Ash sapeva che non poteva fare nulla al riguardo. Gli uomini del Leone Azzurro si strinsero a cerchio intorno a loro ascoltando avidamente le notizie. Euen Huw si tolse l'edera che pendeva da una spalla e la camicia 'saracena' e si fece largo a spallate per raggiungere Angelotti. Rickard ascoltava a bocca aperta accanto a Ash. «Parlate, mio signore» disse Ash, rivolgendosi a de Vere. «Duchessa, i rapporti affermano che mentre stavamo trattando con il califfo-re, un gruppo di schiavi visigoti disarmati si sono avvicinati al cancello nord-est. Le guardie non li hanno colpiti e si sono dimostrati ancor più riluttanti a farlo quando hanno visto il capitano-generale Ash tornare sotto 243
'C'è sempre qualcosa di nuovo che arriva dall'Africa.' (Una delle traduzioni più comuni di Plinio il Vecchio 'Semper aliqudi novi Africani adferre'.) Manoscritto di Sible Hedingham, quinta parte.
scorta.» Oxford annuì in direzione di Ash. «La donna visigota si era tagliata i capelli e sporcata il viso. Quegli accorgimenti sono stati sufficienti a farla entrare. Gli schiavi visigoti, tranne una mezza dozzina sono tornati al campo visigoto, la donna si è seduta e ha chiesto di parlare con la duchessa di Borgogna e con Ash alla quale vuole far sapere che si arrende.» «È impazzita.» Floria batté le palpebre. «È vero?» «Non vedo ragione per dubitare delle parole degli uomini di Jonvelle. Inoltre, l'ho appena vista. È proprio il generale visigoto.» «Deve essere uccisa» sentenziò Ash. «Qualcuno mi vada a prendere l'ascia: andiamo al cancello nord-est.» «Ash...» Ash si stupì dell'esitazione che venava la voce di Floria. Jonvelle si drizzò pronto a ricevere ordini dalla sua duchessa. «Non si discute. Non c'è tempo da perdere» dichiarò Ash, calma. «Per l'inferno, ragazza, tu hai cacciato il cervo e lei è una mia fottuta parente, ma so che devo ucciderla, adesso. Lei è lo strumento che le Macchine Impazzite useranno per compiere un miracolo oscuro che avrà luogo nel momento stesso in cui verrai uccisa. Le Macchine Impazzite agiranno tramite lei... e saremo tutti morti. Dopo, solo freddo e buio.» «Sono venuto solo per essere sicuro che non foste voi, capitano Ash» spiegò de Vere. «Altrimenti l'avrei già eliminata io stesso.» Jonvelle tossì. «No, sieur, non l'avreste fatto. Non sareste stato ubbidito dai miei uomini perché noi rispondiamo agli ordini della Borgogna e non dell'Inghilterra. Deve essere Sua Grazia e dare l'ordine.» «Bene, la grazia di Dio vuole che lo facciamo adesso!» De Vere si stava girando per impartire l'ordine ai giannizzeri, ma Floria si intromise. «Aspettate.» «Cristo, Florian!» urlò Ash sconvolta. «Cosa intendi dire con 'aspettate?'» «Non ordinerò nessuna esecuzione! Ho giurato di non fare del male! Ho passato metà della mia vita da adulta a rimettere insieme le persone e non a ucciderle!» Floria strinse il braccio di Ash con fermezza. «Aspetta e pensa. Sì, ho dato la caccia al cervo, ma lei non è un pericolo finché c'è una duchessa di Borgogna.» «Madame Florian» si intromise il conte di Oxford «la verità è dura da accettare, ma per le strade di Digione la gente muore a causa dei tiri delle macchine d'assedio nemiche e se dovesse capitare anche a voi mentre il faris è ancora in vita, noi saremmo perduti.»
«Tu sei stata a Cartagine con me» le rammentò Ash. «Hai visto le Macchine Impazzite e hai visto quello che mi hanno fatto. In nome di Cristo, Florian, ti ho mai mentito su qualcosa d'importante? Sai benissimo qual è la posta in gioco!» «Non lo farai!» «Avresti dovuto pensarci quando hai ucciso il cervo» ribatté Ash, secca. «Un'esecuzione non è facile. È infame, incasinata e di solito ingiusta, ma in questo caso non abbiamo altra scelta. Se è più facile... se non vuoi sporcarti le mani, allora lo faremo io, il conte e i cinquecento uomini del colonnello Bajezet. Andremo al cancello nord-est e lo faremo, non importa quello che può dire il qui presente Jonvelle.» Floria strinse un pugno. «No. Troppo facile.» Ash aveva messo da parte il dolore che poteva provare per se stessa, per Floria e per il faris come aveva fatto con le lacrime che avrebbe voluto sfogare. Posò una mano sulla spalla di Floria che indossava ancora gli abiti del Nobile Dottore della pantomima: aveva foglie d'edera tra i capelli e le guance arrossate per il caldo. «Non ho intenzione di perdere tempo, Florian» la informò Ash. Robert Anselm annuiva ed era ovvio dall'espressione sui volti degli uomini che tutti erano d'accordo con la soluzione proposta da Ash. Potranno anche trovare il dottore simpatico, pensò lei, ma questo è irrilevante quando si tratta di agire. «Non è mai facile, dottore» disse Angelotti. «Dopo la battaglia ci sono uomini che non possono essere salvati.» «Cristo santo quanto odio i soldati!» Un soldato con indosso le insegne della squadra comandata da Jonvelle entrò nella sala appena Floria ebbe finito le sue esternazioni. Ash socchiuse gli occhi per cercare di capire a chi appartenesse il volto sconvolto sotto l'elmo. Gli fece cenno di avanzare e il soldato salutò prima di tutti Jonvelle. «Sì, sergente?» gli domandò Jonvelle. «C'è un araldo visigoto al cancello nord-est! Ha con sé la bandiera bianca» ansimò l'uomo, quindi si passò il mantello sul naso che colava, prese fiato e continuò: «Il califfo-re dice che teniamo il suo generale in città e ci chiede di liberarlo. Ha preso prigionieri circa seicento profughi e li fa tenere sotto sorveglianza nella terra di nessuno tra noi e le linee. Dice che se non lasciamo andare il faris li ucciderà tutti.»
I profughi si trovavano sul tratto di terreno tra le mura nord-est di Digione e il fiume. Ash non indossava alcun oggetto o abito che potesse identificarla e teneva la ventaglia socchiusa in modo da poter osservare la situazione. Si appoggiò contro un merlo sapendo di essere appena visibile agli osservatori esterni. La campana della chiesa suonava l'Ora Sesta. Il sole di mezzogiorno era pallido. La folla di persone riunita di fronte alle mura sembrava molto piccola a causa della prospettiva. Un uomo batteva le mani per scaldarle, ma tutti gli altri erano immobili. L'alito si condensava a contatto con l'aria fredda. La maggior parte dei prigionieri indossava vestiti strappati e si stringeva l'uno contro l'altro per cercare calore, molti sembravano scalzi. «Buon Dio» esclamò Jonvelle a fianco di Ash. «Quello lo conosco, è messere Huguet. È il padrone di un mulino tra qua e Auxonne. Ci sono anche il figlio e la moglie. C'è anche Sorella Irmengarda dall'ospedale di santa Herlaine.» «Meglio che non ci pensi» gli consigliò Ash. Non era tanto la situazione in cui si trovavano a commuoverla, ma l'espressione dei volti. Sotto l'aria impassibile che si imprime su un viso dopo un lungo dolore, c'era stupore; un'incapacità di comprendere cosa era successo e come mai era toccato proprio a loro. «Il califfo-re parla sul serio, capitano?» chiese Jonvelle. «Perché non dovrebbe. Roberto mi ha detto che a ottobre hanno crocifisso diverse centinaia di profughi di fronte alle mura quando cercavano di farvi arrendere velocemente.» Il volto di Jonvelle divenne serio e inespressivo. «Allora ero ancora in ospedale dopo la ferita riportata ad Auxonne» confessò. «Ho sentito storie di massacri. Alle volte i cavalieri si comportano senza onore in guerra.» «Già... parliamone, Jonvelle.» Ash socchiuse gli occhi in direzione nordest per osservare le trincee e le fortificazioni del campo visigoto e vide i pavesi di legno che proteggevano i mangani e le balestre d'assedio. «Non avranno bisogno delle macchine. Basteranno gli archi lunghi e le balestre.» «Che Cristo ci protegga.» «Oh, siamo a posto» borbottò Ash mentre cercava di contare le teste. La stima di seicento non era giusta, forse ce n'era qualcuno di più. «È di loro che ci dobbiamo preoccupare... capitano Jonvelle. Cerchiamo di disporre il maggior numero possibile di archibugieri e arcieri lungo questo tratto di mura. Dobbiamo fare in modo che sembriamo concentrati su questa situa-
zione, poi mandate alcune unità alla posteria.» «Riusciremo a salvare solo un piccolissimo gruppo di donne e bambini indeboliti dalla fame» disse il Burgundo. «Non credo che passeranno.» «Dobbiamo essere pronti. Nel frattempo...» Ash si spostò di qualche metro lungo i camminamenti e si sporse fuori dalle mura. «Ehi, là sotto!» I due golem messaggeri si trovavano a poca distanza dalle mura, di fronte a loro Agnus Dei alzò lo sguardo. Era scortato da una dozzina dei suoi uomini. Ce n'erano anche con un divisa rossa che Ash non riconobbe finché non vide Onorata Rodiani a fianco del condottiero italiano. «Salve, Agnello.» «Salve, Ash.» «Madonna Rodiani.» «Generale Ash.» «Sempre in giro per portare a termine i lavori merdosi, eh?» Onorata Rodiani era troppo lontana per capire l'espressione del suo volto, ma la voce era tesa. «Il capo, Gelimero, voleva mandare i tuoi uomini, quelli di Mynheer Joscelyn van Mander, ma l'ho persuaso che forse era meglio di no. C'è un affare qua?» «Non lo so. Sto ancora controllando con il mio capo.» Ash si sporse ulteriormente. «Il vostro è serio?» Agnus Dei alzò del tutto la ventaglia dell'elmo e disse: «Il califfo-re ci ha dato l'ordine di dimostrare la serietà delle sue intenzioni. Questo golem prenderà qualcuno dal gruppo, una donna o un bambino, e lo farà a pezzi appena riceverà l'ordine. Vorrei tanto che si fosse evitato, Madonna Ash, perché è quel genere di lavori che non mi piacciono, ma dobbiamo eseguire gli ordini del nostro capo.» Agnus Dei alzò una mano e la luce si riflesse sulle piastre del guanto. Il golem si diresse verso i prigionieri. Ash vide la profondità delle impronte nel fango e riuscì a giudicare il peso di quell'essere. Le donne urlarono premendosi contro i lancieri visigoti cercando di far entrare il più possibile i bambini nella calca. Una o due cercarono di allontanarsi, ma la maggior parte cercava di scappare. Il golem allungò un braccio con un movimento sciolto e preciso. La mano di pietra e metallo superò la spalla di un lanciere - Ash non riuscì a vedere se il soldato era rimasto perfettamente immobile - e si chiuse intorno a qualcosa. Il golem ritirò il braccio. Aveva afferrato una donna sulla cinquantina per un braccio. La donna scalciava, graffiava e urlava. Aveva due bambini attaccati alle gambe.
Uno schiocco secco echeggiò nell'aria. La donna si allontanò dal golem con la spalla piegata in maniera innaturale, nel frattempo un lanciere aveva ributtato i due bambini in lacrime a calci dentro la calca. «Grazie» borbottò Ash, sapendo che il gesto in apparenza rude era stato fatto per metterli al sicuro. Ash si sporse tra i merli e urlò: «Non è necessario...» Il golem non alzò la testa. Solo, nel suo mondo silenzioso dove la carne aveva la stessa importanza di tutti gli altri materiali, prese la donna con la spalla rotta e la girò verso il cancello. Le caviglie della donna erano sporche di fango ed escrementi. Le giunture bronzee brillavano al sole. La donna riprese a graffiare le braccia della creatura con le dita insanguinate. Il golem chiuse la mano intorno alle cosce e un urlo lacerò l'aria del mattino. Ash vide che le dita della creatura di pietra e metallo dovevano essere penetrate nella carne fino alla seconda falange. Il golem sollevò la donna, le afferrò il collo e la strizzò come se fosse un vestito lavato. Le urla cessarono immediatamente. Gli intestini uscirono dal corpo fumando a contatto con l'aria gelida. Il golem lasciò cadere il corpo. Schiena spezzata, anche spezzate, collo rotto e stomaco lacerato, diagnosticò Ash. Non essere stupida; non puoi sentire l'odore fin quassù. Batté le palpebre e distolse lo sguardo. Da quello che poteva vedere anche Agnus Dei stava fissando l'Ouche. «Cristo!» Ash fece un lungo sospiro. «Merda! Quanto tempo ho prima di tornare indietro con una risposta?» «Hai tutto il tempo che vuoi» spiegò Onorata Rodiani che non sembrava per nulla impressionata dalla scena. «Loro...» indicò in lontananza. «... Finché Gelimero non perde la pazienza. Avete la donna che fino a oggi era il generale supremo delle sue truppe impiegate nella Cristianità. Quanto tempo? La tua valutazione è buona quanto la mia, capitano-generale Ash: migliore, forse.» «Va bene» Ash si drizzò e posò il palmo della mano sugli spalti. «Vado. Potete dire al vostro capo che abbiamo ricevuto il messaggio.» «Se la uccidiamo moriranno seicento persone» disse Floria del Guiz. Ash seguiva la duchessa di Borgogna lungo il chiostro di santo Stefano a sei strade di distanza dal cancello nord-est - il luogo che gli uomini di Jonvelle avevano ritenuto più sicuro per sorvegliare il faris.
«Se non la uccidi tutto sparirà.» «Non sono ancora morta» ringhiò Floria, mentre la scorta armata entrava nel palazzo principale. «Se vengo uccisa può essere che accada in una circostanza che permetta ai Burgundi di compiere la caccia... Sto pensando alle seicento persone là fuori. Sono quelli che vedrò morire.» «Non è necessario che tu li veda morire» fece notare Ash, pragmatica. Vide lo sguardo negli occhi di Floria, sospirò e rallentò il passo. «Ma lo farai. Perché questa è la prima volta che succede e tutti si sentono in dovere di guardare. Credimi, meglio se stai lontana dalle mura.» «Non eravate voi, capitano Ash» si intromise Jonvelle alle sue spalle «che volevate fare uscire un gruppo di uomini dalla posteria per salvare tutti i prigionieri possibili?» Imbarazzata, Ash si girò per assicurarsi che sia i Burgundi che i suoi uomini la stessero seguendo al refettorio. «Valeva la pena provare» borbottò. «Vallo a chiedere a quei poveri bastardi là fuori.» I passi dei soldati echeggiavano contro le pareti del chiostro. Era mezzogiorno, ma il ghiaccio continuava a resistere sul pavimento nei coni d'ombra proiettati dalle colonne. All'interno del refettorio almeno potevano godere di parte del calore proveniente dalle cucine. Ash ignorò i monaci e i rumori che provenivano dai dormitori trasformati in ospedali. «Mettiamola in questo modo, Floria... vuoi ordinare l'esecuzione del faris adesso, così i Burgundi saranno felici o vuoi farti da parte e vedere mentre io, il mio signore di Oxford e i ragazzi della compagnia ci facciamo uccidere dall'esercito nel tentativo di ucciderla?» Florian emise un suono che ricordava uno sputo. Ash la fissò frustrata e adirata. «Questo sarebbe un 'no', giusto?» «Anch'io sono d'accordo, madame» disse il conte Inglese osservando Ash con uno sguardo interrogativo. C'era una donna nel centro del refettorio affollato di guardie. Il sole invernale si rifletteva contro le pareti coperte di calce bianca illuminando la polvere sospesa nell'aria. C'era una donna in piedi, disarmata, con indosso una tunica, un farsetto e un paio di pantaloni di fattura europea evidentemente fuori misura per lei, in mezzo a un gruppo di schiavi visigoti. I capelli tagliati mettevano in evidenza le guance. I segni di sporco non ricordavano neanche lontanamente gli sfregi di Ash. Ash si trovò a fissare il faris. La bambina schiava alla sinistra del faris che tremava per il freddo era
Violante. Una donna grassa e canuta si nascondeva parzialmente sotto il tavolo: Adelize. «Ha senso» disse Floria. «Dobbiamo rimandarla indietro per salvare quelle vite. Adesso! Non è un pericolo finché sono viva.» Ash si parò di fronte alla duchessa fissandola in cagnesco e posando una mano sulla spada. «Forse non te ne sei accorta, ma c'è una cazzo di guerra in corso. Hai ragione, finché sei ancora viva... ma potresti non esserlo ancora per molto!» Floria fece una smorfia con la bocca e un cenno con la mano come se volesse spingere via la spada. «Cristo Santo, Ash!» Il tono di voce non era implorante, ma derisorio. «Se non vuoi salvare la gente là fuori, allora lascia che ti dia un altro motivo per tenere in vita questa donna ancora per qualche ora... pensaci bene: fino a oggi, lei è stata il comandante in capo dell'esercito visigoto.» Ash si concentrò su Floria. «Allora ci avevi fatto caso mentre eri ancora nella compagnia, dottore.» «Il comandante in capo dell'esercito visigoto» ripeté Floria. «Pensa a tutto quello che può sapere riguardo l'assedio. Sa cosa è successo dopo che tu hai smesso di parlare con il Golem di Pietra! Sono settimane! Ci può dire qual è la situazione attuale!» «Ma le Macchine Impazzite...» «Devi parlare con lei, Ash. Fatti dare tutte le informazioni possibili poi la rispediamo da Gelimero e preghiamo che non cominci il massacro prima.» La folla di persone alle loro spalle rallentò e Ash si rese conto che i soldati si stavano aprendo. Jonvelle stava parlando in tono concitato con Olivier de la Marche. Ash lanciò un rapido sguardo a Robert Anselm segnalando con un cenno che non era ancora il momento di agire. «Sai quello che rischi?» Floria arcuò le sopracciglia e per un attimo somigliò molto al fratellastro. «So che sto rischiando la vita dei seicento prigionieri là fuori. Sempre che il califfo-re Gelimero non decida di ucciderli nei prossimi minuti e non nelle prossime ore.» «Non era quello che intendevo.» «No, ma è anche vero.» «Merda» Ash si guardò intorno. Registrò la presenza di Angelotti sulla porta del refettorio intento a parlare in tono concitato con il colonnello Bajezet. Oltre le truppe burgunde
che circondavano i Visigoti c'era la Superiora Simeon che, incurante della folla, cercava di far uscire Adelize da sotto il tavolo. La donna continuava a sbavare e ad agitare le mani per allontanare quelle della suora. Fernando del Guiz, che si trovava a fianco di Ash, cercava di nascondere l'espressione di disgusto. Ash distolse lo sguardo sentendo il calore familiare delle guance che arrossivano. «Cristo!» esclamò Ash portando i pugni ai fianchi. «Rischiamo di avere tutta la città riunita qua dentro. Roberto! Sigilla la stanza!» Anselm non guardò la duchessa per cercare il suo permesso. Jonvelle si mosse per intercettarlo. «Non deve entrare più nessuno... tranne l'abate!» lo bloccò Florian. «Sembra di essere alla festa di san Michele» sospirò John de Vere. «Capitano, avere il comandante dell'esercito in mano nostra non è cosa da poco, potremmo ribaltare le sorti dell'assedio. E, parlando di uomini, visto che la cosa non riguarda solo gli abitanti di Digione, abbiamo degli uomini sotto il nostro comando le cui vite dovrebbero essere trattate con cura.» Fernando del Guiz incrociò le braccia fissando la stanza confuso. Scosse la testa e rise con un'espressione sul viso che sembrava chiedere cos'altro poteva fare. «Se solo potessi vedere la faccia del califfo-re in questo momento...!» Ash diede un ordine e due degli uomini di Jonvelle scortarono Fernando fuori dalla sala. Il giovane si lasciò accompagnare senza battere ciglio. Ash tornò a rivolgersi al faris. «Perché?» le chiese. La luce proveniente dalle finestre illuminava il viso del faris e Ash si rese conto di quanto fosse distrutta la gemella: la pelle aveva un colorito pessimo e gli occhi erano segnati da evidenti borse rossastre. Teneva la mano sinistra posata contro la coscia come se avesse bisogno di sentire una presenza e per Ash fu come vedersi allo specchio: il gesto di cercare la spada con la mano era qualcosa d'istintivo per tutte e due. Quando cominciò a parlare usò il cartaginese solitamente impiegato nei campi militari «Non dimenticate che ho permesso la caccia.» «Cosa?» Floria si avvicinò ad Ash. «Non capisco.» «Vuole ricordare che lei ha permesso lo svolgersi della caccia, quindi dobbiamo dire grazie a lei se adesso abbiamo una duchessa.» Ash fissò Floria e non ebbero bisogno di dirsi nulla per capire che stavano condividendo un momento di puro divertimento.
«Ha ragione» ammise Ash. «Dite alla vostra donna burgunda che tutto questo mi è dovuto» continuò il faris in tono teso. «'Questo?'» Il faris cominciò a parlare nella lingua della Borgogna meridionale. «Rifugio. Riparo. Ordinai ai miei comandanti di farsi da parte in modo che voi poteste entrare nel bosco.» Il faris rimaneva dritta in piedi evidentemente a disagio negli abiti europei che indossava. Erano passate cinque settimane da quando lei e Ash si erano incontrate nel campo. Il faris sembrava dimagrito, o forse, suppose Ash, allora era parsa più robusta per via dell'armatura. Priva della protezione dell'armatura e dei suoi soldati sembrava anche più giovane. «È successo più di cinque settimane fa» disse Ash, torva. «In quel lasso di tempo saresti potuta tornare a Cartagine e distruggere la machina rei militaris.» La paura balenò per un attimo sul volto della donna. «Tu riusciresti a tornare a Cartagine? Riusciresti ad avvicinarti così tanto alle Macchine Impazzite?» Gli occhi gonfi per la mancanza di sonno del faris la inchiodarono e Ash che si chiese se gli altri la vedevano come lei stava vedendo la gemella in quel momento. «Sarei andata» aggiunse il faris. «Ma non potevo avvicinarmi così tanto... non quando le sento qua» disse toccandosi una tempia. «Non quando possono... usarmi senza il mio consenso. Anche tu le senti.» «No.» «Non ti credo!» urlò. Adelize cominciò a singhiozzare. Il faris si calmò e carezzò la testa della donna con le dita tremanti. Violante la gratificò con un'occhiata colma di disprezzo e si inginocchiò a fianco di Adelize e l'abbracciò, per quello che riusciva. «Non avere paura» la blandì Violante nel linguaggio degli schiavi di Cartagine. «Non avere paura, Adelize.» La donna di nome Adelize allontanò gentilmente la bambina lisciandole la tunica. Un attimo dopo Ash si rese conto che la vecchia schiava stava carezzando un batuffolo di pelo bianco che fece capolino dal colletto dell'abito di Violante. Ash osservò il ratto bianco che leccava le dita di sua madre. «Povero! Povero» balbettò la donna. «Non preoccupare. Tranquillo, tranquillo. Non paura.»
«Ho parlato con mio padre Leofric» disse il faris senza smettere di accarezzare la testa della donna. «Può parlare?» chiese Ash, ironica. «Abbiamo cercato di convincere il califfo Gelimero che il Golem di Pietra deve essere distrutto, ma lui non lo farà. Non crede a nulla di quello che dice mio padre. Per lui le Macchine Impazzite sono solo un trucco politico della casata dei Leofric.» «Al diavolo!» esplose Ash precedendo sia Florian sia John de Vere. «Hai due legioni là fuori, cosa ti ha impedito di uccidere Gelimero, tornare a Cartagine e ridurre il Golem di Pietra in ghiaia? Cosa?» La rabbia di Ash scomparve quando vide l'espressione stupita sul volto della gemella. Ha ascoltato i consigli tattici del Golem di Pietra per vent'anni, pensò Ash. Inoltre ha votato la sua vita al bene del califfo-re: no, è ovvio che il fatto di tornare a casa alla guida di una ribellione non sia contemplato... «So che siamo stati traditi» continuò il faris «e i miei uomini moriranno sia che vinciamo sia che perdiamo. Ho cercato di salvare le loro vite. Prima di tutto ho fatto lavorare la macchine d'assedio senza assalti diretti alle mura, in secondo luogo, lasciando viva la duchessa di Borgogna ho sbarrato la strada ai demoni del Sud. Tu avresti fatto lo stesso, sorella.» «Non sono la tua cacchio di sorella, Cristo! Ci conosciamo appena.» «Tu sei mia sorella e siamo entrambe delle guerriere.» Il faris smise di accarezzare Adelize. «Almeno ricorda che questa è nostra madre.» Ash alzò le mani al cielo, si girò verso Floria e disse: «Parla tu!» Ash vide che Robert Anselm la stava fissando e si rese conto che Angelotti stava facendo vagare lo sguardo da lei al faris. John de Vere stava borbottando qualcosa con Bajezet: anche i Turchi indicavano il faris. «Perché siete venuta a Digione?» «Sono in cerca di rifugio» ripeté la donna visigota. «Perché proprio adesso?» Olivier de la Marche avanzò con passo deciso seguito da Jonvelle e si parò di fronte alla duchessa. «Vostra Grazia» esordì Jonvelle «potremmo pensare che questa donna si sia infiltrata in città allo scopo di uccidervi. Io sono della stessa idea della Pulzella Ash. Non ci potrà dare nessuna informazione utile. Giustiziamola e facciamola finita.» «Amir duchessa» disse il faris, nello stesso tono di voce acido che a Floria ricordava tanto quello di Ash. «Sono qua a Digione perché in questo momento il califfo-re avrà già ordinato il mio arresto e la conseguente ese-
cuzione.» «Ah» annuì Ash soddisfatta. «Ha messo Sancho Lebrija al mio posto» rivelò il faris. Ash ricordava bene il serio e brutale cugino d'Asturio Lebrija: un uomo che non desiderava altro che eseguire gli ordini del suo califfo-re. «Da quanto tempo sei stata sostituita da Lebrija?» «Da circa un'ora.» Il faris scrollò le spalle. «Durante la trattativa nel cunicolo l'amir Gelimero ha fatto capire chiaramente che mi considera una pazza. Come poteva permettermi di tenere ancora il comando dopo aver detto una cosa simile di fronte agli alleati? Mi considera parte del complotto ordito dai Leofric.» «È ovvio» disse Ash. «Sapevo che mi avrebbero giustiziata entro un'ora. Ho lasciato l'incontro qualche minuto prima degli altri, ho chiamato i miei schiavi, ho indossato questi abiti e ho ordinato agli schiavi di scortare 'Ash' al cancello di Digione. I soldati mi hanno fatta entrare.» Il faris si passò una mano sui capelli tagliati da poco. «L'amir Gelimero ha ordinato a mio padre di uccidere e sezionare tutti gli schiavi della mia stessa linea di sangue... Adelize, Violante e tutti gli altri, me inclusa. Io credo che Leofric lo farà pur di riuscire a convincere il califfo-re che quanto afferma sulle Macchine Impazzite è vero. Agirà senza esitare...» Ash non poteva accorgersene, ma sapeva che tutte le persone riunite nel refettorio stavano ascoltando la donna visigota che parlava con la sua stessa voce, solo con un accento diverso. Fissò il volto della gemella e in quel momento avvenne una strana forma di riconoscimento che le fece dimenticare gli ostaggi, la guerra e le Macchine Impazzite. «Ti sei fidata di me» continuò concitata il faris. «Ti sei fidata di me al punto da confidarmi che il duca stava morendo. Ricordi... prima della caccia? C'era fiducia tra noi, quando, in base al tuo modo di ragionare, tu avresti dovuto uccidermi. Con te ho qualche speranza di rimanere in vita, con Gelimero nessuna.» Sospirò e scosse la testa come se avesse ancora i capelli lunghi e la sua mano si alzò. Spostò lo sguardo in direzione della duchessa di Borgogna. «Ma sono una stupida» concluse. «Anche qua non c'è speranza. La vostra sicurezza dipende dalla mia morte.» Floria aggrottò la fronte e mordicchiò la pelle vicino a un'unghia. «Macchine Impazzite o no, Gelimero mi deve uccidere per ragioni diverse. Que-
sta guerra non si fermerà adesso. Lui non si rende conto delle conseguenze delle sue azioni. Ma questo è irrilevante. Se voi moriste...» «Se io morissi» la interruppe, pacata, il faris «l'influenza delle Macchine Impazzite cesserebbe per una generazione e più. Passerebbe molto tempo prima che qualcuno allevi un'altra come me e un califfo-re torni ad avere fiducia nel Golem di Pietra.» «Ma succederà.» «Duchessa» s'intromise Olivier de la Marche, in tono piatto «quello è un compito che spetta ai nostri figli e ai nostri nipoti. Per ora dobbiamo fare in modo che la Borgogna sopravviva. È un nostro imperativo! Altrimenti, quando verrà il momento, non ci sarà nessuno a cercare di fermare i demoni del Sud e loro potranno fare tutto ciò che vogliono perché non ci sarà nessun duca o duchessa a bloccarli. Se la Borgogna fosse sparita, allora potrebbero compiere il miracolo oscuro a loro piacimento e sarà come se nessuno avesse mai provato a contrastarli.» Ash fissò il volto segnato dal tempo del campione dei tornei e capitano della Guardia. Il Burgundo fece un secco cenno del capo. «Conosco i poteri del duca di Borgogna, capitano. Perché quei maledetti demoni del Sud dovrebbero preoccuparsi che uccidiamo il loro fautore di miracoli adesso? Possono crearne un altro. Ci impiegheranno vent'anni o duecento, ma per loro il tempo non è un problema. Se non ci sarà nessun ostacolo sulla loro strada, tutto il mondo sarà avvolto da un inverno perenne.» Un trambusto alla porta costrinse Floria a girarsi. Vide l'abate di santo Stefano entrare insieme a un gruppo di monaci. Olivier de la Marche gli andò incontro cercando di calmarlo. I monaci si allontanarono immediatamente. «Quanto tempo?» domandò Floria. «Un quarto d'ora da quando sono stata sulle mura.» Ash socchiuse gli occhi osservando la posizione del sole oltre la finestra a ogiva. «Forse qualcosa di più.» Floria unì le mani e posò le dita contro le labbra fissando il faris. «Se vi lascio viva adesso» disse improvvisamente, abbassando le mani «le seicento persone che si trovano nel fango fino alle ginocchia fuori delle mura moriranno, ma se vi restituisco a Gelimero ne moriranno migliaia nella guerra.» Ash vide John de Vere e Olivier de la Marche che annuivano. «Se vi uccido» continuò Floria, spietata «le Macchine Impazzite non po-
tranno usarvi per il miracolo, ma questo non fermerà la guerra. O le morti. La guerra continuerà sia che voi viviate o moriate. Stiamo perdendo, tuttavia se vi tengo in vita la vostra conoscenza dell'esercito nemico potrebbe permetterci di continuare a combattere. La Borgogna deve sopravvivere altrimenti non ci sarà nulla in grado di fermare le Macchine Impazzite la prossima volta che riusciranno ad allevare con successo un altro discendente di Gundobad. Giusto, Ash?» Il tono della nobildonna era acido e Ash sorrise provando una sorta di compassione per lei. «Mi sembra che tu abbia considerato tutti gli elementi.» «E queste sono le scelte che ho.» «E le mie.» «No, non questa volta.» L'occhiata di Floria comprese Anselm, Angelotti, gli uomini della compagnia spostandosi poi su Olivier de la Marche, Jonvelle e i nobili burgundi. «Sei stata tu a dirlo. Io ho cacciato il cervo, quindi la decisione spetta a me.» «No, se io decido in maniera diversa.» Aveva parlato senza pensare e Ash scosse la testa, disgustata da se stessa. È vero, ma questo non era il momento di ricordarglielo, pensò. «Parla pure di venti o duecento anni se ti va» protestò Ash, momentaneamente sprovvista di un crepaccio nel quale sparire. «Ti stai dimenticando di oggi. Una freccia vagante, un masso lanciato da un mangano, una spia o un assassino infiltrato... e il 'miracolo' delle Macchine Impazzite si verificherà all'istante. Non me ne importa nulla di quello che mia sorella può sapere dei piani del nemico» concluse. Si concentrò su Floria ignorando tutti gli altri presenti nella stanza. Anselm, preoccupato, bisbigliava con Angelotti. I Turchi assistevano alla scena impassibili così come i Burgundi, immobili, ma sempre splendidi malgrado le armature usurate. «Cristo santo, Floria, non riesci a capire? Non voglio causare una spaccatura, ma restituirla a Gelimero è semplicemente ridicolo.» Ash fece una smorfia. «E lasciarla vivere è fin troppo pericoloso per te.» «Non correte nessun rischio da parte mia» le interruppe il faris con un guizzo di quell'umorismo che Ash riconosceva in se stessa. «Tu dimentichi qualcosa, sorella. Quando la duchessa di Borgogna morirà, allora io diventerò la strumento delle Macchine Impazzite. Una volta diventata... il canale per il loro potere...» L'ex generale visigoto cercò le parole. «Penso che sarò
spazzata via. Io voglio che lei viva molto più di te, jund Ash!» Quelle argomentazioni stavano facendo breccia tra i Burgundi. Ash lo capiva dall'espressione dei loro volti. Rabbrividì al ricordo delle voci nella sua mente e alla sensazione di essere spazzata via come una foglia in un fiume. «Non sto dicendo che la stai per assassinare» fece notare Ash, secca. «Dolce Cristo Verde sull'Albero, avresti avuto molti meno problemi se fossi stata con l'esercito fuori Digione.» Sentì che la sua voce aveva assunto un tono lamentoso, ma non poté farci nulla. Una serie di risate echeggiarono per la sala. «Ho sentito la campana suonare la mezza» informò tutti Robert Anselm in tono tranquillo anche se continuava a fissare la porta come se stesse aspettando che uno dei messaggeri di Jonvelle arrivasse dalle mura. «È necessario prendere una decisione.» Floria intrecciò le dita sporche. «Ho già preso troppe decisioni dure quando ero nell'infermeria della compagnia.» Questo sarebbe il momento giusto, pensò Ash. Mentre sta decidendo. Ash allontanò la mano dall'elsa della spada. Vide che il suo spostamento aveva causato un breve moto d'apprensione sul volto di Angelotti e si rese conto che anche lui si era mosso... corpo perfettamente bilanciato, piedi leggermente separati in quella che ogni mercenario avrebbe immediatamente riconosciuto come una postura da combattimento. Ogni mercenario tranne Floria, si rammentò. La duchessa pensava con la fronte aggrottata. Ci sono troppi uomini di de la Marche tra me e il faris. Non ci riuscirei. Ma adesso sono il comandante in capo, quindi... Robert Anselm si avvicinò ad Ash con passo ciondolante e lei non distolse l'attenzione, consapevole che tutti gli occhi dei Burgundi erano concentrati su di lei e sul monarca. «Non fotterla adesso» le borbottò. «Se forzi troppo il corso degli eventi, loro seguiranno lei e non te.» «Se la becco fuori...» I nomi attraggono sempre l'attenzione dell'interessato, per questo Ash non pronunciò la parola 'faris'. «... non importa, è fatta.» Robert Anselm cercò di continuare a fissare i presenti con un'espressione impassibile. «Prova a ucciderla e scateni una guerra civile.» Ash lo fulminò con un'occhiataccia e lui la fissò senza battere ciglio. «A questo punto il dottore e la Borgogna sono fottute. Scatena una guerra civile tra le mura di Digione e tutto finisce qua, ragazza. Le teste di tela
ci riducono a cibo per gatti: grazie e buonanotte. E quelle dannate cose riusciranno a creare un altro mostro in una ventina d'anni dopodiché siamo tutti fatti perché non ci sarà niente e nessuno a fermarle.» Le parole di Robert Anselm la riportarono brutalmente alla realtà, mettendole davanti agli occhi quello che fino a quel momento lei si era rifiutata di vedere. No, pensò Ash, non rimarrà più nulla: niente più discendenza burgunda. Ci sarà un massacro simile a quello di Antwerp o Auxonne. A quel punto le Macchine Impazzite avranno vinto lo stesso perché la prossima volta non ci sarà nessuno a fermarle. «Sei un figlio di puttana...» borbottò Ash a voce bassa. Si massaggiò gli occhi che le dolevano a causa della forte luce che penetrava dalle finestre e sentì i muscoli che si rilassavano. Aggrottò la fronte e si chiese come mai era così felice. La risposta giunse immediata: perché non devo prendere io la decisione. Provò disgusto nei propri confronti e scosse la testa. Il disgusto, però, non poteva competere con il sollievo che provava in quell'istante. Aveva riesaminato lo scenario offerto da Anselm e non aveva trovato nessun punto debole nel suo ragionamento. Il capitano inglese l'aveva fatta riflettere sul fatto che non spettava a lei prendere una decisione ma a Florian e lei non poteva discutere perché rischiava di perdere tutto. «Taci!» sussurrò Ash, secca. Fissò l'espressione stupefatta di Robert Anselm e aggiunse: «Non mi riferivo a te. Anche se vorrei che fosse il contrario hai ragione tu.» Ash fece un cenno a Florian. «Tocca a te.» La nobildonna aggrottò la fronte. Era così ovvio che si fosse accorta della codardia morale di Ash che quest'ultima distolse lo sguardo. Ash si trovò faccia a faccia con la gemella. Il faris era sempre immobile tranne per il dito che faceva scorrere sul tavolo di legno. Non stava fissando la duchessa. Io sarei riuscita a venire qua se mi fossi trovata al suo posto? Ash non guardò Violante o Adelize. Floria si passò una mano sul viso, un gesto che Ash le aveva visto fare centinaia di volte nella sua tenda d'ospedale, sospirò e non si guardò intorno in cerca di assistenza, conferma o aiuto. «Ho dei pazienti da controllare nell'infermeria» dichiarò Floria. «Sarò con loro.» Fece cenno a Olivier de la Marche di avanzare. «Voi e Ash interrogherete il faris. Ci troveremo di nuovo all'Ora Nona per discutere di quello che abbiamo appreso.»
Ash sentì un sospiro di sollievo ma non seppe dire se era arrivato da John de Vere, Bajezet, de la Marche o Anselm. Il faris si abbandonò sulla panca a fianco di Violante. La pelle era sbiancata a tal punto che avrebbe potuto essere scambiata per una donna in punto di morte. Gli occhi erano dilatati e scuri nelle orbite incavate. «Se non mi trovate in infermeria allora vuol dire che sono con gli infermieri. Volevano parlarmi del cibo e delle scorte» continuò Floria del Guiz. «Se arrivano notizie dalle mura avvertitemi immediatamente.» II Fortunatamente il buio calò poco dopo che le campane dell'abbazia ebbero suonato l'Ora Nona. Il breve giorno invernale scivolò rapidamente nel crepuscolo. Ash distese le gambe mentre si sedeva vicino al camino della torre. Le pareti erano ancora decorate dall'edera. La carne bruciata dietro la coscia le faceva male. È ancora il giorno della nascita di Cristo, pensò, intontita. Il massacro della Messa di Cristo. Bianche si asciugò le mani sul grembiule. Un ciuffo di capelli biondi spuntava da sotto la cuffia. «Abbiamo finito il grasso d'oca. Troppe ustioni da Fuoco Greco.» Ash strinse i pugni dietro la schiena. La carne sotto la bendatura doleva. L'operazione per togliere le parti della corazza e dei pantaloni era stata così dolorosa che aveva morso con tanta forza l'elsa di legno della daga che erano rimasti i segni dei denti. «Quanti sono gli inabili?» «Sai come sono fatti gli uomini» sbottò Bianche. «Tutti dicono che domani tornano a combattere. Sei di loro dovranno rimanere a letto ancora per una settimana. Sempre che le mura reggano!» La durezza della donna non era diretta ad Ash e questo lei lo sapeva bene. Parte era dovuta alla preoccupazione e all'affetto che nutriva nei confronti dei feriti e parte perché si incolpava di come stavano andando le cose anche se c'era carenza di scorte mediche. «Mandami tutti quelli che possono camminare, voglio parlare con loro.» Bianche si allontanò zoppicando e Ash notò che gli uomini presenti si fecero da parte rispettosi per farla passare: una donna di mezza età con i denti rovinati, che dimagriva a vista d'occhio a causa del poco cibo. Una donna alla quale, in tempi migliori, ognuno di loro aveva dato una moneta
per una scopata. Avrei dovuto pensarci prima, rifletté Ash, triste. Non avrei dovuto permettere che Florian lo scoprisse. «Quanti civili siamo riusciti a salvare?» chiese Angelotti che si era avvicinato appena aveva visto Bianche allontanarsi. «Non siamo riusciti neanche a mettere il naso fuori dalla posteria perché hanno saturato la zona di Fuoco Greco. Tu eri sulle mura, cosa è successo?» L'artigliere dal volto bellissimo e sporco di polvere da sparo, scrollò le spalle. «Sono stati fatti a pezzi dai golem. Hanno cominciato da quelli più vicini poi sono avanzati come fossero cani pastore. Gli uomini e le donne che correvano più velocemente sono stati abbattuti con gli archi. Abbiamo fatto a pezzi un golem con una cannonata visto che ci ha invitati a farlo passeggiando a tiro per cinque minuti, ma per il resto... abbiamo tirato con le balestre e gli archibugi senza successo.» «Le ustioni sono brutte» disse Ash. «Digorie e Richard Faversham sono sopra a pregare, ma non penso che serva a molto. Nessun piccolo miracolo, Angeli. Niente pani e pesci e guarigioni. Stare dalla parte dei Burgundi ha i suoi lati negativi.» L'Italiano toccò il medaglione di santa Barbara. «Ci vorrebbe qualcosa di più di un piccolo miracolo. Forse avremmo bisogno dell'intercessione di tutti santi: ci sono seicento morti là fuori.» Seicento tra uomini, donne e bambini sventrati come la selvaggina che Henri Brant buttava nel calderone, giacevano sul tratto di terreno tra il campo nemico e la città. Cosa farà adesso, Gelimero? si chiese Ash. «De la Marche sta informando il faris. Lascialo fare.» Ash spostò il peso sulla gamba bruciata e sussultò. «Fai entrare tutti, Angeli. Voglio parlare con loro prima che con i centeniers. Assicurati che capiscano quanto sta succedendo. Poi di' loro quello che stiamo per fare.» Una scala di note uscì dal flauto di Carracci, si interruppe, poi riprese. Uno dei paggi toccò il braccio dell'arciere e questi smise di suonare. Il puzzo delle candele di sego era sempre più forte. Le imposte delle finestre erano chiuse e la poca luce non permetteva ad Ash di vedere fino in fondo alla sala. Gli uomini entravano e si sedevano parlando tranquillamente tra loro. Soldati, uomini, donne e bambini dei carri. Alcuni volti, quelli di Euen Huw, Geraint ab Morgan e Ludmilla Rostovnaya tra questi, erano ancora anneriti dalla nube di fumo creata dal Fuoco Greco durante il fallito tentativo di salvataggio.
I comandanti di lancia entrarono nella sala e si sedettero guardando Ash. Un attimo dopo il basso vociare terminò del tutto. «Quello a cui dobbiamo pensare» esordì Ash «è una soluzione a lungo temine.» Non aveva parlato ad alta voce perché non era necessario. L'unico rumore oltre quello della sua voce era il sibilo provocato dal ghiaccio che si scioglieva nella canna fumaria alle sue spalle. I volti avevano tutti un'espressione attenta. «Abbiamo pensato troppo vicino a casa e troppo a corto termine.» Ash si scostò dal muro e cominciò a camminare tra le persone. Le teste si girarono per seguirla. Ash incrociò le braccia sul petto e camminò con noncuranza ignorando il dolore. «Non c'è nulla di sorprendente... fino a ora ci hanno preso a calci in culo. Abbiamo dovuto combattere prima ancora che avessimo il tempo di capire quello che stava succedendo, ma credo che adesso sia arrivato il momento di riprendere a pensare. Non fosse altro perché, per quel che riguarda Gelimero, non sappiamo se la tregua è ancora in vigore.» Vide Robert Anselm e Dickon de Vere vicini alla porta e li salutò con un cenno per non interrompere il filo del discorso. Continuò a camminare, una donna in armatura tra uomini seduti a terra con le braccia serrate intorno alle ginocchia che alzavano la testa al suo passaggio. «Ci siamo concentrati sul fatto di mantenere in vita il duca o la duchessa di Borgogna, perché questo regno è l'unica cosa che può impedire ai demoni del deserto di impiegare il loro fautore di miracoli per spazzare via il mondo. Adesso quel fautore di miracoli si trova proprio qua a Digione.» Non c'era alcunché di drammatico nel suo tono di voce, era come se fosse nella sua tenda e stesse pensando ad alta voce. Un bambino cominciò a piangere, ma fu zittito. Superò Carracci e gli posò per un attimo la mano sulla spalla. «Dovrebbe essere facile, in teoria. Uccidiamo il faris, dopodiché non importa se la Borgogna cade, perché lei è morta e le Macchine Impazzite hanno perduto il... canale» disse Ash usando lo stesso termine della gemella. «Il canale per fare quello che è nei loro piani, ovvero oscurare il sole e far apparire come se il genere umano non fosse mai esistito sulla terra. Solo che non è così semplice.» «Perché è tua sorella?» chiese Margaret Schmidt. «Siamo parenti di sangue, ma non è mia sorella.» Ash sorrise, mutò il tono di voce e disse: «Gli unici parenti stretti che ho siete voi, branco di
bastardi e che Dio mi aiuti!» Tra i presenti si levò una risata stretta di apprezzamento. «Non è così semplice» continuò Ash riottenendo immediatamente il silenzio. «Non stiamo pensando al futuro. Pur uccidendo il faris la guerra sarebbe sempre persa perché i Visigoti raderebbero al suolo la Borgogna da mare a mare... devono, altrimenti, dimostrandosi deboli si ritroverebbero il sultano Mehemet a Cartagine alla testa dell'esercito con il quale ha conquistato Bisanzio.» «Giusto» borbottò Anselm. «E se la Borgogna è sparita e se il sangue della Duchessa non esiste più, allora non importerà nulla se le Macchine Impazzite impiegheranno altri mille anni per allevare un altro faris... appena ci riusciranno il mondo sarà andato. Sparito, mutato nel momento in cui lo decidono. E tutto quello che avremo fatto sparirà... sarà come se non fossimo mai nati.» Non ci fu nessun moto di sorpresa perché, ovviamente, gli uomini che erano stati con lei nell'abbazia avevano parlato ai compagni. «Quindi dobbiamo vincere questa guerra» aggiunse Ash. Non poteva fare a meno di sorridere e vide che alcuni uomini, tra i quali Geraint ab Morgan e Pieter Tyrell, la stavano imitando. «Semplice, vero?» «Semplice un cazzo!» fece notare una voce anonima. «Tu pensi che questa guerra interessi solo i Burgundi?» Ash si girò nella direzione della voce e beccò John Burren. «Hai ragione su un punto. Tutti voi avete una patria: tutti i mercenari ne hanno una. Voi siete Gallesi, Inglesi, Italiani, Tedeschi. Be', i Visigoti hanno fottuto gran parte di questi regni, e non hanno ancora attraversato la Manica.» Dickon de Vere aprì la bocca per parlare, ma fu zittito da una gomitata di Robert Anselm. «Se la Borgogna dovesse essere cancellata dalle carte, allora tutti quelli che sono morti fino a oggi lo hanno fatto inutilmente. Adesso vi spiego cosa faremo.» Ash raggiunse il centro della sala continuando a tenere le braccia conserte e si girò per guardare gli uomini. «Li respingeremo. Quando ho lasciato de la Marche c'erano cinque funzionari che stavano scrivendo tutto ciò che il faris sta spifferando. Stiamo per portare la guerra in casa ai Visigoti e dobbiamo farlo per primi... prima che quelli là fuori decidano di schiacciarci.» Lanciò un'occhiata alle travi annerite dal fumo, fece una pausa e continuò: «Adesso sappiamo quali sono i loro punti deboli. Quindi, per prima
cosa è necessario che poniamo fine all'assedio... e vi garantisco che questa è la parte più difficile. Dobbiamo portare via la duchessa Floria da Digione.» Ash sorrise nel sentire il brusio d'approvazione. «Dopodiché combatteremo con gli alleati che ci procureremo. E ne avremo perché Gelimero fa la figura del debole a ogni ora che passa. Come minimo i Turchi e i Francesi si schiereranno con noi.» Molti annuirono. Ash batté il pugno sul palmo della mano. «Possiamo uccidere il faris, ma solo a scopo precauzionale perché al momento buono ne arriveranno altri. Non possiamo più raggiungere il Golem di Pietra perché non ci permetteranno di assaltare Cartagine per una seconda volta! Quindi quello che dobbiamo fare - l'unica cosa che possiamo fare - è portare la guerra fino alle Macchine Impazzite. Vincere qua e portare la guerra in Africa. Consegnare l'impero visigoto al sultano se necessario! Dobbiamo portare la guerra al Sud e dobbiamo distruggere le Macchine Impazzite.» Fece una breve pausa affinché tutti capissero il concetto. Scovò Angelotti e gli altri artiglieri nella penombra e li indicò con un cenno del capo. «Le Macchine Impazzite non possono combattere perché sono pietre. L'unica cosa che possono fare è parlare al faris e al Golem di Pietra. Posso dire con tutta tranquillità che mastro Angelotti e tutta la polvere da sparo e le bombarde che riusciamo a radunare possono ridurle in un mucchio di macerie in pochissimo tempo.» Vide Angelotti che sorrideva. «Questo è il nostro obiettivo... il Nord Africa. E contiamo di essere là per la primavera.» Quelli che erano stati a Cartagine avrebbero parlato con quelli rimasti a Digione. Ash si guardò intorno nell'oscurità osservando i volti sui quali era comparsa determinazione, apprensione e fiducia. «Non c'è altro modo per farlo» disse Ash. «Non sarà facile, neanche con quello che sappiamo. Se, una volta tolto l'assedio, qualcuno di voi vorrà tornare in Inghilterra o andare più a nord, nessun problema, può andarsene con la sua paga. Quello che stiamo per fare è pericoloso: respingerli fino all'Africa costerà la vita a parecchi di noi.» Alzò immediatamente una mano per stroncare sul nascere il vociare. «Non sto facendo appello al vostro orgoglio, dimenticatevelo. Vi sto dicendo che questa è pericolosa come tutte le altre guerre nelle quali abbiamo combattuto e, come d'altronde è sempre valso in passato, chi vuole andarsene deve farlo adesso.» Aveva già identificato alcuni di quelli che avrebbero potuto andarsene:
alcuni degli artiglieri italiani e forse Geraint ab Morgan. Ascoltò le battutacce e i commenti ironici che passavano tra i soldati. Il tono di voce generale era basso. Trecentocinquanta uomini in grado di combattere che la fissavano con i volti inespressivi di chi era spaventato e pragmatico allo stesso tempo. «Allora? Quando andiamo a prendere a calci in culo tre legioni?» chiese John Burren indicando con il pollice la parete alle sue spalle riferendosi, ovviamente, alle legioni accampate intorno a Digione. Prima di rispondergli Ash si rivolse a tutti. «Va bene, ragazzi. Preparate le attrezzature e parlate con i vostri ufficiali. Come prima cosa domani mattina voglio una riunione con gli ufficiali.» Si girò verso il balestriere inglese. «'Quando?'» ripeté sorridendo. «Speriamo prima che Gelimero decida che la tregua è finita e le tre legioni non si lancino all'assalto delle fottute mura!» Visitò i quartieri degli ufficiali burgundi passando dalle case, alle caserme fino a palazzo. Le conversazioni furono quasi sempre uguali in quel cupo pomeriggio di Natale. Quando possibile parlò con gli uomini che avrebbero dovuto combattere. Percorse chilometri lungo le strade di Digione cambiando scorta ogni ora. Le nuvole si diradarono lasciando spazio alle stelle. L'unica cosa che non cambiava era la fila di gente, un migliaio di persone circa, che si preparavano ad attendere per tutta la notte la loro piccola razione di pane e la birra. La costellazione del Gran Carro spiccava sopra le guglie dell'abbazia di santo Stefano. Ash lasciò la scorta fuori dalla casa dell'abate, un edificio alto due piani con il tetto di tegole rosse, ed entrò superando senza battere ciglio le guardie e i monaci forte della sua autorità insindacabile. Il suono di un flauto cartaginese echeggiò contro le mura della stretta scalinata. Ash si tolse l'elmo e scosse la testa. I suoi occhi, appannati dai pensieri e dallo sforzo di prestare attenzione alle parole delle persone, si snebbiarono. Si grattò la testa e scrollò le spalle per far assestare l'armatura. Terminata l'operazione, abbassò il capo e salì la stretta scala dal soffitto basso che portava alla stanza superiore. «Madame... capitano» si corresse immediatamente il monaco magro.
«Avete mancato l'abate di poco. Era qua a pregare con la donna straniera.» «L'abate è un uomo caritatevole» disse Ash continuando a dirigersi verso la porta. «Non c'è bisogno della tua presenza, ci impiegherò solo qualche minuto.» Abbassò la testa per non picchiarla contro l'architrave di castagno ed entrò nella stanza ignorando le proteste non molto convinte del monaco. Il pavimento era sconnesso e le tavole scricchiolavano. Si raddrizzò e vide che la luce della lanterna conferiva alle travi un colorito dorato. Non c'era nessun tipo di mobile, solo un mucchio di coperte in prossimità della finestra. Violante e il faris sedevano vicine sul pavimento e girarono la testa appena sentirono entrare Ash. Al primo scricchiolio di tavole il mucchio di coperte fu percorso da un fremito e dalla sommità spuntò un ciuffo di capelli grigi scuriti dal sudore. Adelize si sedette e si strofinò gli occhi con il pugno paffuto. «Non sapevo che fossi qua» disse Ash, guardando il faris. «L'abate ha sistemato gli schiavi maschi in un'altra stanza. Io sono qua con le donne.» Le parole del faris erano state accompagnate dal suono del flauto proveniente da un altro punto della casa. Ash spostò lo sguardo da Violante e Adelize sulla donna che, ora più che mai, vestita da uomo, sembrava la sua gemella. «C'è una somiglianza familiare» ammise Ash con la gola secca. Non riusciva a togliere gli occhi di dosso dalla donna minorata. Adelize sedeva a terra avvolta nelle coperte dondolando al ritmo di una cantilena che le usciva dalle labbra serrate. Cominciò a battere il pugno su un ginocchio e Ash impiegò qualche secondo prima di capire che stava andando a tempo con la musica del flauto. «Lei è il motivo per il quale hanno ucciso molti di noi, giusto? Pensavano che avremmo fatto la sua fine. Ti chiedi sempre se anche tu finirai così?» Violante disse qualcosa rapidamente. «Non ti capisce, ma non le piace il tuo tono di voce» spiegò il faris. Adelize si fermò, forse disturbata dalle voci, e strinse lo stomaco cominciando a uggiolare e piagnucolare. Disse una parola. Ash, impiegò qualche altro istante prima di capire che la donna stava farfugliando la parola 'dolore'. «Cosa le è preso? Le hanno fatto del male.»
