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R.BARI'NES-F. BOÝON F. a LEEiI'NARDT R. λlARTINACIIΛICD J. STAROBIλ~XI
Titolo originale Analyse structurale...
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R.BARI'NES-F. BOÝON F. a LEEiI'NARDT R. λlARTINACIIΛICD J. STAROBIλ~XI
Titolo originale Analyse structurale et exégèse biblique © Delachaux et Niestlé , Neuchétel ι Traduzione dí Cesare Greppi
SOCIETÀ EDITRICE
PREMESSA
Proprietà riservata alla SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE Torino Officine Grafiche SEI Apńle 7973 • M. E . 40994
Nel febbraio del 1971, Za Facoltà di Teologia protestante dell' Università di Ginevra organizzò un incontro dedicato all'analisi strutturale e all'esegesi biblica . Erano stati invitati due oratori : Roland Barthes, della Ecole pratí~ue des Hautes Etudes dí Parigi, allora professore invitato presso la Facoltà di Lettere di Ginevra, e Jean Starobinski, professore alle Facoltà di Lettere e di Medicina dell' Università di Ginevra . Entrambi accettarono cortesemente, e si dette vita così a un dialogo fra biblisti e critici letterari. Questo incontro, che occupò due serate, vide riuniti esegeti, teologi, critici letterari, storici della letteratura e linguisti di Ginwra e della Svizzera romanda. L'interesse fu assai vivo . Nel dibattito che seguì le comunicazioni si notò in particolare che tra i biblisti si profilavano due tendenze . Per gli uni, la radice storica del testo rimane un dato da cui non è possibile prescindere; per gli altri, l'approccio letterario e st~utturale proposto da Barthes e da Starobinski consente di mettere meglio in luce la ricchezza del testo . In seguito a questi incontri, ai quali aveva egli stesso partecipato, Piene Barthes direttore delle edizioni teologiche di Delachaux e Niestlé, sollecitò la pubblicazione in volume delle conferenze del colloquio . IZ lettore troverà qui riuniti i contributi di Roland Barthes e di Jean Starobinski. Mentre il primo ci ha consegnato senza sostanziali modifiche il testo della sua esposizione, il secondo ha preferito rielaborare e completare il suo, il che spiega la diversa ampiezza dei due contributi . Anzicché accompagnare queste conferenze con le discussioni che le hanno seguite, è parso preferibile dar la parola a due esegeti . Risultava così più facile mettere in evidenza i punti di contatto e le divergenze fra il metodo esegetico e le letture proposte oggi dai critici letterari . IZ professore Robert Martin-Achard, delle Facoltà di Teologia di Ginevra e di NeuchRtel, ci ha indicato, sulla base del testo dell'Antico Testamento 5
utilizzato da Roland Barthes, quale sia la sua pratica dell'esegesi, e i principali risultati ottenuti col metodo storúo-critico . F.-J. Leenhardt, professore onorario dell' Università di Ginevra , ci offre da parte sua una analisi del testo biblico scelto da Jean Star~binski . Si tratta di un saggio che l'autore aveva elaborato per uso personale in vista del colloquio . F. ~ . Leenhardt non segue propriamente le vie dell 'esegesi contemporanea, la quale, distinguendo la redazione dalla tradizione , ricerca la genesi del testo e la sua radice storíca .i Noi ritroviamo in queste pagine l'originalità di un metodo che non accetta le parole d'ordine di una scuola determinata . 2 La sua analisi, che non esita a ricorrere alla psicanalisi, dimostra chi il problema non può limitarsi all'alternativa fra esegesi storúo - critúa e analisi strutturale , ma che diverse vie d'accesso al testo biblico si rivelano necessarie e feconde. Pierre Barthel ha infine ritenuto opportuno che il volume si aprisse con un testo d'introduzione allo strutturalismo , che io avevo concepito in particolare per un pubblico tedesco . Se queste pagine non diranno nulla di nuovo agli specialisti, potranno forse orientare il lettore, sconcertato dalla molteplicità dei lavori strutturalisti e dall ' ermetismo della terminolo-
aperta ad ogni metodo che permetta di rinnovare l'approccio ai testi . Cercare di ajj'~nare tali metodi d'indagine fa parte dello spirito scientifico che deve caratterizzare l'esegeta . 3 F~~Αr~çο~s Βονοτν
3 . Un po' dovunque sorgono attualmente riflessioni metodologiche sull'esegesí . A titolo dí esemplo, indichiamo qualche opera significativa : J . BgRa, Semantica del li~~g~aggío biblico, Bologna 1959 ; E . GtPrrcEa~n~ws, Offerse Fragen zur Formges~hichte
des Evangelíums. Eíne methodolígís~he Sk~xze des Crrundlagenproblematík der Form- und Redaktíonsgeschi~hte , Muních 1970 ; R. Ba~~r~~s, P . BEAUCflAMP , H. Bou~~~.nRn, J . COURTES , E .
HAULOTTE ,
X.
LÉON-DUFOUR,
L . MARIN,
P . R~coE~rn, A .
VERGOTE,
Exégèse et Herméneutique, París 1971 . Segnaliamo infine, editi da H. R . Weber in a The Ecumenical Revíew » 23, 1971, 4~ fascicolo (ottobre ), i contributi che analizzano un testo biblico, precisamente Marco 5 . 1-20, partendo da diversi punti dí vista, strutturale, spirituale, eco .
gia impiegata . Di proposito questa raccolta non reca al termine nessuna conclusione . La discussione intorno a strutturalismo ed esegesi è appena cominciata, e questo ci sconsiglia per il momento ogni tentativo di sintesi metodologica . Questa, in breve, la genesi dell'opera . Ci auguriamo che i lettori ne traggano qualche profitto ; che avvertano , se non altro , come l'esegesi sia una scienza viva . Fondata su discipline rigorose, essa è costantemente
1 . Ríηvíamο íl lettore interessato ad un'esegesi che míáí a definire la preistoria del testo e l'apporto della redazione finale, agli studi seguenti : C~. MnssoN, Le démoníaque de Gérasa (Mart 5 . 1-20), in Vers les sources d'eau vive. Etudes d'exégèse e~ de ihéologie du Nouveau Testament, Lausa~~ne 1961 , pp . 20-37 ; P . Lw MnR CHE, Le possédé de Gérasa (Mat. 8. 28-34 parallèles), in ~ Nouvelle Revue Théologique» 90, 1968, pp . 581-597 ; J . F . CR~c~n~, The Gerase~e Demoniac, in M The Catholic Biblical Quarterly » 30, 1958, pp . 522-536 ; J . VE~covs~v , Der gadarenísche Exo~xismus (Mat . 8 . 28-34 and Parallelen ), ín x Communío Víatorum » 14, 1971, pp . 13-29 ; R . P~sc~, The Marc~~ Version of the Healing of the Gerasene Demoniac , ín ~ The Ecumenical Review » 23, 1971, pp . 349-376 . Da parte sua, J . B~.~c~ ( The Gerasene Demoniac and the Resurrection , ín x The Catholic Biblical Quarterly » 31, 1969, pp . 383-390) segue ~m metodo completamente diverso . 2 . Il saggio qui presentato risponde al tipo dí esegesi che l'autore aveva greconízzato già una ventina di anni fa : F. J . I,EE~~p~~~r , La parabole du Samarítaín. Schéma d'une exégèse e~ístentíaliste , ín Aux sources de la Tradition chrétienne. Mclan-
ges offerts à M. Maurúe Goguel à l'occasion de son soíxantedixíème an~íversaire, Neuchâtel et Paris 1960, pp . 132-138 .
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Lo strutturalismo francese e l'esegesi biblica 1
Introduzíone Dal 1945 ad oggí, ín Francia, il clima intellettuale sí è profondamente modificato . Alla fine della guerra, l'esistenzialismo trionfava, incoraggiato dagli atti liberi degli eroi della resíste~~za . Venivano esaltati íl « soggetto » e la sua « coscienza » . La « libertà » e la « decisione » facevano parte della panoplia del filosofo . Il ~ senso » della vita era l'ideale da raggiungere . Sartre era l'incontrastato maître à penser. In una parola, sí viveva in pieno umanesimo . Oggi, le scienze umane respingono la filosofia nelle sue ultime trincee . Nuovi metodi, logici e oggettivi, derìvatí dalle scienze della natura, vengono applicati all'uomo, al linguaggio, al comportamento . Da soggetto che era, l'uomo è divenuto oggetto, oggetto precario e prowisorio . 2 Non sí parla più dí storicismo o dí coscienza, ma dí codici, dí formalizzazioni e di sistemi . Sí citano oggí altri nomi : LéviStrauss, Barthes, Althusser, Faucault.3 Come spiegare questa trasformazione senza accennare alla nozione dí struttura ? Certo, da molto tempo, e non solo ín Francía, sí parlava dí struttura, 4 particolarmente ín fisica e in mate1 . La versione originale dí questo contributo è apparsa, col titolo StrukturaZismus uxd bíblísche Exegese, nella rivista ~ Wíssenschaft und Praxis in Kírche und Gesellschaft » 60, 1971, pp . 16-26 . La versione che si pubblica qui ha subito qualche ritocco rispetto all'originale . In particolare, è stato aggiunto un secondo esempio a titolo dí illustrazione del metodo : Giovanni 1 . 35-51 . 2 . Cfr . M. Foucau~,r, Le parole e le cose. Ux'archeología delle seíexxe umane, Milano 1957 . 3 . Cfr. B . P~xcnun, Ixtroductiox à Sartre aujourd'huí u, ín a L'Arc a 30, 1966, p . 1 . 4 . L . T. Hjelmslev definisce la struttura ~ un'entità autonoma dí dipendenze interne e (citazione senza referenza dí P . R~eo~u~~, La strutture, Ze mot, l'évéxemext, ín ~ Esprit s 35, 1967, p . 804, ora in P . R~eo~*.u~t, Le coxf~it des íxterprétatíoxs, París 1969, p . 83) . J . Píaget sottolinea dal canto suo l'aspetto dinamico della struttura : ~ In M
matíca . 5 Ma ecco che questa nozione, e íl sistema dí pensiero che essa implica, sono stati trasferiti con successo nelle scienze umane, nella linguistica dapprima, e poi nell'etnologia, nella critica letteraria, nella storia, nella psicanalisi, nella sociologia, e infine nella filosofia .° E questo ín modo sistematico .' Tutto il campo delle scienze umane è oggi occupato da schiere dí intellettuali che brandiscono la struttura
lo vede come la reazione compensatoría di una intellighenzia di sínístra frustrata, che del determinismo struttwale fa una virtù 1 0 Nelle pagine che seguono considererò lo strutturalismo come metodo . Io penso, e non sono íl solo a pensarlo, che questo movimento sarà utile aí teologi appunto ín quanto metodo, che può permettere loro una migliore intelligenza dei testi biblici .
come un'arma efficace. Lo scritto che segue nasce dalla convinzione teologico con il rnovímento strutturalista sarà non ma fruttuoso . Inevitabile, perché lo strutturalismo moda e un'ideologia : íl teologo cristiano, che vive
L'esegesi contemporanea, particolarmente ín Germania, continua a svilupparsi sotto íl segno di una duplice eredità : lo storicismo e l'esistenzialismo . Tutte le correnti esegetiche del ventesimo secolo si inscrivono ín una prospettiva. storica : Formgeschichte, Überlíeferungs-
che un dialogo solo inevitabile, è diventato una nel mondo, deve
geschichte, Redaktíonsgeschichte . In ognuno dí questi casi, sia pure ín maniera diversa, vediamo comparire una preoccupa~íone storica . Evoluzione dei generi letterari, trasmissione delle grandi tradizioni, reínterpretazíoní successive dei materiali . L'organizzazione interna, le differenze, come diceva il linguista Saussure, vengono lasciate nell'ombra : non solo le strutture profonde e invisibili, ma spesso
dunque necessariamente affrontarlo . Fruttuoso perché, come metodo, lo struttwalismo può far progredire l'esegesí . Lascio ad altri la cura dí giudicare lo struttwalismo come moda e come ideologia . Sartre vede ín esso l'ultimo bastione eretto dalla borghesia per appoggiare lo status quo economíco .e La struttura non appare forse ostile al dinamismo della storia ? Rícoeur considera questo movimento una tentazione del nostro tempo, inteso a risparmiarci la que~tíone ultima del <~ senso » e a imporci una forma estrema dí agnostícísmo . 9 Altri prima approssimazione, una struttura è un sistema dí trasformazioni, che comporta delle leggi ín quanto sistema (ín opposizione alle proprietà degli elementi) e che sí conserva e sí arríchisce grazie al gioco stesso delle sue trasformazioni , senza che queste conducano fuori delle sue frontiere o facciano appello a elementi esterni . In breve, una struttura comprende così questi tre caratteri : totalità, trasfo~mazíoní e autoregolazione » . (J . P~neF?r, Lo strutturalismo, Milano 1969, p . 39) . 5 . Cfr . J . P~nc~tr, op . cit., p . 50 ss . 6. Come introduzione allo strutturalismo francese sí possono consultare: J . Pou~~.LON, Présentation : un essai de définítion, in a Les Temps Modernes u 22,1966, pp . 769770 ; J . M . Auz~ns, La chiave dello strutturalismo , Milano 1969 ; O . Due~toT, T. ToDOROV, D. SPF.RBI{R, M. SAFOUAN, F. Wn~~ ., Qu'est-ce que le structur~lisme ?, Paris 1968 ; J . PIAGET, op . cit., passim; M. Coxv~x, Les structuralistes, les linguistes, les crítíques Iittéraíres : Michel Foucault, Claude Léví-Strauss, Jacques Lacan, Louis Althusser, Paris 1969 ; P. Cn~+uso, Conversaxi~r~ con Lévi-Strauss, Foucault, Lacan, Milano 1969 ; G. Sc~~wv, Des franx~sische Strukturalismus, Mode - Methode - Ideologie . Mít einem Text-anhang, Reínbeck 1969. Sí veda inoltre : U . Eco, La struttura assente . Introduzione alla ricerca semiolog~~a , Milano 1968 . 7 . a Léví-Strauss non è certo il p~ímo né íl solo che abbia sottolineato il carattere strutturale dei fenomeni sociali, ma la sua originalità è stata quella dí prendere la cosa sul serio e di trarne ímpertu~babíhnente tutte le conseguenze » . (J . Pou~~.LON, L'reuvre de Claude Léví-Strauss, in ~ Les Temps Modernes » 12, 1965, p. 158) . 8 . a Dietro íl pretesto della storia, è chiaro che viene preso dí mí~a íl marxismo . Si tratta dí costruire un'ideologia nuova, l'ultima ba~íera che la borghesia possa ancora erigere contro Marx. » (J . P . 5~~~~~~*, Jearo-Paul Sartre rép~nd, ín a L'Arc s 30, 1966, p . 88 .) . 9 . a Sarei piuttosto del parere che questa filosofia implicita penetri il campo del vostro lavoro, nel quale ío vedo una forma estrema dell'agnosticismo moderno . Per
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anche le strutture letterarie di superficie?~ D'altra parte, l'esegesi troppo frequentemente sí esaurisce in un'analisi esistenziale che ha íl doppio difetto di essere antropocentrica e soggettiva : antropocentrica, perché dimentica volentieri le prospettive cosmologiche e íl riferimento ai rapporti ampi, a vantaggio dell'individualismo e dei rapporti ristretti (Ich-Du Verh~iltnis) ; soggettiva, nella misura ín cui l'uomo crede dí essere íl soggetto, íl padrone dí se stesso e della propria determinazione . ι
Lo strutturalismo, per dirlo fin da ora, mí sembra un correttivo utile alla nostra pratica attuale dell'esegesí, ín quanto restituisce al
voi non esiste alcun " messaggio ": non nel senso della cibernetica, ma ín senso kerígmatíco . Voi díspe~ate totalmente del senso, ma ví salvate pensando che, se la gente non ha niente da dire, almeno lo dice sufficientemente bene perché si possa sottoporre il lom discorso allo strutturalismo . Salvate íl senso, nia il vostro è íl senso del non-senso , l'ammirevole sistemazione síntattí~a dí un discorso che non dice nulla ». (P. R~eo~*.u~, Claude Lévi-Strauss, réponses à quelques questions, ín e Esprit » 31, 1963, pp . 652-653 .). 10 . G . Sc~~wv, op . cít., p. 24 ss. 11 . Fortunatamente, da qualche anno a questa parte, si moltiplicano le eccezioni. Cfr. A. Vn~~ov~, La structure littéraire de l'épître aux Hébreux, Paris-Bruges 1963j . B~ac~, Galatíans ín Greek . A Struttino1 Analysis of St. Poufs Epistle to the Galatíans wíth Notes on the Greek, Universíty of Detroit Press 1966 (lavoro contestabile) ; P . Bτ?πueκaτvτr, Création et séparation, Paris 1970 . Inoltre, alcune riviste teologiche dí lingua francese pubblicano attualmente analisi strutturali dí testi biblici : cfr., per esempio, L. Mn~~~~, Essai d'analyse structurale d'un néc~t parabole : Mat . 73 . I-23, ín ~ Etudes Théologiques et Religieuses » 46, 1971, pp . 35-74 ; J . Zac~.~n, Création, péché originel et formalisme (Gen . I-III), in a Revue d'histoire et de philosophie religieuses » 51, 1971, pp. 1-30.
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testo una realtà orízzontale, una verità síncroníca . Grazie ad esso, íl senso torna ad essere qualcosa dí diverso dal riferimento al passato, alla preistoria del testo . D'altra parte lo strutturalismo può ugualmente servire a liberare íl campo dal soggettivismo metodologico dell'analisi esistenziale, e farci scoprire l'uomo nelle sue determinazioni, l'uomo come oggetto, situato nel luogo d'incontro dí influenze svariate . La mia incompetenza mí induce a lasciar da parte l'applicazione dello strutturalísmo alla psicanalisi (Jacques Lacan), alla storía (Michel Foucault), alla sociologia (Lucien Goldmann) e al marxismo (Louís Althusser) . Prenderò ín considerazione due campi particolari, l'etnologia, con Claude Lévi-Strauss, e la critica letteraria, con Roland Barthes . Questa scelta si giustifica dal fatto che le ricerche etnologiche dí Léví-Strauss sono all'origine del successo dello strutturalísmo ín Francia . Le analisi letterarie dí Barthes sono molto vicine alle nostre esegesi bibliche . La mia esposizione ; i dividerà in tre parti . La prima presenterà nelle sue grandi linee l'opera di Lévi-Strauss . La seconda metterà in luce la fecondità dello strutturalísmo praticato da Barthes . Nella terza cercherò di mostrare, attraverso due esempi, come íl metodo strutturale possa applicarsi all'esegesí biblica .
I . Il padre dello strutt~~ralismo : Claude Lévi-Strauss Se Lévi-Strauss può essere considerato íl padre dello strutturalísmo francese, progenitore ne è certamente íl linguista ginevrino Ferdínand de Saussure .l~ Saussure, all'inizio del secolo, ha avuto íl merito di porre la distinzione fra lingua e parola . La lingua è uno stru~r~ento, la parola è un evento . La linguistica, dí cui Saussure ha stabilito le basi, concentra la propria attenzione sulla lingua, lasciando :agli ermeneuti íl campo della parola . Nello studio della lingua, Saussure compie una rivoluzione che è stata paragonata alla rivoluzione ~copernícana. Egli rileva come, accanto al metodo storico che consí~dera la lingua nella sua diacronia (letteralmente : attraverso il tempo), esista una interpretazione della lingua che egli chiama síncroníca (letteralmente : contemporanea) . Se il secolo XIX ha privilegiato lo studio diacronico della lingua, Saussure pratica un'analisi síncroníca . Invece dí studiare l'evoluzione dí una lingua, egli preferisce operare un taglio nel corso del tempo, e considerare íl sistema (Saussure non -parla ancora dí struttura) che questa lingua costituisce . Saussure mette così in evidenza - e ciò sarà d'importanza capitale per lo strutturalismo - che le relazioni fra í termíní, che egli chiama v differenze », 12 . Σ . Dε 12
SAUSSURE,
Corso di 1íηgυístίεα generale , Βατί 1957 .
sono più significative dei termíní presi isolatamente . Nel suo Corso di linguistica generale, la novità è dunque costituita da questa volontà dí cogliere la realtà nel suo aspetto orízzontale di sístema, un sistema dalle corrispondenze innumerevoli e logiche . Intermediaria fra Saussure e Léví-Strauss è stata la scuola línguistíca di Praga, la quale, con uomini come Trubetzkoy e Jakobson, ha dato una base veramente strutturale a una delle branchie della línguística, la fonologia. Lévi-Strauss, che durante l'ultima guerra ha seguito í corsi dí Jakobson emigrato negli Stati Unítí, ha voluto applicare íl nuovo metodo strutturale al proprio campo dí studi, l'etnologia . Della fonologia strutturale egli utilizza quattro princìpi guida : 1 . passare dallo studio dei fenomeni linguistici coscienti alla loro infrastruttura inconscia; 2 . trattare í singoli termini non come entità indipendenti, ma nelle loro relazioni; 3 . introdurre la nozione di sistema; 4 . partire da un sístema presupposto e ipotetico e successí~amente verificarne la fondatezza per deduzione ; bando dunque all'induzione, che ricava leggi generali dall'accumulazione di osservazioni isolate . 13 Partendo da questi princìpi, Léví-Strauss tenta dapprima un'interpretazione del più immediatamente rilevabile fra i fenomeni sQcíalí, la parentela, í cui rapporti egli manipola come Jakobson í fonemi? 4 I risultati sono sensazionali : osservazioni etnografiche contraddittorie o disparate possono organizzarsi secondo una logica interna . Un'organízzazíone nascosta viene alla luce, emergono sistemi inconsci . Queste strutture consentono finalmente dí introdurre un rigore scientifico ín etnologia . L'etnologia tradizionale ín genere considerava la famiglia (padremadre-figlio) come la cellula originaria che permette di spiegare tutto . Léví-Strauss respinge tale spiegazione naturalista e propone una interpretazione culturale . A suo parere, í rapporti dí parentela non appartengono all'ordine della natura, ma a quello della cultura . Oltre alle relazioni di consanguineità (fratello/sorella) e di filiazione (padre/figlio), ví è una terza componente, culturale questa, la parentela d'acquisto (marito/moglie) . E questa relazione è necessaria in ragione della proibizione universale - anche presso í popoli cosiddetti prímí13 . C . Lέvτ- $TRAUSS, ~ L'analisi strutturale in linguistica e ín antropologia s, in Antropologia strutturale , Milano 1966, pp . 45-69. 14 . C . L~v~- STRAUSS, Le strutture elementari della parentela, Milano 1969 ; cfr. l a prima parte della Antropologia strutturale , cít., intitolata ~ Linguaggio e parentela ». Cfr . J . P . B . Joss~~.~x D~ J ONG, Lévi-Strauss's Theory ou Kinship and Marr~age, Leiden 1970. Su Léví-Strauss sí possono inoltre consultare : F. R~a~orr~, LévíStrauss . Struttura e storía, Torino 1970 ; P . Scnτττιuετ, τ.τ, L'analisi strutturale dei miti, Milano 1971 . 13
tivi - dell'incesto : un uomo cíoè deve ottenere una donna, e la ottiene solo se un altro uomo gliela cede sotto forma dí sorella o dí figlia . Questo aspetto culturale dei rapp~rtí di parentela è confermato dal ruolo che ín parecchie società primitive d'America svolge lo zio materno . La zio materno rappresenta l'autorità per íl nipote quando íl padre svolge un ruolo affettivo, rappresenta l'affezione quando il padre svolge un ruolo autoritario . Dietro la varietà dei rapporti dí parentela, Lévi-Strauss scopre così una struttura elementare, nella duale si articolano quattro tipi dí relazioni : fratello/sorella, marito/moglie, padre/figlio, zio materno/ nipote . Questa struttura elementare è il vero atomo, nel senso della fisica strutturale, dí ogni relazione familiare : consente cíoè dí spiegare í~ modo soddisfacente tutti í rapporti dí parentela esistenti . Tali rapporti costituiscono infatti delle strutture complesse, che si generano da questa struttura primordiale mediante trasformazioni . Insistendo sull'aspetto culturale della parentela e facendo ricorso al modello linguistico per spiegare la struttura profonda . dei rapporti familiari, Léví-Strauss inscrive questa realtà sociale nel quadro di una teoria generale della comunicazione : ~ Le regole della parentela e del matrimonio assicurano la comunicazione delle donne fra i gruppi, come le regole economiche assicurano la comunicazione dei beni e dei servizi, e le regole linguistiche la comunicazione dei messaggi a ~s Il fatto di considerare í rapporti dí parentela come un linguaggio e dí awicínarlí ín questo modo alle altre forme dí comunicazione (regole economiche, leggi, sistemi mitici . . .) doveva spingere LévíStrauss a non limitare le sue indagini strutturali al solo problema della parentela . Negli studi successiví,is egli ha cercato di scoprire l'organízzazíone inconscia e nascosta dei clan, dell'istallazione dí villaggi, dei costumi, dei riti e dei miti . Appaiono così vaste omologíe : ín una data tribù le regole parentali corrispondono al sistema mitologico ; ín tal altra tribù l'~rganízzazíone sociale è simile, nella struttura soggíacente, alle abitudini culinarie ." 15 . M . CORVFZ, op . eít., pp . 91-92. Léví-Strauss così sí esprime a questo proposito : ~ In ogni società, la comunicazione avviene almeno a tre livelli : wmunicazíone delle donne, comunicazione dei beni e dei servizi, comuní ~azíone dei messaggi . Dí conseguenza, lo studio del sistema dí parentela, quello del sistema economico e quello del sistema linguistico presentano talune analogie . h~ttí e tre dipendono dallo stesso metodo . . .» (Antropologia sirutturale, cít., p . 330) . 16 . C . L~v~-S~~~uss, Antropologia strutturale, cit . ; Il pensiero selvaggio, Milano 1964 ; Il crudo e íl cotto, Milano 1966 ; Dal miele alle cexeri, Milano 1970 ; Le migíxí delle buone m~níere a tavola, Milano 1971 . 17 . Sí pub leggere un succulento esemplo del metodo struttwale : C. L~v~Sr~~nuSS, Le triaxgle ~ulínaire, in ~ L'Arc » 25, 1965, pp . 16-29.
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Le conseguenze filosofiche di questo metodo strutturale sono importanti: pur non essendo recisamente negata (cfr . í casi di trasformazione), la storia sí pone al servizio del sistema ; il soggetto ~oscíente è svalutato ; íl pensiero umano ragiona ovunque secondo la stessa logica ; la libertà cede al determinismo . Tuttavia noi riteniamo più importante l'apporto metodologico . Ma, a questo pro~osíto, una domanda sí affaccia: Questo metodo può essere utilizzato per aree culturali diverse da quelle delle tribù primitive dell'America del sud, che vivono dí tradizione orale, senza documenti scritti, e di conseguenza senza storia ? Taluni ne dubitano . Ricrear, in particolare, pensa che nel mondo semitico e giudeo-cristiano la diacronia prevale sulla sincronia, e che nei miti biblici la funzione simbolica degli elementi relega ín secondo piano l'articolazione, la struttura del mito? 8 Io credo invece, con Lévi-Strauss, íl quale si è espresso su questo punto ín una tavola rotonda organizzata nel 1963 dalla rívísta u Esprít », che íl metodo possa essere ap~lícato a qualsiasi area culturale?s L'unica seria difficoltà, nel caso che qui cí interessa (popolo d'Israele e cristianesimo primitivo), concerne la documentazione . L'analisi strutturale è possibile in etnologia perché sí dispone di osserva~íoní dirette e dí varia natura sul genere dí vita, le istituzioni, le credenze e i riti dei popoli studiati . I bíblistí, invece, non hanno a loro disposizione se non testi limitati di società del passato . Saranno ín grado questi testi di restituirci la comunità israelita o la Chiesa ~rístíana primitiva, gol loro stile dí ~íta, i loro riti, la loro organizzazione da una parte, e dall'altra, se posso dire così, la loro mitologia? È lecito sperarlo . Invece dí argomentare ín astratto, meglio sarebbe tentare qualche analisi strutturale e valutarne í risultati . Sí potrebbe - avanzo l'indicazione riserbandomene un esame più attento - prendere in considerazione, per esempio, gli scritti giovannei . Il corpus giovanneo, ín particolare le epistole, usa un complesso ~ocabolarío della parentela che, per quanto ci consta, non è mai stato attentamente analizzato . Vi sí parla dí fratelli, dí sorelle, dí padri, dí anziani, dí madre, dí figli . Non potremmo scoprire, dietro questo vocabolario, le relazioni elementari della parentela cristiana, la cui struttura potrebbe essere confermata - vediamo le cose con ottimismo - da un'analisi strutturale della mitologia giovannea (Padre/ Figlio/Pneuma) ?zo 18. P. R~co~u~t, Structure et herméneutique, ín ~ Esprit » 31, 1963, p . 611 ss ., osa ín Le ~oxjlít des interprétations, cit., p . 48 ss . 19 . C . L~v~-Sr~~~uss, Répouses à quelques questions, cít. 20 . Il líb~o dí M . Vn~ ESBROBCK, Herméneutique, structuralisme et exégèse, Paris 1968, resta al livello della ńflessíone filosofica.
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ll . Un « enfant terrible » dello strutturalismo • Roland Barthes Dato che l'etnologia abbraccia le diverse attività umane delle società primitive, era inevitabile che, fruttuoso ín etnologia, íl metodo strutturale sí imponesse anche nelle altre scienze umane . A titolo dí esperimento, lo stesso Léví-Strauss ha tentato dí analizzare un mito del patrimonio europeo, il mito di Edípo . 21 Questo esempio, istruttivo per la sua semplicità, ci mostra l'originalità del metodo strutturale . Per questo lo scegliamo come via di collegamento fra le due prime parti della nostra esposizione . Un mito, come ogni narrazione, cí dice Lévi-Strauss, assomiglia ad una partitura musicale, che può, e deve, essere letta ín due modi : da sínístra a destra, e dall'alto ín basso . Nel primo caso sí legge la melodia, nel secondo l'armonia . Comprendere veramente un mito significa coglierlo in tutte le sue dimensioni : da sínístra a destra nel suo svolgimento, dall'alto ín basso nella sua struttura profonda (ví sono anche altre dimensioni : per esempio, la successione diretta e l'inversa, cioè la rilettura dei miti o dei racconti) . Per scoprirne la struttura profonda, bisogna innanzi tutto formalizzare íl mito o il racconto . Nel caso del mito dí Edipo, Lévi-Strauss lo ha fatto ín maniera rudimentale sotto forma dí colonne .zz Leggere da sinistra a destra significa ritrovare íl mito così come lo sí raccontava. Leggere dall'alto in basso significa constatare quanto segue: íl contenuto delle colonne non è né casuale né insignificante . È facile osservare che sí sono stabiliti, come dice Léví-Strauss, dei « fasci di relazioni » che egli chiama mitemí . La prima colonna raggruppa ciò che potremmo chiamare rapporti dí parentela sopravvalutati ; la seconda, rapporti dí parentela sottovalutati ; la terza, che riguarda mostri ctoní abbattuti, nega l'autoctonia dell'uomo (nega che l'uomo sia nato dalla terra) ; la quarta, che allude alla difficoltà di camminare eretti, sottolinea la persistenza dell'autoctonia (numerosi racconti dí creazione, secondo í quali l'uomo nasce dalla terra, fanno riferimento alla difficoltà incontrata dal primo essere creato nel camminare) . In questa dimensione « verticale », il mito dí Edipo esprime l'írnpossíbílítà ín cui sí trova una società che proclama l'autoctonia pur constatando che ciascuno dí noi nasce da un uomo e da una donna . Nel caso presente, ripete Lévi-Strauss, la verità dell'analisi importa meno della presentazione del metodo . 21 . C. L~v~-Sr~~uss, Antropologia strutturale, cít., pp . 231-245 . Léví-Strauss è consapevole del carattere ipotetico del suo saggio dí interpretazione . 22 . Cfr. lo schema alla pagina seguente .
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Cadmo cerca sua sorella Europa rapita da Zeus Cadmo uccide íl drago Gli Sparti si sterminano vicendevolmente Labdaco (padre dí Laios) _ « zoppo » ( ?) Laios (padre dí Edipo) _ « sbílento » ( ?)