Violante disse qualcosa e il faris annuì. «Dice che Adelize ha fame e dice che Adelize non l'aveva mai patita prima d'oggi. Nelle stanze per le nascite era sempre accudita e non ha la minima idea di cosa significhi avere lo stomaco vuoto.» Ash si avvicinò alla donna accompagnata dal clangore metallico dell'armatura che echeggiava contro le pareti. Adelize si alzò in piedi barcollando e si allontanò dalle coperte. «Aspetta...» Ash si fermò. «Non voglio farti del male, Adelize. Non voglio farti del male.» «Non è vero!» Violante cominciò a sistemare le coperte intorno alla donna. Adelize alzò il vestito con noncuranza e si grattò il pelo pubico. Ash vide una ragnatela di cicatrici sulle cosce, sulla pancia e sui seni. Violante abbassò le coperte aggiungendo qualcosa in cartaginese. «Dice che Adelize ha paura dei militari.» Il faris si alzò in piedi. «La bambina ha ragione. Adelize deve aver visto pochi altri uomini a parte Leofric. A dire il vero deve aver visto pochissima gente in tutta la vita.» Ash fissò Adelize chiedendosi se c'era qualche somiglianza con lei. La donna aveva la mascella forte e gli occhi incassati nel viso carnoso. Avrebbe potuto avere un'età imprecisata tra i quaranta e i cinquant'anni. Forse era più vecchia: c'era qualcosa d'ingenuo nel contorno indistinto delle guance. Ash si sentì investire da un misto di pietà e disgusto. «Cristo!» esclamò.. «È ritardata.»244 Le coperte di Adelize si mossero e Ash vide qualcosa che si agitava tra le pieghe e in quel momento capì a cos'era dovuto l'odore che permeava l'aria della stanza. Il ratto. Violante disse qualcosa d'incomprensibile. «Cosa?» Il faris si piegò in avanti prese una coperta e l'avvolse intorno alle sue spalle. «Dice che devi portare rispetto a sua madre» tradusse il faris. Il fiato si condensò. «Sua madre?» «Violante è tua sorella e nipote» aggiunse il faris. Il sorriso che le era apparso sulle labbra inquietava Ash. «Mio padre Leofric ha fatto accoppiare nostro fratello con nostra madre. Violante è una dei figli. Ho portato due dei ragazzi con me.» «Oh, Cristo santo! Perché?» esplose Ash. La donna la ignorò e Ash ebbe un momento per riflettere. Si potrebbe 244
Nel testo originale era 'toccata da Dio', e ' Folle di Dio'.
pensare che avendo il mio stesso viso io dovrei riuscire a leggerlo bene. «Perché sei venuta qua?» le chiese il faris. «Cosa?» «Perché sei venuta qua?» domandò il faris, che, come ebbe modo di notare Ash, era riuscita a trovare il tempo per lavarsi le mani e il viso. La luce tremante della lanterna conferiva all'incarnato della donna visigota un colorito pallido. Gli occhi erano segnati da borse nere e i capelli le coprivano a stento le orecchie. La voce era roca per le lunghe spiegazioni che aveva fornito. «Sto per essere giustiziata? O durerò ancora fino a domani? Sei venuta a dirmi cosa ha deciso la duchessa Floria?» «No» disse Ash, scuotendo la testa e ignorando al tempo stesso la durezza presente nel tono di voce del faris. «Sono venuta per vedere mia madre.» Non avrebbe voluto scoprirsi così tanto di fronte a quelle persone. Le mani le si gelarono. Si tolse i guanti, li agganciò insieme e li appese all'elsa della spada. Attraversò il tappeto e si acquattò di fronte a Adelize lasciando che il fodero raschiasse il pavimento. «Non sa chi sono, vero?» chiese. «Non sa neanche chi sono io» disse il faris. «Ti aspettavi che ti riconoscesse come una figlia?» Ash non rispose immediatamente. Vicino alla donna sentiva puzza di urina e latte stantio. Adelize allungò improvvisamente un braccio e Ash scattò in piedi posando automaticamente la mano sulla daga. Adelize toccò gli stivali di cuoio, alzò lo sguardo e le disse: «Non paura! Non paura!» «Gesù!» Ash si passò una mano sul viso e quando la tolse si accorse che era umida di sudore. Uno dei ratti, quello bianco, corse sul corpo di Adelize che, divertita, cominciò a stuzzicarlo. La bestiola le leccò le dita. «Sì.» Ash distolse lo sguardo, stupita e fece qualche passo indietro trovandosi al fianco del faris. «Pensavo che potesse riconoscermi. Dovrebbe, visto che sono sua figlia e io dovrei considerarla come una madre.» Il faris strinse la mano di Ash, timidamente. «Quanti bambini ha avuto?» «Ho controllato i registri.» Il faris non tolse la mano. «Ha dato alla luce un figlio all'anno per quindici anni; poi altri tre.» «Cristo, a sentire queste cose sono quasi felice di essere sterile.» Lancio un'occhiata al faris e vide che la vista si stava appannando. «Quasi.»
Un altro ratto, molto probabilmente Leccadita, corse lungo il braccio di Adelize e si fermò sulla sua spalla. La donna inclinò il capo facendosi solleticare il volto dai baffi della bestiola senza prestare la minima attenzione ad Ash. «Lei sa che ha avuto dei bambini?» Il faris sembrò aver subito un affronto. «Lo sa e le mancano. Le piacciono le piccole creature calde. Quello che credo non sappia è che i bambini crescono. Dal momento in cui nascono le vengono tolti e dati alle balie, lei non sa che diventano uomini e donne.» «Balie?» chiese Ash. «Se li avesse allattati lei avrebbe guastato il concepimento. Ha partorito diciotto volte» le spiegò il faris. «Violante è una delle ultime e non sente il Golem di Pietra.» «Tu sì» disse Ash, secca. «Sì» confermò il faris poi sospirò. «Nessuno degli altri figli di Adelize si è dimostrato un successo... tranne me. E te, è ovvio.» Aggrottò la fronte e Ash si chiese se anche lei assumesse quell'espressione quando faceva lo stesso. «Ora, nostro padre Leofric si sta chiedendo quanti altri ne ha uccisi troppo giovani» continuò il faris. «Ha tenuto tutti i figli di Leovigild e i bambini che Adelize ha partorito questa primavera. Abbiamo due fratelli e una sorella.» Ash si rese conto che stava stringendo con forza la mano della gemella e, imbarazzata, si mise a fissare il pavimento. Sentì il respiro che si mozzava in gola e i polmoni che bruciavano. «Al diavolo, non reggo» fissò il faris. Deve avere diciannove o vent'anni, pensò e si chiese come mai, improvvisamente, le sembrava più giovane. «Non c'è bisogno di altri vent'anni prima di avere un altro faris» sentenziò Ash. La voce risuonò piatta contro le pareti della stanza. «Se Leofric non fosse pazzo da legare e se Gelimero credesse almeno a metà delle cose che gli ha detto sulle Macchine Impazzite... Forse, se daranno un'occhiata a quello che hanno combinato fino adesso, allora entro breve, primavera o estate, avremo un'altra come te.» «Lascia che ti dica cosa succederebbe se il califfo Gelimero credesse all'esistenza delle Macchine Impazzite. Le considererebbe una forma superiore, un'evoluzione del Golem di Pietra. Penserebbe che si tratta delle voci sagge della guerra che lo consigliano sui metodi per espandere l'impero a tutte le terre civilizzate. Lui cercherebbe il modo per costruire altri Golem di Pietra e allevare altre come me in modo da non avere solo un generale e
una machina rei militaris, ma dozzine.» «Cristo santo!» Ash lasciò andare la mano del faris. «La casata dei Leofric potrebbe costruire un altro Golem di Pietra?» chiese senza togliere gli occhi di dosso al faris. «Non è del tutto impossibile. Ci vorrebbe del tempo e che mio padre Leofric rimanga vivo.» «Gesù!» esclamò Ash, consapevole dell'aria fredda che le gelava le dita, delle stelle fuori dalla finestra, e dell'odore dei corpi sporchi reso meno intenso dal freddo. «Ai Turchi non piacerà affatto. A nessuno piacerà. Una macchina in grado di parlare con i grandi demoni della guerra del Sud... non avranno pace finché non ne avranno una anche loro. Lo stesso vale per i Francesi, gli Inglesi e i Russi...» «Sempre che le nostre conoscenze non vadano perdute, Leofric muoia e la casata venga distrutta, in modo che esista solo un Golem di Pietra...» «Non avranno pace finché non avranno conquistato l'Africa, preso Cartagine e l'avranno rasa al suolo.» «Ma Gelimero non ci crede. Crede che si tratti solo di un complotto dei Leofric.» Il faris rabbrividì. «E io non ho più nulla a che fare con la fortuna dell'impero visigoto, vero? Non mi rimane altro da fare che stare seduta e chiedermi se domani mattina verrò uccisa.» «Non credo, hai fornito a de la Marche un sacco d'informazioni utili.» Sapeva di essere falsa. Sono nella stanza con questa donna, pensò distogliendo lo sguardo da Adelize. Lei è disarmata io ho la spada e la daga. Se la sua morte fosse un fait accompli, Florian non potrebbe fare altro che accettarlo e basta. Probabilmente non ci sarebbe nessuna guerra civile. Non si mosse. Si sentiva troppo indecisa. Ucciderla di fronte alla madre e alla sorella? A mia sorella? Lei è mia sorella. Questo è troppo, è sempre sangue del mio sangue. Provò una fortissima sensazione di rilassamento. «Non hai già abbastanza problemi senza doverti preoccupare anche che tua sorella ti uccida, faris? Non lo farò. In questo momento non posso, ma so che potrei.» Si passò la mano sul viso poi guardò la gemella. «Si tratta di Florian, capisci. Lei è in pericolo e io non posso lasciare che questa situazione si trascini.» Sentiva di avere una certa difficoltà nel pronunciare le parole e scoprì che stava agitando le braccia. «Le puoi tenere lontane?»
«Le Macchine Impazzite?» «Tenerle lontane e non ascoltarle?» L'espressione sul volto del faris, appena visibile alla luce della lampada passò dalla paura alla confusione. «Le... sento. Ho detto al califfo-re che non sento più il Golem di Pietra ed è vero. Sono cinque settimane che non lo contatto, ma lo sento e tramite lui sento le Macchine Impazzite... c'è una sensazione di...» «Pressione» concluse Ash. «Come se qualcuno ti stesse costringendo.» «Non sei riuscita a contrastarle quando a Cartagine ti parlarono attraverso il Golem di Pietra» disse il faris tranquilla. «E il loro potere sta crescendo, l'oscurità dilaga. Mi raggiungeranno e mi useranno per cambiare...» «Sempre che Florian muoia.» Ash si acquattò di nuovo e posò delicatamente una mano sui capelli unti di Adelize. La donna si irrigidì e Ash cominciò ad accarezzarla delicatamente. «Si tratta di Florian, non posso permetterti di essere un pericolo per lei. Se tu rimani in vita e le Macchine Impazzite ti usano...» «Mentre cingevo d'assedio la città ho provato a rompere il legame con la machina rei militaris» ammise il faris. «Ho usato un prete schiavo, così se fosse stato interrogato nessuno gli avrebbe creduto. Ha pregato, ma la voce delle macchine ha continuato a rimanere con me.» «Anch'io ho fatto la stessa cosa.» Ash smise di carezzare i capelli della madre. «E anche per me non ha funzionato!» Le due donne si presero per mano e risero di gusto. Adelize lasciò vagare lo sguardo su di loro. «Uguali!» gracchiò, trionfante. Indicò prima un viso poi l'altro. «Uguali!» Ash si morse la lingua e sentì il sapore metallico del sangue. Dimmi che sai chi sono, pensò. La donna grassa allungò una mano e accarezzò il volto del faris, quindi spostò la mano verso Ash che sentì lo stomaco torcersi. Le dita morbide e grassocce le accarezzarono la pelle, si fermarono esitanti a contatto delle cicatrici e si ritrassero. «Uguali?» chiese Adelize. Ash sentì gli occhi che si inumidivano, ma non pianse. Toccò delicatamente la mano di Adelize e si alzò in piedi. «Può darsi che ci siano anche altre persone come te» disse Ash «ma se tu fossi tornata a Cartagine e avessi distrutto la machina rei militaris avresti tagliato fuori le Macchine Impazzite. Avrebbero dovuto aspettare la
nascita di un altro Gundobad o di un altro Radonic per costruire un'altra macchina. E quello è più difficile che allevare mocciosi.» «Gli uomini che sono stati con me in Iberia e mi conoscono da anni mi avrebbero seguita, ma la maggior parte non l'avrebbe fatto. Cartagine è ben preparata ad affrontare il ritorno dei generali vittoriosi che vogliono spodestare il califfo-re.» «Avresti potuto provarci!» Ash sorrise, poi scosse la testa, mesta. «Va bene, va bene, capisco il tuo punto di vista. Ma se avessi distrutto il Golem di Pietra adesso non dovrei stare qua a pensare se è necessario o no uccidere mia sorella.» «Non uccidere!» rispose Adelize, furiosa. Ash abbassò lo sguardo stupita. Violante si era chinata a fianco di Adelize e le aveva sussurrato la traduzione all'orecchio. La donna ritardata aveva indicato Ash fissandola in cagnesco poi aveva indicato il faris. «Non uccidere!» ripeté. Ash si sentì male. C'è qualcosa che non va nel mio cuore, pensò. Strinse il pugno e lo premette contro l'armatura all'altezza del petto come se quel gesto potesse darle sollievo. Allungò una mano per arruffare i capelli di Violante, ma la bambina si ritrasse. Toccò la mano di Adelize, quindi si girò e uscì dalla stanza e dalla casa dell'abate senza dire niente a nessuno ricominciando a parlare solo quando raggiunse le stanze di Floria a palazzo. «Sono qua per vedere Florian.» Jeanne Châlon lanciò un'occhiata alla porta di quercia. «Non sta bene, non potete vederla.» «Posso, eccome se posso.» Ash appoggiò un braccio contro la porta. «Avete intenzione di fermarmi?» Una delle cameriere, Tilde, fece capolino da dietro la spalla di Jeanne. «Non sta bene, demoiselle, capitano. Dovremo chiedere a sieur de la Marche di venire domani.» «Non sta bene?» Ash tornò del tutto in sé. «Cosa c'è che non va?» Tilde, visibilmente imbarazzata, lanciò un'occhiata a Jeanne Châlon. «Capitano-generale...» «Ho chiesto cosa c'è che non va? Che malattia ha?... non fateci caso.» Ash spostò le due donne, ignorò gli altri servitori e cameriere facendosi spazio a spallate lasciandoli a discutere con la sua scorta. Si avvicinò al letto ducale e aprì le tende del baldacchino. Il puzzo d'alcool la fece tossire.
La duchessa Floria giaceva sul letto vestita da uomo. La bocca era aperta e la saliva colava copiosa sulle lenzuola. L'odore di alcool era fortissimo. Ash la fissò e Floria cominciò a russare. «Oggi pomeriggio è andata sulle mura, giusto?» Il volto cereo di Jeanne Châlon apparve a fianco di Ash. «Le avevo detto di non andare, che non era bene che una donna vedesse cosa succedeva quando Dio stesso ci voltava le spalle. Ma, come d'altronde ha fatto per tutta la vita, non mi ha ascoltata.» «Questa notizia mi rallegra» commentò Ash, chinandosi in avanti per tirare la pelliccia di lupo sulle gambe della donna. «Solo che questa volta avrebbe dovuto darvi retta. Quando ha cominciato a bere?» «Dal tramonto.» Dal massacro degli ostaggi, pensò Ash. «Non lo farà di nuovo.» Ash arricciò le labbra. «Non c'è più vino. Se si sveglia mandatela da me, se non lo fa... non disturbatela.» Ash camminava pensierosa verso la torre della compagnia, cosciente della presenza di Ludmilla Rostovnaya e la sua scorta. Gli uomini chiacchieravano tra loro. La gamba le doleva e pulsava e si sentiva molto stanca. Fu solo quando sentì il freddo pungente della notte che tornò allerta. Il Gran Carro era sparito. Ancora poche ore e il giorno di Cristo sarebbe finito e avrebbero assistito all'alba di santo Stefano. Un fulmine blu balenò nel cielo attraversandolo ad alta velocità. «Arriva!» Un proiettile di Fuoco Greco compì l'ultima parte della traiettoria ad arco sibilando e si schiantò nella piazza spargendo il suo carico di fiamme sul selciato. Un uomo uscì da dietro un angolo avvolto nel fuoco azzurro. Merda! pensò Ash. Gelimero ha perso il suo generale e adesso non ha intenzione di mantenere la tregua...? Un altro proiettile volò oltre le mura della città cadendo chissà dove. «State al coperto!» ordinò Ash, arretrando rapidamente al riparo del cancello del palazzo. Un terzo colpo, una pietra, fece tremare la strada. «Stronzi!» Rostovnaya mormorò qualcosa di caustico all'indirizzo dei puntatori visigoti e i suoi uomini borbottarono espressioni d'assenso. «Pure il giorno della Messa di Cristo! Capo, io pensavo che la tregua durasse fino a domani. Fino a che lord Fernando non tornasse al campo nemico!» Ash si sforzò di sentire se l'aria fredda portava altri rumori e si rese conto che i Visigoti non stavano prendendo di mira altri quartieri della città. Macchine d'assedio visigote, posizionamento e munizionamento, ordini
riguardanti un assalto della fanteria! pensò Ash, poi scosse la testa. Anche se avesse potuto parlare con il Golem di Pietra non le sarebbe servito a nulla. I suoi rapporti dipendevano dalle notizie che riceveva dai corrieri e quelle che doveva avere attualmente a disposizione dovevano essere vecchie di due o tre settimane. Questo significa che neanche Gelimero può usarlo per ricevere consigli tattici da impiegare contro di noi. Le Macchine Impazzite possono usarlo, ma lui no. E Godfrey lo sentirebbe. Piccole grazie... Ash si paralizzò, stupefatta. «Capitano?» la interrogò Ludmilla Rostovnaya col tono di voce di chi aveva appena finito un discorso. «Cosa?» Ash si era appena resa conto che non sentiva più il bombardamento: quei colpi non erano l'inizio del fuoco di sbarramento che precedeva l'attacco, erano solo lo sfogo di un gruppo di serventi appartenenti ai contingenti mercenari, ai pezzi annoiati. Quello che aveva appena compreso bloccò ogni sensazione di sollievo che poteva provare all'idea che la tregua non fosse finita. «Dobbiamo tornare alla torre?» chiese la donna arciere russa, fissando la piazza illuminata dalle fiamme. Nessun altro impatto aveva scosso il terreno. «Capitano? Cosa succede?» «Ho... appena capito una cosa e non riesco a capire come mai non ci ho pensato prima.» III Il cinghiale femmina annusava la neve agitando rapidamente la codina. Ash osservò il naso smuovere il soffice manto di neve per mettere a nudo la crosta ghiacciata sottostante e un ciuffo di foglie nere. L'animale grugnì soddisfatto e cominciò a mangiare. Un uomo con la barba color grano abbassò il cappuccio e si girò a fissarla. «Ash.» «Godfrey.» Era sfinita, ma si rendeva ancora conto di essere sdraiata sul pagliericcio di fianco al camino della torre, circondata dal rumore dei paggi che svaniva a mano a mano che il sonno la richiamava e che stava parlando ad alta voce nella sua testa.
Il sogno le riportò l'immagine chiara e precisa di un uomo robusto dal petto largo con i piedi rugosi e nudi sotto i lembi del saio. Alcuni peli della barba cominciavano a sbiancare e le rughe cominciavano a evidenziare i lati della bocca e degli occhi. Un volto segnato dalle intemperie, occhi tenuti socchiusi a lungo per proteggersi dalla luce dell'inverno o dell'estate. «Quando ti ho incontrato la prima volta eri poco più vecchio di me in questo momento» disse Ash. «Gesù, mi sembra di avere cent'anni.» «E scommetto che devi anche avere l'aspetto di una centenaria.» Ash represse una risata. «Non hai nessun rispetto, Godfrey.» «Per una mercenaria bastarda? Certo che no.» Il Godfrey onirico si acquattò nelle neve puntellandosi con una mano e ignorando al tempo stesso il ghiaccio che irrigidiva i lembi del vestito. Ash lo osservò abbassare la testa - spalle basse e sedere in alto - per guardare in mezzo alle gambe di un cucciolo di cinghiale di tre settimane. «Che cazzo stai facendo, Godfrey?» «Cerco di capire se è un maschio o una scrofa. Le scrofe hanno un pessimo carattere.» «Godfrey, non posso credere che tu abbia passato la tua infanzia nella Foresta Nera a guardare su per il culo dei cinghiali!» «È una scrofa.» La bestia sentì Godfrey che si avvicinava e alzò il muso. Ash vide gli occhi castano scuro della scrofa che fissavano con sospetto Godfrey che nel frattempo aveva cominciato a parlarle. Il monologo andò avanti per un lasso di tempo imprecisato, poi Ash vide il Godfrey onirico che allungava una mano con cautela. La scrofa tornò a cercare il cibo nella neve e la mano dell'uomo cominciò a carezzarla dietro il collo, in un punto il cui il vello invernale era sostituito da uno strato di pelo più morbido. La bestia alzò il muso ed emise uno sbuffo deliziato e basso. Il prete aumentò la pressione della mano. La femmina si lasciò cadere di fianco nelle neve, grugnendo di piacere mentre l'uomo continuava a grattarla. «Godfrey, secondo me tu sei stato allattato da un cinghiale come accadde a Nostro Signore!» «Ti benedico, figliola» disse Godfrey, senza smettere di grattare la scrofa. «Ho salvato le bestie selvatiche create da Dio per tutta la vita.» La capigliatura era striata qua e là di bianco. Il prete prese la croce che portava al petto con la mano libera. Era una mano larga e coperta di cicatrici: la mano di un lavoratore. Gli occhi erano dello stesso colore di quelli del cinghiale e ogni dettaglio del viso era ancora chiaro, come se non l'a-
vesse visto per mesi e lui le fosse improvvisamente riapparso davanti. «Una pensa sempre di ricordare il viso» sussurrò Ash. «Ma è la prima cosa che si dimentica.» «Pensi che ci sia sempre tempo.» «Cerchi di fissarlo tra i ricordi...» Ash si agitò sul materasso. L'immagine di Godfrey nella neve cominciò a sparire simile all'acqua assorbita dalla sabbia. Ash cercò di trattenerla, ma sentiva che le scivolava via. «Ash?» «Godfrey?» «Non so dire quanto tempo è passato dall'ultima volta che ci siamo parlati.» «Pochi giorni.» Ash si girò sulla schiena posando un braccio di traverso sugli occhi. Sentì la voce di Rickard che diceva a qualcuno che il capitanogenerale non era disponile per almeno un'altra ora. «È la sera della Messa di Cristo, o forse sono già le prime ore di santo Stefano; non ho sentito le campane suonare il Mattutino. Ho avuto paura di parlare con te nel caso che le Macchine Impazzite...» si interruppe. «Le senti ancora, Godfrey. Dove sono?» In quella parte di lei che aveva sempre condiviso con la machina rei militaris, Ash sentì una presenza confortante che lei associava con Godfrey. Non sentiva nessun altro tipo di voce eccettuata quella del prete, anche il lontano chiacchiericcio nella lingua di Gundobad era assente. «Dove sono?» «L'inferno è silente.» «L'inferno sia dannato! Voglio sapere cosa fanno le Macchine Impazzite. Parla, Godfrey.» «Ti chiedo scusa, figliola.» La voce del prete onirico era venata da un che di divertito. «Nessun umano ha parlato con il Golem di Pietra durante l'arco di tempo che mi hai indicato... un mese, forse qualche giorno in più. In un primo tempo le lamentazioni dei grandi diavoli furono forti, poi la loro furia mi assordò, figliola. Ho pensato che tu stessi sentendo, poi mi sono reso conto che stavano scaricando la loro ira contro il faris, dopodiché si sono zittiti.» «Davvero?» Si stirò e aprì brevemente gli occhi lanciando una rapida occhiata alle travi del soffitto immerse nella penombra. Era completamente vestita, in caso di allarme. «Non hanno intenzione di mollare il faris, stanno solo aspettando il mo-
mento giusto. Nessuno altro ha usato il Golem di Pietra? Il califfo-re?» La voce di Godfrey sembrò echeggiare come una risata nella sua anima. «Gli schiavi del califfo Gelimero gli parlano, ma come fanno gli uomini... non come il faris. Gli fanno domande sulle tattiche più giuste da impiegare. Se mi chiedi informazioni, loro dedurranno quello che ti spaventa. Il califfo ha molta paura di questa crociata che gli sta sfuggendo di mano: è come un cavallo da guerra che non riesce più a controllare. Vorrei provare un po' di carità divina per lui, ma nel mio cuore trovo solo gioia per le sue tribolazioni. Non sono sicuro che il califfo comprenda a pieno le risposte del Golem di Pietra.» «Spero proprio che tu abbia ragione. Come mai sei così contento a riguardo?» «Mi sei mancata, Ash.» Lei sentì la gola che cominciava a far male. La voce del prete era colma di fiducia ed eccitazione. «Avevi giurato che mi avresti riportato a casa. Che mi avresti salvato. Figliola, so che non mi avresti contattato se non avessi trovato un modo per tenere fede alla tua promessa. Sei venuta a salvarmi da questo inferno, vero?» Ash si sedette sul materasso e fece cenno a Rickard di uscire, dopodiché si avvolse nelle coperte dimenandosi fino quasi a mettere i piedi nel camino. «Ho giurato un mucchio di cose» disse Ash, secca. «Ho giurato che avrei distrutto le Macchine Impazzite quando sei morto nel terremoto e durante l'incoronazione tu avevi giurato che saresti sempre stato con me, ma questo non ti ha impedito di morire. Alle volte facciamo promesse che non possiamo mantenere.» «Ash?» «Almeno non ho mai giurato di riportare indietro il tuo cadavere per il funerale, perché sapevo che era impossibile.» «Quando ho cercato di farti fuggire dalla prigione in casa di Leofric prima di scoprire che avresti dovuto cavalcare con Fernando del Guiz, giurai che non saresti mai stata da sola. Ricordi? Ho mantenuto quella promessa e continuerò a farlo. Mi senti e lo farai sempre: non ti lascerò mai. Di questo puoi essere certa.» Il dolore nella gola si espanse e lei si strofinò il dorso della mano sugli occhi. Cercò di ignorare il dolore con uno sforzo di volontà. Le lacrime che colavano dagli occhi sfocavano l'immagine delle braci
ardenti nel camino. Strinse i pugni e piantò le unghie nel palmo della mano. Le lacrime cominciarono a scendere copiose e il respiro si fece concitato. «Ash?» «Non posso salvarti! Non so come fare!» Il silenzio pervase per qualche attimo la sua mente. «Posso perdonarti di non aver mantenuto una promessa per una volta. Ricordi quando ti dissi che aver lasciato la Chiesa per viaggiare con te mi ha ripagato di ogni dolore che mi è stato inferto? Allora ti amavo come poteva fare un uomo. Ora sono solo un'anima priva di corpo, e ti amo ancora. Tu vali tutto questo, Ash.» «Non l'ho mai meritato!» «Non c'entra nulla... il mio amore per te non deriva da questo, nonostante tu sia sempre stata buona e gentile con me. Ti amo per quello che sei. Ho amato la tua anima prima ancora di amarti come donna. «Taci! Cristo!» «Te l'ho detto. Non rimpiango nulla. L'unica cosa che mi dispiace è che non ho ancora la tua fiducia.» «Ma io ho fiducia in te.» Ash si coprì il viso con le mani e appoggiò la testa sulle ginocchia. «Ho fiducia in te. Se ti chiedo di fare qualcosa, so che lo farai. Ed è questo che rende duro... impossibile chiedere.» «Cosa puoi chiedermi che io non farei per te?» La voce di Godfrey acquistò una sfumatura timida. «Non che possa fare molto in questo stato, figliola, ma chiedi e se posso vedrò di farlo.» Cercò di bloccare in tutti i modi i singhiozzi, ma non ci riuscì e premette le mani contro la bocca per soffocarli. «Non... hai ancora... capito...» «Capo?» Aprì gli occhi e vide Rickard accucciato di fianco a lei. Il ragazzo era visibilmente preoccupato. Ash sentiva gli occhi che bruciavano a causa delle lacrime. Cercò di rispondere, ma il groppo alla gola le impediva di parlare. «Hai bisogno di qualcosa?» Rickard si guardò intorno impotente. «Cosa?» «Mettiti di fronte alla porta. Nessuno deve...» La voce era grave. «Nessuno deve entrare finché non lo dico io. Non mi importa di chi si tratta.» «Stai tranquilla, capo.» Il giovane si alzò in piedi. Indossava un'armatura che non era sua e dal fianco pendeva la spada.
Non era quell'abbigliamento che lo faceva sembrare più maturo rispetto a quando erano a Neuss, ma il modo di fare attento. «Grazie, Rickard.» «Se hai bisogno di qualcosa, capo, chiama» le disse, fiero. «Posso...» «No!» Ash prese un fazzoletto sporco e lo passò sul viso. «No. È una mia decisione e ti chiamerò quando servirai.» «Stai parlando con san Godfrey?» Cominciò a piangere spinta da un impulso incontrollabile. Perché? pensò. Non è da me. Io non piango. «Vai, Rickard.» Appallottolò il fazzoletto e lo posò sugli occhi. «Lo giuro figliola, puoi chiedermi qualsiasi cosa.» La voce di Godfrey Maximillian risuonò sincera nella sua mente. Ash premette con forza il fazzoletto contro gli occhi e dopo un secondo si sedette più dritta e fissò le braci che si spegnevano lentamente. «Già, ricordi? Mi hai chiesto aiuto e io non sono riuscita a dartelo. Godfrey, sto per chiederti qualcosa, o, se preferisci, sto per impartirti un ordine.» «Stai piangendo? Ash, piccola, cosa succede?» «Ascolta, Godfrey. Ascolta e basta.» Prese fiato. Rischiò di ricominciare a singhiozzare, ma si trattenne e strinse il fazzoletto fino a sbiancare le nocche delle dita. «Ora tu sei la machina rei militaris» cominciò, riguadagnando il controllo della voce. «O almeno parte di essa.» «Credo di essere come l'ordito e la trama di un abito... ho pensato a lungo alla mia condizione. Perché tutto questo dolore?» «Ti ricordi quello che ti dissi mentre cavalcavamo fuori Cartagine?» «Non in maniera particolare.» Il respiro tremò e Ash si interruppe. «Stavamo scherzando e io ti chiesi un piccolo miracolo: 'Prega affinché il Golem di Pietra finisca a pezzi' o qualcosa di simile, non ricordo bene. Da allora non ho fatto altro che pensare al faris, a come ucciderlo e fermare le Macchine Impazzite.» «Non sta parlando con loro anche se credo che le senta quando si rivolgono a lei.» «Il faris non è importante.» Ash riaprì gli occhi e solo allora si rese conto che aveva cercato rifugio nell'oscurità. Prese un pezzo di legno e lo infilò tra le braci. «Sarebbe meglio ucciderla, per sicurezza, ma non posso farlo io. La giustizieranno, ma questo non è importante. Le Macchine Im-
pazzite possono spiegare a Leofric e alla sua famiglia come far nascere un secondo faris, sempre che non gliel'abbiano già detto. Il Golem di Pietra è l'elemento veramente importante.» Godfrey non disse nulla, ma Ash sentiva che aspettava il seguito. «Dobbiamo distruggere le Macchine Impazzite. Potremmo farlo militarmente, ma solo tra un anno, e non abbiamo tutto questo tempo. Possiamo uccidere mia sorella.» Ash sentì che la voce era nuovamente scossa da un tremito. «Ma non guadagneremmo molto tempo e la Borgogna sarebbe ridotta a una distesa desolata molto prima.» «Non dirmi nulla! Se i grandi diavoli sono in ascolto...» «Ascoltami tu, Godfrey. Il Golem di Pietra è la chiave. È tramite quella macchina che loro parlano a Leofric e alla sua famiglia. È il canale che useranno per risucchiare il potere del sole per il loro miracolo.» «Sì.» Il Godfrey onirico sembrava interdetto, ma non sulla difensiva. Ash sentiva le mani che tremavano e le pulì dalla cenere. «Uno dei motivi per il quale non ho più preso in considerazione il Golem di Pietra è che si trova a Cartagine protetto dall'esercito di Gelimero» spiegò Ash, in tono calmo, ma autoritario.«Abbiamo fallito un'incursione e non credo che potremmo compierne una seconda. Stavo pensando.» Sentì un groppo alla gola. Il fuoco scoppiettò e Ash sussultò strofinandosi il viso con le mani sporche. «Godfrey, è possibile attaccare il Golem di Pietra senza che io lo raggiunga direttamente. Nessuno di noi ha bisogno di farlo perché tu sei al suo interno. Tu ne sei parte integrante.» «Ash...» Penserò a lui come a un frammento disincarnato, a uno spirito inquieto e non come all'uomo che ho amato come un fratello e un padre da quando posso ricordare, si disse. «Fai un ultimo piccolo miracolo» chiese Ash. «Distruggi il Golem di Pietra. Interrompi il legame tra quella macchina e mia sorella. Richiama gli elementi su di te. Richiama il fulmine affinché fonda tutto in un inutile blocco di sabbia e vetro!» Il luogo della sua anima preposto a parlare con Godfrey rimase silenzioso. Ash sentiva i battiti del cuore che le facevano tremare il corpo. «Oh, Ash...» Ash sentiva il petto che doleva e l'angoscia che non voleva andarsene. «Sei un prete. Puoi richiamare il fulmine.»
«Il suicidio è peccato.» «Ecco perché ti do un ordine e non te lo chiedo.» Il respiro stava trasformandosi in qualcosa che era una via di mezzo tra una risata e un singhiozzo. «Sapevo che l'avresti detto. Ci ho pensato bene e non voglio che tu sia dannato. Nel momento in cui mi sono resa conto che era possibile, ho capito che doveva essere qualcun altro a ordinarlo. La responsabilità è mia; solo mia.» Una ventata d'aria gelida la raggiunse penetrando dal camino e Ash si strinse nelle pellicce. Sentì il suono del metallo che raschiava contro la pietra oltre la porta: era la spada di Rickard. In lontananza qualcuno stava parlando. Nella sua testa, il silenzio. «Suppongo che il motivo per il quale non ci ho pensato prima» continuò Ash, tranquilla «è che sapevo cosa sarebbe successo. Ti conosco. Sei morto per salvare la vita di Annibale Valzacchi e quanto ti ho chiesto, per Dio, è molto più importante che la vita di un uomo solo.» «Sì, è molto più importante che la vita di un solo uomo!» «Non intendevo la tua...» Ash si interruppe. «Io... sì, era quello che volevo dire, ma questo taglierà fuori del tutto le Macchine Impazzite. Saranno sorde e prive di potere finché qualcun altro non costruirà una macchina per parlare con loro. Ci vorranno secoli. È vero, è più importante di una sola vita, ma si tratta di te...» Il vento fece tremare le imposte. La luce delle stelle penetrava debolmente attraverso le crepe del legno illuminando appena il trespolo per appendere l'armatura, il baule e l'attrezzatura di riserva. La solitudine che provava in quel momento era molto forte. «Ho ordinato a molte persone di andare prendere posizioni in luoghi dove sicuramente sarebbero morte» continuò Ash, con convinzione. «Ma solo adesso mi rendo conto di quanto può essere dura una simile decisione. Perderti una volta è stato già abbastanza duro.» «Non so se può essere fatto, ma pregherò la grazia di Dio e ci proverò.» «Godfrey...» Ash sentì lo stupore, la paura, la determinazione e il coraggio di quell'essenza di Godfrey pervaderla. «Non mi abbandonerai.» «No.» «Dio ti benedica. Se ti ama quanto ti ho amato io, Egli ti darà una vita in cielo priva di dolore. Ora...»
«Non ancora, Godfrey...» «Vuoi che diventi un mio peccato? Se aspetto troppo non avrò più il coraggio di farlo. Devo farlo adesso.» Ash avrebbe voluto dirgli di mandare tutto al diavolo e che non le importava nulla di quello che sarebbe successo. Avrebbe voluto dire che avrebbe trovato un modo per salvarlo e farlo tornare umano. Cosa gliene importava del mondo? Lui era Godfrey. La vista le si appannò a causa delle lacrime. Cosa posso darti oltre quello che sono? pensò. Posso solo prendermi la responsabilità di quello che è successo. Sentì la voce di Godfrey echeggiare nel centro della sua anima. «Per la Grazia di Dio e per l'amore che ho sempre avuto per le Tue creature, io Ti imploro di ascoltarmi e adempiere alla mia preghiera.» Era la stessa voce che aveva ascoltato centinaia di volte alle Laudi, ai Vespri e al Mattutino. La stessa voce che sul campo aveva accompagnato alla morte. Era la stessa voce che, ancora bambina, le aveva parlato nei mesi dopo essere andata via da santa Herlaine, quando l'oscurità la teneva sveglia e tremebonda per tutta la notte. «Sono qua» lo rassicurò. «Sono qua.» La voce nella sua mente cominciava a dare segni di cedimento e paura. «Anche se morirò non sarò morto; io sarò con Te, Mio Signore e con i Tuoi Santi. Questa è la mia fede e la proclamo. Mio Signore, di fronte al quale nessuna armatura può reggere, la cui arte è più forte di ogni spada... invia il fuoco!» «Godfrey! Godfrey!» C'era una cosa che Ash ricordava ancora bene della battaglia di Molinella: il momento in cui una palla di cannone esplode contro il bersaglio è cancellato dalla memoria. Solo in seguito si è in grado di ricostruire quanto successo. Risentì in bocca il sapore della polvere di mattone e l'odore dei tulipani. Sentì una fitta di dolore alla mano e la ritrasse dal fuoco del camino. Non si trovava in Italia in primavera, ma era in Borgogna in pieno solstizio d'inverno. Appoggiò una mano per sollevarsi e si accorse di essersi sdraiata a pancia sotto. Si era fatta la pipì addosso e aveva morso le labbra con tanta forza da farle sanguinare. «Godfrey...» Il sangue colava sul materasso macchiando le coperte. Sentì le braccia che cominciavano a tremare, non ce la facevano a reggere il peso. Ricadde
a pancia sotto tremando e il viso grattò contro il tessuto ruvido delle lenzuola. Le orecchie fischiavano e il corpo le tremava come se fosse stata fisicamente presente all'impatto. «Godfrey?» «Capo!» Rickard entrò nella stanza e la girò. «Sto bene» rassicurò Rickard, mentre si sedeva tremante. Il ragazzo aveva già visto cosa succedeva in battaglia e lei non provava vergogna per il fatto che lui la stesse vedendo in quello stato. Ash si guardò intorno, attonita. «Godfrey...» «Cosa è successo?» chiese Rickard. «Capo?» «L'ho sentito morire.» Le tremava la voce. «È fatta. L'ho costretto a farlo. Gesù, sono stata io.» Sentì una fitta di dolore al petto. Cercò di bloccare il tremito alle mani stringendo i pugni, ma non servì a nulla. Il volto si contrasse in una smorfia, dopodiché Ash cominciò a singhiozzare. Non si accorse che Rickard, spaventato, era corso a chiamare aiuto. Fu solo quando una paio di mani diverse da quelle del suo paggio la strinsero con forza che si rese conto dell'arrivo di qualcun altro. Stava piangendo, puzzava, non ragionava e non riusciva a dire nulla. Singhiozzava e basta. L'uomo la strinse con forza e lei ricambiò l'abbraccio. «Avanti, ragazza! Rispondi! Cosa è successo?» «No...» «Adesso» insistette la voce. Una voce abituata a impartire ordini: Robert Anselm. «Sto bene» riuscì a dire Ash e lo allontanò quel tanto che bastava per riuscire a stringergli le mani. «Non puoi fare niente.» Robert Anselm la esaminò con attenzione. L'Inglese era senza armatura e indossava un abito lungo fino alle ginocchia macchiato e chiuso da una cintura all'altezza della pancia gonfiata dalla birra. La luce del camino conferiva un'aria grottesca alla testa rasata e alle orecchie, mettendo in penombra gli occhi. «Cos'è questa storia di Godfrey? Cosa gli è successo?» le chiese. «È morto» disse Ash con gli occhi ancora umidi di pianto. Strinse con forza la mano di Anselm. «L'ho perso due volte. Gesù.» «Godfrey?» domandò, cercando un contatto con la voce che era stata parte di lei dal giorno di Molinella. Niente. Sentì le lacrime che riprendevano a solcare le guance, ma questa volta
erano un'espressione di sollievo. Il dolore alla gola divenne più forte. «Duemila soldati in posizione difensiva all'interno di una città assediata: tre legioni pronte ad attaccare, opzioni?» Niente. «Avanti, bastardi. So che ci siete. Parlate!» Non ci fu nessuna sensazione di pressione. Nessuna voce che borbottava il linguaggio del profeta Gundobad. Niente esplosioni di rabbia assordante che davano l'impressione di poter far crollare le mura del palazzo. Solo un silenzio sordo e piatto. Per la prima volta da quando era adulta, Ash era priva delle voci. Ho perduto quello che mi rendeva unica, le fece notare la parte egoistica della sua mente. Ash sorrise in parte disgustata di sé e in parte per accettare quanto appena compiuto. Aprì gli occhi e abbassò i lembi dell'abito per nascondere il fatto che si era pisciata addosso. Si raddrizzò e vide che nella stanza erano entrati Angelotti, Geraint, Euen, Thomas Rochester, Ludmilla e una dozzina di altri ufficiali. Tutti la fissavano considerandola una donna con un gran talento per gli affari e la guerra. «Il Golem di Pietra è stato distrutto. Fuso» annunciò. Gli uomini si guardarono silenziosamente tra di loro, troppo stupiti dalla notizia per gioire e credere nella vittoria. «È stato Godfrey» spiegò. «Ha richiamato un fulmine sulla casa di Leofric. Ho sentito il colpo. Lui... è morto nell'attacco, ma il Golem di Pietra è andato. Le Macchine Impazzite sono tagliate fuori. Siamo al sicuro.» IV «Certo» disse Anselm, ironico «con questo siamo al sicuro dalle Macchine Impazzite, ma non dalle tre legioni fuori dalle mura!» Per quasi un'ora altri comandanti di lancia erano arrivati nell'alloggio di Ash insieme ad alcuni centeniers. Henri Brant e Wat Rodway avevano stappato alcune bottiglie di un liquore che aveva un sapore indescrivibile, ma che scaldava la bocca e lo stomaco. I festeggiamenti continuavano anche negli altri due piani più bassi. Ash poteva sentire le urla. «La tregua tiene ancora. Ve l'avevo detto. Stiamo cominciando a respingerli e ci fermeremo solo a Cartagine.» Era una frase che più che altro pronunciava a beneficio di Jussey, Lacombe, Loyecte e de la Marche. Ash si era ripulita e ora beveva con i suoi
uomini. I festeggiamenti divennero più frenetici. I volti si arrossavano. Euen Huw e Geraint ab Morgan urlavano gioiosi in gallese. Gli artiglieri di Angelotti bevevano vicino al fuoco. Qualcuno chiamò Carracci e il suo flauto. Baldina e Ludmilla Rostovnaya cominciarono una gara a chi beveva di più. Ash toccò un braccio di Robert Anselm e gli disse. «Vado a santo Stefano.» L'Inglese aggrottò la fronte, poi annuì: era troppo impegnato a festeggiare con due donne. Ash uscì dalla torre e, malgrado avesse indossato uno spesso mantello con il cappuccio e camminasse a passo spedito con le spalle curve, rabbrividì. La sua scorta, che fino a pochi attimi prima era stata al caldo nella torre, cominciò a imprecare. Uno strato di ghiaccio nero ricopriva il selciato e Ash rischiò di cadere quattro volte prima di raggiungere l'abbazia. Una luce gialla splendeva oltre le alte vetrate in stile gotico. Ash entrò nell'edificio nel momento stesso in cui la campana suonava le Laudi. La scorta si affollò dietro di lei che si inginocchiò alle spalle dei monaci che cominciavano a cantare l'ufficio. Una volta mi dicesti che ero una pagana, pensò Ash, rivolgendosi mentalmente a Godfrey. Avevi ragione. Non mi importa nulla di tutto questo. Si scoprì ad attendere la risposta. Terminato l'ufficio, Ash si diresse verso la casa dell'abate. «Non è necessario disturbarlo,» disse al diacono che non sembrava volerlo fare «so dove andare. Se avete del cibo in dispensa i miei uomini vi sarebbero grati se lo condivideste con loro.» «Siamo troppo poveri. Le razioni migliori vanno ai soldati.» «Perché vi teniamo vivi» borbottò uno degli uomini di Ludmilla, prima di essere zittito dall'occhiataccia di Ash. «Ci impiegherò solo qualche minuto.» Mentre saliva le scale non si chiese come mai era andata là, ma appena il monaco che sorvegliava la porta le diede una lampada e la fece entrare, capì il motivo della visita. Il faris era ferma di fronte alla finestra e le stelle del Nord splendevano alle sue spalle. Il viso stanco e provato aveva un'espressione sollevata. Violante e Adelize erano sveglie. La bambina sembrava stesse calmando la donna. Il ratto si alzò sulle zampe posteriori facendo vibrare i baffi e annusò l'aria appena Ash entrò e chiuse la porta.
Il vuoto che provava nella sua mente era più freddo dell'inverno oltre le pareti della stanza. «La mia voce è sparita. Non c'è più nessuna machina rei militaris. Ho sentito come un'esplosione nella testa...» Il faris si avvicinò. «L'hai sentita anche tu?» «Sono stata io a impartire l'ordine.» La donna visigota sembrò interdetta, poi portò una mano alla fronte e disse. «Il tuo confessore. Padre Maximillian.» Ash abbassò lo sguardo, fece qualche passo in direzione della madre, ma non la toccò. Si abbassò e allungò una mano verso il ratto che cominciò a leccarle rapidamente le dita. «Ehi, Leccadita. Si capisce subito chi sono i maschi, vero? Hai le palle grosse come nocciole.» Ash cambiò tono e disse: «Ho perduto il mio amico.» Il faris si avvicinò e mise un braccio intorno alle spalle di Violante. La ragazzina stava tremando. «Pensavo di stare per morire. Poi... il silenzio seguito da una calma benedetta.» Il ratto bianco si distese per annusare Adelize che lanciò un'occhiata spaventata alla bestiola, alla figlia e al faris. «Credo di averla spaventata. È finita, vero?» chiese il faris fissando Ash negli occhi. «Sì. Certo, la guerra non è finita. Potremmo morire domani, ma è finita, a meno che qualcuno non costruisca un altro Golem di Pietra prima che gli eserciti della Cristianità raggiungano Cartagine. Le Macchine Impazzite non possono raggiungerti perché ho distrutto il canale.» Il faris posò le mani sopra quelle di Ash e una ciocca di capelli le scese sulla fronte. «Non mi importa di come è stato fatto, ma mi dispiace per il tuo amico. Conoscevo solo la sua voce, ma, ripeto, non mi importa di come è stato fatto. Ringrazio solo Dio perché è successo.» Si raddrizzò. Il fuoco della lanterna confondeva i lineamenti del volto. Dovevo essere io a portarle la notizia, pensò Ash. Dovevo vederti per capire che Florian aveva ragione quando diceva che non era necessario ucciderti e che, anzi, era molto meglio se rimanevi in vita. «Sei al sicuro» le disse, quindi si rivolse a Adelize e Violante e ripeté: «Siete al sicuro.» La bambina la fissò senza capire nulla. Adelize prese il topo e cominciò
a carezzarlo. «Be', diciamo al sicuro, a parte il fatto che c'è una guerra in corso.» Ash sogghignò. «Ma, a parte la guerra, è finita. Mio Dio, continuo a non sapere cosa ne farai della mia faccia.» «Sta meglio su di me.» La donna visigota rise di gusto. «LA FACCIA NON È NIENTE. L'ALLEVAMENTO È TUTTO» disse un coro di voci fredde nella mente di Ash. «Cazzo!» imprecò Ash, paralizzandosi. Sentì lo stomaco che si chiudeva e la testa che girava. «No...» «L'ALLEVAMENTO SEGRETO È TUTTO.» «No!» «ALCUNI HANNO LE QUALITÀ NECESSARIE, ALTRI NO.» «Godfrey?» Niente. La voce delle Macchine Impazzite in un primo tempo era suonata come il rombo di un tuono distante, ma adesso era chiara. «... ALCUNI NON NE HANNO. ALTRI NE HANNO IN ECCESSO.» «Non ce l'ha fatta. No: l'ho sentito. La machina è morta. Non ha distrutto niente.» Ash si accorse che il faris la stava scuotendo per un braccio e la fissava allarmata. «Cosa dici?» le chiese il faris. «Con chi stai parlando?» Le voci delle Macchine Impazzite continuarono: «AVREMMO POTUTO FARLO CON IL FARIS.» «... AVEVA BISOGNO DELLA MACHINA REI MILITARIS...» «SPARITA! NON C'È PIÙ!» «... MA, CON TE!» «... AH, CON TE!» «... LO ABBIAMO CAPITO FIN DALLA PRIMA VOLTA CHE CI HAI CONTATTATO.» «HAI PARLATO CON LA MACHINA QUANDO ERI IN MEZZO A NOI.» «HAI CHIAMATO DAL DESERTO A SUD, QUANDO ERI A UN PASSO DA NOI...» «... HAI STABILITO UN LEGAME DIRETTO CON NOI...» «... CON TE NON ABBIAMO PIÙ BISOGNO DELLA MACHINA REI
MILITARIS.» «ABBIAMO SOLO BISOGNO CHE COLEI NELLE CUI VENE SCORRE IL SANGUE DUCALE, MUOIA!» «Riesci a sentirle?» urlò Ash. «Sentirle?» ripeté il faris. «Le Macchine! Le fottutissime Macchine! Le puoi sentire...» «NOI, CHE TI ABBIAMO SENTITA PARLARE CON IL GOLEM QUANDO TI SEI AVVICINATA A NOI NEL SUD...» «... TU CHE HAI PARLATO CON NOI.» «ALLORA NON AVEVAMO BISOGNO DI TE» «AVEVAMO LA NOSTRA ALTRA FIGLIA.» «MA SAPEVAMO CHE, SE LEI CI AVESSE DELUSO... AVREMMO POTUTO USARE TE.» «... PARLARE CON TE...» «... OBBLIGARTI, COME AVREMMO FATTO CON LEI...» «APPENA IL NOSTRO ESERCITO UCCIDERÀ LA DUCHESSA FLORIA, POTREMO COMPIERE IL PASSO FINALE.» Ash cominciò a ripetere terrorizzata le parole che le tuonavano nella mente: «'Allora altereremo la realtà e sarà come se la razza umana non fosse mai esistita. Torneremo indietro a diecimila anni fa. Sarà come se nel corso della storia ci sia stata solo la coscienza delle macchine...» «Cosa stai dicendo?» la interruppe il faris. Ash fissò la gemella inginocchiata sulle coperte. Avevano lo stesso volto, lo stesso corpo, ma la mente era diversa. «Non le senti» sentenziò Ash, fissando il faris. «TUA SORELLA AVEVA BISOGNO DEL GOLEM E ADESSO NON CI SENTE PIÙ.» «Ma io sì» rispose Ash. «Tu sì, cosa?» le chiese il faris. Dal tono di voce acuto sembrava che si rifiutasse di capire quanto stava succedendo e si allontanò da Ash che cominciò a tremare. Violante la fissava, Adelize, quasi fosse inquietata dal tono di voce della figlia, allungò una mano e la posò sul braccio di Ash. Ash la ignorò. «Sento le Macchine Impazzite, anche se ho distrutto il Golem di Pietra» spiegò. «Il sacrificio di Godfrey è stato inutile. E sono stata io a chiederglielo.» «... LA TUA NASCITA: SOLO UN COLPO DI FORTUNA...»
«... UN CASO...» «... NON PUOI FARCI NULLA, MA QUELLO CHE PUOI FARE È SUFFICIENTE.» «ASH, TU SEI L'ESPERIMENTO CHE HA AVUTO SUCCESSO, NON TUA SORELLA» le sussurrarono le voci.
Fogli sparsi trovati tra le parti Quindicesima e Sedicesima di Ash: — (Pierce Ratcliff, 2001) British Library. Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#423 (Anna Longman) Ash 20/12/00 ore 05, 44 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Cinquantasette ore tirate. Ho dormito solo due volte: una per due ore e l'altra per tre. Penso di finire il lavoro (parlo di una prima stesura) in un'unica tirata. Poi vedremo quello che abbiamo a disposizione. Ti manderò tutto quando avrò finito. Mio Dio, povera Ash. Mi sono svegliato gridando: 'DELENDA EST CARTHAGO!' Cartagine deve essere distrutta. Pensavo che fosse stato il freddo a svegliarmi, le notti qua sono rigide anche con il riscaldamento acceso, poi mi sono reso conto che si trattava di alcune parole che non mi uscivano dalla testa. Continuavo a pensare alla metafora di Vaughan Davies riguardo al fatto che la storia del passato è stata shakerata per poi essere sistemata in un ordine diverso. La frase 'delenda est Cartago' fu messa in bocca del senatore romano da Florus; Plinio sosteneva che Catone:… cum clamaret omni senatu Cartaginem delendum' ('A ogni seduta del senato si vocifera che Cartagine deve essere distrutta), ma, allora dov'era prima? Qua, con Ash. Una donna che non esiste più e che è vissuta in quella che io suppongo possiamo cominciare a chiamare la Prima Storia. Una prima storia che è stata soprascritta come un file con una disposizione diversa dei dati diventando così una 'seconda storia', la nostra. Alcuni frammenti dei dati rimangono nella NOSTRA storia, nel NOSTRO passato e io li ho visti svanire. Ash è diventata un mito, una leggenda, un personaggio romanzesco. Tuttavia, mentre la leggo, la sento che mi parla. Incolpa pure la mancanza di sonno. Sto cominciando a pensare in latino, ma la cosa non mi sorprende molto. Sto mangiando, dormendo e respirando il manoscritto di Sible Hedingham e sono sempre più convinto che sia la nostra storia passata, quella 'precedente'.
Tami Inoshishi e James Howlett hanno posto un'altra domanda. Non so se ne hanno cavato molto da me. Da quello che posso dire, loro sono contentissimi della mia teoria sul fatto che un tempo esistesse una mutazione genetica in grado di far collassare coscientemente tutti gli stati possibili dell'universo in qualcosa di meno probabile della media... compiere un miracolo, in breve. Un'alterazione della realtà che va contro le leggi di Newton. Non hanno molti problemi a concepire la possibilità teorica che si sia verificata una massiccia alterazione della realtà. La mutazione genetica che renderebbe una persona in grado di compierla è scomparsa nel processo di 'sistemazione'. Quello su cui Tami continua a martellarmi, con quel suo fare da mitragliatrice, è il fatto che le prove da un lato vengono fatte sparire (il manoscritto dell'Angelotti) e dall'altro tornano (Cartagine). Io le ho riferito la mia teoria: secondo me le Macchine Impazzite e la Borgogna sono state completamente spazzate via. È l'unico modo per spiegare la nostra esistenza, e per spiegare come mai il mondo non è diventato una provincia sotto il dominio di intelligenze artificiali e perché nella nostra storia non ci sono tracce di un impero visigoto. Questo spiegherebbe come mai la cultura araba e le culture dell'Africa nera sembrano 'appiccicate' sui luoghi che, prima del cambiamento, un tempo erano stati occupati dai Visigoti. Siamo abituati all'idea che la storia ci influenza nel senso che il passato influenza tutti noi. La storia può essere re-interpretata: non si altera. QUESTA storia ci sta ancora influenzando. Stiamo cambiando e non capisco perché. Le cose stanno cambiando ed è questo il fatto che preoccupa Tami. I ROV si trovano a mille metri di profondità e stanno pulendo le rovine dai detriti usando getti d'aria compressa. Cartagine è là sotto. Adesso. Di nuovo. Detto questo, Tamiko ha letto l'ultima parte della mia traduzione e mi ha fatto notare un altro elemento che apporta ulteriore confusione: il Golem di Pietra è stato distrutto, tuttavia noi l'abbiamo trovato tra le rovine, 'intatto'. Se il manoscritto di Sible Hedingham si sbaglia su quel punto in cos'altro è errato? Può trattarsi di un errore documentale? O il califfo Gelimero era riuscito a costruirne un altro? La casata dei Leofric possedeva una tecnologia così sviluppata per creare in serie quelle macchine? O ho sbagliato a tradurre
qualcosa in questo diabolico e impenetrabile latino medievale? Forse nell'ultima parte del manoscritto troverò la spiegazione? Dormirò per quattro ore poi ricomincerò a lavorare. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#234 (Pierce Ratcliff) Ash 20/12/00 ore 11, 22 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Mandami tutto quello che hai, gli darò un'occhiata durante le vacanze di Natale. Nel pomeriggio, sul tardi, mi incontrerò di nuovo con William Davies. Oggi pomeriggio mi ha telefonato dicendomi che sta leggendo ad alta voce alcune parti del manoscritto di Sible Hedingham al fratello. Mi ha detto che dopo la guerra ha lavorato molto nel campo della psicologia dei traumi: si era interessato all'argomento come parte del periodo di recupero dalle operazioni chirurgiche. Pensa che Vaughan stia reagendo nel sentire il latino originale. Il problema è che William conosce solo il latino medico e il latino medievale è molto diverso: dubita di leggerlo in maniera corretta... In poche parole, Pierce, vuole sapere se può leggere la tua traduzione. So che sei molto attento alla discrezione, ma non credo che William la renderebbe pubblica. Posso? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#428 (Anna Longman) Ash 21/12/00 ore 12, 02 a.m.
Da: Anna —
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La squadra di Isobel sta recuperando il Golem di Pietra. Pensavo che ci sarebbero voluti mesi, ma sembra che possa essere recuperato velocemente visto che il governo tunisino sembra intenzionato a privarci dell'opportunità. Il cielo è pieno d'elicotteri e i militari hanno una nave nelle vicinanze. Sul sito terrestre molti degli accordi per gli approvvigionamenti di cibo e acqua sono finiti. Il colonnello JJJJJJJ è tornato là meno gioviale e con molti più soldati. Ci sono camion militari dappertutto. 'Sicurezza perimetrale' dice. Non c'è stato nessun serio problema di sicurezza nelle ultime settimane, perché proprio adesso? Perché tutte quelle uniformi in giro che non si preoccupano DOVE mettono i piedi? Isobel dice che il ministro JJJJJJJ comincia a preoccuparsi 'dello sfruttamento da parte degli occidentali delle risorse culturali locali.' Sono occidentale e non mi aspetto di essere popolare in questa parte del mondo, quindi capisco il loro punto di vista. Ma, Isobel aveva firmato un contratto con il governo tunisino nel quale si specificava che nessun artefatto sarebbe uscito dal paese. Che razza di persona pensano che sia Isobel? Il cinismo potrebbe portare a pensare che dietro tutto questo c'è una storia di guadagni economici, ma forse sono ingiusto nei confronti del ministro. Non so se la sua preoccupazione è onesta o no, io penso che sia genuina, quello che non riesco a capire è come far capire al ministro il fatto che le rovine che abbiamo trovato non appartengono alla SUA cultura! Devo smettere di tradurre perché voglio essere presente quando tireranno su il Golem di Pietra. Hai il mio permesso di mostrare le bozze della traduzione del manoscritto di Sible Hedingham a William Davies. Se riusciranno ad aiutare Vaughan Davies sarà come ripagarlo in parte per quello che ci ha lasciato. — Pierce ——————————————————————————————
Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#236 (Pierce Ratcliff) Ash 21/12/00 ore 01, 07 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Sono preoccupata. Sono tornata dall'East Anglia e ho scoperto che qualcuno ha rovistato tra i miei files personali e il mio hard disk. Stessa cosa per il mio ufficio quando sono arrivata stamattina. E non si tratta di uno scasso. Troppo pulito. Se non avessi telefonato a un mio amico, penso che sarei rimasta a chiedermi cos'era accaduto. Non conosco molto del mondo delle pubblicazioni accademiche, ma ho amici che si occupano di giornalismo investigativo. Lui è uno di questi e per prima cosa mi ha detto che deve trattarsi di questioni di 'sicurezza'. Non ci avevo pensato prima, ma, il Medio Oriente, non è stato altro che terrorismo e guerre per anni: se hai trovato qualcosa sul fondo marino che le registrazioni precedenti non hanno rilevato... il mio amico dice che intorno a te potrebbero esserci dei 'fantasmi', gente che investiga. Specialmente se c'è una fuoriuscita di notizie. Lo so, Pierce, sembro allarmista, ma c'è qualcosa di più di qualcuno che entra e mette a soqquadro il mio ufficio. Dipende tutto da come ti senti a essere interrogato dal personale della sicurezza nazionale. Se hai tenuto delle copie di questi messaggi forse è meglio che le cancelli dall'hard disk (o da quello di Isobel). Se hai delle copie cartacee falle a pezzi. Non faccio delle copie della posta, non ho lo spazio sul disco, ma di solito tengo una copia cartacea in una cartella. So che tieni molto alla discrezione accademica quindi sono stata molto attenta, per questo ho criptato questi messaggi. Inoltre ho portato le copie cartacee e il dischetto con tutte le e mail nella mia casa di Colchester per rinfrescarmi la memoria prima dell'incontro con Vaughan... sai bene che non sono una studiosa. Quindi ho ancora tutto. Metterò tutto il nostro 'carteggio' in un luogo sicuro. Se si tratta di una questione ufficiale, e se verranno da me in veste ufficiale e con un mandato, allora andrà tutto bene. Ma prima non se ne parla. Tra un'ora ho una riunione con il capo, per vedere qual è la sua posizione al riguardo... e questa volta gli conviene stare dalla mia parte.
— Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#430 (Anna Longman) Ash 21/12/00 ore 09, 17 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Siamo fuori. Le cose sono così confuse, non so se i media hanno detto qualcosa, dato il caos natalizio in Inghilterra... da questo momento siamo al di fuori del territorio tunisino, non vogliono neanche che incrociamo al largo delle coste. Sto inviando questo messaggio in rete a tutte le persone che conosco. Scateno un polverone. NON possono impedire che avvengano esplorazioni scientifiche nel sito! Non possono SACCHEGGIARE le prove archeologiche. Non è giusto: dobbiamo saperlo. Però, a quanto sembra, non dobbiamo. Questa è una preoccupazione dei nostri tempi. 'Nulla deve impedire la scoperta della verità.' In altri momenti della storia c'erano altre priorità, è ovvio: 'niente è importante come' l'ideologia, le parole, il commercio o la forza militare. PER DIO VOGLIO SAPERE. Non possono farci questo! — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#240 (Pierce Ratcliff) Ash 21/12/00 ore 10, 04 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Avete estratto il Golem di Pietra dalle rovine di Cartagine? Dov'è il golem messaggero ritrovato nel sito terrestre? Cosa sta succedendo, Pierce? Non posso fare nulla se non conosco i fatti... — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#431 (Anna Longman) Ash 21/12/00 ore 11, 13 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Scusa, hai ragione, devi sapere. Abbiamo passato troppo tempo a parlare con tutti i contatti, se non possiamo fare nessun altro tipo di pressione, almeno faremo in modo di avere la comunità scientifica e i media dalla nostra parte. La squadra di Isobel aveva appena cominciato le analisi sul Golem di Pietra. Quando sono arrivato era dentro un cassone e la squadra di Isobel stava discutendo su alcuni danni di lieve entità procurati dai sommozzatori. Neanche due ore dopo è arrivata la marina militare tunisina e ha sequestrato tutto. Tutto tranne quello che Isobel e la sua gente avevano sulle schiene! Tutto, hanno ripulito la nave da cima a fondo e hanno portato via il cassone dove era tenuto il Golem di Pietra. Non posso CREDERE che sia successo. Non era necessario. Conosco Isobel: non aveva nessuna INTENZIONE di sottrarre manufatti alla giurisdizione tunisina. Ma c'è una cosa che posso dire senza paura di essere contraddetto perché l'ho vista con i miei occhi. La prima volta che ho visto il Golem di Pietra ero letteralmente senza parole. Lo sciabordio dell'acqua e tutti i suoni di una nave moderna echeggiavano contro le pareti metalliche del cassone dentro il quale si trovava la gigantesca struttura di pietra. Plinto compreso, doveva pesare tonnellate e in quel momento ho provato un grandissimo rispetto per la squadra di recupero. Quello che avevo visto attraverso le telecamere non poteva prepararmi
affatto alla realtà. Come sai, l'avevo visto attraverso i ROV ricoperto di sabbia e flora marina. Quando arrivai sulla nave, Isobel ne aveva già ripulito una parte e stava continuando il lavoro insieme alla sua squadra. La 'MACHINA REI MILITARIS'. Occhi sbarrati e privi di vista. Le giunture in bronzo coperte di verderame. Questo è quanto era visibile attraverso le telecamere sottomarine, ma il resto non era molto chiaro. Ora lo è. Il volto, gli arti, il plinto: la forma di queste parti era chiara anche sott'acqua, ma quello che vedevamo era una superficie ricoperta di incrostazioni. Una volta rimosse è stato possibile vedere la superficie della pietra. Parte del Golem è ancora di pietra. La squadra dice che in origine doveva essere un qualche tipo di agglomerato a base di silice. Ora è per il novanta per cento silice VETRIFICATA. Vetro. Nella parte frontale, che era quella inquadrata dalle telecamere subacquee, la forma della testa e del torso erano chiare. La maggior parte del resto, plinto incluso, è fuso. Sabbia e arenaria fuse in vetro. Il silicone diventa vetro se viene sottoposto a una temperatura abbastanza alta. Immagina la potenza del fulmine; una scarica elettrica che avrebbe dovuto... che è penetrata nel palazzo dal soffitto e ha fatto tutto questo. Un fulmine abbastanza potente da ridurre questo artefatto in un blocco di sabbia vetrificata. Ho visto il volto di Isobel riflesso sulla superficie del Golem di Pietra. Questo è il Golem di Pietra ed è stato distrutto esattamente come descritto nelle cronache. Anna, questa scoperta archeologica supporta quanto citato nel manoscritto. Quella narrata nel Sible Hedingham è la nostra prima storia. Prego che questa sia solo un'interruzione temporanea decisa dal governo. Finché l'artefatto rimarrà in Tunisia e Isobel e la sua squadra avranno il permesso di analizzarlo per me non ci sono problemi. Immagina quello che possiamo imparare da un computer di silicio anche se distrutto... Mi interrompo, ti dirò di più in seguito. — Pierce ——————————————————————————————
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#241 (Pierce Ratcliff) Ash 22/12/00 ore 02, 24 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Sono preoccupata perché non ho più tue notizie. Dove sei finito? Sei ancora sulla nave? Una e-mail, un colpo di telefono, dai qualche segno di vita. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Anna —
#447 (Anna Longman) Ash 22/12/00 ore 06, 00 a.m. Ngrant@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Sono sempre sulla nave, ma devo cercare di usare i mezzi di comunicazione ricorrendo alle buone maniere. La nave di pattuglia tunisina è stata raggiunta da altre due. Non hai IDEA di quanto tutto questo mi spaventa. L'idea di essere coinvolto in un 'incidente'... lo so, come biografo, si tende a immergersi in un soggetto: questo mi ha dissuaso da qualsiasi idea sul fatto che avrei potuto vivere ai tempi di Ash. Isobel ha contattato l'ambasciata inglese a Tunisi e l'ambasciatore le ha suggerito di smettere di creare problemi. Dio mi aiuti, sapevo che il Mediterraneo era una zona sensibile, ma questo è troppo! Vorrei avere un contatto nel Foreign Office. Conosco molti professori che lavorano come consulenti per la sicurezza nazionale che potrebbero aiutarmi, ma ci impiegherò qualche tempo a mettermi in contatto con loro. James Howlett, il collega di Tami, mi ha informato che il traffico in rete su questo argomento è 'monitorato', quindi mi ha consigliato di criptare tutte le comunicazioni. Suppongo che lo sapesse. Cosa SUCCCEDE?
Qualcosa che per me è solo un interessante argomento di fisica superiore sta facendo sì che le agenzie governative, stando alle parole di Howlett, si 'stiano cagando addosso come delle stupide!' Per favore, potresti parlare di nuovo con Vaughan Davies, sempre che possa parlare? Sto mettendo insieme alcuni elementi riguardo la provenienza del manoscritto. Potrebbe esserci una connessione tra l'opera, Hedingham Castle, il conte di Oxford, una connessione tra Ash e il tredicesimo conte, John de Vere. Vaughan Davies potrebbe fare luce su tutto questo. Cosa molto più importante per il presente! Nella seconda edizione, Davies promise un Addendum nel quale avrebbe spiegato dettagliatamente i legami tra la 'prima storia' e la nostra. Penso che sia giunto il momento di conoscere la sua teoria. Ormai dobbiamo affrontare il fatto che molto probabilmente la realtà si fratturò all'inizio del 1477. Allo stesso modo è possibile che frammenti della storia passata siano rimasti intrappolati nella nostra diventando gradualmente sempre meno reali a mano a mano che l'universo si allontanava dal punto di frattura. Io e i fisici teoretici lo possiamo accettare: la Borgogna e le Macchine Impazzite svanite in un 'miracolo' catastrofico. I Visigoti e le Macchine Impazzite scomparvero del tutto, la Borgogna lasciò dietro di sé il mito di una terra perduta. La cosa più difficile da accettare, ma innegabile, dato il sito sottomarino, è che l'universo stia ancora cambiando. Leggendo quello che Vaughan Davies ha scritto nel 1939, sono sicuro che lo sapeva e che ha creato una teoria per spiegare il fenomeno. Voglio sapere qual è. La teoria può essere giusta o sbagliata, ma almeno lui riuscì a formularne una, io nessuna! Ti chiederei di domandare a William Davies se posso fare una visita al fratello... nel caso dovessi partire e tornare in Inghilterra. — Pierce —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data:
#244 (Pierce Ratcliff) Ash 22/12/00 ore 06, 30 p.m.
Da: Pierce —
Longman@
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Stai ATTENTO per favore. Non pensi mai che possa succedere a qualcuno che conosci. Basta un folle dal grilletto facile, un soldato con un fucile e le scuse del governo arrivano tardi. Non voglio guardare un telegiornale sul canale satellitare e scoprire che sei stato ucciso. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#246 (Pierce Ratcliff) Ash 23/12/00 ore 09, 50 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Dannazione: non ho ancora ricevuto tue notizie. Spero che valga il vecchio detto: 'nessuna nuova' etc, etc... Non c'è ancora molto interesse da parte dei media. Si sono mossi pensando bene al momento, qua siamo in piena frenesia prenatalizia. Il traffico del fine settimana è tremendo (Natale cade di lunedì), comunque tornerò a Colchester. Non so che genere di shock può cancellare la memoria di una persona a partire dai quindici anni. William parla di un trauma profondo. Forse Vaughan ricorda i quindici anni perché quelli sono stati l'ultimo periodo felice della sua vita. Odio pensare a cosa può averlo ridotto in quello stato. Io e William facciamo a turno a leggere la tua traduzione del manoscritto di Sible Hedingham. William è ottimista, io non sono sicura che Vaughan recepisca, ma è William il dottore. Domani intendo tornare e passare più tempo possibile con loro. Leggerò il manoscritto a Vaughan. Guarderò tutti i notiziari e controllerò regolarmente la posta elettronica. Puoi sempre trovarmi al lavoro o alla mia email di casa (che è JJJJJJJJJ), o per telefono, sempre che tu riesca a ottenere la linea. Il numero è JJJJJJJJJ
— Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#247 (Pierce Ratcliff) Ash 24/12/00 ore 11, 02 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Abbiamo un varco. È stato un bello shock. I dottori hanno trattenuto William in ospedale in osservazione. È un gran rompiscatole di paziente, ma penso che succeda spesso con i medici in pensione. Ho fatto la spola tra il suo reparto e quello neurologico dov'è tenuto Vaughan: sono stanchissima, ma non credo che William sia più in pericolo adesso. Mi si spezza il cuore a vederlo qua dentro. Quando è sveglio è un vecchio dalla risposta pronta, quando lo vedi dormire capisci quanto è fragile. Credo che cominci a piacermi, io non ho mai conosciuto i miei nonni. Vaughan è tranquillo, ma non saprei se è sotto sedativi o sta dormendo. Sono nella sala d'attesa addobbata con squallidissime decorazioni natalizie e sto usando il notebook portatile bevendo il caffè schifoso delle macchinette. Di tanto in tanto le infermiere mi passano vicino con quello sguardo che sembra dire: 'Vada a casa che il traffico della vigilia è brutto.' Ma io non ho intenzione di andarmene finché i dottori non mi avranno detto che William sta bene. I Davies non hanno parenti prossimi. Tutto è successo mentre William stava leggendo la parte del 'Fraxinus' nella quale Ash si trova a Cartagine. Quell'uomo legge molto bene. (Non ho idea se pensa che questa sia 'storia' o solo un mucchio di immondizia). Penso che Vaughan stesse ascoltando, ma è sempre molto difficile capirlo. Ha un volto scarno e penso che da giovane fosse considerato un bell'uomo. Molto arrogante. No, non arrogante; è un'espressione che ho sempre visto nei film di prima della guerra, una sorta di fiducia smisurata in se stessi che non si vede più ai giorni nostri. Una caratteristica di una certa classe abbiente inglese, credo. Inoltre, Vaughan continua a pensare di avere quin-
dici anni. C'è mai stato un ragazzo ricco di quell'età che non pensa di essere un dono divino? Improvvisamente, quell'espressione è... crollata. Lo stavo osservando ed è stato come se di colpo gli fossero piombati addosso sessant'anni. Ha detto: 'William?' Come se William non gli avesse fatto visita tutti i giorni. 'William, potrei chiederti di passarmi uno specchio?'. Io non l'avrei fatto, ma non era una mia decisione. William gli ha passato uno specchio e io sono andata a chiamare un'infermiera aspettandomi da un momento all'altro la crisi isterica di Vaughan. Tu non l'avresti avuta? Pensa, credere di avere quindici anni, guardarsi nello specchio e scoprire di averne più di ottanta. Vaughan, invece, si è limitato a fissare l'immagine riflessa nello specchio e annuire. Un solo cenno del capo, quasi volesse confermare qualcosa che aveva già pensato. Ha appoggiato lo specchio sul letto e ha detto: 'Potrei avere il giornale?' William ha preso un giornale lasciato da un altro paziente. Vaughan l'ha esaminato con attenzione, io credo fosse incuriosito dal fatto che fosse un tabloid e non un quotidiano. Ha dato un'occhiata ai titoli e agli occhielli poi ha detto: 'Niente più guerra, allora? E devo supporre che abbiamo vinto noi, altrimenti leggerei questi titoli in tedesco.' Non penso di aver capito le altre poche parole. William stava ponendo una serie di domande e Vaughan gli stava chiedendo come mai gli stesse ponendo quesiti così stupidi. In quel momento ricordo di aver pensato che a Vaughan non doveva piacere suo fratello. Che vergogna... dopo sessant'anni. L'altra cosa che ricordo è Vaughan che, caparbio, diceva: 'Certo che non sono stato ferito nel bombardamento. Cosa te l'ha fatto pensare?' Dopodiché ha ripreso lo specchio e si è studiato per qualche attimo. 'Io non ho cicatrici, tu come hai fatto a procurarti le tue?' Se fosse stato mio fratello gli avrei tirato un ceffone. William lo ha ignorato e ha cominciato a leggere gli esami neurologici dicendogli che era stato rinchiuso in una casa di cura per anni, cosa che io non avrei detto a nessuno, ma che conosceva ancora suo fratello, perché, anche dopo tutti questi anni, Vaughan si era limitato a fissarlo e a dire: 'Davvero? Curioso.' Poi con una voce che sembrava sgusciare da sotto una roccia ha detto: 'Chi è questa giovane?' 'Questa giovane signora' gli ha spiegato William 'sta assistendo l'uomo che sta riscrivendo il tuo libro a carattere medievale.'
A questo punto mi aspettavo un'esplosione nucleare da parte di Vaughan, specialmente visto che William non era stato scortese per sbaglio. Non c'è nulla da stupirsi se questi due non hanno mai vissuto sotto lo stesso tetto. Mi sono preparata a subire una tirata, ma non è successo nulla. Vaughan Davies ha ripreso il tabloid tenendolo a una certa distanza dagli occhi e ho impiegato diversi secondi prima di capire che stava cercando la data e che non poteva leggere i caratteri piccoli. Gli ho detto la data. Vaughan Davies ha risposto: 'No. Il mese è luglio e l'anno è il 1940.' William gli ha tolto il giornale di mano e gli ha risposto. 'Stupidaggini. Non sei mai stato uno stupido. Guardati intorno. Sei stato in uno stato traumatico a partire dal luglio 1940, ma adesso sono passati sessant'anni d'allora.' 'Già' ha ammesso Vaughan 'è ovvio, tuttavia non versavo in uno stato traumatico. Dovrebbe mettere in guardia l'uomo che lavora per voi, giovane signora. Se continuerà nelle sue ricerche arriverà fino al punto dove sono arrivato io e non augurerei quello che mi è successo neanche al peggiore dei miei nemici... sempre che ne sia rimasto qualcuno ancora vivo.' A quel punto è sembrato piuttosto compiaciuto e ci è voluto William per farmi capire il motivo di quello stato d'animo: mi ha sussurrato che il fratello era contento del fatto che molto probabilmente era sopravvissuto a gran parte dei suoi rivali accademici. William allora gli ha chiesto: 'Se non versavi in uno stato traumatico, dov'eri? Dove sospetti che potrebbe finire il dottor Ratcliff?' Come sai le cartelle che hanno seguito Vaughan Davies per tutti gli ospedali sono intatte. Lui è il fratello di William. La somiglianza è troppo forte per dire il contrario. Voglio dire, sappiamo dov'è stato. Io mi chiedo dove lui pensava di essere stato. California? Australia? La Luna? A dire il vero se Vaughan Davies mi avesse detto che era appena uscito dalla macchina del tempo o, addirittura, che era tornato nella nostra 'seconda storia' dopo aver visitato 'la prima storia', non credo che ne sarei stata sorpresa! Ma i viaggi nel tempo sono solo un'opzione. Il passato non è una regione che possiamo visitare... e la 'prima storia' non esiste più, perché, come mi hai detto, è stata soprascritta; cancellata del tutto durante il processo. Se ho capito bene, allora la verità è meno eccitante e molto più triste. 'Sono stato nel nulla' ha detto Vaughan. 'Sono stato niente.' Non sembrava più sarcastico e l'espressione acida era scomparsa. Sembrava solo un povero vecchio magro in un letto d'ospedale. Poi, impaziente, ha aggiunto: 'Non sono stato reale.'
C'era qualcosa in quell'affermazione, ma non saprei spiegare con chiarezza cosa, che la rendeva raggelante. William si è limitato a osservarlo, poi Vaughan mi ha fissata e ha detto: 'Sembra che quanto ho detto le abbia causato una certa apprensione. È possibile che il dottor Ratcliff sia riuscito a replicare il mio lavoro fino al punto in cui ero arrivato io?' Tutto quello che sono riuscita a dire è stato: 'Non reale?' Per qualche motivo, ho pensato che egli intendesse che era morto. Non so perché. Quando ho parlato lui mi ha fissata in cagnesco. 'Niente di così facile' ha detto. 'Tra l'estate del 1940 e quella che lei sostiene essere l'ultima parte dell'anno 2000, io sono stato... potenziale.' Non ricordo le sue parole esatte, ma ricordo benissimo il termine 'potenziale'. Dopodiché ha continuato dicendo qualcosa come: 'Ciò che è irreale può essere reso reale istante dopo istante. L'universo crea un presente che si trova al di fuori di un futuro non allineato e produce un passato solido come il granito, tuttavia, mia giovane signora, questo non è tutto. Io non versavo in uno stato traumatico, io ero in uno stato di irrealtà.' L'unica cosa che ho potuto fare è stato indicarlo e dire: 'Poi siete tornato nuovamente reale?' Lui mi ha risposto: 'Badi alle sue maniere, giovane signora. È da maleducati indicare.' Quella risposta mi ha tolto il respiro, ma lui non è rimasto acido a lungo. Il colorito ha cominciato a peggiorare. William ha suonato il campanello per chiamare un'infermiera. Io ho fatto qualche passo indietro e ho messo le mani dietro la schiena per cercare di non aggravare la situazione. Era grigio come un lenzuolo consumato, ma ha continuato a parlare: 'Può immaginare cosa significhi percepire non solo le infinite realtà che potrebbero prendere forma dall'universo delle probabilità, ma anche che tu, tu stesso, la mente che genera quei pensieri... è irreale? Solo probabile, non concreta. Può immaginare la sensazione di sentirsi irreale? Sapere che non sei impazzito, ma intrappolato in qualcosa dal quale non puoi fuggire? Lei dice sessant'anni. Per me è stato un momento infinito di dannazione eterna.' Il problema, Pierce, è che io POSSO immaginarlo. So che hai bisogno dei fisici teoretici di Isobel per parlare con Vaughan Davies, perché io non ho le conoscenze scientifiche adatte, ma posso immaginare abbastanza e capire come mai è diventato grigio in volto. Io stavo là a fissarlo mentre cercava di bloccare un attacco isterico e l'u-
nica cosa che riuscivo a pensare era che a nessuno è mai passato per la testa di chiedere al gatto di Schrodinger cosa sentiva mentre era chiuso in una scatola. 'Ma lei è reale... adesso...' gli dissi. 'È di nuovo... reale.' Si è appoggiato ai cuscini. William si stava agitando, così mi sono chinata per calmarlo e l'avambraccio di Vaughan mi ha colpita in bocca. Non sono mai rimasta così scioccata. Mi sono alzata pronta per una tirata, ma Vaughan aveva girato gli occhi e tremava in maniera incontrollata. Sono andata a chiamare subito un'infermiera e a momenti cadevo addosso a quella che stava arrivando proprio in quel momento. Tutto questo è successo un paio d'ore fa e ho voluto scriverlo mentre lo ricordavo ancora bene. Forse ho omesso qualche parola, ma questo resoconto è il più vicino possibile alla verità. Puoi anche dire che si tratta di demenza senile e che Vaughan Davies ha il cervello rammollito perché ha passato tutti questi anni facendo il barbone alcolizzato, ma io non credo che sia così. Non so se esistono parole adatte per descrivere quello che gli è successo, ma se ci sono, Vaughan Davies ha due dottorati uno in fisica e l'altro in storia, quindi è la persona più adatta a trovarle. Se mi dice che nel corso degli ultimi sessant'anni è vissuto solo in uno stato di probabilità, io gli credo. Fa tutto parte di quello che mi hai detto, giusto? Il manoscritto dell'Angelotti che scompare e viene classificato da documento storico a romanzo. Cartagine che ritorna in un punto dove fino a poco tempo fa non c'era nulla. Speravo che Vaughan rimanesse cosciente abbastanza a lungo per dirmi perché è 'tornato' proprio adesso. Mentre ero seduta qua ho pensato: se Vaughan stava per 'tornare indietro'... è possibile che abbia avuto un'amnesia. Come è possibile che sia scomparso senza lasciare traccia? Lui adesso è quello che è, adesso, ma prima di 'adesso' era possibile che gli fossero successe altre cose. La sua scomparsa avrebbe potuto significare tutto. Una cosa è parlare di un mucchio di pietre e di un artefatto che tornano, ma una persona è tutt'altra cosa. Sento come se non avessi niente di solido sotto i piedi. Temo che svegliandomi, domani, il mondo potrebbe essere del tutto diverso, io potrei non essere più 'Anna' o un editore. Potrei aver sposato Simon a Oxford, potrei essere nata in America, in India o chissà dove. È tutto... possibile... Non è andata in questo modo, non è reale, ma avrebbe potuto esserlo.
Come il ghiaccio che si rompe sotto i piedi. Sono spaventata. Vaughan è vecchio, quindi se qualcuno vuole parlargli è meglio sbrigarsi. Se si sveglia ed è vigile allora gli chiederò se la tua teoria è attendibile e come ha fatto a mettere le mani sul manoscritto di Sible Hedingham. Forse domani... no, domani è festa. Contattami. COSA VUOI FARE DI TUTTO QUESTO? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#248 (Pierce Ratcliff) Ash 25/12/00 ore 02, 37 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Hai ricevuto il mio ultimo messaggio? Potresti metterti in contatto con me, solo per rassicurarmi? — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#249 (Pierce Ratcliff) Ash 25/12/00 ore 02, 37 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Scarichi la posta? La leggi? C'è qualcuno che sta leggendo tutto questo? — Anna
—————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#250 (Pierce Ratcliff) Ash 25/12/00 ore 07, 16 p.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
I messaggi si staranno ammassando. Rispondi, per carità di Dio. — Anna —————————————————————————————— Messaggio: Oggetto: Data: Da: Pierce —
#251 (Pierce Ratcliff) Ash 25/12/00 ore 09, 00 a.m. Longman@ Indirizzo precedente cancellati e password irrecuperabile
Ho telefonato all'ambasciata inglese e finalmente mi hanno passato qualcuno, ma nessuno mi ha dato informazioni. Gli uffici dell'università sono chiusi e non ho un numero con il quale contattare Isobel NapierGrant. Non riesco a raggiungerti. Nessun notiziario ne vuole sapere: è festa. Ti prego RISPONDI. - Anna Trasmissione, dei file LOSTBURG.doc registrata, alle 09, 31 a.m., 25/12/00. Nessun'altra trasmissione ricevuta.
SEDICESIMA PARTE 26 DICEMBRE AD 1476 5 GENNAIO AD 1477 La Borgogna perduta245 I «Adesso» disse Ash «dovrai ordinare la mia esecuzione.» La luce filtrava dalle finestre della camera ducale in quell'alba tardiva e gelida di santo Stefano. L'umidità era molto forte e penetrava nelle ossa. Gli spifferi d'aria si infilavano negli interstizi delle finestre. «Ne sei sicura?» insistette Florian. «ORA ABBIAMO SOLO BISOGNO DI TEMPO: IL NOSTRO MOMENTO SI APPROSSIMA RAPIDAMENTE...» «Sì, ne sono sicura!» Ash batté le mani chiuse nelle muffole di pecora nella speranza di riattivare la circolazione alle dita. «Hai già detto a qualcuno che la distruzione della machina rei militaris non è servita a nulla?» «No, non volevo rovinare la festa.» «Ah.» Florian cercò di sorridere. «Ecco cos'era. Pensavo che si trattasse di un attacco notturno dei Visigoti...» La duchessa si appoggiò contro una parete. Il colorito del viso non era dei migliori. I bordi vellutati degli abiti strusciavano sul pavimento. Non portava la corona di corno, ma una Croce di Rovi spuntava da sotto il farsetto sbottonato. Indossava una pelliccia di lupo abbastanza pesante da schiacciare un uomo. «Sembri sbattuta» disse Ash. A mano a mano che la luce aumentava d'intensità, Ash si rese conto che la parete contro la quale si era appoggiata Floria era affrescata in maniera sontuosa, proprio come si addice alle stanze di un nobile d'alto lignaggio, con figure di uomini e donne e piccole città in cima a una catena di colline. Ognuna delle figure danzava mano nella mano con un'altra: il cardinale, il falegname, il cavaliere, il mercante, il contadino, il vecchio, la ragazza incinta e il re incoronato erano mano nella mano con altrettanti scheletri a 245
Manoscritto di Sible Hedingham, terza parte.
dimostrare che tutti erano uguali di fronte alla morte. Florian del Guiz appoggiò la fronte contro la pietra fredda incurante del soggetto dell'affresco e si massaggiò lo stomaco con una mano. «Ho passato metà della notte nel cesso» dichiarò. L'espressione sul volto faceva capire che non aveva ancora dimenticato il massacro che l'aveva indotta a bere fino a perdere i sensi. «Dobbiamo rimandare mio fratello da Gelimero entro oggi, con una risposta che non ci faccia attaccare prima di sera. Ora, questo...» Ash osservò Florian attraversare la stanza e dirigersi verso il camino intorno al quale, dato che quello era sostanzialmente l'unico fuoco che ancora ardeva nel palazzo, aveva permesso ai servi di dormire. Ash si sforzò di non ascoltare i sussurri trionfanti delle Macchine Impazzite nella sua mente e la seguì. «No...» Floria alzò immediatamente una mano. «La tua esecuzione sarebbe inutile tanto quanto quella del faris.» L'espressione si rilassò e apparve un sorriso. «Che donna stupida che sei, ho passato un sacco di tempo a cercare di spiegarti perché non doveva morire e perché credi che con te sia diverso? Cosa c'è di tanto diverso?» «Lei è lei, io sono io.» «Sì, quello credevo di averlo capito» rispose ironica la duchessa e fissò Ash con affetto. «È circa un'ora e mezza che continui a insistere su questo punto.» «Ma...» «Zitta, capo.» «Non si tratta di lei, sono io... non ho bisogno del Golem di Pietra...» Ash cambiò tono di voce. «Se ordino la tua morte, perdo la Pulzella, la Leonessa di Borgogna, la Vergine di Digione...» «Ah, fottiti!» «Non incolpare me della tua immagine pubblica» sbottò Floria, acida. «Come ti stavo dicendo: abbiamo bisogno di te. Mi hai detto che il faris era irrilevante, perché la linea dinastica della Borgogna deve vivere oltre la sua morte. Ora deve sopravvivere oltre la tua! Mi dispiace che la distruzione della machina rei militaris non sia servita a nulla.» Cambiò espressione. «Dio solo sa quanto mi dispiace per Godfrey, ma io ho molto più bisogno di te viva e sul campo che morta.» «E questo non fa alcuna differenza?» «Non ordinerò la tua morte.» Florian del Guiz distolse lo sguardo. «E
non farti venire in mente qualche stupida idea del tipo scendere in lizza contro il nemico e farti ammazzare da lui.» Il soffitto della stanza era alto, ma Ash si sentiva soffocare. Si avvicinò alla finestra incrostata dal ghiaccio anche all'interno. «Stai correndo un rischio gravissimo» disse Ash. «Questa città sta per essere sopraffatta. Se vieni uccisa... avevi bisogno di mia sorella per quello che sa. Ci sono dozzine di comandanti bravi quanto me!» «Ma non sono la Pulzella. Ash non importa quello che pensi di essere o se hai ragione nel pensarlo.» Florian la raggiunse. «Non sei venuta qua aspettandoti che io ordinassi che fossi portata fuori e giustiziata. Sai benissimo che non l'avrei mai fatto. Sei venuta qua perché volevi che fossi io a dirti di non ucciderti.» Socchiuse gli occhi per proteggerli dalla luce. «Sei venuta qua perché volevi che ti convincessi a non farlo. Volevi che ti ordinassi di vivere.» «Non è vero!» «Da quanto tempo ti conosco?» le chiese Florian. «Sono ormai cinque anni, giusto? Dai, capo. Solo perché ti amo questo non vuol dire che creda che tu sia intelligente. Vuoi che sia qualcun altro a prendersi la responsabilità di dirti che devi vivere. E tu pensavi che sarei stata abbastanza stupida da non notarlo.» Ash fu raggiunta dagli spifferi d'aria che penetravano attraverso la finestra. La giubba di pecora che portava sopra l'armatura e la cuffia sotto il cappuccio, la scaldavano appena. «Forse è proprio per questo che non ti posso amare come tu vorresti. Sei troppo intelligente.» Floria inchinò la testa all'indietro e rise di gusto facendo girare i servitori intorno al camino. «Cosa?» domandò Ash. «Oh, quanto sei galante» rispose Floria. «Che cavalleria! Oh... 'fanculo. Lo prenderò come un complimento. Comincio a dispiacermi per mio fratello.» «Cosa?» ripeté Ash, stupita. «Non ci fare caso.» Floria sfiorò la guancia sfregiata di Ash con dita fredde come la roccia. Non c'era nessuna sensualità in quel tocco. La risposta che Ash sentì in lei a quel gesto le impedì di parlare chiaramente. Sentiva una sorta di desiderio non fisico per la vicinanza. Agape246 , pensò. Godfrey l'avrebbe chia246
'Agape', greco antico: 'Carità'.
mata in questo modo: l'amore per un'amica. Voglio fidarmi di lei. Mi sono fidata di Godfrey e guarda cos'è successo. «È meglio indire un consiglio.» Mentre Floria mandava i messaggeri, Ash grattò via un po' di ghiaccio dalla finestra con la muffola e guardò fuori. Il sole si era appena levato sull'orizzonte creando una serie di ombre blu e bianche sui tetti a punta di Digione. La valle oltre le mura era ancora coperta da uno spesso strato di ghiaccio. Altre ombre allungate cominciavano a formarsi a ovest. Ogni tenda, baracca e aquila delle legioni disegnava il proprio contorno sul terreno. Gli uomini della III Caralis cominciavano ad avvicinarsi alle trincee e alcune squadre di cavalieri galopparono lungo il fiume a est e il ponte dietro le linee visigote. Si stanno disponendo? si chiese Ash. O stanno solo cercando di farci innervosire? Non riesco a vedere ciò che si trova sul tratto di terra di nessuno tra il cancello nord e il campo nemico. Dubito, però, che abbiano tolto i cadaveri. Perché farlo, mi chiedo? La loro vista è perfetta per minare il nostro morale. Le macchine golem si avvicinavano lentamente alle mura. «Non hanno ancora intenzione di compiere un assalto» dichiarò Ash. «Stanno solo cercando di provocarci perché vogliono che tu pensi che loro stanno per rompere la tregua.» Ash schioccò le dita e un ragazzo portò due coppe piene di sidro caldo, l'unico alcolico rimasto in città. Il paggio servì prima la duchessa, poi Ash che fu ben contenta di poter stringere le mani intorno a qualcosa di caldo. Si girò verso la finestra e indicò l'accampamento lontano con un cenno della testa. «Abbiamo il loro comandante. Ci sono poche cose che non conosciamo di loro al momento» affermò Ash. «Per esempio, sappiamo che possono usare la cavalleria perché il faris mi ha detto che hanno un mucchio di riserve di cibo per cavalli. Io non lo farei... il terreno è troppo duro.» Fece una pausa. «Se io fossi Gelimero e il comandante del mio esercito fosse passato al nemico in questo momento correrei in tondo come un toro con la coda in fiamme cercando di eliminare tutte le debolezze del mio schieramento prima di attaccare. Questo ci fa guadagnare tempo.» «Cristo» disse Floria alle sue spalle. «Solo in città ci sono seimila civili
e non so cosa succede nel resto del regno. Sono la loro duchessa e si suppone che dovrei proteggerli.» Ash distolse lo sguardo dalla finestra. Floria non stava bevendo e teneva la coppa con entrambe le mani per scaldarla. L'odore delle spezie fece borbottare lo stomaco di Ash, che portò la coppa alle labbra e bevve, dando il benvenuto al calore che scendeva nel corpo. Avrebbe voluto cingere una spalla di Floria con un braccio, invece la salutò sollevando leggermente la coppa e la gratificò con un sorriso che era un abbraccio. «So esattamente quale sarà la nostra prossima mossa» dichiarò. «Ci arrendiamo.» Il vento le tolse il respiro. Era così freddo che Ash sentiva i denti che dolevano nonostante la bocca chiusa. Un vento gelido del Nord. Gli occhi lacrimavano. Ash si spostò ponendosi dietro l'esiguo riparo offerto dalla Torre di Guardia. «Hai ragione» disse Florian. «Nessuno verrà a origliare quassù.» «Le Macchine Impazzite potrebbero sentirmi...» Ash sogghignò. «Ma a chi possono dirlo?» «Pessimo posto... per un consiglio di guerra.» «Il migliore.» «Tu sei pazzo, capo!» «Sì... Vostra Grazia» Ash controllò che la spada fosse ben assicurata al fianco. «Che mi fottano da dietro se fa freddo!» La torre si innalzava verso il cielo. La pietra era ricoperta in alcuni punti da tratti di edera morta. Gli uomini di Jonvelle che sorvegliavano l'accesso alla torre si chiedevano se le due donne che camminavano sugli spalti non avessero perduto il senno. Ash fece cenno a Floria di seguirla e la duchessa ubbidì. Insieme fissarono l'accampamento visigoto oltre le mura. «Nessuno si può avvicinare» spiegò Ash. «Le macchine d'assedio stanno bersagliando il cancello principale e se dovessero decidere di spostarle per mirare qua, faremmo in tempo a vederle. Questo muro non ha sporgenze o appigli, quindi nessuno si può avvicinare o sgattaiolare senza essere visto. Non voglio nessuno che origli.» «La resa della Borgogna» terminò Florian, scettica, soffiando al tempo stesso nelle mani chiuse a coppa. Le colava il naso. «Ti conosco. So benissimo come ti comporti in queste situazioni. Ci siamo trovati in situazioni
disperate nelle quali eravamo in inferiorità numerica, senza armi e privi di ogni possibilità di successo e tu cosa hai sempre fatto? Hai attaccato.» «Ah, 'fanculo, allora mi conosci proprio bene» commentò Ash, per niente dispiaciuta. Udirono alle loro spalle il rumore delle armature, delle armi, degli stivali che battevano sulla pietra e si girarono per vedere John de Vere e una dozzina di uomini che salivano gli scalini che conducevano agli spalti dalla strada. Il conte inglese ordinò ai suoi uomini di andare dentro la torre e questi si allontanarono da lui senza perdere il ritmo della falcata decisa. «Madame duchessa, lord de la Marche ci raggiungerà tra pochissimo.» Il conte di Oxford chiuse le mani a coppa davanti alla bocca. «È molto preoccupato perché il fiume a est, quello che passa vicino alle mura della città, sta gelando.» «Lo strato di ghiaccio è già abbastanza spesso per reggere un uomo?» chiese Floria, con una prontezza che Ash apprezzò molto. «Non ancora, ma il freddo aumenta.» «Proprio così» commentò Ash, sussultando. Il volto di de Vere era appena visibile nonostante la visiera dell'elmo fosse alzata. L'Inglese che, come Ash, aveva indossato un'armatura anonima e priva d'insegne, si girò a guardare l'accampamento nemico. Floria era avvolta in un cappotto di pelli di lupo. «Non dovremmo rischiare tanto. Non è bene che la duchessa rimanga sugli spalti» dichiarò Ash rivolgendosi a John de Vere, come se Florian non fosse presente. «Ma è possibile che i Visigoti abbiano infiltrato spie in città. Non voglio che servitori o soldati possano origliare. Nessuno deve farlo. Neanche un poveraccio o un folle. Nessuno.» «Allora qua siamo al sicuro, madame. Nessuna persona sana di mente salirebbe su queste mura oggi!» «Cristo santo» sbottò Floria «perché non la facciamo finita e in fretta.» «Camminiamo» Ash si incamminò lungo gli spalti sfruttando il riparo delle postazioni di legno e si diresse verso la Torre Bianca. Un grido alle sue spalle la costrinse a girarsi. I Burgundi si fecero da parte facendo passare due figure avvolte nei mantelli. Una la riconobbe immediatamente per via del mantello di lana incerata: era Robert Anselm. L'altro era Bajezet dei giannizzeri. Il colonnello aveva il volto pallido a causa del freddo, tuttavia fece un inchino a Floria e disse qualcosa di cortese. «Colonnello.» Florian lanciò un'occhiataccia ad Ash. «Volete aspettare
de la Marche o preferite che cominciamo?» «Aspettare.» Ripresero a camminare e Ash sì avvicinò a Robert Anselm indicando il colonnello turco con un cenno del capo. «Roberto, chiedigli in che stato sono i suoi cavalli.» L'Inglese aggrottò la fronte poi tradusse la domanda. Il Turco si paralizzò e cominciò ad agitare le braccia gridando adirato e rosso in volto. «In turco vuol dire: 'non i miei fottuti cavalli!'» Florian si girò dando la schiena al vento e fece qualche passo indietro finché non si trovò faccia a faccia con Ash. «Pensa che li vogliamo mangiare.» «Vorrei. Roberto, digli che è una domanda seria.» Bajezet smise di urlare e cominciò a spiegare. Nel frattempo il gruppo aveva raggiunto la Torre Bianca e alcuni dei ripari in legno li schermavano dal vento. Una parte delle mura che si trovavano oltre la torre erano state riparate con lunghe tavole di legno. Questo è un punto debole, pensò Ash. «Dice che i cavalli dei suoi uomini non sono in buone condizioni perché non sono ben nutriti» tradusse Robert Anselm. «Non possiamo nutrire anche loro» aggiunse, cambiando di tono. «Pensa di poterli lanciare al galoppo?» «No.» Ash annuì pensierosa. «Bene, allora quelli non ci serviranno per seminare nessuno...» Le guardie su entrambe le estremità del muro ora li stavano osservando incuriositi. Se fossi un soldato semplice e i capi tenessero un consiglio sulle mura li guarderei anch'io... Ho sempre pensato che i capi stessero preparando qualcosa di incredibilmente stupido, quando li osservavo fare qualcosa di simile. E adesso vorrei che fosse qualcun altro a prendere questa decisione. «Mando qualcun altro a chiamare de la Marche?» chiese Anselm, battendo i denti. «No, dovrebbe arrivare.» L'ufficiale turco indicò oltre le mura e disse qualcosa. Ash seguì la direzione del dito, ma non vide nessun movimento particolare tra le linee nemiche. «Ha qualche problema, Roberto?» «Dice che fa freddo.» Anselm ingobbì le spalle come se volesse sottolineare l'affermazione. «Dice che negli altri posti è freddo e buio.» «Cosa?»
«Chiedi al colonnello Bajezet cosa intende dire» chiese Floria, che nel frattempo si era messa in mezzo tra Ash e Anselm. «E traduci alla lettera, chiaro, Roberto?» Olivier de la Marche salì sugli spalti e fece cenno ai suoi uomini di allontanarsi, dopodiché li raggiunse e fece un inchino all'indirizzo di Floria. «Non si può andare da nessuna parte, donna bey» tradusse Anselm. «Cosa intendete dire, colonnello?» Florian si rivolse direttamente al comandante turco e non ad Anselm. «Il colonnello dice di aver visto 'cose terribili' mentre veniva qua. Il Danubio è gelato. I campi sono diventati distese di ghiaccio costellate di morti. C'è solo il buio.» Robert Anselm smise di parlare, si consultò rapidamente con l'ufficiale e riprese: «Tutti i villaggi che si trovano tra qua e la Dalmazia sono deserti. La gente vive nelle grotte. Diverse città sono state rase al suolo per la legna. I falò bruciano giorno e notte.» «Il sole non c'è più?» domandò Floria. «Lui dice di no. Dice di aver visto laghi interamente gelati con bestie e uccelli intrappolati nel ghiaccio. Solo i corvi, le cornacchie e i lupi ingrassano. In alcuni punti del tragitto sono stati costretti a deviare...» Robert Anselm aggrottò la fronte. «Questa non l'ho capita.» «È probabile che si riferisca alle processioni» spiegò de Vere. «Un migliaio, madame. Alcune bruciano gli Ebrei, altre li salvano. Altre processioni si stanno recando in pellegrinaggio presso lo Scranno Vuoto247 . Però, la maggior parte di queste processioni, madame, stanno seguendo la voce che circola in tutta Europa riguardo la Borgogna e si stanno dirigendo verso i confini del regno.» Il colonnello dei giannizzeri aggiunse qualcosa e Robert Anselm tradusse: «Dovranno competere con gli altri profughi per il cibo.» La foschia velò il cielo. Il sole splendeva a sud-ovest. Il vento faceva lacrimare gli occhi e Ash decise che era giunto il momento di tornare a muoversi. Il gruppo si incamminò nuovamente lungo gli spalti, ma la duchessa rimase ferma dove si trovava. Ash seguì lo sguardo di Floria e vide che si stava concentrando sulle strade ben disegnate del campo nemico che passavano tra le baracche e le tende, sulle pile ordinate di rocce per i trabocchi, sui cavalli che nitrivano e sulle migliaia di soldati che si stavano mettendo in fila di fronte alle cucine per ricevere la colazione. «Stanno aspettando Fernando e noi abbiamo sempre meno scelte» di247
Roma?
chiarò Floria «e ancor meno tempo per attuarle.» John de Vere si avvicinò strofinando le mani. «Madame» disse «siete gelata!» Prima ancora che Floria potesse rispondere l'Inglese urlò qualcosa nella sua lingua e neanche un minuto dopo due uomini portarono un braciere tenendolo sospeso tra le aste di due ronconi. Lo posarono di fronte al conte e uno dei due attizzò le braci. «Questa chiacchierata andrà per le lunghe» osservò John de Vere. «La sicurezza è un fattore essenziale, madame, ma non è il caso di morire assiderati.» Il gruppo discusse a lungo intorno al braciere mangiando pane scuro e bevendo sidro caldo. Vagliarono tutte le possibilità che poteva avere una città tra due fiumi circondata da un esercito di quindicimila uomini perfettamente organizzato con tanto di macchine d'assedio. Un attacco sfruttando un fiume gelato? Rompere l'accerchiamento e fuggire in una campagna piena (come fece notare de la Marche) di pattuglie e spie nemiche? Cercare un modo di fare uscire la duchessa... e perdere ogni speranza di aiuto da parte dei Turchi, dei Tedeschi, dei Francesi o degli Inglesi? «Edoardo non verrà mai» sentenziò John de Vere, torvo. «York pensava di essere al sicuro perché si trova oltre la Manica. Sono l'unico Inglese che avete al vostro comando, duchessa.» «Più che sufficiente» disse Floria sorridendo al nobile prima di sorseggiare il sidro. Entro la quarta ora del mattino248 , il sole era abbastanza alto nel cielo da illuminare tutta Digione: i fiumi gelati, la valle piena di tende e uomini in marcia, gli sbuffi di fumo dei cannoni che rompevano deliberatamente la tregua, le colline ricoperte dal gelo e il bosco a nord. Ho sentito queste proposte almeno due volte, pensò Ash. Non stava ascoltando la sua anima. Il cielo bianco e azzurro del mattino e i tetti a forma di cono della città balenavano davanti ai suoi occhi. Tuttavia, nonostante il freddo gelido e il calore delle braci una parte della sua attenzione era rivolta verso l'interno dove, a un livello puramente subliminale, le voci inumane continuavano a sussurrare: «PRESTO. PRESTO. PRESTO.» «Lo so» disse ad alta voce. Bajezet e de la Marche stavano parlando tra loro con l'aiuto di Anselm e non le prestarono attenzione. De Vere la fissò incuriosito. 248
Le dieci.