Edipo uccide suo padre Laíos Edipo immola la Sfinge
Edipo = « piede gonfio » ( ?) Edipo sposa Giocasta, sua madre Eteocle uccide suo fratello Políníce Antigone seppellisce Políníce, suo fratello, violando íl dívíeto 17
Insieme con Greímas 23, Roland Barthes è il critico letterario di lingua francese che con maggiore abilità e perseveranza ha tentato dí applicare l'analisi strutturale al racconto . Influenzato dai modelli della linguistica e dell'etnologia, egli postula un rapporto di omologia tra la frase e íl racconto . L'analisi linguistica sí arresta alla frase, l'analisi del racconto comincerà dalla frase . Ma poiché gli oggetti sono comparabili, sí può tentare di trasferire íl metodo, dí applicare l'analisi strutturale al racconto . In particolare, Barthes ricorre alla nozione dí lívellí dí descrizione, nozione impiegata dagli strutturalisti ín fonologia e in etnologia . Egli propone di distinguere tre lívellí : delle funzíoní, degli attanti, della narrazione . Un lungo lavoro d'analisi permette all'interprete dí scoprire ciò che il testo dice a questi vari lívellí . A1 livello delle funzíoní, sí dovranno distinguere le funzioni distríbuzíonalí e le funzíoní integrative . Le funzíoní distríbuzionalí sono delle correlazioni (apparizione di un angelo - sua dísparízíone : il racconto non funziona se l'angelo non abbandona la scena) . Fra queste, alcune hanno una grande importanza, sono come cerniere del racconto : costituiscono cioè íl luogo ín cui il racconto sí assume un rischio per orientarsi ín una direzione piuttosto che ín un'altra . Altre hanno minore importanza : íl loro compito è quello dí colmare lo spazio fra le correlazioni principali . Quanto alle funzioni integrative, esse forniscono degli indizi sull'atmosfera che regna e sul carattere dei personaggi, e anche informazioni geografiche e cronologiche . Quando ín una parabola sí parla dí una delle novantanove pecore, sí trasmette al lettore un indizio sull'importanza del gregge che non è indispensabile allo sviluppo del racconto (ín questo modo l'attenzione viene orientata nello stesso tempo sulla pecora perduta, oggetto della parabola, e sul gregge che resta nello sfondo) . 23 . A . G~+~~a~as, Semantica strutturale, Milano 1967 ; dello stesso autore, Du sens, París 1970 . L'attemíone particolare prestata qui a R . Barthes non dovrebbe lasciare al lettore l'impressione che ío minimizzi l'ímporta~~za delle ricerche dí altri autori, in pańícolare dí A . Greímas . 24. Cfr., in particolare, R . Ba~ra~ss, Introduzione all'analisi strutturale dei racconti, che si pub leggere ora nel volume, a c . dí U . Eco e A. FACCANI, L'analisi del racconto, Milano 1969, pp . 5-46 . La presentazione metodologica che segue sí ispira a questo lavoro . Nella sua analisi dí Genesi 32, pubblicata ín questo stesso volume, Roland Barthes si sofferma ín particolare sull'analisi delle funzíoní . Egli distingue le funzíoní distribuzíonali, colte mediante l'analisi sequenzíale, e le funzioni integrative rilevate dall'analisi indiziale . Non analizza íl livello della narrazione, probabilmente ín ragione del particolare racconto preso ín esame . Infine, Barthes usa il temine a funzione » a proposito degli attanti, mentre ín precedenza aveva riservato lo stesso termine per le sequenze e gli indizi . 18
L'analisi delle funzioni sí articola in due tempi . Nel primo, si scompone íl testo senza trascurare nulla e sí classificano i dati . Affinché nessun elemento possa sfuggire, ogni volta ci sí domanda : che cosa succederebbe se il testo fosse privo dí questa notazione ? In questo modo è possibile immaginare un controtesto, íl che porta a scoperte sorprendenti . In un secondo tempo, sí cerca l'articolazione delle diverse funzioni, la loro successione o la loro embricazíone . Sí scopre così che le funzioni dístríbuzíonalí formano delle sequenze : per esemplo, la sequenza che possiamo chiamare « incontro » (con la sua concatenazione : stretta dí mano, formule dí cortesia, ecc .) può inserirsi ín un'altra sequenza, poniamo, la « consumazione » ín un bar, la quale sí costituisce dí quattro tappe : ordinazione, servizio, consumazione, pagamento . Lo stesso procedimento, analitico e poi sintetico, deve essere seguito analogamente per gli altri livelli . Al livello degli attanti, sì vedranno apparire personaggi tipici quali íl destínatore e íl destinatario, l'oppositore e l'aiutante, l'oggetto e íl soggetto . Barthes, infine, chiama e livello della narrazione » tutto ciò che íl testo dice dell'autore e del lettore . Non dell'autore e del lettore ín quanto personaggi storici - íl che significherebbe porsi fuori dall'analisi strutturale - ma nella loro qualità di personaggi inclusi nel racconto . Il problema, scrive Barthes, è quello dí v descrivere il codice attraverso íl quale narratore e lettore sono significati lungo íl racconto stesso » .25 II che equivale a mettere ín luce ciò che íl testo dice dí se stesso . Vedremo allora che alcuni testi cí forniscono la chiave per la loro interpretazione, mentre altri sembrano restare muti su questo punto, aprendo così, all'intelligenza esterna del lettore, uno spazio dí libera creatività. Da ultimo bisogna cercare le regole che presiedono all'ordine cui sono destinati í diversi livelli, trovare ciò che possiamo definire la grammatica del racconto . Nel racconto, la struttura dei livelli è dí natura gerarchica : le funzioni sí raggruppano al livello degli attanti, e questi a loro volta obbediscono alle ingiunzioni della narrazione . L'analisi strutturale sí distingue dall'esegesi tradizionale per questo netto cambio dí prospettiva . L'oggetto dell'esegesi, nella forma con cui viene normalmente praticata dai bíblístí, è ín genere un autore, ìl suo pensiero, le influenze subite e provocate, la sua peculiare natura . L'analisi strutturale mette tra parentesi l'autore storico per orientare l'attenzione sul testo considerato come un tutto costruito di ευί sí deve capire íl funzionamento . 25 . R. Βπττrετκ~, Iniroduzíone . . ., cit., ρ . 33 . 19
III. Illustrazione del metodo L'analisi di due testi biblici cí permetterà dí illustrare questo metodo . Per quanto riguarda íl primo esempio, mí limiterò a riprendere, semplificandone la formulazione, uno studio che Roland Barthes ha presentato ín un congresso dí esegeti al quale era stato invítato . 2 ó Sí tratta dell'episodio (Atti 10. 1-11 . 18) dí Cornelio, íl centurione romano visitato da un angelo che lo induce ad invitare Pietro ín casa sua . Similmente, anche l'apostolo ha ricevuto delle ingiunzioni divine, la vísíone degli animali e un impulso dello Spirito . I due uomini sí incontrano, Pietro predica, lo Spirito Santo discende per la prima volta su dei Gentili, che ín seguito ricevono íl battesimo . Questo fatto desta il sospetto della Chiesa dí Gerusalemme, la quale viene presto tranquillizzata da un discorso dí Pietro che giustifica la propria condotta . Al livello delle funzioni, incontriamo ín Atti 10 . 1-11 .18 un racconto dalle correlazioni poco numerose e generalmente semplici (es . 10 . 21 domanda dí Pietro ; 10 . 22 risposta), solo di rado complesse (es . 11 . 1 informazione allarmante ; 11 . 2-3 domanda di spiegazione ; 11 . 4 ss spiegazione ; 11 . 18 acquíetamento) . Sí rilevano immediatamente le <~ cerniere » (vísíone dí Pietro, effusione dello Spirito Santo) e i <~ riempitivi » (incontro di Pietro e dí Cornelio, con l'intermezzo della proskynesis) . A titolo dí indizio, possiamo notare la pietà dí Cornelio, che evoca l'idea dí ricompensa (ricompensa che verrà ín forma ben diversa da quella attesa) o la fame di Pietro (la quale pure sarà soddísfá~ in modo sorprendente) . Anche le índícazioní geografiche sono significative : Cesarea - joppe - Cesarea - Gerusalemme . Il solo fatto dí nominare queste città suggerisce che íl racconto è fatto di distanze constatate e poi percorse, prima d'essere annullate nella nuova destinazione . La cosa più interessante al lívello delle funzioni è senza dubbio la presenza, nel testo, dí numerosi riassunti (í messi di Cornelio riassumono a Pietro - e al lettore! - l'apparizione dell'angelo ; Cornelio la racconta un'altra volta all'apostolo nel momento del loro incontro ; Pietro riassumerà poi tutto íl cap . 10 a Gerusalemme, cap . 11 . 1-18) . 26 . Congresso di Chantilly (3-7 settembre 1969) organizzato dall'Associazione cattolica francese per lo studio della Bíbbía . II contributo dí R . Barthes e un riassunto della tavola rotonda che accompagni la comunícazíone sono stati dapprima pubblicati separatamente : R. Bn~r~~s, L'analyse structural du récit : à propor d'Actes X-XI, ín a Recherches de Sciences Religieuses ι 58, 1970, pp . 17-37 ; e X. LέoxD~~soux, Exégètes et Stru~turalístes , ivi, pp . 5-15 . In seguito , gli atti del congresso sono apparsi ín extenso : X . L~ox-Du~ou~ éd ., Exégèse et Herméneutique, París 1971 . R. Barthes mí ha autorizzato a semplificare alquanto la presentazione che egli ha dato dí Atti 10 . 1-11 . 18 . 20
A1 lívello degli attanti, un solo fatto occorre notare per íl momento: l'azione principale dei personaggí è quella dí parlare : l'angelo parla a Cornelio, Cornelio ai suoi domestici, questi a Pietro, e Pietro a Cornelio, poi alla Chiesa dí Gerusalemme, la quale si rivolge a se stessa alla fine del racconto . A1 livello della narrazione notiamo : a differenza dí certi testi poetici, íl nostro testo non nasconde íl senso globale che intende conferire a tutto l'episodio . Si dice a varie riprese (10 . 28, 34-35, 45, 47 ; 11 . 18) che l'elezione dei pagani è íl tema unico del racconto : (~ All'udíre questo, tacquero e presero a glorificare Dío, dicendo : " Dunque, anche aí pagani Dío ha dato la conversione perché abbiano la vita! " » (11 . 18) . Questa è la chiave interpretativa che íl testo offre per la propria comprensione . Resta ora da comparare l'analisi dei tre livelli, resta cioè da sapere se la struttura del testo conferma íl senso che esso vuole darsi . Il risultato è qui particolarmente accattivante . Il lívello della narrazione ínfattí (il lívello ín cui íl testo parla dí sé) è ampiamente confermato dagli altri due livelli . A1 livello delle funzioni, abbiamo notato soprattutto due elementi : le ripetizioni e le índícazioní geografiche . Tutti í commentatori rilevano l'importanza dei ríassuntí ín questo testo, ma nessuno perviene a precisarne la funzione . Un riassunto è per sua natura un díscorsa su un altro díscorso, 27 dunque uno sforzo di comunícazíone . Questo significa che, ad ogni nuovo riassunto - ce ne sono almeno cinque nel testo - sí stabilisce un nuovo circuito dí destinazione e dí comunícazíone . Così, íl nostro testo è, per la sua stessa struttura, íl luogo dí una intensa diffusione dí messaggi . Questo è l'apporto dei ríassuntí all'intelligenza del testo . Le índícazioní geografiche confermano questa scoperta : esse mostrano che le distanze che separano i personaggí sono annullate o vinte : nel corso del racconto ínfattí í personaggi sí incontrano e comunicano . A tale accordo noi possiamo aggiungere la voce del secondo lívello, íl lívello degli attanti. I personaggí dí Atti 10, a differenza dí quelli dí molti altri racconti, non sono, con i loro discorsi, dei veri attanti - Dío solo è attante ma elementi della comunícazíone. In conclusione, íl racconto, in tutta la gerarchia dei suoi lívellí, afferma un'unica cosa : la comunicazione è ora possibile, la grazia circola, íl Vangelo è offerto a tutti . Barthes propone dí definire díagrammatíca questa concordanza dei lívellí .
27 . Sotto l'influsso del filosofo J . DER~tIDA (L'écriture et la différence, París 1967 ; Defila gramm~tologia, Milano 1970), R . Barthes rifiuta ogni rapporto fra íl testo e la realtà alla quale íl testo sí riferisce .
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Il secondo esempio è tratto dal Vangelo dí Giovanni . L'argomento è la chiamata dei díscepolí . Attualmente, questo testo è trascurato dagli esegeti . Dal punto dí vista storico infatti esso fornisce índícazíoní non molto sicure . Sembra che una o più fonti siano state rimaneggiate con scarsa fortuna dall'autore . Ma, da un punto di vista strutturale, íl passo acquista importanza, e se ne comprende la collocazione nel primo capitolo del quarto Vangelo . Per mancanza dí spazio non potrò offrire che le conclusioni dell'analisi . Ecco un breve riassunto del testo (Giovanni I . 35-51): Giovanni Battista designa Gesù come l'agnello dí Dío . A queste parole, due díscepolí del Battista si rivolgono a Gesù e lo seguono . Uno dí essi, Andrea, trascina suo fratello Pietro nella scia del Maestro . All'índ~manì Gesù chiama al suo seguito Filippo, e poco dopo scopre Natanaele sotto il fico . Il racconto termina con queste parole misteriose : (~ In verità, in verità ví dico . Vedrete íl cielo aperto e gli angeli dí Dío salire e scendere sul Figlio dell'uomo ~> . Una e spulcíatura » del testo, per parlare come Roland Barthes, e l'analisi della sua grammatica cí consentono dí scoprire una struttura semplice . Il racconto è costruito secondo lo schema seguente : passaggio da uno stato ad un altro sotto un duplice impulso . Awíene infatti íl passaggio dallo stato dí uomo nato dalla terra allo stato dí credente collegato al cielo grazie alla persona dí Gesù e alla testimonianza dei credenti anteriori . Sarebbe facile mostrare che a tutti í livelli íl testo risponde a questa struttura elementare che sí può riassumere nella formula : passaggio da A a B grazie a C -~- d . Le índícazíoní cronologiche cí fanno passare da un giorno all'altro nel quadro dí una settimana che volge al termine. Cíò potrebbe benissimo sottolineare íl contesto escatologico del passaggio da un eone all'altro . Il vocabolario geografico segnala numerosi luoghi d'origine e lí oppone al cielo, destínazíone dei credenti . Tl codice onomastico, cioè l'uso dei nomi propri, rivela la predominanza del nome di Gesù, íl quale ricorre ben nove volte, mentre all'inizio del Vangelo era stato citato solo eccezionalmente . Inoltre, l'autore menziona ín modo solenne un cambiamento dí nome (quello dí Simone ín Cefa), che implíca un cambiamento dí stato . Quanto aí verbi, lí vediamo raggrupparsi ín poche opposizioni semplici : venire - restare, salire - vedere, parlare - ascoltare, cercare - trovare . L'ultimo versetto spiega queste opposizioni, e intende senza dubbio offrire la chiave del testo, il senso da conferire a tutto íl racconto . Il Figlio dell'uomo, cioè Gesù come inviato dí Dío, è mediatore fra íl cielo e la terra . Egli apre un passaggio : gli uomini possono abbandonare la loro origine terrestre per raggiungere la loro vera destínazíone . Essi cambiano íl nome, e di conseguenza lo stato, grazie alla manifestazione dí Gesù che viene loro indicato e
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che vedono, dí cui sí parla loro e che sentono parlare, che cercavano e che hanno trovato . Il potere trasformatore del Cristo diviene dunque efficace per la congiunzione dell'indice e della voce . Glí uomini possono seguire íl dito dí Giovanni Battista e ascoltare la voce dei testimoni . Così trovano ciò che cercavano : l'altrove in cui Dío sí rivela, e ín ευί Cristo dimora .
Conclusione A guisa di conclusione ío posso dire questo : la fede nascerà sempre da un incontro personale . Nell'ordine della . fede, la parola dominerà sempre sulla lingua . Ma la fede sbocca su un'intelligenza della fede . Questo pone necessariamente íl problema del linguaggio della fede, ín particolare dei testi biblici . Come ogni linguaggio, esso deve essere decifrato ; l'uomo non può rinunciare aí vari metodi delle scienze umane per comprendere l'espressione della fede . Il metodo strutturale, con l'analisi in profondità che esso renderà possibile quando abbia pienamente dimostrato la propria validità, cí consentirà l'accesso ad una migliore comprensione dei testi biblicí . 28 La forza del protestantesimo, come ha osservato Ebelíng, 29 è sempre stata quella dí osare riprendere ín teologia í metodi che sí imponevano nel mondo scientifico . Se non ha esitato a farlo per la filosofia, la storia e la filologia, altret±anto sicuri vantaggi trarrà dall'ínízíarsí al metodo strutturale . Da questo ricorso metodologico allo strutturalismo, l'esegesí biblica ricaverà due frutti : l . Per troppo tempo rivolta alla diacronia (cfr . í commenti, gli articoli del Theologisches Wórterbuch zum Neuen Testament), l'esegesi sí orienterà verso la sincronia . I testi biblici acquisteranno la loro vera índentítà, la loro vera maturità, dopo aver tollerato per tanto tempo dí essere figli dí . . . 2 . Lo strutturalismo farà da contrappeso all'analisi esistenziale . Contrappeso indispensabile, perché la vera ermeneutica è un recupero 28 . Cfr . P . R~co~~rn, Contr~7n~tían d'une réj{exíon sur le langage à une théologie de la Parole, ín < Rewe de Théologie et de Philosophie ~ III 18, 1968, pp . 333-348 . 29 . G . E~iE~~~G, Die Bedeutung der hístorísch- kritíschen Methode für die pr~testantísche Theol~gíe und Kírche, ín e Zeítschríft für Theologíe und Kírche » 47, 1950, pp. 1-46, ripreso ín G . EBE~.~~~, Wort und Glaube, I, Tübingen 1960, pp . 1-49 (cfr. particolarmente le pp . 43 ss .) .
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dí senso . Ora, nessun recupero dí senso è possibile se non sí conserva la dovuta distanza nei confronti del testo . Un'analisi strutturale non è forse un mezzo appropriato per mantenere questa distanza ? Un'esegesí genetica arricchita da un'esegesi strutturale . Un'ermeneutí.ca esistenziale accompagnata da un'interpretazione strutturale . È possibile questo ? Se sì, ecco íl mezzo per dare una più acuta consapevolezza alla nostra fede e una base più solida alla nostra professione dí fede . F~~n~~~ço~s Bovow
La lotta con l'angelo .• analisi testuale di Genesi 32 . 23-33
<~ (23) Durante quella notte egli si alzò, prese le sue due mogli, le sue due serve, i suoi undici figliuoli, e passò il guado dello Iabboq . (24) Li prese e fece loro passare il torrente, e fece passare anche tutto il suo avere. (25) Ma Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora . (26) Poi quello vide che non riusciva a vincerlo ed allora lo toccò all'articolazione del femore, e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentr'egli continuava a lottare con quello . (27) Disse colui : "Lasciami andare, perché l'aurora è spuntata" . Rispose : «Non ti lascerò se non mi avrai benedetto!" (28) Gli disse colui : "Qual è il tuo nome?" Rispose : '°Giacobbe" . (29) Riprese : «Non più Giacobbe sarà detto il tuo nome, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini, e hai vinto!" (30) Giacobbe alhra gli chiese : 'Dimmi il tuo nome, ti prego!" Gli rispose : °'Perché mai chiedi íl mio nome ?" Ed ivi lo benedisse . (31) Allora ~riacobbe chiamò quel luogo con il nome di Penuel : "Perché - disse ho visto Dio a faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva" (32) Il sole spuntò quando egli ebbe passato Penuel e Giacobbe zoppúavá dell'anca . (33) ~ per questo che i figli d'Israele, fino al giorno d'oggi, non mangiano il nervo wchiatúo, che sí trova sull'articolazione del femore, per il fatto cioè che colui aveva toccato l'articolazione del femore di Giacobbe sul nervo ischiatico >> . (Traduzione di Enrico Galbiati, La Sacra Bíbbía, UTET) . Le precisazioni - o le precauzioni - che serviranno ad introdurre la nostra analisi saranno per la verità soprattutto negative . Innanzi tutto devo dire che non esporrò í princìpi, le prospettive e í problemi dell'analisi strutturale del racconto : non sí tratta certo di una scienza, e neppure di una disciplina (non sí insegna), ma, nel 24
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quadro della semiologia nascente, è un tipo di rícerca che comincia ad essere piuttosto conosciuta, al punto che sí rischia l'impressione del luogo comune se ad ogni nuova analísí se ne espongono i prolegomeni? E poi l'analisi strutturale che verrà presentata qui non sarà del tutto pura . Certo mí riferirò per l'essenziale ai princìpi comuni a tutti í semíologí che sí occupano del racconto, e anche mostrerò, alla fine, come il nostro brano sí offra ad una analisi strutturale classica, direi canonica . Questo approccio ortodosso (dal punto dí vista dell'analisi strutturale del racconto) sarà tanto più giustificato ín quanto noi cí occupiamo dí un testo mitico, il quale è potuto giungere alla scrittura (alla Scrittura) attraverso una tradizione orale . Mí permetterò tuttavia a volte (e forse, dí sottomano, costantemente) di orientare la mia rícerca verso un tipo di analisi che mí è più familiare, l'Analisi testuale (« testuale » è usato qui in riferimento all'attuale teoria del testo, che deve essere inteso come produzione dí signíficanza, e assolutamente non come oggetto filologico, detentore della Lettera) ;1'analisí testuale cerca dí « vedere » il testo nella sua differenza - íl che non vuol dire nella sua individualità ineffabile, visto che questa differenza è « tessuta » su codici noti . Dal punto di vista dell'analisi testuale, íl testo è preso ín una rete aperta, che è l'infinità stessa del linguaggio, anch'esso strutturato senza chiusura . L'analisi testuale non si assume í1 compito dí dire da dove viene íl testo (crítíca storica), e neppure come il testo è fatto (crítíca strutturale), ma come íl testo sí disfa, esplode, si dissemina : per quali strade codificate se ne va . Infine - ultima precauzione, intesa a prevenire possibili delusioni - nel lavoro che segue non sí vorrà stabilire un confronto metodologico fra l'analisi strutturale, o testuale, e l'esegesí : non avrei in questo campo alcuna competenza .z Mí limiterò ad analizzare íl testo dí Genesi 32 (detto tradizionalmente « Lotta dí Giacobbe con l'Angelo ») come se mí trovassi nella prima fase di una ricerca (come ín effetti è): non esporrò dei « risultati », e neppure un « metodo » (sarebbe troppo ambizioso da parte mia, e implicherebbe una visione « scíentífica » del testo che non è la mia), ma semplicemente un a procedimento » . 1 . Cf~. a questo proposito: R . B~~r~~s, L'analyse stru~turale du récít : à propor d'Actes X-XI, cit . 2 . Desidero esprimere la mia riconoscenza a Jean Alexandre, la cui competenza esegetica, linguistica, storico-sociale, la cui ampiezza di vedute mí hanno aiutato a comprendere íl testo analizzato . Molte sue idee ríco~reranno ín questa analísí ; soltanto íl tímo~e dí averle deformate mi impedisce di segnalarle ogni volta . 26
I . L'analisi sequenzíale L'analisi strutturale comprende grosso modo tre tipi, o tre oggetti d'analisi, o se si preferisce, comporta tre compiti : 1 . Procedere all'inventario e alla classificazione degli attributi « psicologici », biografici, caratteriali, sociali, dei personaggi che intervengono nel racconto (età, sesso, qualità esteriori, situazione sociale o dí potere, ecc .) ; ,trutturalmente, si tratta dell'ínstanza degli indizi (notazioni, variabili all'infinito, che servono a trasmettere un significato - per esempio, la « nervosità », la « grazia », la « potenza » - nominato dall'analista nel suo metalinguaggio, mentre resta inteso che il termine metalínguistíco può benissimo non figurare direttamente nel testo, dove probabilmente non s'incontrerà mai v nervosità », « grazia », ecc ., come awíene nella maggior parte dei casi) . Se si stabilisce un'omologia tra íl racconto e la frase (linguistica), l'indizio corrisponde all'aggettivo, all'epiteto (íl quale, non dimentichiamolo, era una figura retorica) . Questa potrebbe essere chiamata l'analisi indiziale . 2 . Procedere all'inventario e alla classíficazíone delle funzioni dei personaggi : ciò che essi fanno per statuto narrativo, per la loro qualità dí soggetti d'una azione costante : í1 Mandante, l'Inviato, ecc . Sul piano della frase corrisponderebbe al participio presente. È questa l'analisi attanziale, dí cui A . J . Greimas ha per primo fornito la teoria . 3 . Procedere all'inventario e alla classíficazíone delle azioni : è íl ρίαηο dei verbi. Le azioni narrative sí organizzano ín sequenze, in successioni che appaiono ordinate secondo uno schema pseudologíco (sí tratta di una logica puramente empirica, culturale, derivata dall'esperienza, magari ancestrale, non dal ragionamento) . Questa è l' analisi sequenziale .
Il nostro testo si presta, per quanto brevemente, all'analisi índíziale. La lotta che è messa ín scena può essere letta come un indizio della forza dí Giacobbe (attestata in altri episodi del ciclo dí questo eroe) ; l'indizio ci spinge verso un senso anagogico : la forza (ínvíncíbíle) dell'Eletto dí Dío . Allo stesso modo è possibile l'analisi attanzíale ; ma siccome il nostro testo è composto essenzialmente dí azioni contingenti, sembra preferibile procedere ad una analisi sequenziale (o atíonale) dell'episodio, riservandoci tuttavia dí collegare ad essa qualche osservazione relativa in particolare agli attantí . Divideremo il testo in tre sequenze (penso che questo non possa considerarsi una forzatura) : 1 . íl Passaggio, 2 . la Lotta, 3 . l'Imposizione dei Nomí . 1 . Il Passaggio (w . 23-25) . Diamo subito lo schema sequenziale
dell'episodio . Tale schema è duplice, o quanto meno, « strabico » (vedremo l'importanza dí questo fatto) :
ττ
alzarsi
raccogliere
23
23
passare
Ι 23
raccogliere
far passare
restare solo
24
24
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II
Notiamo subito che, dal punto dí vista strutturale, alzarsi è un semplice operatore d'inizio ; si potrebbe dire in breve che per alzarsi sí deve intendere non solo che Giacobbe sí avvia, ma altresì che il discorso si mette in marcia . L'awío dí un racconto, di un discorso, dí un testo, è un luogo estremamente sensibile : dove cominciare ? Occorre far nascere íl detto dal non-detto : dí qui una vasta retorica dei contrassegni d'inizio . Tuttavia la cosa più importante è che le due sequenze (o sotto-sequenze) cí appaiono in stato dí ridondanza (probabilmente sí tratta dí un fatto normale nel discorso dell'epoca : dare un'informazione e ripeterla ; ma la nostra regola è la lettura, non la determínazíone storica, filologica del testo : noi non leggiamo íl testo nella sua ~~ verità », ma nella sua ~~ produzione » - la quale non ne è affatto la « determínazíone ») . Paradossalmente, del resto, (la ridondanza serve dí regola a rendere omogeneo, chiaro, sicuro un messaggio) quando noi leggiamo dopo due millenni dí razionalismo aristotelico (Aristotíle appunto è íl principale teorico del racconto classico ) la ridondanza delle due sottosequenze, avvertiamo un attrito, uno stridore nella sua leggibilità . Lo schema sequenzíale infatti può leggersi ín due modi : 1 . Giacobbe passa íl guado - all'occorrenza, dopo essersi spostato varie volte da usa riva all'altra, e perciò combatte sulla sponda sinistra del torrente (proviene da nord), dopo essere definitivamente passato; ín questo caso, far passare è letto : passare di persona; 2 . Giacobbe fa passare, ma personalmente non passa : combatte sulla riva desta dello Iabboq prima di passare, ín situazione dí retroguardia . Non cerchiamo una interpretazione vera (il nostro dubbio potrà forse apparire risibile agli occhi degli esegeti) ; seguiamo piuttosto nelle loro conseguenze le due diverse pressioni dí leggibilità : 1 . se Giacobbe rimane solo prima dí aver attraversato lo Iabboq, noi siamo indotti ad una lettura dell'episodio in termini e folcloristici » ; la referenza mitica, qui effettivamente macroscopica, esige che una prova di lotta (per esempio con un drago o col genio -del fiume) venga imposta all'eroe prima che egli superi l'ostacolo, vale a dire affinché, dopo la vittoria, egli possa superarlo ; 2 . se invece, dopo essere passato (lui e la sua tribù), Giacobbe rimane solo dalla parte favorevole del torrente (quella del paese nel quale intende recarsi ), íl passaggio è privo di finalità strutturale, ma acquista ín 28
cambio una finalità religiosa : se Giacobbe è solo, non è più per saldare íl suo conto e ottenere íl passaggio, ma per essere marcato dalla solitudine (è l'essere in disparte, ben conosciuto dall'Eletto dí Dio) . Una circostanza storica interviene a confermare l'impossíbí :ítà dí decidere circa le due interpretazioni . Poiché sí tratta per Giacobbe dí tornare nel suo paese, dí entrare nella terra di Canaan, íl passaggio del Giordano sarebbe assai più comprensibile del passaggio dello Iabboq . Cí troviamo insomma dí fronte al passaggio dí un luogo neutro ; tale passaggio è « rilevante » se Giacobbe deve conquistarlo sul genio del luogo ; è indifferente se ciò che importa è la solitudine, il marchio dí Giacobbe. Ma forse vi è qui la traccia mescolata delle due storie, o ahr~eno delle due istanze narrative : una più u arcaica » (nel senso semplicemente stilistico del termine) fa del passaggio stesso una prova ; l'altra, più <~ realistica », conferisce una dimensione <~ geografica » al viaggio dí Giacobbe, citando í luoghi che egli attraversa (senza attribuire ad essi alcun valore mitico) . Se appoggiamo a questa duplice sequenza íl seguito del racconto, e cioè la Lotta e l'Imposizione dei Nomí, la duplice lettura prosegue coerente fino alla fine ín ognuna delle due versioni . Riprendiamo il diagramma : Nοη passare personalmente
Lotta e Imposizione dei Nomi
Essere passati (32)
Far passare
gli altri Passare
Continuare (32)
personalmente
Se la Lotta separa íl « non passare » e l'e essere passati » (lettura folcloristica, mitica), íl mutamento dei Nomí corrisponde all'intenzione stessa dí ogni saga etimologica ; se invece la Lotta non è che un tempo intermedio fra una posizione dí immobilità (di meditazione, dí elezione) e un movimento di marcia, íl mutamento del Nome ha valore dí rinascita spirituale (dí s battesimo ») . Sí può riassumere tutto ciò dicendo che ín questo primo episodio ví è leggibilità sequenzíale ma ambiguità culturale . Il teologo soffrirebbe certamente dí questa indecisione ; l'esegeta la accetterebbe, augurandosi che qualche elemento, fattuale o argomentativo, gli consenta di porvi rimedia ; l'analista strutturale, a giudicare dalla mia personale impressione diciamo che assapora questa specie di frizione fra due intelligibili . 29
Lottare (duratívo)
II . La Lotta (w . 25-30) . Anche per questo secondo episodio siamo costretti a partire da un imbarazzo (non dico un dubbio) di leggi bilità (sappiamo che l'analisi testuale è fondata più sulla lettura che sulla struttura obiettiva del testo, campo specifico quest'ultimo dell'analísí strutturale) . Il nostro únbarazzo deriva dal carattere íntercambíabíle dei pronomi che rinviano aí due partners della lotta . Un p~ísta giudicherebbe confuso questo stile, ma la ~ confusione » che ne deriva era certamente ben tollerata dalla sintassi ebraica . Chí è « un uomo » ? Restando nell'ambito del v . 26, « un uomo » non riesce a domare Giacobbe, o Giacobbe non è ín grado dí vincere « un uomo » ? Sí veda lo sforzo, nella traduzione italiana, per togliere l'ambiguità dei problemi personali : ~~ Poí quello vide che non riusciva a vincerlo ~ (26), e disse colui ~ (27) : « quello » e e colui » sono la stessa persona ? Certo, alla fine, tutto è chiaro, ma ín qualche modo occorre fare un ragionamento retroattivo, di tipo sillogistico : Tu hai vinto Dio. Colui che ti parla è la persona che hai vinto. Dunque colui che tí parla è Dio . L'identificazione dei partners è obliqua, la leggibilità sí ottiene per via indiretta (dí qui, talvolta, commenti che sfiorano íl controsenso ; questo, per esempio : « Giacobbe lotta con l'Angelo del Signore e, sopraffatto, ricava da ciò la certezza che Dio è con h~í ») .
Strutturalτnente, questa anfibologia, benché alla fine sí chíaris~, non è in-significante . Non sí tratta, a nostro parere (íl quale, ripeto, è il parere dí un lettore presente), dí un semplice impaccio espressivo dovuto a uno stile rozzo, arcaizzante . L'anfibologia è connessa con una struttura paradossale della lotta (paradossale ín rapporto allo stereotipo dei combattímentí mitici) . Per valutare convenientemente íl paradosso nella sua finezza strutturale, immaginiamo per un istante una lettura endossale (e non paradossale) dell'episodio : A lotta con B, ma non riesce a dominarlo ; per conseguire la víttoría a qualunque costo, A ricorre a una tec~íca d'eccezione, sia che sí tratti dí un colpo basso, paco leale, un colpo proibito insomma (íl « manichino » nei combattímentí di catch), sia che íl colgo, p~ corretto, supponga una scienza segreta, ~~n « trucco » (ciò che potremmo chiamare ~~n « tiro mancino ») ; un tale colpo, che ín genere viene definito « decísivo », nella logica stessa della narrazione, concede la vittoria a colui che lo assesta : íl marchio dí cui un tale colpo è strutturalmente l'oggetto non può conciliarsi con la sua íneffica~ía : esso deve riuscire, lo vuole il dio del racconto . Ma qui succede íl contrario: íl colpo decisivo fallisce ; A, che l'ha portato, non risulta vincitore . Ecco íl paradosso strutturale . La sequenza prende allora un corso inatteso : 30
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Impotenza dí A
Colpo decísivo
26
26
(Inefficacia )
Negoziazione 27
Domanda di A 27
t Contratta Accetzinne fazione 27
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Sí osserverà che A (dal punto dí vista della struttura, poco importa che sia un uomo , Dío o l'Angelo) non è propriamente vinto, ma bloccato; perché questo bloccaggio assuma íl valore dí una sconfitta, occorre che intervenga un limite di tempo : sarà il levar del giorno (« perché l'aurora è spuntata » 27) . Questa notazione riprende íl v. 25 (« fino allo spuntare dell'aurora »), ma, adesso, nel quadro esplicito dí una struttura mitica: il tema del combattimento nott~no è strutturalmente giustificato dal fatto che a un certo momento, previsto in anticipo (che può essere il levar del sole, come ín un combattimento dí boxe è il suono del gong), le regole della lotta non saranno più valide : íl gioco strutturale cesserà, e cesserà íl gioco soprannaturale (i « demoni » sí ritirano all'alba) . Vediamo così che la sequenza installa una leggibilità inattesa, una sorpresa logica, ín un combattimento e regolare » : colui che detiene la scienza, il segreto, la specialità del colpo, risulta nonostante tutto soccombente . In altre parole, la sequenza stessa, per quanto azionale, aneddotica, ha la fu~~zíone dí squilibrare í partners del combattimento, non solo mediante la víttoría inattesa dell'uno sull'altro, ma soprattutto (sottolínei~mo la finezza formale di questa sorpresa) mediante íl carattere illogico, inverso, di questa vittoria ; ín altre parole (e ritroviamo qui un termine eminentemente strutturale, ben noto aí linguisti), la lotta, così invertita nel suo sviluppo inatteso, marca uno dei combattenti : il più debole vince il più forte, e in cambio viene marcato (all'anca) . Sembra plausibile (ma ~uí usciamo u~ po' dalla pura analisi strutturale per avvicinarci all'analisi testuale, che è visione senza barriere dei sensi) riempire questo schema del marchio (dello squílibrío) con dei contenuti di tipo etnologico . Il senso strutturale dell'epísodío, ricordiamo ancora, è il seguente : una situazione di equilibrio (la lotta nel momento dell'avio) - tale situazione è necessaria per ogni marchíat~a: lo scopo dell' ascesi ígnazíana , per esemplo, è quello dí prod~re l'indifferenza della volontà, che permette íl marchio divino, la scelta, l'elezione - è t~bata dalla víttoría indebita dí uno dei parmers : abbiamo un'inversione del marchio, una contromarchíat~a . Riallacciamoci, a questo punto, alla configurazione familiare: tradizionalmente, la linea dei fratelli è, ín principio, equíli31
orata (essi sono situati allo stesso lí~ello ín rapporto aí genitori) ; l'equígenítura è normalmente squilibrata dai diritti del prímogeníto : íl l.rímogenito è marcato . Ora, nella storia dí Giacobbe vi è l'inversione del marchio, contro-maschiatura : íl minore soppianta íl prímogeníto (Gen . 27 . 36), prende íl fratello per íl calcagno per far regredire íl tempo, è il figlio giù giovane che sí attribuisce íl marchio . Ora, abbiamo visto che Giacobbe si è fatto marchiare nella sua lotta con Dio, per c~~í sí può dire in un certo senso che A (Dio) è sostituto del Fratello maggiore, che ancora una volta si lascia vincere dal minore : íl conflitto con Esaù è spostato (ogni simbolo è uno spostamento ; se la u lotta con l'Angelo » è simbolica, ~~~ol dire che essa ha attuato uno spostamento) . Un commento - per íl quale non sono sufficientemente ferrato - dovrebbe a questo punto fornire l'interpretazione di questa inversione del marchio : cercandola sia ín campo storico-economico Esaù è l'eponimo degli Edomítí ; v'erano legami economici fra gli Edomití e gli Israeliti ; forse viene figurato qui un rovesciamento dell'alleanza, íl lancio dí una nuova lega dí interessi ? - sia nel campo simbolico (ín senso psicanalitico) : l'Antico Testamento sembra essere íl mondo non tanto dei Padri quanto dei Fratelli rivali : í prímogenítí vengono soppiantati a vantaggio dei fratelli mínorí . Freud aveva individuato nel mito dei Fratelli Rivali íl tema narcisistico della minima differenza : il colpo all'anca, al minuscolo tendine, non è forse una minima differenza? Comunque sia, in questo universo Dio marchia í figli mínorí, agisce contro natura : la sua funzione (strutturale) è quella dí costituirsi come contro-marchiatore. Per concludere su questo epísodío, ricchissimo, della Lotta, del Marchio, vorrei fare un'osservazione da semíologo . Abbiamo visto che nel sistema binario dei combattenti, che è forse il sistema binario dei Fratelli, ~l minore viene marchiato sia dall'inversione del previsto rapporto dí forze, sia da un segno corporale, la claudicazione (che facilmente rimanda ad Edipo, il Piede Gonfio, lo Zoppo) . Ara la marca è produttrice di senso ; nella rappresentazione fonologica del linguaggio, l'a uniformità » del paradigma è squilibrata a vantaggio dí un elemento marcato dalla presenza di un tratto che rimane assente nel termine correlativo e opposízionale : marchiando Giacobbe (Israele), Dio (o il Racconto) permette uno sviluppo anagogico dí senso: crea le condizioni formali per il funzionamento dí una u lingua » nuova, dí cui l'elezione di Israele è íl « messaggio ». Dío è un logoteta, Giacobbe è qui un u morfema » della nuova lingua . III . L'Imposizione dei Nomi o í Mutamenti (vv . 28-33) . L'ultima sequenza ha per oggetto lo scambio dei nomi, cioè la promozione di nuovi statuti, dí ηυονί poteri . L'Imposizione del nome è evídente-
mente collegata alla Benedizione : benedire (ricevere l'omaggio dí un suddito inginocchiato) e nominare sono atti riservati al sovrano, Abbiamo una duplice imposizione del nome :
I
Richiesta del nome, di Dio : Giaco bbe
Risposta di Giacobbe
28
II
Richiesta del nome, di GiaçEbe a Dio
30
Effetto : Muta ~ nto
28
29
Risposta indiretta
(Effetto : Decisione)
30
( ) I
Mutamento : Penuel
(31)
Il mutamento riguarda dei Nomí ; ma ín realtà t~~~to l'episodio funziona come creazione di una traccia multipla : nel corpo dí Giacobbe, nello statuto dei Fratelli, nel nome dí Giacobbe, nel nome dí Dío, nell'alimentazione (creazione dí un tabù alimentare : tutto íl racconto può essere interpretato a minimo come la fondazione mitica dí un tabù) . Le sequenze che abbiamo analizzato sono omologíche : ín tutti e tre i casi sí tratta dí un passaggio : del luogo, della linea parentale, del nome, del rito alimentare . Tutto ciò d'altra parte è ín stretta connessione con un'attí~ità dí linguaggio, con una trasgressione delle regole del senso . L'analisi sequenzíale (o atíonale) del nostro epísodío è conclusa . Abbiamo cercato, come s'è visto, dí mantenerci costantemente al livello dilla struttura, cioè della correlazione sistematica dei termini che denotano un'azione . Se ci è capitato dí far menzione dí alcuni sensi possibili, non è stato per discutere la probabilità dí tali sígníficatí, ma piuttosto per mostrare come la struttura <~ dissemini » dei contenuti - che ogni lettura può fare suoi . Il nostro oggetto non è íl documento filologico o storico, detentore di una verità da trovare, ma íl volume, la significanza del testo . II. L'analisi strutturale Gíaçché ormai l'analisi strutturale del racconto è, almeno ín parte, costituita (da Propp, Léví-Strauss, Greímas, Bremond), ío vorrei, per finire - e cancellandomi ulteriormente - confrontare íl nostro testo con due pratiche di analisi strutturale, per mostrare l'interesse che queste presentano - anche se íl mio lavoro è orientato in un 33 2
32
ΗΑΑ1'ΣΙΕ5
senso un po' di~erso.3 Queste pratiche sono l'analisi attanzíale dí Greímas e l'analisi funzionale dí Propp . I . Analisi attanziale . La griglia attanzíale messa a punto da Greímas 4 - dí ~uí, a detta dello stesso autore, conviene servirsi con prudenza ed elasticità - distribuisce i personaggi, gli attori dí un racconto ín sei classi formali di attantí, definiti da ciò che essi fanno per statuto e non da ciò che essi sono psicologicamente (l'attante può riunire ín sé più di un personaggio, ma allo stesso modo un personaggio può riunire ín sé parecchi attantí ; può anche essere figurato da un'entità inanimata) . La Lotta con l'Angelo costituisce un epísodio ben noto dei raccontí mitici : il superamento dell'ostacolo, la Prova . A1 livello di questo epísodio (per tutto il ciclo dí Gíacobbe la cosa sarebbe forse diversa), gli attantí vengono « riempiti » nel modo seguente : Gíacobbe è íl Soggetto (soggetto della domanda, della rícerca, dell'azíone) ; l'Oggetto (dí questa stessa domanda, rícerca, azione) è íl passaggio del luogo custodito, difeso, l'attraversamento del torrente, dello Iabboq ; íl Destínatore , colui che mette in circolazione la (~ posta ~> della rícerca (cioè íl passaggio del torrente) è evidentemente Dío ; íl Destinatario è ancora Gíacobbe (due attantí sono dunque presenti in una stessa figura) ; l'Oppositore (colui o coloro che ostacolano il Soggetto nella sua rícerca) è Dio stesso (miticamente, è lui che ~ustodísce íl passaggio) ; l'Aiutante (colui o coloro che aiutano íl Soggetto) è Giacobbe, che sí aiuta con la propria forza leggendaria (tratto indízíale, come abbiamo visto) . Immediatamente si ríle~a íl paradosso, o almeno il carattere anomíco della formula: è assai comune che íl soggetto sia confuso col destinatario ; più raro è il caso in cui il soggetto è l'aiutante dí se stesso ; questo awíene normalmente solo nei raccontí o nei romanzi <~ volontarístí » ; ma non succede quasi mai che íl destínatore sia anche l'oppositore ; un solo tipo dí racconto può mettere ín scena una simile formula paradossale : í raccontí che parlano dí un ricatto . Certo, se l'oppositore non fosse che íl detentore (provvisorio) della posta, non ví sarebbe nulla di straordinario : è appunto íl ruolo dell'oppositore quello dí difendere la proprietà dell'oggetto che l'eroe vuole conquistare (è íl caso del drago che custodisce un passaggio) ; ma qui, come ín ogni ricatto, Dio da una parte difende íl torrénte, dall'altra dispensa il marchio, íl privilegio . Come sí vede, la formula attanzíale del nostro testo è tutt'altro che tranquillizzante : strutturalmente essa è molto audace, il che corrisponde bene allo ~c scandalo ~> figurato dalla sconfitta dí Dio . 3 . Il mio lavoro sulla novella dí BALZAC Sarrasine (S-Z, Paris 1970) appartiene piuttosto all'analisi testuale che non all ' analisi strutturale . 4 . Cfr. soprattutto A . J. G~~~~~~as, Semantica strutturale , cit . e Du sens, cít .