«Conosco quello sguardo. Hai in mente qualcosa» disse Floria. «Forse, lasciami pensare.» Dimentica la machina rei militaris, si disse. Ricorda che non sarebbe molto diverso se potessi ricorrere ai suoi consigli e, soprattutto, ricorda che fai questo mestiere da tutta la vita. Tutto andò a posto nella sua mente con la stessa ferrea logica di una partita a scacchi: se lo facciamo, allora succederà una determinata cosa; ma se succederà quella cosa e noi facciamo quest'altra cosa... Prese Floria per un braccio e disse: «Sì, ho trovato qualcosa.» La donna si illuminò in volto. «E senza l'aiuto della machina rei militaris» disse, senza essere cinica. «Già, senza di lei.» Ash non poté fare nulla per frenare il sorriso che le increspò le labbra. «Sì...» «Dimmi, cosa hai pensato?» chiese Floria. «Un attimo...» Ash appoggiò le mani sui merli e saltò dentro il riparo in legno, si diresse verso la Torre Byward, quindi tornò indietro. Si sporse oltre i merli e non vide alcun segno di movimento. Niente. «Va bene.» Tornò sugli spalti. «Vediamo di cominciare dal principio.» Il vento le mozzava il fiato, la faceva tremare, ma non la privava dell'autorità. Fece una pausa in attesa del gesto d'assenso di Floria, quindi cominciò. «Allora, noi siamo qua, fuori ci sono quindicimila uomini. Quelli del faris e le due legioni fresche di Gelimero. Sappiamo che c'è attrito tra loro.» De Vere e de la Marche annuirono all'unisono: entrambi sapevano cosa significasse essere raggiunti da rimpiazzi freschi dopo tre mesi passati in un dedalo di trincee fangose a bombardare una città imprendibile. «Quindicimila» ripeté Floria attraverso le mani chiuse sopra la bocca. «Noi abbiamo centottanta uomini dell'esercito burgundo, i trecentottanta uomini del Leone, meno gli artiglieri, e cinquecento giannizzeri.» Ash non poté fare a meno di ridere all'espressione sul volto di Floria. «Sappiamo come sono disposti. Le due legioni di Gelimero si trovano a nord, tra i due fiumi. La maggior parte degli uomini del faris a est e ovest... sulle sponde del fiume.» Gli uomini si avvicinarono per ascoltare meglio e scaldarsi. «Madame» disse John de Vere, pensieroso «pensavo che potevamo attraversare il fiume. I cavalli di Bajezet potrebbero attraversare il fiume a nuoto, ma il ghiaccio ha messo la parola fine al mio piano, a meno che non diventi ab-
bastanza spesso da sopportarne il peso.» «E cosa farebbero una volta arrivati nel campo nemico?» «Potrebbero tagliare fuori le loro linee di rifornimento.» Ash annuì impaziente. «Lo so; ma non arriveremmo a nulla. Farebbe girare Gelimero a vuoto, non toglierebbe l'assedio e daremmo loro la scusa per raderci al suolo.» «Vi aspettate seriamente di riuscire a togliere l'assedio?» chiese l'ufficiale turco, tramite Anselm. «Il cibo è scarso e i civili sono stanchi. Se dobbiamo fare qualcosa dobbiamo farlo prima di essere troppo deboli.» Ash prese sottobraccio de Vere e Floria. «Non perdiamo comunque di vista il nostro obbiettivo primario. Per non parlare della nostra graziosa duchessa...» «Vai a farti fottere» commentò Florian. «... cosa dobbiamo fare? Dobbiamo fare in modo che il califfo-re sembri debole agli occhi dei suoi alleati. Dobbiamo fare qualcosa che induca i suoi alleati a mollarlo e unirsi alla Borgogna. Dobbiamo sembrare forti. Dobbiamo vincere» dichiarò Ash. Olivier de la Marche la fissò. «Vincere?» «Non riceveremo nessun tipo di rinforzo. Possiamo arrenderci o possiamo aspettare, ma non lo faremo a lungo! Possiamo farli entrare in città e combatterli per le strade. Possiamo conciarli per le feste, ma alla fine saranno loro a vincere e giustizieranno Floria» sentenziò Ash, pragmatica. «Guardiamo la situazione. Ci sono quindicimila uomini là fuori. Noi siamo duemilacinquecento. Ci superano di cinque a uno!» Sorrise a Floria. «Hai ragione. C'è solo una cosa che possiamo fare. Attacchiamo.» «Pensavo che ci stessimo per arrendere!» «Certo. Noi diciamo che ci arrendiamo. Mandiamo un araldo da Gelimero e gli facciamo organizzare la resa.» Ash continuò a sorridere. «Mentiamo.» Il conte di Oxford aggrottò appena la fronte. «È contro le regole della guerra.» Olivier de la Marche annuì. «Sì. È un tradimento, ma i miei uomini ricordano ancora il duca Giovanni Sans Peur 249 sul ponte di Montereau. I Francesi non patirono molto per il loro tradimento visto che vinsero. Non ci troviamo in una posizione che ci permette di essere più orgogliosi di quei Francesi.» 249
'Senza paura'.
«Siamo disperati» concordò John de Vere, mesto. Ash trattenne una risata e si pulì il naso con il mantello. Il vento penetrava la lana, il metallo, la pelle e si insinuava nelle ossa inducendola a ballonzolare rigidamente da un piede all'altro nel tentativo di scaldarsi. «So che sembra privo di speranza» disse Ash, sorridendo. «E lo è. È senza speranza per il sultano, per re Luigi e per Federico d'Asburgo. Riuscite a immaginare... cosa succederebbe... se vincessimo? Un unico colpo ardito... e Gelimero perde gli alleati.» «E noi crepiamo!» sbottò Floria. La duchessa dondolava passando dalla punta dei piedi ai talloni nel tentativo di scaldarsi. Ash la ignorò. «La maggior parte dei loro uomini - parlo delle legioni di Gelimero - si trova sul lato nord del campo, tra i due fiumi. I Visigoti possono arrivare in quel punto, ma ci impiegheranno del tempo. Così dovremmo affrontare... poco più di diecimila uomini.» «Ci farai ammazzare tutti» affermò Floria. «Non tutti. Solo una persona.» Ash punzecchiò il chirurgo con un dito intirizzito. «Ascolta. Cosa succede se Gelimero muore?» Ci fu un attimo di silenzio. Sul volto di Floria apparve un sorriso. «Gelimero? Vuoi attaccare il califfo-re in persona?» «Il faris tornerebbe a reclamare il suo ruolo di comandante in capo... Lebrija... è uno adatto a eseguire gli ordini e basta.» «E ci sarebbe un'altra fottuta elezione, giusto?» disse Robert Anselm. «Forse dovrebbero tornare a Cartagine. Gli amir... in lotta fra loro...» «Non c'è nessun candidato scontato per la successione al trono di Gelimero» continuò il conte di Oxford. «Lord Gelimero non ama avere amir potenti nella sua corte e ha indebolito l'influenza di molti nobili. Questa è una buona idea, madame, eliminiamo il loro capo e forse non solo riusciremo a mettere fine all'assedio, ma anche alla loro crociata per questo inverno... forse per sempre.» «Non avranno più nessun alleato» disse Ash, secca. «Vedrete Federico e Luigi come se la daranno a gambe e a quel punto entra in gioco il sultano... giusto, colonnello?» «Non è del tutto impossibile, donna bey» rispose Bajezet. «Ma, madame,» obiettò de Vere «lord Gelimero non è uno stupido. Certo possiamo tentare una sortita, battere sul tempo i suoi uomini e farlo fuori... ma lui dove si trova? In quale parte del campo nemico è alloggiato? E se si fosse ritirato in una città nelle vicinanze? È probabile che si aspetti un
simile tentativo.» «Può aspettarsi tutto quello che gli pare: se duemilacinquecento uomini lo investono diventa cibo per cani. Ascoltate: il faris conosce la disposizione delle truppe e i turni di guardia. Lo sa perché prima di arrendersi a noi deve aver raccolto informazioni per barattare la sua resa. Dobbiamo riuscire a far uscire delle spie prima che i turni siano cambiati. Possiamo trovare gli alloggi di Gelimero senza che lui se ne renda conto e tornare indietro. Io credo che si trovi a nord. Ha bisogno di tenere d'occhio le truppe.» «Denti di Dio!» imprecò John de Vere. Nel campo nemico non c'era nessun segno che indicasse la presenza del califfo-re. Poteva essere ospitato in una qualsiasi delle baracche migliori. La più calda, pensò Ash cinica, lasciando Florian, de Vere e de la Marche a osservare il lato nord del campo visigoto. «Dovremo muoverci molto velocemente» valutò il conte di Oxford, pensieroso. «E se si trova là fuori sarà difficile convogliare un gran numero di soldati in quel punto facendoli uscire tutti contemporaneamente dai cancelli nord-ovest e nord-est. Ci sarebbero addosso prima che possiamo schierarci del tutto e ci imbottiglierebbero.» «So come fare» assicurò Ash. Era così fiduciosa che riusciva a ignorare il freddo e non si rese neanche conto di essersi avvolta nel mantello per proteggersi dal vento. Il sole cominciava a lambire le mura bianche di Digione, ma il gelo sugli spalti non si scioglieva. «So come fare uscire le truppe» ribadì Ash. Fissò Florian. «È il giorno di santo Stefano e sono passate ventiquattro ore da quando il faris si è consegnato a noi. Qualunque cosa vogliamo fare, dobbiamo raccogliere il maggior numero di informazioni possibili nel più breve tempo possibile.» Riprese fiato. «Qualche debolezza alla quale Gelimero non può ancora rimediare. Non può modificare le unità indebolite... ma può spostarle. Dobbiamo avere tempo per prepararci e abbiamo bisogno che lui pensi di non essere il nostro bersaglio.» Florian rise, roca e allungò le mani sul braciere. «Il nostro bersaglio, certo. Siamo circondati da quindicimila uomini... e noi attacchiamo il loro capo. Perfettamente logico, capo!» «Lo è. È lo stesso motivo per il quale vogliono te. Taglia la testa e il corpo muore.» Ash si interruppe. «Tutto dipende da questo. Se, una volta fuori, perdiamo, quelli entrano e fanno a pezzi la città.»
«Dove hai intenzione di sbattermi?» le chiese l'ex chirurgo. «In qualche profonda segreta dove non potranno trovarmi?» «Potrebbero attaccare la città nel momento che noi attacchiamo loro» fece notare de la Marche. «Se vedono un'opportunità potrebbero mandare una legione contro la città, mentre noi siamo impegnati fuori. A quel punto avremmo perso... Sua Grazia sarebbe morta... e tutto il resto.» «Ho una risposta anche per quello» lo rassicurò Ash. «Siamo tutti d'accordo.» I componenti del gruppo la fissarono. Alla fine fu Floria a parlare, deglutì la bile che sentiva in bocca e disse: «Non finché non avrò sentito tutti i particolari almeno sei volte. Non compro un maiale senza prima averlo visto. E che ruolo ha la duchessa in tutto questo?» «Questo» disse Ash sogghignando indicando con un cenno del capo il comandante dei giannizzeri «è il punto in cui entrano in scena il colonnello Bajezet, i suoi cavalli e» si girò verso il conte di Oxford «il vostro fratello più giovane, mio signore. Dobbiamo parlare con Dickon de Vere.» Ash tornò alla torre della compagnia solo dopo le due del pomeriggio e chiamò immediatamente a rapporto Ludmilla Rostovnaya e Katherine. «Quante donne sergente sono in forza alla compagnia al momento?» Ludmilla aggrottò la fronte, lanciò un'occhiata alla compagna di lancia, poi disse: «Non ne sono sicura, capo, ma dovrebbero essere circa trenta, perché?» «Voglio che vi raduniate, prendiate tutte le lance di riserva che abbiamo... anche quelle dei Burgundi, Jonvelle vi aspetta e cominciate a istruire alcune persone all'uso delle armi.» Ludmilla aggrottò nuovamente la fronte. «Sì, capo. Chi?» «I civili, voglio che insegnate loro i rudimenti per difendere un muro.» «Cristo Verde, capo, non possono combattere! Non sanno come si fa! Sarà un massacro.» «Non credo di aver chiesto la tua opinione» rispose Ash, secca, poi si calmò e continuò: «C'è differenza tra il morire indifesi e travolti dal nemico e morire cercando di portare qualcuno con te. Questa gente lo sa. Voglio che tu e le altre donne insegnate loro da che parte si tiene un roncone e a quale distanza devono stare uno dall'altro per evitare di impalarsi a vicenda. Ecco tutto. Avete tutto oggi a disposizione.» «Sì, capo.» La donna russa fece per andare via, poi si fermò e chiese:
«Perché proprio le donne, capo?» «Perché dovrete addestrare gli uomini e le donne di Digione. Forse non l'avrete notato, ma a loro non piacciano i soldati. Pensano che siamo solo un branco di disgraziati ubriaconi, licenziosi e aggressivi.» Ash sorrise nel vedere l'espressione angelica apparsa sul volto di Ludmilla. «Per cui le donne civili impareranno se vedranno che altre donne già lo fanno e gli uomini impareranno perché non vogliono essere considerati inferiori. Soddisfatta?» «Sì, capo.» Ludmilla Rostovnaya si allontanò sorridendo. Ash tornò seria. I civili non si trasformano in una milizia nel giro di una notte, pensò. Anche le migliori milizie cittadine cominciano a funzionare dopo una paio di scontri. Li massacreranno. Meglio loro che uomini e donne che possono combattere, io ho bisogno di quelli, pensò brutale. «Capo?» Thomas Rochester superò la porta e le guardie la richiusero prontamente. L'Inglese fu accompagnato da uno sbuffo di neve che si posò sul pavimento senza sciogliersi. «È meglio se vieni, capo» le consigliò. «I giannizzeri stanno per lasciare la città.» «Bene!» rispose Ash. II Il freddo non era meno penetrante sugli spalti del cancello nordest. «Incrocia le fottute dita» consigliò Robert Anselm, fermo al fianco di Ash. Si era avvolto nel mantello con il cappuccio calato fino quasi al naso. Solo il mento era visibile. Il pallido sole del pomeriggio disegnava l'ombra di Ash sui camminamenti. Lei si riparò gli occhi con una mano per osservare il giannizzero che si allontanava nella terra di nessuno. Un secondo cavaliere portava lo stendardo con il Cinghiale Blu degli Oxford. «Questo dovrebbe convincerli che abbiamo veramente intenzione di arrenderci.» Anselm rise di gusto. «Giustissimo....» Nella piazza che si trovava oltre il cancello nord-ovest, Ash sentiva il tintinnare dei finimenti e lo scricchiolio delle selle accompagnato dallo scalpitare di alcuni cavalli. Fissò l'uniforme schieramento turco nel quale spiccavano le divise degli uomini di de Vere. L'apprensione la paralizzò. «Non posso credere che lo stiamo per fare»
disse Ash. «Mi sto per cagare addosso. Roberto, va' a dire loro che molliamo tutto.» «Piantala, ragazza. Sei stata tu ad avere l'idea.» Robert Anselm alzò la testa e tirò indietro il cappuccio. «Non cedere adesso» le disse sorridendo. «Sei stata tu a parlare di un colpo preciso.» Le guardie erano distanti e gli spalti, eccettuati loro due, deserti, ma Ash preferì parlare a bassa voce. «Non c'è niente da scherzare. Stiamo rischiando Florian e tutto il resto.» «Se non fosse rischioso, i Visigoti si accorgerebbero che è una trappola» rispose Anselm, apparentemente calmo. «Pensavo che fosse il tuo punto di vista.» «'Fanculo» disse Ash. «Merda. Oh merda.» L'ombra del cappuccio copriva parzialmente il viso dell'Inglese, ma Ash vide che era imperlato di sudore. Ash si allontanò da lui e si sporse oltre i merli per fissare i cavalieri. Un'aquila visigota uscì dal campo nemico. Ash si rese conto che stava trattenendo il fiato solo quando lo rilasciò con un colpo di tosse. Il drappello nemico era composto da una ventina di fanti e cavalieri che stavano avanzando tranquilli. «Te l'avevo detto che non avrebbero tirato addosso ai Turchi.» «Non ancora» disse Anselm. «Cristo sull'Albero! Vuoi tacere!» «Aiuta urlare contro qualcuno» commentò Anselm, in tono amichevole, quindi si sporse anche lui dai merli per vedere la scena. «Ecco. Tranquilli. Non mandate tutto al diavolo proprio adesso.» Stava parlando agli araldi inglese e turco. Ash si riparò di nuovo gli occhi con la mano. Uno spesso strato di ghiaccio ricopriva il terreno. La bandiere con la mezza luna e il Cinghiale Blu si fermarono a duecento metri dal cancello. Un cavaliere visigoto, quello che portava l'aquila, si staccò dal gruppo. La vista di Ash si appannò. «Quanto ti piacerebbe essere una mosca sulla schiena di quel cavallo?» borbottò. «So quello che sta per dire il Voynik di Bajezet: 'La Borgogna sta per cadere. Il mio signore, il sultano non ha fiducia nella duchessa. È tempo che torniamo alle nostre terre.'» «Non penso che Gelimero voglia una guerra con i Turchi. Non questo inverno, almeno.» Il colloquio fuori dalle mura continuava. Un cavallo nitrì nella piazza alle loro spalle. Ash rabbrividì per il vento freddo e si pulì il naso con il
mantello. La pelle rimase abrasa dalla lana umida. Il cavaliere visigoto completò l'avvicinamento e a quel punto Ash distinse solo delle macchie di seta colorata contro il cielo. I soldati visigoti, stolidi, continuavano a rimanere a distanza. «So anche quello che sta dicendo il lord di Oxford» disse Robert Anselm senza fissare Ash. «'Sono un conte inglese in esilio, la Borgogna non mi interessa per niente. Sto andando a cercare appoggio dai Turchi per la causa dei Lancaster.'» «Non mi sembra irragionevole.» «Speriamo che Gelimero la pensi allo stesso modo.» Ash abbassò la mano posandola sulla spada. «Qualsiasi cosa pensi, cinquecento uomini abbastanza freschi stanno abbandonando la città, lasciando la Borgogna al suo destino.» «Non li hanno ancora uccisi» constatò Anselm. «Come mi hai fatto notare tu stesso, in questo momento, Gelimero non vuole le truppe di Mehmet all'interno del suo regno.» Strinse la mano intorno all'elsa di legno rivestita di cuoio. «Il miglior modo per evitare di essere sfidato dai Turchi è quello di radere al suolo Digione. Gelimero è sicuro di riuscirci molto presto, ma sarebbe molto meglio per lui se nel frattempo evitasse di mandare al Creatore alcuni uomini del sultano. Non penso che gli possa importare qualcosa se il grande conte inglese se ne va dalla città con Bajezet...» «A Dio piacendo» rispose Ash, in tono devoto. «Non posso credere che sto facendo qualcosa di tanto rischioso. Devo essere fuori di testa.» «Sì, lo sei, adesso taci» le intimò Robert Anselm. I cinquecento arcieri turchi montavano in sella a ranghi compatti. Vicino ai cancelli, quasi sotto gli spalti, il visconte di Beaumont era vicino ai fratelli del conte di Oxford, fermi vicini ai cavalli da guerra. La risata del visconte echeggiò chiara nell'aria gelida. Ash era consapevole che in quel momento provava un istinto irragionevole di scendere e colpirlo. I quarantasette uomini di John de Vere si tenevano a una certa distanza intenti ad accudire i pony da soma sui quali si trovavano gli ultimi beni materiali dei de Vere. I fratelli Oxford, come anche il visconte di Beaumont, indossavano la corazza completa. Sembrava che George e Tom de Vere stessero discutendo riguardo qualcosa che era successo a una delle cinghie dell'armatura di Dickon. Ash fissò il terzo fratello, un giovane con indosso l'armatura lucida, la
daga che spiccava sopra il tabarro con le insegne della famiglia e un ciuffo di capelli color grano che gli ricadevano sulle spalle. Portava l'elmo sottobraccio e aveva la testa chinata per osservare la corazza. «Metti quel cazzo d'elmo» sussurrò Ash. Non poteva essere sentita da quella distanza. Dickon de Vere diede un leggero ceffone al fianco di uno dei fratelli, fece qualche passo deciso sul selciato insidioso battendo un pugno sulla corazza lamentandosi che si trattava di una cosa da poco e non di un problema vero e proprio. Il visconte di Beaumont disse qualcosa e Dickon rise, mesto, alzando gli occhi agli spalti sopra il cancello, dai quali Ash stava fissando il volto di Floria del Guiz. «È passata per un uomo in una compagnia mercenaria per cinque anni» le rammentò Robert Anselm, più delicato del passo di un topo. «Nessuno la individuerà, ragazza.» Floria era alta per essere una donna e l'armatura che le aveva dato le calzava alla perfezione. Gli alti stivali da cavallerizzo erano attaccati ai pantaloni e servivano a nascondere il fatto che gli schinieri di Richard de Vere non le andavano bene. Era molto raro che gli uomini avessero caviglie simili e non doveva esserci nessuno spiraglio in quel tipo di protezione. Floria disse qualcosa a Tom de Vere. Doveva trattarsi di uno scherzo perché tutti scoppiarono a ridere. Ash non sapeva dire se la donna l'aveva vista. «Non riesco a credere che lo stiamo facendo.» «Se vuoi ti chiudo in un cesso finché non è tutto finito» le propose Anselm, esasperato. «Potrebbe essere l'opzione migliore.» Ash si strofinò il viso e le fibbie del guanto le raschiarono la pelle resa fragile dal freddo. Sospirò, si girò e tornò a fissare quello che stava succedendo oltre le mura. La bandiera turca, quella inglese e l'aquila visigota continuavano a occupare il centro della scena. «La gente vede quello che vuole vedere» disse convinta. «Sarei molto più contenta se il loro inglese di Londra fosse migliore.» «Ascolta» disse Robert Anselm. «Sei stata tu a dirlo e hai ragione: Digione sta per cadere. Noi li attacchiamo, loro entrano in città e la spianano, non importa. Noi siamo fottuti in ogni caso. E stiamo parlando di giorni, non di ore.» «Sono stata io a dirlo.» «Come se avessi bisogno di sentirmelo ripetere» disse Anselm in tono
sarcastico e caustico. «Ragazza, se lei rimane in città è morta. In questo modo esce in mezzo a cinquecento uomini contro i quali nessuno ha voglia di alzare una spada per un grandissimo numero di motivi. Stavi cercando un posto 'sicuro'? Non c'è niente di 'sicuro'. La cosa più sicura è la soluzione per la quale abbiamo optato: fare in modo che Gelimero pensi che lei sia in città, quando, in verità, non c'è.» «Roberto, sei così fottutamente rassicurante.» In tutto il trambusto della vestizione di Floria e a causa della sicurezza, Ash non era riuscita a dire addio a Floria. «Quanto lontano hai detto loro di andare?» chiese Anselm. «Sarà de Vere a giudicarlo. Si accamperà a un giorno di viaggio da qua, se è sicuro. I Visigoti non saranno troppo stupiti di vedere le truppe del sultano nelle vicinanze. Penserà che vogliono vedere come va a finire e fare rapporto. Se si muove in maniera furtiva, riuscirà ad avvicinarsi gradualmente a est, verso il confine.» «E se non è abbastanza furtivo?» Ash sogghignò. «Non saremo in circolazione per preoccuparcene. Se fossi in Oxford, a quel punto comincerei a correre veloce come una palata di merda per il confine sperando di raggiungere il più presto la guarnigione turca.» Il sorriso scomparve. «Così, avremo ancora una duchessa.» L'inviato visigoto si girò lanciandosi al galoppo verso le trincee. L'interprete turco e John de Vere si avviarono al passo verso la città. Le bandiere pendevano inerti contro le aste per mancanza di vento. Il fiato che usciva dalle narici dei cavalli si condensava in nuvolette bianche. «Ecco che torna.» In quel freddo giorno di santo Stefano, Ash rimase in piedi, spalla a spalla con Robert Anselm, sugli spalti di Digione. Un corvo gracchiò e atterrò prendendo qualcosa di colore rosso e fango con il becco che ricadde sul terreno gelato. John de Vere e l'interprete avanzarono tra i resti dei cadaveri. I cavalli da guerra non erano impressionati dalla scena, ma quello di de Vere dilatò le narici infastidito dall'odore. Ash strinse i pugni. Sembrò che fossero passati solo secondi e non minuti prima che i cancelli di Digione si aprissero e i cavalieri turchi uscissero. Ash rabbrividì poi si calmò. Tom e il visconte di Beaumont uscirono per primi per incontrare il conte di Oxford, il fratello più giovane seguì con George de Vere e le truppe di guardia a palazzo.
Il baccano provocato dalla colonna in movimento echeggiò contro le pareti del cancello, ma Ash si accorse appena del rumore provocato dalla saracinesca a griglia che veniva abbassata. Floria del Guiz si stava allontanando da Digione in mezzo ai giannizzeri. Portava l'elmo sotto il braccio come tutti gli altri soldati, ma non c'era nulla di femminile nel suo viso. Ash cercò di seguirla il più possibile con lo sguardo, prima che svanisse del tutto, confondendosi tra i Visigoti. «Buon Dio» esclamò Ash. Si girò e scese nella piazza sottostante. A fianco delle guardie burgunde c'erano una dozzina dei suoi comandanti di lancia che parlavano tra loro a bassa voce. «Va bene» esordì Ash, apparendo come un condensato di fiducia, ignorando e nascondendo la paura che le attanagliava lo stomaco. «Adesso è il momento di prepararci, ragazzi. Dov'è de la Marche? Un'ora, poi mandiamo fuori l'inviato a dire al califfo-re Gelimero quello che si aspetta di sentire.» «Ah sì? Chi?» chiese Robert Anselm. III «Se non rimandiamo Fernando del Guiz a negoziare la resa» spiegò Ash, dispiaciuta, a Olivier de la Marche «Gelimero potrebbe insospettirsi.» Il sole tramontava assumendo un colorito rosso vino. La neve scendeva lenta nell'oscurità crescente. Ash chiuse le imposte della stanza ducale e appoggiò per un attimo il capo contro il legno freddo, ascoltando le voci nella sua mente. «...LA PICCOLA OMBRA MOLTO PRESTO DIVENTERÀ COME LE ALTRE OMBRE. UNO SPETTRO; QUALCOSA CHE NON È MAI ESISTITO. NON SARÀ NEANCHE UN SOGNO...» La forza di quel potere era tale che lei si sentiva risucchiare. La fronte si scaldò imperlandosi di sudore per lo sforzo di resistere. Un sorriso le arricciò le labbra e si drizzò. «Non vi arrendete mai, vero?» «SENTI IL NOSTRO POTERE CHE CRESCE...» «PRESTO, MOLTO PRESTO.» Ash ignorò la paura e si allontanò dalla finestra. «Non si insospettirà se invieremo un uomo di alto rango» le fece notare de la Marche, fermo accanto al camino. «È mio dovere andare. Sono un
Burgundo, capitano-generale.» «Verissimo, ma Gelimero sarebbe capace di torturare l'araldo per controllare che abbia detto la verità. Lo so.» Ash fissò il campione burgundo con un'occhiata piatta. «Ci sono persone che sanno troppo e voi, come me, siete una di queste. Non andremo noi. Ha più senso che vada Fernando.» Forse vorrà parlare con sua sorella la duchessa, prima di andare, pensò Ash. Si rese conto che anche de la Marche e Anselm pensavano la stessa cosa anche se nessuno dei due aveva voglia di dirlo. Ash lanciò un'occhiata dall'altra parte della stanza dove si trovava una figura con indosso un abito di broccato e il velo calato sul viso e fece una smorfia. «Non credo che Fernando debba parlare con la duchessa.» Dickon de Vere guardava fuori dall'unica finestra le cui persiane non erano state chiuse con un'espressione sul volto uguale a quella che aveva quando, poche ore prima, aveva detto a John de Vere: «Tu vuoi che indossi, cosa?» «Spegni la lampada o chiudi le imposte!» ringhiò Robert Anselm, all'indirizzo del suo giovane compatriota e quando Dickon de Vere lo fissò stupito, aggiunse: «Vuoi fornire loro una bella luce alla quale mirare, ragazzo... Vostra Grazia?» «Ascolta, capo» Anselm lanciò un'occhiata ad Ash. «Gelimero sa che provi del risentimento nei confronti di tuo marito. Accoppa Fernando e manda fuori qualcuno con il cadavere. Diremo al califfo-re che abbiamo sistemato una faccenda di famiglia. Se Fernando è morto non può andare in giro a parlare e chiunque manderai fuori potrà negoziare la resa.» «Non lo voglio morto.» La risposta giunse prima che lei avesse tempo di pensare e Anselm la gratificò con un'occhiata piatta. De la Marche, non lo notò, ma annuì e disse: «È il fratello di Nostra Grazia la duchessa: ho qualche remora a giustiziarlo senza un ordine diretto della duchessa.» «Se sbattiamo 'Fratello' Fernando del Guiz in una segreta la gente comincerà a parlare» lo interruppe Anselm. «Che ci piaccia o no un informatore riuscirà ad arrivare alle celle e lui gli dirà che è da un po' che non vede la sorella e a questo punto siamo fatti.» Punzecchiò Ash con un dito. «Fregatene di quello che dice il dottore. Fallo uccidere.» Il freddo si fece strada a scapito del calore emanato dal camino. Ash si stirò e cominciò a camminare sul pavimento che scricchiolava. «No.»
«Ma, capo...» «Portatemi i suoi vestiti da prete» ordinò Ash. «I morti sono l'ultima cosa che ci mancano, vero, Roberto? Trova un corpo che sia più o meno della sua taglia, mettigli addosso gli abiti da prete e appendilo fuori dalle mura dentro una gabbia... voglio che sembri un uomo lasciato a morire di fame. Chiunque manderemo fuori come araldo potrà dire a Gelimero che ho sistemato le cose con il mio ex marito...» Socchiuse gli occhi. «Meglio se gli rovini un po' il viso. Non mi stupirei che abbiano qualche macchina golem che può vedere a centinaia di metri di distanza.» Olivier de la Marche comunicò il suo assenso con un cenno del capo. «E Fernando del Guiz?» Ash smise di camminare e alzò la testa. «Mettetelo insieme a Adelize, Violante e il faris. Lei potrebbe aver bisogno di un confessore... Fernando è l'unico prete ariano che abbiamo a disposizione.» Vediamo se riesce a parlarle, aggiunse fra sé. Robert Anselm non disse nulla, ma Ash intercettò uno sguardo rivolto a lei da parte dell'Inglese al quale si rifiutò di rispondere. Anselm attese un attimo, poi continuò: «Allora chi è il fortunato che uscirà a farsi tagliare i coglioni?» Ash tamburellò con le dita sull'armatura. «In linea di massima dovrebbe essere qualcuno con una carica di una certa importanza, ma che non è al corrente dell'aspetto militare di quanto sta succedendo.» Olivier de la Marche schioccò le dita. «Ce l'ho! Il visconte maggiore Follo.» «Richard Follo?» Ash rifletté per qualche attimo. «Non trovate che sia la scelta più ovvia, Pulzella?» commentò de la Marche, scrollando le spalle con un disprezzo del tutto cavalleresco per le persone che non combattono per piacere... o, almeno, per onore. «È un civile, ma, cosa più importante... è un codardo credibile. Se gli diciamo che ci stiamo arrendendo, egli negozierà la resa in buona fede.» Qual nobile pensare, si disse Ash. «Mi state dicendo che non mancherà a nessuno?» domandò Ash, provando, con sorpresa, una sorta di compassione per quell'uomo. «Mandiamo fuori il grassone bastardo!» commentò Robert Anselm tra le risa di de la Marche e le occhiatacce di Dickon de Vere. A dire il vero, pensò Ash, Richard Follo è solo un piantagrane pomposo. È anche il sindaco, è un civile e la sua famiglia è ancora viva; non dovremmo sacrificare nessuno dei nostri, non importa quanto possono creare
problemi... Non essere troppo ansiosa di salvarlo solo perché non ti piace. «Credo che tra tutte le persone di un certo rango, lui sia l'ultimo che possa dire a Gelimero qualcosa di utile» assentì Ash. «Olivier, potresti mandare uno dei tuoi araldi a organizzare un incontro tra Follo e... Rancho Lebrija, mi aspetto che lui sia dalla loro parte» De la Marche si alzò e uscì dalla stanza. «Dove...» Ash riprese a camminare su e giù per la stanza ignorando i tre uomini. «Dov'è Gelimero?» «Lo hai trovato» indovinò Ash. Non aveva bisogno che il Gallese dicesse nulla, perché l'espressione che aveva sul viso diceva già tutto. I due fratelli Tydder, Simon e Thomas, indossavano delle divise visigote sporche e sui volti avevano la stessa aria soddisfatta di Euen Huw. «Abbiamo seguito i turni delle pattuglie, chi vuoi che noti un lanciere in più? Se la passa bene il tipo» spiegò Euen Huw. «Molto meglio di te. Ha gli schiavi, gli uomini di pietra e non so cos'altro. Per non parlare dei bracieri. Faceva abbastanza caldo da sciogliere la pelle sul viso. È stata la prima volta che ho risentito il caldo da quando siamo arrivati qua.» Ash strinse l'attaccatura del naso tra il pollice e l'indice, dopodiché lo fissò. «Avremmo provato a fotterlo se ne avessimo avuto la possibilità.» Dalle parole del Gallese traspariva una grande frustrazione. «La sorveglianza è altissima. Avrà una dozzina di uomini che lo seguono sempre, anche quando va a cagare! Ci è già voluto abbastanza tempo per avvicinarsi e capire che era lui.» «Arco? Balestra? Archibugio?» «Nah! Capisco come mai gli altri ragazzi non sono riusciti ad avvicinarsi. Gli uomini della scorta che lo proteggono sono tipi tosti. Non provare a toccare un'arma quando sei vicino a loro.» «Dov'è?» chiese Ash. «Qua» disse Euen Huw, mentre metteva mano al borsellino di cuoio. Non a sud, pregò Ash. Non voglio dover guadare il fiume per attaccarlo. Non mi importa se è gelato. Le mani sporche del Gallese aprirono un foglio di carta di fronte a lei. I fratelli Tydder si avvicinarono ulteriormente a Euen che fece scorrere un dito lungo i tratti di carboncino che designavano la città, i fiumi a est e
ovest e l'ampia valle a nord. Le linee che rappresentavano il campo visigoto non erano ben definite. Euen batté un dito su un punto. «È qua, capo. A circa un chilometro a nord del cancello nordovest. A monte rispetto a noi e su questo lato del fiume. Qua, dietro le linee, c'è un ponte. Non l'hanno abbattuto. Penso che si sia piazzato laggiù così potrà scappare rapidamente in caso di guai.» «Già, se attraversa il ponte può imboccare sia le strade a est che quelle a ovest...» «Sempre che glielo lasciamo fare.» Ash sorrise al Gallese. «Dovremmo muoverci dannatamente veloci se vogliamo bloccarlo. Ben fatto, Euen, bravi ragazzi. Perfetto, ho bisogno che escano altre persone e lo tengano d'occhio... Attenti, gli arif hanno avuto abbastanza tempo per riorganizzare i turni di guardia. Devo sapere se il califfo-re Gelimero si sposta.» Il 27 dicembre passò e per un dozzina di volte ogni ora, Ash sentì la mancanza di John de Vere, dei suoi consigli, del suo temperamento e della sua fiducia. L'assenza di Floria del Guiz la preoccupava come un dente mancante. «Attività nel campo nemico, stanno spostando alcuni uomini» riportò Robert Anselm. «Hanno già risposto al nostro araldo?» «Follo è ancora là fuori a parlare» rispose Anselm. «Più lo lasciamo fare e più il califfo potrà rafforzare i punti deboli.» «Lo so, ma sappiamo anche che ci vuole un certo tempo per organizzarsi. Dobbiamo prenderli di sorpresa: usciamo, sfondiamo lo schieramento e becchiamo Gelimero. Il resto è perfettamente inutile.» In un giorno aveva attraversato Digione da muro difensivo a muro difensivo venti volte per ascoltare i rapporti, impartire ordini e parlare con de la Marche e Jonvelle. Si riposò per un'ora dopo mezzogiorno e riprese il lavoro con la testa che galleggiava nel baccano. «SENTI IL FREDDO CHE SALE, PICCOLA OMBRA. SENTI COME TRAIAMO POTERE DAL SOLE.» Il 27 dicembre, quando il breve crepuscolo volgeva al termine, l'araldo burgundo tornò a Digione. Richard Follo giunse al cospetto di Ash e Olivier de la Marche che lo attendevano in una stanza del palazzo ducale insieme ai mercanti e ai grossi-
sti di Digione. La duchessa velata sedeva sul trono di quercia, appannaggio esclusivo dei Valois. Follo fu scortato lungo le strade piene di profughi. Ormai erano in pochi gli uomini o le donne emaciati dalla fame o prossimi alla disperazione che non avessero un roncone, un forcone o qualsiasi tipo di arnese dalla punta in ferro. «Allora?» domandò de la Marche, agendo da portavoce della duchessa. Richard Follo impiegò qualche attimo a raddrizzare il pendaglio della collana da sindaco e prese fiato. «È tutto sistemato, mio signore. Ci arrenderemo domani al lord comandante, qa'id Lebrijia. I primi a uscire saranno i nobili e i commercianti. Dovranno essere disarmati e si attesteranno sul tratto di terreno che si trova oltre il cancello nord-est. Poi sarà la volta dei soldati, dovranno uscire disarmati a gruppi di venti alla volta per essere imprigionati.» «Ha garantito la nostra sicurezza?» domandò de la Marche. Ash non lo stava più ascoltando, poiché aveva spostato l'attenzione sui suoi ufficiali e sui centeniers burgundi. Tutti avevano l'aria di chi aveva ricevuto notizie attese, anche se non benvenute; c'era anche un che di sollievo. «La resa è stabilita per la quarta ora di domani mattina» concluse Follo, sfinito dallo sforzo. «Al decimo rintocco della campana. Siamo tutti d'accordo, signori? Non c'è nessun altro modo?» Ash, impassibile, ignorò l'ultima domanda. È fatta, pensò. «Angeli, trova Jussey» ordinò. «Adesso sappiamo quando cominciare.» Entro Complina la temperatura scese a tal punto che smise di nevicare. Ash tornò alla torre e vi trovò gli uomini che si stavano preparando allo scontro. Le torce illuminavano l'aria gelida. Ash batté le mani per scaldarle e per un attimo si sentì intimidita dalla massa di uomini e donne in armatura di fronte a lei. Prese fiato e avanzò verso di loro salutandoli. Gli uomini, riuniti in piccoli gruppi, parlottavano tra loro. Gli ufficiali controllavano le lance sotto il loro comando. Ash parlò con i fanti, gli arcieri, i sergenti e gli scudieri. Li conosceva tutti almeno per nome. Si fece da parte per permettere ai sergenti di formare i gruppi di arcieri, ronconieri e archibugieri. Grida e ordini echeggiarono contro le pareti del cortile e della torre. Camminò in mezzo ai suoi uomini. La bandiere e la scorta le permettevano di trovare sempre spazio.
Cosa manca? pensò improvvisamente. I cavalli! Non si sentiva lo scalpitare degli zoccoli sul selciato, né il tintinnare dei finimenti. I cavalli da guerra, quelli da soma e i muli erano tutti finiti nella cucina dalla quale, in quel momento, usciva l'odore del rancio che sarebbe stato distribuito prima del mattino. «Henri Brant ha tenuto da parte dei barili di vino» annunciò Ash a voce alta. «Ne avrete un po' all'alba.» Quelli che erano abbastanza vicini per ascoltare, esultarono. «Jean!» chiamò Ash, avvicinandosi all'entrata dell'armeria. «Quasi finito, capo!» Jean Bertran sorrise illuminato dalla luce rossa proveniente dalla forgia. Alle sue spalle fervevano i preparativi, accompagnati dal battito dei martelli che echeggiava contro le pareti ricoperte d'attrezzi. Due apprendisti erano seduti, intenti nella produzione di punte per frecce, più veloci che potevano. Ash rimase ferma a godersi il calore della forgia, malgrado il rumore assordante delle martellate. Uno degli armaioli stava lavorando intorno a un'incudine per sistemare l'ammaccatura di un piastrone. Le braccia nude, sudate e muscolose si alzavano e abbassavano con sapienza e potenza ben calibrata. Ash immaginò quelle braccia possenti alzare il martello e calarlo sul volto di un soldato visigoto. Forse succederà tra qualche ora, pensò. Raggiunta la porta della torre, Ash congedò la scorta lasciando che si godesse il tepore relativo del corpo di guardia e scese i gradini che portavano al piano interrato. L'odore delle feci le fece battere le palpebre. Si tolse i guanti e si strofinò gli occhi. Bianche le andò incontro circondata da un gruppo di bambini. Ash li contò rapidamente e si rese conto che erano la maggior parte dei ragazzini dei carri. «Ho insegnato loro a bendare» spiegò Bianche. Il volto della donna era scavato, smunto e con gli occhi segnati da vistose borse nere, come quello degli uomini nel cortile. «Ho mandato fuori ogni uomo che poteva camminare, anche se ho dovuto bendargli stretto un polso o una spalla. Per gli altri non posso più fare nulla. Il pozzo sta gelando e non c'è più acqua.» La fila di pagliericci si perdeva nell'ombra. Sono più di ventiquattro? si chiese Ash. Cercò di contare anche i casi di dissenteria. Trentuno? «Szechy è morto» aggiunse la donna. Ash seguì lo sguardo di Bianche e vide un uomo magro che avvolgeva il piccolo ungherese in una specie di sacco. «Cancellalo dal ruolino appena hai finito» disse. «Domani avrai da fa-
re.» L'uomo posò a terra il corpo. Le lacrime gli solcavano i pochi centimetri di pelle visibili tra i baffi e la barba. Pronunciò una frase della quale Ash comprese solo la parte relativa al fatto che lei doveva uccidere i fottuti Visigoti, dopodiché si allontanò zoppicando verso gli scalini. «Cerca di tenerli il più possibile al caldo. Abbiamo bisogno dell'acqua per quelli che combatteranno.» Ash fissò quelli che avevano lamentato casi di febbre. «Se qualcuno di loro dovesse 'guarire' improvvisamente, mandalo su.» «Come vorrei che stessero semplicemente marcando visita» commentò Bianche scuotendo la testa con un sorrisetto sulle labbra. Ash tornò all'entrata e vi trovò Euen Huw, Rochester, Campin, Verhaecht, Mowlett e una dozzina di altri ufficiali. «Parlate con Anselm e Angeli, vi spiegheranno tutto loro!» Si fece largo in quella calca di volti familiari e salì nella sua stanza. Una delle guardie spostò la tenda di cuoio e un paggio dai capelli tagliati a spazzola si affrettò ad aiutarla a togliersi il mantello, il cappuccio e la spada. «Togliamo l'armatura, capo?» «Sì, ma lascia fare a Rickard. Voglio avere la corazza addosso prima delle Laudi.» Esitò e fissò il ragazzino che suppose dovesse avere circa dieci anni. «Come ti chiami?» «Jean.» «Va bene, Jean. Svegliami quando manca mezza tacca alle Laudi. Porta gli altri paggi, cibo e luce.» La testa di Jean fece capolino da sopra il mucchio di abiti e armi che aveva prelevato da Ash. «Sì, capo!» Chiuse gli occhi per un attimo ascoltando il suono dei passi del ragazzino che si allontanava scendendo le scale e i commenti distanti delle guardie e per un istante ebbe la visione del suo volto tagliato in due da un roncone. «Capo.» Rickard si allontanò dal camino a fianco del quale aveva messo ad asciugare un fascio di rametti e alcuni pezzi di una trave. Il paggio l'aiutò a togliersi la corazza. Ash richiuse gli occhi, ma questa volta a causa della stanchezza. Il ragazzo le tolse gli schinieri e le protezioni delle cosce, Ash stirò le gambe e appena sentì che erano stati rimossi piastrone e protezioni delle braccia si stirò anche quelle, dopodiché tornò ad assumere una postura composta. «Falla pulire» disse, appena Rickard fece per appenderla al trespolo. «E
fallo al piano di sotto.» «Troppo rumore per dormire se lo faccio qua, eh, capo?» Ash si rese conto che il ragazzo era più alto di lei di una spanna e che per guardarlo negli occhi doveva alzare la testa. «Fai pulire l'armatura da Jean, tu andrai a santo Stefano per me.» Impartiva le istruzioni in maniera automatica, senza neanche ascoltare quanto stava dicendo. Il.... giallo e blu dipinto su una parete incombeva sulla stanza e il fumo delle candele di sego le irritava la gola. «Assicurati che non mi disturbino» aggiunse Ash, notando il sorriso carico d'eccitazione sulle labbra di Rickard. È troppo giovane per tutto questo, pensò Ash. Troppo giovane per domani. A dire il vero, siamo tutti troppo giovani per domani. Non si preoccupò di cambiare il farsetto imbottito. Indossò un vecchio abito lungo, si avvicinò al camino e smosse le braci con un bastone finché non vide risorgere una fiamma. Il fatto di sentire il puzzo di sudore del suo stesso corpo le fece capire che il freddo era diminuito. Si grattò i morsi delle pulci sotto il farsetto. Aveva smesso di muoversi e ora si sentiva intontita. Ho parlato fino a non sentire più nulla, pensò. Aveva la sensazione che i piedi stessero continuando a camminare su e giù per la stanza. Si sedette con uno sbuffo sul lettino da campo che i paggi avevano spostato in prossimità del camino e si sfilò gli stivali. I pantaloni erano anneriti fino al ginocchio e puzzavano di sterco. Tutto questo... tutte le sensazioni e gli odori, tutto ciò che sono, potrebbe sparire in un istante, rifletté. Prese la caraffa di terracotta lasciata coperta vicino al camino e ne annusò il contenuto. Era acqua stantia che, forse, era stata allungata con un velo di vino. Aveva la gola troppo secca per preoccuparsi di quei particolari e bevve avidamente, asciugandosi poi la bocca con una manica del farsetto. «Capo» la chiamò qualcuno da oltre la porta in tono allegro. Distolse lo sguardo dal fuoco. Aveva riconosciuto la voce, si trattava di uno degli arcieri italiani della lancia di Giovanni Petro. «Portala dentro.» «Va bene, capo. Spremila per bene 'sta stronza, capo!» commentò crudo. Appena l'arciere spostò la tenda di cuoio, la stanza fu spazzata da un folata di vento freddo. Ash allungò stancamente un mano verso la cintura, la prese e la chiuse intorno alla vita. L'elsa consumata dall'uso della daga si appoggiò sul palmo della mano.
«Perché volevi vedermi, Ash?» domandò una voce femminile. «Vieni qua. Fa più caldo.» Le tavole del pavimento scricchiolarono e Ash udì il tintinnare del metallo. Una figura si parò contro la luce delle candele di sego portando con sé l'odore del gelo e un folata d'aria fredda. Udì nuovamente il suono del metallo quando la figura abbassò il cappuccio. Il faris aveva le manette ai polsi, unite da una corto segmento di catena. La luce del fuoco conferiva alle guance del faris non ancora scavate dalla fame un colorito rossastro. La donna visigota si guardò intorno e si sedette cautamente su un pesante baule che si trovava dall'altra parte del camino. Ash fece per protestare, poi sorrise. «Fai pure. Sei brava se riesci a trovare qualcosa di più dei ragni.» «Cosa?» «È il baule di guerra» spiegò Ash. «Non che i soldi possano risolvere questa situazione. Non c'è nulla da comprare e anche nei periodi migliori non ho mai avuto abbastanza soldi per corrompere il califfo-re!» Il faris non sorrise e lasciò vagare lo sguardo nell'oscurità della stanza. Le pareti e le travi del soffitto erano invisibili ed era possibile individuare la posizione delle finestre solo dal suono delle imposte che sbattevano. «Perché vuoi parlarmi?» le chiese. «Paolo?» chiamò Ash, alzando la voce. «Sì, capo?» «Vai a cazzeggiare sull'altro pianerottolo. Non voglio essere disturbata.» «Va bene, capo.» La risata dell'arciere si spense nell'oscurità. «Fai sapere a me e ai ragazzi quando hai finito con lei... abbiamo qualcosa da darle!» L'aria fredda le bruciava il viso e le sudavano le ascelle. Il ricordo delle voci degli uomini sopra di lei venate da quello stesso disprezzo, la fece rabbrividire. «Se non la trattate come un essere umano vi spello il culo: chiaro?» Ci fu una brevissima pausa. «Sì, capo» borbottò l'arciere. Ash tornò a fissare il faris. «Ho saputo tutto quello che mi interessava e che potevi dirmi dai rapporti di de la Marche. Sei qua perché non posso parlare con lui.» Indicò il punto in cui fino a un attimo prima si era trovato Paolo. «O Robert, Angelotti, o gli altri ragazzi della compagnia. Per lo stesso motivo per il quale non posso parlare con de la Marche o quel vescovo burgundo. La fiducia è
qualcosa di molto... precario. Così...» Floria è partita insieme a John de Vere, pensò. Godfrey è morto. «... rimani tu.» «Non trovi che abbiamo già parlato abbastanza?» La profondità del sentimento che traspariva dalla voce della gemella la sorprese. Ash allungò una mano tra le caraffe, le coppe, i piatti di legno per vedere se qualcuno aveva lasciato qualcosa per il comandante in capo dell'esercito. Grazie al tatto trovò un fiasco pieno di liquido e lo avvicinò alla luce del camino. «Non abbiamo mai parlato. Voglio dire, io e te non abbiamo parlato senza che ci fosse altro in ballo.» La gemella sedeva immobile come una statua. Aveva le mani bianche per il freddo. Dopo un attimo, conscia di essere sempre sotto lo sguardo vigile di Ash, allungò le dita verso il calore del camino. «Avresti dovuto uccidermi quando ne avevi la possibilità» le disse in latino cartaginese. Ash versò l'acqua nelle due scodelle meno sporche che aveva trovato e si inginocchiò a fianco del camino offrendone una al faris. La donna la fissò per un lungo minuto prima di allungare le mani con un gesto impacciato a causa delle manette. «E la tua duchessa, l'uomo-donna» aggiunse il faris «dovrebbe ucciderti immediatamente.» «Lo so» confermò Ash. Il fatto di doversi comportare come se Florian fosse ancora in città la metteva a disagio. La fiamma della candela di sego cominciò a tremare vistosamente emettendo un refolo di fumo nero. Ash, che non voleva chiamare un paggio, si alzò sussultando a causa dei muscoli doloranti, ne trovò un'altra e l'accese nel camino. A un metro di distanza dalle fiamme la stanza era già gelida. La fiamma della candela conferì ai capelli del faris sfumature rosso oro. Anche i miei devono avere quel colore, adesso, pensò Ash. La luce confondeva anche lo sporco sulla pelle. Se qualcuno dovesse entrare in questo momento saprebbe distinguerci? «Passiamo troppo tempo a cercare di rimanere in vita anche quando le circostanze non lo richiedono» constatò Ash, ironica. «Florian, tu, io. Mi chiedo perché.» «Perché» rispose il faris, con il tono di voce di chi avesse riflettuto a
lungo sulla questione «il qa'id Lebrija ha un fratello morto durante questa guerra, un altro che vive ad Alessandria e una sorella che è sposata con un cugino dell'amir Cilderico. Perché lord de la Marche di Borgogna è il cognato di mezza Francia. Tutto quello che io ho, sei tu. Lo stesso vale per te, jund Ash: tu hai solo me.» Esitò per un attimo mentre sul volto compariva un'espressione tesa. «E Adelize e Violante» aggiunse. Questa sarebbe una famiglia? si chiese Ash. «Avrei dovuto ucciderti, ma non ci sarei riuscita.» Ash mise dritta la candela e si avvicinò al fuoco. «E Florian... non mi avrebbe mai giustiziata. Piuttosto che uccidere una persona è disposta a rischiare la vita di mille. Anzi, di migliaia di migliaia.» «Questo è male.» Il faris alzò rapidamente gli occhi. «Mi sbagliavo. Ricordi quando eri tra i miei uomini alla caccia? Non ero disposta ad accettare che una persona dovesse morire. Leofric e la machina rei militaris mi avrebbero detto che mi sbagliavo... e avrebbero avuto ragione.» «Parli in questo modo, ma non sei convinta, vero?» «No, no, sono convinta, eccome. Se non lo fossi come potrei ordinare un attacco in guerra? I soldati muoiono anche quando si vince.» Ash sentì gli occhi che si inumidivano e tossì allontanando il fumo acre della candela agitando una mano. Bevve un sorso di acqua per dare sollievo alla gola. I soldati muoiono, ripeté mentalmente. «Come convivi con questo?» le chiese Ash, poi, improvvisamente scosse la testa e scoppiò a ridere. «Cristo! Valzacchi mi chiese la stessa cosa a Cartagine: 'Come convivi con quello che fai?' e io gli risposi: 'Non mi importa.' Non mi importa.» «Ash...» «Tu sei qua» disse Ash, secca «perché non riesco a dormire e non c'è abbastanza vino per prendermi una sbronza. Quindi puoi stare qua con me e rispondere. Come convivi con questo?» Ash si aspettò una pausa di riflessione, ma la risposta giunse immediata. «Se Dio è abbastanza buono con noi, ti rimarrà poco tempo per convivere insieme al tuo lavoro. Il califfo-re ti farà giustiziare domani mattina dopo la tregua. Posso solo pregare di raggiungerlo prima di te... o che Leofric riesca a convincerlo ad aspettare a giustiziare la duchessa Floria dopo la tua morte.» Il faris si sporse in avanti fissando Ash, dritta negli occhi. «Se non ti disturba, cerca almeno di mandarmi fuori per prima, domani! E prega che viva abbastanza a lungo per parlare al califfo prima di essere giusti-
ziata.» Dalla bocca di Ash scaturì un verso che era a metà strada tra uno sbuffo e una risata. Si passò un manica sul viso e si acquattò di fronte al fuoco, continuando a tenere la coppa vuota tra le mani. «Allora hai sentito anche tu che l'assedio è finito e che stiamo per arrenderci.» «La gente parla e i preti non sono diversi da tutti. Fer... Fratello Fernando ha parlato con i monaci.» «Prevedibile» commentò Ash, accorgendosi dell'esitazione nella voce della gemella. «Non me ne importa nulla di quello che succede domani! Adesso siamo qua. Voglio sapere... Come convivi con il sapere che dei tuoi amici possano venire uccisi?» «Perché?» chiese il faris. «Hai intenzione di combattere durante la resa?» Il freddo della stanza era così pungente che Ash fu contenta di avere la scusa di infilare di nuovo gli stivali. In questo modo poteva evitare lo sguardo diretto del faris. Per un secondo avvertì tutto... il calore del cuoio riscaldato vicino al camino, il dolore provocato ai muscoli dallo sforzo, la fame che le attanagliava lo stomaco... come se fosse stata la prima volta. «Forse» disse Ash, scoprendosi incapace di mentire, anche solo per sviare dei sospetti. Non che importi molto, pensò. Sarà tutto finito prima che possano trovarti. «Forse» disse Ash. Il faris posò le mani in grembo e fissò il fuoco che ardeva nel camino. «Vivi sapendo che morirai in guerra.» «È diverso.» «Ci sono già abbastanza cose che uccidono le persone in tempo di pace... il bere, la sifilide, la febbre, il lavorare la terra...» «Io conosco questa gente.» Ash si interruppe, attese un attimo e riprese: «Conosco questa gente. Alcuni di loro sono con me da anni. Conosco Geraint ab Morgan da quando era pelle e ossa. Conosco Thomas Rochester da quando parlava solo inglese e tutti gli dicevano che il suo nome in fiammingo significava 'buco di culo'. Ho incontrato due figli bastardi di Robert in Bretagna... che ne so se lui pensa se sono ancora vivi o morti! Lui non dice nulla, tira avanti e basta. E c'è il tizio fuori dalla porta e quelli in fondo alle scale: conosco la maggior parte di loro fin dai tempi di Tewkesbury. Moriranno tutti se ordinerò di attaccare.» «Non ci pensare» le consigliò il faris in tono obiettivo.
«Come faccio a non pensarci!» «Forse non possiamo» riprese, tentennante, dopo qualche secondo il faris. «Fratello Fernando dice...» «Cosa? Avanti! Sentiamo cosa dice?» «... dice che per una donna è più difficile fare il soldato perché le donne concepiscono e quindi trovano più difficile uccidere.» Ash si rese conto che aveva stretto le mani sulla pancia. Fissò il faris e scoppiò a ridere. La gemella si mise una mano sulla bocca, piegò la testa all'indietro emettendo un verso acuto. «Ha detto... detto...» «... Sì...» «Detto...» «Sì!» «Oh, merda. E non gli hai detto che erano tutte un sacco... di stronzate?» «No» rispose il faris asciugandosi le lacrime. Tirò su con il naso e continuò: «No, ma ho pensato che se fossi sopravvissuta lo avrei fatto parlare con uno dei miei qa'id per fargli spiegare da lui quanto è più facile per un uomo stare in piedi coperto dal sangue e dal cervello del suo migliore amico...» Le risate si spensero lentamente. «Proprio così» assentì Ash. «Proprio così.» La donna si passò le dita sulle guance sporche, ma prive di sfregi. «Sono sempre stata con papà, i qa'id o la machina rei militaris. Per te è stato diverso Ash. Comunque, so quello che la guerra fa alle persone. So cosa succede ai cuori e ai corpi. Tu devi aver visto molto più di me, strano che cominci a farti male proprio adesso.» «Per te sono mai stati qualcosa più che uomini su una scacchiera?» «Sì!» Il faris sembrò addolorato. «Ah. Sì. Perché se non pensi a loro come a esseri umani che, in quanto tali, sono fallibili,» completò Ash «come fai a sapere come disporli sul campo? Già, lo so. Lo so. Cosa siamo io e te? Siamo malvagie come il Golem di Pietra? O forse siamo peggio, noi abbiamo la possibilità di scegliere.» Si sedette cingendo le ginocchia con le braccia. «Non ci sono abituata» disse. «Pensavi, faris, che forse non ti sei ancora abituata all'idea che mi devi la vita. Forse è stato solo il sentimentalismo che mi ha impedito di ucciderti.» «E anche la tua duchessa è sentimentale al punto di non ucciderti?»
«Forse. Come faccio a sapere che differenza c'è tra sentimentalismo e...» Ash non disse la parola, malgrado si fosse piantata, inamovibile, nella sua mente. Non riusciva a pronunciare la parola 'amore' neanche a se stessa. «Merda! Quanto odio gli assedi!» esclamò, alzando la testa. «È già stata abbastanza brutta la fine dell'assedio di Neuss. Si mangiavano i bambini. Se a giugno avessi saputo che entro sei mesi mi sarei ritrovata dall'altra parte...» Il faris si sedette a terra scivolando dal baule accompagnata dal clangore metallico delle catene. Ash si tese istintivamente nel sentire il rumore anche se, dietro suo ordine, le catene erano troppo corte per poter strangolare qualcuno. Si era accovacciata automaticamente, portando la mano sulla daga. Si mise a guardare il fuoco fissando il faris con la coda dell'occhio, cosciente che, qualsiasi movimento da parte della gemella il suo istinto avesse giudicato pericoloso, le avrebbe fatto estrarre l'arma al suo fianco. «Non dimenticherò mai la prima volta che ti ho vista» confessò il faris, tranquilla. «Mi avevano detto che avevo una 'gemella', ma anche così mi sembrava strano. Una donna tra i Franchi... come facevi a non sapere di essere nata a Cartagine?» Ash scosse la testa. «Ti ho vista in armatura tra uomini che ti erano fedeli» continuò il faris. «Erano fedeli a te e non al loro amir o al califfo-re. Ho invidiato la tua libertà.» «Libertà!» sbuffò Ash. «Libertà? Buon Dio... e l'invidia non ti ha impedito di impacchettarmi e spedirmi a Cartagine, pur sapendo quello che mi avrebbe fatto Leofric, giusto?» «Quello...» Il faris indicò la gemella. «Quello...» «Quello, cosa?» «Il modo in cui ti sei comportata» spiegò il faris. «Sì, lo sapevo, ma non ne ero certa. Avrebbero potuto usarti e non ucciderti. È così che ti muovi in battaglia... i tuoi uomini potrebbero sopravvivere. Alcuni di loro ci riescono. Il gioco è solo nel non saperlo.» «Ma, io lo so!» Ash diede un pugno al lettino al suo fianco. «Lo so e non riesco a liberarmene...» Un nodo della legna scoppiò facendole sussultare. Un pezzettino di brace dorata si spense rapidamente sull'abito di Ash che lo spazzò via. Alzò gli occhi per fissare il bordo annerito del camino dal quale penetrava il vento freddo e annusò il velluto bruciato.
«Diciamo» spiegò Ash «che ci sarà uno scontro. Diciamo che sono stata cacciata da Genova, Basilea, da Cartagine stessa, per tutta la Francia meridionale proprio da voi e diciamo che alla fine sono finita qua a Digione.» Il faris allungò la coppa di legno e Ash la riempì automaticamente. Il faris diede un'occhiata alle manette che le bloccavano i polsi, sollevò la coppa e bevve. «So già come andrà a finire. Domani combatterai e ti farai uccidere» commentò il faris, con il tono di voce tranquillo e autoritario che fino a poche ore prima aveva usato per comandare l'esercito visigoto. «Questo priverà le Ferae Natura Machinae della loro vittoria. Anche se combatti per un altro obiettivo, ormai ti conosco abbastanza bene per sapere che sei pienamente cosciente di chi sia il vero nemico.» Ash si alzò flettendo le gambe per allontanare il dolore. Il calore del fuoco scompariva a mano a mano che il ceppo si consumava. Metto altra legna o la tengo per il mattino? No, si corresse immediatamente. Non è necessario lesinare. «Faris...» L'aria le gelava il viso. Roteò la testa per cercare di sciogliere il collo. Sul tavolino da campo brillava una candela, la cui luce, però, non era sufficiente a illuminare la pila di documenti e mappe ammassata sul piano. Qualcuno, forse Anselm, aveva usato un pezzo di bastone carbonizzato per tracciare una pianta dei cancelli nord-est e nord-ovest della città e del campo nemico sul piano. «Sei tu quella che ha un certo gusto per le azioni suicide: fare in modo che il nemico ti giustizi. Se pensassi che fosse necessario, non mi consegnerei mai nelle mani di Gelimero. Salirei in cima a questa torre e... dritta quattro piani di sotto.» Ash sottolineò il tutto con un gesto eloquente. «Hai qualcosa in mente. Vero? Ash... sorella... dimmi di cosa si tratta. Ero il loro comandante. Posso essere d'aiuto.» Tutti vogliono che lo faccia. Anche lei! pensò. «Ti aiuterei volentieri se servisse a distruggere le Macchine Impazzite.» Il faris si inginocchiò. Il volto privo di rughe sembrava molto giovane. «Il califfo-re non comanderebbe mai come farei io. No, per essere esatti, non lo farebbe mai come me aiutata dalla machina rei militaris...» «Ha quindicimila uomini là fuori, non gli serve!» «Ma... potresti mettermi in campo: non come comandante, ma come tuo doppione...» «Non ho bisogno del tuo aiuto. Ti abbiamo già strizzato a dovere. Stai
dimenticando un punto, faris.» «Un punto?» Ash si sedette sul bordo del baule a distanza di sicurezza nel caso in cui la donna seduta ai suoi piedi avesse cercato di colpirla con le mani ammanettate. Sentiva gli occhi che le bruciavano, li asciugò sentendo l'odore della legna bruciata sulle dita. Lacrime, grosse e calde, si stavano raccogliendo sotto le palpebre e le correvano lungo le guance. «Il punto è che, a chi posso dire che ho paura? A chi altro posso dire che non voglio che i miei amici muoiano? Anche se dovessimo in qualche modo vincere, molti dei miei amici moriranno!» La voce era salda, ma le lacrime colavano inarrestabili. La gemella fissava il volto di Ash rosso e brillante a causa del pianto e della fuliggine. «Ma, sai bene...» «Lo so e sono stufa!» Ash affondò il viso tra le mani. «Non voglio che muoiano» sussurrò nell'oscurità. «Non so come cazzo dirlo più chiaramente! Moriremo sempre e comunque, sia che domani usciamo o che rimaniamo in città. Cristo santo, cos'è che non capisci?» Qualcosa le toccò il polso e lei lo spostò bruscamente agendo d'istinto. Una nocca batté contro il ferro. Imprecò, tolse l'altra mano dal viso e nonostante la vista appannata dalle lacrime, riuscì a distinguere la gemella che alzava le mani per farle capire che non voleva aggredirla. «Non sono il tuo confessore!» disse il faris, agitata. «Tu lo capisci. Ti sei già trovata in questa situazione... sai cosa...» Il faris tirò Ash per la cintura che, abbandonando a ogni resistenza, crollò a terra pesantemente e si accucciò a fianco della sorella. «Io non...» La gemella cercò di abbracciarla, ma le catene glielo impedirono e dovette accontentarsi di stringerle le mani. «Lo so. Lo so!» Il faris le prese le braccia. «... non voglio che muoiano!» I singhiozzi le impedirono di continuare a parlare. Il faris mormorò qualcosa in un linguaggio che lei non conosceva. Ash sprofondò la testa nell'abito macchiato della sorella e singhiozzò sonoramente fino a esaurire le lacrime. Non c'erano più campanili a segnare le ore. Ash batté le palpebre nell'oscurità e fissò le ultime braci del fuoco morente con le palpebre gonfie. La donna visigota dormiva abbandonata contro di lei.
Ash rimase zitta e immobile, sveglia e sola. Jean entrò nella stanza. «È l'ora, capo» le annunciò. Il terzo giorno dopo la Messa di Cristo e il ritorno del Sole non Conquistato, in un'ora della notte prima della Terza. «Vai in pace!» proclamò Padre Richard Faversham «e la grazia di Dio sia con te in questo giorno!» Lui e Digorie Paston si inchinarono di fronte all'altare. Entrambi i religiosi indossavano una maglia d'anelli metallici e l'elmo. Le pietre del pavimento le schiacciavano le ginocchiere facendole penetrare nella pelle. Ash fece il segno della croce e si alzò in piedi con il cuore che batteva all'impazzata, sentendo appena il freddo alle ossa. Rickard si alzò a sua volta in piedi, pallido in volto, borbottò qualcosa a Robert Anselm che sogghignò. «Angeli!» Ash prese Angelotti per un braccio e cominciò a uscire. «Siamo pronti?» «Sì.» Il volto dell'artigliere italiano era appena visibile nell'oscurità che avvolgeva l'abbazia di santo Stefano. La luce di una torcia solitaria illuminò i riccioli dell'uomo e il sorriso radioso. «Sei pazza, Madonna, ma ce l'hai fatta!» «Hai detto a tutti di stare alla larga?» «Ho ricevuto messaggi da tutti i nostri comandanti di lancia; gli uomini sono tutti in posizione, sia quelli sulle mura sia quelli a terra.» «Noi ci siamo sistemati... quasi del tutto» grugnì Lacombe. «Allora vediamo di muoverci!» Il cielo a est assunse una sfumatura grigiastra, foriera dell'alba. Ash camminava lungo le strade gelate valutando tutte le informazioni ricevute, parlando in alcuni casi con due o tre persone alla volta e impartendo ordini per la disposizione delle truppe, cosciente che la sua mente stava funzionando come un meccanismo ben oliato. Arrivò nel tratto di terreno sgombro che si trovava dietro il cancello nordovest nel momento stesso in cui fu raggiunta dal messaggio di de la Marche: il capitano burgundo la informava che lui e i suoi uomini erano pronti. Ash passò l'elmo a Rickard. Camminava a testa scoperta e il freddo le intorpidì immediatamente il volto, facendole lacrimare gli occhi. Una parola qua, una pacca sulla spalla là, passò in mezzo ai suoi uomini e alle unità burgunde diretta verso le mura.
Le torce illuminavano la parta bassa delle mura. Gli uomini salivano e scendevano rapidi dagli spalti. Ash si fece da parte mentre un gruppo di artiglieri burgundi passava con un cannone a organo. Le ruote metalliche erano avvolte negli stracci per attutire il rumore. Raggiunta la scalinata alzarono il carretto e trasportarono l'arma fino sugli spalti. Un gruppo di serventi le seguiva trasportando tre strutture fatte con i tronchi - mangani. Ash aveva l'impressione che la pelle si sgretolasse a ogni suono. Passi ovattati, un'imprecazione, i grugniti degli sforzi mentre un secondo cannoncino veniva trasportato sulle mura... ci sentiranno? si chiese. I suoni si propagano più velocemente con il freddo ed è ancora tutto troppo immobile! «Di' loro di fare piano!» disse, rivolgendosi a Simon Tydder che corse sulle mura. Ash si girò e si avviò velocemente al quartiere generale situato tra la Torre Bianca e la Torre di Guardia per un incontro con i suoi ufficiali. Incontrarono un gruppo di arcieri e ronconieri burgundi. Ash alzò la testa e vide che il cielo era passato dal grigio al biancastro e a est il rossore aumentava. «Ci impiegano troppo! Sono in ritardo! Quanti ne mancano ancora? Siamo a posto?» «Abbiamo bisogno della luce per vedere quello che stiamo facendo» grugnì Anselm. «Sì, ma non deve essere troppo per permettere loro di capire quello che facciamo!» Thomas Rochester sbuffò. Il cupo Inglese portava di nuovo lo stendardo personale di Ash, una carica di prestigio per la quale aveva restituito il comando della fanteria a Robert Anselm. Lui, o qualcuno del convoglio, aveva cucito uno strappo nella divisa e l'elmo era stato tirato a lucido fino all'ultima borchia e rivetto. Non ha dormito per farlo, come tutti gli altri, pensò Ash. «Sistemate gli uomini!» imprecò Ash, rivolta ai Burgundi. «'Fanculo! Vado sulle mura, stai qua!» disse a Thomas Rochester. Salì due gradini alla volta con la bruciatura alla gamba che le doleva per lo sforzo. Una volta raggiunto il tetto il freddo le mozzò il respiro in gola. Le impronte degli uomini che erano saliti prima di lei brillavano sulla pietra gelata. Un fascio di luce apparve sugli spalti illuminando i merli, gli spalti e il
profilo della torre. Ash si girò a est. Il sole stava facendo capolino da dietro una nuvola. Non siamo in anticipo neanche di un minuto, pensò. Gli uomini erano acquattati dietro i merli. Gli artiglieri, che tenevano gli elmi posati a terra per evitare che il riflesso tradisse la loro presenza, stavano contando silenziosamente le munizioni. Gli scovoli erano appoggiati ai merli. Altri serventi avevano tirato indietro i cannoni e li stavano caricando con gesti rapidi e silenziosi, imitati dagli uomini che stavano mettendo in tensione i bracci delle macchine d'assedio. Gli spalti oltre la Torre di Guardia erano vuoti. «Va bene...» Il fiato era caldo contro il labbro per poi gelare appena uscito, un attimo dopo. Gli uomini erano di nuovo schierati oltre la Torre del Principe. Oltre le mura si estendeva il campo visigoto. Ash osservò con il cuore in gola il fumo che scaturiva dai fuochi delle cucine. Le aquile e le bandiere si innalzarono da dietro i pavesi simili a una foresta di rami secchi. Si stanno muovendo? si chiese. Per un attimo vide l'accampamento non come le tende che alloggiavano gli uomini della XIV Utica, della VI Leptis Parva o della III Caralis, ma come una gigantesca struttura che si innalzava nell'alba: una piramide le cui fondamenta erano gli schiavi, poi le truppe con i nazir, gli arif e i qa'id, sopra di loro i lord amir dell'impero visigoto e infine il califfo-re Gelimero, il pinnacolo della costruzione. Nello stesso istante si rese conto delle fonti di sostentamento di tale struttura: gli ingegneri che avevano studiato il modo per trasportare le provviste lungo i fiumi gelati e le fattorie in Egitto e in Spagna dove gli schiavi coltivavano il grano, i principi mercanti le cui flotte di navi superavano in velocità le navi turche per vendere le merci a centinaia di città lungo le coste del Mediterraneo, nel cuore dell'Africa e su fino al mar Baltico. E cosa siamo noi? si chiese Ash. Appena millecinquecento persone che cercano di proteggere otto o novemila civili. Guardò il fiume a ovest che era gelato. Sarà abbastanza duro e resistente? Prego Dio affinché lo sia. Non poteva vedere gli ultimi ponti rimasti integri perché erano nascosti in mezzo alle centinaia di tende del campo nemico. I padiglioni del califfore non avevano nessun segno di riferimento particolare. Fino a due ore fa dormiva là dentro... e se adesso è andato via, be', allora siamo fottuti.
Un bagliore attirò la sua attenzione. Erano i golem con i lanciafiamme che sorvegliavano i cancelli. Un fatto che gioca a nostro favore, pensò Ash, è che non sono ancora del tutto schierati. Forse non sono ancora armati... merda, come vorrei vedere bene fin laggiù! Inoltre non possono tirare nel mucchio. Guardò a est e il sorrisetto che aveva sulle labbra scomparve di fronte al mare di tende all'interno delle quali i soldati cominciavano a svegliarsi. «Andiamo, Jussey...» Il freddo le era penetrato nelle ossa. Corse piano, rigida. La pietra delle scale era scivolosa. I muscoli le dolevano e la vescica era gonfia, ma accantonò i due pensieri. Posso farlo? No: ma non c'è nessun altro in grado di farlo! Ah, al diavolo... «È tempo di andare» disse ad Anselm giunta ai piedi della scalinata. «Sono tutti in posizione?» «C'è un lieve ritardo da parte di alcuni ronconieri burgundi.» «Non importa, dobbiamo andare!» «A parte loro, tutto il resto è a posto.» «Va bene, dov'è Angeli...» Intravide la sagoma dell'artigliere nella penombra. «Va bene, ragazzi: via libera. E non deludetemi!» L'artigliere italiano si allontanò di corsa. «Ci siamo» disse Ash alzando gli occhi per fissare Anselm. «Dobbiamo fare quello per il quale ci siamo preparati, altrimenti siamo fottuti. Non possiamo tornare indietro a metà strada!» «Dobbiamo far partire la valanga e seguirla!» borbottò Anselm. Se proprio deve essere, pensò Ash, facciamo che sia un colpo e via. Non voglio essere mutilata. «Se crepo, tocca a te» decretò Ash «se beccano te, ci penserà Tom e de la Marche dovrà occuparsi della questione nel caso ci fottessero tutti quanti!» I suoi ufficiali la seguirono illuminati dalla poca luce della lanterna. Ash scivolò e imprecò, sentì qualcosa prima di vedere e si rese conto di essere arrivata alla fine dello schieramento della compagnia. John Burren, Willem Verhaecht e Adriaen Campin stavano parlando in tono concitato. «Noi siamo pronti, capo» la informò Willem Verhaecht lanciando un'occhiata agli uomini con indosso le insegne del Leone Azzurro. «Ho fatto di
tutto per cercare di fermare il freddo.» Alle spalle del Fiammingo c'erano una quarantina di uomini armati di roncone con indosso ogni sorta di abito, molti vestiti erano appartenuti a dei morti. Ash li ascoltò scherzare a bassa voce, saldare debito, perdonarsi e pregare. «Siamo pronti, capo» disse John Burren, indicando l'unità con un cenno del capo. Nella penombra, Jan-Jacob Clovet e Pieter Tyrrel stavano trasportando a fatica una pesante porta di quercia prelevata da qualche edificio. La mano parzialmente priva di dita di Tyrrel scivolò sul legno gelido. Un soldato più basso di statura si caricò il peso della porta su una spalla imprecando. Era la voce di una donna che Ash abbinò immediatamente a Margaret Schmidt. Arrivarono altri due balestrieri ad aiutarli. Oltre a loro gli altri soldati della compagnia portavano assi e porte, pavesi e imposte. «Siamo qua, capo!» la chiamò Katherine Hammell. Solo le punte degli archi che spiccavano sopra le teste facevano capire che erano arcieri. Oltre loro c'erano Geraint ab Morgan con i prevosti e una dozzina di donne armate di lance affilate come rasoi. Thomas Morgan reggeva la bandiera di guerra della compagnia. Dietro di lui un mare di volti che in alcuni casi conosceva da anni: uno schieramento che serpeggiava tra le macerie composto da poco più di trecento individui. Non voglio guidarli in questa missione, pensò. «Muoviamoci» disse in tono sbrigativo ad Anselm. «Meglio andare a ficcare qualche calcio in culo ai Burgundi...» Il silenzio si frantumò. La sequenza improvvisa di schiocchi e scoppi provenienti dal cancello est le fecero arricciare le labbra in un sorriso selvaggio e un brivido prolungato le attraversò il corpo. Sentì le vibrazioni delle cannonate ripercuotersi sul terreno e udì il tonfo particolare delle macchine d'assedio che scagliavano le pietre. «Eccoti, Jussey! Meglio tardi che il fottutissimo mai!» Gli uomini composero la formazione di fretta e furia, ma ad Ash sembrò che ci impiegassero un'eternità. Qualcuno fece cadere il roncone e i compagni esultarono. Un sergente rimise il soldato in posizione e gli chiuse le cinghie dell'elmo. Quanto tempo ci vorrà ancora prima di andare! pensò Ash sopra il rumore del bombardamento scatenato da Jussey. Il capitano Jonvelle spuntò dalle linee dei Burgundi. «Hanno mobilitato gran parte di una legione!» Si girò per ricevere con-
ferma da un messaggero. «L'hanno disposta nelle trincee... pensano che tenteremo una sortita attraverso il ponte a est...» «Beccati, gli stronzi! Va bene! Adesso aspettiamo, lasciamo che si sistemino per bene.» Ash contò nella testa otto lunghissimi minuti, terminati i quali si diresse di fronte allo schieramento dei soldati: un mare di volti amorfi, divisi in gruppi di cento unità ognuno. Gli stendardi delle unità, appena una dozzina, si agitavano pigramente nella poca luce. Gli artiglieri sulle mura, pensò Ash, gli ingegneri nei cunicoli: contando tutti quelli che possono camminare e si trovano qua sotto, non arriviamo a tredicimila, merda... Prese fiato per far sì che la sua voce si sentisse sopra il fragore dei cannoni. «Ecco quello che stiamo per fare! Attacchiamo! Non se lo aspettano. Credono che ci arrendiamo, ma non lo faremo!» Un basso mormorio, un misto di eccitazione, paura e sete di sangue, si levò tra i soldati. Alcuni di loro guardarono al tratto di terreno sgombro che portava al cancello nord-ovest dove il sole stava cominciando a illuminare il ghiaccio. Ash inclinò la testa di lato e fissò intensamente gli uomini. «Non c'è bisogno che vi dica cosa è necessario fare, branco di bastardi, facce di merda! Uccidere Gelimero!» I soldati ripeterono l'ultima parte della frase con un urlo. Ash, con indosso l'armatura completa e Thomas Rochester con la sua bandiera personale al suo fianco, urlò il vecchio incitamento per i suoi uomini e per i Burgundi: «Vogliamo vincere?» «Sì!» «Non vi sento! Ho chiesto: vogliamo vincere?» «SÌ!» «Uccidere Gelimero!» «UCCIDERE GELIMERO!» L'adrenalina la faceva ormai da padrona. «Capo!» Rickard le passò l'elmo. Il suono dell'artiglieria sul muro est divenne meno ritmico e potente. Ash alzò la ventaglia e prese una lancia corta con la mano sinistra. Qualcosa scoppiò fuori dal muro alle sue spalle. «Vai, Ludmilla!» Tutte le armi da fuoco e le macchine d'assedio sulle mura intorno al cancello nord-ovest aprirono il fuoco. Il baccano fu tale che Ash sussultò, no-
nostante l'imbottitura dell'elmo avesse attutito il rumore. È tutto quello che abbiamo? «Sbrigati, Angeli» borbottò Ash. Si girò nuovamente di fronte allo schieramento. Gli uomini ormai erano riusciti a raggiungere il suo livello, uno sorta di stato emotivo nel quale una persona spinta dalla paura manda tutto al diavolo, incurante dei rischi suicidi. «So che posso contare su di voi, ragazzi! Siete troppo stupidi per capire quando siete battuti!» Una salmodia si levò dai soldati. In un primo momento Ash non capì poi si rese conto che stavano dicendo: «Leone! Leone di Borgogna! Leonessa! Pulzella!» Ash avvertì un fremito sotto i piedi. Lo strato di ghiaccio che ricopriva le pozzanghere si frantumò e un boato scosse il terreno. Rocce, muratura e travi volarono in aria costringendo gli uomini ad acquattarsi e abbassare le visiere per ripararsi dallo scoppio. Ash alzò la testa e la visiera. La sezione di mura compresa tra la Torre Bianca e la Torre di Guardia fu avvolta da uno sbuffo di polvere. «Sì! Angeli!» Angelotti e gli ingegneri burgundi avevano aperto un cunicolo sotto le mura e l'avevano riempito di esplosivo, tutto nel corso di una notte... Il muro rimase in piedi ancora per un momento e in quel breve lasso di tempo Ash pensò che se Angelotti aveva sbagliato i calcoli la massa di detriti sarebbe crollata dentro la città schiacciandoli. Il muro crollò silenzioso, un attimo dopo... verso l'esterno. L'impatto con il terreno gelato la fece sussultare e Ash riguadagnò l'equilibrio imprecando. Oltre la nuvola di polvere quasi duecento metri di muro erano crollati riempiendo il fossato di macerie... e la prima linea di trincee nemiche si trovava a soli cinque o seicento metri di distanza. «Ci siamo» gridò Ash, ancora parzialmente intontita dallo scoppio. «Digione non è più difendibile. Non abbiamo più scelta adesso.» «San Giorgio!» urlò Robert Anselm. «San Godfrey per la Borgogna!» urlò a sua volta Thomas Morgan sotto lo stendardo del Leone. Ash si schiarì la gola, prese fiato e urlò: «All'attacco!» IV
L'imbottitura dell'elmo attutì lo squillo di tromba al suo fianco. Le macerie scivolavano sotto gli stivali. Il petto si alzava e abbassava spasmodicamente e il fiato le sibilava, secco, in gola. I piedi cominciarono a calcare il fango indurito dal gelo mentre correva in mezzo a una folla di uomini in armatura. La vista di se stessa in mezzo ai soldati la sconvolse. Le sue gambe avvolte nell'acciaio della corazza la facevano avanzare sul terreno aperto. Vide con la coda dell'occhio che il suo stendardo personale era sulla sinistra. Il terreno era insidioso. Ash inciampò, ma non seppe dire se il piede aveva urtato un osso o una pietra. Barcollò in avanti, ma una mano l'afferrò sotto il braccio e la raddrizzò senza perdere il ritmo della falcata. Una figura scura e squadrata si parò di fronte a lei. Prima di riuscire a pensare cosa fosse, l'oggetto cadde a terra e i suoi stivali batterono per qualche istante sul legno gelato di quella che lei riconobbe come una porta. A fianco altre tavole di legno, porte e imposte venivano buttate a terra. In quel momento si rese conto che servivano da ponti rudimentali per superare le trincèe e che avevano raggiunto la prima linea di difesa del nemico. Uscì dalla passerella e fu immediatamente affiancata da Anselm e Rickard. Una massa confusa di divise le bloccavano la visuale. Un arco lungo si levò alla sua sinistra... qualcuno stava tirando. Lo schiocco delle corde degli archi echeggiava nell'aria accompagnato dal suono dei corni, dalle urla degli uomini e dal clangore metallico delle armature. Ash impattò contro la schiena dell'uomo di fronte a lei, rimbalzò via e lanciò una rapida occhiata alla bandiera e a Rochester... una figura in armatura alla sua sinistra che guidava la scorta, per il resto era solo un mare di elmi sotto il cielo azzurro sul quale svettava lo stendardo del Leone... «Non perdetelo di vista!» urlò Ash. «Avanti! Avanti!» Inciampò nel picchetto di una tenda, ma continuò ad avanzare nonostante stesse barcollando. Una lama calò alla sua destra tagliando il tirante di una tenda e ottenendo come unico di risultato di rimanere impigliata. Ash la liberò con un calcio senza smettere di correre. Un uomo le cadde sui piedi con il viso rivolto al terreno e le braccia che andavano verso l'elmo, la spada snudata era caduta in mezzo alle gambe prive di protezione. Ash liberò i piedi, si chinò e lo alzò prendendolo per una spalla e un braccio. «Avanti!» urlò uno degli uomini di Rochester al suo fianco.
Ash era circondata da un muro di schiene in corsa e poteva vedere a un metro di distanza da lei. Una tromba suonò alla sua sinistra e la vista le si appannò. La tela di una tenda si impigliò tra gli stivali e qualcuno la tagliò con un roncone. Sentì un urlo soffocato provenire da sotto di lei interrotto bruscamente da una martellata calata senza smettere di correre. Diverse tende furono abbattute. Ash vide con la coda dell'occhio una torcia volare in cielo e atterrare nel centro di un gruppo di uomini in armatura leggera alla sua destra: i soldati imprecarono a gran voce. La torcia rotolò senza fare danni sulla tela umida e si piantò nel terreno smosso di fronte a lei. Lo schieramento di uomini cominciò a muoversi liberamente nel momento stesso in cui Ash si rese conto di essere su una strada battuta. Lo sferragliare delle armature, gli uomini che correvano, il respiro affannoso... Due uomini caddero alla sua destra e uno alla sinistra... Un ronconiere cadde di fronte ad Ash che vi inciampò sopra finendo a faccia a terra. L'uomo urlò. Ash sentì qualcosa che scricchiolava nella mano che stringeva la lancia. Qualcuno la afferrò per la parte posteriore della giubba e la tirò in piedi... Anselm? Una freccia spuntava dallo scroto del ronconiere che si rotolava a terra con i pantaloni e le mani imbrattati di sangue. «Siamo sulla strada giusta?» gli urlò Anselm in un orecchio. «Da che parte...» Ash fu colta dal panico. Ci siamo messi a girare in tondo? si chiese. «Continua ad andare avanti!» Udì un sibilo simile a quello provocato dall'acqua buttata sul grasso bollente giungere da una direzione imprecisata. Le urla si levarono nell'aria coprendo gli ordini e il rumore prodotto dalle armature e gli ansiti degli uomini. Ash sentiva di essere senza fiato e aveva le gambe che le dolevano. Il fiato caldo rimbalzava all'interno dell'elmo. Vide un varco aprirsi di fronte a lei e vide un arco lungo gettato a terra. Sto rimanendo indietro ecco perché c'è un varco... Si sforzò di correre più velocemente, ma il varco non si chiuse. Merda, non ce la faccio... Qualcosa ostruì la fenditura della ventaglia e Ash barcollò in avanti alla cieca. Artigliò l'oggetto con la mano e riuscì a toglierlo. Alzò la ventaglia con un guanto insanguinato e la inclinò. L'odore che aleggiava nell'aria le chiudeva la gola. Di fronte a lei i suoi uomini calavano i ronconi sul nemico e sopra di loro svettava lo stendardo del Leone vicino a quello della
Borgogna. «Venite qua!» urlò Ash. Qualcuno la centrò in piena schiena... doveva essere un uomo di Rochester o Rochester stesso. Ash barcollò in avanti, riprese l'equilibrio e scivolò verso il lato della strada dove vide spuntare alcune baracche di legno oltre gli elmetti e le piume dei soldati nemici... le piume dei legionari! Gli uomini intorno a lei continuavano a spingere verso destra per allontanarsi da qualcosa a sinistra... «... le fottute frecce!» Un impatto violento le fece voltare la testa a destra provocandole una violenta fitta di dolore al collo. La lama di una lancia le balenò di fronte agli occhi. La lancia non si alzava, incastrata in qualcosa. Un braccio coperto dall'armatura apparve di fronte a lei e la spinse. La punta della lama si liberò e rimbalzò contro il piastrone di Ash facendola girare. Riuscì a liberare del tutto la lancia. Una donna urlò e un lanciere visigoto cadde a terra di fronte ad Ash che lo inchiodò al suolo piantandogli la punta della sua arma nel polpaccio. Un fante del Leone Azzurro lo finì con un colpo di mazza sul viso scoperto. Schizzi di sangue e ossa le sporcarono il piastrone. Il bastone della bandiera le batté violentemente contro la spalla destra. E un uomo la urtò da dietro; un lanciere visigoto in ginocchio che piantava la daga nello scroto dell'uomo alla cui cintura si era appeso. Non dovrebbero avvicinarsi a me così tanto, pensò Ash. I soldati spinsero verso destra e lei rischiò di cadere a terra. L'asta della bandiera incastrata tra l'elmo e la parte superiore della corazza spuntava oltre la spalla e la premeva verso terra. «Avanti...!» Ash terminò la rotazione impressa al suo corpo dalla botta ricevuta ricorrendo a un ultimo e immane sforzo e si liberò dell'asta. Thomas Rochester prese la bandiera. Gli uomini intorno all'Inglese indossavano tutti le divise bianche dei Visigoti e usberghi di maglia. Rochester aprì la bocca per urlare qualcosa. Una spada lo centrò in piena faccia all'altezza della mascella e schizzò verso l'alto facendo sparire il volto in uno spruzzo di sangue. Ash afferrò la lancia con entrambe le mani e piantò il puntale inferiore sotto il braccio alzato di un nemico sfondando gli anelli metallici. L'impatto fu così forte da riflettersi lungo tutto il muscolo della spalla. Cercò di
liberare l'arma, ma l'asta si piegò. Uno schizzo di sangue la raggiunse sugli avambracci. Un gruppo di uomini con le divise rosse e blu la spostarono di lato e tutto quello che lei riuscì a fare fu impedire che l'asta le scappasse di mano. Cristo, pensò, sto andando nella direzione sbagliata, mi sono girata, dov'è la bandiera...? «Alzate la cazzo di bandiera!» Rimani visibile, muoviti, vivi...! Altri uomini la spinsero da dietro, lei cercò di resistere, ma il peso era troppo forte e barcollò in avanti pestando i corpi distesi per terra. La caviglia si girò e il piede scivolò sopra la massa di cadaveri, sangue e fluidi corporali. Merda, non ho idea di dove sto andando. Si fece spazio a gomitate e si girò. Il cielo era annerito dalle frecce. Il sudore cominciava a gelarsi sulla faccia. Una bandiera blu e gialla con sopra un Leone si alzò... «Capo!» la voce da adolescente di Rickard urlò al suo fianco per farsi sentire sopra il frastuono. Il ragazzo stringeva saldamente la bandiera in pugno. «Muovetevi! 'Fanculo! Non perdete lo slancio!» Ash raggiunse il ragazzo, prese la bandiera e urlò di avanzare. Lasciò andare la bandiera, posò orizzontalmente l'asta della lancia sulle schiene delle persone di fronte a lei e cominciò a spingere in avanti con tutto il peso del corpo piantando i piedi a terra. Due soldati urtarono contro il suo fianco. Più avanti, oltre la massa di Burgundi e Visigoti e il bagliore di un'aquila delle legioni... lo stendardo del Leone cominciò a ondeggiare avanti e indietro. La pressione la fece arretrare di tre passi. Udì imprecazioni urlate, piedi protetti dalle armature che pestavano i feriti caduti a terra. Uno schizzo di sangue le macchiò il guanto e l'avambraccio. Rickard eseguì un affondo goffo, ma Ash non riuscì a vedere se si era trattato di un colpo efficace. Gli uomini di fronte a loro abbassarono le aste delle lance. La pressione che aveva sentito fino a quel momento, scomparve. Ash afferrò Rickard e lo spinse in avanti. Merda, pensò, dov'è Robert? Cominciò a cercare il massiccio capitano inglese e tornò sulla strada di terra battuta. Un gruppo nutrito di ronconieri burgundi, gli uomini di Loyecte, si affollarono dietro di lei. Ash abbassò il capo e una freccia rimbalzò contro
l'elmo facendole scattare la testa all'indietro. Tre uomini le caddero addosso. Uno di essi era tenuto per i capelli da un visigoto, aveva il volto insanguinato ed aveva perso l'elmo. Un uomo con la divisa sporca di sangue affondò il coltello in mezzo alle gambe di un Visigoto. I loro corpi premettero contro Ash che piantò la piastra metallica del guanto sinistro nell'occhio del nemico. Il gesto fu accompagnato dallo schiocco dell'osso dell'orbita che si rompeva seguito un attimo dopo da un urlo che giunse alle orecchie di Ash ovattato a causa dell'imbottitura. La pressione diminuì e lei riuscì a riguadagnare una posizione stabile. Cristo santo! Quanto mi manca un fottuto cavallo, non riesco a vedere niente! «Dove cazzo è il fottutissimo gruppo di comando!» Stava perdendo la voce. «Rickard! Trova lo stendardo del Leone. Dobbiamo muoverci sempre, siamo fatti se ci bloccano!» Le mani avvertirono il vuoto di fronte a lei. Si spinse in mezzo agli uomini. Ignorò i due impatti violenti contro il piastrone e continuò ad avanzare agitando le braccia come se stesse nuotando. Di fronte a lei le lame dei ronconi si alzavano e abbassavano e Ash si fece strada in quella direzione. «Là!» Rickard la girò afferrandola per la spalla sinistra. Solo in quel momento Ash si rese conto di avere la spada in mano. Quando l'ho estratta? Dov'è la lancia? Di fronte a lei, a circa una quindicina di metri di distanza, c'era uno stendardo con il Leone Azzurro. Aprì la bocca per urlare di muoversi in quella direzione, ma una vampata di fuoco l'accecò momentaneamente. Aveva la testa che risuonava come una campana e le braccia intorpidite, ma cercò di toccare quella parte di volto che poteva raggiungere sotto la visiera. La cecità passò un attimo dopo e vide che si trovava sul limitare di una piccola folla... Alcuni uomini giacevano a terra proni o supini con le mani e le braccia sui volti. I corpi erano anneriti dal fuoco e fumavano. L'odore di carne arrostita le fece venire l'acquolina in bocca. Due volti resi irriconoscibili dalle ustioni si pararono di fronte a lei urlando. Un secondo sibilo che ricordava l'acqua buttata sul fuoco, ma cento volte più potente echeggiò nell'aria. Qualcuno diede un calcio dietro al ginocchio di Ash che crollò a terra. Sono indifesa, pensò mentre si pisciava ad-
dosso. Cercò di rialzarsi artigliando il terreno con le mani e i piedi. Era in preda al panico. Qualcosa le camminò sopra o cadde sul piastrone della schiena premendole l'elmo contro il terreno, qualcuno urlò il suo nome. Un bagliore bianco balenò in un angolo della visuale. Un nazir visigoto strisciò di fronte a lei senza neanche vederla. Aveva la schiena annerita e fumante. Ash riuscì a mettersi carponi. Un uomo si lanciò su di lei che saltò all'indietro. Sei, sette forse più uomini del Leone Azzurro entrarono nel suo campo visivo con gli elmi che brillavano sotto il sole. Sopra le loro teste, Ash vide un ovoide di marmo intagliato come se fosse un viso. Un serbatoio d'ottone splendeva sulla schiena. Ci fu una breve fiammata e gli uomini si gettarono a terra. Lei non riuscì a ripararsi il volto abbastanza in fretta e si scottò. Gli occhi le lacrimavano e la pelle formicolava. Si alzò in piedi barcollando e vide il golem con il lanciafiamme che girava in tondo inondando tutto di fuoco... Due uomini con indosso la divisa del Leone si acquattarono e calarono i pesanti martelli da guerra sul golem spaccandogli il braccio destro e la mano sinistra. L'ugello cadde a terra. I due uomini colpirono nuovamente la creatura sui fianchi e un terzo uomo, che Ash non era riuscita a vedere, aveva infilato l'asta di un roncone tra le giunture in bronzo delle ginocchia. Il golem crollò sulla schiena e quattro mercenari gli assestarono una rapida serie di colpi violenti e decisivi. «Uno in meno!» urlò Geraint. «Muoviamoci!» «CAPO...» Qualcuno la tirò su in piedi. Era un uomo più alto di lei di una testa abbondante che indossava la divisa del Leone. «Da questa parte!» urlò Robert Anselm. «Laggiù!» Corsero ansimando e si fermarono nel centro di uno schieramento di cavalieri. Lo stendardo del Leone non si muoveva. Non si muoveva. Siamo fatti, pensò Ash, ci hanno imbottigliati. Gesù! Questi sono a centinaia. È finita. Sentiva tutti i muscoli del corpo intorpiditi, poi, proprio nel bel mezzo del combattimento, si fermò per un secondo e si piegò in due. I muscoli delle cosce e delle spalle le facevano male. Ogni punto immaginabile sotto l'armatura - le clavicole, i fianchi, le ginocchia - era gonfio a causa delle abrasioni. La testa risuonava. Il sangue le colava dalla fronte in un occhio e lei si tamponò la faccia e vide che l'anulare spuntava dal guanto piegan-
dosi di novanta gradi verso il palmo. Non aveva sentito la frattura. Le sanguinava il gomito. Tutto il fianco sinistro dell'armatura era intaccato dalle punte delle frecce o di altre armi... tutti colpi di cui lei non si era neanche resa conto. Come vorrei avere indosso la brigantina, pensò. Con quella mi muovo meglio. Non riesco più a fare un cazzo di metro con questo affare addosso. Non riesco a combattere. Sono morta. «Forza, ragazza!» la incitò Anselm. Fece per muoversi, ma a metà di un passo si fermò nuovamente. Le urla degli uomini la assordarono nonostante l'imbottitura dell'elmo. Sentiva che non riusciva più a sollevare le braccia appesantite dalla stanchezza. Gli uomini più vicini a lei avevano smesso di combattere. Le urla e le grida provenivano da qualche metro di fronte a loro. Un'ovazione si levò nell'aria, ma lei non riuscì a capire le parole. «Che cacchio...» Gli uomini si stavano passando qualcosa. L'oggetto passò di mano in mano fino ad arrivare in quelle di Robert Anselm che glielo passò immediatamente. Ash si accorse che si trattava di una lancia visigota. Afferrò l'asta e il peso la sbilanciò in avanti. Fece cadere la spada, sollevò l'asta con entrambe le mani e quando alzò gli occhi vide quello che sbilanciava l'arma. Una testa tagliata. Una testa con una barba intrecciata di fili d'oro. «Gelimero è morto!» urlò Robert Anselm e indicò la punta della lancia. «GELIMERO È MORTO!» Un urlo possente si levò da sinistra. «Dobbiamo fermare la battaglia!» gridò Ash. Serrò con forza l'asta della lancia. «Dobbiamo... loro sanno che è morto?» «La bandiera è caduta!» «COSA?» «La sua BANDIERA È CADUTA!» «Devo passare.» Si avvicinò alla linea dei ronconieri, l'unità che un tempo era stata comandata da John Price e prima ancora da Carracci. «Fatemi raggiungere la cacchio di prima linea! Veloci!» Le schiene degli uomini si spostarono e Ash si fece strada a spallate tra quei corpi massicci continuando a tenere alta la lancia. Robert Anselm la seguiva tenendo alta la bandiera dietro di lei. Ash raggiunse la seconda linea dei ronconieri dove vide solo una selva di uncini e lame sporche di
sangue. «Gelimero è morto» urlava a squarciagola. I ronconieri arretrarono con le armi alzate, ma senza colpire. Vide il sole splendere oltre le punte delle lance e lo schieramento di Visigoti con indosso le armature e le armi spianate... Ash si chiese per un istante se stessero arretrando e capire che stava già camminando su un tratto di terreno costellato dai corpi. Corse il rischio di lanciare un'occhiata a destra e sinistra attraverso una foresta di lance e ronconi e vide che si stava aprendo un varco di diversi metri. Hanno visto la bandiera cadere... Alzò la lancia nel cielo azzurro. La testa di Gelimero ondeggiò sopra i corpi. Il volto era ben visibile nel sole. La bocca aperta e un pezzo di colonna vertebrale pendeva in aria spuntando dal collo. «Il califfo-re è morto!» Aveva urlato a pieni polmoni e ondeggiò. «Il califfo-re è morto!» incalzarono i suoi uomini rossi in volti. C'era chi ansimava e chi piangeva. Le frecce continuavano a sibilare nell'aria alla sua sinistra e gli uomini urlavano sopra il clangore metallico delle armi. Intorno ad Ash il coro dei soldati cominciò a seppellire quei rumori. «Il califfo-re è morto! Il califfo-re è morto!» Ash fece ondeggiare la lancia con la testa nonostante le braccia indebolite e tremanti. Dovete vederla! Il varco si allargava sempre di più creando uno spazio tra i due schieramenti: un tratto di terreno coperto di tela, calderoni ribaltati, letti insanguinati e corpi con le teste sepolte tra le braccia, cadaveri, teste tagliate... A una decina di metri di fronte a lei, Ash vide chiaramente un nazir che urlava qualcosa al suo comandante e lo sguardo fisso dell'arif sulla testa di Gelimero. Si trovava leggermente più in alto rispetto al nemico e questo le permise di vedere le centinaia di elmi che si radunavano dietro le prime linee: lancieri schiavi, cavalieri, arcieri. Il nemico si stava affollando rango dopo rango, spalla contro spalla, tra le tende e le baracche distrutte. Le bandiere delle diverse unità spiccavano contro il cielo. L'esperienza maturata in anni di battaglie permise ad Ash di calcolare che di fronte a lei dovevano esserci circa quattromilacinquecento, cinquemila uomini. Un raffica di scoppi lacerò l'aria. Dovevano essere stati alcuni artiglieri
che avevano acceso contemporaneamente le micce di un cannone a organo: otto canne che sparavano quasi all'unisono dalle mura della città. Se li sento, vuol dire che qua hanno smesso di combattere. «Il califfo-re è morto!» urlò di nuovo, sentendo la gola che doleva a ogni parola e lo squillo delle trombe. «GELIMERO... È... MORTO. Fermate gli scontri!» Ash crollò contro Anselm che l'afferrò per un avambraccio e la tenne in piedi. Per un attimo pensò che tutto il mondo avesse trattenuto il fiato e non vide nessuna ragione che potesse fermare i Visigoti dallo spazzare via gli appena milletrecento uomini scarsi di fronte a loro. Non c'è nessuna ragione al mondo, pensò, intontita fissando il cielo azzurro e la testa di Gelimero. «Disimpegno!» sussurrò a Robert Anselm. «Manda i messaggeri... di' a Morgan di tenere lo stendardo dove si trova.» «Consideralo fatto!» Ash udì gli ufficiali che urlavano una serie di ordini alle sue spalle. Continuava a guardare in avanti, respirando a stento con gli occhi che bruciavano. Non riconobbe nessuna delle bandiere, poi, circa a dieci, quindici metri da lei spuntò una bandiera sulla quale era riprodotto un triangolo con la punta rivolta verso l'alto: era la montagna stilizzata, il simbolo di Sancho Lebrija. È uno che segue gli ordini, pensò Ash. Seguirà gli ordini di un morto? «IL RE È MORTO!» gridò Ash con voce incrinata. Anselm la fece girare e indicò delle persone che stavano raggiungendo quel punto del campo. Il numero aumentava con il passare dei secondi. La bandiera di Lebrija barcollò nella massa di truppe. Quanto tempo prima che cominci a dare ordini? «Laggiù!» Anselm indicò un altro gruppo di cavalieri che si avvicinavano. Il capo colonna aveva un elmo dorato e il portainsegne reggeva una bandiera con una ruota nera in campo bianco. «Sono le insegne di Leofric!» lo informò Ash. I due nobili visigoti si incontrarono e si udirono delle urla. «Amir!» chiamò Ash, urlando a squarciagola. «Il califfo Gelimero è morto!» Enfatizzò il concetto agitando in aria la lancia. Un misto di sangue e fluidi spinali le colarono sulla mano destra. Ash prese fiato e fissò la scena. Il cavaliere con l'elmo dorato se lo tolse: era Leofric.
Alcuni ciuffi di capelli bianchi puntavano verso il cielo. Il nobile visigoto premette i talloni contro i fianchi della cavalla e si avvicinò passando in mezzo ai morti o ai feriti e, giunto a una certa distanza, aggrottò la fronte fissando la testa impalata. Ash non seppe dire se il nobile visigoto avesse socchiuso gli occhi per rabbia o per via del sole. Il sole si doveva essere alzato di pochissimo sull'orizzonte da quando avevano fatto crollare il muro. Dubito che siano passati quindici minuti da allora, valutò Ash mentalmente. «Leofric!» urlò. «Gelimero è morto. Non può più impedirti di distruggere le Macchine Impazzite!» Il vento portò via le sue parole insieme ai lamenti e ai singhiozzi dei feriti. Mi avrà sentita? si chiese. Fissò il volto corrugato per qualche secondo. Che sia veramente impazzito? L'amir si girò e disse qualcosa in tono autoritario, uno degli ufficiali al suo seguito cominciò a urlare ordini con voce secca e decisa e gli uqda cominciarono ad avvicinarsi insieme allo stendardo di Lebrija. «Lo sta facendo. Sta assumendo il comando. Dannazione lo sta facendo.» Batté i piedi. «Lo sta facendo.» Robert Anselm imprecò in tono piatto e scurrile. A una ventina di metri a sinistra rispetto a Ash, lo spazio tra i due schieramenti scomparve di nuovo, trasformandosi in un corridoio di aste che si abbattevano su elmi, lance e ronconi, scudi alzati: uomini così vicini che non potevano fare altro che colpire le aste delle armi, gli elmi e i volti. Dalle linee visigote si levò un coro d'urla e la bandiera con la croce di sant'Andrea fu fatta arretrare di una decina di metri in dieci secondi. Deve trattarsi di qualche arif che agisce di testa sua... «Di' loro di resistere!» Ash piantò i piedi a terra per cercare di resistere alla spinta dei corpi dietro di lei. «Fermate i combattimenti! Immediatamente!» gridò a Leofric. Gli arif di Lebrija urlarono qualcosa. La massa che premeva alle spalle di Ash la spinse inesorabilmente verso le punte delle lance nemiche. La spalla di Rickard raschiò contro la sua. La bandiera del Leone barcollò. «Fermi!» urlò Robert Anselm, rivolgendosi ai soldati dietro di lui. Venti metri più in basso il pendio fu spazzato da una vampata di Fuoco Greco. «Cristo! Non si fermano!» Leofric girò la testa, si drizzò sulle staffe e cominciò a gridare in tono autoritario. Ash socchiuse gli occhi gonfi e sentì il rumore provocato da
una seconda vampata di fuoco. Un cuneo di soldati visigoti fuggì all'impazzata verso i soldati burgundi. Gli uomini inciampavano e sparivano nella calca, i pennoni cadevano. La vampata delle fiamme la accecò per un attimo... «Tirano anche sui loro uomini!» gridò Anselm. Ash avvertì il movimento degli uomini intorno a lei e si girò parzialmente per scorgere un messaggero sulla cui divisa spiccava la croce di sant'Andrea che ansimava. «... Tirano su tutti...» Gli ufficiali intorno a Leofric correvano impartendo ordini, le unità si muovevano e non successe nulla per circa trenta secondi. Niente. Niente Fuoco Greco. Un uomo morto non ha amici. Però può avere uomini che vogliono vendicarlo... Una voce alle sue spalle gridò qualcosa in latino cartaginese. Ash fu spinta in avanti ma continuò a tenere stretta la lancia. La testa di Gelimero ondeggiava come l'albero di una nave. Due passi avanti, tre... dritta verso le linee dei fanti nemici. La pressione si alleviò e Ash si fermò a fissare le punte delle lance, gli archi ricurvi e le frecce incoccate in fretta... «Fermi!» urlò il nazir che si trovava a una quindicina di metri di fronte a lei. Ash si chinò leggermente all'indietro avvicinando la bocca all'elmo di Robert. «Manda altri messaggeri: 'Ai comandanti... mantenere la posizione... difendersi e basta...'» Rickard si spostò alla sua destra e Ash osservò il tratto di terreno che digradava verso il basso. Cristo, siamo arrivati fino qua? Non ricordo il pendio. Una stretta striscia di terra smossa, tela, tende distrutte, aste rotte, pentole e uomini armati correva verso Digione. Se fossero stati schierati invece di dormire... L'aria era gelata e limpida. Ash inalò il puzzo di merda e sangue. Oltre la fine dello schieramento burgundo i Visigoti cominciavano a occupare le strade tra le tende. Una massa di scudi e spade immobili sulle quali splendeva il sole. A est si udiva ancora il caos provocato dal suono dei corni e dagli ordini urlati, ma nel campo nord due legioni intatte si stavano sicuramente schierando fuori dalle baracche. La sola III Caralis contava cinquemila uomini. Potrebbero schiacciarci in qualsiasi istante... pensò Ash. Davanti alle mura di Digione c'erano diversi uomini con le divise del
Leone o dell'esercito burgundo. Alcuni si muovevano ancora. Nella vasta breccia aperta nelle mura della città si potevano vedere i bagliori delle armi... falci e forconi soprattutto. Erano i cittadini di Digione che osservavano la scena dietro le macerie. Ash si mise a contare. Non li vedo tutti, ma non siamo rimasti solo noi...! Una serie di movimenti attirarono nuovamente la sua attenzione sullo schieramento visigoto di fronte a lei. Gli arcieri si aprirono. Un nuovo contingente di truppe marciò nello spazio e una voce gridò in italiano e in latino cartaginese di avanzare e attaccare. «Merda...» imprecò Ash. I corni suonarono. Stanca e senza fiato, Ash lanciò un'occhiata ai suoi ronconieri e vide che sui loro volti era apparso un misto di disgusto e terrore, poi un uomo cominciò a ridere di gusto mostrando i denti sporchi di sangue. Ash socchiuse gli occhi e vide che i soldati apparsi nello schieramento nemico indossavano divise europee. Erano fanti armati di archi e ronconi. C'erano anche alcuni cavalieri. Nessuno di loro si stava muovendo. La voce cartaginese che gridava gli ordini si interruppe bruscamente in un gorgoglio grottesco. «Guarda!» Uno schizzo di sangue uscì dalla bocca dell'uomo a fianco di Ash insieme alle parole. «Guarda, capo!» Le bandiera ricamata in oro di Agnus Dei brillava al sole e più in giù c'erano la spada snudata della compagnia di Onorata Rodiani e la Nave e la Mezza Luna di Joscelyn van Mander: i mercenari franchi al soldo di Gelimero. Vide un cavaliere con indosso un'armatura di fattura milanese, Agnus Dei, prendere la bandiera. Il sole si rifletteva sul guanto corazzato mentre la mano stringeva l'asta. Il condottiero disse qualcosa in italiano, ma Ash non capì. Il puntale dorato in cima all'asta si inclinò verso il basso. Il cavaliere piantò la bandiera a terra al contrario e l'Agnello di Dio rappresentato sulla tela si confuse con gli altri pezzi di divisa per terra. Le lacrime offuscavano la vista di Ash che sentì un coro di roche grida di assenso intorno a lei. La bandiera di Onorata Rodiani cadde a terra, seguita da quella di Cola di Monforte e per ultima da quella dei Fiamminghi di van Mander. Tutta l'operazione era stata accompagnata dalle grida di apprezzamento degli uomini del Leone.