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1
II . Analisi funzionale . È noto che Propp ha stabilito per primo s la struttura del racconto popolare, distribuendo ín essa delle funzioni,s o atti narrativi . Le funzioni, secondo Propp, sono elementi stabili, il loro numero è limitato (una trentína),1'ordíne dí successione è costante, anche se talune funzioni possono mancare ín questo o quel racconto . Noí vedremo come ìl nostro testo soddisfi ín maniera perfetta a una porzione dello schema f~~~zionale elaborato da Propp : l'autore non avrebbe potuto immaginare applicazione più convincente della sua scoperta . In una sezione preparatoria del racconto popolare (così come è stato analizzato da Propp), sí dà necessariamente un allontanamento dell'eroe ; ed è ciò che awíene nel racconto delle imprese dí Gíacobbe : Isacco invia Gíacobbe lontano dal suo paese, presso Labano (Gen . 28. 2 e 5) . Il nostro epísodio comincia veramente al n . 15 delle funzíon~ narrative dí Propp . Νοί codificheremo nel modo seguente, mettendo in rilievo punto per punto íl parallelismo impressionante dello schema dí Propp con íl racconto della Genesi : PROPP E IL RACCONTO POPOLARE 15 . Trasferimento da un luogo ad un altro (mediante uccelli, cavalli, imbarcazioni, ecc.) .
16 . Combattimento del Cattivo e dell'Eroe. 17 . Marchíatura dell'Eroe (generalmente sí tratta dí ~~n segno sul corpo, ma ín altri casi può essere íl dono dí un gioiello, dí un anel-
GENESI Partito dal Nord, dal paese degli Arameí, dalla casa di Labano, Gíacobbe sí sposta per tornare da suo padre (29 . 1, Gíacobbe sí mette in cammino) . È la nostra sequenza della Lotta (32. 25-28). Gíacobbe viene marchiato all'anca (32 . 26-33) .
lo) .
18 . Vittoria dell'Eroe, disfatta del Cattivo. 19 . Eliminazione della sciagura o della mancanza : la sciagura o la mancanza sí erano prodotte durante l'assenza iniziale dell'Eroe : tale assenza è rimossa .
Vittoria dí Gíacobbe (32.
27) . Dopo essere riuscito a passare Penuel (32. 32) Gíacobbe raggiunge Síchem, nella terra di Canaan (33 . 18) .
5 . V . Pxorr, Morfologia della fiaba, Topino 1966 . 6 . II termine a funzione n è, purtroppo, sempre un termine ambiguo . All'inizio lo abbiamo usato per definire l'analisi attanzíale che considera íl personaggio secondo
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Ví sono altri punti dí parallelismo . Nella funzione 14, in Propp, l'eroe riceve un oggetto magico ; íl talismano è certamente, per Giacobbe, la benedizione che egli ottiene dí sorpresa dal padre cieco (Gen . 27) . D'altra parte, la funzione 29 mette ín scena la trasfigurazione dell'eroe (per esempio : la Bestia si trasforma in un bel signore) ; una trasfigurazione sembra essere ben presente nel cambiamento del Nome (Gen . 32 . 29) e nella rinascita che vi è ím~licíta . Certo, íl modello narrativo assegna a Dío íl ruolo del Cattivo (sí tratta di un r~~clo strutturale, non psicologico) : íl fatto è che l'episodio della Genesi sí lascia leggere come un vero stereotipo del racconto popolare : íl passaggio difficile dí un guado custodito da un genio ostile . Un'altra somiglianza col racconto popolare è che ín entrambi í casi le motívazíoní dei personaggi (íl perché del loro agire) non sono dichiarate : l'ellíssí delle n~tazioní non è un fatto dí stile, ma un carattere strutturale, pertinente, della narrazione . .L'analisi strutturale ín senso stretto concluderebbe dunque che la Lotta con l'Angelo è con ogni evidenza una vera e propria fiaba, dato che, secondo Propp, tutte le fiabe appartengono alla stessa strutt~:ra, la struttura che egli ha descritto . Come sí vede, ciò che potremmo chiamare lo sfruttamento strutturale dell'episodio è del tutto agevole, sembra anzi imporsi naturalmente . Io direi tuttavia, per concludere, che la cosa che Fiù mi interessa in questo celebre passo non è íl modello <~ folcloristico ~>, ma le frizioni, gli strappi, ciò che rende discontinua la leggibilità, la gíustapp~sízíone delle entità narrative che sfuggono sempre un poco ad una articolazione logica esplicita: cí troviamo dí fronte (questo, almeno per me, è íl tratto che conferisce sapore alla lettura) a una specie dí montaggio metonimico : i temi (Passaggio, Lotta, Imposizione dei Nomí, Ríto alimentare) sono combinati, e non 4 sviluppati » . Queste fratture, íl carattere asíndetico del racconto, sono perfettamente enunciate da Osea (12. 4) :
Certo, sí rischia così di sminuire la portata storico-economica dell'epísodío (che certamente esiste, al livello degli scambi fra tribù e dei problemi di potere) ; ma ín cambio sí rafforza l'esplosione símbelíca del testo (che non sarà necessariamente d'ordine religioso) . Il problema, almeno quello che ío mí pongo, è ín effetti quello di riuscire a non ridurre íl Testo a un significato, qualunque esso sia (storico, economico, folcloríco o kerígmatíco), ma a mantenere aperta la sua sígníficanza . ROLAND BARTHES
e Egli nel seno materno soppiantò íl fratello // quando fu nel suo vigore lottò con Dio . // Lottò con l'angelo e prevalse » . La logica metonimica, lo sappiamo, è la logica dell'inconscio . In questa direzione, forse, bisognerebbe proseguire la ricerca, che è, ripeto, la lettura del testo, la sua disseminazione, non la sua verità .
íl ruolo da esso svolto nell'azione (cíb che costituisce appunto la sua « funzione s) ; nella te~mínologia dí Propp, l'uso viene spostato dal personaggio all'azione, dí cui sí considera il collegamento con le altre azioni prossime .
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~Jn esegeta d~i fronte a Genesi 32 .23-33
Le pagine che seguono non hanno lo scopo di presentare un'esegesi esaustiva del celebre episodio della lotta dí Giacobbe con l'angelo (Gen . 32 . 23-33),~ ma dí mostrare come lavora l'esegeta con un testo biblico, ciò che egli fa praticamente quando commenta una pagina della Scrittura . Naturalmente, l'esegeta sí avvale del contributo di specíalístí : 2 grammatici, storici, critici letterari . . . ; in particolare 1 . Per íl testo dí Genesi 32. 23-33 cfr . l'inizio del saggio di Roland Barthes . 2 . Opere consultate : Fra í ~ommentí : H. HOLZINGER, Genesis, Kurzer Hand-Commentar zum Alten Testament, Freíburg 1898 . H. Guκκτ+.τ., Generis, Handkommentar zum Alten Testament, G~ttingen 2a ed . 1902, 3° ed. 1920 . O . P~ocxsc~, Die Genesis, Kommentar zum Alten Testament, Leipzig, 3a ed. 1924. J . S~~r~w~~~, Genesis, The International Critical Commentary, Edinburgh, 2a ed. 1930 . j . C~~a~xE, Le livre de la Genèse, Lectio Dívína, 3, Paris 1948 . C. A. SIMPSON, Genesis, The Interpreter's Bible, New York 1952 . G . VoN Ran, Das erste Buch Mose, Das Alte Testament Deutsch, Gδttingen, 1° ed . 1949 ; traduzione italiana: Genesi, Bτescía 1972. A . CLAMER, Genèse, La Sainte Bible, Paris 1953 . E. A. BPEISER, Generis, The Anεhοτ Bible, New York 1964 . H . Ma~.v, Genesis, The .Jerome Biblical Commentary, Englewood Cliffs, N . J ., 1958 . Fra g1í articoli : K . ELLIGER, Der Jakobskampf am Jabbok, ín M Zeítschrift fü~ Theologíe and Kirche a 48, 1951, pp .1-31, poi ín Kleíne Schriften zum A . T., Theologische Büchereí, 32, 1966, Munchen, pp . 141-175 J . SCHILDENBERGER, Jakobs na~htlicher Kampf mít dem Elohim am Jabok (Gen . 32. 23-33), ín Miscellanea Biblica B . Ubach, Scripta et Documenta, I, Montiserratí 1953 (1954), pp . 69-96 .
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fonda íl suo lavoro sulla filologia semitica, l'archeologia medíoríentale e la storia comparata delle religioni. Egli sa che il numero delle d~scipline che possono essergli utili continua a crescere, e che, sotto una forma o l'altra, lo strutturalismo sarà certamente una dí queste. Lo strutturalismo infatti mette l'accento sull'importanza del testo, dí contro all'esegesí classica, la quale, per quanto strano ciò possa sembrare, a volte tende a trascurarlo, preoccupata com'è dí scriverne la pre- o la post-istoria . Lo strutturalismo insomma riconduce íl critico biblico dí fronte ad un fatto ineluttabile : la testimonianza scritturale . L'esegeta che sia anche teologo cercherà, sia per vocazione che per inclinazione, di cogliere il messaggio, íl kerigma, nel passo studiato ; senza trascurare altri aspetti, si preoccuperà soprattutto di metterne in luce la portata teologica, la veríta . 3 A questo proposito, l'awertímento conclusivo dí Roland Barthes, nella comunicazione che precede, riveste un indubbio interesse . Rifiutandosi di ridurre íl testo a un sígníficato, qualunque esso sia, l'autore invita il teologo non solo a non imporre íl suo credo allo scritto biblico, ma a non chiudere prematuramente il suo dialogo con esso . L'esegeta, nell'accostare una pagina della Scrittura, non può lasciarsi prendere dalla fretta, ma deve invece prendere tempo, dimenticando in qualche modo ciò che egli crede dí sapere a quel proposito, deve mettersi in ascolto . e EvangeliH . J . Sro~~t~, Der heilsgeschúhtliche Bezug der Jabboks -Peri~ope, ín sche Theologie » 14, 1954, pp . 466-474 . O. E~ss~~~.~r, Non d~mittam te nísi benedixeris míhi, ín Mélanges Bibliques A. Robert, Paris 1957, pp . 77-81 . L. S~sou~~~, La lutte de Jacob avec EZohím (Geu . 32. 23-33), ín x Sciences Ecclésíastíques » 10, 1968, pp . 77-89. Genèse XXXII F. Vw~ T~~cr, La signification de la lutte de,~acob près du Yabboq, 23-33, ín x Oudtestamentísche Studíën ~ 12, 1958, pp . 280-309 . D . P~cc~~~~, Réflexions sur l'interprétatí~n chrétienne de trois récits de la Genèse, ín Hommage à W. Vischer, Montpellier 1960, pp . 187-190 . pp . 69-77 . J . M . T ~z~, La lutte de Jacob avec l'ange, ín x Chrístus » 9, 1962, Biblical J . M . L. Mne K~~z~~, Jacob at Pe~iel, Gen. 32 . 24-33, in x The Catholíc Quańerly » 25, 1963, pp . 71-76 . H . SF~BASS, Dei Erxvater Israel, Beihefte zw Zeítschrift fü~ die alttestamentlí~he Wíssenschaft, 98, Berlin 1966, pp . 17-20 . 3 . È íl caso della tradizione protestante, in particolare nella linea dei Riformatori, ín K. Ba~th e R . Bultmann e nei loro discepoli . Le prospettive cattolica ed ebraica conto attraverso un'esperienza mi sembrano diverse, come ho potuto ~endermí dí studi breve, ma appassionante a Gerusalemme, ín occasione di un convegno sull'Antico Testamento che riuniva teologi ebrei, cattolici e protestanti ; la prima tradizione della dí queste letture manifesta la preoccupazione dí saldare l'esegesí alla da Mosè a Chiesa, la seconda presenta una successione dí glosse esegetiche che, commentatore ebraico sa infatti, : íl giustappongono senza escludersi Elia Wiesel, si . 52) . come lo scriba del Vangelo, cavare dal suo tesoro cose antiche e nuove (Matteo 13
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Qualsiasi testo richiede lunghe attenzioni prima dí a concedersi a ;
• quando già lo sí von ebbe far tacere, ha ancora qualche segreto da rivelare . Dire il sígníficato kerígmatico dí un passo; non è un mezzo per impadronirsi della pagina al fine di sbarazzarsene, ma deve piuttosto aprire la via ad una meditazione più approfondita . L'esegeta sa benissimo che í risultati del proprio lavoro devono essere costantemente riconsiderati : lo esigono í progressi continui delle scienze alle quali ricorre, come pure ~l fatto che le sue spiegazioni rimangono sempre legate alla sua persona, al suo ambiente, alla sua epoca . Tuttavia egli è consapevole di partecipare a un'opera secolare, í cui inizi risalgono alle origini della storia dí Israele ; íl suo contributo sí inserisce nella vasta corrente dell'interpretazione della Scrittura, corrente che è cominciata con í primi scritti dell'Antico Testamento, come attestano lavori recenti sulla tradizione veterotestamentaría 4 Quando legge un passo biblico, l'esegeta sí serve dí un metodo cumulativo, ricorre alla collaborazione dí numerose discipline s Eglí aspirerebbe ad essere non solo filologo, storico, critico letterario e specialista di scienze religiose, ma anche linguista, economista, poeta • filosofo . I predecessori gli hanno tracciato le strade da seguire : í suol patroni sono J. Wellhausen e H. Gunkel .s Il primo rappresenta la scuola storico-critica, erede del Rinascimento e dell'Aufkl~irung, la quale sí è sviluppata a partire dalla seconda metà del secolo XIX e la cui preoccupazione dominante è stata duplice : ricostituire il testo primitivo della Scrittura sulla base dei più sicuri manoscritti ebraici e delle versioni antiche, e risistemare í documenti biblici nel loro ordine cronologico alfine dí potere redigere la vera storia del popolo d'Israele . Il secondo, più vicino allo spirito romantico, è íl padre della scuola della storia delle forme. A lui sí deve l'interesse che sí è manifestato in modo crescente da un mezzo secolo a questa parte per lo studio dei generi letterari, del loro luogo d'origine e delle loro trasformazioni, • inoltre per la storia delle tradizioni (o motivi) bibliche .' L'esegeta, 4. Cfr. su questo punto i lavori di M . Norme e dí G . Vox Ran, e dí quest'ultimo, ín particolare, la Teologia dell'Antí~o Testamento, Brescia, t . I, 1969 ; t. II, 1970. 5 . Come ha giustamente osservato H . RINGGREN, Literarksítik, Formgeschí~hte, Uberlieferungsges~hi~hte, in x Theologísche Líteratwzeítung ~ 91, 1966, col . 641-650. 6 . Per uffa informazione sulla storia della ricerca veterotestamentaría dopo la Riforma, cfr . H . J . K~~~~s, Ger~hí~hte der hístorísch-kritis~hen Erfors~hung des Altera Testaments, Neukírchen Kreís Moers, 1956 . 7 . Sulla scuola della storia delle forme, cfr . K~. . KoC~, LVas ist F~rmges~híchte ?, Neukírchen-Vluyn 1964 . H . Gu~~c~~, ha scritto un libro magistrale sulla storia dí una tradizione a creazione e caos » fin dal 1895 (S~h~pfung und Chaos in Urxeit und Endzeií . Eíne religíonsgeschi~htlíche Untersuchung über Gen . I und Ap . ,boh . Y2), G~ttíngen.
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ancora oggi, è largamente debitore a questi due maestri : non potrebbe ignorare í loro metodi, anche se gli sono offerte nuove possibilità dí ricerca. Il testo di Gen . 32 . 23-33 mi sembra imporre un triplice approccío . Sí tratta~nnanzí tutto, nella linea di J . Wellhausen, di stabilire íl testo ebraico da commentare, di riconoscerne i limiti e gli elementi principali che lo costituiscono . Questo approccio - in superficie - dell'epísodío della lotta di Giacobbe con l'angelo deve essere seguito da una lettura - ín profondità - ispirata alla scuola di H . Gunkel, che rivolge la sua attenzione al genere letterario e aí diversi motivi che íl testo mette ín opera . Infine occorre tener conto del fatto che Gen . 32 . 23 ss . non è un racconto isolato, ma fa parte dí un insieme : il contesto determina un significato che il commentatore non può disconoscere . Evidentemente questi tre approcci sí condizionano mutuamente ; vengono qui distinti soltanto per la chiarezza della esposizione, anche se di fatto è difficile separarli .
Primo approccio La tradizione massoretíca, cioè la versione ufficiale ebraica dí Gen . 32 . 23-33, è solidamente stabilita, e il testo ebraico non offre díff~coltà di rilievo a questo proposito . Le poche varianti segnalate dall'apparato critico riguardano ín genere questioni dí dettaglio : al v . 24, per esempio, le versioni aggiungono u~~ « tutto » a ~~ ciò che egli possedeva », il che costituisce una ulteriore precisazione, e al v. 31 il Pentateuco samaritano, Símmaco, la Síríaca e la Volgata leggono, come al v . 32, Penuel, e non Peniel .e Si tratta dunque dello stesso luogo : la confusione fra u e i, qui vestigio di un antico genitivo, è frequente ín ebraico . Dí maggiore rilevanza è il modo con cui le versioni hanno reso la parte finale del v . 29 . La versione dei Settanta ha : ó~~ ~v~~~~~~~ ~~~~ ~~o~ x~~ ~~~~ ~v~~~~~~~v ~w~~ó~, che Clamer traduce ~ poiché tu sei stato forte contro Dío, anche degli uomini trionferai » . La Volgata è ancora più netta : quoníam si contra Deum fortem fuisti, quanto magis contra homines praevalebis . In questo caso, la vittoria dí Giacobbe su Dío è íl pegno dei successi che egli riporterà contro gli uomíní . R . de Vaux, nella Bible de Jérusalem, adotta questa lettura, mentre E . Dhorme, nella Bíbbía della Pléiade, traduce : ~< perché tu hai combattuto εοη Elohim come εοη gli uomíní, e hai 8 . I Settanta hanno trascritto o piuttosto tradotto Penu/iel con Ed~o~ ~~oi~ .
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vinto ».° Il testo ebraico (seguito da vicino dalla traduzione italiana dí E . Galbíati) ha : « perché tu hai lottato con Elohim e con gli uomíní, e hai resistito », alludendo alle lotte sostenute da Giacobbe ín passato . Io preferisco, ínsi~me con H . Gunkel, G . von Rad, E . A . Speiser tra gli altri , questa lezione, lectio difj"~cilior, indubbiamente anteriore alla versione greca, che cerca di chiarire un passo oscuro . Il nome che Giacobbe riceve sí riferisce dunque ín primo luogo alle difficoltà che egli ha già affrontate . 10 Si deve notare inoltre che la versione ebraica presenta certe caratterístíche sonore che passano inavvertite nella traduzione, greca, latina o moderna che sia. I racconti biblici, specialmente quelli della Genesi, per lungo tempo sono stati trasmessi oralmente, e, anche dopo essere stati scritti, furono molto più uditi che letti . Il problema è quello dí prestare attenzione a questo fenomeno, di imparare a pensare in suoni e non soltanto in lettere, come cí invita a fare L . AlonsoSchoekel nel suo libro La parola ispirata, quando cí propone dí « tener conto dí questo fatto tanto capitale quanto trascurato : la parola è prima di tutto orale »?~ In questa perícope noi incontriamo due etimologie fondate su assonanze, come frequentemente avviene nella Genesi. Il v . 29 dice che Giacobbe sarà chiamato Israele (Isra-El) perché ha lottato con Dío (sarita im Elohim) ; 12 íl v. 31 racconta che Giacobbe ha denominato il luogo del suo incontro con Dío Penu/iel (cioè Faccia dí Dío) perché, egli dice, « Ho visto Dio (Elohim) a faccia a faccia (panim el panim) e ho avuto salva la vita » . Un terzo elemento merita dí essere preso ín considerazione : il racconto comincia con una serie dí allitterazioni ín ~uí sí mescolano le consonanti gutturali, b/v e k/q (w. 23-27) ; ín particolare la narrazione collega l'eroe della storia (Jacob) al luogo (Iabboq) e all'evento che ín questo luogo sí produce (la lotta), per íl quale l'autore usa un verbo assai
9 . R. D~ Va~~x, La Sainte Bible, detta Bible de Jérusalem, París 1953, traduce a Perché tu sei stato forte contro Dío, anche contro gli uomíní vincerai n, soppńmendo la copula davanti a a vincerai n . j . Se~~~.~~E~aBE~o~a~ ( ~p. cit., p . 73) rítíene questa versione più chiara e ín accordo col contesto, ma questo non è un argomento contro la versione ebraica . E. Dhorme rítíene che la copula segni ín questo caso una comparazione . 10 . H . S~~isnss (op. cít ., p . 18, nota 30) rítíene che l'espressione del v . 29 b (son Elohim e son gli uomíní) indichi che Giacobbe sí è mostrato superiore a tutü gli esseri che ha incontrato, divini o umani . Le parole a e con gli uomíní n sono state talvolta considerate una glossa, ma nulla permette dí affermarlo (cfr . F . Vai ~~~cr, op . ~ít ., p . 288) ; secondo K. E~~.~c~~~ (op . cít., 1966, p . 165) sarebbero state aggiunte dallo Yavísta.
11 . L. A~.o~so-Se~o~~~~,, La Parola ispirata, Brescia 1971, p . 220. 12 . Leggere forse E1 invece di Elohím .
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raro : 'bq, che può significare « rotolare nella polvere », da cuí in ebraico la successione Ia'agob, Iabbok, 'abaq (v . 23, 25, 26). 13 Il narratore della Genesi insomma sí compiace di giocare con i suoni . I confini del racconto della lotta dí Giacobbe con l'angelo sono relativamente agevoli da fissare . L'inizio del capitolo 32 è dedicato aì preparativi fatti da Giacobbe ín vista del suo incontro con Esaù (w. 3-22), l'incontro cí viene raccontato al capitolo 33 (w . 1-16) . Gen . 32. 23 segna chiaramente un punto dí partenza : íl patriarca sí alza con l'intenzione dí passare il guado dello Iabboq (w . 23 ssJ, e Gen . 32 . 33 segna non meno chiaramente una conclusione, con la formula caratteristica delle storie etiologíche « è per questo che » . Gen. 32 . 23-33 costituisce così un tutto che può essere facilmente distinto dal contesto, tanto che certi autori come O . Eissfeldt e M . Noth non hanno esitato a considerare questi versetti come un corpo estraneo nella storia dell'incontro fra Giacobbe e suo fratello .14 Il testo comprende una introduzione (w . 23-24, con una formula dí passaggio, forse, che collega maldestramente íl nostro episodio a ciò che precede) che situa l'awenímento sul piano spaziale e temporale : Ia lotta awíene dí notte e presso un torrente . Il corpo del racconto descrive íl combattimento, il cuí momento cruciale è evocato dal dialogo fra íl patriarca e íl suo misterioso awersarío (w . 25-30) . L'autore conclude aí w . 31-33 mostrando le conseguenze per Giacobbe del suo incontro con Elohim ; íl v . 32 contiene pure un'índícazíone di tempo e di luogo : íl sole sí leva quando íl patriarca passa a Penuel ; e íl v . 33 aggiunge una prescrizione d'ordine rituale che si rivolge aí discendenti del patriarca . Questa storia, che a prima vista sembra assai limpida, contiene diverse incongruenze quando sí guardi il testo un po' più da vicino . Non sí sa se Giacobbe ha attraversato o no lo Iabboq : íl v . 23 lo afferma, íl v . 24 sembra ín contrasto con íl precedente. La descrizione della lotta è ambigua, tanto è vero che il patriarca, che sembra vittorioso al v . 29, è felice d'essere sfuggito alla morte al v . 31 . L'anca di Giacobbe sí sloga durante il combattimento (v . 26 b) o ín seguito .ad un colpo magico (un colpo basso) portato dall'awersarío (v. 26 a) . La benedizione è implicita al v . 29 b, è esplicita al v. 30 . Cí sí stupisce .ancora dí incontrare una duplice richiesta del nome (v . 28, 29), una 13 . L. 5~+~;ou~~~x (op . cít ., p . 87, nota 59) osserva che íl verbo 'ibbeq ricorre soltanto ín questo luogo, a motivo certamente della sua assonanza con Iabboq e anche con Ia'agob : egli sottolinea inoltre, seguendo E . Cassuto, la frequenza del verbo 'ab~r (attraversare) nel capitolo 32 (cfr . v . 11, 17, 22, 23, 24, 32 ; cfr. inoltre 33 . 2, 14) . 14. Referenze ín J. Se~~~.n~~~;~:~~c~~~, op . cít., p . 76 .
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triplice menzione dell'aurora (v . 25, 27, 32), Peníel (v. 31) accanto a Penuel (v . 32). Colpiti dai doppioni e dalle incongruenze del passo, i critici da molto tempo hanno applicato ad esso la teoria documentaria sviluppata da J . Wellhausen e hanno pensato di ritrovare in Gen . 32 . 23-32 due versioni, una jahvista, l'altra elohista, dí uno stesso epísodío della vita del patriarca ; ma sono ben lontani dall'aver trovato un accordo sui particolari della ripartizione dei versetti fra J ed E, come ha mostrato K . Ellíger?5 Cíterb uno solo dí questi tentativi di ricostruzione delle fonti jahvista ed elohista, uno dei più recenti, quello di H . Seebass.ls Secondo questo autore, J è presente nei w . 24-26 a, 27-29, 30 b, 32, í quali raccontano come Giacobbe ha incontrato un essere divino ínferíore, lo ha vinto, e ha ricevuto un nome nuovo e la benedizione dí Dio ; secondo E, attestata dall'impiego di Elohim, nei w . 23, 26 b, 30 a, 31, íl patriarca ha a che fare direttamente con Dío, ma non lo riconosce se non nel momento ín cui questi si rifiuta dí svegliargli la sua identità ; egli capisce allora dí essere sfuggito per poco alla morte . Così, in ~~~~ caso Giacobbe risulta vincitore nella lotta, nell'altro viene sconfitto, ciò che sembra essere in accordo con una dichiarazione, del resto oscura, del profeta Osea ;l' per una delle tradizioni è importante il cambiamento del nome (Giacobbe diventa Israele) ( J), per l'altra ha importanza la menzione di Penuel e ciò che essa evoca (E) . La divisione di Gen . 32 . 23 ss . fra J ed E non ha raccolto l'adesione dí quegli esegeti che, senza negare le difficoltà sollevate dal testo biblico, ne difendono la fondamentale unità . Questa è in particolare l'opinione di S . R . Driver, W . Eíchrodt, P . Voli, O. Eissfeldt, M. Noth, G . von Rad, opinione sostenuta recentemente con vigore da K . 15 . Per H . Holzínger (1898), í v. 23, 25-29, 32 b = j ; 24, 30-32 a = E (33 = glossa) ; per H . Gunkel (1910), í v . 23, 25 b, 26 b, 30 s, 32 b = J ; 24, 25 a, 26 a, 2729, 32 a = E (33 = aggiunta) ; per J . Skínner (1917), i v . 23 a, 24 a, 25 a = J ; 23 b, 24 b = E, íl rimanente = jE ; per C . A. Símpson (1948), i v . 24-30, 32 = Jl X J8 ; 23, 31 = E (33 = glossa), ecc. (cfr . K. E~,~.~~~~, op . ńt . 1966, p . 146) . 16 . Op . tit., p . 17-20, cfr . anche H . Cazelles, amo. a Pentateuque x, Supplément au Díctinnaíre de la Bíble, t. 7, Paris 1966, col. 777 s . 17 . Il testo dí Osea è poco chiaro . Il profeta evoca la lotta fra Dío e Giacobbe : sembra che quest'ultimo sia vittorioso, ma così non sí comprendono i suoi pianti (v . 4 s.) . E. Jncos propone dí modífica~e lievemente íl testo : sarebbe Dío (El) che trionfa sul patriarca e lo costringe a domandare grazia (Commentaire de l'Ancien Testamene, XI a, Neuchâtel et París 1965) ; secondo E . Dxo~~~~~ invece (Bible de la Pléiade) l'angelo deve ~apítolare dí fronte a Giacobbe . Ad ogni modo, Osea utilizza liberamente la t~adízíone su Giacobbe col proposito di fare una requisitoria contro í suoi contemporanei, e dí conseguenza può benissimo aver insistito deliberatamente sull'umiliazione del patriarca .
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Ellíger18 La maggior parte di questi autori ammette che Gen . 32 . 23-33, tranne forse un doppione all'inizio del racconto (w . 23-24) e una chiosa finale (v . 33), è da attribuirsi allo Jahvista .is Questo punto dí vista mí pare giusto . La perícope, nonostante
definitiva ín cui ora si trova . . . Allora non ci sí meraviglierà che nella struttura ví siano delle crepe e che non tutti í singoli elementi formino un insieme organico e non sempre abbiano fra loro rapporti del tutto owi ~>. 20 Con questa citazione siamo entrati ormai nella
qualche oscurità, che d'altra parte non sí deve esagerare, presenta una certa coesione ; indubbiamente íl suo awío è infelice, ma la ridondanza dei w . 23-24 sí spiega probabilmente col desiderio del redattore dí collegare l'episodio con ciò che precede . Se z vero che íl v . 33 ha l'aria dí un'appendice, verosimilmente esso sí riferisce ad un antichissimo tabù . Quanto al resto, è normale che il combattimento
seconda via d'accesso, ispirata dalla scuola della storia delle forme, la quale sí aggiunge opportunamente allo studio storico-critico .
rimanga indeciso fino alla fine ; lo stile dell'autore è volontariamente ambiguo (uso frequente della 3a persona singolare) per lasciare l'ascoltatore (e íl lettore) nell'incertezza dell'esito . Il colpo che
Nel suo commento, H . Gunkel ha messo ín evidenza l'importanza della saga zi nella Genesi e ne ha precisato le caratteristiche e í fini . Secondo lo studioso, la saga illustra e spiega una realtà biologica,
Giacobbe riceve pub aver provocato la lussazione dell'anca (v . 26),
geografica o umana, racconta una storia semplice e viva, nella quale intervengono pochi attori i cui gesti contano molto più che non la loro psicologia . Lavori successivi hanno confermato le opinioni dí H . Gunkel e hanno dimostrato come la narrazione israelita, la cui origine risale all'epoca seminomade, non sia un prodotto dí pura fantasia, ma segua regole determinate. L'autore mette ín scena due o tre
íl nome dato al patriarca non esclude che questi riceva la benedizione (v . 29 s .), la duplice interrogazione (v . 29 s .) appartiene all'arte del racconto che mette in presenza due interlocutori dí volta ín volta interroganti e interrogati . Peniel non è altro che Penuel (v . 31 s .) e la menzione ripetuta dell'aurora, ín una storia ín cui l'oscurità svolge un ruolo così importante, non può sorprendere . La divisione di Gen . 32. 23 ss . ín due versioni parallele non è affatto un dato che s'imponga necessariamente . Il racconto del guado dello Iabboq mette ín luce i limiti del metodo preconizzato dalla scuola dí j . Wellhausen . Il testo biblico resiste ín molti casi a un'applicazione sistematica della teoria delle fonti : non è un cadavere che possa essere sezionato a piacere da anatomisti, ma fa parte di una tradizione νίνα della quale riflette una tappa . Non lo sí può leggere se non sí tiene presente che la tradizione massoretíca ha un passato lontano, suppone una successione di narratori e si ríferísce ad una mentalità diversa dalla nostra : esige insomma dí esseri trattata con molta cautela . (~ Questa narrazione , scrive giustamente G . von Rad, ci rende evidente, più che tutte le altre antiche tradizioni patriarcali, qualcosa del lungo processo. formale a c~í íl materiale è stato sottoposto nel corso dí vasti periodi della storia . Numerose generazioni gli hanno dato configurazione e significato, è stato ín movimento per lunghi secoli fino a che sí è per così dire irrigidito nella forma
18 . Op . cít., p . 146 ss .
19 . Tuttavia O . E~ss~E~a~r (1922) attribuisce Gen . 32. 23 ss . a L (= Laíenquelle), cioè ad una antica versione, anteriore a J, e Th . C . V~íezen (1948) secondo F . VAE TkIGT, op . ~ít ., p . 295 ss ., sí pronuncia, seguendo A . Díllmann (1875), ín favore di E ; A. D~ P~~~v, ín uno studio che apparirà prossimamente su Gen . 32 . 23 ss ., difende nettamente íl carattere jahvísta dí questo racconto.
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Secondo approccio
personaggi principali, ríferísce le loro azioni e le loro parole ; fa abbondante uso di contrasti, dí giochi di parole, dí dialoghi, ricamando intorno ad un tema o ad un termine ; la sua arte sí manifesta nel modo con cui egli awínce gli uditori e più tardi í lettori, creando in essi una tensione via vία maggiore fino allo scioglimento finale, dopo d~ che conclude rapídamente .$z Gen . 32 . 23-33 è un eccellente esempio dí saga israelíta . 23 Questa pericope sí apre con la presentazione dell'eroe, il quale sí trova in una situazione particolarmente delicata : Giacobbe è solo, nella notte, e deve guadare un torrente . D'improwíso soprawíene una difficoltà ímpre~ísta : uno sconosciuto lo assale e ingaggia con lui una lotta ad oltranza . L'esito del combattimento resta a lungo incerto,
20 . G. Vox Rn~~, op . cit., pp . 453-454. 21 . La terminologia relativa alla saga, che corrisponde alla Sage ín tedesco, è ancora incerta . Talvolta sí distingue la saga dalla leggenda e dalla fiaba, talvolta li sí confonde ; sembra preferibile per íl momento parlare dí saga. Sulla narrazione patriarcale, bibliografia ín R. M~~xr~~- ACI3ARD, Actualité d'Abraham, Neuchâtel et Pańs 1969, p. 40 ss ., 57 ss . 22 . Cfr . specialmente C . WI~r~~zw~aNx, u Arten der Erzâhlung ín der Genesís n Fors~hung am Altea Testament, Theologísche Bucherei, 24, München 1964, pp . 9-91 ; H . GI~n~ Rw~xr~.ow, Opfere deiden Sohn . Eíne Auslegung von Genesís 22, ín n Bíblische Studien n 53, Neukirchen-Vluyn 1968, p . 32 ss ., con indicazioni bibliografiche . 23 . Partendo da altre premesse, R. Barthes fa la stessa constatazione .
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tanto più che esso si svolge nell'oscurità, e non sí vede esattamente quale dei due contendenti riesca a colpire l'altro . Se l'azione raccontata nei primi versetti è volontariamente misteriosa, le parole che seguono non contribuiscono ad illuminare l'ascoltatore, íl quale non può
Ogni lettore di questo passo della Genesi è colpito dalla varietà e dalla ricchezza dei temi utílizzat~, ciò che spíega íl gran numero dí commenti che la pagina ha suscitato . Si possono tuttavia riconoscere, in questi versetti, tre motivi principali : íl primo concerne la proibí-
immaginare dove íl narratore voglia condurlo . I due personaggi si rivolgono la parola ; uno chiede dí essere liberato, ma l'altro esige in cambio dí essere benedetto . Il dialogo, appena abbozzato, sembra
zíone di mangiare il nervo sciatico, ed ha un ruolo secondario ; íl secondo, la scoperta che Giacobbe fa della presenza divina a Penuel ; l'ultimo, íl più importante, la lotta del patriarca al guado dello Iabboq .
fallire, ma riprende quando uno degli antagonisti, senza rispondere al desiderio del compagno, lo interroga e finalmente gli rivela la propria
Questi motivi, all'origine indipendenti gli uni dagli altri, si sono combínatí a poco a poco per costituire íl racconto biblico che noi leggiamo .
superiorità accordandogli un nuovo nome . In un attimo i ruoli sono invertiti: l'anonimo, che pareva allo stremo delle forze, ora comanda, e sí congeda dal partner lasciandogli la sua benedizione . Il racconto volge al termine ; si conclude con l'immagine dell'eroe che sí allontana, zoppicando, mentre sorge íl sole . 24 E . Gunkel ha insistito molto sul carattere etiologico delle saghe della Genesi ; la loro funzione, a suo parere, è innanzi tutto esplicativa. Studi recenti hanno permesso dí attenuare questo punto di vista, mettendo ín evidenza che il motivo etíologico è spesso secondario e tardo . La Saga risponde ad altre preoccupazioni, estetiche e religiose : mira a divertire, mentre conserva gelosamente, come un memoriale, íl ricordo degli antenati dí Israele . In Gen . 32 . 23 ss . l'elemento etiologíco non manca: il racconto spíega l'origine dí una proibizione (v . 33), di un nome dí luogo (Penuel, v. 31) e del cambiamento del nome dí Giacobbe (Israele, v . 29), ma non sí limita a render conto di tutto ciò . Non è stato composto per giustificare una prescrizione alimentare, che tatto sommato resta marginale (v . 33) ; quando a Penuel, se effettivamente un ieros logos è potuto esistere un tempo, l'episodio della lotta dí Giacobbe con l'angelo, nella sua forma attuale, non sí riduce a questo dato esplicativo . Infine, nessuno potrebbe negare l'importanza
Fondendosi, essi possono aver cambiato di valore : un elemento, per esemplo etíologico, è passato ín secondo piano, mentre altri elementi, come íl nome dí Israele, hanno assunto via νία un grande rilievo . Non è facile ricostruire la storia delle tradizioni dí Gen . 32 . 23-33 . Queste sono certamente anteriori all'epoca israelitica e íl loro incontro ha preceduto la messa ín iscritto del racconto della lotta dí Giacobbe con l'angelo . I discepoli dí H . Gunkel hanno tentato dí raccontare lo sviluppo della narrazione biblica, e per quanto nelle loro rícostruzíoni rimanga una parte dí ipotesi, hanno avuto il merito dí mettere ín evidenza íl fatto che la Scrittura è un dato vivente, animato da e per una comunítà .zs Il tabì~ alimentare dí cui sí parla al v . 33 può essere avvicinato ad altre proibizioni di questo tipo in Israele e altrove ; per quanto verosimilmente molto antico, esso è rivolto agli Israeliti e quindi non sí colloca sullo stesso piano del racconto . È notevole íl fatto che la proíbizío~~e non ricompaia nell'Antico Testamento, mentre viene richiamata nel Talmud dí Babilonia, nel trattato misnaíco dí Hullin § 7. 27 Israele non può cibarsi del nervo sciatico - forse converrebbe tradurre l'espressione ebraica con ~~ íl muscolo della coscia » - perché questo veniva messo ín relazione con la potenza riproduttiva della regione lombare ; íl popolo dí Yahvè non ha íl diritto di impadronirsi della
della dichiarazione dell'avversario dí Giacobbe relativa a Israele (v . 29), ma questa è inseparabile dalla narrazione del confronto fra il patriarca e Dío, che appare come íl motivo centrale della pericope, dato che può sussistere indipendentemente dal v . 29. Geη . 32 . 23 ss . riferisce, ín primo luogo, come dice giustamente C . Westerman,
l'incontro del patriarca con un personaggio misterioso nel quale egli riconosce, tardivamente, íl suo Dío .zs
24. Il levar del giorno è íl momento della risposta hberatríce dí Dío, secondo la tradizione veterotestamentaría (Sal . 46 . 6 ; 90. 14 ; 143 . 8) (cfr . J . Z~~G~.~~~, Die Hílfe Gottes w am Morgen ». Alttestametttliche Studíeu Friedrich Nôtscher zum 00 . Geburtstag, Bonner Biblische Beítráge , I, Bonn 1950, pp . 281-288) . 25 . C . WF51'ERMANN, op. ~ít ., alla nota 1 della p . 50, p . 85 .
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26. Neí lavori dí K . Elliger e di F . van Trígt citati alla nota 2, sí troveranno buoni esempi dí questa ricostituzione della storia delle tradizioni per quanto riguarda Gen. 32. 23 ss.
27. Il Talmud nota che il nervo dí Giacobbe è stato spostato durante la lotta con l'angelo . Secondo í commentatori della tradizione giudaica, la cosa sí sarebbe verificata perché í figli dí Giacobbe avrebbero trascurato (gioco di parole sulla radice n~fah) l'obbligo dí ~esta~e presso íl logo padre : perciò sarebbe stato vietato loro dí consumare il nervo sciatico . Un'altra interpretazione giudaica vede nel fatto che Giacobbe non è stato vinto, ma soltanto ferito nel suo combattimento al guado dello Iabboq, il pegno che Israele, il quale soffre ín esilio, non sarà annientato dai suoi nemici . Queste informazioni mí sono state cońesemente comunicate dalla Signora E . Starobinskí-Safran . Sí possono trovare nel Mídrasch Bereschít Rabba, edito da A . Wtlκseκε, Leipzig 1881, altri echi della Haggada su Gen . 32 . 23 ss . (pp . 376-381) .
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forza vitale che è collegata alle cosce o più esattamente alle parti sessuali dell'animale, come non può mangiare carni che contengano il loro sangue (Gen . 9 . 4 ; Lev . 7 . 26 s .) . 28 Penuel sí trova non lontano dallo Iabboq, ed è stato identificato con tell ed _dahab esch-schergi ; al tempo dí Gedeone íl luogo possedeva
che voleva impedirgli il passaggío dí un guado . L'uomo ríesce, non senza difficoltà, a superare l'ostacolo ; esce malconcio dall'avventura, ma ha la benedizione, vale a dire : egli ha perduto qualcosa, ma ha rícewto ín cambio un bene più prezioso . Gen. 32. 23 ss . appartiene alla categoria dei racconti incentrati sul tema della prova dell'eroe.
una torre (Guíd. 8 . 9, 17), che fu poi fortificata da Geroboamo I (I Re 12 . 25) . La località doveva probabilme~~te íl suo nome, come segnala F . vai Trigt, ad una altura che evocava un volto gigantesco, come è dato incontrarne in Scozia o nel Sahara . Strabone cita una
Non è difficile trovare tradizioni parallele a questa saga . Gíà H . Gunkel ha segnalato l'esistenza di racconti islandesi, germanici, anglosassoni, lituani che narrano i combattimenti che esseri umani hanno dovuto sostenere dí natte contro dèmoní, mostri, o contro íl
città della Fenicia chiamata, forse per la stessa ragione, ~~o~ ~~~ó~~~tov . 29 Penuel era certamente un antico centro dí culto ( hammagóm) (v. 31), che Gen . 3Z . 23 ss . collega alle imprese del patriarca ; del resto è possibile che lo zoppicare dí Giacobbe (v . 32), che fa pensare
diavolo . Egli paragona la storia della lotta dí Giacobbe con l'angelo alle leggende nelle quali u~ uomo, con l'astuzia o con la violenza, costringe la dívínítà a cedere una parte del suo potere o del suo sapere . È íl caso di Menelao e di Proteo, dí Mída e Síleno, ecc.31 Ma, come osserva giustamente E . van Trígt, questi accostamenti non tengono conto dí un elemento assai importante ín Gen . 32 . 23 ss ., cioè che az Esistono altri racconti Giacobbe si trova sulla riva dello Iabboq nei quali un dio o lo spirito del fiume sorvegliano un guado e ne ímpedíscono gelosamente l'accesso . J . Chaíne cita una serie dí casi,
alla danza claudicante dei profeti di Baal al Carmelo (I Re 18 . 26
riferiti da Plutarco e da Erodoto, nei quali il capo dell'esercito, prima di far passare alle sue truppe un fiume, sacrifica alla divinità del fiume stesso per propízíarsela . 3a Lo Iabboq, oggi Nahr ez-Zerga, cioè íl fiume azzurro, scende a precipizio verso íl mar Morto ; le sue acque, abbondanti nella stagione delle piogge, non ne facilitano íl guado . Questo fatto ha potuto far credere che un dio ne proibisse íl passaggío, e anche dar luogo alla leggenda secondo cui un uomo, dotato dí una forza erculea, era riuscito a domare questo dio . È dunque verosimile che sia esistita una saga dí questo tipo in uno stadio pre-israelita. Quando gli Israeliti occuparono la regione,
La lotta di Giacobbe con lo sconosciuto presso íl torrente Iabboq appare come l'elemento centrale della nostra perícope . Questo motivo è sviluppato ín una saga che costituisce un tutto omogeneo, anche prescindendo dalla proibizione dí mangiare íl nervo sciatico e dalla menzione dí Penuel . Ricondotto aí suoi tratti essenziali, l'episodio racconta la lotta notturna che ha opposto qualcuno a una forza misteriosa 28 . Cfr . F . Vp~ TRIGT, op. ~ít., p . 285 ; si veda anche L . SABOURIN, op . cít., p . 89, nota 65 . 29 . Ibíd., p . 284. 30 . Spesso sí avvicina il nostro brano ad uno stiano racconto nel quale Jahvè affronta d'improvviso Mosè e cerca dí farlo morire (Es. 4 . 24-26) .
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sí impadronirono della leggenda, facendo del loro antenato Giacobbe l'eroe della lotta al guado dello Iabboq . Secondo F . van Tτígt, Israele trovava così íl modo dí dare un'origine e una spiegazione gloriose al proprio nome, e forse anche íl mezzo per appropriarsi il luogo culturale dí Penuel, e persino un tabù alimentare, collegandoli a Gíacobbe . 34 La leggenda, conosciuta sotto forma orale, doveva servire ad esaltare
31 . Nelle ultime edizioni del suo commento H . Gunkel dedica un paragrafo speciale ai paralleli dí Gen . 32. 23 ss . (3g - 68 ed ., 1910-1964), pp . 364-5 . 32 . Op. ~ít., pp . 283-4 . 33 . J . Cτ~.ιτrτε, op . cít., pp . 347-8 . 34. Op. cit ., pp. 285 ss . Questo autore paragona il combattimento dí Giacobbe alle lotte dí Rachele contro la sorella (Gen . 30 . 8 ) e sí domanda , considerando la díchia~azíone dí Osea (12 . 4 s .), se l'episodio riferito ín Gen . 32 non dovesse collocarsi all'inizio della carriera dí Giacobbe , quando egli non aveva ancora figli .
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sciuto, accanto a un Giacobbe tranquillo, che dimora nelle sue tende, presso la madre (Gen. 25 . 27 s .), un Giacobbe capace dí prodezze
Così sí può riassumere la storia della tradízíone del guado dello Iabboq secondo la scuola dí H . Gunkel . I discepoli dí J. Wellhausen cí avevano condotti a una sorta dí impasse, sezionando Gen . 32 . 23 ss ., senza giungere ad un accordo su quanto doveva attribuirsi alle diverse fonti della Genesi . Un nuovo approccio al racconto della lotta dí Giacobbe con l'angelo ci ha consentito di superare l'ostacolo e dí
fisiche straordinarie (non ha forse fatto rotolare da solo la pietra che i pastori non erano ín grado di spostare se non unendo í loro sforzi ? Gen . 29 . 10 ; nota dí R. de Vaux), una specie di gigante, dí cui una
riconoscere il genere letterario dí questo episodio, í motivi che sono messi in scena, e anche le forme del suo divenire . Nello stesso tempo questa prospettiva ci svela la vita che sta dietro, o dentro, íl testo dí
versione antica dí Gen. 32, 23 ss. narrava una delle tante imprese . Secondo il racconto israelita, il patriarca trionfava del suo awersarío (cfr . Os . 12 . 4 s., un testo discusso) .as
cui cí occupiamo .
La saga verrà ripresa dallo Jahvista. Questo scrittore, come ha giustamente osservato K . Elliger, non è un semplice compilatore, e d'altra parte non ha inventato la narrazione che trasmette ; egli è soprattutto un teologo, e vuol far entrare questo episodio (Gen . 32 .
Terzo approccio
íl patriarca : ne vantava l'astuzia, che la Genesi ricorda spesso (Gen . 25 . 27 ; 29 ss . ; cfr . Os . 12 . 4 ; il nome del Dio dí Giacobbe, íl ~~ Campione », che compare in Gen . 49 . 24 ; Es . 49 . 26, ecc ., non può riferirsi anche alla forza del patriarca ?) . Sembra che la tradizione biblica abbia cono-
23 ss .) ín un insieme che presenti la totalità della storia di Giacobbe . Riprende dunque la tradizione israelita apportandovi qualche ritocco per accordarla al suo progetto e alla sua visione teologica della vita dei patriarchi se Sarebbe del tutto fuori luogo, nella prospettiva che gli è propria, raccontare un successo dí Giacobbe su Jahvè ; per questo il nome proprio del Dío d'Israele è accuratamente taciuto . D'altra parte lo Jahvista sfrutta l'ambiguità del racconto, lasciando aleggiare un certo dubbio sull'esito del combattimento : Giacobbe non deve vincere, ma nemmeno deve essere sopraffatto ín maniera troppo manifesta ; alla fine dovrà abbandonare la presa, ma íl suo awersarío sarà costretto a riconoscere la sua resistenza . Ha lottato una notte intera, è stremato dalla prova, ma ha ricevuto - o conservato - la benedizione divina . L'episodio non è più scritto ín gloria del patriarca, ma questi non ne esce diminuito . Lo Jahvista sottolineando che Giacobbe, contrariamente ad ogni attesa, è uscito vivo dal suo incontro con Dio, suggerisce che l'ultima parola è rimasta alla grazia dívína.37
35 . Cfr. la nota 17. Sí osserverà che nella ve~síone masso~etíca íl v. 5 , correttivo del v. 4, lascia capire che Giacobbe ha lottato non contro Dio, ma contro íl suo angelo . 36. Sulla teologia dello Jahvista, cfr . í commenti di K. Elliger e dí G . von Rad . Cfr . inoltre H . W. Woτ.τ=κ, Das Kerygma des Jahu~ísten, ín s Evangelische Theologíe » 24, 1964, pp . 73-98, ora ín Gesammelte Studíe~ xum Altera Testament, Theologísche Büchereí , 22, München 1964, pp . 345-373). 37 . K. E~.~.~c~~ mostra come J abbia rielaborato la vecchia saga israelita (op, cít ., pp . 149 ss .), sottolineando ín particolare l'aspetto positivo dell'azione divina su Giacobbe (pp . 169 ss), seguito ín questo da H . J . Sro~t~~~: (~p. cit .) .
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Qualunque sia stato il cammino della saga su Giacobbe a Penuel dall'origine cananea alla elaborazione Jahvista, essa fa ora parte di un insieme del quale occorre tener conto per comprendere la portata del racconto nel quadro biblico che oggi è íl suo . Anche se Gen . 32 . 23 ss . è stato talvolta considerato un blocco erratíco, attualmente íl brano è integrato nella storia del ritrovamento di Giacobbe e di Esaù . Qualunque esegeta, nella sua spiegazione, deve tener conto del contesto, contesto che ρυò essere considerato a tre differenti livelli ; innanzi tutto í paraggi immediati di Gen . 32 . 23 ss ., poi la collocazione dell'episodio dello Iabboq nel ciclo narrativo dí Giacobbe, infine íl ruolo dí questo - testo nella Scrittura e ín particolare nell'Antico Testamento . Sarebbe interessante proseguire l'indagine allargando la nozione dí contesto sino a situare questo testo della Genesi nella tradízíone giudaica post-canonica o nella letteratura cristiana 38 Gen . 32 . 23 ss . è stato inserito, sicuramente dallo Jahvista, nella narrazione dell'incontro fra Giacobbe e íl fratello . Gen . 31 racconta
38 . Questa pagina della Scrittura è stata spesso interpretata come una íllustrazíone del combattimento spirituale o della preghiera che è talvolta una lotta (cfr. già í Padri : Orígene, Gerolamo) . J . M. T~z~ ancora ultimamente ne ha fatto una lettura spirituale (op . cit.) ; si è visto anche una prefigurazione della sofferenza del Cτísto al Gehtsemani o sul Calvario (cfr . J . SCHILDENBIStGI:R, op . cít ., pp . 95-6 ; L. Saso~~~t~~, op . cít ., p . 86) ; e ín questo stesso senso, Giustino, Teodoτeto, Lutero, ecc. W. Víscher dichiara : a Ma con Lutero noi possiamo ora dire : Senza alc~~~~ dubbio, quest'uomo non è un angelo, ma nostro Signor Gesù Cτísto, Dío eterno divenuto uomo . . . ; Dío appare ín Gesù Cτísto come l'uomo sulla terra per combattere con gli uomini e lasciarsi vincere da loro » (W . V~sC~i~~, La loi ou les ~ínq livres de Mosse, traduzione francese, Neuchâtel et Paris 1949, p . 208) . Sí potrebbero moltiplicare le citazioni che mostrano la varietà e la ricchezza dei commenti che questo episodio della vita dí Giacobbe ha ispirato .
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come il patriarca sia riuscito a liquidare tutte le pendenze con il suocero Labano : da questo lato egli non corre più alcun rischio . Tuttavia Gìacobbe sa che una difficoltà molto più grave lo attende prima di poter raggiungere íl suo paese : egli deve attraversare il territorio che appartiene ad Esaù e non potrà per conseguenza evitare dí trovarsi di fronte a colui che ha gravemente offeso sottraendogli la benedizione del padre . Gen . 32 cí dice ín quale modo il patriarca sí prepari a questo avvenimento : íl capitolo, nel quale í critici ritrovano le fonti J ed E, si apre con una indicazione etíologíca (v. 2) che, nel contesto attuale, appare come un segno premonitore della scena del guado dello Iabboq: esseri divini sí presentano improvvisamente a Giacobbe . Secondo í w . 4-14 a (J), íl patriarca, venuto a sapere che suo fratello rnarcía contro di lui con quattrocento uomini, impaurito, divide i suol beni in due parti nella speranza dí salvarne una parte . Inoltre sí rivolge a Jahvè, Dio dei suol padri, che gli ha promesso tutto íl suo appoggio . Questa preghiera (w . 10-13), espressione della teologia dello Jahvísta, permette di inquadrare nella loro giusta relazione Dío e il patriarca . Nel momento stesso ín cui questi è impegnato ín questioni tutt'altro che chiare, confessa che deve tutto a Jahvè e che attende tutto dalla sua misericordia . II seguito del capitolo (w . 14 b - 22) (E) riferisce un'altra misura presa da Giacobbe nei confronti dí Esaù : gli manderà una serie dí regali destinati a calmare a poco a poco la sua ira . 39 Il capitolo 33 racconta l'incontro fra i due fratelli . In modo del tutto inatteso (ma indubbiamente bisogna vedere in questo la mano di Jahvè), Esaù sí getta al collo di Giacobbe e sigilla con questo gesto la riconciliazione dei figli dí Isacco 40 Ciononostante, se il peggio è stato evitato, la diffidenza resta, da una parte e dall'altra . Esaù preferisce sorvegliare da vicino l'attività del fratello, e Giacobbe cerca, e vi riesce, dí liberarsi dí quella presenza con un futile pretesto . L'episodio dí Penuel sí colloca dunque fra í preparativi dell'incontro e l'incontro stesso . Il contesto mostra che, per quanta cura abbia 39. Nello sconosciuto del guado dello Iabboq sí è voluto vedere l'angelo custode dí Esaù, un a doppio s della personalità del fratello di Giacobbe, ecc . (cfr . L. Sn~io~~~u~, op. cít ., p . 86). Alcuni commentatori, come H . Cazelles (cfr . la nota 16) e O . Procksch (cfr . la nota 2), mettono ín relazione la scena dí Penuel con la d~chíarazíone dí Giacobbe a Esaù: ~ . . . ío ho visto la tua faccia come sí vede la faccia dí Elohrom, e tu nú hai accolto benevolmente u (Gen . 33 . 10) . 40 . Sull'incontro dei due fratelli, cfr . W. V~sc~t~~, La ré~on~~líatíon de Ja~ob et d'Esaü, ín ~ Verbum Caro u 41, 1957, pp . 41-51 . Le tradizioni su Giacobbe ed Esaù riflettono probabilmente la storia delle relazioni fra clan e tribù parenti e rivalí. Questa dimensione socio-economica del racconto biblico, alla quale qui alIudiamo soltanto, non deve essere trascurata .
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messo il patriarca - nel preparare la cosa, ha dimenticato un punto essenziale . Ha pensato a tutto fuorché al fatto che íl Dío da lui invocato aveva la sua parola da dire nella questione . La difficoltà interviene proprio quando l'eroe non se l'aspetta : egli deve affrontare un avversario molto più temibile di Esaù, Dío stesso, íl quale risponde così in maniera sorprendente alla sua preghiera . Giacobbe non può andare direttamente incontro al fratello, occorre che prima passi attraverso una notte d'agonia, che alla fine sarà in qualche modo una notte dí purificazione (Sap . 10 . 12) . A1 mattino egli è un altro uomo, come attestano l'anca slogata, segno visibile della grazia che gli è stata fatta, e íl nome che d'ora innanzi porterà, un nome che gli apre nuove prospettive . Sí è parlato, a questo proposito, della conversione dí Giacobbe ; ma non bisogna idealizzare troppo la trasformazione che sí opera nel patriarca, íl quale continua a giocare d'astuzia con Esaù (Gen . 33 . 12 ss .)?~ Al livello del contesto immediato, l'accento del racconto batte sulla prova temibile che Giacobbe ha dovuto sopportare prima dí riconciliarsi col fratello . Questa pagina della Genesi riporta uno degli episodi della vita del patriarca, fa dunque parte del ciclo di Giacobbe, alla luce del quale bisogna ancora esaminarla (Gen . 25 . 19-35, 29) . Secondo J . Schíldenberger, nei suol termini attuali, la storia del patriarca, che combina diverse tradizioni (J, E e P), comprende cinque rivelazioni dí Dío a Giacobbe, e ín particolare tre teofanie, dí cui la prima e l'ultima sono situate a Bethel (Gen . 28 . 11-12 ; 35 . 9-15) e la seconda a Penuel (Gen . 32 . 23-33) . Il destino dí Giacobbe l'ha condotto da Canaan al paese dí Aram, e poi dí nuovo a Canaan ; Bethel ha significato, ín ognuno dí questi viaggi, una tappa importante, ma nel cuore delle sue peregrinazioni sí trova l'episodio del guado dello Iabboq . Esso rappresenta una svolta decisiva nell'esistenza del patriarca, la líquídazíone di un certo passato, collegato al nome dí Giacobbe, e l'inizio della storia dí Israele 4z Se sí considera soltanto la fonte jahvísta, Gen . 32. 23 ss. appare come una ripresa del tema della benedizione. Sotto forma dí promessa, la benedizione ha una funzione capitale nella tradizione dei patriarchi, collegando fra loro, nella prospettiva jahvísta, í diversi momenti
41 . Come rilevano anche W . VISC~IER, op . 42 . A. D~ P~~~w ha titolo u Promesse divine
L. Sn~;o~rn~N, op . cit., pp . 82-3, seguendo G. von Rad, e ~ít., alla nota 2 della p . 57, pp . 47 ss . preparato sul ciclo dí Giacobbe una tesi importante dal e leggende culturali nel ciclo dí Giacobbe u.
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della vita degli antenati del popolo d'Israele, e assicurando la contínuítà di una storia di salvezza che sí inaugura con Abramo, continua con Isacco e Giacobbe e mira alla felicità dí tutte le nazioni (Gen. 12 . 2 s . ; 18 s . ; 24. 6 s . ; 26 . 23 ss . ; 28 . 13 ss . ; ecc .) . 43 Giacobbe è stretta-
allude direttamente, seppure ín modo assai libero, con un'intenzione polemica nei riguardi dei suoi contemporanei . Egli vuole mostrare loro che sono í degni discendenti di Giacobbe, di colui che slealmente soppiantò ~l fratello, e che Dío umiliò al guado dello Iabboq (Os. 12 . 1 ss . e ín particolare 4 s .) 46 Tuttavia la narrazione contiene
mento coinvolto nel problema della benedizione : fin dalla giovinezza egli manifesta il desiderio di impadronirsene con tutti í ~r~ezzí (Gen . 25 . 29 ss . ; 27 . 1 ss .), e questo lo condanna all'esilio per sfuggire alla col-
un elemento destinato a svolgere un ruolo significativo nella Moria del
lera dí Esaù ; a Bethel, nel momento ín cui è costretto ad espatriare, Jahvè lo designa come l'erede della promessa fatta ad Abramo ; al guado dello Iabboq, malgrado la ferita, non accetta dí lasciare ín libertà íl suo awersarío prima di ricevere da lui la benedizione (Gen . 32.
Gen . 32 . 29 spiega infatti la portata dell'appellativo Israele . È una spiegazione di tipo popolare, che si basa su un gioco dí parole, come abbiamo visto : viene messo ín relazione íl nome dí Israele con
26) . Questa sorta dí accanimento è caratteristica dell'atteggiamento
la sua tenacia . Lo sconosciuto celebra la difesa del patriarca, íl fatto
del patriarca . Piuttosto che la pietà, bisogna vedere ín ciò, osserva G . von Rad, la reazione quasi primitiva dell'uomo che desidera ac-
che abbia resistito una notte intera, più che non la sua vittoria, come
quísíre la forza divina ; alla fede sí mescolano disperazione e sfrontatezza .~ Ma la cosa più sorprendente è che, secondo lo Jahvísta, Dio
popolo dell'Antica Alleanza, giacché rivela ad esso l'origine e il senso del suo stesso nome .
la lotta dí Giacobbe contro Elohim e contro gli uomini, e anche con
comunemente sí pensa?' Da un punto dí vista scientifico, questa interpretazione del nome di Israele non si regge : El, ín Isra-el, non può che essere íl soggetto
acconsente a lasciarsi convincere da questa violenza ; Giacobbe non riesce a trattenerlo più a lungo, ma Jahvè gli manifesta la sua grazia
e non l'oggetto dell'azione dí lottare . Israele dunque deve essere interpretato come Ismael, che significa ~~ che El/Dio ascolti ~> ; così
benedicendolo . Per K . Elliger, Gen . 32. 30 legittima la benedizione che íl patriarca ha ottenuto da Isacco con l'astuzia (Gen . 27), conferma
strí la sua forza ~>, o anche ~c regni ~, dato che íl senso preciso dél
la parola pronunciata a Bethel (Gen . 28) ed esaudisce la preghiera dí Giacobbe prima del suo incontro con Esaù (Gen . 32 . 10 ss .) . A partire da questo momento Giacobbe, che ha dovuto confessare
Israel può essere reso con « che El/Dío combatta », oppure ~ dímoverbo s~r~h rimane incerto . Comunque, íl nome di Israele evoca la fede e la speranza dí colui che lo porta, proclamando í~ qualche modo ~ che El/Dio manifesti nel combattimento la sua potenza » 4a
íl proprio nome e perciò stesso riconoscere le proprie colpe, può vivere sotto íl segno delle benedizione che Jahvè gli ha liberalmente concesso . A rileggere la storia del guado dello Iabboq nella prospettiva jahvista cí sí accorge, con K . Elliger, che íl vero soggetto dell'epísodío non è Giacobbe, ma Jahvè . È lui che ha provocato l'incidente, che ha voluto che l'awersarío sí piegasse fino a rivelare la sua identità, e che alla fine concede la sua grazia. Anche se sulle prime non appare con evidenza, è Dio che guida gli avvenimenti, e persegue íl suo piano d'amore nei confronti dell'umanità 4s Resta da considerare il testo dí Gen . 32 . 23-33 alla luce dell'Antico Testamento . È notevole íl fatto che questo racconto non sia stato spesso presente alla tradizione veterotestamentaría nonostante la sua importanza (cfr ., per es ., Sap . 10 . 12) . Soltanto íl profeta Osea vi
43 . Cfr. specíalmente ί lavorí di Η . W . Wοιεε (ηοtα 2, ρ. 55) e dí C . Wεsrτ?κτ~τητsκ (nota 1,
ρ. 50) .
44 . Ορ . cít ., ρρ . 328-9 e 331 . 45 . Ορ . cít., 1966, ρρ . 168 ss .
46 . Cfr . le note 17 e 35 . Accanto al commento dí E . Jacob segnaliamo quello dí H. W . Wo~.F~, Bíblíscher Kommentar, XIV/I, Neukirchen Kreís Moers 1961 . 47 . Con K . E~.~,~c~~ (op . cit., 1966, pp . 166-7) è preferibile tradurre l'espressione ebraica con ~ resistere ~ piuttosto che ~ vincere n ; sono le versioni che impongono l'idea dí un successo di Giacobbe sull'avversario . $ vero che ín simili circostanze, non cedere immediatamente costituisce già una riuscita. 48 . Sull'etimologia dí Israele, c fr . i n pańícola~e í lavori dí M . Norme, Die ísraelítischett Personennamen im Rahmett der gemeinsemítis~hen Namengebung , Beítràge zur Wíssenschaft vom Alten índ Neuen Testament, III, 10, 1928, pp . 207 ss . ; G. A . Dn~~~ .~., Studíes in the Name of Israel ín íhe Old Testament, Uppsala 1946, pp . 22 ss . Sí pensa generalmente che sáráh ha il senso dí lottare, ma considerato l'uso rarissimo del termine (Gen . 32. 29 ; Os . 12 .4), questo sígnifi~ato viene contestato da certi specialisti . M . Noth sí riferisce piuttosto a una radice sfirâh = regnare, dímostrarsí padrone . E . JACO~t nella sua Théologie de l'An~iett Testamene, Neuchâtel et París 1955, p . 165, ritiene che íl nome di Israele derivi dalla radice yflshar et sígnífichí n El è retto o giusto » (o anche ~ che El sí mostri retto, giusto n, cioè vittorioso) ; questo nome farebbe di Israele íl campione dí El . Altre ipotesi sono state avanzate senza tuttavia far progredire la questione .
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Il racconto del guado dello Iabboq presenta dunque un'altra spíegazíone, la quale, pur non essendo esatta sul piano filologico, non è meno piena di profondità al livello teologico, giacché riguarda non solo l'esistenza del patriarca, ma anche quella dell'intero popolo d'Israele . Certo, la dichiarazione del v . 29 concerne ín primo luogo Giacobbe che ha appena affrontato Elohím e che ha non pochi guai con Labano e can Esaù, ma lo jahvista, pur tenendo presenti questi dati, conferisce loro una portata più vasta . Egli non può prescindere dalla storia dei díscendent~ dí Giacobbe e dalla loro lunga esperienza religiosa ; appunto attraverso questo schermo egli rilegge l'avventura di Giacobbe a Penuel e ne intuisce l'esemplarità per i figli d'Israele . L'epísodío del guado dello Iabboq prefigura quello che sarà íl destino dei díscendentí del patriarca . Lo jahvista getta sul passato uno sguardo profetico 49 e scorge nella scena della lotta la rivelazione della sorte misteriosa dí Israele . Il nome stesso che porta destina íl popolo dí Jahvè ad affrontare al tempo stesso Dio e l'umanità ; lungo tutta la sua storia Israele deve resistere contro un Dio che si nasconde proprio nel momento in cui è più congiunto con íl suo popolo, un Dío dovunque presente eppure inafferrabile, e deve resistere contro le nazioni ín seno alle quali Israele appare sempre come qualcosa dí intollerabile, tanto che tutti cercano di sbarazzarsene con l'astuzia o con la forza . Gen . 32 . 23-33 rivela così la vocazione dí Israele, che è quella dí scontrarsi con Jahvè, dí cui pure è il testimone, volente o nolente, e dí scontrarsi col mondo al quale Dío lo impone ín conformità con il suo piano dí salvezza . Quest'ultimo approccio mostra la funzione del contesto nella spíegazíone dí un testo bíblíco ; è una via che ci consente di far luce sulle diverse sfaccettature della storia della lotta dí Giacobbe con l'angelo ~n funzione della sua estensibilità. Gen . 32 . 23 ss . racconta la prova decisiva che attende Giacobbe prima dell'incontro con Esaù, insiste sull'ostinazione del patriarca nell'acquistare e conservare la benedizione divina, svela infine nell'episodio del guado dello Iabboq íl tipo di relazione del popolo dí Jahvè con Dio e con gli uomini.
bíblíco dalle sue origini più remote e certamente anteriori all'epoca israelita, fino alla sua integrazione nel canone veterotestamentarío, percorrendo gli stadi successivi della sua elaborazione . Questo modo di comprendere un testo è conforme alle più recenti indicazioni degli specialisti dell'Antico Testamento, íl quale appare come l'eco di una tradizione viva, sviluppatasi in seno ad un popolo e nel corso della sua storia, come un riflesso degli aggiornamenti costanti della fede jahvista ispirati da una duplice preoccupazione, dí rispetto nei confronti del passato e dí apertura verso il presente . L'Antico Testamento è esso stesso il prodotto dí una esegesi che ha voluto esprimere íl significato attuale della Parola Dívína . ROBERT MARTIN-ACHARD
Questa esegesi, di proposito abbondantemente sviluppata, indica che oggi il bíblista pratica volentieri una lettura sincronica della scrittura . Il suo intento è quello dí scrivere íl destino dí un dato 49 . F. VAE T~~~cT ricorda l'espressione di Corníll a proposito della stońog~afia israelita : si tratta dí u~~a x rü~kw~írts gekehrte Prophetie x (op . cit ., pp . 281, 309) .