«Li sta chiamando fuori!» disse Robert Anselm indicando con la mano libera. Il suono dei corni continuava a echeggiare nel centro del campo e a est dove si udivano ancora una serie di scoppi. Ash si girò, porse la lancia a Rickard e gli disse: «Dammi la bandiera!» Ash sollevò la bandiera con la sinistra e la tenne alta sopra la testa. Gli schiocchi delle armi a est svanirono lentamente e nel volgere di un lungo minuto le artiglierie smisero di tirare. Leofric superò i ranghi dei mercenari seguito dai suoi uomini e dalla bandiera di Lebrija. L'amir fermò la sua cavalla e si sporse per parlare con uno dei suoi comandanti. L'arif Alderico avanzò fermandosi a poca distanza dalla linea burgunda: «Il mio signore dice: 'Pace tra di noi! Pace tra Cartagine e la Borgogna!'» Ash prese fiato e gridò: «Ha il potere e il diritto di offrirla?» La voce dell'arif Alderico echeggiò potente nell'aria facendosi udire dalle prime file di entrambi gli schieramenti. «In seguito alla morte in battaglia del califfo Gelimero, l'amir Leofric reclama per sé il trono di califfore. Non ci sono altri amir del suo rango qua. È un suo onore e un suo dovere. Viva il califfo-re Leofric!» «Che mi fottano!» esplose Robert Anselm a fianco di Ash. Le legioni visigote esultarono. «Jund Ash» la chiamò Alderico. «Il mio signore ha il potere di farlo e Cartagine rettificherà la sua elezione qua. Accettate le nostre offerte di pace?» «'Fanculo se le accetto, sì!» Mentre aspettavano di raggrupparsi, Ash fu circondata da una foresta di bandiere e stendardi. Thomas Morgan con lo stendardo del Leone Azzurro e de la Marche insieme al portainsegne del ducato burgundo e gli stendardi delle varie unità. Gli uomini avevano gli occhi puntati verso l'alto, ma nessuno di loro osservava gli stendardi e le bandiere. Erano tutti concentrati sulla testa di Gelimero in cima alla lancia. Ash non sentiva niente. «Dite a Leofric che vogliamo sistemare tutto sul tratto di terreno aperto di fronte alla breccia nel muro.» Anselm annuì e fece un segnale a due degli uomini di Morgan che corsero immediatamente verso Leofric. Le rumorose espressione di sollievo degli uomini che si erano appena
resi conto di aver vinto non penetravano la bolla di insensibilità nella quale si era calata Ash. «Ce l'abbiamo fatta!» Rickard si tolse l'elmo e arrossì in volto, raggiante. «Ce l'abbiamo fatta! Ehi, capo! Adesso mi nominerai tuo scudiero?» Un coro di profonde voci maschili segnalarono l'apprezzamento. I soldati si aprirono formando uno spiazzo e il ragazzo si inginocchiò continuando a stringere l'asta della bandiera. «Ah, 'fanculo!» imprecò Ash e sentì la pelle secca del viso che si tendeva a causa di un sorriso. Era preda di un fiume di emozioni. Recuperò la spada e posò la lama sulla spalla di Rickard. «Se potessi nominarti cavaliere lo farei! Considerati promosso!» Un coro di urla di sollievo e gioia si levò tra i presenti. Gli uomini aiutarono il ragazzo ad alzarsi in piedi e gli diedero una serie di pacche sulle spalle. L'aria fredda le carezzava le guance, ma lei non osava ancora togliersi l'elmo. «Rimani qua.» Passò la lancia con un gesto brusco a Elias, uno dei sergenti sotto il comando di Rochester e si fece strada a gomitate tra gli uomini finché non vide quello che le interessava. La direzione era chiarissima nella sua testa... I campi sono tutti uguali, pensò. Il comandante temporaneo dei ronconieri di Carracci e Price la scortò. «Vitteleschi» si presentò ansimando. «Se sei d'accordo capo, prendo il comando di questi uomini.» «Per il momento va bene» disse Ash. Un sorriso contro il quale non poté fare nulla le apparve sulle labbra. Ce l'abbiamo fatta. Ce l'abbiamo fatta. «Hai la faccia rossa, capo» le fece notare Vitteleschi. «Davvero?» «La pelle.» L'uomo si passò rapidamente un dito sulla guancia. «Va tutto bene...» Le lacrime le scaldavano gli angoli degli occhi. Ora poteva vedere i tetti elaborati delle baracche che forse erano state gli alloggi di Gelimero e il ponte dietro di esse. «Voglio vedere cosa ha combinato Jonvelle...» Il sangue copriva il ghiaccio. Socchiuse gli occhi per osservare le sagome raggomitolate a terra che creavano ombre della grandezza di un uomo. Oltre il ghiaccio un gruppo di uomini spostava i cadaveri prendendoli per le mani e i piedi. Ash contò i corpi: ventidue.
Tenete il ponte e impedite la fuga a Gelimero, questi erano stati i suoi ordini. Un sergente burgundo si avvicinò con passo stanco. «Dov'è Jonvelle?» chiese lei. «Morto.» Il sottufficiale tossì un paio di volte. «Morto, capitano. Anche i capitani Berghes e Romont sono morti.» Uomini di valore, pensò Ash. Girò la testa e vide i corpi degli uomini che giacevano sul terreno freddo del lato nord del ponte in posizioni bizzarre: braccia distese e gambe intrecciate con quelle degli altri cadaveri. Ronconieri e arcieri, uomini che indossavano solo la brigantina e l'elmetto. Vide i volti dalle cui bocche aveva smesso di uscire il sangue. Cinquanta? Sessanta? Un uomo sedeva di fronte ai corpi e si lamentava con una mano posata sullo stomaco. Una mezza dozzina di ronconieri burgundi superarono il ponte e le passarono vicino trasportando uomini e donne che urlavano dal dolore a ogni passo; il portainsegne di Jonvelle teneva ancora alti i suoi colori, nonostante il braccio destro amputato all'altezza del gomito. Una mano tagliata rischiò di farla inciampare. «Vitteleschi.» «Capo?» «Manda un messaggero al lord amir Leofric. Ditegli che i nostri dottori sono in città e che ho bisogno che mandi i dottori al seguito delle legioni.» «Ma...» «Adesso, Vitteleschi.» Si girò verso il sergente burgundo. «Sei tu quello che comanda qua?» Merda, il più alto in grado è un sergente, pensò Ash quando lo vide annuire. «Non voglio storie riguardo al fatto di essere curati dai dottori visigoti, chiaro? Fai bendare quelli che sono ancora vivi o falli mettere sulle barelle, devono essere trasportati in città appena pronti. Portateli agli ospedali nelle abbazie.» «Sì, capitano.» Non c'era traccia d'emozione nella voce del sottufficiale. «Andiamo» disse, girandosi verso Vitteleschi. I soldati si fecero da parte per farla passare: ormai si erano quasi tutti riuniti intorno agli stendardi delle compagnie di appartenenza. Ash camminava in mezzo agli uomini con le divise del Leone e burgunde. Tutti parlavano a bassa voce e spesso le voci erano coperte dalle urla dei feriti, uomini che strisciavano tra loro e le linee visigote o giacevano faccia a terra. Una donna priva d'elmetto vomitava; sulla testa spiccava una ragna-
tela di sangue. Chi è? Katherine Hammell? No, però è un'arciere della sua lancia... I dottori e gli infermieri visigoti si stavano già muovendo tra le linee. Tra i Franchi si levarono le proteste. I medici delle legioni nemiche si chinavano sugli uomini, per alcuni si alzavano immediatamente per altri chiamavano le barelle. Non facevano distinzione tra i loro uomini e gli altri. «Manda un messaggero in città. Fai venire i monaci ad aiutare. Non so se è sicuro! Ma di' loro di portare qua immediatamente i loro fottuti culi! Fai venire anche le donne di Bianche.» Ash cominciò a cercare la bandiera di de la Marche. «Torniamo verso la città facendo la stessa strada che abbiamo seguito per arrivare al campo e facciamo il conto dei nostri caduti.» Superò i Burgundi seguita da Rickard con lo stendardo, Elias con una lancia e Vitteleschi con i suoi uomini. Le file si aprirono per farla passare: file non molto nutrite. Diede una occhiata alle spalle e vide che erano rimasti in pochissimi. Non riesco a credere che abbiamo perso così tanti uomini! pensò. Stava camminando sul limitare di un'area annerita dalle fiamme del Fuoco Greco dove diversi uomini si stavano agitando a terra. «Fate venire un cazzo di medico!» Uno dei medici di Leofric la superò di fretta e furia facendo scricchiolare i pezzi di legno carbonizzato e le ossa sotto i sandali. Il cappuccio cadde e Ash vide che si trattava di una donna dottore che chiamò il suo assistente in latino medico. La conosco, pensò. «Tu.» La voce della donna visigota risuonò di fronte a lei e Ash riaprì gli occhi. Non si era resa conto di averli chiusi. In quel momento riconobbe il viso e la voce: era quella che a Cartagine aveva detto che il cancello del suo utero era praticamente distrutto. «Darò a uno dei tuoi schiavi un unguento per gli occhi altrimenti si gonfieranno. Non hai subito molti danni dalla bruciatura, ma è meglio non trascurarla...» «Fottiti!» Ash si allontanò dal medico. Si fermò di fronte a una pila di uomini anneriti dal fuoco. Erano orientati con le teste verso la città. La coda gialla e blu delle divise non era stata bruciata. Vitteleschi impartì una serie di ordini brevi. Due uomini si chinarono e girarono il corpo annerito. L'Italiano lo fissò e dopo un secondo disse: «Il capitano Campin.»
Sotto il corpo di Adriaen Campin c'era quello di un altro comandante di lancia. Il cadavere di Willem Verhaecht aveva gli occhi sbarrati. Il corpo non era molto bruciato e qualcosa, molto probabilmente la mano di un golem, gli aveva sfondato il piastrone della corazza strappandogli un polmone dal petto. Ash lo fissò per dieci secondi e la carne rossa e nera non ebbe nessun moto. Prendete alcune squadre: distruggete i golem e neutralizzate le armi che lanciano Fuoco Greco. Questi erano stati gli ordini che aveva impartito. «Controllate se c'è qualcuno ancora vivo.» Il sole faceva brillare le lacrime sulle guance di Vitteleschi. «Fatelo, merda!» ordinò in tono flebile. L'Italiano annuì e, piangendo, si chinò in avanti per spostare i corpi cotti dalle fiamme. Appena toccò le braccia di un cadavere queste si staccarono come se fossero le giunture arrugginite di un forno. Gli stendardi del Leone e quello burgundo cominciavano a muoversi seguiti dagli uomini. Giù, lungo il pendio, oltre il secondo punto che era stato spazzato dal Fuoco Greco e là... Una mano le afferrò il ginocchio. Ash abbassò lo sguardo e riconobbe che l'uomo era uno dei suoi solo a causa della divisa del Leone. Il viso era una massa sanguinolenta e irriconoscibile. Bolle di sangue gorgogliavano dove prima c'era stata la bocca. Seduto al suo fianco un mercenario cercava di tamponare il moncherino del polso destro con la mano sinistra. Il volto era pallido, quasi vitreo. «Dottori!» urlò Vitteleschi. «Fate venire i dottori quaggiù.» Lo stendardo si avvicinò. Nei dieci metri di fronte a Ash c'erano diversi dei suoi uomini. Alcuni si muovevano ancora, altri erano immobili, ma tutti erano coperti di sangue. Fece un passo di lato e lo stivale spostò un braccio tagliato all'altezza del gomito. Una voce debole chiese aiuto. Lo sguardo si posò su un corpo insanguinato e irriconoscibile... È de Treville, è Henri, riconosco l'armatura... arretrò, si girò e vide Ricau inginocchiato a terra che reggeva Thomas Rochester tra le braccia. «Capo!» la chiamò Ricau. «Dammi una mano, capo, non so cosa fare!» «Rickard fai venire qualcuno dei fottuti medici qua...» «I messaggeri, capo... hanno detto che non ce ne sono ancora abbastanza...» Rigida, Ash si inginocchiò sul terreno gelato reso viscido dagli escrementi e dagli altri fluidi. Allungò una mano, ma esitò. Vitteleschi si ac-
quattò al suo fianco con in mano un pezzo di stoffa insanguinata e lo offrì a Ricau. Il balestriere lo prese e lo passò piano sul viso dell'uomo contro di lui. Rochester urlò. Quel suono lacerò il silenzio parziale che era sceso sul campo e terminò in qualcosa di simile a un fischio, un esplosione di sangue. «È l'occhio!» piagnucolò Ricau. Aveva tolto l'elmo del suo comandante. Due buchi neri ovali colavano sangue sul volto di Rochester, sulla maglia e sul piastrone. Il naso era ridotto a un frammento di cartilagine. Una scheggia d'osso bianco spuntava dall'ammasso di carne rossa nel quale si era trasformata l'orbita destra e Ash si rese contro che si trattava dell'osso del setto nasale. Gli uomini che sfilavano lungo la collina lanciavano una rapida occhiata a Rochester cercando di non respirare l'odore di escrementi che si levava dal ferito. «Sveglia.» Ash si umettò le labbra. «Tienilo immobile e tranquillo. Appoggia la stoffa qua, falla riempire di sangue... e lascialo respirare. Tom. Tom? Stanno arrivando gli aiuti. Ti portiamo indietro. 'Fanculo...» si raddrizzò e schizzò in piedi «Nessuno ha del vino o dell'acqua?» Iniziò il passaparola. Gli uomini tastarono le borracce, ma erano tutte vuote. «Quaggiù!» Rickard si girò e sventolò la bandiera del Leone per indicare agli uomini vestiti di bianco dove dovevano recarsi. «Qua!» «Merda!» Ash si girò e cominciò a camminare tra le unità burgunde e le tende distrutte. Sentiva qualcuno che ansimava. Rickard la raggiunse con la bandiera, le disse qualcosa, ma lei continuò ad avanzare. C'era uno spazio vuoto al suo fianco, gli uomini si fecero da parte e Rickard si inginocchiò. Ash si fermò. In mezzo a ciò che restava di una tenda c'erano due corpi. Questo è il punto dove ci siamo infilati nella strada e dove quelli che dovevano occuparsi delle tende hanno iniziato il lavoro, pensò Ash. Rickard girò il piccolo corpo tozzo che stringeva tra le mani. La testa penzolò di lato come quella di un coniglio con il collo spezzato. Qualche ciuffo di capelli biondi spuntava da sotto l'elmo. Il sangue era uscito dagli otto o nove buchi nella brigantina. «Margaret Schmidt» la riconobbe una voce. Ash alzò lo sguardo e vide Giovanni Petro e l'arciere Paolo. Petro scrollò le spalle nel vedere lo sguardo interrogativo del suo capitano. «Lui è l'unico rimasto.»
Rickard si alzò pallido come uno dei feriti con l'asta della bandiera posata sulla spalla. «Quella è Katherine Hammell» disse. Stava per dire qualcosa, ma vide che il ragazzo si era riferito all'altro corpo raggomitolato nel fango in posizione fetale. La donna emise un lamento. Una freccia le spuntava da sotto la scapola e aveva una spada piantata nello stomaco. Stava cercando di impedire agli intestini di uscire stringendoli con le mani imbrattate di sangue. «È ancora viva. Vai a chiamare un dottore» disse e vedendo l'espressione di Rickard aggiunse: «Chi lo sa?» «Abbiamo bisogno di un miracolo!» piagnucolò il giovane Un sorriso cinico apparve sulle labbra di Ash che per un attimo non seppe se stava per urlare o scoppiare a piangere. «Quello non possiamo farlo...» Rigida e silenziosa, Ash si avviò con passo spedito sul tratto di terreno pianeggiante verso le trincee che circondavano la città. C'erano pochi corpi in quel punto. Guardò il varco nelle mura e vide la bandiera di Leofric, quella di Anselm e di Follo e una manciata di civili che uscivano dalla città. «Attenta!» gridò Rickard. Il piede aveva calpestato qualcosa di morbido. Ash barcollò e riprese l'equilibrio. L'uomo sotto di lei urlò e cominciò a singhiozzare. Dal corpo spuntavano diverse frecce dal piumaggio nero. È abbastanza vivo per fare rumore, pensò, poi lo riconobbe: Euen. La maglia metallica conferiva un aspetto massiccio a quell'uomo altresì magro. Il sangue macchiava il Leone. Ash si chinò e contò le frecce. Una nel braccio, una in viso, due nella coscia. «Resisti, Euen!» «Merda, capo!» imprecò Rickard. «Se può urlare può anche farcela...» Lo carezzava cercando di esaminare le ferite con il tatto. Si gelò. Gli aprì con gesti goffi la divisa e l'usbergo e vide che una freccia doveva aver trapassato lo stomaco o lo scroto. «Chiama subito qualcuno!» Rickard partì di corsa. Ash rimase ferma premendo tutto il suo corpo sulle ferite finché non arrivarono i medici visigoti che misero Euen su una barella e lo trasportarono urlante dentro una tenda d'ospedale. Ash si alzò con le mani che colavano sangue e osservò gli ultimi uomini della sua unità che superavano le passerelle sulle trincee.
I soldati visigoti la fissavano parlottando tra loro. Un nazir impartì un ordine secco. Ash aveva sentito che qualcuno aveva sollevato gli archi e dal modo in cui alcuni uomini si erano guardati era sicura che avevano pensato di essere abbastanza vicini per uccidere la stronza. Allungò una mano ed Elias le passò una lancia pesante. La porta sulla quale camminò per superare le trincee emise uno scricchiolio sinistro. Rickard la seguì. Già, pensò, abbiamo superato le trincee. Fuori dalle mura, buttate le passerelle sulle trincee e apritevi la strada, questi erano stati gli ordini... E trovate Gelimero! Dovete cercare il suo stendardo. Sapevo che avrebbe dovuto farlo vedere in segno di comando. Sapevo che sarebbe scappato e che Jonvelle l'avrebbe fermato sul ponte. Gelimero deve essere stato ucciso da un fante o da un ronconiere qualunque. Sapevo che sarebbe andata così. Lo sapevo. Chi ha bisogno della voce del Leone? Si guardò alle spalle e vide che altri Visigoti si erano radunati vicini alle trincee. La bandiera del Leone spiccava sopra di lei che si sentiva l'oggetto della loro attenzione: era come un attore in una rappresentazione su un carro, visibile da migliaia di persone. Gli uomini e le donne zoppicavano dietro di lei ricomponendo in silenzio i ranghi. Solo che non si trattava di ranghi, ma di una gruppo di uomini sparpagliati qua e là che non aveva nulla che spartire con una linea continua. Un conto a occhio le fece capire che non riusciva ad arrivare a cinquecento unità. Era intontita. Era come se la vittoria senza speranza si fosse trasformata in una sconfitta. Dietro quelli che camminavano venivano quelli che potevano camminare solo se aiutati: Pieter Tyrrel sosteneva Jan-Jacob Clovet, Saint-Seigne era trasportato da due uomini seduto sulle aste di altrettanti ronconi, qualcuno guidava un arciere che aveva il volto ridotto a una maschera di sangue. Altri due uomini accecati. Un ronconiere ferito che camminava con il sangue che sciabordava nelle scarpe e una mano priva di dita. Una colonna di uomini barcollanti che portavano le armi buttate sulle spalle si avvicinava. Ash la vedeva quasi come una massa immobile di lame incrostate di fango che ballonzolavano lentamente sopra le loro teste. Poi giunsero gli uomini sulle barelle, o quelli con le caviglie o le ascelle sanguinanti che se la cavavano da soli. C'erano persone immobili con il
sangue che colava e altre che urlavano e si agitavano. I monaci e i dottori visigoti trotterellavano tra i feriti pronunciando rapide diagnosi, movendosi verso quelli che potevano aiutare. Il battito dei cavalli dagli zoccoli ferrati si ripercosse nel terreno e un arciere visigoto si fermò a pochi metri da lei. «Il mio signore Leofric, ha detto che è tutto pronto.» L'uomo non sembrava solo rispettoso, ma anche spaventato. «Digli che... arrivo.» Attese che i sergenti portassero i conti. Olivier de la Marche la raggiunse e si fermò al suo fianco. Dietro di lui lo stendardo rosso e blu e i pochi centeniers rimasti... Lacombe e altri tre. Saint-Seigne. Carency. Marie. Sono tutti qua? «Capitano?» de la Marche sembrava come intontito. «Trecentododici burgundi uccisi. Duecentottantasette feriti. Ci sono...» Rickard, Vitteleschi e Giovanni Petro la fissarono. «Ci sono novantadue feriti gravi e meno gravi e centotto morti.» «Merda!» imprecò l'arciere italiano e Rickard scoppiò a piangere. «Altri cento feriti: circa due terzi di loro possono camminare. Il Leone ne uscirà da tutto ciò con meno di duecento unità e solo se siamo fortunati.» Il vento soffiava freddo. Ash aprì il guanto destro, afferrò il dito rotto, lo raddrizzò e lo chiuse con il cinghietto per tenerlo fermo. «Andiamo» disse. V Un tappeto dorato copriva i venti metri quadrati di terreno sotto la Torre di Guardia e sopra di esso una tenda dentro la quale le bandiere circondavano un grande tavolo, e Ash sentì il calore dei fuochi. Vide il campo nemico oltre le fiamme dei fuochi. «Che follia.» De la Marche annuì con un sorriso sulla bocca che faceva capire che ormai si stava dimenticando dei morti e dei feriti. «Ma ce l'avete fatta, capitano! Pulzella di Digione! Ci siete riuscita!» Tutto ciò che riusciva a vedere mentre camminava erano i pavesi e i tetti appuntiti delle tende o delle baracche. I nazir e gli arif strillavano una serie di ordini nelle trincee e tra le tende, ma questo non impedì a migliaia di uomini di fermarsi a guardare il varco gigantesco aperto nelle mura di Di-
gione. Ash cominciò a tremare e riuscì appena a segnalare a Rickard di passare a Giovanni Petro la bandiera e toglierle l'elmo. Ash respirò a pieni polmoni. Che sia pace o sia guerra, non mi posso preoccupare di un assassinio adesso! pensò, sentendo il ragazzo che terminava di sfilarle l'elmo. Non me ne importa. L'aria fredda le lambì i capelli corti e lei si grattò la testa con la mano sinistra ignorando il sangue che le imbrattava il guanto. Un tratto di pelle scottata le attraversava il volto poco sopra lo zigomo e gli sfregi. La pelle sotto l'occhio si stava gonfiando. La pelle del setto nasale era rosa acceso. Sono una dei novantadue e mi posso definire poco più che fortunata. Robert Anselm la raggiunse seguito da Richard Follo. Il visconte maggiore sembrava stupito e rideva a bassa voce, contento. Ash sapeva bene le parole che accompagnavano la risata. Siamo vivi. C'erano sei o sette uomini seduti dietro il lungo tavolo. Leofric era al centro, Federico d'Asburgo sulla destra; l'inviato francese e de Commines alla sua sinistra insieme a Lebrija e a un altro qa'id. Dietro di loro c'erano altri uomini che indossavano armature leggere, uno di questi, era un giovane che aveva i tratti del volto tipici dei Leofric. Ash fece vagare lentamente lo sguardo su tutti loro - l'imperatore asburgico accennava un sorriso - quindi tornò a concentrarsi su Leofric. «Non siete poi così pazzo, giusto?» disse in tono filosofico. «Non ci credo, non dopo che ho parlato con vostra figlia.» Ash stava ridendo a causa della sorpresa e dell'esaltazione. Avrei dovuto far pulire l'armatura, si disse, pensando allo sporco e al sangue rappreso che macchiavano il metallo. Eccola là di fronte a tutti: una donna in armatura con i capelli argentei sporchi di sangue, con indosso una divisa del Leone strappata, la spada che batteva contro il fianco e un oggetto stretto in una mano. Ash sollevò la testa di Gelimero e la posò sul tavolo. I capelli si incastrarono nel guanto tirandole il dito rotto e lei imprecò. «Questo è il fottutissimo ex califfo!» La testa sembrava essersi rimpicciolita: il sangue stava diventando nero, erano ancora visibili alcuni pezzi della spina dorsale e sotto le palpebre socchiuse si intravedevano le due mezze lune delle pupille. Tutti osservarono la testa in silenzio. «Devo firmare un trattato di pace con la duchessa in persona.» Leofric annuì. «La porterete fuori dalla città?»
«Quando avremo...» «Rivolgiti al califfo-re con rispetto, jund» le rammentò la voce profonda di Alderico alle spalle del suo signore. L'arif non era stato ferito e sorrideva. Ash ricambiò il sorriso. «Quando avremo parlato, 'mio califfo-re'» continuò Ash. «Solo quando questa pace sarà stabile. Prima di tutto dobbiamo parlare di argomenti ben più importanti. Voi conoscete le Macchine Impazzite e sapete quello che stanno cercando di fare. Vi dirò come mai non ci sono riuscite... padre. Vi dirò come mai la duchessa di Borgogna deve rimanere viva.» Passarono quattro giorni tra la cessazione delle ostilità e l'arrivo delle provviste. Ash mandò inviati a est e a nord. Dopo, insieme a Lacombe e de la Marche, dovette negoziare per il cibo e la legna, organizzare il riempimento delle trincee con i morti e delle abbazie con i feriti dei combattimenti. Il terreno era troppo duro per scavare le fosse e gli schiavi visigoti ammassarono i cadaveri in grosse pile rosse e bianche. I medici visigoti salvarono parecchie vite e se non fosse stato per il loro intervento il numero dei morti sarebbe stato molto più alto. Ash visitò i feriti della sua compagnia e pianse insieme a loro. Tra i morti trovò Simon Tydder. Gli avevano asportato parte del cranio fino alla mascella. Il terzo fratello, Thomas, era inginocchiato a fianco del cadavere composto nella cappella e rifiutava di essere confortato. Euen Huw visse ancora sedici ore. Ash rimase seduta al suo capezzale in turni di un'ora per tre volte, lasciando il comando delle operazioni ad Anselm o a de la Marche. Rimase seduta nella stanza dell'ospedale riscaldata dalle fiamme del camino e dei bracieri tenendogli la mano che diventava sempre più fredda con il passare delle ore. Il Gallese aveva subito due profonde lacerazioni alle gambe, una caviglia era stata tagliata fino all'osso, ma la ferita letale era stata provocata dalla lancia che gli aveva perforato lo scroto. Euen Huw morì scosso dai tremori nelle prime ore del 29 dicembre e le campane suonarono a morto. «Amir Leone!» la chiamò la donna medico al servizio di Leofric, mentre Ash stava per uscire. «Lasciate che vi curi gli occhi.» La vista sfocata non era solo dovuta alle lacrime e una paura improvvisa di diventare cieca e indifesa le chiuse lo stomaco. Si sedette vicino a una finestra e si lasciò curare con le erbe. L'odore de-
gli abiti della donna le fece tornare in mente l'osservatorio della casa di Leofric e il dolore al basso ventre. «Tenete gli occhi bendati di notte» aggiunse la donna «e in quattro giorni dovreste migliorare.» «Allora potreste dare un'occhiata anche a questo.» Ash alzò la mano. La donna le esaminò l'anulare e sibilò qualcosa all'indirizzo del macellaio franco che aveva raddrizzato l'osso, quindi lo steccò legandolo all'altro dito. «Dovrete tenerlo a riposo per dieci giorni.» Come se potessi permettermi di riposarmi dieci giorni... «Grazie» disse Ash, sorpresa di riuscire a parlare. Scese le scale e sentì delle voci. Quando arrivò sul pianerottolo si trovò di fronte a Fernando del Guiz e al faris. Nessuno dei due parlava, ma l'espressione radiosa sui loro volti, non aveva bisogno di parole. Ash sorrise appena e fece per superarli. «Volevamo che lo sapessi» disse Fernando. Per un attimo Ash fu divisa dall'aspetto giovane e vulnerabile dell'ex nobile e dalla conoscenza che molti con il suo aspetto giacevano fuori le mura di Digione. «Il tuo prete può sposarci?» le chiese il faris. Ash non seppe dire se stava per piangere o stava per sorridere. «Digorie Paston è morto» li informò. «È stato ucciso da un golem, ma credo che Padre Faversham sarà ben contento di officiare il rito. È di sopra.» L'uomo e la donna si girarono e Ash si accorse che ormai si erano dimenticati della sua presenza. Era come se fossero immersi uno nell'altra, isolati da tutto il dolore e la morte di quei giorni... «E perché no?» si chiese Ash, sussurrando. «Fatelo finché potete.» «CONTINUA A FARE SEMPRE PIÙ FREDDO, PICCOLO ESSERE DI TERRA...» «... FREDDO...» «... VINCEREMO!» Le voci delle Macchine Impazzite sussurravano confuse e in preda al panico nella sua mente. Niente faris, niente Golem di Pietra, neanche una notizia di seconda mano, pensò Ash soddisfatta. Siete fottute! Non sapete nulla, vero? Un cavaliere arrivò da est accompagnato dal secondo in comando di Bajezet.
«Dice che Florian sta tornando indietro» disse Robert Anselm. «Afferma che è disposta a firmare un trattato di pace se de la Marche dice che va bene.» «Cosa ne pensate?» gli chiese Ash. Olivier de la Marche soffiò sulle mani fredde e fissò il campo visigoto attraverso il largo varco nelle mura della città. «Non c'è dubbio che là dentro ci sia ancora qualcuno che pensi che lord Leofric sia pazzo. Ci sono quelli che pensano che non lo sia e quelli, parecchi, che seguiranno il potente di turno, quello che diventerà il monarca del califfato. Secondo me, gli amir sfideranno Leofric solo quando sarà tornato a Cartagine. Io dico di firmare.» Ash vide i golem straziare il cortile della cattedrale con le loro mani di pietra per scavare una serie di fosse in un terreno che nessun uomo avrebbe potuto scalfire. Una pila di corpi era stata preparata per il funerale. Il ricordo del primo cadavere che aveva visto nel corso della sua vita le giunse insieme a una scarica d'adrenalina. Non era stato nulla di decoroso come quei corpi bianchi lavati, puliti e sistemati sotto il cielo grigio. Stava correndo in una foresta, era estate, l'aria era dolce e il sole brillava attraverso le foglie. A un certo punto aveva aggirato una sporgenza rocciosa ed era quasi inciampata nel cadavere di un uomo ucciso durante una schermaglia il giorno prima. Si era accorta che era un cadavere solo dopo che le mosche si erano alzate in volo. Mi ero fermata di colpo e avevo avuto l'impressione di aver sbattuto contro un muro, pensò. Ma allora era tutto diverso. Tornò a concentrarsi sul cortile della cattedrale e udì le salmodie dell'abate Muthari e dell'abate Stefano. Leofric era al suo fianco. I vestiti odoravano di muschio e i ricami erano rigidi. L'amir batté le palpebre per cercare di schiarire la vista dalle lacrime provocate dal freddo, mentre il fiato si condensava nell'aria. Visigoti dentro Digione! Trattato di pace o no, il solo pensiero le faceva chiudere la bocca dello stomaco. «Come mai non è buio qua?» chiese il nobile visigoto. Ash seguì il suo sguardo, ma non riuscì a vedere neanche i contorni accennati del disco solare. «Parliamo del trattato di pace. Ci ho pensato bene, padre. Dovremmo firmare anche un'alleanza.»
«Non c'è dubbio che l'operato delle Ferae Natura Machinae, le Macchine Impazzite, sia reale.» Leofric tirò su con il naso. I bordi delle narici cominciavano ad arrossarsi e la voce si ispessiva a causa del raffreddore. «Se, come mi dici, la Borgogna preserva la realtà, allora il sole non dovrebbe splendere su queste terre.» «Un'alleanza tra pari» incalzò Ash. «L'originale è meglio, non è così che dicono i Franchi? Per dei poveri eredi dei Romani, il passato è sempre meglio di questo presente degenerato.» «E la Borgogna si attacca al passato?» borbottò Ash, ironica. Leofric sembrò fraintendere apposta il significato delle parole di Ash. Le sorrise in maniera calorosa. «Non sempre. Pace con Cartagine...» «Un'alleanza. Non vorremmo essere gli unici a dare la caccia alle Macchine Impazzite... ma potremmo essere gli unici che vogliono distruggerle. E noi» affermò Ash «lo vogliamo.» Leofric rispose con una scrollata di spalle. «Oh, sì, certo: distruggerle. È ovvio che il fuoco non era una benedizione. La morte in battaglia toccata all'amir Gelimero, dimostra qual è il vero volere di Dio. Le piante, gli animali, la pietra e le persone che si trovavano intorno alle piramidi si sono fuse. Dovremo tenerci a distanza e usare i cannoni del vostro mastro artigliere per distruggerle.» Ash, contenta di essere tornata nel campo a lei familiare delle speculazioni militari, aggiunse: «E quando smetteranno di essere così pericolose, potremo pensare di allestire le cariche.» «Se smetteranno.» Leofric si strinse nel lungo mantello di pelliccia e agitò il bastone da consigliere del califfo. «Un'alleanza. Un simile atto la direbbe lunga su quanto teniamo in considerazione la Borgogna.» «Non è così?» Il battito ritmico delle zolle di terra che, troppo gelate per spaccarsi, battevano sul terreno continuava a giungere dalla facciata della cattedrale. Due messe, una cristiana e l'altra eretica erano officiate contemporaneamente. Ash aggrottò la fronte e ripensò a una frase che aveva udito un attimo prima dal padre e chiese: «Cosa intende dire con 'l'originale'?» «Chi ha raccontato per primo la loro storia?» domandò a sua volta Leofric. «Chiunque sia stato è diventato il metro di giudizio... gli altri sono giudicati a seconda di quanto si avvicinano o allontanano dai dettagli originali. Il primo a raccontarla ha un'autorità tutta sua.»
Leofric fissò Ash che lesse in quel volto una sorta di eccitazione. Era un uomo che stava elaborando una teoria. Senza curarsi se la verità sarebbe stata un beneficio per lui o un altro. Tutti i suoi esperimenti fino a quel momento avevano sempre fatto la fortuna dei califfi. Era quello Leofric? Un amir diventato califfo-re per caso? Questo uomo mi avrebbe fatta a pezzi per studiarmi, pensò Ash. E ne sarebbe stato ben contento. «Non ti perdono» disse muovendo appena le labbra. «Né io perdono te. Un esperimento durato mezzo secolo e tu lo hai...» «Rovinato?» L'ironia e l'umorismo macabro ebbero la meglio sul senso d'oltraggio che provava in quell'attimo. «Modificato» rispose Leofric soppesandola con uno sguardo. «Forse al solo scopo di dimostrare che esiste un'area d'ignoranza.» «E... in questa area?» «Altri studi.» Per un secondo Ash ripensò alla casa di Cartagine, ma non agli esami e alle infermerie, ma alla cella e ai suoi urli che echeggiavano contro le pareti. «Non hai studiato abbastanza?» «No.» Sul volto era tornata quell'espressione familiare d'arroganza, che non era solo diretta a lei, ma anche agli uomini che apparvero improvvisamente al suo fianco, superando un gruppo di consiglieri nei quali c'erano il dottore Annibale Valzacchi e suo fratello Gianpaulo: Agnus Dei. «Sisnandus» disse Leofric, coperto dal suono dei canti funebri. Ash lo riconobbe come una delle persone intorno al tavolo. Un giovane dal volto indurito dalla guerra che aveva la stessa bocca di Leofric. L'unica cosa che lo faceva spiccare come ex comandante della casata erano le insegne sulla casacca. «I messaggeri della casata dei Leofric e dei Lebrija sono partiti per la capitale.» Cerca di essere educata, pensò Ash, questo è uno dei trucchi che Leofric usa per ottenere il potere, altrimenti non avrebbe permesso a Sisnandus si assumere il comando della casata mentre lui si fingeva pazzo. Sempre che Sisnandus si sia reso conto di quanto gli stava succedendo. Ash non seppe dire dall'espressione del viso se gli dispiaceva della guarigione dell'amir con la conseguente rimozione dal suo ruolo di guida della casata; forse era contento di dover continuare a mantenerne il controllo mentre Leofric si occupava di fare il califfo-re.
Politica, solo e sempre politica. Vide un uomo nella scorta di Sisnandus che distoglieva lo sguardo: Guillaume Arnisuot. Provava troppo vergogna per avvicinarla dopo il suo fallito tentativo di entrare a Digione. Devo parlargli, prima o poi, pensò Ash. «Un'alleanza per la campagna di primavera» propose Leofric senza togliere di dosso gli occhi ai golem che ora cominciavano a deporre i cadaveri nel terreno. «Potrei persuadere i Francesi. Tu riusciresti a convincere i Turchi a unirsi a una simile alleanza? Il trattato aspetta solo la firma della duchessa.» La mattina del 3 gennaio faceva molto freddo e il terreno era così gelato che i cavalli potevano procedere solo al passo. «Avete bisogno di tutti questi uomini per riportare indietro la duchessa Floria?» le chiese Olivier de la Marche. Ash gli sorrise in sella a una cavalla visigota «Già» rispose allegra. «State prendendo buona parte dei trecento uomini per andare incontro ai giannizzeri di Bajezet.» Ash lanciò un'occhiata al centodieci uomini dietro lo stendardo del Leone Azzurro e ai Burgundi di Lacombe. «Non sappiamo se i Turchi decideranno di girarsi e tornare dal sultano. Sono paranoica. C'è la pace, ma io continuo a rimanere paranoica. Guardatevi intorno. Niente cibo e l'oscurità oltre il confine. Non c'è più legge. Ci vorranno anni prima che torni la tranquillità. Come vi sentireste se dovessimo perderla a causa del colpo di testa di qualche bandito sbandato?» «Giusto» concordò il Burgundo. Nel corso degli ultimi quattro giorni, dozzine di uomini e donne erano arrivati a Digione a mano a mano che la notizia della fine dell'assedio si era sparsa per le campagne. Alcuni arrivavano dalle grotte e dai boschi nei quali si erano rifugiati, privi di ogni inclinazione all'onestà. «Inoltre, vi concedo che gli uomini che hanno sopportato il peso della battaglia per la nostra duchessa abbiano l'onore di vederla tornare» aggiunse de la Marche. E presto la faremo finita con questa stronzata della 'Leonessa', pensò Ash. Basterà cominciare a pianificare una campagna al Sud. «Ma... lei?» De la Marche fissò il faris scortata da due uomini di Giovanni Petro. «Preferisco poterla tenere d'occhio. Un tempo era lei a comandare il nemico, ricordate? È finita, ma è meglio non rischiare.»
Non adesso che ho cominciato a ottenere il suo aiuto. Ash vide un uomo con indosso l'abito talare al limitare della folla: era Fernando del Guiz scortato da un gruppo di ronconieri del Leone. L'ex cavaliere germanico alzava una mano per benedire, ma non era chiaro se la benedizione fosse diretta alla sua ex moglie o a quella che aveva appena sposato. Ash alzò gli occhi al cielo. «Non rimangono molte ore di luce. Nella più rosea delle probabilità li raggiungeremo entro domani! Aspettatemi fra tre o quattro giorni. Messere Olivier, visto che i Visigoti sono stati così generosi con noi in termini di legna e cibo... che ne dici di organizzare una festa?» «Senza problemi, Pulzella» acconsentì Olivier de la Marche ridendo. «Non fosse altro per dimostrare quello che ho sempre sostenuto: assolda un mercenario e quello ti mangerà anche il camino e la casa.» Ash attraversò il ponte est, passando sotto le postazioni degli artiglieri visigoti accampati sulle alture. Li salutò con un cenno della mano e affondò i talloni nei fianchi della cavalla per farla procedere. Il freddo le mozzava il respiro in gola. Salutò i nuovi comandanti di lancia a mano a mano che passavano: Ludimilla, Pieter Tyrrell e Jan-Jacob Clovet cavalcavano con lei al posto di Katherine Hammell. Vitteleschi comandava i ronconieri di Price e Tobias, il terzo in comando sotto Euen Huw, guidava la lancia un tempo appartenuta al Gallese. Thomas Rochester cavalcava guidato dal sergente Elias. L'occhio destro era ancora bendato e coperto da un pezzo di metallo nero sotto i bordi del quale di tanto in tanto colavano ancora liquidi. Gli altri comandanti di lancia, Ned Mowlett e Henri van Veen sembravano... più vecchi, più seri. I volti cambiano e la compagnia va avanti. Il contingente guidato da Ash uscì da Digione preceduto dagli esploratori disposti a ventaglio di fronte, dietro e di fianco alla colonna. «Sappiamo da che parte si è diretto Bajezet?» chiese a Robert Anselm. «Non penso che abbiano cercato di superare le Alpi, sono troppo storditi per pensarlo!» «Ha detto che si sarebbe diretto a nord attraverso il ducato» borbottò Anselm. «Poi avrebbe deviato a est; Franche-Comté e oltre il confine fino a Longeau in Haute-Marne, poi di nuovo a nord verso la Lorena. Dipende da come sarebbero riusciti a sopravvivere durante il viaggio. Ha detto che se non avesse ricevuto nessuna notizia che la guerra era finita avrebbe ca-
valcato fino a Strasburgo e poi avrebbe tagliato a est nella speranza di incappare nei Turchi provenienti da ovest oltre il Danubio.» «I messaggeri ci hanno detto fino a che punto sono arrivati?» «Oltre il confine. Nell'oscurità. Sono lungo la via del ritorno a est.» Anselm sogghignò. «E se nessuno di noi si è perso potremmo seguire la stessa strada.» La neve cominciò a scendere verso la fine della giornata. «Rendetela dura quanto vi piace» borbottò Ash continuando a camminare con la ventaglia semialzata. «DURA, SÌ, FREDDO...» «FREDDDO INVERNALE, UN FREDDO MONDIALE...» «... FINCHÉ IL VENTO NON COPRIRÀ TE E TUTTO IL MONDO!» Sentiva una nota di panico nelle loro voci. Abbiamo vinto, pensò Ash. Potrete anche trasformare la Cristianità in una landa desolata e gelida, ma noi abbiamo vinto. Leofric è diventato califfo. Firmiamo questo trattato e partiamo per il Sud... stiamo venendo a prendervi. La colonna cavalcò a nord accompagnata dal tintinnio dei finimenti e guidata da Ash che sorrideva. Il giorno seguente, dopo lunghe ore di ricerche frustranti nella neve, gli esploratori giannizzeri incontrarono quelli del Leone Azzurro due chilometri fuori quello che Ash scoprì essere ciò che restava di un villaggio. Il fumo continuava ad alzarsi dalle rovine del palazzo comunale e della chiesa. La neve ricopriva le colline che un tempo erano coltivate a vigneto. Ash attraversò un torrente gelato accompagnata da Robert Anselm, Angelotti e Lacombe. Solo due delle undici case del villaggio erano ancora in piedi, i tetti di zolle di terra cominciavano a cedere sotto il peso della neve. I giannizzeri la guidarono in una tenda militare sorprendentemente pulita, eretta tra una delle case intatte e il mulino. Due uomini uscirono dall'edificio. Un uomo con l'armatura e lo stendardo del Cinghiale Blu e un altro uomo con i capelli color sabbia e il viso rugoso sulle cui labbra apparve un sorriso. «È al sicuro» fu la prima cosa che disse. Ash smontò, passò l'elmo a Rickard e andò a incontrare John de Vere, conte di Oxford. «È la pace.» «Il vostro esploratore ce l'ha già detto.» Il nobile inglese socchiuse gli occhi. «Una pace preceduta da una bruttissima battaglia, vero?»
«Sto cominciando a pensare che non ci sia una battaglia buona» rispose Ash e quando vide il cenno d'assenso di de Vere, aggiunse: «Florian?» «Troverete mio 'fratello Dickon' vicino al camino del mulino» borbottò John de Vere sogghignando. «Denti di Dio, madame! Un conte di Inghilterra non è un individuo che può essere messo da parte come un contadino qualsiasi! Cosa le è preso a quella donna? Mi avevate giurato che lei non aveva mai visto una duchessa di Borgogna in precedenza!» La neve smise di scendere nella notte e il mattino dopo, 5 gennaio 1477, la colonna si diresse a sud-ovest al sorgere del sole. «Gelimero è morto» esordì Ash, mentre cavalcava fianco a fianco con Florian, dopodiché si lanciò in una minuziosa descrizione dello scontro e delle morti di alcune persone che Florian poteva conoscere e rispose alle domande poste dall'ex chirurgo su come i medici visigoti avevano trattato Katherine Hammel, Thomas Rochester e gli altri. «È la pace» terminò Ash. «Almeno finché non assassinano Leofric! E questo dovrebbe darci alcuni mesi. Dovremmo riuscire ad arrivare a primavera.» «Ci vorranno anni prima di riprendersi da questa guerra.» Florian infilò le falde del mantello sotto le cosce, cercando di proteggere il corpo dal vento che, appena era smesso di nevicare, era diventato più freddo. «Non posso essere la loro duchessa. Facciamola finita con le Ferae Natura Machinae così pianto tutto.» Ash carezzò il collo della cavalla per calmarla. «Non vuoi rimanere in Borgogna?» «Non ho il tuo senso di responsabilità.» «Responsabilità...?» Florian annuì all'indirizzo degli uomini di Lacombe e Marie. «Una volta che li comandi, cominci a sentirti responsabile.» «Stronzate!» «Certo» disse Florian. Sembrava stesse sorridendo. «Certo.» Cinque chilometri dopo, mentre cavalcavano sul fondo di una valle dai pendii boscosi parzialmente distrutti da un incendio, Ash vide un esploratore e fermò il cavallo. Era un ragazzo magro che indossava una giubba imbottita. «Fatelo passare.» Thomas Tydder si fece strada fino a lei ansimando. «Soldati davanti a noi, capo. Circa un migliaio.»
«Che insegne?» domandò Ash, secca. «Alcune delle teste di tela, ma non ne sono sicuro» rispose il giovane esitante. «La maggior parte, però sono tedesche, capo. È l'imperatore del Sacro Romano Impero. È Federico.» «Sta tornando a casa» fece notare Robert Anselm. «Già, ho pensato che avremmo potuto incontrarlo...» Ash si drizzò sulle staffe e osservò la pista davanti e dietro di loro. «Raggiungiamo il primo punto dove si allarga e facciamoli passare.» «Non ci ha impiegato molto ad abbandonare le teste di tela, eh?» borbottò Robert Anselm. «I topi scappano dalla nave che affonda, Madonna» commentò Angelotti avvicinandosi. «Non sarebbe di certo diventato il favorito di lord Leofric. Starà tornando per sistemare alcune faccende politiche all'interno della sua corte.» «Roberto, vai da Bajezet e spiegagli la situazione, non voglio casini.» Un centinaio di metri dopo, la colonna si fermò aprendosi come stabilito. «Capo!» la chiamò Robert Anselm. «Ci sono problemi. Gli esploratori non tornano, nessun rapporto negli ultimi quindici minuti.» «Merda! Va bene, è il momento di stare attenti...» Ash si drizzò nuovamente sulle staffe e vide un paio di figure scure che sbucavano dal bosco alle loro spalle. «Hanno esploratori davanti e dietro di noi! Dai l'allarme!» Il suono della tromba risuonò nell'aria e gli uomini serrarono immediatamente i ranghi disponendosi in formazione da battaglia. Robert Anselm indicò con un pollice. «Si sono fermati e mandano un araldo.» Scappiamo? pensò Ash. No, staranno sicuramente presidiando il bosco alle nostre spalle. Ci passiamo in mezzo? È l'unico modo, ma Florian? Ash osservò l'araldo che si avvicinava. Quella mattina fredda e umida il vento era sufficiente a far sventolare le bandiere. Riconobbe il volto dell'uomo, molto probabilmente l'aveva visto alla corte di Federico quando erano accampati fuori Neuss, ma non riconobbe quello del qa'id che lo accompagnava. «Consegnate la donna» ingiunse l'emissario andando dritto al punto. «Di quale donna parlate?» Ash parlò senza distogliere lo sguardo dai soldati poco lontani da loro. Trai i mille e millecinquecento uomini. Cavalieri europei con indosso armature pesanti e fanti visigoti dotati di armature a piastre. Quest'ultimi avevano l'aria di essere veterani. Vide alcune a-
quile. Sono uomini della III Caralis e della I Cartagine, le legioni portate da Gelimero, pensò Ash. Insieme a loro c'era la massa scura di truppe composte di schiavi e il blocco compatto dei fanti germanici; non c'era molto spazio per gli arcieri... «Vogliamo la donna che si fa chiamare duchessa di Borgogna» dichiarò l'araldo con voce acuta «che il mio signore Federico, imperatore dei Romani, Signore delle Germanie, ora prenderà sotto la sua custodia.» «Lui cosa?» gridò Ash. «Chi cazzo si crede di essere?» Stava parlando in preda alla paura e all'esasperazione, ma l'ufficiale visigoto la stava fissando con sguardo severo. Il qa'id fece girare la cavalla con uno spostamento del peso. «Egli è il mio signore Federico... leale vassallo del defunto e glorioso califfo-re Gelimero. Ora è lui ad assumere il comando del califfato e dell'impero visigoto.» 'Fanculo, pensò Ash. «Federico d'Asburgo?» disse Florian incredula, dopodiché tossì nella mano. «Federico vuole partecipare all'elezione per diventare califfo-re?» «È uno straniero!» protestò Robert Anselm, rivolgendosi all'ufficiale visigoto, ma Ash non vi prestò attenzione. Probabilmente può farlo, si rese conto Ash. A Digione l'esercito visigoto si deve essere diviso in quelli per il 'sì', quelli per il 'no' e il 'forse'. 'Sì', gli uomini al fianco di Leofric. 'No', i soldati ancora fedeli a Gelimero, ma un morto ha pochissimi amici. Restano i 'forse' che devono decidere da che parte andare. Questi uomini devono essere gli ex clienti di Gelimero, quelli che lui aveva nominato ufficiali delle sue legioni. Adesso stanno seguendo Federico perché... «Consegnate la donna!» sbottò il qa'id. «Non fate l'errore di confondere lord Ferderico con Leofric. Leofric è un debole che non desidera altro che fare la pace con voi, proprio mentre eravamo a un passo dalla vittoria. Il mio lord, Federico, che diverrà califfo, è deciso a portare a termine ciò che aveva iniziato Gelimero prima che fosse ucciso a tradimento. Il mio signore Federico giustizierà la donna di nome Floria, colei che si fa chiamare duchessa di Borgogna, per far sì che la nostra vittoria nei confronti della Borgogna sia completa.» «Figlio di puttana» borbottò Anselm. La foschia che si alzava dalla foresta copriva il sole. La neve brillava. E
il fiato che le usciva dalla bocca si condensava a contatto con l'aria gelida. Ash controllò la posizione degli uomini a sua disposizione: Bajezet era sulla sinistra a capo delle sue truppe; il Cinghiale Blu di de Vere alla destra. Socchiuse gli occhi osservando i cinquecento metri circa di terreno che li separavano dalle truppe di Federico. «'Califfo-re Federico'...» commentò Ash. «Già. Se uccide la duchessa, molto probabilmente riuscirà a sconfiggere la Borgogna, diventando l'eroe dell'impero visigoto nonché il suo califfo... strappando anche un bel pezzo di Borgogna. Anche Luigi di Francia ne prenderà un pezzo, ma è Federico che si beccherà la fetta più grossa. E quando i Turchi verranno a ululare al confine - ai suoi confini - avrà il controllo del suo esercito e di quello visigoto e sarà al sicuro: potrà farli correre fin che vorrà con tutto il denaro che avrebbe. Imperatore del Sacro Romano Impero e califfo-re e per ottenere tutto questo non deve fare altro che uccidere la duchessa di Borgogna.» «Non posso crederci...» dichiarò Floria, dopodiché cominciò a tossire. Si asciugò gli occhi e il naso. Ash provò una sorta di tenerezza per lei, il dottore duchessa che prendeva il raffreddore. «Questa è una stupida lotta politica! Federico deve sapere quello che faranno le Macchine Impazzite.» «Evidentemente non ci crede» sentenziò Ash. «Hai battuto le legioni visigote! Non può finire in una imboscata!» «Nessuno è così speciale da non morire in qualche schermaglia da due soldi una volta vinta la guerra» commentò Ash torva, dopodiché si rivolse ad Anselm usando il patois del campo. «Sfondiamo lo schieramento. Oxford, tu e Bajezet prendete Florian, vi aprite un varco e scappate. Mandate aiuto una volta arrivati a Digione.» «Una volta che avremo stabilito chi comanda a Digione» la corresse John de Vere, torvo. Si girò e impartì una serie di ordini ai giannizzeri. Ash premette i talloni contro i fianchi del cavallo e si interpose tra il nobile inglese e l'araldo. «Torna indietro» disse, rivolgendosi a quest'ultimo «e di' a Federico che sta abbaiando inutilmente. La duchessa è sotto la nostra protezione e lui può andare a farsi fottere da qualche altra parte.» L'ufficiale visigoto alzò un braccio, quindi lo calò e un attimo dopo nell'aria si udì lo schiocco delle corde degli archi. Ash chinò il capo in un gesto automatico. I dardi colpirono il suo gruppo mentre l'araldo spronava il cavallo e tornava verso il suo schieramento. I giannizzeri caricarono senza esitare. Gli zoccoli di cinquecento cavalli sollevarono una pioggia di neve, fango e detriti. Un blocco di neve bagnata
centrò l'elmo di Ash che piegò la testa all'indietro per farlo cadere e urlò ad Anselm di serrare i ranghi mentre i giannizzeri dotati di archi rispondevano all'attacco. De Vere e Floria si erano posizionati al centro dello schieramento turco. Adesso non possono raggiungerla, pensò Ash e la carica di fronte a lei si dissolse in una massa di bestie, uomini che crollavano a terra e bandiere che cadevano. Ash vide le truppe di fronte a lei aprirsi in un caos di cavalli impazziti. Figure più alte di un uomo camminavano sulla neve pestata. Si muovevano lentamente, ma la cadenza regolare e precisa permetteva loro di coprire le distanze velocemente, senza scivolare o cadere. Il sole rosso splendette sulle gambe, sui petti e sugli occhi ciechi. Uno di essi afferrò un cavaliere turco per una caviglia, lo tirò giù dalla sella e lo fece schioccare in aria come se fosse una frusta. Una ventina di golem messaggeri avanzavano verso di lei con le braccia protese. Ash arrestò bruscamente la cavalla sollevando una nuvola di neve mista a fango e si trovò a fianco di Rickard. Tutto il corpo si tese in attesa della vampata di Fuoco Greco. Una lingua di fuoco scaturì dall'ugello stretto nelle mani di un golem abbattendosi su alcuni cavalieri visigoti che si dissolsero. Solo uno, devono essere rimasti a corto di Fuoco Greco, pensò Ash. Un gruppo di cavalieri oscurò i golem per un attimo finché una seconda fiammata non balenò nell'aria accompagnata dai versi di dolore dei cavalli. Ash fu avvicinata da Bajezet, da una dozzina di cavalieri turchi e da John de Vere che teneva strette in mano le redini del cavallo di Floria. «Sono passati, donna bey!» «Robert! Voglio un rapporto degli esploratori! Dove possiamo infilarci in attesa di aiuto?» Anselm indicò con un dito. «Ci sono delle case al limitare del bosco, su per quel pendio alla nostra destra. Sono in rovina, ma offrono abbastanza riparo.» «Adesso tu vai lassù, Floria e non voglio sentire discussioni.» Ash balzò a terra dal cavallo, estrasse la spada e indicò urlando in direzione del portainsegne del Leone Azzurro. «Ripieghiamo nel bosco!» Vitteleschi e i suoi ronconieri la raggiunsero di corsa e si pararono di fronte a lei. Le frecce rimbalzarono contro gli elmi. Un uomo emise una sorta di grugnito e spezzò l'asta della freccia che gli si era piantata nella caviglia. Rickard afferrò le redini del cavallo di Ash con una mano tenen-
do con l'altra lo stendardo. Ash pronunciò una raffica di ordini che i comandanti di lancia urlarono ai propri uomini che incominciarono ad arretrare lentamente, respingendo i cavalieri tedeschi che in quel momento non avevano molta voglia di caricare i ronconieri e subire il tiro dei balestrieri di Jan-Jacob Clovet. «Va bene così, teniamoli a bada, avanti!» Ash era consapevole solo della stanchezza che la attanagliava e della voglia di scappare su per il pendio costellato di ceppi anneriti. Due uomini di Oxford e Florian la superarono con passo precario e insicuro. Ash vide le rovine di fronte a loro. Gli ordini di Robert Anselm produssero una linea difensiva di uomini che si ancorò alla struttura della costruzione. Ash corse dall'altra parte dello schieramento spingendo gli uomini in posizione. Rickard la seguiva con l'asta della bandiera appoggiata alla spalla. Il ragazzo era pallido in volto e ansimava. Jean, il piccolo paggio, guidava i cavalli. Ash si girò e vide la massa di granito rosso dei golem che avanzava su per la collina. Possono sfondare il nostro schieramento. Si dispongono lungo i fianchi e ci prendono alle spalle sfruttando la copertura degli alberi. «Ash!» gridò Rickard, facendosi largo a spallate tra Ned Mowlett e Henri van Veen. «Ash!» «Cosa?» urlò lei, poi si girò verso un messaggero. «Vai a dire a de Vere di usare le balestre. Se sfondano le armature possono spaccare la pietra! Cosa c'è Rickard?» «È Florian!» Ash distolse lo sguardo dalla linea ondeggiante di uomini che indietreggiavano su per la collina. Pieter Tyrrel teneva lo stendardo del Leone Azzurro nel centro dello schieramento. Nel guscio di quella che, date le vetrate dipinte e gli archi, doveva essere stata una chiesa o un edificio religioso, Richard Faversham, Vitteleschi, Giovanni Petro e una manciata di uomini si stava riunendo intorno al punto indicato da Rickard. «È ferita!» urlò il ragazzo. «È ferita, capo!» «È GIUNTO IL NOSTRO MOMENTO. È GIUNTO IL NOSTRO MOMENTO!» urlarono trionfanti le Macchine Impazzite nella mente di Ash. La forza di quelle voci la fece barcollare e lei dovette tenersi alla spalla di Rickard. Un'ombra passò sopra il ragazzo e Ash alzò lo sguardo. Il sole del mattino cominciava a diminuire di luminosità con la stessa velocità dell'acqua che fuoriusciva dalla crepa in un otre.
VI Gli ultimi sprazzi di luce misero in evidenza il pendio innevato costellato dalle forme scure degli uomini che lo stavano risalendo, l'aquila degli Asburgo e la bandiera di Sigismondo del Tirolo. Ash ricordò con un certo divertimento che era stato proprio quell'uomo a organizzare il matrimonio tra lei e Fernando. Infine vide un'altra bandiera: una ruota in campo bianco, leggermente diversa da quella di Leofric e tutti i pezzi del mosaico andarono a posto. Ricordò il giovane al tavolo di pace con Leofric e ai funerali: Sisnandus con i golem della casata. Inciampò su Vitteleschi e scattò verso la linea di difesa, allungò una mano e la posò sulla spalla di un uomo che scoprì essere Thomas Rochester. L'Inglese stava armeggiando disperatamente con la pietra focaia. «Miccia corta!» urlò lei. «Torce! C'è bisogno di luce!» Si avviò verso la cappella con passo deciso e sentì la voce di Richard Faversham che intonava delle salmodie in latino. Ash si fece largo a gomitate tra il gruppo di uomini e Angelotti le passò una torcia. «Ho disposto gli archibugi sulla sinistra!» «Distruggete quei fottuti golem! Fateli a pezzi! Muovetevi!» Non smise di camminare lasciando alla scorta il compito di starle dietro finché non raggiunse la porzione di muro a fianco del quale si era inginocchiato il prete. Ash passò la torcia a Rickard. Florian era priva d'elmo. La pelle della gola era abrasa e il sangue le sporcava i capelli sopra l'orecchio destro. Ash si tolse i guanti e toccò il pezzo di stoffa appoggiato sulla massa sanguinolenta. Qualcosa cedette sotto le dita e la donna emise un lamento. «Cosa è stato?» «Una di quelle cose!» grido Dickon de Vere, pallido in volto. «George è morto. Il visconte di Beaumont è stato sbalzato dalla sella, mio fratello il conte di Oxford ci ha tirati fuori. Quella cosa l'ha colpita attraverso l'elmo!» «Merda!» Falla riposare tranquilla per settimane o mesi curata dai preti e potrebbe riprendersi, pensò. Qua, su una collina in mezzo a una battaglia non ha speranze. Thomas Rochester li raggiunse portando una seconda torcia. La voce di Anselm tuonava nell'oscurità. «Mantenete le posizioni!» sbraitava John de Vere.
Un fremito nell'aria mise in allarme Ash che si buttò contro Floria per ripararla e dopo un attimo le frecce piovvero intorno a loro. «Bisogna portarla al riparo!» «Non c'è nessun altro posto!» urlò Richard Faversham per farsi udire sopra il clangore metallico delle lame. «Questo è quanto abbiamo di meglio!» «Sta morendo!» Dickon de Vere cadde in ginocchio piangendo. «È la fine di tutto, madame.» «Figlio di puttana!» Un urlo roco echeggiò vicino ad Ash che scattò in piedi e menò un fendente alla forma scura che si era materializzata in cima al muro. L'uomo cadde su Richard Faversham con quattro quadrelli che spuntavano dalla schiena. Una figura in armatura apparve dall'altro lato del muro. Il faris si avvicinò a loro spada alla mano. «Siamo rimasti in pochi e ci sono troppi golem. Ne abbiamo distrutti tre con i quadrelli, ma non possiamo resistere contro di loro armati di sole spade...» La vista del corpo di Florian la paralizzò. «Bocca di Dio! È morta?» «Sta morendo, madame» precisò Richard Faversham. Il faris alzò la spada. Ash si limitò ad osservarla e si tese involontariamente appena il filo della spada si stagliò contro il bordo della ventaglia. La punta affilata come un rasoio aumentava di dimensioni nel suo campo visivo. «Non è il momento per dispiacersi» disse la donna visigota portando la spada oltre la testa con entrambe le mani. Uno scoppio secco echeggiò nell'aria. La spada del faris calò su Ash mancandola di un pelo e la donna visigota crollò sulla schiena urlando e contorcendosi, mentre la gemella la fissava a bocca aperta. «Niente da fare!» disse Antonio Angelotti stringendo tra le mani l'archibugio ancora fumante. L'odore della miccia a combustione lenta appestava l'aria. L'artigliere avanzò e fissò l'ammasso di carne, ossa rotte e cartilagine che fino a un attimo prima era stato il ginocchio destro della donna. «Cazzo. Ho cercato di beccarla alla schiena. Fai quello che devi fare, Madonna, ma fallo adesso!» «Cosa?» chiese Ash. Le urla del faris coprivano il baccano prodotto dalla battaglia e il suono della sua voce. «Madonna.» Angelotti si mise tra Dickon de Vere, Rickard e Thomas Rochester e le prese una mano. «Adesso le Macchine Impazzite ti costringeranno. Penso che ti abbiano già parlato. Hai qualcosa che serve loro.
Farai qualcosa per loro. Fallo!» Ash era a malapena consapevole di Richard Faversham che cullava il corpo di Floria contro il petto robusto e del soldato che stava tagliando con la daga le fibbie che chiudevano lo schiniere della gamba ferita del faris. Non saprò mai se in questo momento Florian avrebbe ordinato di uccidermi, pensò Ash, quindi si allontanò da Angelotti, si inginocchiò e toccò i capelli dorati della donna. «Questa...» disse la voce chiara di Angelotti alle sue spalle «è il faris. Pensava di essere lei l'arma delle Macchine Impazzite, ma dal momento che ha scoperto che eri tu quella controllabile e che non potevi fermare tutto questo... allora è stata abbastanza saggia da cercare di ucciderti. Tu hai qualcosa da fare.» Ash si girò e vide che l'artigliere aveva appena terminato di caricare l'archibugio. Rickard osservava la scena pallido in volto. Rochester urlava ordini agli uomini della scorta e Dickon de Vere annuiva. «Fallo» ripeté l'Italiano «o finirò quello che ha iniziato il faris. Ho visto le Macchine Impazzite a Cartagine, Madonna. E sono abbastanza spaventato da ucciderti.» Un'ondata di pressione la fece barcollare mentre si allontanava da Floria per affrontare l'artigliere. La polvere nera ricopriva il volto di Angelotti che era striato dalle lacrime. L'Italiano si mordeva le labbra e si era posizionato a circa tre metri da lei... se l'avesse mancata con l'archibugio avrebbe avuto sempre tempo di estrarre il coltello. È sèrio, pensò Ash, e ha ragione. Ash sorrise. «Sì, c'è qualcosa che posso fare, ma non me n'ero resa conto fino a questo momento. Sei un uomo persuasivo, Angeli.» «Sono un uomo spaventato» ripeté deciso l'Italiano. «Se morirai adesso avremo ancora una speranza di distruggere le Macchine Impazzite. Guadagneremmo tempo. Cosa puoi fare, Madonna? Puoi resistere alla loro forza?» «Mi controllano e non posso fermarle, non posso fare nulla a riguardo. Posso solo parlare con loro.» Si avvicinò all'altare circondato dalla vegetazione. La torcia illuminava i leoni di pietra che sostenevano il piano e il Cinghiale sotto l'Albero del pannello centrale. Ash si inginocchiò nella neve calpestata. «Perché ci fate tutto questo?» domandò ad alta voce. «PERCHÉ COSÌ DEVE ESSERE. NOI LO SAPPIAMO DA PIÙ
TEMPO DI QUELLO CHE IMMAGINI.» Ash si sentì pervadere da un'ondata di dolore, che, sconvolta, si rese conto non essere il suo. Non era umano. Era oscuro, implacabile. «Perché così deve essere?» «NON ABBIAMO SCELTA. ABBIAMO LAVORATO PER EONI PER GIUNGERE A QUESTO. QUESTO È L'UNICO MODO.» «Giusto. Giusto. Solo perché volete spazzarci via» disse Ash. Il tono era ironico, nonostante le lacrime dagli occhi. Sentì Antonio Angelotti che la teneva per la corazza. «È una brutta guerra, ecco tutto e voi volete spazzarci via.» «SÌ.» Sentiva la pressione che non accennava a diminuire. «Perché?» «COSA RAPPRESENTA TUTTO QUESTO PER TE, PICCOLA OMBRA?» «Voi volete spazzare via tutto» disse Ash. «Tutto. Come se niente fosse mai esistito, è così che avete detto. Come se ci foste state solo voi dall'inizio del tempo.» «CI SONO PIÙ FATTORI IN GIOCO DI QUELLI CHE PUOI SAPERE. È GIUNTO IL MOMENTO. LA BORGOGNA MUORE. È...» «Voglio sapere.» Ash ascoltò. Un fremito le scosse il corpo facendola cadere a terra e lei sentì il sapore metallico del sangue in bocca e si rese conta che non era trattenuta. «CI DISPIACE PER VOI» dichiararono le voci delle Macchine Impazzite. «MA ABBIAMO VISTO QUELLO CHE DIVENTERETE.» «Cosa?» affermò Ash. «SIAMO CRESCIUTE PER CINQUEMILA ANNI. MENTI CHE INCOMINCIAVANO A BRILLARE NELL'OSCURITÀ. AVVERTIMMO LA VOSTRA DEBOLE FORZA DEDUCENDO QUELLO CHE POTEVAMO. CON L'AVVENTO DI GUNDOBAD ABBIAMO COMINCIATO AD APPRENDERE COSA FOSSE IL MONDO...» «Ci credo» borbottò Ash con la bocca piena di sangue e neve. Sapeva che Angelotti incombeva sopra di lei con il coltello pronto all'uso e che i nemici si avvicinavano sempre di più alla cappella. Ogni suo muscolo era teso a causa del combattimento intorno a lei e le voci continuavano a tuonare nella sua mente. «ABBIAMO COMUNICATO PER SECOLI E OSSERVATO PER UN
TEMPO MAGGIORE, POI ABBIAMO CALCOLATO...» «PIÙ RAPIDE DEL PENSIERO, PIÙ RAPIDE DI QUALSIASI MENTE UMANA...» «E PER SECOLI E SECOLI...» «ABBIAMO CALCOLATO QUELLO CHE DIVENTERETE» «DIVENTERETE DEMONI» dichiararono all'unisono. «Ho visto quello che succede in guerra e so quello che ho fatto» dichiarò Ash in tono piatto, inginocchiandosi. «Non credo di aver bisogno di credere nei demoni dopo che ho visto quello che hanno fatto gli uomini... e quello che ho fatto io. Questo, tuttavia, non vi da il diritto di spazzarci via!» «QUELLO CHE AVETE FATTO È NIENTE. TUTTE LE ATROCITÀ DELLA GUERRA COMMESSE NEL CORSO DEI SECOLI, SONO NULLA IN CONFRONTO A QUELLO CHE DIVENTERETE.» Ash trattenne le lacrime e fu pervasa da un'ilarità isterica. Sto discutendo con i demoni alla fine del mondo. Discutendo! Merda. «Produrremo armi peggiori, forse...» disse. «CAMBIERETE IL MONDO» si lamentarono le voci. «GUNDOBAD. TU. OGNI UOMO HA IL SUO FARDELLO DI GRAZIA. SÌ, NOI STESSI ABBIAMO ALLEVATO LA RAZZA CHE POI HA PRODOTTO TE, MA NOI ABBIAMO SOLO FATTO QUELLO CHE LA TUA RAZZA FARÀ TRA QUALCHE TEMPO. CI SARANNO MOLTE ASH NEL FUTURO.» «Non capisco» rispose Ash, sforzandosi. «TU SEI STATA CONCEPITA PER ESSERE UN'ARMA. UN'ARMA ABBASTANZA POTENTE DA RENDERE IRREALE QUESTO MONDO. NOI ABBIAMO PREVISTO CHE VERRANNO CREATE MOLTE ALTRE COME TE. È INEVITABILE E TALI ARMI VERRANNO USATE FINCHÉ NON CI SARÀ PIÙ NULLA DI SOLIDO. NOI SMETTEREMO DI ESISTERE. LE DIVERSE FORME DI VITA DEL MONDO CESSARANNO DI ESISTERE. I FAUTORI DI MIRACOLI PIEGHERANNO IL TESSUTO DELL'UNIVERSO TANTE DI QUELLE VOLTE FINO AL PUNTO DI SFALDARLO. CAMBIERANNO LORO STESSI. NON CI SARÀ PIÙ NULLA DI REALE; SOLO UN MIRACOLO DIETRO L'ALTRO, UN CAMBIAMENTO CONTINUO, UN FLUSSO INFINITO E CAOTICO.» «Altri fautori di miracoli...» ripeté Ash, fredda come la terra sulla quale si era inginocchiata.
«ALLA FINE DIVERRETE TUTTI FAUTORI DI MIRACOLI. VI GENERERETE DA SOLI. ABBIAMO RIPETUTO LA SIMULAZIONE MILIONI E MILIONI DI VOLTE: NON C'È DUBBIO SU QUELLO CHE DIVERRETE. L'UNICO MODO PER IMPEDIRE CHE ACCADA È QUELLO DI SPAZZARE VIA L'UMANITÀ. FARE COME SE NON FOSSE MAI ESISTITA IN MODO CHE TUTTO L'UNIVERSO POSSA RIMANERE INTEGRO E COERENTE.» VII Le informazioni fluirono nella sua mente in maniera tanto rapida che la comprensione non era assolutamente di tipo verbale: era il rendersi conto di un mondo che poteva fluttuare, scivolare, mutare e modellarsi in realtà diverse e multiple nessuna delle quali più stabile della precedente. Tutto questo sarebbe andato avanti finché la matrice primigenia non fosse andata perduta, le strutture sarebbero state destrutturate e ogni forma di geometria e simmetria perduta. Non ci sarebbe stata più nessuna mente con un 'io' continuo, che non avrebbe potuto essere cambiata da un amico o un nemico in un momentaneo impulso di disperazione. «È per questo motivo che volete distruggerci? È per questo?» «TU SEI L'ARMA E TI USEREMO PER INCANALARE L'ENERGIA DEL SOLE.» «TI DAREMO TUTTE LE POSSIBILITÀ E TUTTE LE PROBABILITÀ CHE SONO ESISTITE...» «FARAI SPARIRE IN MANIERA DEFINITIVA LA TUA STESSA GENTE. LI RENDERAI DIVERSI, IMPOSSIBILI. SMETTERANNO DI ESISTERE...» «FARAI COLLASSARE LA NASCITA DELLA TUA SPECIE NEL CAMPO DELL'IMPOSSIBILE...» «SARAI TU A FAR SEMBRARE COME SE L'UMANITÀ NON SIA MAI ESISTITA.» Ash fu compenetrata da una forma di conoscenza che non voleva. «Pensavo che voleste spazzarci via perché volevate rimanere gli unici!» «SE LA VOSTRA SPECIE SOPRAVVIVERÀ, ALLORA TUTTO IL RESTO MORIRÀ... ANZI, SUCCEDERÀ QUALCOSA DI PEGGIORE DELLA MORTE. TUTTO CAMBIERÀ IN CONTINUAZIONE DIVENTANDO IRRICONOSCIBILE.» «Io pensavo...»
Le urla del mondo esterno penetrarono il guscio nel quale si era avvolta. Aprì gli occhi e vide le gambe di uomini che correvano intorno a lei. Udì ordini urlati e avvertì il puzzo dell'urina... la neve, il fango, un urlo... Un uomo le cadde a fianco. Era Angelotti. L'artigliere italiano si stava stringendo la coscia per cercare di fermare il fiotto di sangue arterioso che fuoriusciva dalla ferita con un arco perfetto. «Merda!» imprecò Ash, cercando di prendere Angelotti e aiutarlo a tamponare la ferita. «NON VORRESTI MAI VEDERE LE GUERRE DEI MIRACOLI, PICCOLO GUERRIERO.» «Non voglio più vedere nessuna guerra!» Premette tutto il peso del corpo sulla ferita. Antonio Angelotti la fissava sconvolto. Richard Faversham cominciò a bendare la ferita, ma gli stracci si inzupparono immediatamente di sangue. Che gli abbiano reciso l'arteria femorale? si chiese Ash. Forse è solo un muscolo tagliato fino allo scroto? Ma tutto questo sangue che esce così rapido... «TI DAREMO IL DONO CHE POSSIAMO CONCEDERTI, MA TU DEVI MORIRE IN QUESTO SCAMBIO. TUTTAVIA TI DAREMO IL POTERE DEI NOSTRI CALCOLI E SARAI IN GRADO DI COSTRUIRE UN NUOVO PASSATO PER TE STESSA.» «Ma io smetterò di esistere!» Stava continuando a fissare Angelotti e ammorbidì l'espressione del volto. «Volete che tutti noi spariamo, ecco in cosa consiste il vostro cambiamento!» «TU DEVI ESISTERE PER COMPIERE IL MIRACOLO.» Le voci nella sua testa assunsero un tono più dolce. «CI DEVE ESSERE UNA STORIA UMANA ALTRIMENTI TU NON SARESTI MAI NATA PER ARRIVARE A COMPIERE TUTTO QUESTO. DIVENTERÀ TUTTO UNA STORIA FANTASMA, TUTTA LA TUA RAZZA SCOMPARIRÀ DIVENTANDO IMPOSSIBILE, TUTTAVIA... QUELLA STORIA FANTASMA POTREBBE ESSERE TUTTO CIÒ CHE SCEGLIERAI.» «Non capisco!» «TI CONFERIREMO IL POTERE DI SCEGLIERE UN NUOVO PASSATO FANTASMA NEL MOMENTO STESSO IN CUI COMPIRAI IL MIRACOLO. AGGIUSTERAI LE COSE CHE SONO STATE: CREERAI UN NUOVO PASSATO. TU MORIRAI IN QUELL'ISTANTE, MA AVRAI VISSUTO UNA VITA DIVERSA. ILLUSORIA: SEMPLICEMENTE PROBABILE, MA POTREBBE... LO SPERIAMO... PORTAR-
TI UN ISTANTE DI PACE, PRIMA CHE CESSI LA TUA ESISTENZA.» Ash avvertiva una pressione crescente all'altezza del petto. La mattina del 5 gennaio 1477 era buia come la notte. Gli uomini urlavano e morivano nell'oscurità. Il freddo era pungente. La pressione aumentava sempre di più e Ash si tolse l'elmo stringendosi la testa tra le mani. «TUTTO CIÒ DI CUI ABBIAMO BISOGNO SEI TU, LA NOSTRA ARMA. IL FRUTTO DEL NOSTRO ALLEVAMENTO. NON C'È NULLA DELLA TUA VITA DI GUERRIERO CHE PUÒ SERVIRCI. ABBIAMO ASCOLTATO I PENSIERI DELLA MENTE CHE SI TROVÒ INTRAPPOLATA ALL'INTERNO DELLA MACHINA REI MILITARIS!, IL TUO 'GODFREY MAXIMILLIAN'. ABBIAMO IMPARATO A CONOSCERTI ATTRAVERSO DI LUI. QUANDO COMPIRAI IL MIRACOLO E CAMBIERAI IL MONDO POTRAI CREARTI UN PASSATO NEL QUALE HAI AVUTO DEI GENITORI AFFETTUOSI E UNA FAMIGLIA CHE SI È PRESA CURA DI TE. UN PASSATO NEL QUALE NON C'È STATO NESSUN ABBANDONO... PER NOI NON FA ALCUNA DIFFERENZA PERCHÉ SARAI COMUNQUE IN GRADO DI FARE CIÒ CHE DEVI.» La pressione al petto era solo un ricordo. Le grosse mani di un uomo la premevano a terra. Le ginocchia di un adulto che le allargavano le gambe. Un dolore lacerante che veniva dall'interno: i genitali di una bambina lacerati. «Non una seconda volta. Non a me. Non una seconda volta...» disse con le lacrime agli occhi. «ABBIAMO PENSATO CHE SAREBBE STATO GENTILE. SARESTI NATA DA PERSONE CHE SI PREOCCUPAVANO PER TE. SUCCEDE SPESSO TRA I MEMBRI DELLA TUA SPECIE. TU POTRAI CAMBIARE TUTTE QUESTE COSE CON IL TUO VOLERE. PUOI CANCELLARE LO STUPRO, LA FAME, LA PAURA... COSÌ QUANDO MORIRAI LO FARAI SAPENDO COS'È L'AMORE.» Antonio Angelotti sospirò sotto le mani di Ash. Era morto. Ash allungò una mano e gli chiuse gli occhi e un attimo dopo sentì l'ano e la vescica che si rilassavano. Faversham intonò una benedizione tremante, appena udibile sopra le urla. «Non cambierò nulla» disse Ash. Provava dolore, confusione e dispiacere, un po' per se stessa, ma soprattutto per gli altri.
«Qualunque cosa sono» dichiarò «qualsiasi cosa mi sia successa, questo è ciò che sono. Non lo cambierò, non certo per una amore-fantasma. Io ho...» Carezzò i capelli di Angelotti. «Io ho ricevuto amore.» Si alzò e arretrò lasciando a Richard Faversham il compito di ungere la fronte del morto. Il vento freddo le asciugava le lacrime, ma questa volta non cercò di allontanare il dolore e fissò le luci confuse delle torce che illuminavano i suoi uomini intenti a combattere contro le macchine da guerra in granito. Robert Anselm calò un'ascia su una gamba di pietra sollevando una pioggia di schegge. Ludmilla Rostovnaya lasciò cadere a terra l'arco e mise mano al coltello. John Burren e Giovanni Petro si misero al suo fianco, spalla contro spalla. Confusione, oscurità e i golem dagli occhi ciechi che avanzavano. Ash tornò con calma verso l'altare dove Richard Faversham stringeva Floria del Guiz tra le braccia. Rickard la seguì. «NEL FUTURO CHE ABBIAMO CALCOLATO, TUTTO CAMBIERÀ. NON CI SARÀ PIÙ UN IO SUL QUALE POTRAI CONTARE, NESSUNA IDENTITÀ CHE DURI PIÙ DI UN GIORNO E VOI PROPAGHERETE QUESTO CAOS A UN UNIVERSO TANTO VASTO CHE NON SIETE NEANCHE IN GRADO DI CONCEPIRE.» «Arrivano!» Ash poteva solo vedere un gruppo di uomini che combattevano. Due o tre ronconieri arretrarono barcollando verso la cappella. Un cavallo dei giannizzeri privo di cavaliere giaceva a terra con una zampa spezzata. «Ash!» Rickard la stava tirando e lei cominciò alzarsi dalla neve. Una dozzina di uomini la superarono e scomparvero nell'oscurità. «Un Leone!» Il grido di battaglia terminò in un urlo. Ash si mise in piedi accompagnata dallo sferragliare dell'armatura e si girò in cerca dello stendardo. In un secondo vide la bandiera che cadeva, Rickard che portava le mani alla testa e Ned Mowlett che uccideva un lanciere visigoto buttandolo poi oltre il bordo del muro. La bandiera del Leone Azzurro cadde nella neve. Ash vide un moncone frastagliato spuntare dall'elmo di Rickard. La punta della lancia aveva colpito l'elmo e l'impatto aveva spezzato l'asta. Un nugolo di schegge di legno taglienti come rasoi si erano infilate nell'apertura degli occhi.
Il sangue che sgorgava dalla ferita anneriva il legno. Le mani di Rickard artigliavano il metallo. Cadde di schiena, urlò e rimase immobile. «Rickard!» Ash abbassò gli occhi. «Sì... se potessi cambierei tutto questo. Tornerei indietro per cancellare tutto... la gente lo farebbe. Avete ragione. La gente userebbe la grazia di Dio per qualsiasi scopo riterrebbe lecito. Se un miracolo può riportare qualcuno indietro dalla morte...» «A QUESTO PUNTO NON CI SAREBBE PIÙ FINE AI CAMBIAMENTI.» «No.» Ash sentiva freddo non solo nel corpo, ma anche nell'anima: un freddo più tagliente dell'oscurità e del massacro che la circondavano. La luce delle torce illuminava la seta gialla e un leone azzurro. Thomas Rochester sollevò di nuovo la bandiera. L'Inglese aveva il volto che sanguinava. Ash tornò da Floria. Richard Faversham era scomparso. «È GIUNTO IL MOMENTO.» Il massacro, l'oscurità, la rivelazione di quanto sarebbe successo in futuro e il dolore ottennero il solo effetto di renderla insensibile. Era buio. Si inginocchiò goffamente vicino a Floria che respirava a stento. «Perché cambiare tutto?» chiese disperata. «Perché...» prese la mano di Floria e notò un altro corpo nelle vicinanze, forse era quello del faris... o forse quello di un altro uomo. Anselm resisterà, pensò, e de Vere vincerà. Forse no. Non ci posso fare nulla... La sua mente cominciò a lavorare febbrilmente come le succedeva ogni volta che si trovava in una situazione disperata; quella era una delle caratteristiche che le permettevano di essere quello che era. «Perché cambiare tutto? Perché, invece, non limitarsi a cambiare solo una cosa?» domandò Ash. «Perché non asportare quello che mi rende un fautore di miracoli? Asportatelo a tutti noi. Lasciateci essere quello che siamo, ma senza quella caratteristica.» «CI ABBIAMO PENSATO, TUTTAVIA UN GIORNO O L'ALTRO POTREBBE PRESENTARSI UNA MUTAZIONE SPONTANEA, O, CON IL PASSARE DEI SECOLI POTRESTE ARRIVARE AL PUNTO DI IDEARE UNA MACCHINA IN GRADO DI COMPIERE MIRACOLI. A QUEL PUNTO COSA POTREMMO FARE PER FERMARVI? TU SARAI MORTA E NON CI SARANNO PIÙ FAUTORI DI MIRACOLI.
NOI SIAMO SOLO PIETRA... PIETRA PRIVA DI VOCE, PENSANTE E IMMOBILE.» «Non è necessario che ci spazziate via...» «NOI ABBIAMO CREATO UN'ARMA E QUANDO TI AVREMO USATA, ASH, NON POTREMO PIÙ USARE NESSUN'ALTRA ARMA PERCHÉ LA TUA RAZZA AVRÀ CESSATO DI ESISTERE. DOBBIAMO FARE CIÒ CHE CI ERAVAMO PREFISSATE E FARLO ADESSO. NON PROVIAMO NESSUN ODIO PER VOI. IL NOSTRO ODIO È RIVOLTO SOLAMENTE A QUELLO CHE LA VOSTRA SPECIE FARÀ... E LO FARÀ SICURAMENTE. NOI LO IMPEDIREMO, ADESSO. PERDONACI.» «Farò qualcosa» borbottò Ash. La sua mente cercava una soluzione. Sentiva il sangue che scorreva rapido nelle vene e la pressione esercitata su di lei. Qualcosa cominciò a muoversi nel profondo della sua anima. Sentì la mente che si espandeva e capiva quanto fosse immensa l'intelligenza che si stava fondendo con lei. Percepì un vastissimo potere cognitivo. «Posso farlo» dichiarò Ash, spavalda. «Ascoltate. Posso far sparire i fautori di miracoli dalla storia. Eliminare la capacità innata degli uomini di compiere miracoli adesso e nel passato. Posso eliminare la capacità. Potete immagazzinare nelle vostre menti tutta la storia dell'uomo per me... tutto il passato... e io posso farlo.» Stava stringendo Florian tra le braccia. «Ma prima deve morire Floria» si rese conto prima ancora che le voci delle Macchine Impazzite tornassero a parlare. «DISPIACE ANCHE A NOI.» «No» disse Ash. «NON PUOI NEGARTI A NOI» risposero confuse le voci inumane. «Non avete capito» spiegò Ash. «Io non perdo!» La mattina del 5 gennaio 1477 era buia come una mezzanotte senza luna. Forse ci vuole ancora mezz'ora prima che le truppe di Federico d'Asburgo passino all'attacco, pensò Ash. Continueranno a combattere anche con questo buio innaturale? Uomini che strepitano ordini contradditori e tutto il resto, oppure useranno i golem e basta? «Io non perdo» ripeté Ash. «Voi mi avete creata in questo modo e, anche se non ve ne rendete conto, avevate bisogno che fossi una combattente. Io sono in grado di prendere la decisione di sacrificare altre persone. Fa parte del mio lavoro, ma lo faccio per scelta e solo quando è necessario.»
«NON HAI SCELTA.» «Non mi sono mai piaciute le città» disse una voce debole. «Luoghi sporchi e insalubri. Ho un versamento?» Florian aveva aperto gli occhi, ma non sembrava fissare un punto in particolare. Le labbra si muovevano appena. «Qualcuno... dovrebbe ucciderti, se lo ordino.» «Non lo farai» rispose Ash, lasciando che il peso della donna sulle ginocchia la tenesse stabile. «Certo che lo farò. Non capisci che ti amo stupida ragazza? Ma sono pronta a farlo se non rimangono altre opzioni.» Ash posò una mano sulla guancia di Floria. «Tu non morirai e io non perderò.» L'urlo di trionfo e di dolore lanciato dalle Macchine Impazzite echeggiò nella sua testa. Ash avvertì il potere che stava per raggiungere l'apice muovendosi al limitare della parte conscia della sua anima. «Posso trovare un modo per sopravvivere e vincere anche in una situazione priva di speranza» dichiarò, sorridendo. «Cosa credete che abbia fatto per tutta la vita?» «COME SOLDATO.» «Da molto prima...» Toccò la fronte di Floria che rabbrividì a causa del dolore. Il sangue aveva impiastricciato i capelli biondi e Ash poteva sentire il cranio che si gonfiava sotto le dita. Dovrebbe stare in uno degli ospedali o nell'abbazia. «Da molto prima di voi, anche» disse, fingendosi allegra. «Avanti. Resisti. Brava ragazza. Quando sono stata stuprata. Quando gli uomini del Grifone d'Oro furono tutti impiccati perché erano la guarnigione sconfitta. Quando Guillaume se n'è andato. Quando mi prostituivo per mangiare. Poi, ancora. Resisti.» «STA MORENDO. LA BORGOGNA È FINITA.» «Non abbiamo tempo. Non discutete.» Ash fece scivolare una mano sotto il farsetto della donna che teneva sulle ginocchia. Il battito cardiaco era debole e la pelle si stava freddando. «Ho visto ferite peggiori di questa.» «RESPIRA ANCORA...» «IL CUORE LE BATTE ANCORA...» La pressione nella testa era insopportabile. «Compirò un miracolo... il mio, però... non il vostro.» «NO...» Intorno a lei gli uomini si massacravano preda del panico e della furia
incontrollata. La luce di una torcia morente le permise di scorgere John Burren che cadeva faccia in avanti e Robert Anselm che reggeva lo stendardo. Il freddo intirizziva le dita di Ash, il viso e il corpo. Lo scontro continuava. «NON LO FARAI...» Ash sentiva il loro potere e cominciò ad attingervi sfruttando quella parte della sua anima con la quale le Macchine Impazzite comunicavano con lei. Esse cercarono di resistere e lei sentì quelle menti immense che si ritraevano. «Adesso!» ringhiò Ash. «Non riuscite a capire, ho bisogno che lei viva per compiere il mio miracolo. Lei è la Borgogna.» «NON SERVIRÀ A NULLA» protestarono le Macchine Impazzite. «A CHE SCOPO RIMUOVERE IL POTERE DI FARE I MIRACOLI E LASCIARE CHE LA VOSTRA RAZZA ESISTA? TORNERÀ E NOI COME POTREMO FERMARLO?» Ash avvertì la storia, il passato e il ricordo che prendevano forme differenti e fu preda di una grande desiderio, una sorta di fame, ma non per il futuro, per la sua stessa realtà. «Voi avete bisogno della natura stessa della Borgogna per evitare che si verifichino i miracoli.» Ash rimase distaccata dal mondo che si dipanò fuori e dentro la sua testa: le Macchine Impazzite le misero di fronte il frutto di cinquemila anni di calcoli atti a descrivere il passato e il presente e, nel cuore di quella rappresentazione e più velocemente di quello che lei poteva comprendere, ebbero inizio nuovi calcoli. Aprì il colletto del farsetto Floria posando una mano sulla pelle calda. Si leccò l'altra mano incurante dello sporco e la mise di fronte al naso della duchessa avvertendo un debolissimo respiro. «Voi avete bisogno che la Borgogna diventi eterna.» Sentiva la neve e il fango sotto le ginocchia. Il sangue le macchiava i pantaloni e gli stivali. Il vento era abbastanza gelido da farle lacrimare gli occhi accecandola. Le ultime torce si spensero. Alzò la testa e vide delle pozze di Fuoco Greco ardere nella neve e un golem che avanzava con passo sicuro, lanciafiamme alla mano. Sentì un urlo attutito dal passaggio attraverso un elmo. Un uomo in armatura completa e insegne del Leone calò il martello sull'avambraccio del golem spezzandolo. Una fiammata scaturì dall'ugello investendo il torso in granito della creatura.
«Un Leone!» gridò la voce familiare di Robert Anselm. Ash aprì la bocca per urlare. Il golem ondeggiò il braccio spezzato spedendo Robert Anselm con la faccia nella neve. Un attimo dopo il serbatoio sulle spalle dell'automa di pietra prese fuoco avvolgendolo in una sfera di fiamme azzurre e bianche. La luce le permise di vedere la linea irregolare di uomini schierata fuori della cappella in rovina, le sagome degli archi e dei ronconi, lo stendardo del Leone, l'aquila di Federico e la massa di uomini e macchine di pietra. «Avanti, fatevi un giro» gridò una voce maschile roca, contornata da un coro di risate. «Pensate di essere abbastanza duri!» Le mura crollate creavano una serie di ombre nette oltre le quali c'era solo il buio. Gli uomini urlavano scambiandosi battute ciniche senza smettere di combattere. «Un Leone!» continuava a incitare Anselm, urlando. Ash si sentì sfiorare da un soffio caldo, ma non girò la testa e vide con la coda dell'occhio una grossa zampa dotata d'artigli che si posava sulla pietra. Non sentiva più la pulsazione del cuore di Florian, ma la pelle era ancora calda. Ash chiuse gli occhi di fronte alla maestà della Bestia Araldica che la grazia di Dio, come poteva essere intesa dagli uomini e le donne del Leone Azzurro, avevano indotto a uscire dall'oscurità. «Adesso.» Ash attinse al potere delle Macchine Impazzite, al potere celato nel nucleo dorato del sole e sentì che era cominciato un cambiamento ormai incontrovertibile. «Non perdo» disse, stringendo Floria. «O, se succede... cerco di salvare il maggior numero di vite possibile.» In quel momento ebbe luogo il cambiamento. Ash divenne consapevole del peso di Floria e solo allora aprì di nuovo gli occhi e vide la neve calpestata, il vecchio altare abbandonato, i muri coperti di neve e qualcosa di familiare: una foresta più giovane in una valle diversa, finestre intatte e non c'era l'agrifoglio. Ebbe ancora il tempo di sorridere. Fortuna, pensò. Solo fortuna. Sentì l'immenso potete raziocinante delle Macchine Impazzite fluire, avvolgerla e diventare uno strumento che lei poteva comandare. Poteva calcolare con precisione chirurgica cosa doveva diventare improbabile, cosa rendere reale e cosa rendere solo potenziale.
«Non deludermi proprio adesso» Strinse le mani di Floria toccando così l'incarnazione della Borgogna. «Avanti ragazza!» Poi, rivolta all'oscurità disse: «Andiamo... in un posto sicuro.» Si chiese per un attimo se i preti che possedevano la grazia di Dio sentivano quello che sentiva lei in quel momento. Un amore infinito per il mondo incurante della sua amarezza, del dolore e della brutalità. Amore per se stessa. La volontà e il desiderio di proteggere. «Fallo!» ordinò con il tono di voce autoritario al quale tutti ubbidivano. Ash spostò la Borgogna.
Trascrizione dei nastri riguardanti la conversazione tra il professor Davies, il signor Davies, il dottor Ratcliff e la signorina Longman. Trascrizione datata il 14/01/2001 Luogo non specificato. Sfx specificati, camera d'ospedale. Il videotape non è disponibile. Omissioni alla trascrizione originale. NASTRO OSSERVATIVO Permesso No. [sibilo del nastro: rumore di un interruttore elettrico] WILLIAM DAVIES: [...incomprensibile...] un uomo affetto da epilessia fotosensibile non dovrebbe guardare la televisione. VAUGHAN DAVIES: Hai ragione, tuttavia un uomo che è del tutto ignaro di quello che è successo negli ultimi sessant'anni deve farlo. Pensavo che i gusti popolari nel 1939 fossero veramente squallidi, ma non era nulla in confronto a quanto vedo. PIERCE RATCLIFF: Se non le dispiace vorrei presentarmi, sono il dottor Ratcliff... [incomprensibile: rumori di fondo della stanza] VAUGHAN DAVIES: Lei è Ratcliff. Sì. Se mi permette devo dirle che ci ha messo molto prima di venirmi a trovare. Da quanto ho letto delle sue precedenti pubblicazioni, deduco che lei possiede una mente in grado di produrre ragionamenti di un certo rigore. Posso sperare che abbia trattato il mio lavoro con l'intelligenza che necessita? PIERCE RATCLIFF: Lo spero. VAUGHAN DAVIES: Tutti gli uomini vivono sperando, dottor Ratcliff. Credo che berrò un tè. Potrei averne uno, mia cara? ANNA LONGMAN: Chiederò all'infermiera se può prepararlo. VAUGHAN DAVIES: William, forse tu... WILLIAM DAVIES: Fate come se non ci fossi. Sto bene qua. VAUGHAN DAVIES: Preferirei parlare con il dottor Ratcliff in privato.
[incomprensibile: rumori della stanza, voci fuori] ANNA LONGMAN: [... incomprensibile...] un caffè al bar. Avete bisogno del bastone? WILLIAM DAVIES: Buon Dio, no. Sono solo pochi metri. [incomprensibile: porta che si apre o chiude?] VAUGHAN DAVIES: Ho parlato con quella ragazza, dottor Ratcliff. Forse lei sarebbe così gentile da dirmi dove è stato per gran parte delle ultime tre settimane. PIERCE RATCLIFF: Ragazza? Oh. Anna dice che lei sembrava preoccupato per me. VAUGHAN DAVIES: Risponda alla mia domanda, per favore. PIERCE RATCLIFF: Non ne capisco l'importanza, professor Davies. VAUGHAN DAVIES: Dannazione a lei, giovanotto, vuole rispondere a una domanda che le è stata posta? PIERCE RATCLIFF: Temo di non poterle dire molto. VAUGHAN DAVIES: Si è trovato in pericolo di vita recentemente? PIERCE RATCLIFF: Cosa? VAUGHAN DAVIES: È una domanda serissima, dottor Ratcliff e io le sarei grato se la trattasse come tale. Le spiegherò tutto a tempo debito. PIERCE RATCLIFF: No. VAUGHAN DAVIES: È tornato dalla sua spedizione archeologica... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Non era la mia. Era di Isobel. Il dottor Napier-Grant. VAUGHAN DAVIES: Tutte queste donne. Sembra che siamo degenerati molto negli ultimi anni. Comunque: lei è tornato dal Nord Africa e si è trovato in qualche situazione pericolosa? Ha subito un qualsivoglia tipo d'incidente? PIERCE RATCLIFF: Se così è stato, io non me ne sono reso conto. Non la capisco, professor Davies. VAUGHAN DAVIES: La ragazza mi ha detto che lei ha letto il manoscritto di Sible Hedingham. Questa è una traduzione alquanto stravagante del suo lavoro. PIERCE RATCLIFF: Sì. VAUGHAN DAVIES: Allora anche la più povera delle intelligenze
sarebbe in grado di capire cosa è successo! Lei si chiede come mai dimostro preoccupazione per un collega? PIERCE RATCLIFF: Francamente, professor Davies, lei non mi sembra un uomo che si preoccupi molto dei suoi simili. VAUGHAN DAVIES: No? Forse ha ragione. PIERCE RATCLIFF: Il motivo per il quale non sono venuto prima da lei, è che sono stato interrogato... VAUGHAN DAVIES [interrompe]: Da chi? PIERCE RATCLIFF: Non penso che al momento sia saggio inoltrarsi ulteriormente in tale questione. VAUGHAN DAVIES: È possibile che un membro della spedizione archeologica abbia avuto un incidente? Un incidente d'auto o qualcosa di simile? PIERCE RATCLIFF: Un membro della spedizione di Isobel? No, lei me lo avrebbe detto. Non vedo cosa tutto questo abbia a che fare con il manoscritto di Sible Hedingham. VAUGHAN DAVIES: Mi sembra che il documento spieghi molto bene quanto ci è successo. PIERCE RATCLIFF: Certo, certo, la frattura nella storia. [...incomprensibile...] questo è quanto ha scritto nell'Appendice alla seconda edizione, sempre che l'abbia scritta lei. VAUGHAN DAVIES: L'ho scritta io, dottor Ratcliff. La tenevo in tasca mentre mi recavo a Londra. Qualsiasi editore intelligente sarebbe andato via da Londra durante i bombardamenti tedeschi, ma non... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Possiamo tornare all'oggetto della mia visita? Lei ha letto il manoscritto di Sible Hedingham, dopodiché ha scritto un'appendice sulla frattura e la 'prima storia'... VAUGHAN DAVIES: [interrompe]: Sì, era chiaro che si trattava di argomenti che dovevano essere pubblicati al più presto. Ero andato così vicino alla verità nel pubblicare la carte riguardanti Ash. Leggendo il manoscritto di Sible Hedingham diventava chiaro che la Borgogna di un tempo era stata rimossa. Portata a un livello di materia che non abbiamo ancora scoperto... un pensiero felice. Forse, però, stiamo cominciando a scoprirlo, vero? PIERCE RATCLIFF: Sì, ci sono scienziati che compiono esperimenti nel campo della fisica delle particelle e con la teoria della probabilità.
VAUGHAN DAVIES: Lei è giunto alle mie stesse conclusioni. Sembra proprio che prima del verificarsi di tale frattura, noi fossimo in grado di fare in maniera consapevole ciò che le altre forme di vita fanno a livello inconscio. PIERCE RATCLIFF: Far collassare l'improbabile e il miracoloso nella realtà. Nel mondo solido. [pausa] Ma la cosa ha sollevato diversi interrogativi in me! È ovvio che l'universo è reale perché lo vediamo, ma l'universo è indeterminato. Dai tempi di Heisenberg sappiamo che a livello subatomico le cose sono piuttosto agitate. Osservare un esperimento può alterarne il risultato. Si può sapere dove si trova una particella o in quale direzione andrà, ma mai le due cose insieme. Tutto ciò non è solido, è il non reale di cui parla il manoscritto... VAUGHAN DAVIES [interruzione]: Sarebbe così gentile da smettere di camminare avanti e indietro? PIERCE RATCLIFF: Mi scusi. Ma capisco: è reale. Il compito della Borgogna è quello di mantenerci consistenti. Ciò che è indeterminato oggi, diventerà allo stesso modo determinato domani! Tutto ciò è prevenuto da una irrealtà incontrollata. Casualità. Potremmo anche avere un'esistenza che non è molto buona, ma almeno è tangibile. VAUGHAN DAVIES: Certo, un tempo noi avevamo la capacità di vanificare coscientemente questa stabilità, questa consistenza. Se guarda il ventesimo secolo, dottor Ratcliff, che ai miei occhi appare come agli occhi di uno straniero... non può certo dire che questo sia il migliore dei mondi possibili. Il genere umano soffre ancora molto, ma è reale. è consistente. La malvagità è limitata il più possibile. C'è molto di cui essere grati! PIERCE RATCLIFF: Poniamo il più ovvio degli esempi. Ci ho pensato a lungo. Pensi a quello che avrebbe fatto Hitler agli ebrei se avesse avuto a sua disposizione un uomo in grado di manipolare il tessuto della realtà. Ora saremmo tutti biondi e ariani e non ci sarebbe stata nessuna razza ebrea. Un olocausto peggiore dell'Olocausto. VAUGHAN DAVIES: Quale Olocausto? [Pausa] PIERCE RATCLIFF: Non ci faccia caso. Ci sarebbero state ricerche militari. Persone allevate per essere usate come armi, proprio come
era successo ad Ash. Già, proprio come a lei. Una bomba di probabilità... peggiore della bomba nucleare. VAUGHAN DAVIES: Nucleare? Bomba nucleare? PIERCE RATCLIFF: Quella... oh: è difficile, è una bomba... che... VAUGHAN DAVIES [interruzione]: Rutherford! Alla fine ce l'ha fatta! PIERCE RATCLIFF: Sì... no... non ci faccia caso. Senta. [Pausa] VAUGHAN DAVIES: Non pensa che sia uno dei paradossi più interessanti? La guerra, che la natura del pensiero organizzato richiede venga fatta, rinforza la natura di una realtà razionale... mentre, allo stesso tempo, la distruzione che causa porta al caos. PIERCE RATCLIFF: È per questo che l'ha capito, giusto? VAUGHAN DAVIES: Ash? Sì, credo di sì. PIERCE RATCLIFF: Vede, io non sono riuscito a capirlo, finché non ho capito che la Borgogna era ancora qua e continuava a fare ciò che aveva sempre fatto. Nel nostro inconscio collettivo la Borgogna è un regno dorato e perduto. Tuttavia, possiede un'esistenza che è scientificamente registrabile e provabile, solo che si trova su un piano di realtà diverso dal quale, però, continua a espletare la sua funzione. VAUGHAN DAVIES: Dottor Ratcliff, è consapevole del perché le cose stanno tornando? PIERCE RATCLIFF: Comprendo come possono essere rimaste indietro alcune cose. Nessun processo è perfetto, l'universo è molto vasto e complesso. Non mi stupirei se fosse rimasto indietro qualcosa dopo quello che hanno fatto Ash e le Macchine Impazzite. La realtà ha un suo peso che comincia a far schizzare fuori le anomalie... le cose tendono a diventare leggendarie, mitiche, romanzesche. VAUGHAN DAVIES: La prova del manoscritto. PIERCE RATCLIFF: Una statua qua, un elmo là. Le parole di Ash messe in bocca a qualcun altro. Questo lo capisco. Ci fu una singola frattura e successe quello che successe e noi vediamo le prove che... scompaiono. VAUGHAN DAVIES: La falsa storia che apparve con la frattura... nella quale, per esempio, Carlo l'Intrepido, non morì durante l'asse-
dio, ma nella battaglia di Nancy, contiene qua e là alcuni brandelli di quella vera. Per esempio, le cronache che la famiglia del Guiz avrebbe scritto dopo il 1477. PIERCE RATCLIFF: Non come se fossero esistite prima della frattura, ma come sarebbero esistite, se la storia avesse seguito il suo primo corso. Prove vecchie di cinquecento anni che scivolano tra gli interstizi della storia. Lo stesso vale per il 'Fraxinus', anche quello avrebbe avuto ragione d'esistere. VAUGHAN DAVIES: Esatto. Questo mi sembra piuttosto chiaro. Mi chiedo, dottor Ratcliff, se apprezzate il significato del manoscritto di Sible Hedingham in questo contesto. PIERCE RATCLIFF: Lei mi ricorda molto il mio vecchio professore, se non la scoccia. Anche lui era solito pormi domande trabocchetto come le sue. VAUGHAN DAVIES: Vuole sapere qual è la cosa più strana per me? Lei mi sta trattando con il rispetto che si pensa sia dovuto a un uomo anziano, ma, nella mia mente, dottor Ratcliff, io continuo a considerarmi molto più giovane di lei. [indistinguibile: rumori del traffico... una finestra aperta? Sibilo del nastro. Pausa prima che ricominci il colloquio] PIERCE RATCLIFF: Il Sible Hedingham è il documento più improbabile. È quanto Ash avrebbe scritto - no, deve averlo dettato a qualcuno - ma dopo il 1477, dopo la frattura. Forse lo lasciò in Inghilterra dopo una visita al conte di Oxford. VAUGHAN DAVIES: Dottor Ratcliff era mia ferma intenzione metterla in guardia e ora lo farò. Ho una spiegazione per il ritorno di determinati oggetti e prove. La mia teoria è che la ricomparsa di questi oggetti alquanto improbabili sia da imputare a una sorta di decadimento della funzione della Borgogna. PIERCE RATCLIFF: Ci avevo pensato anch'io... ma avevo paura... Sì. Eventi improbabili, cose che non sono razionali, prevedibili. Ma... perché tale funzione dovrebbe cominciare a dare segni di cedimento proprio adesso? VAUGHAN DAVIES: Per capire questi avvenimenti dovrebbe capire come la Borgogna perduta espletava la sua funzione. Io sono indietro di sessant'anni rispetto allo sviluppo scientifico corrente, quindi
non sono il più qualificato per enunciare una teoria. Quello che vorrei fare, se me lo permette, è darle un avvertimento. PIERCE RATCLIFF: Certo. Quale? VAUGHAN DAVIES: La causa di tutto quello che mi è successo è il manoscritto di Sible Hedingham. Lo scoprii nel castello di Hedingham negli ultimi mesi del 1938 e sono convintissimo che non sia mai... esistito, se così vogliamo dire... prima di allora. PIERCE RATCLIFF: Un collasso locale del campo di probabilità e un artefatto diventa reale. VAUGHAN DAVIES: Proprio come è successo in Nord Africa, qualche mese fa. PIERCE RATCLIFF: Cartagine. VAUGHAN DAVIES: Stavo completando la seconda edizione del libro a casa di mio fratello e compivo delle ricerche sulla famiglia Oxford per via del legame tra de Vere e Ash. Ho teorizzato che il manoscritto fosse diventato reale, se vuole, poco dopo il mio arrivo. Rubai il manoscr... PIERCE RATCLIFF [interruzione agitato]: Rubato! VAUGHAN DAVIES: Loro non me lo avrebbero mai venduto, né mi avrebbero mai permesso di studiarlo. Cos'altro potevo fare, secondo lei? PIERCE RATCLIFF: Be', io... Lei non doveva... Be'... Non so. VAUGHAN DAVIES: Ho rubato il manoscritto e l'ho letto. Se mi permette il mio latino è leggermente migliore del suo. Scrissi l'Appendice perché ormai il libro era stato mandato in stampa e non era possibile aggiungere il Sible Hedingham e presi un appuntamento con il mio editore di Londra. Avevo già in mente di far pubblicare un'edizione rivista con l'aggiunta del nuovo manoscritto. [Pausa] Rimasi coinvolto in un bombardamento aereo. Una bomba cadde molto vicina. Sarei dovuto morire, invece mi ritrovai irreale. Improbabile. Potenziale. PIERCE RATCLIFF: Cosa c'entra tutto questo con il manoscritto? VAUGHAN DAVIES: È piuttosto semplice, ho teorizzato che il collasso di una probabilità in qualcosa di reale, genera una sorta di campo energetico, una radiazione. Quando qualcosa di molto improbabile diventa reale, allora l'energia irradiata è molto più forte. PIERCE RATCLIFF [interruzione]: Non potrebbe essere una radiazione?