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L'indemoniato di Cerasa : Analisi letteraria di ~~larco 5 . 1-20 ι
L'esperienza dí una lettura puramente letteraria dí un testo evangelico ha indubbiamente l'aria di una scommessa : è una lettura che sí aggiunge a tutta l'esegesí precedente ignorandola o fingendo dí ignorarla . Non è la lettura dí un credente, e neppure dí un teologo dí altra confessione, e dunque apparirà inadeguata per la sua stessa esteriorità . Esteriorità non compensata dal fatto dí chiudersi all'interno del testo per tentare di coglierne tutto íl senso . Impegnandosi ín questo tipo dí esercizio, il critico letterario viene, per così dire, messo alla prova : saprà scoprire tanti fatti significativi quanti ne ha saputo vedere la tradizione esegetica ? Ultimo venuto, egli è consapevole che la sua interpretazione verrà immediatamente confrontata con tutte quelle di cui non fa che aumentare la lista, sicché sí mette ìn guardia : sa che deve essere prudente, ma al tempo stesso deve dispiegare tutte le risorse del proprio ingegno per provare la legittimità dei suoi metodi . Glí sarà quindi díffìcíle adottare l'atteggiamento del lettore non prevenuto, per quanto ví~o sia íl suo desiderio di far tabula rasa , e dí accostare íl testo sacro come un qualsiasi altro testo : non si può ignorare íl posto che questo testo occupa fra í testi che costellano í secoli, non si può ignorare la sua funzione storica e, dí conseguenza, le ragioni presenti (cioè storiche) che nai abbiamo dí interessarcene . Soltanto a titolo dí procedimento, dí metodo, e con la chiara consapevolezza delle dimensioni eluse, íl frammento studiato verrà ridotto al registro del suo discorso - della sua struttura. Non sí giungerà certo a simulare l'ignoranza del contesto vetero- e neo-testamentario . Cίδ che sí elimina dal campo dell'attenzione non sono le pagine che precedono o seguono, ma íl contributo dei documenti esterni al testo, tutto ciò che aiuta lo storico a situare íl testo nel suo momento, ín rapporto ad avvenimenti che non figurano nella narrazione, ma che la memoria scientifica ha ricuperato per altre vie . Non sí esiterà ad accettare senza riserve la versione canonica del testo, senza chiederci se tutte le sue parti siano proprio della stessa mano, o se sia íl caso dí 60
distinguere stadi anteriori alla redazione che cí è offerta . Insomma, invece dí situare il testo all'interno del tempo storico, ci sí sforzerà dí decifrare la temporalità interna che risulta dal suo stesso enunciato . Tutto questo significa studiare il testo nella « sincronia » cíoè nella quasi-simultaneità delle sue parti, ma prestando al tempo stesso la più viva attenzione alla sua organizzazione sequenzíale : separato dal tempo dello storico, astratto dalle sue condizioni prossime e remote, íl testo non è immobile, ci propone anzi una durata, che è íl ~ filo »stesso dí cui una lettura docile fa l'esperienza . Sulla base di queste premesse l'analisi rinuncerà a congetturare come íl testo sia stato composto, come sia pervenuto alla scrittura : lo assume così come viene offerto alla lettura, trattando tutti gli elementi come dati omogenei, senza pretendere dí distinguere ciò che sarebbe soltanto « redazionale ~ da ciò che potrebbe essere « originale » . Non entrerà ín competizione con gli storici nella ricerca di un ipotetico racconto dei primi narratori, intravisto dietro gli arricchimenti o í guasti dovuti alle tecniche letterarie dell'evangelista . L'analisi strutturale, invece dí scomporre la lezione tradizionale, si sforza dí leggerla nella sua interezza ; e poiché sí tratta dí una lezione canonica, tanto più strettamente sí vorrà aderire alla forma nella quale íl testo è stato ricevuto e interpretato attraverso í tempi . Questo rispetto deriva anche dal fatto che, nel corso dei secoli, il testo è stato ritenuto ispirato ín ogni sua parte . È sotto questa forma che esso ha agito . Noi possiamo anche sapere che le più diverse alterazioni, arbitrarie o accidentali, non aboliscono ogni senso, ma spesso offrono un altro senso plausibile all'interpretazione: tale contingenza del testo canonico può gettare dubbi sulla sua genesi, sulla sua redazione, ma non sul fatto che esso è stato conservato e trasmesso nella forma in cui oggi lo leggiamo . Possono essere intervenuti mutamenti, distorsioni, corruzioni e correzioni, eppure noi sappiamo che anche il testo più deformato è ancora capace dí parlarci, dí sollecitare l'ingegnosità del commentatore, il quale troverà ricchezze impreviste, intenzioni precise là dove forse non si dà che la cantonata dí un copista. Il ~ pericolo » dí una analisi immanente risiede certamente nella sua eccessiva ricettività, nella sua duttilità accondiscendente, nel suo modo dí adattarsi a tutto ciò che cade sotto la sua attenzione . Ma non c'è ragione dí vincolare questo tipo di analisi alla regístrazìone delle armonie e delle concordanze : se sa essere abbastanza attenta, l'analisi segnalerà anche gli squilibri, le contraddízíoní eventuali, í contrasti fra procedimenti opposti, se per aventura ne íncont~a. Si può dare íl caso che, in uno studio cominciato con l'accettazione dí tutti í dati proposti ; sí giunga alla fine a scoprire íneguaghanze, scarti, incoerenze, di cui la filologia potrà far tesoro, 61
per i fini che le sono propri, dí rettifica o dí espunzione degli elementi dubbi . Cíò significa che una valutazione « critica » dei dati testuali non viene a priori esclusa dall'analisi interna . Tuttavia, non è mia intenzione orientarmi ín questo senso nel caso presente : mí basterà rivolgere al testo un certo numero dí domande che soltanto dal testo aspettano risposta.
Chi parla ? A quale autrne (o locutore) rinvia íl testo (Marco 5 . 1-20) ? Nessun autore (nell'incipit o nelle ultime righe del vangelo dí Marco) sí presenta ín prima persona . All'infuori del titolo, non v'è nulla che faccia comparire il nome dí Marco . Il testo non è dunque sospeso al pensiero, alla volontà, alla memoria, alle incertezze di un individuo . Il « narratore » sí è interamente cancellato, come per preservare la sua opera da tutto ciò che potrebbe renderla relativa a lui, dipendente dal suo particolare punto dí vista . Non per modestia, ma per conferire al racconto l'autorità del sapere senz'ombra . Siamo di fronte al tipo perfetto del puro racconto, la ευί f~u~zione radicalmente narrativa esclude ogni rinvio espressivo all'autore . Non v'è posto che per la designazione dí un « referente » (la vita e la passione dí Gesù) al quale è legato il destino dí tutti gli uomini . Da ciò, la giustapposizione, nel testo, del sistema narrativo semplice che caratterizza la cronaca, e - nel preambolo (1 . 1-3) come nelle parole citate (di Giovanni, del Cristo) - dell'atteggiamento kerigmatico, con ìl quale sono annunciati una venuta e un compimento decisivi . Le citazioni dei profeti compaiono fin dall'inizio, come per preparare íl lettore a riconoscere, ín Giovanni e poi in Gesù, íl referente assente che la profezia veterotestamentaria metteva al futuro . Non solo íl testo evangelico, come tutti í testi mitici, sviluppa un racconto senza lacune esplicite, ín cui ogni atto e ogni parola dell'u eroe » viene fedelmente riferita nei suoi terminí esatti e totali, ma sí pone come evento che soddisfa l'attesa e la speranza suscitate dal testo dell'Antico Testamento e dei profeti : lavora a colmare í vuoti dí un testo antecedente . Avviene così che la citazione testuale dí una parola già scritta (« come è stato scritto ») e la citazione alla lettera della parola proferita da Gesù (« disse ») investano íl testo di una autorità che non può non riflettersi sulla narrazione (la cronaca) che le collega e le introduce . Il proposito evidente dell'evangelista è quello dí mostrare che sí è verificata la sutura fra ciò che era stato annunciato e ciò che ormai s'è com~íuto : la sutura è ancora più netta quando la citazione dell'Antico Testamento si incontra nelle parole stesse che l'evangelista mette ín bocca a Gesù 62
(come succede fin dai primi appelli del Cristo : Marco 1 . 15, che riprende Es . 56 . 1) . La domanda : chi parla ? non trova, come sí vede, una risposta semplice . I1 racconto, da cui è assente la persona del narratore, introduce parole riferite, la cui origine è forttmente marcata . Sí debbono dunque distinguere due livelli : quello della. narrazione pura, che svolge una funzione presentatíva, enunciando awenímentí e situazioni ; quello delle parole riferite, che provengono sia dal Libro santo, sia dalla persona del Cristo (e di coloro che l'awícínano) . L'abolizione del narratore ín quanto soggetto sí risolve a favore della messa in evidenza del Cristo, cioè dí colui che usa la prima persona : l'evangelista non parla se non per far parlare, senza neppure attribuirsi la parte del testimone . Tuttavia l'evangelista sí attribuisce la conoscenza intera dell'identità dei personaggi (uomini o demoni) che intervengono nel suo racconto . Egli sa che íl Cristo è figlio di Dio, e può di conseguenza distinguere coloro che hanno visto la verità da coloro che non l'hanno riconosciuta : questa divisione rende possibile un giudizio su chi crede e su chi non si lascia convincere . La narrazione certa fonda la possibilità di tracciare tana linea di demarcazione che separa ín due gruppi í contemporanei del Cristo . Ma questa discriminante sí prolunga virtualmente fino al momento della lettura : agli occhi dí colui che prende conoscenza del testo dell'evangelista, e che dà ad esso la sua piena adesione dí uditore o dí lettore, íl rifiuto dí credere al Cristo non può essere che la conseguenza dí un accecamento o dí una colpevole resistenza . Con la sua forma gíudicatoría, íl testo provoca una lettura ín ευί íl giudizio sull'identità reale dei personaggi implica immediatamente la fede : diciamo, più nettamente, che l'assenso che accompagna ogni lettura docile sí muta ín questo caso insensibilmente in un atto dí fede che, al dí là dí ciò che è scritto sí indirizza verso Colui del quale è scritto . Il testo è strutturato ín modo che íl lettore (l'uditore) del Vangelo divenga, ipso facto, discepolo del Cristo, per interposto racconto . A chi parla il testo ? Il testo non accenna esplicitamente ad alcun destinatario . Non sí finalizza ín maniera determinata (solo ricorrendo ad indizi sparsi sí può congetturare che íl vangelo di Marco è « in origine » rivolto a una comunità pagano-cristiana) . Ma l'assenza di un destinatario determinato ottiene l'effetto di universalizzare íl destinatario . Il racconto senza ombre richiede una lettura-riconoscimento da parte dí tutti, ín ogni tempo . Il Cristo, che parla aí suoi interlocutori nelle 63
circostanze riferite dal racconto, raggiunge íl lettore nella misura in cui le sue parole sono abbastanza generali da superare la circostanza che le ha provocate, e anche nella misura ín cui le circostanze sí prestano ad assumere una funzione simbolicata le che í lettori possano applicarle a se stessi . ll testo contiene l'indice del suo statuto ? La critica attuale, nel campo letterario, è sensibile a quel partícolarí che, all'interno dí un testo, costituiscono l'indice o l'emblema della funzione devoluta all'opera, della sua genesi o della sua finalità . Ora, noi troviamo ín Marco 5 . 19-20 l'ordine dato da Gesù al Geraseno guarito : ~~~~~~~~o~, « annuncia loro » . L'uomo obbedisce : ~~~~~o x~~ú~~~w . « E cominciò a proclamare per la Decapolí quello che Gesù gli aveva fatto » . Il testo mostra chiaramente l'origine dell'atto dí proclamare (άπαγγέλλειν, χηρύσσειν) . È susseguente all'ístante miracoloso dí una guarigione, è l'esecuzione dí un ordine espresso del Maestro, il quale ha preferito che l'uomo, restituito alla salute, sí separi da Lui, ín una « míssíone lontana », a distanza, piuttosto che accettarlo tra la folla dí coloro che stanno al suo fianco ad ascoltarlo . Se il testo dí Marco è l'atto dí annunciare, dí proclamare, esso reca, ín questo episodio, una storia possibile - un emblema figurato - della propria origine . È questo, occorre sottolinearlo, uno degli elementi del testo che hanno destato íl sospetta degli storici : ví scorgono un'aggiunta redazionale, destinata a giustificare, mediante la volontà stessa del Cristo, la míssíone, l'apostolato in terra non vangelo dí ebraica. Ma la cosa non ha importanza : noi leggiamo íl Marco nella sua forma « redazionale », ed è particolarmente sorprendente íl fatto che íl redattore abbia creduto necessario introdurre qui una a figura » della propria attività. (Certo, nel suo annullamento, íl redattore non sí affaccia dí persona, non racconta le circostanze che l'hanno condotto alla fede : ηοί non possiamo sapere se anche lui sia stato guarito dal demonio, per opera dí Cristo o per opera dí un se stessa apostolo . Ma l'espulsione del demonio, la liberazione, è ín un atto così ricco di implicazioni simboliche da potersi applicare ad ogni conversione, ad ogni « nuova nascita ») . La struttura spaziale Il nostro testo è particolarmente ricco di indicazioni spaziali . Non soltanto vediamo comparire una precisa topografia, ma la ve. Non diamo disegnarsi per íl fatto che ín essa un'azione sí inscrive senso stesso dell'azione íl uno sfondo scenografico : sí tratta insomma dí 64
è intimamente legato allo spazio chiamato in causa . In altri termini, l'azione non potrebbe dar senso, se venisse privata della determínazíone spaziale : l'azione è inseparabile dal suo movime~~to . « E giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Geraseni » . K~~ ~~~ov ~~~ ~ó ~~~~~ ~~~ ~~~~~~~~ είς ~~v ~~~~v ~~v ~~~~~~v~v (5 . 1) .
II testo greco, ripetendo la preposizione aίς, cí rende attenti a una doppia specificazione del luogo . Innanzi tutto è l'altra riva del mare (índícazione puramente topografica), ma poi è anche la regione dei Geraseni (índícazione etnico-religiosa) . Questa abbondanza dí ínformazíone non è fortuita : è carica dí senso . Gesù sí trasferisce in terra straniera, nella Decapolí (la regione dí Gerasa) . Quí sí trovano greggi dí porci, che non sí sarebbero potuti incontrare ín terra giudaica . Superati i limiti confessionali del paese, egli interverrà per « salvare » un uomo, per farne un suo testimone, in mezzo ad un popolo che non osserva la legge, che verosimilmente non l'ha mai osservata . Sí comprende che, metonímícamente, íl paese dei Geraseni possa apparire come il prototipo di tutti í paesi dei gentili, nei quali sí espanderà la missione cristiana . Così l'indemoniato liberato diventa la prefigurazione degli apostoli, í quali costítuíscono í modelli dí ogni impresa evangelizzatrice . Ma « l'altra riva del mare », ~ó ~~~~v τής ~~~~~~~~, è un « al di là », la cui determinazione non sí limita alla natura dei culti praticati ín terra straniera . Ví sí aggiunge, subito, tutta la serie dei caratteri che conferiscono a questo luogo un aspetto selvaggio e temibile : tombe, montagne . Hanno lasciato la sponda al cader della notte (4 . 35), è sopravvenuta la tempesta (4 . 37 ss .) . E íl primo essere vivente che Gesù incontra è una creatura spaventosa . Siamo dí fronte, qui, a una serie dí tratti cumulativi che cí vietano dí considerare la navigazione di Gesù una semplice traversata da ovest a est . Il passaggio assume una sfumatura qualitativa : ha i caratteri del muovere incontro ad un mondo infernale, è l'equivalente dí una discesa agli inferi, dí una catabasí . Attraverso una lettura metaforica, l'altra riva diventa l'omologo dí un « altro mondo » infernale, e íl viaggio del Cristo simboleggia una traversata dell'universo fino alle sue più tenebrose profondità . Se l'opposizione geografico-religiosa (terra giudaica - terra pagana) offre il substrato dí una allegoresí ecclesíologíca, l'immagine stessa della traversata verso una terra notturna, selvaggia, popolata dí demoni, sí lascerà leggere altrettanto bene in senso ontologicoteologíco : anagogícamente, íl miracolo operato da Gesù ín questi luoghi sinistri è una figura della salvezza universale . L'altra riva, 3 $~+T~~s
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~ò ~~~~~, è ciò che, fuori, dall'altro lato, ci fronteggia ; è l'altro, l'inverso, nella sua qualità non solo dí luogo opposto, ma di potenza che sì oppone . L'oltresponda è un'antí-sponda ; l'oltre-giorno è un antí-giorno ; le tombe, dimora dei morti, sono un'anti-vita ; í demoni sono dei ribelli . Il superamento della « frontiera » è l'evento centrale, capace dí funzionare come segno decisivo sia nell'allegoresí ecclesíologica che nella lettura ontologica . Il Cristo va verso l'altro : avversario, incredulo, uomo sofferente . Come sí vede, i due sensi della traversata - vincere (íl demonio), convincere (gli uomini) non si escludono, anzi, sí confermano a vicenda ; i due significati infatti non sono ín concorrenza fra loro, ma sí possono considerare consecutivi : l'azione liberatrice costituisce íl punto di partenza della missione « evangelizzatrice » affidata all'indemoniato guarito . Da parte nostra vedremo come alcune tra le funzioni attive del testo sí concentrino ín parole o in gruppi di parole apparentemente senza importanza, ma tali da ricevere, mediante la loro ripetizione e le relazioni che istituiscono, un'enorme carica dí senso : la preposizione είς, che appare la prima volta per indicare il movimento del Cristo (είς ~ò ~~~~~, 4 . 35 ; 5 . 1), sí ripresenta per indicare il movimento ingiunto all'indemoniato guarito : « Va nella tua casa ». "~~~~~ είς τòν o~xóv ~o~ (5 . 19) . La dinamica positiva sí inscrive fortemente nella struttura preposizionale così ripetuta : si tratta, ogni volta, dí un movimento verso, che include íl senso « affrontare » e insieme ~< propagare la salvezza » (la verità sulla salvezza, la narrazione della guarigione) . Ma si noterà che la stessa preposizione ricompare anche per figurare la contropartita del movimento liberatore, quando gli spiriti sí riversano nei porci (εί~ ~oú~ ~o~~o~~, 5 . 12, 13) e í porci sí precipitano nel mare (είς ~~~ ~~~~~~~~, 5 . 13) . In questo caso è íl movimento di ciò che fugge e indietreggia alla presenza dí Gesù . La caduta dei porci apre una dimensione verticale (la caduta dall'alto ín basso) che contrasta con íl percorso orizzontale del Cristo . Sappíamo che l'indemoniato viveva « nei sepolcri e sulle montagne » (5 . 5) ; così , dalla montagna alle profondità del lago, íl percorso delle potenze demoniache incrocia letteralmente íl percorso dí Gesù . Il tracciato globale dell'azione nello spazio è strettamente connesso con il movimento delle persone, e non sarebbe corretta la descrizione del movimento se sí omettesse di segnalare che esso ha la sua origine, íl più delle volte, nella parola di Gesù che lo annuncia e, per così dire, lo genera. Così è per la traversata: « Quel giorno stesso, verso sera , Gesù dice loro : Andíame all'altra riva ». (4 . 35) ~~~~~~~~v είς ~ò ~~~~~ . Il movimento è detto prima d'essere compiuto . Lo stesso succede per la « missione » del Geraseno liberato . Gesù gli 66
dice : <~ Va nella tua casa » . "Y~~~~ ~~~ ~ò~ o~xóv ~o~ (5 . 19) . E íl Geraseno, ín piena obbedienza, si mette ín cammino : ~~ Se ne andò [ . .,] », v.~~ ~~~~~w [ . . .] (5 . 20) . Sembra lecito chiederci se questa antecedenza del dire sull'azione compiuta non sia una struttura caratterístíca del nostro testo (e, al dí là di Marco, dí tutta la letteratura evangelica e profetica) . L'avvenimento è pre-detto, in lontananza, dalle Scritture ; a più breve termine, dalla parola dí Gesù, maestro e profeta, la cui potenza viene attestata dalla conferma che ogni awenímento apporta a ciò che egli ha proferito . In precedenza abbiamo sottolineato íl posto che occupa la cita-, zíone ín Marco (ed è questo un carattere che sí ripete í~ tutti í Sinottící) : versetti della bibbia ebraica e parole del Cristo vengono riferiti allo stesso livello dí precisione - il che, per un uditorio ebreo da convertire, doveva avere l'effetto di conferire alla parola del Cristo la stessa autorità, lo stesso grado dí certezza che aveva il testo dei Profeti o del Salmista . Ora, come definire questo procedimento se non come un modo di attribuire al testo biblico Ja funzione predíttiva nel rapporto predizione-compimento ? In un primo senso, il Cristo, il suo insegnamento, íl suo sacrificio sono stati predetti : ora compiono ciò che è stato promesso e annunciato (ultimamente da Giovanni) . In un secondo senso, sono predittíve la parola stessa e l'azione del Cristo : annunciano (come facevano í profeti) avvenimenti futuri, alcuni dei quali si realizzano immediatamente, altri sono destinati a realizzarsi ín un tempo meno precisamente determinato . Il testo evangelico cí propone dunque una duplicazione, o anche una tríplicazíone, della funzione predíttiva :
A
B.
.
Secondo ciò che è scritto : Secondo ciò che Giovanni l ha annunciato :
Bibbia ebraica ~ Persona
j
Giovanni
>r del Cristo
Secondo ciò che Egli dice : Parola del Cristo -i Avvenimenti immediati o lontani predetti dal Cristo .
Nel nostro testo, Gesù non annuncia né comanda nulla che non sí realizzi immediatamente . Ma non avviene sempre così : ín altre circostanze egli annuncia cose íl cui compimento è destinato a prodursi ín futuro . Come può essere altrimenti ? Se la venuta dí Gesù avesse saturato l'attesa e la promessa inscritte nei libri profetici, la pace avrebbe dovuto regnare visibilmente sulla terra . Siccome, evidentemente, le cosé non stanno ín questi termini, l'evangelista non può 6?
dichiarare compiuta l'antica predizione se non aprendo - nella dimensione celeste - una nuova promessa, cíoè facendo proferire nuove profezie a colui che viene a compiere tutte le profezie precedenti . Il rapporto di antecedenza fra la parola e l'awenímento importante (perire, guarire, tradire, ecc .) ci appare così abituale, che ogni awenímento dí qualche rilievo che non sia « spiegato » da una parola precedente è destinato ad essere percepito come un'anomalia e a provocare l'imbarazzo dei commentatori . È ciò che succede, nel nostro testo, con la caduta dei porci ín mare . Non si può attribuire alla parola di Gesù niente più dell'ingiunzione che espelle íl demonio : « Esci da quest'uomo, spirito impuro » . "E~~~~~ ~ò ~v~~~~ ~ò ~x~~a~~ov ~x ~oú ~v~~~~o~ (5 . 8) . Gesù acconsente anche alla richiesta degli spirítí dí entrare nel corpo dei porci . « Lo permise loro » . I{~~ ~~~~~~~~~ n_~~o~~ (5 . 13) . La caduta in mare non è né predetta né comandata . Dí qui l'impressione del lettore che manchi ogni nesso causale . Che la distruzione del gregge possa essere stata voluta da Gesù non può che considerarsi un'inferenza aleatoria e discutibile . Sarà meglio ín questo caso attenerci alla constatazione che si tratta dí un awenímento non preceduto dalla parola, e perciò dí un awenímento che non possiamo collegare né a un'intenzione né ad un ordine . L'avvenimento risulterà, appunto per questo, forse tanto più disponibile per un'ínterpretazíone puramente simbolica ; la caduta dei porci nel lago è una figura della caduta degli spirítí ribelli nell'abisso .
Le persone Non sfugge, ad un esame anche sommario, che Gesù è in relazione con molteplici personaggi, e che tale relazione è ín continua trasfo~mazíone . Occorre ampliare íl quadro del nostro esame e notare che la partenza dalla sponda della Galilea (4 . 36), come pure íl ritorno alla stessa sponda (5 . 21), sono contrassegnati dalla presenza della folla : per potersi imbarcare con Gesù, i díscepolí hanno congedato la folla (~~~~~~~ ~ò~ ~~~ov, 4 . 36) ; e ńon appena Gesù è dí ritorno, una folla gli sí accalca intorno (~w~~~~ $~~o~ ~o~~~, 5 . 21) . Constatiamo una esatta simmetria . Agli occhi della folla della Galilea, Gesù è stato successivamente presente, ροί assente, ροί dí ritorno . Nel suo rapporto con la folla, Gesù compie lo stesso movimento di scomparsaríapparizione che rinnoverà, nel suo rapporto con gli apostoli, ín occasione della crocifissione, della deposizione nel sepolcro e della rísurrezíone.
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Nel passo che va da 4. 35 a 5 . 21 è interessante inoltre considerare íl numero delle persone che attorniano íl Cristo o gli fanno fronte . Gesù è dapprima ín mezzo alla folla (4 . 35) ; in seguito si trova, coi discepoli, su una barca circondata da parecchie altre barche (4 . 36) ; poi viene nominata soltanto la barca di Gesù e dei díscepolí ; ín 5 . 1, íl testo accenna ad un arrivo collettivo : « Arrivarono », Ka.~ ~),~ov . Ma soltanto Gesù è nominato quando si parla dell'uscità dalla barca : « Quand'eglí uscì dalla barca [. . .] » Kαί ~~~~~óv~o~ ~~~~~ ~x ~o~ ~~o~o~ [. . .] (5 . 2) . Ed è un uomo solo a farglisi incontro, dal fondo dei sepolcri . Abbiamo dunque assistito, nel corso del testo, ad un progressivo isolamento dí Gesù, sia perché dí fatto egli sí allontana dagli altri (la folla, le altre barche), sia perché íl narratore ha deciso dí parlare soltanto dí lui, senza più occuparsi della presenza eventuale dei discepoli che l'hanno scortato fino a quel momento . Questi saranno evocati a posteriori come « coloro che avevano visto quanto era successo », ò~ ~~ó~~~~ (5 . 16) . È come se íl narratore sí fosse proposto dí dare íl massimo rilievo possibile, la massima intensità drammatica, allo scontro fra Gesù e l'indemoniato, conferendo alla scena tutte le caratteristiche di una sfida singolare . Ma a partire da questo punto assisteremo a una pluralizzazione : si vanno progressivamente moltiplicando coloro che affrontano Gesù e anche quelli che gli stanno vicino . Intanto, l'uomo che viene incontro a Gesù è definito prigioniero dí uno spirito impuro, ~~ ~v~~~~~~ ~x~~~~~~~ (5 . 2). L'avversario già fin d'ora è duplice . Diventerà Legione, pullulerà in un gregge dí duemila porci . Poi si vedranno intervenire í pastori (quelli che lí facevano pascolare, o~ ~ó~xov~~~, 5 . 14), la gente della città e della campagna, cíoè tutta una folla di Geraseni che, invece di trattenere Gesù, lo supplicano di « abbandonare íl territorio », ~~~~~~w ~~ò ~~v óp~~v a.L~~v (5 . 17) . Solo ín seguito Gesù ritrova la folla che aveva lasciato sulla riva occidentale del « mare » . Gesù, eroe permanente della narrazione evangelica, è il detentore stabile del singolare. I díscepolí fanno gruppo con lui ín modo precario e instabile : una variazione della loro fede può ad ogni momento separarli da lui . Gesù non è mai in un rapporto di connivenza con gli altri, dí appartenenza a tutta prova . Non può essere l'uguale dí nessuno : il suo ruolo dí maestro, dí guaritore, dí liberatore lo destina a relazioni costantemente asimmetriche, marcate, ín genere, dall'opposizione singolare/plurale : Gesù ammaestra la folla, ροί sí allontana ín compagnia dei díscepolí : ma, quasi a mantenere intatta l'opposizione síngolare~plurale, la traversata è segnata dalla tempesta e dalla reprimenda di Gesù aí discepoli (4 . 40) . Il confronto drammatico fra Gesù e l'indemoniato conferisce ín un primo tempo all'altro
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l'aspetto dí un individuo unico : ma per un verso sí constaterà che si tratta dí non più che un momento : l'altro diventa Legione ; per altro verso occorre ríle~are che l'assenza della marca numerica dell'opposizione singolare/plurale viene compensata dall'accentuazione della marca qualitativa dell'opposizione Bene/Male, o Figlio dí Dío/ Demonio . La struttura opposítíva resta salva . E sí avvertirà ancora che la guarígíone del Geraseno, la sua conversione ín discepolo dí Gesù, la sua missione evangelizzatrice hanno l'effetto dí trasferire su dí lui il privilegio e il rischio della singolarità, nel rapporto dí insegnamento che d'ora ín poi sarà íl suo fra tutti gli abitanti della Decapolí . Il Geraseno (santificato e purificato dall'incontro con Gesù) sarà solo dí fronte a tutti í suol concittadini pagani, come Gesù è solo dí fronte alla moltitudine che ammaestra e guarisce . Possiamo dunque dire che Gesù sí rivolge alla pluralità, alla folla, ma che íl suo intervento efficace è eminentemente síngolarizzante, indi~ídualizzante, per colui al quale è rivolto . E non sembra improprio aggiungere che il male è sempre dalla parte della pluralità : sí tratti dí malattie, dí ostilità demoniaca, dí incredulità, la parte avversa è sempre plurale . Si ricorderà qui la formula dí Kierkegaard : ~~ La folla è la menzogna » . Ma occorre anche notare come Gesù non cessi quasi mai dí muovere incontro alla folla e dí manifestare ín essa la sua potenza mediante guarígíone e conversioni singolari. Un esame minuzioso della pericope Marco 5 . 1-20 cí mostra mírabílmente, come per effetto dí una necessità intrinseca, il processo dí pluralizzazione dello spirito impuro . In 5 . 2 sopraggiunge un uomo ~~ posseduto da uno spíríto impuro », ~v~~~~o~ ~v ~~~~~~~~~ ~x~~~~~~ . Incontriamo qui un doppio singolare (uomo, spirito) . Quando l'uomo, in 5 . 7, si prostra davanti a Gesù, gli rivolge la parola e lo supplica, sí serve ancora del singolare : « Che c'è fra me e te, Gesù, figlio del Dío Altissimo ? Ti scongiuro, ín nome dí Dío, non tormentarmi » . T~ ~~o~ x~ì ~o~, 'I~~o~ ~ì~ ~c~ ~~oú ~o~ ~~~~~~o~ ; ó~~~~~ ~~ ~òv ~~óv, ~~ ~~ ~~~~~~~p~ . È questo, ripetiamo, un singolare assai ambiguo, attraverso il quale può esprimersi tanto l'uomo quanto íl demonio . La supplica si rí~olge al Cristo, destinatario chiaramente designato, ma íl locutore non sí fa conoscere esattamente. La prima persona singolare, che ammette un solo soggetto, è manifestamente troppo stretta : ne deriva un'índístínzíone impura delle due essenze (uomo e demonio) fusi ín un solo io (έμοί) . In risposta Gesù apostrofa lo spíríto impuro al singolare, come se ne ignorasse provvisoriamente la natura plurale : « Escí da quest'uomo, spíríto impuro » . "E~~~~~ ~ò ~v~~~a. ~ò ~x~~a~~ov ~x τού ~~~~~~o~ (5 . S) . E sempre attríbuen-
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dogli una natura singolare, gli domanda íl suo nome . « Qual è il tuo nome ? » T~ wo~~ ~o~ ; (5 . 9) . Il demonio da parte sua aveva ím,mediatamente riconosciuto il Cristo e l'aveva salutato come Figlio del Dío Altissimo : sí è spesso osservato, leggendo í Vangeli, che le potenze demoniache - ín quanto « spirituali » - sanno riconoscere istantaneamente l'identità dí Gesù, loro mortale nemico . Sarà meno chiaroveggente Gesù di fronte al demonio ? Oppure dobbiamo ammettere che la domanda rivolta al demonio non è una vera interrogazione, ma già l'inizio del combattírnento contro l'avversario ? Costringerlo a rivelare íl nome significa renderlo vulnerabile : il nome apre la possíbílítà dell'esorcismo . Ora, íl nome che íl demonio rivela a Gesù è un singolare collettivo : « Legione è íl mio nome », ~~~~~v ~~o~~ ~o~ (5 . 9) . Questo nome, (benché al singolare) è un termine moltiplicatore : è la chiave della pluralízzazíone . Costretto a confessare dalla presenza irresistibile di Gesù, íl demonio pronuncia la propria identità : íl termine Legione è ricco dí implicazioni e dí connotazioni che non è difficile intuire : designa la moltitudine armata, le truppe ost~lí, l'esercito occupante, l'invasore romano, e forse anche í crocífissori del Cristo . Il plurale ormai può manifestarsi pienamente : « Perché siamo in molti », ó~~ ~o~~o~ ~~~~~ (5 . 9) . La stessa voce che diceva « il mio nome » (óvo~~ ~~~) dice ora « noi siamo » (έσμέν) : è divenuta voce collettiva, e ηοί restiamo a questo punto sorpresi da un paradossale effetto dí anacoluto . Una a sfaldatura » sintattica libera un nuovo soggetto (plurale) dal soggetto precedente (singolare) . Tuttavia, in 5 . 10, osserviamo ancora una volta una oscillazione fra íl singolare e íl plurale : « E lo scongiurava con insistenza dí non cacciarli da quella contrada » . Kaì ~~~~x~~~~ ~.~~òv ~o~~~ Yv~ ~~ ~~~á ~~o~~~~~~ ~~~ ~~~ ~~~~~ . La frase seguente (5 . 11) introduce nuovamente un singolare collettivo (« íl gregge », ~~~~~), ma íl suo complemento (« dí porci », ~o~~~v) determina immediatamente la pluralità . Quando compare per la seconda volta íl verbo « pregare » (~~~~x~~~~~~), íl soggetto è decisamente al plurale, anche se l'identità dei demoni rimane sottintesa : « E lo pregarono dicendo [ . . .] » χαì n~~~x~~~c~v a.~~óv ~~~ov~~~ [ . . .] (5 . 12) . Da ultimo íl soggetto sí manifesta interamente nella sua qualità dí plurale nominale e dí plurale verbale : k E gli spiriti impuri uscirono » . Kaì ~~~~~óv~~ ~~ ~v~~~a.~~ ~7 ~x~~~~~~ (5 . 13) . L'espulsione delle potenze del male sí verifica, come sí vede, per tappe successive che accentuano via via l'oggettívazíone esteriore : íl nome rí~elato, la pluralizzazione progressiva, sono già una uscita forzata dalla persona dell'uomo posseduto . L'entrata nel corpo degli animali e la caduta nel mare non fanno che completare il processo dí esteriorizzazione, dando alla liberazione forme
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quasi iperboliche . L'uscita dall'uomo (verbo ~~~~~~~~~~) è completata dall'entrata (verbo ~~~~~~~~~~~) ín ~~n altro ospite . I prefissi sono carichi dí un valore rudimentale e forte, che segna il superamento dí un limite verso l'esterno (έχ) o verso l'interno (είς) . Al termine del processo dí liberazione, saranno intervenuti tre passaggi : fuori dell'uomo, nel corpo dei porci (~~~ ~o~~ yo~~o~~), nel mare (είς ~~~ ~~~a~~av) (5 . 13) . Qualcuno ha voluto vedere, ín questo testo, l'eco o íl residuo di un racconto folcloríco sul tema del diavolo beffato . Senza dubbio ha potuto suscitare una simile interpretazione il fatto che la storia qui raccontata, partendo da una sítuazíone di « sconvolgimento », conduca (provvisoriamente) a un ritorno all'ordine . Un uomo è stato espulso dalla sua comunità per opera dí un intervento soprannaturale ; í demoni sí sono avventurati fuori dal loro luogo legittimo che è l'abisso . Intervíe~~e l'eroe, e la sua azione (in questo caso la sua presenza efficace, dato che non c'è una vera e propría lotta) produce l'effetto di riportare ogni cosa al suo posto : l'uomo fra í suol, í demoni nelle profondità . La storia termina dunque con la disfatta del malvagio ribelle e con la restaurazione dell'ordine sovvertito . La conclusione, (o l'apparente conclusione) è tale da soddisfare il bisogno di riparazione che è all'origine di tanti racconti folclorící . Gesù compare nelle vesti dell'eroe sicuro della vittoria, è, dí primo acchito, il più forte : l'interesse non sí concentra sul combattimento ín sé, ma sulle circostanze della disfatta dí un avversario íl quale, a motivo della sua forza e della sua malvagità, avrebbe incusso terrore a chiunque non fosse stato Gesù . In Gesù invece sí notano tutti i segni della sovranità : l'espressione imperativa, la domanda (entrambe ín discorso diretto), il permesso dí entrare nel corpo dei porci (ín discorso indiretto) sono dí un'estrema economia . Le parole del demonio sono più prolisse: ví sí legge la manovra disperata dí un avversario che non ha scampo, che moltiplica le suppliche, e moltiplica se stesso, invano . L'eroe Gesù doma colui che ~~ nessuno aveva la forza dí domare » (5 . 4) . D'altra parte la riparazione (come avviene ín numerosi racconti) comporta un sovrappíù dí riuscita, un beneficio supplementare : non soltanto l'uomo guarito viene restítuíto aí suoi, ma diventa un adepto dí Gesù, sí pone al seguito dí colui che l'ha guarito, così come, ín tanti racconti popolari, i prigionieri liberati fanno atto di sottomissione e dí fedeltà all'eroe liberatore. Ma alla pluralízzazíone delle potenze espulse corrisponde un processo inverso - dí individuazione - per l'uomo liberato . Il soggetto ambiguo che dice : « Che c'è fra »~e e te ? » T~ ~~o~ x~~ ~o~ ; (5 . 7), sí fraziona per dar luogo al plurale non equivoco degli spiriti impuri,
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e insieme per consentire la riemersione di ~~n soggetto umano restítuíto alla propría identità singolare . La catarsi espulsiva separa ín modo decisivo gli invasori dall'essere precedentemente da loro occupato . L'aggressività rivolta contro se stesso, ín 5 . 5 (nell'atto dí percuotersi con pietre, x~~axó~~~~~ ~~~~óv ~~~o~~), è spostata sui porci ; che sí precipitano ín mare . La violenza autodistruttiva è stata trasferita. Questa violenza, essenzialmente animale e anímalízzante, ritrova la sua sede appropriata nel corpo degli animali impuri .