VAUGHAN DAVIES: Sarebbe così gentile da lasciarmi finire? Grazie. Sia quello che sia, un fenomeno subatomico di qualche tipo o una forma d'energia, io vi sono rimasto esposto. Credo che tale fenomeno sia più forte quando l'oggetto è diventato reale da poco. Tale esposizione ha in qualche modo destabilizzato la mia realtà, ma, è ovvio, che quando trovai il manoscritto ero ignaro di tutto ciò. Poi, durante il bombardamento, in un momento in cui il fronte avrebbe dovuto collassare in un evento risolutivo per la mia vita - sarei sopravvissuto o sarei morto - la destabilizzazione si è acutizzata e io sono diventato e rimasto potenziale. PIERCE RATCLIFF: E lei mi sta mettendo in guardia... perché sono stato nel sito di Cartagine. VAUGHAN DAVIES: Sì. PIERCE RATCLIFF: Non saprei. Non c'è modo di saperlo. Forse si possono eseguire dei test. VAUGHAN DAVIES: Se quella che io chiamo la sua coesione è stata in qualche modo intaccata, allora lei è in pericolo. PIERCE RATCLIFF: Se è vero che l'effetto diminuisce quanto più a lungo l'oggetto diventa reale, allora forse io non sono stato... intaccato. Non c'è modo di dirlo, vero. A meno che io non abbia un incidente o debba prendere decisioni... Quello che è successo a lei potrebbe succedere a me. A Isobel. A tutti gli altri. O forse non succederebbe mai. VAUGHAN DAVIES: Possiamo solo sperare che qualcuno sviluppi un test per determinare tale stato. Ci lavorerei io stesso, ma sono consapevole di non essere più l'uomo di un tempo. È bizzarro possedere la giovinezza e la vecchiaia, ma non la maturità. [pausa] Ho la sensazione di essere stato derubato. PIERCE RATCLIFF: Non posso sapere se sono stato esposto, vero? VAUGHAN DAVIES: Dottor Ratcliff! PIERCE RATCLIFF: Mi scusi. VAUGHAN DAVIES: Speriamo che non le succeda nulla, dottor Ratcliff. PIERCE RATCLIFF: Tutto ciò è [pausa] scioccante. [Lunga pausa. Rumori di fondo] PIERCE RATCLIFF: Ci sono scienziati che stanno compiendo espe-
rimenti sulla probabilità, ma in scala molto ridotta. Sono stato interrogato da due dipartimenti governativi. Gli americani mi hanno prelevato dalla nave nel Mediterraneo. Il giorno di Natale! È stato spaventoso. Mi hanno interrogato per giorni. Mi sono ancora dietro, so di sembrare paranoico... VAUGHAN DAVIES [interrompe]: Sono stati fatti progressi teoretici? PIERCE RATCLIFF: I colleghi di Isobel pensano di sì. Dubito di poter parlare con loro senza attirare l'attenzione della sicurezza nazionale. Mi sento... lei ha ragione... devono sapere... qualcuno le deve dare un'occhiata. [pausa] Anche a me. VAUGHAN DAVIES: Sarò ben contento di diventare un oggetto di studio se questo servirà a spiegare la verità. PIERCE RATCLIFF: La Borgogna non riesce più a stabilizzare la realtà, ma perché proprio adesso? [Aumento del rumore di sottofondo. Specialista.... Entra; conversazione medica cancellata. Rumore di porta. Lunga pausa.] VAUGHAN DAVIES: [... incomprensibile...] queste piccole umiliazioni inflitte dalla professione medica. Non mi stupisco che William sia diventato un dottore. Dottor Ratcliff, non so a cosa si riferisca l'incidente del manoscritto, ma so cosa ne è stato della Borgogna. PIERCE RATCLIFF [pausa]: Come fate a saperlo? Sì, possiamo speculare, teorizzare, ma... VAUGHAN DAVIES: [interrompe]: Forse sono l'unico uomo in vita che può dirlo a ragion veduta. PIERCE RATCLIFF: Lei possiede una storia medica documentata: manicomi, ospedali. VAUGHAN DAVIES: Dottor Ratcliff, lei sa bene che sto dicendo la verità. Nel corso degli ultimi sessant'anni, io ho vissuto - se l'aggrada - nello stato grezzo dell'universo. Nelle infinite possibilità che esistono prima che l'inconscio collettivo collassi in una singola realtà. Per me è stato un momento infinito, dove il tempo ha cessato di esistere. Dovrei essere un teologo per descrivere con esattezza cosa sia l'eternità. PIERCE RATCLIFF [agitato]: Cosa sta cercando di dirmi? VAUGHAN DAVIES: Mentre ero in quello stato d'esistenza... anche
se dire 'mentre' è inesatto perché tale allocuzione prevede lo scorrere del tempo... ah, non importa. Mentre vivevo in quello stato nel quale ero solo potenziale, ho percepito che tra tutte le infinite e caotiche possibilità esisteva un altro stato d'ordine. PIERCE RATCLIFF: A livello subatomico? Lei ha visto... VAUGHAN DAVIES: Ho visto che avevo ragione e non fui molto sorpreso. Vede, avevo teorizzato che la dinastia ducale burgunda, se così possiamo definirla, agiva come un'ancora o come un filtro evitando l'insorgere di ogni abilità che permettesse di manipolare gli eventi quantici. I cosiddetti miracoli o preghiere. E, similmente, la Borgogna ideale... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Il sole. Cosa mi dice del sole? VAUGHAN DAVIES: Il sole. PIERCE RATCLIFF: Sopra la Borgogna! Loro non lo sapevano... io non lo so... ma non avrebbe dovuto esserci... sempre che le Macchine Impazzite fossero una realtà nel senso in cui noi la intendiamo. Strutture complesse in aggregati di silicone potrebbero aver generato una chimica organica, esseri reali... [pausa] Avrebbe dovuto essere buio dappertutto. VAUGHAN DAVIES: Ah, adesso capisco. Lei mi delude, dottor Ratcliff. PIERCE RATCLIFF: La deludo... [ad alta voce] VAUGHAN DAVIES: [...incomprensibile...] se posso continuare? [pausa] No, avevo immaginato che lei l'avesse capito immediatamente... come fece Leofric, anche se lui si dovette adattare ai modelli culturali del suo tempo. Ho teorizzato che le Ferae Natura Machinae avessero dato corso a una prima disgiunzione quantica e il sole è scomparso. In Borgogna, invece, la realtà continuava a essere preservata... la Borgogna si atteneva a uno stato precedente più plausibile. Il mondo oltre i confini di quel regno era scientificamente reale, se vuole vederla in questi termini alquanto semplicistici, ma era una realtà successiva. La Borgogna formava una bolla quantica: cominciava già a diventare la Borgogna ideale. [pausa] Dottor Ratcliff? PIERCE RATCLIFF: E... oh, io... e quando il sole si è oscurato alla morte del duca... VAUGHAN DAVIES [interrompe]: Precisamente! Due realtà quantiche non sincronizzate cercarono di congiungersi! Le Ferae Natura
Machinae cercarono di imporre la loro con il faris, come se fosse stata l'unica! Anche se sarebbe meglio parlare di realtà interposte... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Le Macchine Impazzite hanno cercato di imporre la loro versione della realtà, la loro versione quantica, ma non ha funzionato a Digione. Poi, con Ash... [pausa] Avrei dovuto capirlo prima. Nessuna realtà è privilegiata rispetto a un'altra, sono tutti reali... solo che alcune sono meno possibili, più difficili da realizzare... più facili da fermare... VAUGHAN DAVIES: Precisamente. Ratcliff, so quello che fece Ash. Spostò la Borgogna... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Uno spostamento di fase... VAUGHAN DAVIES [interrompe]: Un alterazione a un livello molto profondo, spingendola indietro... o avanti... fino a un punto dove era possibile solidificare la realtà. Lei deve capirlo, Ratcliff. Ash spostò la Borgogna con la sua natura intrinseca avanti a noi forse di una sola frazione di secondo... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Spostata... di un nanosecondo... VAUGHAN DAVIES [interrompe]: Dove il Possibile diventa reale, là si trova la Borgogna. L'ho vista. Quello è ciò che ci preserva, ciò che mantiene l'universo coerente. La natura della Borgogna agisce come un filtro o un'ancora... PIERCE RATCLIFF [interrompe]: Quindi la capacità di far collassare coscientemente il fronte delle probabilità è destinata a non riapparire mai più. È troppo improbabile... VAUGHAN DAVIES [interrompe]: Per secoli dopo la sua scomparsa nessuno storico scrisse una sola riga sulla Borgogna. Fu solo con Charles Mallory Maximillian, che cominciammo a ricordare. Ma ricordare non è il termine esatto, noi percepiamo. Noi percepiamo che la Borgogna esiste nel nostro inconscio collettivo come un'immagine mitica e questo succede perché ha un'esistenza vera e propria, scientificamente dimostrabile, come parte della nostra realtà in una frazione di secondo prossima al momento del Divenire. PIERCE RATCLIFF: La Borgogna è ancora là. VAUGHAN DAVIES: E pensare che ho creduto foste un uomo di una certa intelligenza. La Borgogna è 'ancora là'. Intrappolata in un momento eterno e dorato con la funzione di guida, regolatore o soppressore, se mi perdona la metafora da ingegnere. Filtra la realtà nell'inconscio collettivo. È ciò che ci ha permesso di rimanere reali.
È abbastanza chiaro, adesso? PIERCE RATCLIFF: Cosa ha percepito? Cosa... [Pausa] A cosa somiglia la Borgogna, ora? Ho cominciato a pensare che deve essere come... [Pausa] una corte infinita, un torneo senza fine, una caccia. Forse una guerra nelle foreste. La loro guerra è una metafora vivente, la sconfitta dell'improbabilità che preme ai confini della realtà. VAUGHAN DAVIES: Non ho percepito nulla di tutto ciò. La Borgogna non scorre. Sono tutti congelati nell'eterno momento di un atto. L'atto di rendere coerente il mondo. PIERCE RATCLIFF: Ash? Florian? Tutti gli altri? VAUGHAN DAVIES: È bizzarro che si concentri sulle persone. Si suppone che uno storico dovrebbe avere una maggiore comprensione della scienza. La mia percezione del fronte delle probabilità era molto più significativa. Tuttavia, è vero che io ho percepito la mente nello stato di esistenza. PIERCE RATCLIFF: Poteva riconoscerle? VAUGHAN DAVIES: Credo di sì. Credo che fossero le persone menzionate nel manoscritto di Sible Hedingham. Non può comprendere. Il tempo non scorre, non c'è nessuna forma d'azione: si esiste. La Borgogna non guida il Reale con quello che fa, non deve fare nulla... le basta essere ciò che è. PIERCE RATCLIFF: Deve essere una sorta d'inferno. Per la mente, intendo dire. VAUGHAN DAVIES: Sono qua per dirle, dottor Ratcliff che la vostra supposizione è esatta. Quello che ho sperimentato è un'infinita permanenza in inferno, o in paradiso. PIERCE RATCLIFF: In paradiso? VAUGHAN DAVIES: Nel senso in cui, io ho percepito direttamente la Realtà. PIERCE RATCLIFF: Sta parlando di una Borgogna ideale? VAUGHAN DAVIES: La Borgogna esiste nel Reale e ne governa la forma. È - o è stata - l'unica vera realtà della quale noi siamo solo delle ombre imperfette. Buon Dio, uomo, nessuno legge più Platone di questi tempi? PIERCE RATCLIFF: Platone non era un fisico teoretico! VAUGHAN DAVIES: Queste cose riescono a penetrare nell'inconscio collettivo. Sono nel nostro sangue a un livello molto più profondo dell'inconscio di Freud. Forse potremmo parlare dell'incon-
scio collettivo di Jung. Un livello tanto profondo e involontario pari a quello nel quale si svolge la trasmutazione cellulare. Non c'è da sorprendersi se la nostra mente mitica produce fantasmi e ombre del Reale. Dopotutto, noi continuiamo a ricordare la Borgogna. PIERCE RATCLIFF: La ricordiamo ora. Qualcosa nel diciottesimo secolo, poi la prima edizione di Mallory Maximillian, lei e poi io e Cartagine e... VAUGHAN DAVIES: [incomprensibile: debole] PIERCE RATCLIFF: [...incomprensibile...] sta lentamente cessando di espletare il suo compito. È sicuro di quello che ha visto? la Borgogna sta cominciando a indebolirsi cinquecento anni dopo quello che ha fatto Ash? Giusto? VAUGHAN DAVIES: Sì. Ne sono sicuro. [Lunga pausa. Sibilo del nastro. Passi. Porte che si aprono e chiudono] PIERCE RATCLIFF: Scusate. Dovevo fare quattro passi. VAUGHAN DAVIES: Il tessuto caotico dell'universo è forte. Forse, di tanto in tanto, si risistema. PIERCE RATCLIFF: Allora lo sforzo di Ash non è servito a nulla. VAUGHAN DAVIES: Le rammento che sono passati cinquecento anni, dottor Ratcliff. PIERCE RATCLIFF [agitato]: Ma non significa nulla. Se la sua percezione era corretta, si tratta di un momento unico ed eterno e ora si sta disgregando. Ora! Adesso! VAUGHAN DAVIES: In questo senso ha ragione. Le scoperte archeologiche di Cartagine, questo manoscritto, anch'io lo credo. Il mio ritorno nel Reale deve essere avvenuto a causa di un indebolimento della funzione della Borgogna Perduta. Deve essere così. Non ci può essere nessun'altra spiegazione. PIERCE RATCLIFF: Ci sono scienziati che stanno eseguendo esperimenti nel campo delle probabilità, ma, come le ho detto, in scala molto ridotta... quindi... non è possibile che siamo noi a destabilizzarli? Ho bisogno... no, gli amici di Isobel non ne parlerebbero con me, non con i servizi di sicurezza in circolazione. VAUGHAN DAVIES: Un arco di cinquecento anni per noi è un momento per la Borgogna Perduta. Un momento che sta finendo, ora. L'universo è vasto, potente e caoticamente imperativo, dottor Ra-
tcliff. Era destino che si risistemasse. PIERCE RATCLIFF: Cosa succederà quando la Borgogna cesserà di esistere? La fine della casualità? Un'entropia crescente verso il caos, verso i miracoli? VAUGHAN DAVIES: Uno è soggetto a diversi test molto interessanti in questo ospedale. Tra un esame e l'altro passa parecchio tempo e io ho dedicato gran parte di esso - malgrado William asserisca che guardo la scatola televisiva e basta - a pensare a cosa succederebbe se la Borgogna dovesse sparire. Io credo che noi due abbiamo raggiunto la stessa conclusione, vero? PIERCE RATCLIFF: L'inconscio collettivo continuerebbe a far collassare il probabile in qualcosa di prevedibile e reale, ma, senza la Borgogna filtrerebbe anche una buona dose di caos e noi torneremmo a essere capaci di manipolare la Realtà coscientemente... o tramite la tecnologia. Scoppierebbero diverse guerre. Guerre in cui il caduto sarebbe la Realtà. VAUGHAN DAVIES: La realtà di qualcuno sparisce sempre durante una guerra, dottor Ratcliff. Comunque, sì, succederebbe quanto previsto dalle Ferae Natura Machinae. Un universo infinito e irreale. Le guerre dei miracoli, se preferisce. PIERCE RATCLIFF: Devo pubblicare. VAUGHAN DAVIES: Intende includere anche quanto le ho detto nella sua edizione di Ash? PIERCE RATCLIFF: Una volta reso tutto pubblico non potrà più essere ignorato. Ci saranno delle investigazioni! Dobbiamo smettere di compiere esperimenti a livello subatomico? Dobbiamo incrementarli? Possiamo rinforzare la Borgogna? VAUGHAN DAVIES: Mi perdoni, ma la prenderebbero per pazzo PIERCE RATCLIFF: Non importa. Tutto è meglio piuttosto che le guerre dei 'miracoli'! [Porta che si apre. Passi; un numero imprecisato di persone che entrano] WILLIAM DAVIES: Penso che per oggi basti. VAUGHAN DAVIES: Credimi, William. Credo che mi sia dato di conoscere come mi sento. WILLIAM DAVIES: Non bene come ai tuoi dottori. Sarò anche in
pensione; ma so ancora capire quando uno è sfinito. Il dottor Ratcliff tornerà domani. VAUGHAN DAVIES: [incomprensibile] PIERCE RATCLIFF: [incomprensibile] ANNA LONGMAN: Dobbiamo parlare, Pierce. Ho parlato con l'ufficio. Dobbiamo prendere delle decisioni molto importanti riguardo la pubblicazione prima del fine settimana. PIERCE RATCLIFF: Professor Davies. [pausa] È stato un onore. La chiamerò di nuovo domani . [rumori di porte che si aprono e sedie che si spostano] VAUGHAN DAVIES: [... incomprensibile...] pubblichi appena possibile. Abbiamo bisogno dell'aiuto della comunità scientifica. [Nastro ingarbugliato] [... incomprensibile...] altri studi, ma a livello mondiale. PIERCE RATCLIFF: [... incomprensibile...] non abbiamo nessuna idea di quanto tempo ci rimane prima che smetta del tutto di svolgere la sua funzione, vero? [Fine del nastro] IL SOGGETTO 'VAUGHAN DAVIES' È STATO TRASFERITO DALL'OSPEDALE JJJJJJ IN DATA 02/02/01 PER ALTRI ESAMI E INTERROGATORI.
POSTFAZIONE Tutti gli eventi narrati in questa opera giungono alla conclusione con la fine del manoscritto di Sible Hedingham. È ormai ovvio che il 5 gennaio 1447 si verificò un cambiamento significativo nella natura del nostro universo. Riassumendo: a quel punto gli eventi della storia umana furono alterati e sostituiti dalla percezione di un passato diverso, ma non si trattava né di una storia precedente della razza umana né del cambiamento che avrebbero voluto attuare le intelligenze artificiali che rispondevano al nome di 'Macchine Impazzite'. È difficile capire se tutto ciò che è successo alla nostra storia a partire dal 1447 è frutto di un 'miracolo' oppure si tratta di qualcosa di desiderato. Qualunque sia la verità, è innegabile che a quel punto la capacità dell'uomo di alterare coscientemente il fronte delle probabilità per farlo collassare in una realtà tangibile fu eliminata. L'esistenza umana si è perpetuata: l'universo consistente e razionale era tenuto insieme dall'inconscio collettivo e protetto da una storia precedente che era stata alterata... la 'Borgogna perduta' rimane con noi sotto forma di mito. Non sarà il migliore degli universi, ma almeno è solido. L'uomo ha ancora la possibilità di scegliere tra il bene e il male. Comprendo pienamente che le conclusioni a cui arriva questo testo, conclusioni tra l'altro avallate da scoperte archeologiche, faranno nascere molte controversie. Io, comunque, rimango dell'idea che debbano essere messe a conoscenza di tutti. Le leggi della causa e dell'effetto operano in maniera pesante nella sfera d'influenza umana. Non abbiamo idea di come sia concepito l'universo in altri luoghi. Siamo uno in mezzo a milioni, in una galassia tra miliardi, in un universo così vasto che né la luce né la nostra comprensione possono attraversare. Le leggi locali che possiamo osservare sono razionali, tangibili e prevedibili, anche se a livello subatomico, la casualità diventa 'confusa', però lo diventa seguendo una realtà scientifica e non basandosi sul caos. Quella che oggi è una particella indeterminata, diventerà determinata domani e non un drago. O un Leone o un Cervo. Se tutto ciò si dimostrasse fondato, allora pur essendo una scoperta importantissima per capire la struttura del nostro universo, la 'Borgogna perduta' potrebbe essere un vicolo cieco. Ash prese una decisione e la Borgogna si 'spostò', la natura di quel regno ci ancora alla casualità e a ciò che
siamo. Purtroppo gli ultimi eventi hanno dimostrato che la 'Borgogna' sta smettendo di espletare la sua funzione. È una fatto innegabile che oggetti ritenuti improbabili (nel senso tecnico della parola) siano diventati reali negli ultimi sessant'anni. Il sito archeologico di Cartagine, sebbene le investigazioni siano state sospese, ne è la dimostrazione lapalissiana. Per una ragione a noi sconosciuta, la natura della Borgogna è di nuovo cambiata: forse non espleta più la sua funzione o ha cessato di esistere. Io credo che le prove suggeriscono che quella sia la causa. Io sospetto che quanto percepito da Vaughan Davies sia il momento del cambiamento in se stesso. In base alle sue osservazioni, il cambiamento 'continua ancora'... o, per quelli che vi sono all'interno 'non è finito'. Quello a cui stiamo assistendo ora è la fine di quel momento. Il lasso di tempo tra il 1477 e oggi fu il periodo di tempo lineare che quel momento fuori dal tempo aveva bisogno per finire. Era stata fatto quello che era necessario. La Borgogna, spinta fuori come una sorta di sprone di realtà in avanzamento nell'onda delle probabilità, ha reso causale l'universo umano. Ora non può più mantenere questo stato di cose. La mutazione spontanea del 'gene dei miracoli' potrebbe insorgere di nuovo ed è possibile che venga scoperto un sistema scientifico per far collassare il fronte. Cosa significa tutto ciò per noi, ora? Senza la Borgogna Perduta, l'inconscio collettivo della razza umana riprenderà a fare quello che ha sempre fatto fin da quando è diventato una forma di vita organica senziente: manipolerà la realtà per renderla costante, coerente e consistente. Il domani seguirà l'oggi e il domani non tornerà. La funzione che espletava la Borgogna era proteggere la nostra realtà dall'insorgere dell'abilità cosciente di far collassare il fronte delle probabilità in una realtà diversa e prima improbabile. Con la scomparsa graduale della Borgogna e il complesso caos dell'universo che fa tornare quel regno nella nostra realtà, nonostante ne fosse stato per un unico momento eterno 'la propaggine' più esterna, allora cosa ci impedirà di diventare ciò che erano i nostri antenati, preti e profeti, fautori di miracoli e recipienti di grazia? Cosa ci può impedire di sviluppare tale caratteristica nella nostra coscienza organica o nelle nostre macchine? Nulla. A meno che non vogliamo che il tessuto dell'universo materiale venga messo in pericolo e si trasformi in una sorta di brodo quantico, allora dob-
biamo fare qualcosa, adesso. Io intendo la pubblicazione di questo libro come una chiamata alle armi per tutta la comunità scientifica. Dobbiamo investigare. Agire. Dobbiamo cercare in qualche modo di fermare la degenerazione della Borgogna Perduta o creare qualcosa che possiamo mettere al suo posto, altrimenti, proprio come scriveva Ash nel manoscritto, nulla potrebbe esistere di questa seconda storia... un giorno tutto ciò che abbiamo fatto sarà disfatto e sarà come se non fosse mai stato. Mi troverete in questo sito web.....per una conferenza in rete: ogni organizzazione o personaggio sufficientemente accreditato è pregato di partecipare: io renderò disponibili i dati che ho a disposizione. Non siamo ancora pronti e forse non lo saremo mai, a diventare dèi. Pierce Ratcliff Londra, 2001
POSTFAZIONE (QUARTA EDIZIONE) Ho lasciato inalterate le parole di un uomo molto più giovane. La storia è una materia soggetta a diverse interpretazioni. Nove anni non sono un periodo di tempo molto lungo... tuttavia, è abbastanza lungo da cambiare il mondo al punto da non riconoscerlo. A volte sono sufficienti nove minuti. Suppongo che avrei dovuto ricordare che Ash diceva: «Io non perdo.» È ovvio che la 'postfazione' del 2001 fu scritta da un uomo in preda al panico. L'ho fatta ristampare inalterata, nonostante abbia cancellato il mio vecchio URL al fine di evitare confusioni. A essere sincero, vissi nel panico per gran parte dell'inverno del 2000 fino alla primavera 2001: uno stato peggiorato solo dall'improvviso ritiro di tutte le copie di Ash: la storia perduta della Borgogna avvenuto il 25 marzo, cinque giorni prima della sua uscita nelle librerie. Sono in debito con Anna Longman per la strenua difesa del mio lavoro di fronte ai suoi capi. Senza di lei il libro non avrebbe mai raggiunto la stampa. Ma, se Anna poté fare qualcosa con Jonathan Stanley, il suo direttore, ma nulla poté contro il ministero degli Interni. Due giorni dopo le mie copie del libro furono portate via dal mio appartamento. Una settimana dopo ricevetti una visita dalla polizia e fui interrogato dagli agenti dei servizi segreti di tre nazioni. Non c'è dubbio che la paura avesse oscurato la mia capacità di giudizio. Tuttavia la realtà si impose nuovamente. Ora mi trovo di fronte a una copia rilegata della terza edizione alla quale erano stati allegati un floppy-disc e una copia della mia corrispondenza minuziosamente annotata da qualche agente del servizio segreto. Quelle non erano le mie copie, perché io le avevo distrutte. Fui informato che stavano tenendo d'occhio Anna dal dicembre 2000. Una seconda visita - passata del tutto inosservata - all'alloggio di Strafford non ha permesso di trovare nessuna traccia della corrispondenza, poiché lei portava con sé le copie della corrispondenza. Lo fece fino alla fine della primavera 2001 quando scomparvero. Uno studio minuzioso dei filmati del CCTV ha dimostrato che il primo marzo 2001, Anna era uscita dalla British Library senza un libro. Un fatto
per niente insolito, solo che Anna era stata vista entrare un'ora prima con un libro. I filmati dimostrano che era la bozza di pubblicazione di Ash: la storia perduta della Borgogna. Pur sapendo che era là dentro gli agenti dei servizi segreti ci impiegarono un mese prima di trovarlo. Le probabilità che qualcuno rubi un libro dalla British Library sono bassissime e nessuno ha pensato di prendere provvedimenti per qualcuno che entra con un libro e lo abbandona in quel caos che è stato il trasloco della British Library dalla vecchia sede a quella nuova. Oso dire che sarebbe stato ritrovato e catalogato entro dieci anni. Pochi secondi prima di essere interrogato confrontai le nostre corrispondenze elettroniche e capii che non ero oggetto di qualche complotto paranoico per 'zittirmi' ma di una normale routine di lavoro. Non era la mia conoscenza approfondita dei manoscritti cinquecenteschi che li aveva incoraggiati a farmi entrare nel 'Progetto Cartagine', ma il fatto che fossi stato il testimone oculare del ritorno di alcuni artefatti della 'prima storia' nella nostra, come descritto dettagliatamente nella corrispondenza tra me e Anna. Infatti, come Anna alle volte mi dice - con un umorismo che in principio non riuscivo a comprendere - io sono la storia. Tutti noi lo siamo. Fortunatamente siamo anche il futuro. Mi trasferii da Londra in California dopo aver rassegnato le dimissioni dall'università. Negli anni che seguirono cominciai la seconda carriera della mia vita lavorativa (scoprendo un talento inaspettato per l'amministrazione): una carriera grazie alla quale, insieme a Isobel Napier-Grant, Tami Ionishishi, James Howlett e altri scienziati provenienti da diverse istituzioni, ho visto le frontiere dello scibile umano espandersi a un livello incredibile. Personalmente devo dire che trovai tutto eccitante, frustrante o illuminante a seconda delle volte: continuo a non capire tutti i progressi compiuti nel campo della teoria dei quanti! Lo staff del 'Progetto Cartagine' al momento è composto dagli scienziati 'ufficiali' con i quali Isobel Napier-Grant sperava di poter lavorare quando decise di aprire il sito di Cartagine per gli studi, nella speranza di trovare fisici che potessero fare i calcoli necessari e creare una terminologia che ci potesse liberare dalla dipendenza delle speculazioni e le metafore. Nove anni dopo, devo ammettere che hanno fatto tutto ciò che era possibile e anche di più.
Questa quarta edizione di Ash serve per creare un background al 'Progetto Cartagine'. Il progetto e le scoperte che sono state fatte nel corso degli ultimi nove anni sono conosciute da tutti e non è necessario ripeterle. Ora siamo uno staff di cinquecento persone alle quali se ne dovranno unire altre. Il prossimo anno sarà il decimo anniversario della fondazione e io ho intenzione di pubblicare la storia del Progetto. La pubblicazione di queste righe da parte mia serviva, come ho già detto, a fornire un background al 'Progetto Cartagine', ma anche a fornire una conclusione alla vicenda di Ash... sempre che ce ne possa essere una. Impiegai due anni per capire quello che avremmo dovuto cercare. Un lungo negoziato tra le Nazioni Unite e il governo tunisino permisero a una squadra di scienziati di tornare a lavorare sul sito sottomarino di Cartagine in cooperazione con una equipe di scienziati tunisini. Da allora tutti gli artefatti sono stati oggetto di intense analisi sia in Tunisia che all'estero (fummo privati degli scienziati russi e cinesi per via dello scoppio della guerra Cino-Russa, la cosiddetta 'guerra del millennio', che iniziò nel 2003 e terminò nel 2005. Fortunatamente dopo la pace tornarono a lavorare con noi). Allo stesso tempo la storia dell'impero visigoto emerse sempre di più nei documenti che andavano dal 1400 fino agli ultimi anni del diciannovesimo secolo. Un documento affascinante ritrovato nella biblioteca di Alessandria, spiega in maniera accurata come le tribù di Goti iberici dopo il 416 AD riuscirono a creare un insediamento sulle coste dell'Africa del Nord che in seguito si integrò con la cultura araba (in un processo simile a quello delle ultime crociate che crearono un 'Regno Latino d'Oriente'). Le tracce di una massiccia invasione della Cristianità furono ritrovate fuori Genova, nel nord Italia e, a quanto sembra, ci fu una battaglia molto cruenta. L'universo ha accolto nei suoi interstizi le istanze della 'prima storia' che potevano essere sistemate in maniera comoda, ma, come sempre succede, ci sono alcune discrepanze. L'universo è qualcosa di incredibilmente complesso anche in quel poco che noi percepiamo localmente. La reintegrazione della prima storia con la seconda fu osservata da tutti noi del Progetto ed ebbe luogo in maniera piuttosto approssimativa tra il 2000 e il 2005, con un picco altissimo d'attività tra il 2002 e il 2003. La degenerazione della 'Borgogna Perduta' e il susseguente materializzarsi di una serie di 'schegge' storiche che tornavano nella nostra realtà, era qualcosa che ritenevamo possibile dal punto di vista teorico. Infatti ne apparve-
ro altre ogni giorno. Altre prove... innegabili, prove di fatto... che il giorno prima non esistevano. Vivemmo i primi giorni del millennio con l'aspettativa che il mondo si sgretolasse sotto i nostri piedi. Non era del tutto inusuale svegliarsi il mattino e chiedersi prima di aprire gli occhi se saremmo ancora stati la persona del giorno precedente. Tutti noi del 'Progetto Cartagine' operavamo con un tipo di mentalità che si può adottare in tempi di guerra. Nel 2001 scrissi che non eravamo pronti per diventare dèi. Uno studio della storia potrebbe convincere lo studente che siamo appena capaci di essere umani. Alla fine di un secolo di massacri e guerre di una violenza mai conosciuta prima, noi del 'Progetto Cartagine', sapevamo che poteva succedere di peggio. Ottenuto il potere di manipolare le probabilità si presentò di fronte a noi uno scenario con tanto di olocausto e guerra ad altissimo contenuto tecnologico: la crudeltà umana avrebbe raggiunto apici mai visti. Sofferenza, degradazioni, paure e morte, tutto questo all'infinito. Se questo era quanto previsto dalle 'Macchine Impazzite' allora il loro tentativo di evitare che succedesse può essere solo considerato come un atto altamente morale. Al 'Progetto Cartagine' sapevamo di essere soldati in prima linea che dovevano combattere contro l'irrealtà: dovevamo trovare un modo per stabilizzare la 'Borgogna' altrimenti, se non in questo periodo, tra due o trecento anni, le guerre dell'improbabilità avrebbero disintegrato il tessuto connettivo dell'universo. In quanto storico, io guidai il team addetto a documentare il ritorno della prima storia. Entro il 2002 mi resi conto che tutti gli eventi che stavo documentando erano possibili. In una conversazione in rete con Isobel Napier-Grant dissi: «Gli artefatti che stanno apparendo sono razionali tanto quanto quelli di un universo causale. Abbiamo i resti di Cartagine, vecchi di cinquecento anni. Non abbiamo una Cartagine del quindicesimo secolo che riappare in Tunisia ai giorni nostri piena di Visigoti, di visitatori alieni o di qualcosa che i sensi umani non possono percepire. È Cartagine come apparirebbe oggi, se la prima storia avesse seguito il suo corso a partire dal 1477.» Era ovvio che quanto si stava reintegrando nella realtà era un evento possibile, una serie di artefatti possibili, una storia probabile. Niente miracoli.
Niente miracoli. Ho impiegato quasi sette anni per trovarla. Ebbi i primi presentimenti nell'estate del 2002. Nel periodo in cui - dopo che cinquecento anni d'eternità l'avevano resa mitica e allo stesso tempo più reale della realtà stessa - la Borgogna stava smettendo di espletare la sua funzione. Da quel momento in avanti saremmo stati privi di protezione e soggetti a fenomeni casuali, tuttavia, era ovvio che la coerenza dell'universo, per come noi la percepiamo, non era degenerata tra il 2001 e il 2002. La Borgogna Perduta doveva essere svanita o stava per farlo, altrimenti come spiegare la ricomparsa di tanti pezzi della storia burgunda? Ma come potevamo spiegare la stabilità di tale apparenza? L'inconscio collettivo stava facendo collassare il fronte delle probabilità in una realtà coerente rispondendo a un riflesso condizionato? Senza dubbio questa teoria non poteva spiegare tutto quello che stava succedendo. Al tempo i fisici teoretici vivevano nell'orrore quotidiano delle instabilità potenziali che avrebbero potuto verificarsi a livello subatomico e monitoravano tali casualità... che tornavano a essere coerenti. Il presentimento fu di origine letteraria e mi colse poco dopo il funerale del professor Vaughan Davies - un uomo che visse per vedere l'esistenza della sua mezza età analizzata e confermata punto per punto, ma che non riuscì mai a trattenersi dall'esprimere qualche appunto caustico fino al giorno della sua morte (in uno dei rari momenti di lucidità poco prima di morire mi disse: «È ancora più interessante di quanto avevo previsto. Dubito che lei lo capirà.») Sull'aereo che mi riportava a casa dopo il funerale mi rivolsi a Isobel Napier-Grant dicendole: «Le persone tornano.» «Vaughan 'è tornato'» rispose Isobel «con tanto di storia fantasma in grado di spiegare la sua esistenza per gli anni in cui era scomparso. Mi stai dicendo che può essere successo a qualcun altro?» «È successo o succederà» dissi e cominciai sette anni di ricerche. Nel tempo che Isobel ci impiegò ad alzarsi dal sedile per andare a controllare i suoi ratti da compagnia nel bagagliaio, io avevo già stilato mentalmente un programma di ricerca. Nel maggio di quest'anno sono volato a Bruxelles al quartiere generale della Reaction Rapid Force Unité250 . Il palazzo si trova nella piatta campa250
Equivalente della FIR (Forza di Intervento Rapido) dell'Esercito Italiano. (N.d.T.).
gna che circonda la capitale belga. Fui accompagnato da un autista e fornito di un interprete, personaggio che può tornare molto utile in una forza paneuropea. Durante il volo mi ero immaginato di trovarla nel suo ufficio al Quartiere Generale; moderno, con tanto di mappe appese alle pareti, il tutto pulito e illuminato dalla luce della primavera europea. Avrebbe indossato un'uniforme da ufficiale della Unité e per qualche ragione, anche se i rapporti che avevo di fronte a me sostenevano il contrario, me la immaginavo più vecchia, tra la fine dei vent'anni e l'inizio dei trenta. Fui portato al limitare di una pineta e scortato a piedi lungo un sentiero sterrato. La pioggia smise di scendere dopo i primi due chilometri. La trovai nel fango fino alle ginocchia con indosso l'uniforme da fatica, gli anfibi e un pullover rosso. Alzò lo sguardo dalla mappa che stava consultando sul retro di una jeep insieme ad altri uomini e sorrise. Suppongo che dovevo sembrare bagnato come un pulcino. Il cielo si stava schiarendo e il vento le spostò una ciocca di capelli sugli occhi. Aveva i capelli neri, gli occhi castani e la pelle scura. Mi era stato dato il permesso di filmare e registrare. L'avevo fatto in diverse altre occasioni, quando mi accorgevo che si trattava della donna sbagliata. Questa volta però rischiai di spegnere la telecamera e porre immediatamente fine all'intervista. «Mi dispiace per tutto questo» si scusò, allegra. «Dannate esercitazioni. Si suppone che per mantenerci efficienti sia necessario effettuarle senza preavviso. Dispiegamento rapido. Lei è il professor Ratcliff, giusto?» Aveva un po' d'accento. Era una donna alta con le spalle larghe e i gradi di maggiore. Il sole primaverile evidenziava delle piccole righe sulla guancia destra e su quella sinistra. «Sono Ratcliff» mi presentai alla donna che non aveva niente a che fare con le descrizioni del manoscritto. «Dov'è la vostra gemella, maggiore?»251 I lineamenti del volto erano di tipo arabico e aveva un modo di porsi che sembrava impossessarsi a forza dello spazio intorno a lei... una presenza. Portò i pugni sporchi di fango ai fianchi e mi sorrise illuminandosi in volto. Portava la pistola alla cintura. Lo sapevo. «Abita a Dusseldorf, si è sposata con un uomo d'affari tedesco della Ba251
Tutte le citazioni sono prese dalla trascrizione delle fonti audio visive, locazione quartiere generale del RRFU, Bruxelles, 14/5/2009 (archivi Progetto Cartagine).
varia. La vado a trovare ogni volta che sono in licenza. Piaccio molto ai suoi figli.» «Maggiore!» la chiamò uno degli uomini accanto alla jeep. Era un sergente robusto che teneva in mano il microfono della radio. Doveva avere quasi quarant'anni, era calvo e indossava un'uniforme che sembrava consumata a forza di essere usata. Aveva il tipico aspetto da sergente: uno di quelli per il quale nulla era impossibile e che considerava ogni ufficiale superiore come qualcuno che non era neanche in grado di cambiarsi il pannolino. «Il brigadiere vuole parlarti, capo» disse. «Di' al brigadiere Oxford che arrivo subito. Digli che sono in cima a un albero o qualcosa di simile. Digli che deve aspettare.» «Gli piacerà molto, capo.» «In ogni vita» annunciò l'ufficiale in tono divertito e vendicativo «deve cadere sempre un bel po' di pioggia. È colpa del brigadiere se adesso stiamo compiendo le esercitazioni. Professore, ho del caffè caldo e lei ha l'aria di una persona che può averne bisogno.» La seguii alla jeep. E lei, pensavo, stupito. Come può essere? Poi: Certo. I Visigoti sono... sono stati... assorbiti dalla cultura araba dopo la caduta di Cartagine e Ash non era di razza europea. «Come si chiama il suo sergente?» le chiesi dopo aver bevuto. «Sergente Anselm» rispose. La voce era venata da un umorismo tetro, come se stessimo portando avanti un gioco che solo io e lei potevamo capire. «Il mio brigadiere è un ufficiale inglese, John Oxford. Gli uomini lo chiamano Jack, il pazzo Oxford. Io mi chiamo...» indicò con un pollice il cartellino col nome sulla divisa «... Asche.» «Non sembra tedesca.» «È il cognome del mio ex marito, sembra.» Continuava a sorridere. «Lei è stata sposata?» Ero stupito perché non sembrava avere più di diciannove o vent'anni. «Fernando von Asche. Un ex ufficiale di cavalleria bavarese. Sembra che abbia sposato mia sorella dopo il nostro divorzio e io ho tenuto il nome. Dottor Ratcliff alla radio mi hanno detto che doveva farmi un sacco di domande. Questo non è il momento giusto; ho delle manovre da portare a termine, ma può rispondere a una mia domanda. Cosa le dà il diritto di farmi tutte quelle domande?» Mi osservò e vidi che il silenzio non la metteva a disagio. «La Borgogna» risposi. «La Borgogna ora fa parte dell'inconscio collet-
tivo. Piantata così solidamente in esso, se vuole, che il 'passato fantasma' che sbuca di tanto in tanto sparisce nell'improbabilità. Il nostro primo passato sta tornando. La sua vera storia.» Il maggiore Asche prese la borraccia di metallo che portava al fianco, bevve e si asciugò gli occhi senza smettere di fissarmi. Il vento le scompigliava i capelli facendo loro lambire le guance sfregiate. «Io non sono la storia» mi fece notare, mesta. «Sono qua.» «Ci siete adesso.» Continuava a fissarmi. Si udirono degli spari nella foresta, lei lanciò un'occhiata al sergente Anselm, ma il sottufficiale le fece cenno che era tutto a posto. Nella palude fangosa fecero capolino alcuni carri armati. «Da quanto tempo è qua?» Il maggiore arcuò le sopracciglia e mi guardò in tralice. «Da due giorni e per tutta la durata di questo sono alloggiata in una tenda a una ventina di chilometri da qua in quella direzione.» «Non intendevo dire questo. O forse no.» Cominciai a controllare i dati che avevo registrato sul mio notebook da polso. «Io credo che lei abbia una 'storia fantasma' se possiamo metterla in questo modo. È molto giovane per aver raggiunto il grado di maggiore, ma in guerra le promozioni sono qualcosa di rapido. Lei è cresciuta in Afghanistan sotto il regime dei Talebani. La loro attitudine nei confronti delle donne è... come dire... medievale. Si è unita alle forze della resistenza e ha imparato a combattere e quando furono spazzate via si diede alla guerriglia lungo i confini. Allora bastava che lei sapesse comandare. All'età di sedici anni era capitano e quando le forze dell'Europa orientale si sono unite alla RRFU, lei si è arruolata nell'Unité.» Le notizie sulla rete riguardo la guerra Cino-Russa erano ancora molto chiare nella mia mente. «Due anni fa, lei è stata nominata maggiore alla fine della guerra CinoRussa.» Alzai lo sguardo dallo schermo «Ma sono prontissimo a credere che lei è qua da due giorni in una tenda militare eretta da qualche parte.» Il maggiore Asche mi fissò a lungo. «Facciamo due passi.» Si girò per un attimo e urlò: «Roberto! Dove cacchio sono i fottuti elicotteri? Credono che abbiamo intenzione di aspettare qua per tutto il giorno? Dobbiamo muoverci entro un'ora.» «Non agitarti, capo» le disse il sottufficiale sorridendo quando gli passammo vicino. L'erba era bagnata e scivolosa e io non portavo gli anfibi, tuttavia cercai
di stare al suo passo malgrado il freddo ai piedi. Superammo un carro dal quale stavano scendendo alcuni soldati e lei si fermò a parlare con un caporale. «All'interno dell'Unité le forze sono miste» mi fece notare. «Questi sono quasi tutti Inglesi e Gallesi. Ho anche un gruppo di ragazzi di Bruxelles e un mucchio di Tedeschi dell'Est e dell'Ovest. Ho anche molti Italiani.» Mi guardò con la coda dell'occhio. Continuava a esser divertita. Mi guardai alle spalle e scoprii che erano esperti nel mimetismo perché erano già spariti nel bosco. «Come si chiamava il caporale con il quale avete parlato?» «Rostovnaya.» «C'è tutta la compagnia?» chiesi senza pensare, poi vidi che mi guardava con gli occhi lucidi scuotendo la testa. «Tutti, tranne i morti» rispose. «Tutti tranne i morti. La morte e la vita sono reali, professor Ratcliff. Ci sono volti che mi mancano.» Cominciai a intravedere un accampamento di tende militari e uomini con il camice bianco che correvano da tenda a tenda. «Angelotti. Rickard. Euen Huw.» Scosse la testa. «Però siamo andati molto vicini a perdere tutti.» «Penso di aver capito cosa è successo» disse. «So il perché lei è tornata. La Borgogna è... sparita, suppongo.» Si ingobbì osservando le tende di fronte a lei. «Il tempo si muove in maniera diversa in prossimità delle onde di probabilità» continuai. «Il momento nel quale lei e le Macchine Impazzite avete calcolato, potenziato e voluto che la storia umana cambiasse... sta finendo. È finito. Lei ha fatto in modo di bypassare il pericolo immediato, ma il processo che le ha permesso di farlo sta svanendo. Frammenti del vero passato si stando infilando negli interstizi del passato che conosciamo... è possibile prevedere un tempo nel quale la storia che non conosciamo della Borgogna sarà la storia della 'Borgogna di Ash'.» Il maggiore sorrise. «Ma è finita, giusto?» continuai. «Io credo che nel corso degli ultimi setto o otto anni noi abbiamo assistito al processo di reintegrazione della 'Borgogna Perduta'. La Borgogna è sparita, giusto? Non siamo più protetti.» «Oh, lo siamo. Lo siamo eccome.» Inclinò la testa, mi sorrise e socchiuse gli occhi. In quel momento vidi quello che nella mia mente avevo immaginato più volte durante la tradu-
zione del manoscritto: la donna in armatura, sporca, pragmatica e incapace di farsi abbattere. «Non capisco.» Una donna con indosso un camice bianco ci raggiunse. Il vento le faceva socchiudere gli occhi, ma si capiva che erano verdi. Aveva i capelli tagliati corti e si vedeva che la testa era stata ricucita. I segni dei punti rimossi e la linea delle cicatrici erano visibili malgrado il berretto. «La medicina degli amir era meglio della nostra» mi spiegò Asche. «Perché poi qualcuno non dovrebbe essere meglio della loro?» Anche la morte ha confini incerti e turbolenti. La donna spostò lo sguardo da me al maggior Asche. «È questo l'esperto del progetto segreto?» «Sì.» Sul cartellino appuntato sul petto della donna si leggeva DEL GUIZ. «Gli hai già detto dov'è tua sorella?» «Certo.» La donna alta e magra come uno spaventapasseri si girò verso di me sorridendo. «Quella è volata ieri a Dusseldorf, con un aereo militare. Doveva vederli.» «Mia sorella ha due figlie» mi spiegò Asche. «Violante e Adelize.» Sorrise. «Violante alleva i ratti. Andrò a trovarla presto. Ci dobbiamo parlare.» «Ratcliff vorrà parlare con tutti noi» disse la donna che doveva essere Floria del Guiz, in tono irritato e come se non fossi presente. «Gli studiosi lo fanno sempre. Mi troverà nell'infermeria. Qualche altro stupido ha deciso di saltare giù da un carro antigravità prima che atterrasse. E fanno quattro. Cristo! Nessuno mi ha mai detto che i soldati sono intelligenti.» «Non oserei mai tanto» rispose il maggiore Asche fingendosi umile. Floria del Guiz si avviò verso la tenda a grandi passi facendo un gesto con la mano che avrebbe potuto essere interpretato come un gesto di saluto. «Avrei dato di tutto per averli qua con me» confessò Asche e io vidi che aveva stretto un pugno. «Tutti. Godfrey compreso. Ma la morte è reale, tutto è reale.» «Ma per quanto ancora?» «Non ci è ancora arrivato, vero?» Asche sembrava divertita. «Arrivato a cosa?» «Noi siamo tornati, io ho sempre pensato che prima o poi sarebbe suc-
cesso, ma loro sono rimaste.» Allora mi limitai semplicemente a guardarla. Solo adesso ho sviluppato una teoria nella quale affermo che la materia organica e le menti organiche sono inevitabilmente 'risucchiate' nell'inconscio collettivo, lontane dalla realtà, lontane dalla 'punta estrema'. Perché sono umani e organici e lei, grazie a tutto il potere di computo delle Macchine Impazzite a disposizione, doveva averlo capito. «Sono rimaste?» «Le Macchine Impazzite» disse Asche come se fosse chiaro anche a un bambino. In quel momento capii. Le Macchine Impazzite. «Sì.» Una folata di vento mi spruzzò alcune gocce di pioggia sul viso. Fissai la donna con la divisa da combattimento e il sorriso stampato sulle labbra. «Penso di averlo supposto... non c'era nessuna ragione per sospettarlo! Nessun motivo che facesse pensare che le Macchine Impazzite, intelligenze artificiali, fossero state distrutte quando lei... ha fatto quello che ha fatto.» Non era più che probabile che la 'Borgogna Perduta' contenesse anche loro, tanto quanto la natura stessa della Borgogna? Contenere la presenza di un immenso potere di calcolo. Se la 'Borgogna Perduta' esisteva in un momento eterno questo non preclude l'idea che tali macchine intelligenti possano ancora funzionare. Il tempo lineare non è rilevante nel luogo dove esistono. Intelligenze immense che effettuano un monitoraggio dell'onda di probabilità tenendo fuori dalla realtà tutte le possibilità di operare i miracoli. La loro percezione di gran lunga più fine di quella umana, il loro potere inorganico e infinito che interagisce con la struttura dell'universo mantenendola inalterata. «Loro non si potevano spostare» mi spiegò Asche. «Noi compimmo un miracolo e io spostai tutti. Tutti. Cartagine compresa. E adesso loro sono là fuori - ovunque sia questo 'là fuori' - intente a sostituire la Borgogna nel suo compito.» Il vento che faceva stormire gli alberi si trasformò nel suono degli elicotteri. Allungò una mano verso il comunicatore, ma non rispose e fissò il cielo azzurro che si trovava oltre le punte degli alberi. «Loro sapevano che sarebbe successo» disse. «Quando dissi loro quello che avevo in mente, loro acconsentirono. Sono macchine. Godfrey avrebbe detto che quello era l'inferno... il momento eterno... ma per loro è il paradi-
so.» L'arco del 'momento' di quella donna e di quelle macchine copriva cinquecento anni d'intenso lavoro scientifico. Come razza avevamo partorito alcune delle sofferenze umane, commettendo al tempo stesso atrocità innominabili. La 'Borgogna Perduta', quindi, non interagisce sul nostro libero arbitrio; siamo sempre liberi di scegliere tra il bene e il male. «Cartagine Perduta?» suggerii. «Un unico momento perduto e dorato» rispose la donna. L'elicottero scese verso la radura e fu impossibile parlare finché non fu atterrato. Un giovane soldato saltò giù dal veicolo e corse verso di noi. «Capo, ti vogliono... la radio è guasta?» si interruppe. Era alto, magro e poco più che adolescente. «Il maggiore Rodiani e il colonnello Valzacchi ti vogliono.» Quando la fissai sul suo volto c'era un sorriso stupito. «'Colonnello' Valzacchi? Hmmm. Vado immediatamente, Tydder.» Il soldato corse verso l'elicottero. «Questo non è proprio il momento. Troverò un mezzo per farla riportare a Bruxelles. Parleremo di nuovo là, presto.» «Cosa le sta succedendo, adesso?» «Niente.» Sorrise alla vista dei rotori dell'elicottero che giravano piano, e scosse la testa con tutta l'energia di cui sono permeati i giovani; come se fosse stupita che ci potesse essere qualcuno di così ottuso. «Vivo la mia vita, ecco cosa succede. Non ho neanche vent'anni, posso fare quello che voglio. Tenga gli occhi aperti, dottor Ratcliff. Diventerò un generale a cinque stelle! Suppongo che dovrò fare qualcuno di quei fottuti giochetti politici, ma, dopotutto, adesso so come fare.» Mi porse la mano e io gliela strinsi. La carne era calda. Ogni pensiero che avevo nutrito sul fatto che quella donna potesse dimettersi dall'esercito per unirsi al 'Progetto Cartagine' si rivelò privo di sostanza, irreale. La crudeltà e gli abusi non muoiono anche se possono essere sopraffatti: lei era quello che era sempre stata, una donna che uccideva altra gente. Era leale solo a se stessa e a pochissimi altri. Stavo per andarmene quando mi disse: «Mi hanno detto che presto dovremo tornare sul confine cinese come forza d'interposizione. In un certo senso è peggio della guerra! Ma a conti fatti...» Mi gratificò con una lunga occhiata piatta. «Forse è meglio, non pensa?» Tutto questo è successo tre mesi fa. Mentre era impegnato nella collazione della terza edizione del libro al
quale dovevo aggiungere la documentazione cronologica del 2000 e del 2001 e nella redazione di questa postfazione, il maggiore Asche compì una breve visita al quartier generale del Progetto in California. Mentre stava per uscire mi suggerì che forse dovevamo addurre una modifica al nostro motto informale. Ora si legge Non delenda est Cartago. Cartagine non deve essere distrutta. Pierce Ratcliff-Napier-Grant Bruxelles, 2009 RINGRAZIAMENTI Sono in debito con Anna Monkton (già Longman) per avermi permesso di pubblicare la nostra corrispondenza editoriale. Al momento della pubblicazione stava per dare alla luce la nostra prima nipote - o, nel mio caso, nipote acquisita - che sia lei che mia moglie, Isobel, si rifiutano di chiamare come il nostro 'mercenario', Ash. Ma io spero di riuscire a persuaderle. FINE