Lo stato dí possessione e lo stato di guarigione Il processo dell'esorcismo (che si estende per 9 versetti) occupa íl centro della storia dell'indemoniato dí Gerasa : è l'atto che (ín questa narrazione sviluppata ín cui Díbelíus vedeva una « novella ») modifica uso stato dí partenza, e produce l'evento, la novità : è il luogo del cambiamento . Il racconto ruota intorno a questo perno . Ma la descrizione dello stato dí possessione occupa i quattro versetti precedenti, e le conseguenze della guarigione, importantissime, sono oggetto dei versetti 15-20 . Lo stato di possessione e lo stato di guarigione appaiono l'uno l'inverso dell'altro ; se così non fosse, l'esorcismo non avrebbe il suo pieno valore dí rovesciamento radicale e dí restaurazione . È dunque determinante, per l'efficacia della narrazione, che í sintomi della possessione e í segni della guarigione siano fortemente marcati . L'evangelista (e poco importa che sí tratti dí un autore unico o dí una tradizione arricchita da aggiunte successive) provvede a sottolineare l'opposizione fra íl comportamento dell'uomo prigioniero del male, e l'atteggiamento, í gesti, i discorsi che lo caratterizzano dopo la liberazione. La vita nei sepolcri, indicata a tre riprese (5 . Z, 3, 5), è uno dei segni dominanti della possessío~~e : forse, come suggerisce John F . Craghan,i íl tema della tomba riprende í termini del Salmo 68 . 7 (« un popolo che fa dei sepolcri la sua dimora ») . Il risultato è la possibilità dí riconoscere una sítuazíone predetta : l'indemoniato è colui íl .cui . tipo è presente nelle pagine degli scritti canonici . Ma al tipo prestabílíto, dell'esistenza ribelle, votata all'impurità, l'evangelista associa . l a possessione vera e propría, dí cui la bibbia ebraica fa menzione assai più raramente . E l'immaginazione del male accumula í partícolarí . Così vediamo aggiungersi: le catene spezzate (citate a due
1 . The Gerasene Demoniac, ín x The Catholic Biblical Quarterly ~> 30, 1968, p . 529 . 73
riprese), le grida, la violenza autodistruttiva, la nudítà (segnalata a contrario dal versetto 15) . Tutti questi caratteri, quando lí si esamini attentamente, indicano l'esteriorità, l'alienazione, la negazione . E, subito, una determinazione negativa, inscritta nel prefisso, contribuisce a qualificare lo spirito ím-puro (~~~~~~ ~-x~~~~~ov, 5 . 2) . La dimora nelle tombe rappresenta il fuori assoluto, ín rapporto alla vita e al tempo stesso ín rapporto alla comunità . Inoltre, le catene (í legami) che la comunità ha voluto imporgli, l'indemoniato le ha spezzate, grazie alle energie comunícateglí dall'ospite malvagio . Egli sfugge dunque alla funzione « repressiva » esercitata dal costume degli uomini . In un certo senso, si è A liberato » da tutte le costrizioni che la vita ín comune esige : le grida sono un'espressione non più governata dal linguaggio convenzionale ; la nudítà « naturale » rifiuta l'obbligo ~ culturale » del vestito . Ma questa esteriorità perfetta, quest'indipendenza nella non-relazione, quest'esilio voluto ín luoghi selvaggi, lungi dal rappresentare l'immagine della libertà, vengono descritti come i sintomi della peggiore delle schiavitù : dell'ímperío esercitato da parte di un padrone malvagio contro íl quale nessuna resistenza è possíbíle . La libertà furiosa è una libertà per nulla, dato che il demonio è precisamente íl nulla . I colpi che l'indemoniato sí dà con le pietre manifestano una volontà dí morte - dí autolapídazíone - condannata però a ripetersi senza sosta e senza effetto, poiché l'uomo che dimora nelle tombe appartiene già al regno della morte . È un morto che vive . Così, íl suo movimento
Ι
come segno complementare della possessíone demoniaca : un solo termine dí una coppia d'opposti basta a segnare un rovesciamento ; « sano dí mente » (~~~~o~ow~~) appare infine come termine sintetico che segna íl contrasto radicale con tutto íl comportamento anteriore: sí oppone soprattutto a « gridando e percuotendosi con pietre » (x~~~~~ xa~ x~.~~.xó~~~v ~a~~óv ~~~o~~ 5 . 5) . E a queste grida inumane si oppone in modo particolare l'umile preghiera rivolta a Gesù dí ammetterlo fra í suoi : « E mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava che gli permettesse dí stare
τόν ~~~~xó~~ τόν ~~~~~v~, χαί ~~o~~-
con lui » . K~~ ~~~~wov~o~ a~~o~ ~~~ ~ó ~~o~ov ~~~~x~~~~ ~~~óv ó ~a~~~v~~~~~~ w~ ~~~' aύτού ~ (5 . 18) . L'indemoniato non solo ha riacquistato una parola umana, ma, ín opposizione alla supplica del demonio (per la quale l'evangelista usa lo stesso verbo ~x~~~a.~~w), anzícché invocare la possíbílítà dí sfuggire a Gesù, sollecita il privilegio dí seguirlo . La restituzione della parola non si ferma a questo : parlare, d'ora ín poi, significherà essenzialmente per l'indemoniato seguire l'íngiunzíone dí Gesù : « Annuncia loro quello che íl Signore tí ha fatto, e la misericordia che ti ha usato » . 'A~~~~~~~ov ~~~o~~ ó~a. ó x~~~ó~ ~o~ ~~~o~~x~v χαί ~~~~~w ~~ (5 . 19) . La distanza fra l'atto del gridare (x~á.~~~~) e la parola annunciatrice e predicatrice (άπaγγέλλε~ν) è la massima possíbíle . Da questo momento il Geraseno, restituito alla propria identità e alla possíbílítà del linguaggio umano, dovrà assumersi sull'esempio stesso dí Gesù íl duro privilegio della singolarità dí fronte alla pluralità degli udítorí, í membri della propria famiglia, e ροί gli abitanti dí tutta la Decapoli . Restituito al linguaggio, ma per ~ívere íl rapporto asimmetrico che lega il narratore e gli udítorí nella situazione didattica . Altro rovesciamento decisivo : l'uomo che aveva stabilito la sua dimora « nei sepolcri » (~v ~o~~ ~v~~~~~~, 5 . 3, 5) tornerà ormai per ordine dí Gesù « nella [sua] casa, dai [suoi] » (_~~ ~óv o~xóv ~o~ ~~ó~ ~o~~ ~0~5, 5 . 19) . In questo modo termina l'esilio dalla comunità : ricuperata la propria identità personale, l'uomo può dí nuovo νívere nella sua casa, mescolarsi agli altri . Da una abítazíone di morte passa a una abitazione dí vita . Ma porterà il marchio dí quanto gli è successo : egli sarà colui che nessuno poteva legare, colui che è vissuto « fuori » tanto tempo, nell'esteriorità della follia demoniaca . Il suo repentino ritorno al senno, turbamento dí uno stato
`~~~~v (5 . 15) . Ognuno di questi participi aggettivati, destinati ad attestare íl cambiamento sopravvenuto, può essere opposto ad un .aspetto della possessíone . « Seduto » (x~~~~~vo~) sí oppone all'errare e scatenato » attraverso tombe e montagne (5 . 5) ; « vestito » (~~~~~~~~~ov) crea, come abbiamo visto, la nozione retroattiva della nudítà
(x~ì ~~o~~~~~~v, 5 . 15) ; íl suo racconto sbalordisce tutti (χαί ~~v~~~ ~~~~~~~ov, 5 . 20) . Nuovo rovesciamento : dopo la liberazione, egli esercita un'azione sugli altri, mentre prima gli altri tentavano con la forza dí agire su dí lui .
è un agitarsi privo dí senso : è un errare senza direzione e senza finalità, privo di scopo e dí rapporto con qualsiasi realtà . Sí comprende come la non-relazione (che la prima parola dell'indemoniato proclama : « Che c'è fra te e me ? » T~ ~~o~ x~ì ~o~ ; 5 . 7) abbia come conseguenza l'abolizione pressoché completa del soggetto autentico . L'io è stato accaparrato dal demonio . L'uomo è ridotto alla condizione dí puro zimbello . . . Lo stato dell'uomo liberato ci viene dapprima descritto dal punto dí vista dei curiosi, venuti dalla città e dalla campagna, col desiderio dí vedere ciò che era successo : « . . . e videro l'indemoniato seduto, vestito e sano dí mente, lui che era stato posseduto dalla legione, ed ebbero paura » . Καί ~~~~o~~w τόν ~~~~ov~~ó~~vov x~~~~~vov ~~~~~~~wov χαί
σωφρονούντα,
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dí fatto al quale la gente sí era abituata, provoca ín loro lo spavento
?5
I versetti 19-20, nei quali Gesù (la proposizione è all'imperativo) dà all'uomo un ordine che questi esegue con esattezza, rappresentano ín maniera nettissima il rapporto predittivo parola compimento . L'uomo esegue fedelmente quanto Gesù gli ha detto . Ma non v'è nulla nel testo che designi questo rapporto come una costrizione . Per quanto sia cosa abituale nei Vangeli che gli individui guariti manifestino la loro fede ín Gesù, sarebbe del tutto erroneo pensare che egli, strappandoli al male o aí demoni, a sua volta ne faccia un bene personale, eserciti su dí loro un qualche diritto dí proprietà. Certo, nel caso dell'indemoniato di Gerasa, íl testo è di una economia totale, non dice esplicitamente che l'uomo diviene un libero adepto dí Gesù . Tuttavia - il testo lo lascia intendere chiaramente - l'indemoniato chiede di propria iniziativa íl permesso di seguire Gesù, e pubblicherà la storia della propria liberazione fra gli abitanti della Decapolí con atto di spontanea obbedienza . La differenza fra Gesù e il demonio non appare soltanto come differenza dí essenza, frutto del divario che separa la potenza del bene dalle potenze del male, ma si manifesta anche nel modo con cui ognuno esercita íl suo potere . Il demonio abita le sue vittime : le invade, penetra nell'intimità dei corpi, che riduce allo stato dí strumenti . La possessione demoniaca, come è rappresentata qui, non è priva dí analogie con i « furori » e gli « entusiasmi » ai quali il pensiero greco è ben lontano dall'attribuire un senso sempre sfavorevole . Il dominio del Cristo non sí esprime, ín questa pericope e in nessun'altra, con un'influenza esercitata ~dall'ínterno: si avvale dell'allocuzione imperativa . Sollecitando l'ascolto e la decisione, si esercita dall'esterno, sia per cacciare í demoni, sia per domandare all'uomo di Gerasa di andare verso í suoi . Gesù :affronta, ma mantiene una distanza, la distanza richiesta dall'atto dí .rivolgere la parola, dí parlare a un altro . Gesù riconosciuto , Gesù rifiutato
Abbiamo visto che l'indemoniato apostrofa Gesù, fin dall'arrivo d ί questi, attribuendogli la sua piena ídentítà : « Gesù, Fíglío del
Dío Altissimo », 'I~~o~ ~~~ ~o~ ~~o~ τού ú~~~~o~ (5 . 7) . Glí abítantí di Gerasa, invece, malgrado íl racconto dei testimoni e la testímonianza dei loro stessi occhi, pregano Gesù dí lasciare il paese (5 . 17) . Non l'hanno riconosciuto . Questo contrasto fra riconoscimento e non-riconoscimento cí induce a porre la domanda : chi riconosce Gesù ? Coloro che sono dotati della facoltà dí « vedere »: all'inizio dí Marco sono, successivamente, Giovanni Battista e l'indemoniato della sinagoga dí Cafarnao (1 . 24), '7 6
poi gli ~~ spiriti impuri » che lo salutano come Fíglío di Dío (3 . 11) . D'altra parte sembra che Gesù desideri dí non essere riconosciuto : ~~ Ma egli intimava loro ripetutamente dí non manifestarlo ~ (3 . 12) . Marco attribuisce dunque a Gesù la volontà di insegnare e di guarire, ma non quella di lasciarsi pienamente riconoscere . Gli stessi discepoli restano nel dubbio sulla sua ídentítà spirituale . Quanto aí suol parenti (3 . 21) o aí suoi concíttadíní di Nazareth (6 . 1-6), non intuiscono che l'identità terrena dí Gesù, disconoscendo totalmente l'aspetto divino della sua persona e del suo insegnamento . Poniamoci un'altra domanda : come sí manifesta l'opposizione alla figura centrale dí Gesù ? Chí, dí fronte a lui, svolge íl ruolo di oppositore ? La perícope dell'indemoniato dí Gerasa cí permette dí rispondere : prima dí tutto è íl demonio ; ma in un secondo tempo è la folla dei Gerasení, che chiedono a Gesù di lasciare il loro territorio (5 . 17) . Il non-riconoscimento sí sostituisce, nel mondo umano, all'opposizione chiaroveggente delle potenze demoniache nel mondo spirituale (íl non-riconoscimento potrebbe dunque essere visto come la fgura umana dell'ostilità del demonio) . Ma esaminiamo più da vicino íl modo con cui Gesù affronta le due opposizioni . Nella perícope dell'indemoniato di Gerasa, Gesù affronta í demoni, li esorcizza, lí espelle, ed esce vincitore da questo incontro col nemico . Di fronte a lui l'avversario cede, precipita la propria rovina . Tuttavia questo avvenimento, che l'evangelista riferisce ín piena conoscenza di causa, non viene riconosciuto come un miracolo benefico da parte dei Gerasení : ne hanno spavento (e sí può supporre che questo loro terrore, agli occhi dell'evangelista, sia della stessa natura dí quello manifestato da quel testimoni che, ín Marco 3 . 22, giudicano Gesù stesso posseduto da Beelzebub, dicono che « caccia i demoni per mezzo del principe dei demoni ») . Ora, mentre Gesù ingaggia il combattimento con l'awersarío demoniaco e ne vince ogni opposizione , non resiste all'avversario umano . Abbandona íl terreno, delegando l'indemoniato liberato a far fronte da solo all'incredulità dei suoi concíttadíní . Così, dopo la vittoria di Gesù contro un primo oppositore (vittoria che segnala e attesta la sua missione divina), noi vediamo sussistere, su un altro piano, un residuo dí opposizione, un'ostilità che non sí lascia ridurre, e che Gesù del resto non sí impegna a superare. La constatazione, a mio avviso, non sí deve limitare alla pericope oggetto della nostra analisi . Consideriamo la perícope ímmedíatamente precedente (4 . 35-41) . Durante la traversata del mare sí scatena la tempesta : la violenza della natura mette ín pericolo la barca . Svegliato, nel sonno, dai discepoli inquieti, Gesù calma ístantanea77
mente i flutti . Dal fondo di un apparente stato dí debolezza e dí assenza , Gesù esercita con la sua parola una potenza irresistibile sugli elementí, che gli ubbidiscono all'istante. Ecco dunque un'opposízíone vinta : alla tempesta succede « una grande calma », ~~~~v~ ~~~~~~ (4 . 39) . I discepoli hanno mancato di fede : non conoscono Gesù se non sotto íl nome dí maestro (~~~~~x~~o~) . Il miracolo che egli opera suscita ín loro non íl pieno riconoscimento, ma « un grande spavento », per indicare il quale l'evangelista ricorre allo stesso verbo usato per íl terrore .cieco dei Geraseni (xxì ~~o~~~~~~v ~ó~o~ ~~~~v, 4. 41) . Così, l'identità dí Gesù resta per í discepoli una domanda senza risposta : « E sí dicevano l'un l'altro : Chí è dunque costui, che anche il vento e íl mare gli ubbidiscono ? » (4. 41) . Queste parole, alle quali ío credo dí dover dare un senso esclamativo più che ínterrogatívo, lasciano capire che i discepoli sono ancora incapaci dí intuire la natura « reale » del potere esercitato da Gesù . Il narratore, dal canto suo, se ne attribuisce la conoscenza, e può così mettere ín contrasto l'opposizione vinta (qui nell'universo degli elementí naturali) e il residuo di opposizione che sussiste nelle coscienze umane . Tale íl paradosso dí un racconto ín cui vediamo l'eroe vincere gli opposítorí naturali (venti, tempeste, malattie) o soprannaturali (demoni), ma permettere che rinasca e persista l'opposizione umana . Ma si tratta dí un racconto : se dí volta in volta non si ripresentasse una nuova « prova », íl racconto sí esaurirebbe . Il residuo dí opposízíone, la rísorgenza dell'ostilità ne provoca la contínuazíone . E siccome ciò di cui sí parla è íl destino dí tutti gli uomini, la continuazione del racconto equivale alla contínuazíone della Storia . Infatti, se ogni opposízíone a Gesù venisse riassorbita, avremmo la calma (~~~~v~) assoluta, la scomparsa dí ogni potenza malefica, la fine dei tempi, la sottomissione e la restaurazione di tutte le cose nell'ordine divino - in una parola, il compimento visibile dí tutte le antiche profezie . Il compito dell'evangelista è nello stesso tempo quello dí annunciare che íl messia è venuto, e dí mostrare come la vittoria conseguita durante íl suo mínístero terreno non sia stata che preliminare, prefigurazione di altre vittorie che una opposízíone ogni volta risorgente avrebbe reso ~~ecessaríe . Così ví sono, insieme, sufficienti prove della divinità dí Gesù, e sufficienti ostacoli che obbligano a differire la pacificazione totale del mondo, a proiettarla ín una dimensione dí futuro e dí speranza . L'opposizione non scompare mai completamente : si ricostituisce su altre linee, si ritira, diremmo, secondo il sistema della « difesa elastica », assumendo altre forme - tante forme successive quante sono necessarie per occupare la durata e per sostenere l'attesa della scomparsa radicale del male . 78
La perícope dí cui abbiamo abbozzato l'analisi cí ha fatto assistere a un movimento dí espansíone vittoriosa : espansíone nello spazio oggettivo, sul terreno dí un paese straniero ; espansione della parola divina che fa indietreggiare le potenze del male e libera l'uomo che esse tengono prigioniero . Il disastro dei porci può allora apparire, abbiamo detto, come la figura anticipata della caduta degli angeli ribelli . Ma, appunto, non più che la figura e la promessa . Perché íl movimento di espansíone è arrestato dall'incredulità dei Geraseni : íl movimento sí inverte . Gesù, scacciato, prende la strada del ritorno : lascia l'indemoniato « convertito » ad affrontare, pericolosamente, l'opposizione . Questa struttura non sí ritrova forse ad altri livelli ? Visto nel suo insieme, íl racconto del mínístero terreno di Gesù sí costituisce come íl movimento espansivo di una verità che guarisce í corpi e conquista le anime : íl residuo di ostilità umana istruisce íl processo dí Gesù e la sua passione . Gesù non vi sí sottrae, come non sí è sottratto all'inospitalità dei Geraseni . A sua volta la risurrezione di Gesù interviene come una vittoria sull'opposizione più crudele : Gesù è più forte della morte . Ma subito ricompare íl residuo di opposízíone nel mondo umano . Gesù manda gli apostoli « ín tutto íl mondo », ma prevede la resistenza e la dannazione dí coloro che non crederanno : « E disse loro : Andate in tutto il mondo e predicate íl Vangelo ad ogni creatura . Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato » . (Marco 16. 15-16) . 2 Così, un'escatologia che preveda la separazione eterna degli eletti e dei dannati proietta, nei secoli dei secoli, un residuo dí ostilità - votata al castigo, non riassorbita nell'unità . Ma d'altro canto un'escatologia che promette la riconciliazione dell'intera creazione (άποχατά~~~~~~) potrebbe economizzare il concetto dí oppositore ? Noi lo credo . Per annunciare íl tempo finale ín cui tutte le cose (ivi compreso íl male e í malvagi) faranno ritorno a Dío, tanto più dovrà insistere su ciò che, nel momento presente, fa ostacolo, impedisce íl ritorno, fomenta la persistenza del male . Sono certamente le teologie più cariche dí ardente speranza nella gioia finale quelle che più hanno bisogno dí un concetto che permetta di far pazientare gli uomini spiegando loro per colpa dí quale maleficio essi non siano ancora nella beatitudine promessa (lo stesso può dirsi di certe forme dí fede politíca , che non sono altro che teologie laicizzate) . Per dare un volto 2. Ricordiamo tuttavia che questa citazione è tratta dall'epilogo dí Marco, considerato oggi ínautentico . 79
al residuo dí ostilità, bisognerà inventare l'Antí-Cristo . In questo modo sí conferirà ad ogni forma di opposizíone (incredulità, dísobbedíenza, violenza, ecc .) íl volto demoniaco che l'opposizione assume nel testo che leggiamo . E, lungo íl corso dei tempi, dí fronte all'oppositore demonizzato, la lotta sarà affidata agli esorcisti, a meno che non prevalga la tentazione di vincere con la spada . L'interpretazione parabolica Il prelievo di una perícope non è un atto innocente . È sempre possibile, certo, assumere come oggetto d'analisi un frammento narrativo che comporta nette delimitazioni e tende a chiudersi su se stesso quando lo sí esamini isolatamente . Ma una pratica dí questo tipo tende a far leggere íl testo globale come se fosse composto d'una serie dí episodi, prima indipendenti e poi cuciti l'uno all'altro. L'episodio (qui, la perícope) appare allora come l'unità costitutiva, la cui struttura, il cui u funzionamento », una volta messi ín evidenza, sí ripeteranno in maniera identica, od omologa, in tutti gli altri segmenti narrativi . Ora, noi non possiamo fissare dei punti dí arresto aí due margini del testo studiato . È indispensabile rendere ín ogni momento fluttuante la chiusura del testo sottoposto ad esame . È quanto noi abbiamo già fatto prendendo ín considerazione la perícope della tempesta sedata . Ma risaliamo ancora íl corso del testo, consideriamo Marco 4 . 1-34, e ciò che vi sí dice dell'insegnamento ín parabole . Rileggiamo in particolare queste parole di Gesù (nelle quali è evidente íl ricordo dí Is . 6 . 9-10) : « E quando furono soli, quelli che lo circondavano insieme ai Dodici presero a interrogarlo sulle parabole . E disse loro : A voi è confidato íl mistero del Regno dí Dío ; a quelli dí fuori invece tutto viene esposto in parole, affinché guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non sí convertano e venga loro perdonato » (4 . 10-12) . I destinatari vengono separati da Gesù ín due gruppi : voi e quelli di fuori . Vediamo comparire l'opposízíone antonimica dentro/fuori . E quando Gesù dichiara : Chí ha orecchie da intendere intenda » (Marco 4 . 9), noi scorgiamo una opposizíone altrettanto radicale : Chi ha orecchie/chi non ha orecchie . L'insegnamento ín parabole sembra assuma qui un aspetto limitativo difensivo : è precluso a coloro che non hanno orecchie, e preclude loro l'accesso alla salvezza . Il ricorso alla parabola, lungi dall'essere motivato dalla preoccupazione pedagogica dí un approccio per. ímmagíní alla verità, limita deliberatamente íl numero degli eletti : esclude quelli che non hanno intelligenza . Si potrebbe arrivare a supporre che, stabilendo questa separazione, la forma parabolica ~~
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dell'insegnamento concorra a preservare un fattore dí opposizíone, una non-ricezione del messaggio . Tanto più grande sarà dí conseguenza íl merito dí coloro che avranno accesso al senso completo, o dí chi avrà avuto íl privilegio di ascoltare Gesù tradurre la parabola . Così avviene per íl seminatore e per la semente, nella quale bisognerà vedere la parola stessa . Nella natura del terreno ín cui cade íl seme, bisogna intuire che la parabola designa le disposizioni interiori dell'ascoltatore . Glí uccelli che portano via il seme sono un'immagine di Satana, ecc . Se ci si attiene alla parabola, esposta nella duplice versione, la non-ricezione del messaggio appare imputabile ad una causa esterna al messaggio stesso ; la colpa è del terreno su cui cade il seme, cioè dell'anima del destinatario : durezza di cuore o incostanza, u preoccupazíoní del mondo », intervento dí Satana . Ma, come abbiamo visto, secondo la teoria » della parabola enunciata da Gesù sembra che la forma parabolica sia scelta precisamente con lo scopo dí produrre la separazione fra quelli che comprendono íl senso figurato, e quelli che non possono andar oltre al senso letterale . Il principio dell'elezione è quindi inscritto sia nella forma del messaggio, sia nella qualità dell'ascolto che ogni destinatario è capace di prestare . Il codice parabolico implica una sostituzione di vocaboli, ín virtù della quale u~ racconto, pur conservando la sua struttura sintattica, si trasporta da un registro all'altro : ín questo caso, dal registro agrario (gettare il seme) al registro didattico (diffondere la parola) : íl seminatore diventa così la figura del divino maestro . Comprendere significa operare tutte le sostituzioni, riuscire ad aprirsi la via verso un discorso secondo : questo, una volta costituito, relega íl primo discorso al rango dí formulazione preliminare, dí omologo incompleto, dí prefigurazione criptica : schermo (per chi non ha saputo realizzare le sostituzioni e pertanto resta al dí qua del senso) e insieme via d'accesso al v mistero » (per chi ha operato íl passaggio al registro prima nascosto) . L'interprete sí porrà a questo punto una serie di domande . La prima riguarderà la nozione dí passaggio, dal registro letterale al registro figurato », o se si preferisce, la nozione dí spiegazione, dí liberazione del senso (come suggerisce íl verbo ~~~~ú~, ín Marco 4. 34 : in privato spiegava ogni cosa aí discepoli ») . Questo passaggio da un piano ad un altro, questo trapianto del discorso da un luogo verso un altro luogo, questo movimento intimamente legato al principio stesso dell'elezione e della salvazza, non è forse apparentato, per similitudine profonda, a tutte le figure dí passaggio e di attraversamento che cí avevano colpito nella perícope della tempesta sedata e in quella dell'indemoniato guarito ? L'itinerario dí Gesù, le ~~
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o dí Quesnel, íl demonío che tormenta il Geraseno è assimilato alla concupiscenza carnale, all'impudicizia, al desiderio sessuale sfrenato - lettura « abusiva » del testo, ma per spostamento allegorico, da un tipo dí schiavitù ad un altro . È in causa qui non più la totalità del mondo, ma la totalità dell'aníma . 3 Ma l'affacciarsi del significato morale dissipa la storicità del racconto . Non è già un episodio del mistero terreno di Gesù, un momento della sua vita nel tempo : è una vittoria íntemporale, cui ogni i~díviduo può ricorrere per liberarsi del proprio tormento temporale . Non rimane molto dell'avvenimento che ha avuto luogo ín un'ora determinata, al tempo dí Erode, sulla riva orientale del lago dí Tíberíade : come sí vede, ciò che ín questo modo viene espulso è la considerazione della presenza incarnata dì Gesù, del suo cammino terreno, della sua realtà umana . In realtà, íl racconto dell'Evangelista tende a sostenere, con semplicità e vigore, íl registro della presenza sensibile : Gesù percorre luoghi ben determinati, si mescola all'esistenza qu~tídíana dí gente d'ogní condizione ; nella barca, si addormenta e posa íl capo su dí un umile cuscino . Ma ín ognuno di questi epísodí, se è vero che Gesù è ancora presente nella storícìtà, egli è già tuttavia íl Figlio di Dío, il Redentore, íl Crocifisso . La simultaneità delle due nature » del Cristo garantisce la simultaneità, la sovrimpressione, del senso storico (« letterale ») e del senso spírítuale . In breve, la parabola non è soltanto un modo dell'insegnamento, ma è consustanziale a una teologia . Il primo livello del testo (sensibile, storico, letterale) è quello dell'esistenza incarnata e del suo svolgimento temporale . Questo livello è strutturato ín modo tale che, conservandone íl funzionamento sintagmatico e operando le sostituzioni paradigmatiche appropriate, sí scopra un livello secondo, nel quale si dichiara precisamente l'evento della ne dei tempi, íl regno dí Dio, la salvezza e íl giudizio finali. Sí íntuísce facilmente come íl primo livello possa diversificarsi all'infinito, coordinare un grandissimo numero dí epísodí ; ma ognuno dí questi epísodí non sarà che una nuova « illustrazione » - carica dí particolari contingenti, legata a circostanze materiali variabili - che punta ad un senso spírítuale invariabile e rigorosamente necessario . Tutte le parabole dicono la stessa cosa, rinviano allo stesso regno dí Dío, alla stessa escatologia, allo stesso passo decisivo . Da ciò, anche, la gossíbílítà dí una serie infinita di rinvii laterali, da una pericope all'altra, da un evento storico all'altro . È costante íl riferimento ad ~~
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successive manifestazioni del suo potere spírítuale sono altrettanti « spostamenti » che hanno valore di rivelazione . Dovunque ci appare lo schema del passo decisivo : passaggio da una riva all'altra, passaggio dalla violenza alla calma (nella pericope della tempesta), dalla possessione alla ragione ritrovata, dall'ignoranza alla fede (nella pericope dell'indemoniato), passaggio dalla non-comprensione alla comprensione (nella « teoria della parabola ») . Ognuno dí questi passaggi segna un avvento . Dire la venuta della salvezza consiste, per l'evangelista, nel moltiplicare le figure complementari : dall'uscita decisiva (dalla schiavitù dell'illusione, della malattia, della possessione, dell'accecamento, ecc .), e dell'entrata (nella salute, nella . fede, nella íntellezíone) . Gesù è innanzi tutto l'« eroe » che effettua il passaggio, ma è anche colui per mezzo del quale gli uomini a loro volta accedono a una vita nuova - a una vita secondo verità . La storia del seminatore è una parabola . Ma la « teoria » del doppio senso annunciata da Gesù a proposito del suo insegnamento non illumina forse, per contiguità, tutto íl racconto che precede e che segue ? Siamo tentati dí parabolízzare Gesù stesso, e gli atti che la narrazione gli attribuisce . Noí sospettiamo insomma la possibilità della lettura parabolica non solo nell'insegnamento impartito espressamente sotto forma dí parabola, ma ín tutto ciò che cí viene raccontato . Basta supporre che il doppio senso che caratterizza la parola narrativa dí Gesù appartenga ugualmente alla parola narrativa dell'Evangelista . Il Vangelo, nella sua totalità, diverrebbe così un discorso letterale, che invoca, per la maggior parte dei suoi termini, una sostituzione « spirituale ». Dí conseguenza, le strade seguite da Gesù, le persone incontrate, gli avversari vinti, l'opposizione sempre risorgente, darebbero senso al di là dell'accezione immediata . Ma quale senso ? Il senso, ogni volta, può essere esteso a tutto l'universo, alla creazione intera . La lettura allegorica, o anagogica, estenderebbe la portata dí ogni episodio alla dimensione di eventi che interessano la creazione nel suo insieme . La tempesta sedata, il demonío scacciato, cí direbbero così l'avvento della pace su tutte le cose . Ma la lettura parabolica autorizza similmente a trasferire l'evento nell'intimo della soggettività, e ogni lettore potrà allora farne l'applicazione a se stesso : la superficie narrativa rinvia alla profondità dí un avvenimento psíchíco . Non è più la salvezza del mondo, ma la salvezza del peccatore individuale che ín questo caso appare come íl significato ultimo del racconto . In questo tipo dí lettura « parabolica », íl racconto diviene allegoria dí un dramma morale, e í vocaboli sostít~tívi saranno tolti dal registro della vita morale . La tempesta calmata da Gesù potrebbe essere il tumulto delle passioni . Sotto la penna di Gíansenío
3 . Sí veda, a questo proposito, E. Cnss~~~~~~, Filosofia delle forme simboliche, ., Pa~ís 3 vo11 ., Firenze 1961-65, ed anche H . D~? L~~swc, Exégèse Médiévale, 4 voll 1959-1964.
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un senso escatologico comune, e questo fatto fonda l'omologia, la trama dei richiami interni . Si apre per noi la possíbílítà dí interpretare ogni epísodío attraverso un altro epísodío . (Nulla impedisce di estendere questa forma dí lettura all'Antico Testamento) . Ogni perícope isolata può funzionare come anticipazione di ciò che interverrà in seguito, o come richiamo di ciò che già è stato letto . Queste considerazioni sí prestano ad essere formulate anche come íl rapporto fra la singolarità (l'unicità) del senso escatologico e la pluralità degli esempi attraverso í quali esso sí esprime e si ripete . Ora, noi abbiamo già incontrato ~n rapporto síngolarítà~pluralítà, il rapporto nel quale abbiamo visto inscriversi Gesù e la folla, o íl gruppo dei discepoli, Gesù e la Legione, infine íl Geraseno e gli abitanti della Decapolí . Succede esattamente come se il rapporto che abbiamo osservato fra le persone del dramma (all'interno dí ogni episodio) sí ripetesse fra i livelli di senso (dato che l'insíerne plurale degli episodi è dominato dall'unico senso verso il quale tutti convergono) . E preciseremo : è come se un tipo dí rapporto drammatico sí vedesse rinforzato da un rapporto semantico omologo : la pluralità delle pericopí, nel loro significato escatologico comune, corrisponde alla pluralità degli uomini che costituiscono l'uditorio attuale o virtuale dí Gesù . Da cíó, una nuova possíbílítà di permuta : Gesù può apparire dí volta in volta come presenza che ammaestra e guarisce e come senso incrollabíle e veridico . Di tutto ciò è pienamente consapevole l'Evangelista . Egli dispone dí una conoscenza assoluta dei fatti della storia e della fine ultima che tutti questi fatti annunciano, conosce l'identità spírítuale dí Gesù, e sa che glì uomini l'hanno visto in maniera imperfetta . $, propriamente, ín possesso di una doppia letteralità : narra la parabola così come l'hanno sentita tutti, ma ne conosce anche l'accezione spírítuale che solo í discepoli hanno ricevuto dalla bocca dí Gesù . Secondo la letteralítà spírítuale, Gesù è íl <~ Figlio prediletto » dí Dío (Marco 1 . 11) . Rivolgendosi agli uomini Gesù dà al suo discorso la forma che esige l'incarnazione : discende nella metafora, nel tropo, racconta la storia del seminatore . Per l'uditorio umano, il racconto ha innanzi tutto un senso letterale terreno, dal quale è necessario salire verso íl senso spírítuale : alla discesa della parola divina nel troppo che la rende oscura, deve corrispondere l'ascesa anagogica dell'ascolto . Ha fede colui che, mediante l'ascolto, sa risalire alla sorgente dalla quale la parola è scesa a lui . Così, l'ascolto diventa una via dí salvezza : l'ascoltatore infatti riesce a sottrarsi alla pluralità, a superare la prova imposta dallo svolgimento successivo della propria esistenza (simboleggiato dalla successívità del racconto diviso ín 84
perícopi) per trovare infine l'acquíetamento e la certezza nel senso incrollabíle . Ma non tutti íntendono . Molti non saranno ín grado dí superare il senso letterale del tropo, e dunque dí decifrare il <~ mistero » . Dicevamo che era possibile ravvisare il principio dell'elezione nella forma stessa del messaggio parabolico, íl cui carattere enigmatico divide in due l'uditorio, a seconda che venga percepito o no íl senso a secondo » . Nasce qui la possibilità dell'opposizione : l'oppositore è infatti soprattutto colui che resta attaccato alla letteralítà terrena e non vuol vedere ín Gesù che un uomo simile agli altri . Prevale, in questo caso, l'incognito di Gesù . Il senso escatologico esiste solo per l'evangelista, la fine dei tempi è differita fino a tanto che non scompaía l'opposizione . Tuttavia questa stessa opposizione, quando assume la forma della crocifissione, svolge un ruolo capitale nell'economia della salvezza . Bisogna che ví siano uomini che non íntendono . Bisogna che íl tropo rimanga oscuro ad alcuni . . . La discesa della Parola nella forma parabolica è dunque la via della manifestazione - della sola manifestazione possibile della verità ín questo mondo modo con cui la volontà del Figlio di Dío íl ed è, nello stesso tempo, fomenta segretamente l'opposizione, la quale, mentre fa ín modo che sí compia la profezia delle Scritture (Marco 14 . 49), impone un ritardo indefinito alla vittoria finale . Finché duri la parabola, con íl suo doppio livello semantico, un regno terreno seguiterà ad opporsi al regno dí Dio . Ma l'opposizione sí rovescia ín promessa ; così l'attesa dei profeti sí prolunga nel tempo ; le profezie sono compiute, ma íl regno dí Dío continua ad essere un regno futuro. Tutto è già stato detto, ma non tutti ancora hanno inteso . La storia continua, e con la storia íl racconto parabolico e la necessità dí interpretarlo .
Come interpretare la possessione ? Impegnati nell'analisi dí un racconto, abbiamo tralasciato dí discutere la questione della possessione demoniaca . Questione per la quale cí sí attende l'intervento dei medici, degli storicí, 4 ecc . Perché tanti demoni nella Palestina dí Gesù ? Bisogna chiamare in causa influenze esterne, soprattutto mesopotamíche ? Bisogna accogliere íl suggerimento dí coloro che vedono nella perdita dell'autonomia politica una delle cause dí un transfert d'interesse verso í mali indíví4. Su questo punto sí legga P . L. Exr~n~co, 1961 .
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duali e la loro guarigione - verso la salute fisica e la salvezza dell'aníma ? Sono problemi questi che richiedono un'indagine positiva che esula dal nostro progetto . Cí siamo limitati ad esaminare la descrizione - íl racconto - di una possessione demoniaca, e la sua cura miracolosa . C'è un punto tuttavia che merita particolarmente attenzione . La concezione più diffusa fra gli storici delle scienze è che í casi dí possessione demoniaca cí offrano un buon esempio del modo con cui uri fenomeno naturale riceve ~n'ínterpretazíone culturale . Gli indemoniati, sí dice, erano individui che presentavano síntomí ímpressíonantí - quali noi oggi incontriamo nelle epílessie, nelle atetosí, nelle schizofrenie . Il disordine fisico, dato dí fatto, riceve un significato attraverso gli strumenti interpretatíví di cui dispone íl linguaggio di un'epoca (o dí una civiltà) . L'oggetto da interpretare è la violenza, l'agitazione, le grida : lo strumento interpretativo, nel primo secolo, è il concetto dí possessione demoniaca . L'operazione interpretativa, nel nostro testo, sí effettua senza residui : tutto è perfettamente spiegato . - Con lo sviluppo del linguaggio della teoria medica, avremo un nuovo sistema di strumenti concettuali, e sí aprirà così la possíbilítà dí una reinterpretazione . È raro che un linguaggio specializzato non rivendichi íl diritto dí estendersi a tutto ciò che esso può includere, che non desideri provare la sua applicabilità e territori fino a quel momento coperti da un altro tipo di discorso . Quando sí elabora una fisiologia della circolazione dei « fiati » nelle diverse parti dell'organismo, íl medico dispone di un sistema esplicativo e naturale » che può soppiantare il concetto dí malattia sacra: così fa Ippocrate nel quinto secolo prima dell'era cristiana . Quando si organizza in sistema íl discorso sull'equilibrio e sullo squilibrio dei quattro umori, diventa possibile attribuire alla malinconia una buona parte dei disordini dello spirito, e íl medico razionalista dispone allora dello strumento che gli permette dí ricusare íl concetto dí possessione demoniaca : questa apparirà ormai come una interpretazione abusiva di una serie dí fenomeni che si lasciano più senzplícenzente ridurre all'interferenza dí un eccesso dí atrabíle nelle operazioni cerebrali, ecc . Ma non dimentichiamo che le noz~onï dí natura, di causalità naturale, dí ripartizione dei « fiati », dí eccesso umorale, ecc . sono esse stesse degli strumenti interpretatíví, elaborati da vari linguaggi (o discorsi) storicamente datati - anche se, da Ippocrate ín poi tutti indistintamente presuppongono íl carattere « non-sopran~~aturale », delle peggiori anomalie del comportamento . Ogni interpretazione che si creda adeguata rivendica soltanto a sé la conformità alla « natura delle cose » : preferisce pensarsi non come interpretazione, ma 86
come enunciazione di ciò che realmente succede, riserbando íl termine « interpretazione », con una sfumatura peggiorativa, a tutte le letture precedenti dello stesso dato, letture che appariranno viziate dí illusione, cariche dí proiezioni immaginarie, deformate dai pregiudizi dell'interprete. Certo, la scienza moderna è più consapevole del proprio intervento attivo, sí tratti dí circoscrivere i ~~ fatti », di scoprire causalità o significati ; non sí illude dí interpretare la « realtà » senza residui ; non avanza una « spiegazione » se non dopo aver tentato tutte le controprove consentite dai procedimenti sperimentali dí cui dispone : ammette che íl proprio discorso possa a sua volta venir soppiantato da ~n discorso meglio attrezzato . È pronta insomma a ritenere che ciò che essa afferma è una interpretazione fra le tante possibili . Dobbiamo quindi constatare che ciò che abbiamo indicato poco fa come íl dato naturale (la schizofrenia, l'epilessia, l'atetosi) non ha nulla dí fondamentalmente naturale : forse non sí dovevano pronunciare questi termini, tratti dal discorso della medicina attuale, ma ci sí doveva attenere rigorosamente alla « fenomenologia » degli atti citati dall'evangelista : la solitudine, l'errare, le grida, la violenza, le ferite che l'indemoniato sí infligge . Per quanto accettabile possa sembrare l'idea secondo la quale una serie di dati, dí fatti, precederebbe, come substrato originario, l'interpretazione che ín seguito ne viene fornita (qui, la solitudine feroce produrrebbe la spiegazione della possessione), non cí si può liberare dal sospetto che ugualmente e simultaneamente ammissibile sia la proposizione inversa: sí può sostenere infatti che la « visione del mondo », all'epoca di Gesù, e più ancora all'epoca dell'evangelista, accentuava a tal punto l'opposizione fra il regno di Dío e íl regno del Demonio, da rendere necessaria la produzione, da parte dí coloro che la vivevano, dí un insieme dí segni : non í síntomí morbosi dunque saranno originari, ma íl concetto « culturale » del Demonio, concetto che sí esplicita attraverso l'agitazione, le grida, ecc . Il comportamento perturbato, le grida, il « non-linguaggio », la violenza, sono quindi í mezzi con í quali l'individuo interpreta e attualizza la presenza del demonio, di cui è stato ín precedenza informato dal discorso teologico . Noi sappiamo che così è avvenuto nelle epidemie dí possessione che hanno imperversato nei secoli XVI e XVII . Lo stesso fenomeno è stato osservato per l'isteria, la euí defi~~izione, íl cui quadro clinico, così come sono stati diffusi ín forma scritta o orale, hanno svolto un ruolo spesso determinante nello scoppio dei più bei casi di questa affezione . Sí può parlare, a questo proposito, dí sociogenesí o dí logogenesí del sintomo . 8?
Non credo di dover bandire la prima ipotesi, secondo la quale la nozione di possessione demoniaca funziona come strumento ínterpretatívo applicato a un dato antecedente . Noí assistiamo piuttosto al delinearsi dí una círcolarítà ; íl concetto che può essere stato dapprima uno strumento interpretativo diviene a sua volta un dato offerto all'interpretazione vissuta . Sí può fissare un inizio ? Esiste un dato veramente primo e naturale ? Píù l'attenzione sí accanisce, più vede allontanarsi íl substrato naturale, tanto è vero che, quando sí tratta dell'uomo, cí imbattiamo sempre in una natura v alterata » dalla cultura e dal linguaggio . Dostoevskij ha posto ín epigrafe aí Demoni íl passo dí Luca (8 . 26-39) che corrisponde al passo da noi analizzato . Dovremo affermare che íl romanzo è un'interpretazione sviluppata di questo brano del Vangelo ? Dovremo invece ritenere che il testo evangelico, promosso al rango dí strumento interpretativo, deve permetterci di interpretare íl romanzo, dí coglierne il senso ? Anche ín questo caso l'interpretazione rivela íl suo aspetto circolare . Le posizioni sí scambiano : ciò che deve essere compreso diviene ciò che permette dí comprendere, ciò che permette dí interpretare diviene ciò che deve essere interpretato . Abbiamo constatato qualcosa dí analogo a proposito della parabola . Avevamo sottolineato come il messaggio parabolico fosse profondamente tributario della temporalità . Bisogna dire la stessa cosa del circolo dell'interpretazione : non ha occasione di svilupparsi se non perché l'uomo, essere parlante, è nello stesso tempo un essere storico, votato al cambiamento, ma desideroso dí accedere al senso .5 JEAN
STAROBINSKI
5 . Mí limito a rinviare íl lettore allo studio dí E . W~~~., De l'intérét que l'on prend à l'histoire, raccolto nei suol Essais et conférences, I, Paris 1970, pp . 207-231 .
Saggio di esegesi : Marco 5 . 1-20
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Il folle rivela la verità terminale dell'uomo » (M . Foucault) I
Il racconto dedicato alla guarigione dell'indemoniato dí Gerasa è íl più aneddotico fra tutti í racconti dí guarigione riportati dai Vangeli . Il piacere di raccontare ví si manifesta ín maniera del tutto libera . Questa generosità letteraria è soltanto íl risultato del gusto po; polare per íl dettaglio pittoresco ? Non è possibile rispondere a priori dí rie dunque sarà lecito far credito al redattore dell'intenzione correre alle molteplici ricchezze del linguaggio per raggiungere lo scopo che egli persegue ín perfetta lucidità . Il testo stesso cí mostrerà a quale intenzione esso risponda . La studio che segue si rivolge al testo considerandolo come una totalità. L'analisi critica non ha difficoltà a scorgere ín esso incoerenze, ripetizioni, lacune, che tradiscono l'utilizzazione dí fonti (scritte o orali poco importa) . L'abbondanza dello stile, ín forte contrasto con la sobrietà dei racconti evangelici dí guarigione, induce a supporre l'influenza dell'arte folcloríca del racconto, chiamata ad abbellire qualche ricordo più o meno preciso . La conclusione, col suo vocabolario caratteristico (Signore, predicare) esprime la preoccupazione míssíonaría della comunità primitiva . Queste osservazioni, interessanti, indispensabili anzi da un certo punto dí vísta,l non possono nascon1 . Per lo studio dei problemi critici, sí vedano í commenti, ín pa~tícola~e V. Tn~London 1957 . Sí aggiunga P . L~MARCHE, LOR, The Gospel ac~ording t~ St. Mark,
~ Nouvelle Le possédé de Gerasa (Mat. 8. 28-34; Mc. 5 . 1-20 ; Luc . 8 . 26-39), ín 581-597 (con bibliografia) . E anche H . V~~ » 90, 1968, pp . Revue Théologique . Hn~~c~~r~, Der Weg Jesu, DER LEO$, The Miracles of Jesus, 2a ed ., Leiden 1968, e E eroe Erklárung des Markus Evangeliums und der kattoníschen Parallelen, 2b ed . Berlín 1968 (K Díese Geschichte íst eine alte ~rux ínterpretum, und die modernen Auslegungsversuche haben da~an nichts ge~~~dert », p . 190) .
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dere il fatto che, dopo tutto, un redattore ha consegnato ad eventuali lettori la pagina che noi leggiamo, e l'ha giudicata degna dí essere letta così com'è, presa nella sua unità . Il meno che si possa dire è che una lettura globale risponde all'intenzione di colui che sí rivolge a ηοί per íl tramite dí questa pagina . Occorrerà inoltre tener conto delle condizioni nelle quali la pagina sí propone alla nostra lettura . Essa appartiene a un tutto dí cui è parte integrante . Se la sí separa dal libretto nel quale il redattore l'ha inserita, la si priva dí una luce necessaria alla sua comprensione . Questo libretto, nato negli ambienti della primitiva Chiesa cristiana, è redatto per esporre e spiegare chi era quel Gesù dí Nazareth che la predicazione presentava come l'annunciatore dell'avvento del regno dí Dio e íl liberatore dell'uomo . Fín dalla prima riga, íl lettore è avvertito : l'intenzione è quella dí far conoscere « íl vangelo dí Gesù Cristo », cioè la buona novella legata a questo nome . Il nostro testo partecipa dunque del progetto d'insieme : intende dire qualcosa al lettore riguardo a questa « novella » dí cui Gesù Cristo è l'occasione e la fonte . Sarà impossibile incontrare veramente il testo, se non ci sí pone ín ascolto dí questa « novella ~>, dí questa informazione . D'altra parte, mettersi in ascolto non significa far proprio íl messaggio che íl testo vuol trasmettere : ascoltare qualcuno e capirlo non implica che sí approvi ciò che egli dice o che sí condivida la sua opinione . Ma non cí si può mettere ín sintonia col testo se non a condizione di considerarlo per ciò che esso intende dire ; non si può comprendere ciò che íl testo dice se non a condizione dí aprirsi a ciò che esso vuole dire . Marco 5 appartiene a un'opera dalla quale riceve la linfa che lo anima . Sono necessarie anche alcune spiegazioni sul tipo dí lettura che sarà praticato qui, sulla scelta che è stata decisa a questo scopo e sulla esigenza che ne deriva . È esatto dire che certe parole non vincolano . molto più del senso stretto e rigoroso fissato dalla definizione del vocabolario . Così è per il caso limite dí un vocabolo dí cui sí ignori íl senso : esso non dice niente più dí quanto si legge nel dizionario i Al contrario, nella misura ín ευί una parola è d'uso frequente, essa sí carica di sensi complessi, fino al limite pletorico che sí raggiunge quando l'uso ha talmente diluito la sua capacità dí significare che íl termine è diventato ambiguo : a questo punto dice troppo! Indipendentemente da questo caso estremo, ín cui la polisemia ingenera l'oscurità, bísogna considerare la ricchezza dí un vocabolo da un altro punto di vista . L'esperienza delle cose e degli uomini è dí fatto legata a delle parole che la evocano, e queste parole, a loro volta, la restituiscono quando sono ascoltate o lette . Il lettore subisce l'effetto prodotto in lui dall'incontro con un termine che egli ha collegato con una sítua90
zinne, un'esperienza determinante . La saggezza popolare espríme bene questo fenomeno dí associazione quando dice : non bísogna parlar di corda ín casa dell'impiccato . Le parole sono, in grado diverso, degli stimoli interiori . Esse non sí limitano a evocare alla mente l'oggetto che desígnano, ma sono inseparabili da tutto ciò che la vita ha collegato ad esse, inseparabili da quanto è stato vissuto ín relazione con gli oggetti che esse desígnano . Di conseguenza, non sí comprende una parola se non a patto di aprirsi a tutte le armoniche che ne determinano íl « timbro »particolare . Non sí deve solo sentire la parola e comprenderla, ma bísogna viverla, tendere 1a corda della propria sensíb~lità per vibrare all'unisono . Gaston Bachelard diceva che bísogna sognare le parole ; sognarle, cioè associare alla loro nudità sonora e lessicografica l'universo delle realtà che compongono le varie esperie~ze evocate dalla parola . Sognare le parole, o anche abitarle, come diceva Merleau-Ponty, cioè starci dentro, installarsi ín esse, senza passare oltre troppo in fretta, per respirarne l'atmosfera, assaporarne íl profumo, impregnarsi dello spirito che emana dall'insieme dei valori conferiti alla parola dall'uso, come cí si impregna dello spirito dí una casa perché si apre la propria sensibilità affettiva e intellettuale all'intenzione che ha presieduto alla scelta e alla disposizione dei mobili e dei quadri . Noí supponiamo dunque che l'autore, gli autori, íl redattore la cosa non ha importanza - del capitolo 5 dí Marco sí è avvalso di un materiale letterario di forte densità semantica ; le parole che usa, le situazioni che descrive, dicono più dí quanto non attestino immediatamente . C'è una grande ricchezza dí sottintesi, di intenzioni segrete, di significati secondi . Un orecchio esercitato deve cogliere questo sovrappíù dí senso . Sarebbe eccessivo parlare a questo proposito dí simbolismo, come sarebbe falso parlare dí allegorismo . Ma sí ricorderà che l'orientale spesso percepisce la realtà a due livelli, e la espríme dí conseguenza . Le cose, i gesti, le situazioni assumono un significato che íl nostro cartesianesimo - idee chiare e distinte ha difficoltà ad attribuire loro . Noi abbiamo il dovere di scrutare il nostro testo ín questa direzione, e la prova ci dirà se ne abbiamo íl diritto . Se sí vuole evitare che la lettura risulti un vagabondaggio sterile, se sí vuole d'altra parte sfuggire al rischio contrarlo, che è quello di impoverirla, una condizione sí impone . È indispensabile entrare ín íspírito nell'area socio-culturale ín cui il testo sí è prodotto . La misura semantica dei termini trova ín questo ambiente vitale la sua linfa e la sua dimensione . Il racconto della guarigione dell'indemoniato dí Gerasa appartiene ad un insieme sufficientemente saldo perché 91
gli elementi che lo compongono possano illuminarsi a vicenda, malgrado la loro dispersione attraverso le molteplici redazioni . Da questo vasto contesto semantico noi possiamo ottenere sia l'informazione
paolíne assai frequentemente dedichino larga attenzione a queste potenze malvage, designandole con nomi molteplici, una intricata matassa che ci testimonia quanto grande fosse la ~aríetà dí queste
che nutra íl senso lessicografico, sia íl controllo che elimini le attríbuzíoní dí senso arbitraríe .z L'esigenza di una lettura fruttuosa cí impone ancora una rísoluzíone, certamente difficile da mettere in pratica, ín quanto cí chiama ad una partecípazíone diretta . Le apparenze sembrano escludere che noi possiamo prestareí ad una simile partecípazíone : íl racconto ri-
minacce, anche se non cí illumina sulla loro natura . La giovane cristianità aveva ereditato dal giudaismo una angelología e una demonologia assai sviluppate . Non v'è quindi alcun dubbio : íl cristiano che leggeva íl racconto dell'indemoniato non provava la stessa impressione dí grande distacco che la maggior parte dí noi prova . Egli vedeva ín questo ín-
guarda una specie di pazzo, riguarda gli abitanti della Decapolí! Tuttavia è giusto anche dire che il redattore non sí è interessato al nostro índemoníato come un giornalista moderno che riferisce un fatto dí cronaca, anche sensazionale . Ricordiamo che íl suo proposito è quello dí far conoscere la <~ buona novella dí Gesù Cristo » . Sía che cí pronunciamo, nel nostro foro interiore, a favore della verità e dell'eccellenza dí questa u novella », sia che ci pronunciamo contro, dobbiamo considerare che íl redattore, con questo racconto, mira a presentare e illustrare íl messaggio evangelico . Così, per far uscire la pagina dai fatti dí cronaca, occorre che íl lettore in qualche modo si riconosca nei personaggi messi ín scena, che avverta insomma che íl
caso presentato lo concerne personalmente .
Ma, sí dirà, che cosa hanno ín comune íl lettore - quello di un tempo e quello dí oggi - e questo indemoniato furioso ? Come sí può parlare di partecípazíone, trattandosi dí un caso tanto eccezionale ? A una reazione dí questo tipo sí deve rispondere innanzi tutto con una riflessione storica, che riguarda il lettore d'origine . I contemporanei del redattore credevano nell'esistenza dí ogni sorta di demoni . Leggendo questa storia non provavano alcun disorientamento : vivevano in un mondo costantemente minacciato dall'irruzione dí
demoníato ciò che lui stesso poteva essere ; l'avvenuta guarigione riguardava anche il suo destino personale . Estranei alla demonologia del lettore d'origine, i lettori d'oggi si troveranno ín una condizione fondamentalmente diversa ? Una persona che se ne intende cí avverte che non è affatto così! Sotto la penna dí Míchel Foucault, la distanza che separa l'índemoníato da ηοί sí fa impercettibile . Non solo : ηοί non cí conosciamo autenticamente se non attraverso il volto del folle . <~ Si scopriranno ín lui le verità profonde dell'uomo, le forme assopite in cui nasce ciò che egli è . . . Non si potrà riconoscerlo senza riconoscersi, senza .. . sentire ín sé le stesse voci e le stesse forze, le stesse strane luci strano volto . . . spettacolo di una verità finalmente nuda dell'uomo che assume ora le qualità dello specper tanto tempo estraneo . Il folle rivela la verità elementare dell'uomo . . . la verità terchio . . . » .s dell'uomo . . minale Dobbiamo dunque rassegnareí a considerare questo índemoníato . Ma posuno specchio dí ηοί stessi! È un invito duro da raccogliere Mutati í ? siamo dire che sia del tutto imprevedibile e sorprendente . Non è di Gerasa apparenta all'alienato termini, una segreta affinità cí alienazione quando vodí senza significato che anche noi parliamo cui soffre l'uomo contemporaneo, dí designare íl male oscuro gliamo
potenze malefiche . Ripensiamo a quanto dice l'autore della prima epistola dí Pietro . Egli esorta a vegliare per resistere al diavolo (I Piet . 4 . 7), che viene descritto come u un leone ruggente che va ín giro cercando chi divorare » (I Píet . 5 . 8) . $ un avversario astuto,
vittima di potenze malefiche che riducono o annullano in lui la possiSotto altri nomi, sotto bilità dí realizzare le proprie virtualità umane.
dice l'epistola agli Efesíní (6 . 11), contro le insinuanti offensive del quale occorre tener pronte le armi, quelle armi che sono minutamente elencate nella prima lettera aí Tessalonícesí e nella lettera agli
3 . M . Foucautr, Storia della follia, Milano 1963, pp . 600-601 . In quest'opera, etíología e iella patoMichel Foucault mette ín evidenza íl ruolo della società nell ' genesi della follia . Sí può essere, su questo argomento, meno recisi dell'autore, ma nessuno psichiatra negherebbe oggi íl ruolo della società nella comparsa, nell'estensione, nella a cronificazíone ~ dei sintomi . Tale fattore sociale appunto è messo in
Efesíní (I Tess . 5 . 8 ; Efes . 6 . 11-17) . $ ben noto come le epistole
altre forme, i demoni non hanno perduto la loro malizia?
particolare evidenza dal racconto di Marco .
2 . Benché non sia il caso dí insistere qui sul controllo esercitato da questo riferimento all'ambiente socio-culturale , è tuttavia utile sottolinearne la funzione indispensabile, per evitare íl rimprovero - troppo facile - che questo tipo dí lettura pub far dire qualsíasí cosa a qualsíasí testo .
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. Il suo uso 4. Il termine a alíenazíone n viene spontaneamente sotto la penna non deve nulla alla moda, né all'uso specifico che ne hanno fatto Hegel e Marx . L'espressione a alíenazíone dí spirito n risale al secolo XVI, e ~ alíenazíone mentale n compare nel 1801 . II termine è estraneo al vocabolario freudiano .
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Si pensa, con ragione, che l'alienato sia ín misura notevole íl prodotto della società che lo circonda . Le tensioni molteplici che la vita sociale provoca nella psiche dei suol membri conducono í più fragili dí loro alla catastrofe . Le perturbazioni delle relazioni ínterpersonalí fondamentali, così necessarie alla strutturazione normale della persona in tutte le tappe del suo sviluppo, provocano í più gravi disturbi . Il modo poi con cui sí guarderà al malato psichico contribuirà o a migliorare il suo caso, oppure a seppellire sempre più profondamente íl malato stesso nel suo male . Il limite è l'internamento : si decide dí rinchiudere ín una casa dí cura colui che già prima è stato rinchiuso nella sua malattia . Ma non esiste soltanto l'alienazione riconosciuta dal medico (psichiatra, psicanalista, psicoterapeuta . . .), quella cioè che sí manifesta con modi più o meno spettacolari . Occorre non sottovalutare tutto ciò che preme su dí noi al punto da allenare la nostra libertà di giudizio, la nostra sensibilità intellettuale, morale, affettiva, ecc . Cí sí convincerà presto che la nostra condizione non è priva dí profonde analogie con quella dello sventurato dí Gerasa . In un caso come nell'altro sí constata un'alterazione delle facoltà costitutive e delle prerogative essenziali della persona . Il termine « repressione », troppo alla moda per non esserne strapazzato, rivela tuttavia ciò che v'è dí comune fra íl regime carcerario imposto al pazzo e la libertà « sorveglíata » dí cui godiamo noi . Non soltanto la polizia sorveglia e reprime, ma la stampa, la propaganda, gli interessi di classe o dí famiglia (nazionale o privata), i pregiudizi e í tabù accettati passívarnente, come anche la prigione nella quale ci chiude la brama del denaro, del potere, del sesso, della gloria . Altrettante forme dí repressione, delle nostre libertà interiori ; altrettanti dèmoní che fanno dí ηοί degli alienati . Si può rimanere nello stato che comunemente viene ríconoscíuto come normale, ed essere dei « posseduti » . Il linguaggio corrente dispone di parecchie metafore in questo senso : Il tale è posseduto dalla passione del gioco dal dèmone del denaro! È questo un giudizio su dí noi e contro dí noi, così come siamo, nella nostra debolezza e nella nostra sordità . Con tale giudizio lo psicologo e íl lucido storico della follia raggiungono la diagnosi che íl Vangelo fa dell'uomo dí ogni tempo . Abbiamo cambiato nome ai dèmoní dí un tempo ; non lí abbiamo esorcizzati . Eccoci dunque abbastanza víci~ü al lettore cui sí rivolgeva íl redattore di Marco 5 . È una fortuna, se non per ciò che riguarda íl nostro stato, almeno per la possibilità che abbiamo di fare, del testo dí Marco 5, una lettura che risponda alle intenzioni dell'autore . 94
Prima dí accostare íl testo, un'ultima precisazione, che deriva dalle osservazioni precedenti . Alla domanda un po' grossolana : dí che cosa parla il racconto ? sí risponderebbe quasi certamente ín due modi . O si dirà che l'argomento è l'incontro dí Gesù con un indemoniato e la guarigione dí questi ; oppure si dirà che sí parla dí un miracolo destinato a manifestare la potenza dí Gesù . Una scelta si impone fra queste due risposte, che determinano il tipo dí lettura da fare . Se sí tratta dí un miracolo, dovrò occuparmi dí ciò che lo valorizza : la gravità del male la rapidità della guarigione, gli effetti spettacolari e definitivi dell'intervento di Gesù . È questa una lettura possibile, nessuno può contestarlo ; è stata anzi la lettura più frequentemente praticata . Essa è ín accordo con la nostra nozione di miracolo, inteso come intervento dí una potenza soprannaturale che imprime agli eventi un corso contrario ad ogni ragionevole previsione . Sí tratta veramente dí questo ? Si impongono alcune osservazioni. Il racconto, malgrado le apparenze, non invita a un'interpretazione di questo genere . La conclusione sottolinea che quanto Gesù ha compiuto è opera della sua míserícordía : íl « miracolo » deve annunciare non la potenza, ma la míserícordía di Gesù . D'altronde, se la « potenza » manifestata in questa azione avesse avuto un carattere divino tale da suscitare l'adorazione che provoca ogni manifestazione evidente dí un intervento soprannaturale, non sí comprenderebbe come i testimoni dí una simile manifestazione potessero restare indifferenti . Se effettivamente essi rimangono índífferentí, e persino ostili, è perché, ai loro occhi, ciò che è successo non è un miracolo nel senso ín cui noi lo intendiamo, íl senso che siamo tentati dí cercare nel testo .
Che cosa c'è di sorprendente ín questo fatto ? I rabbini ed altri guaritori, ín quel tempo, operavano correntemente guarigioni del tipo di quella che cí viene riferita qui . Gesù riconosce che anche í suoi awersarí guariscono (Matteo 13 . 27 ; Luca 11 . 19) . Tali successi terapeutici venivano attribuiti volentieri all'azione dí demoni gerarchicamente superiori, spinti ad agire dall'enunciazione del loro nome ; o anche all'efficacia dí procedimenti magici, naturalmente segreti . La potenza dí Dio non entrava per nulla ín queste operazioni benefiche . Ci sí convincerà infine dí quanto insignificante sia il preteso miracolo, quando sí ricorderà che í falsi dei, í falsi profeti e íl diavolo stesso e la bestia dell'Apocalisse sono ritenuti capaci di farne, e dí abbastanza clamorosi perché í fedeli stessi possano esserne sedotti (Marco 13 . 22 ; Apoc . 13 . 13, 14) . 95
Fermarsi al lato spettacolare dell'azione dí Gesù riferita ín Marco 5 significa porsi fuori strada . Non rimane che un modo per rispondere all'intenzione del testo . Sí tratta sì di una guarigione, ma ciò che awíene, ín occasione dí questa guarigione, è l'incontro dí Gesù con un uomo spossessato dí se stesso da parte dí una potenza oscura che lo tiranneggia . È sullo svolgimento dell'incontro che íl redattore vuole attirare l'attenzione dí chi legge, giacché ogni lettore è portato a pensare che lo strano personaggio messo ín scena non gli è forse del tutto estraneo . ΙΙ
I preparativi dí una esplorazione difficile prendono normalmente molto tempo . È quanto è successo con la nostra preparazione metodologica all'esplorazione che tenteremo addentrandoci nel testo dí Marco 5 . Lo spettacolo che c~ sí presenta è subito uno spettacolo patetico . Gesù è appena sbarcato nel territorio dei Geraseni, cioè íń terra pagana, che un uomo gli sí fa incontro, un uomo di cui è detto che era « posseduto da uno spirito impuro » . Designazione vaga, che non autorizza alcuna precisazione sul suo statos L'importante non è avere una conoscenza scientifica della malattia, ma precisare la condízíone del malato . Egli vive fra le tombe, fra i morti . I morti sono í relegati per eccellenza. A chi non è capitato dí imbattersi ín quei paesini che hanno íl cimitero distante uno o due chilometri dall'abitato ? L'indemoniato di Gerasa è stato messo al bando . La società non ha più voluto saperne dí lui . Egli ha raggiunto íl luogo ín cui dimorano in solitudine coloro con í quali non è più possibile avere alcun commercio, la cui impurità è dichiarata e riconosciuta (Num . 19 . 11 ; 5 . 2 ; 9. 6 ; Lev. 21 . 1) . Il nostro sventurato passa dunque per morto agli occhi dei vivi . Questi l'hanno escluso dal numero dei ~íventí per íl modo stesso con ευί lo considerano , lo giudicano, sí comportano con lui . Ma chi ha l'orecchio (e la sensibilità) accordato al linguaggio evangelico percepisce l'ironia della situazione così delineata . Dove sono í veri viventi ? Gesù non ha forse parlato dí νίνί che ín realtà sono morti, sotto l'appare~~za della vita (Matteo 8 . 22 ; Luca 9 . 50) ? Non è arrí~ato persino a qualificare certuni come sepolcri imbiancati (Matteo 23 . 27 ; cfr . Luca 11 . 44), belli a vedersi, ma píení di impurità all'interno ? I 5 . Sí potrebbe tuttavia avanzare l'ipotesi che si trattasse dí una specie di schízofrenía . 96
morti non sono sempre quelli che uno s'immagina . e Lascia che i morti seppelliscano i loro morti », dirà Gesù ad uno che voleva associarsi alla parentela per portare alla tomba il padre defunto . La realtà della vita non è per quelli che sí credono píení dí vita . Il nostro malato conosce uno stato di infelicità e dí abbandono che lo spingerà verso Gesù e in definitiva lo condurrà verso la vita, proprio lui che gli uomíní avevano condannato ad una morte lenta . Che possono fare per questo indemoniato í suol contemporanei ? Vivi, sono già morti, chiusi nel loro passato come ín una bara, incapaci di compiere ín favore dell'indemoniato un gesto che dia qualche speranza per l'aweníre . Non sono stati capaci di fare niente dí meglio che legargli strettamente í piedi per immobilizzarlo nella sua solitudine . Intervento significativo dell'impotenza di questi uomíní prigionieri di se stessi, radicalmente inadatti ad aprirsi per accogliere fraternamente la presenza di chi avrebbe bisogno dí uno sguardo, dí una parola da loro . In cambio, sí accaniscono a chíudé're il malato nella sua malattia, a immobilizzarlo nel suo passato . L'esilió da una parte, un destino ímplacabíle dall'altra . Questa è tutta . la carità che ispira l'indemoniato ai suoi familiari d'un tempo, una carità perfettamente ín accordo con l'ordine convenzionale della società che l'ha bandito . Così si preserva la società ; le catene dí questo demente, il suo internamento all'aperto, sono la buona coscienza dei « giusti », quei « giusti » che Gesù diceva dí non essere venuto a chiamare (Marco 2 . 17 ; Matteo, 9 . 13 ; Luca 5 . 32) . Così, nonostante le apparenze, ancora una volta ingannevoli, l'uomo legato dai suol fratelli è più libero dí quelli stessi che l'hanno rinchiuso nella sua miserabile condízíone . Questi sono soddisfatti dí ciò che sono e dí ciò che hanno fatto , sono cioè senza speranza, non attendono nulla . né nessuno . Invece l'uomo che hanno caricato dí catene spezza í suoi ceppi, come nota íl testo , ed ogni volta sí sforza di raggiungere la libertà . La sua miseria furiosa non gli dà pace fra i sepolcri, diviso contro se stesso , insoddisfatto di sé e della sua sorte, ín cerca dí un avvenire che tuttavia ignora . Dove dirige i suoi passi disperati ? Verso le montagne , cí dice íl testo, dove grida e sí percuote con pietre . Queste precisazioni non vanno scambiate per particolari aneddotici ; sono dei suggerimenti ad uso del lettore che non scorra troppo rapidamente la superficie letteraria del testo . La montagna è oggi, per noi , la regione dove sí passano le vacanze, dove sí pratica lo sport. La parola suggerisce alla mente visioni di placidi alpeggi, dí campi di neve, di rocce vertiginose . Com'è banale questa montagna a paragone del modo con ευί l'uomo antico « viveva » 97
la montagna . Inerpicandosi sulle altezze, egli sí awicínava al cielo e alla divinità . Nell'ambiente socio-culturale al quale appartiene il nostro redattore e íl lettore al quale egli sí rivolge, numerose erano le montagne sante, luoghi dí culto, santuari (Es. 3 . 12 ; 24 . 4 ; Deut. 12. 2 ; Ger . 3 . 6 ; ecc .) . $ sulle montagne che meglio si sente la voce dí Dío . Mosè riceve sul Sínaí la rivelazione fondamentale ; Gesù pronuncia su una montagna le parole della nuova alleanza all'inizio del suo ministero, e sí congeda dai discepoli, alla fine del suo ministero, su una montagna (Matteo 5 . 1 ; 28 . 16) . La trasfigurazione ha avuto luogo su una montagna (Marco 9 . 2 ; Matteo 17 . 1 ; Luca 9 . 28) . Sí sale verso Dío (Es . 19 . 3 ; Gíud . 21 . 5) e verso íl tempio ín cui Dío risiede . Quando sí ha nella mente e nel cuore questa u teologia » della montagna, non sí può pensare che l'indemoniato cerchi, nell'altezza, niente dí più che l'aria pura delle vette o la frescura delle notti . Tanto è vero che, sulla montagna, l'indemoniato grida . Il salmista aveva presentato una situazione simile : k Nella mia arigustía io grido a Jahvè . . . » (Sal. 120 . 1) ; (~ sollevo í miei occhi verso í monti da dove viene íl mio aiuto ; íl mio aiuto viene da Jahvè, che ha fatto il cielo e la terra » (Sal . 121 . 1, 2) . Come íl redattore, íl lettore del nostro racconto sapeva che la preghiera è un grido ; pregare significa gridare a Jahvè: l'espressione è frequente nell'Antico Testamento, e la parabola del giudice iniquo, per dire che cosa sia la preghiera, parla degli eletti che gridano a Dio notte e giorno (Luca 18 . 7) . Per chiunque abbia familiarità con le risonanze del linguaggio biblico, questa montagna, queste grida, l'angoscia dí quest'uomo, tracciano íl quadro dell'uomo abbandonato dagli uomini, che cerca, senza saper dove, íl soccorso dí un dio sconosciuto . La penetrazione del testo è più delicata per ciò che concerne gli atti che l'indemoniato rivolge contro se stesso, percuotendosi le carni con pietre . Dobbiamo vedere anche qui una ricerca ardente e insensata della liberazione ? Anche qui l'infelice cí viene presentato mentre si rivolge, ínconsc~amente, a potenze sovrumane capaci di trionfare del male che lo tiranneggia ? Perché questa violenza contro se stesso ? L'uomo sí percuote ; dunque sí punisce, ín preda, sembra, ad un senso dí colpa inconscio che gli rimprovera ciò che egli è . Ne consegue questa ascesi sterile, come se la sofferenza dovesse instaurare ín lui un essere nuovo . Quanto più la voce segreta del super-ío gli parla della sua degradazione, tanto più egli si abbandona all'autopunizíone . Quest'uomo straziato non sa che moltiplicare il suo strazio . Egli spinge íl conflitto che lo distrugge fmo a questa forma dí lento suicidio attraverso una sofferenza redentrice, ma vana . 98
La lettura dí questo particolare è dunque difficile . Noi assistiamo con pietà a queste manifestazioni dí autoaggressíone . Sí deve allora pensare alle discipline sterili che certuni sí impongono per padroneggiare í demoni ? Gli Ebrei, in linea dí massima, ignoravano l'ascetismo ; ma sí fece poi sentire l'influenza dell'ellenismo: le sette gnostiche non furono estranee a questo . D'altra parte è possibile che ben presto sí siano prese alla lettera alcune parole dí Gesù che raccomandavano dí tagliarsi una mano o un piede, o dí strapparsi un occhio, se ciò costituiva impedimento ad entrare nel regno . Il redattore dí Marco 5 conosce questi discorsi, che ha riferito per esteso (Marco 9 . 43-48 ; Matteo 5 . 29 ; 18 . 5-9), come d'altronde lí conosce il suo lettore . L'indemoniato dí Gerasa sarebbe dunque l'immagine dell'uomo vittima della propria interna divisione, dell'uomo che si distrugge per disperazione ? L'apostolo Paolo ha dato alla rottura dell'unítà interiore e all'infelicità che può derivarne un'espressione non meno drammatica, ma per nulla disperata : (~ Chí mí libererà da questo corpo dí morte ? Siano rese grazie a Dio mediante Gesù Cristo nostro Signore . . . » (Rom. 7. 25) . La speranza dell'indemoniato è, come per Paolo, Gesù Cristo . Il redattore vuole mettere ín luce questa verità, valida per ogni uomo . Gesù Cristo, infatti, compare in scena . Aí gesti insensati dell'índemoníato succede ín lui un comportamento ordinato . L'uomo, padrone dei suol movimenti, corre incontro a Gesù e gli sí prostra davanti. Parla distintamente : k Lasciami in pace! Che c'è fra te e me ? Non abbiamo niente in comune! Tu sei Gesù, Figlio dell'Altissimo : occupati degli affari tuoi . Va per la tua strada e non tormentarmi! » . Il discorso è assolutamente privo dí ambiguità . Il malato vuole difendersi . Noi non abbiamo ragione di speculare sul discernimento attribuito all'indemoniato, che gratifica Gesù di titoli sovremínentí, ~~é sulla cristologia che v'è implicata . La base è troppo fragile, e non si può . decidere ín quale senso l'í~demoniato usi questi termini . Sí pub osservare invece che la sua reazione di resistenza non stupisce : ín casi analoghi infatti sí è visto manifestarsi nel paziente <~ una for~ .a che si difende con tutti í mezzi contro la guarigione e vuole assolutamente aggrappareí alla malattia e alla sofferenza » ; resistenza ~ che spinge íl malato ad aggrapparsi alla propria malattia e a lottare così contro la propria guarigione » .s Sulla natura di questo fenomeno gli
6 . S. Fκευη, Bari
1Ι1 J .
Lfiriiiiacτis e J . Β . Porτrntτs,
Encíclopedía de11α psicattalíri,
1968, ρρ . 60 e 510.
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specialisti discutono, ma la sua frequenza e le sue conseguenze sono riconosciute da tutti e da tutti deplorate .' È proprio la resistenza a darci la misura della contesa . Il demonio v~~ole seguitare indisturbato a gestire i propri affari! Egli rifiuta a Gesù íl diritto - non íl potere - dí intervenire . Possiamo facilmente immaginare che egli svolga considerazioni dí questo tipo : Il tuo posto è nel Tempio! Occupati degli affari dí tuo padre, che poco fa rivendicavi (cfr . Luca 2 . 49)! Frequenta la gente pia e non gli esseri impuri come me . Loro hanno domande da farti (cfr . Marco 10 . 17-22) ; non ío, né í miei simili che tu vuoi rovinare (cfr . Marco 1 . 24) . Il nostro destino è fissato da tutte le convenzioni sociali e religiose ; noi siamo al bando della società, ma necessari al suo funzionamento . C'è bisogno dí capri espiatori, e la sorte cade sulle unità più deboli del gruppo . Ma se tu privi questi uomini che cí esiliano dí questa possibilità dí proiezione, diventeranno tutti pazzi . Noí siamo necessari alla loro pace . La nostra impurità lí rassicura nella convinzione della loro purezza . . . Come potrebbe Gesù lasciarsi convincere dalla resistenza dell'indemoníato ? Andare verso la gente che pratica la religione e se ne sta tranquilla nella sua buona coscienza, soddisfatta dí sé e chiusa ad ogni aspirazione verso l'avvento dí un essere nuovo ín loro ? Il libretto dí Marco ha già sottolineato, ín 2 . 16, l'ostilità della élite religiosa nei riguardi dí Gesù . Non gli sí perdonano le dubbie compagnie che frequenta : non mangia forse con la parte meno raccomandabile del popolo ? In che conto tiene le esigenze della purità, lui che sí mescola alla plebaglia che non sa nulla della legge (cfr . Giovanni 7. 49) ? Ma Gesù vuole incontrare precisamente gli esclusi e í disprezzati . Per antifrasi, egli dichiara che <~ non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati ; non sono venuto per chiamare i giusti, ma í peccatori » (Marco 2 . 17) . La sua vocazione è quella dí andare verso coloro che íl corpo sociale e religioso disprezza e tiene a distanza, perché questi sono in attesa di una guarigione, di un perdono, di un atto che restauri la loro dignità. Attribuendo a Gesù il titolo dí Figlio del Dío Altissimo, l'índemoníato dí Gerasa riconosce la minaccia che pesa su di lui . In questa 7 . A rigor di termini, la ~ resistenza n freudiana concerne a tutto cíb che, negli atti e nei discorsi dell'analizzato, sí oppone all'accesso dí questi al proprio inconscio n (J . Lnr~~~c~~ e J . B. Poxra~~s, op. cit., p . 507). Certo, la resistenza che un malato psicotico può opporre al trattamento non sí lascia ridurre a ~~~~a ~esístenza così defmita . Tuttavia, alc~~~~í psichiatri pensano che determinati meccanismi dí τesístenza possono intervenire ín reazioni del genere dí quelle che presenta l'indemoniato al momento del suo incontro con Gesù . 100
specie di confessione di fede oscura fatta a se stesso, v'è un movimento segreto di implorazione, la speranza nascosta e inconfessata che l'incontro apra un'era nuova . Quest'uomo posseduto da uno spirito impuro, per usare í termini del nostro testo, instaura con Gesù una relazione esattamente inversa a quella che í benpensanti intendono stabilire: questi infatti accusano Gesù dí essere lui stesso posseduto da uno spirito impuro, scondo í termini dell'evangelista (Marco 3 . 22, 30) . L'accusa è dí una gravità estrema: ví riconosciamo la sicurezza propria dei custodi dell'ordine sociale e culturale dí essere dalla parte buona, sani, fisicamente e spiritualmente, al riparo da quelle malattie che aí loro occhi (cfr . Giovanni 9. 2) sono íl verdetto dí Dío per íl peccato dell'uomo . Gesù invece vuole rispondere all'attesa che legge nello stato di disperazione dell'uomo, e anche nella sua resistenza . A quest'uomo escluso dalla comunità civile e religiosa, respinto ín una condizione senza speranza, egli vuole recare la sua presenza e la sua parola . L'índemoníato, proscritto, non avrebbe mai trovato il cammino della guarigione, perché la natura stessa del suo male esigeva l'intervento fraterno degli altri, la fiducia degli altri capace dí ristabilire la fiducia ín sé, il dialogo con gli altri che avrebbe permesso di spezzare í ceppi del senso dí colpa . La relegazione lo ha imprigionato nella solitudine senza barriere delle tombe e dei deserti . È qui, in questo esilio, che Gesù lo incontra . Perché, se da una parte í benpensanti non hanno bisogno dí lui e, lungi dall'invocarlo, lo respingono, í proscritti in cambio lo attirano : ín loro è l'uomo stesso ad essere minacciato, colpito, soffocato, annientato . Nella loro solitudine, questi morti viventi non possono più essere veramente uomini, giacché non hanno nessuno che lí ami, e nessuno da amare . Gesù va loro incontro per ristabilire questa dup? .ice corrente dell'amore . Persino la regola ferrea del sabato non ritarda il suo cammino . Ad una società che sí preserva giudicando, condannando, escludendo, Gesù oppone la propria volontà dí apertura, la propria ricerca della comunicazione. Non sí limita ad accettare l'approccio dell'índemoníato . Vuole restaurare l'uomo, ín quest'uomo, vuole restituirlo aí suoi fratelli perché riconoscano ín lui un fratello . Dí questo isolato vuole fare un prossimo, una persona che possa diventare prossimo per gli altri e dí cui ognuno possa farsi prossimo (cfr . Marco 12 . 31 ; Matteo 22. 39 ; Luca 10 . 27 ; 29-37) . Gesù supera la resistenza del malato e propone quel dialogo di ευί egli era stato privato. Al demonio viene dato l'ordine : v Spíríto impuro, esci da quest'uomo! » . 101
Tre parole d'una brevità estrema . Eco succinta dí un'offensiva dí carità che verosimilmente dové essere stata più ampia . Ma non sí tratta dí persuadere il malato ; occorreva smuovere íl blocco creato ín lui da un'istanza seconda . La concisione del comando mette ín rilievo íl carattere imperioso della parola rí~olta all'indemoniato . Sorprendentemente, l'ordine non sembrava avere effetto . Il racconto di Marco 5 tiene ín sospeso íl lettore : non dice che íl demonio sia uscito . Cí sí domanda se l'esorcismo abbia avuto esito positivo . Invece dell'atteso bollettino dí vittoria, sí impegna un dialogo . Gesù prende dí nuovo la parola : non per ripetere l'ordine dí prima, ma per interrogare, come se sperasse dí ottenere con la persuasione ciò che non era riuscito ad ottenere con l'intimidazione . Perché supporre uno scacco ? La guarigione dell'indemoniato conosce due fasi successive, e noi dobbiamo cercare dí comprenderne le ragioni . Lo schematismo dei racconti evangelici dí guarigione cí nasconde ín genere un processo obbligatorio di cui, felicemente, íl nostro racconto rispetta í due momenti distinti . Quando Gesù incontra un uomo, ha inizio un primo tempo caratterizzato dal peso della sua parola . Gesù apre all'uomo che lo ascolta un orizzonte dí esistenza nuovo . Il messaggio che egli annuncia, e che incarna, incontra colui al quale sí rivolge, come un'onda incontra l'oggetto contro íl quale sí infrange . C'è del nuovo, allo stato dí promessa . È un tempo di latenza . Per comodità diremo che questo primo momento è oggettivo . Malo choc provocato dall'incontro con Gesù e lo stimolo della sua parola attendono una libera reazione, sono, per così dire, la condizione che rende possibile la rísposta . Questa presenza, questo messaggio invitano a una rottura e a un impegno nuovo . Il linguaggio evangelico designa questa rottura col nome di pentimento, e l'orientamento nuovo col nome dí fede . Così sí apre íl cammino della vita . Al momento oggettivo succede il momento soggettivo . In corrispondenza di tale struttura bipartita, l'incontro dí Gesù e dell'indemoniato sí compone dí due parole . Innanzi tutto l'aggressione : (~ Spirito impuro, esci da quest'uomo! » . Dí fronte all'indemoniato, l'alterítà dí Gesù e della sua parola sí manifesta intera in questa ingiunzione. Gesù e il demonio non possono coesistere . È una sítuazíone polemica, espressa in altra circostanza con questi termini : Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada » (Matteo, 10 . 34 ; Luca 12 . 51) . L'avvento di Gesù annuncia un processo al termine del quale la potenza malefica sarà scomparsa . L'ordine impartito al demonio traduce, in funzione dí una circostanza particolare, la proclamazione generale che ricapitola íl significato della presenza di ~~
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Gesù : la regalità dí Dío sí è fatta più vicina . La predicazione del regno equivale alla sentenza dí espulsione pronunciata contro la potenza alienante . Dopo la parola che determina oggettivamente la situazione nuova, deve intervenire la parola della rísposta soggettiva . Una cosa è acquísíta : il regno sí è awícínato, la semente è gettata nella terra . Porterà frutto ? Chí ha orecchie per intendere, intenda! Bisogna che la persona si pronunci ; bisogna che esca dalle trincee in cui tenta dí preservare la propria fallace autonomia, che dissimula l'orgoglio e l'egoismo . Quanti bei pretesti sí invocano : ho abbozzato un lavoro e devo terminarlo ; ho un pietoso dovere da compiere, una responsabilità da assumermi . . . (Matteo 22 . 1-10 ; Luca 14. 15-24 ; Matteo 8 . 21 ; Luca 9 . 59) . Gesù conosceva bene questa musica! Eglí spinge più a fondo l'offensiva contro il demonio, e lo costringe a pronunciarsi, precisamente confessando la sua identità: <~ Qual è il tuo nome ? » . E la rísposta non sí fa attendere : « Il mio nome è legione, perché siamo in molti » . È questa l'occasione di osservare come Gesù, stando almeno alle indicazioni del racconto, non abbia fatto ricorso al nome per procedere all'esorcismo, contrariamente all'uso dei guaritori moderni . Sí riteneva che íl nome conferisse un potere sul demonio designato . Il punto è . significativo . Bisogna che il nome sia pronunciato, confessato dallo stesso indemoniato, ín un atto che faccia emergere chiaramente alla coscienza la forza oscura che lo tíran~~eggíava . È necessario che il soggetto recuperi personalmente la parte alienata della sua psiche . Facendo parlare l'indemoniato per dire : « Ecco chi sono io », Gesù gli fa pronunciare parole liberatrici . L'uomo sí riconosce finalmente per quello che è ; assume se stesso invece di rifiutarsi . La forza dí resistenza è smascherata e perde la sua capacità dí dominio. La chíarezLa della confessione disgrega l'oscura oppressione dell'inconscio . Nel línguaggío ingenuo si dirà che íl demonio esce da quest'uomo . Il racconto dí Marco 5 suppone ín effetti che íl demonio sia uscito, se chiede dí poter rimanere nella regione . L'oppressione malefica è trattata come un personaggio autonomo . Non abbiamo tuttavia alcuna difficoltà a riconoscere ín questa voce la voce stessa del malato ín via dí guarigione . Le testimonianze evangeliche cí offrono la chiave per interpretare questa curiosa richiesta . Possiamo trovare numerosi echi del modo con cui Gesù o í contemporanei del redattore dí Marco 5 sí raffiguravano la relazione fra ciò che essi chiamavano íl diavolo 0 íl demonio e la persona contro cui questi dirigeva la sua offensí~a . Così ín Luca 4 . 13, íl diavolo, dopo aver sottoposto Gesù a una triplice prova senza successo, si ritira ín attesa dí una più favorevole occa103
síone ; il che fa supporre che egli sí aggiri ormai nei dintorni . Símilmente, ín Matteo 12 . 43-45 e Luca 11 . 24-26, Gesù stesso dice che un demonío scacciato può tornare ín forze per occupare nuovamente í luoghi che prima erano í suol, giacché non trova requie nel deserto ; e la nuova condizione del malato sarà peggiore della precedente . Nel nostro vangelo, ín Marco 9 . 25, Gesù proibisce esplicitamente allo spirito che ha appena cacciato di tornare là dove prima sí trovava ; questo spirito continua dunque ad essere una mínaccía prossima . Il diavolo non è forse presentato dall'autore dí I Píet . 5 . 8 come un leone ruggente (senza dubbio affamato) che si aggira intorno a noi in cerca dí preda ? Il demonío Legione non sí discosta dai costumi della sua specie ; vorrebbe aggirarsi sul posto per spiare l'occasione dí riconquistare íl terreno perduto . La singolare richiesta relativa al soggiorno prolungato nello stesso territorio dimostra l'ambivalenza nella quale si trova l'índemoníato, che è ín via di guarígíone, ma non ancora veramente guarito . Ha riconosciuto il suo male, e ín un certo senso ha preso nei confronti del suo demonio interiore una distanza sufficiente perché sí possa dire, ín linguaggio figurato, che il demonío è uscito . Tuttavia egli conserva una complicità segreta con questo stesso demonío . La resistenza così caratteristica del comportamento dei malati mentali, come abbiamo già osservato, non è stata ancora del tutto eliminata . L'uomo prende dunque paradossalmente la difesa del demonio Legione . Chiede che questi sia autorizzato a soggiornare nel paese . Dietro questo linguaggio concreto si riconosce l'idea della cui eco nei vangeli abbiamo parlato poco fa : restando attaccato alla sua ex-vittima, Legione pub sperare dí riconquistare íl posto . Il suo nome evoca direttamente la potenza dí quegli eserciti aí cui assalti nessun campo fortificato ha mai potuto opporsi con successo . La condizione dell'indemoniato viene presentata come una condizione instabile . L'uomo sí è confessato, riconosciuto ; potremmo dire che non sí è ancora rinnegato . La complicità che mantiene col suo demonio fa temere per lui una ricaduta . La resistenza ín cui persiste, nonostante íl primo successo della cura, è íl segno della fragilità del suo stato . Certo, vorrebbe contraddittoriamente che íl suo stato precario venisse consolidato ; presente la mínaccía, ma non è ancora in grado dí porvi rimedio . Per superare l'ultima tappa della guarígíone, occorrerebbe un nuovo e definitivo intervento dí colui che l'ha avviato sulla buona strada. Ma questa parola, per quanto abbia autorità sovrana sui demoni, non ρυδ farsi sentire se non viene richiesta dall'uomo che essa deve liberare . Gesù non esercita alcuna costrizione . Il vangelo 104
promuove la libertà interiore, alla volontà del soggetto non sostituisce una volontà estranea. Nel nostro testo, due indicazioni stanno a significare appunto la svolta che conduce alla guarígíone definitiva . Dicevamo che un demonío scacciato veniva considerato una mínaccía, perché seguitava ad aggírarsí intorno a quella che era stata la sua vittima : íl demonio non trova riposo nei luoghi deserti nei quali viene confinato (cfr . Matteo 12 . 43 ; Luca 11 . 24) . Per liberare definitivamente íl nostro indemoniato, bisognerebbe dunque che Legione trovasse íl modo dí risistemarsi . L'opportuna presenza dí un gregge dí porci consentirà proprio tale fortunata soluzione . In questo senso dobbiamo intendere l'entrata in scena degli innocenti animali . La seconda indicazione che merita dí essere rilevata riguarda la forma che assume la domanda relativa al passaggio dí Legione nei porci . È stato lo stesso indemoniato a formulare, ín precedenza, la richiesta : è lui, dice íl testo, che prega (al singolare) Gesù di non espellere « i demoni » dal paese . Ma ora l'indemoniato non prende la difesa dei suoi ospiti ; sí è arrivati all'ultimo stadio della guarigione ; la rottura è troppo completa perché l'uomo possa parlare a nome dei suol demoni. Il testo pone dunque la domanda ín bocca a Legione ; la frase è al plurale : « Mandaci ín quei porci, perché entriamo ín essi ~~ . In realtà è sempre l'indemoniato che parla, ma íl cambiamento avvenuto nel numero del verbo sottolinea che l'indemoniato ha cessato completamente di nutrire qualsiasi compiacenza nei riguardi del suo male . È questa una sfumatura tutt'altro che trascurabile del testo . A questo punto Gesù, con un ultimo ínter~ento, può portare a compimento l'opera in vista della quale íl morto-vivente era andato incontro a lui . Legione riceve il permesso dí invadere il gregge . Non sarà più una mínaccía . Adesso è veramente ripudiato . Quando poi íl testo riferisce che íl gregge dí porci sí è precipitato nel mare ed è annegato, la scena inattesa accentua íl carattere definitivo della sorte assegnata a Legione . Cí sí può interrogare all'infinito sul destino di questo demonio multiplo e dí questo gregge dí duemila capi ! È impossibile determinare la parte dí realtà presente ín questa conclusione dell'episodio . Il fatto pub anche essere autentico, se non la sua spiegazione . Lo stesso vangelo dí Marco racconta (1 . 26) che ín occasione dí una guarígíone dello stesso tipo l'indemoniato lancib grida terribili e sí agitò violentemente . Non incontriamo nessuna osservazione del genere ín Marco 5, ma l'accostamento è suggerito dalla conseguenza inattesa : se íl nostro indemoniato sí è messo a gridare e a correre freneticamente fra i porci che pascolavano tranquillamente nelle vicinanze, è comprensíς
Ηπηττffs
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bile che le bestie sí siano spaventate e sí siano lanciate ín una fuga pazza!
Tuttavia bisogna penetrare íl guscio aneddotico - índípendentemente dal fatto che l'episodio sia storico o no - per arrivare al sígníficato che doveva avere, per l'autore e per íl lettore d'origine, il passaggio del demonio nel gregge di porci e l'annegamento che ne seguì . La molteplicità del demonio denominato Legione sottolinea la gravità del male . Ma perché uccidere un gregge di porci ? Se il fatto della perdita di un tale gregge ín seguito alle convulsioni dí un índemoniato ín crisi è autentico, non abbiamo che da registrarlo . Se v'è stata scelta da parte dí chi ha fornito questi particolari del racconto, tale scelta è significativa . In ogni modo, íl redattore, riferendo la' circostanza, ha voluto che al lettore non sfuggisse íl fatto che íl demonio Legione sia andato a rifugiarsi in questo animale che gli Ebrei consideravano un animale impuro . « Non mangerete il porco . . . Lo considererete come impuro » . (Lev . 11 . 7 ; cfr . Deut. 14 . 8) . Il fatto significativo è che siano stati messi ín scena dei porci . La cosa è presentata ín maniera fortemente ímpressíva . La coscienza del malato è approdata alla piena chiarezza : ora viene denunciato íl carattere impuro del demonio che la oscurava . Il travaglio interiore della presa dí coscienza sí realizza attraverso questa proiezione nei porci . Abbiamo qui una denuncia e al tempo stesso la posizione di una distanza : « Ecco che cos'era in realtà questa potenza che dettava legge ín me, ed eccola definítívamente ripudiata ora che ío so di che sí trattava » . Mediante questo processo interiore, l'indemoniato acconsente al giudizio che Gesù fin da principio ha espresso chiamando íl demonio « spíríto impuro » ; e mediante questo assenso al giudizio di Gesù sul suo caso, l 'uomo trova la propria verità : e Io non sono più lui ; ío sono quello che l'incontro con Gesù ha destato in me . . . » . Il circolo sí chiude ; siamo tornati alla parola iniziale di Gesù, che denunciava il male designandolo chiaramente al fine dí espellerlo . L'uomo, riconoscendosi nella parola che lo condannava condannando la potenza allenante che dominava in lui, ha consentito a quella lucida autocritica che sola è ín grado di sciogliere í legami che tengono l'uomo prigioniero del suo passato . Gesù denominava questo processo interiore e pentimento », o « morte a se stessi » . Questa guarigione è una parabola del pentimento, ín quanto illustra come íl confronto fra Gesù e gli uomini asserviti aí loro demoni conduca, se ví sí acconsente, alla liberazione attraverso il ripudio dell'essere antico e grazie a11.'awento dí un essere nuovo . 1 06
L'abolizione del passato, tema che fa parte della buona novella del mondo nuovo inaugurato da Gesù Cristo, è illustrata ín maniera pittoresca dal nostro racconto . Bisogna ricordare che tanto íl lettore quanto l'autore del racconto attribuivano all'acqua, al mare, un sígníficato complesso, ma nel nostro caso perfettamente chiaro . Da una lunga tradizione culturale avevano ereditato l'abitudine di associare le acque alle potenze malefiche . Il mondo era una conquista sul caos costituito in origine dall'elemento liquido . Nei testi poetici, questa potenza prima e ribelle che è l'oceano primordiale, appare sotto la forma di bestie mostruose, serpenti giganteschi, dragoni insaziabili . Il più conosciuto fra questi animali favolosi è Leviathan, che giace come intorpidito sul fondo del mare e il cui risveglio segnerebbe íl ritorno del caos. Nelle visioni dell'Apocalisse giovannea, la bestia dalle dieci corna e dalle sette teste che porta nomi dí bestemmia sale dal mare . E nel mare sarà legato íl diavolo per mille anni (Apoc . 31 . 1 ; 20. 1 .-3) .e Così íl demonio, precipitando in mare insieme con í porci, ritorna nel suo ambíente . 9 Ha definítívamente abbandonato í paraggi . Non è più minaccioso . Forse sí pensava che avesse subito una disfatta mortale . La guarigione, comunque, trae dall'incidente la garanzia della sua durata . La parola che ha scacciato la potenza diabolica manifestamente prevale . Abbiamo parlato finora della guarigione in se stessa, nella quale si esprime l'urto fra l'esistenza nuova dí cui Gesù è íl portatore, la sua parola lo strumento, e íl mondo antico, infelice ed oppresso sotto íl dominio delle potenze diaboliche . Il lettore che richiami alla mente le parole con cui comincia íl libretto che ha sotto gli occhi, capirà meglio ciò che significhi íl termine : vangelo, buona novella . Ma íl racconto non si ferma qui . Questa guarigione presenta aspetti complementari, che ne mettono ín risalto íl significato . In primo luogo, le indicazioni che riguardano l'uomo guarito : íl testo cí dice che lo sí vede seduto, vestito e ín senno . 8 . M . Fouenu~.r (op. cit., pp . 33-36) sottolinea íl legame che per lungo tempo è esistito nell'immaginazione dell'uomo europeo fra l'acqua e la follia : la follia a ,,, manífestazíone nell'uomo di un elemento oscuro, acquatico, cupo disordine, caos semovente, germe e morte dí ogni cosa, che sí oppone alla stabilità luminosa e adulta dello spíríto n . 9 . a Quando í demoni, insieme con quegli animali impuri che sono í porci, si precipitano nel mare, questo sígnífi~a che sotto l'azione dí Cristo le cose rientrano nell'ordine : le forze del male e l'impurità che cercano dí invadere la terra degli uomini ritornano nel mare, che è íl loro luogo d'origine : sono respinte nel grande abisso, da cui non sarebbero mai dovete uscire s, (P, LπhτπaCετε, op . cít., p . 586, n . I1). 107
All'errare, proprio della sua condízíone anteriore, sí oppone la calma dí chi sa dove dimorare . Ora egli occupa un luogo, nel quale può mettere radici . Ha un posto al sole, un posto sulla terra : per viverci . Per vivere solo ? no! Alla solitudine che egli conosceva nell'esilio delle montagne deserte. dove sí vive da selvaggi, e perciò nudi come le bestie, il testo oppone la condizione dell'uomo vestito, cioè provvisto dei caratteri civili che la vita sociale implica, fra í quali v'è l'obbligo del vestito . Per mezzo del vestito l'uomo sí situa ín seno ai suoi congeneri, sí tratti degli ornamenti più o meno carichi dí potenza magica propri delle popolazioni arcaiche, o dei vestiti e delle insegne dei prì~cípí della vita pubblica (magistrati, militari, ecclesiastici accademici, ecc .) .10 La terza indicazione ci dice che l'indemoniato ha ricuperato íl senno . I suoi amici trovano in lui una persona con cui è possibile parlare . Al linguaggio stupido, fatto dí grida o dí discorsi incoerenti, è succeduta una parola che adempie le funzioni del linguaggio come mezzo di comunicazione interpersonale . $ infatti attraverso íl linguaggio che si giudica se l'uomo ha veramente riacquistato la sua qualità dí essere ragionevole . Può rimanere seduto e calmo, ma soltanto per effetto dí una evoluzione del male ; remittenza non significa guarigione . Può essere vestito per pura imitazione servile : l'abito non fa íl monaco . Ma ragionare ed esprimersi assennatamente, non è questo íl segno sicuro della guarigione e della reintegrazione del malato nelle relazíoní sociali, alle quali partecipa recando íl suo contributo ? La reintegrazione dell'indemoniato nella società è dunque pre~ísata mediante queste tre indicazioni . Infatti, cif che costituisce una società è un fattore geografico : occupare un luogo comune in cui íl gruppo sí riunisce ; un fattore sociologico : accettare costumi comuni, convenzioni, leggi ; un fattore culturale : parlare la stessa língua, usare le stesse categorie
dí pensiero . Straordinariamente sicuro
è íl quadro tracciato dal redattore dí Marco 5 per suggerire che Gesù ha fatto dell'indemoniato, essere asociale, non soltanto un uomo, ma un fratello . 10 . x Dovunque, in maniera più o meno esplicita, dalle tuniche dí pelle della Genesi fino agli abiti bianchi dell'Apocalisse, íl vestito, nella Bibbia, è íl segno delle situazioni spirituali dell'umanità . . . II vestito o la sua assenza hanno un significato telígioso . . . Le persone la ευί libertà è definitivamente alienata perdono la capa~ítà dí portare un vestito : pńgioníeri, schiavi e prostitute, pazzi o maledetti . Tali persone non dispongono più dí se stesse u . (E . Hnu~.~Trs, S . J ., Symbolique du vêtement selon la Bible, París 1966, pp . 330, 79 ; cfr. anche le pp . 82, 83) . 108
Che l'incidente toccato al gregge non sia andato a genio a tutti è perfettamente comprensibile . Una seconda conseguenza sí aggiunge così, nel racconto, alla prima . La perdita dí una tale ricchezza recava un danno non indifferente aí Gerasení . I proprietari del gregge protestano . L'intervento dí Gesù e l'esito che ne è seguito, per loro catastrofico, lí ha posti di fronte ad una alternativa, che íl lettore dí Marco 5 deve misurare ín tutta la sua gravità .
L'alternativa era la seguente : o sì considera che un uomo è guarito, e cí sí rallegra che egli abbia ritrovato la sua piena condízíone umana, e anzi sí spera che questa guarigione ne annunci altre (giacché non è questa l'unica persona che aspetti un simile soccorso), e ín questo caso sí consente con gioia al sacrificio delle ricchezze che tale dísalienazione esigerà ; oppure sí preferisce salvare le ricchezze, a costo dí lasciar marcire gli infelici nella loro dolorosa condizione ; per salvare dei porci, si uccidono degli uomini abbandonandoli ad ~~n'esistenza che è già una morte anticipata . L'episodio che la pagina riferisce mette ín piena luce questa alternativa . I Gerasení hanno optato per la soluzione meno costosa . Essi non avevano né denaro né tempo - time is money - da dedicare a quell'energumeno che avevano escluso dalla loro compagnia e dai loro orari . Le cure aí malati gravano sempre sul bilancio ; la malattia pone un problema economico . Il riportare un uomo alla propria dimensione umana sembra invece a Gesù un atto che debba prevalere su qualsiasi altra cosa, compreso il dovere, che pure è dovere u religioso », dí osservare íl sabato . L'alternativa che noi vediamo decisa da parte dei Gerasení a favore degli interessi egoistici, era stata evocata da Gesù ín altre circostanze, quando egli confondeva í suol awersarí dicendo : voi siete ben capaci dí violare il sabato per salvare il vostro bue o íl vostro asino caduti nel pozzo, e rimproverate me dí guarire un uomo ín giorno dí sabato! Anche íl sabato è fatto per íl bene dell'uomo (Marco 2 . 27 ; 3 . 1-6 ; Matteo 12 . 9-12 ; Luca 6 . 6-11 ; 14. 5) . Così parla l'amore . I compatrioti dell'indemoniato parlavano íl linguaggio della fredda ragione economica . Pregano dunque Gesù dí lasciare il paese, a costo dí cacciare insieme con lui, dal loro orizzonte, ogni speranza che altri uomini siano restituiti alla loro vocazione umana e fraterna . Ancora una volta si delinea l'alterítà dí Gesù, non più ín contrapposizione ad un malato, ma di fronte a persone sane, ragionevoli e calcolatrici . L'ultimatum che egli riceve può anche esprimersi nelle forme più civili, ma non cesserà di significare l'íncompatíbílità fra íl mondo dí Mammona e íl mondo che Gesù instaura . Bisognava far tacere una voce capace dí turbare l'ordine istituito . 109
Torna ancora alla mente la parola di Gesù : <~ Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada » (Matteo 10 . 34, 35 ; Luca 12 . 51-53). Certo i Gerasení avrebbero potuto considerare ín altro modo la guarigione alla quale avevano assistito . Avrebbero potuto dire che Gesù lí aveva liberati da una minaccia permanente , la presenza di un demonio malvagio, e che íl suo potere dí guarigione poteva essere loro utile in altre circostanze . No ! Non hanno il minimo dubbio che una qualche minaccia possa incombere su dí loro . Sono ben sistemati nel confort interiore dí una soddisfazione che è anche autogíustíficazíone . La loro buona salute è assicurata ; non hanno bisogno dí nessuno ; ín che cosa potrebbe essere loro utile questo Gesù ? Appartengono a quella categoria dí persone di ευί Gesù diceva ironicamente che non sono malati, e dunque non hanno bisogno dí chi lí guarisca. Del resto, questi Gerasení hanno preso le loro precauzioni : hanno scacciato la pecora in-
fetta, íl capro espiatorio, sotto le specie dell'indemoniato . Il gíudízío dí condanna dello sventurato è la contropartita e íl pegno del gíudízío di approvazione che essi danno dí sé . Quest'uomo ancor prima dí allontanarlo nello spazio, lo avevano allontanato dal cuore ; avevano cessato di considerarlo ~n « prossimo », e da ciò era derivato íl suo esilio ; avevano smesso dí amarlo, perché amavano se stessí al punto da non lasciar spazio per altri . Il gíudízío dí condanna che colpiva quell'infelice, e la sua relégazíone, nascevano da quest ' amore interamente rivolto a se stessí . Erano così persuasi dí non aver nulla ín comune con quest'essere impuro che lo avevano respinto lontano quanto bastava perché la loro <~ purezza », la loro integrità fossero salvaguardate . Quando Gesù diceva : ~~ Non giudicate », denunciava l'autogíustificazíone implicita nel gíudízío (che è sempre un verdetto dí condanna) del prossimo, e la distanza che ne consegue e che fa di un prossimo un lontano . Il lettore dí Marco 5 vede l'illustrazione dí questa verità nella situazione dei Gerasení ín rapporto con íl loro compatriota e ín rapporto con Gesù. Disgraziatamente per questi giudici severi , essi sí condannavano col gesto stesso con ευί credevano dí porsi al sicuro . Con íl loro gíudízío sí precludevano la possibilità dí ríconoscersí nel malato. Troppo giusti aí loro occhi, non potevano più discernere le passioni demoniache da cui erano animati . Sí credevano radicalmente diversi : la prescrízíone del loro prossimo traduceva tale convincimento . In realtà, íl demonio lí asserviva sottilmente alla legge, ingannandoli sul loro conto . Nello strano volto del pazzo dí cui avevano fatto uno straniero, non avevano visto íl loro stesso volto come in uno specchio . Michel Foucault, pur senza citare il caso dei Gerasení, descrive perfetta-
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mente l'occasione che essi hanno rifiutato, l'occasione dí conoscere se stessí . Infatti: <~ íl folle rivela la verità terminale dell'uomo ; egli mostra fino a dove possono spingerlo le passioni , la vita dí società, tutto ciò che lo allontana da una natura primitiva che non conosce la follia . . . non sí potrà riconoscerlo senza ríconoscersí , senza sentire ín sé le stesse voci e le stesse forze, le stesse strane luci . . . spettacolo di una verità finalmente nuda dell'uomo » .~~ I Gerasení dunque non hanno capito che quanto aweníva tra l'indemoniato e Gesù lí concerneva direttamente . Bisognava convincerli ad uscire da questo errore su se stessí , e insieme far loro sentire la parola di guarigione che riguarda ogni uomo, giacché tutti ne hanno bisogno per vincere le mille forme con cui il demonio abilmente sa asservire l'uomo . Le circostanze mostravano a sufficienza come convenisse far loro conoscere questa <~ buona novella », dí cui il libro di Marco intendeva appunto essere il messaggero, ín particolare mediante íl racconto di questo quinto capitolo . È dunque ín perfetta linea col racconto íl fatto che questo sí concluda narrando come Gesù rimandasse l'indemoniato dai suoi compatrioti . II primo impulso del malato guarito era stato quello di attaccarsi alla persona del suo benefattore e dí seguirlo . Andò da Gesù, cí dice íl testo, « per stare con lui » . Ma Gesù lo mandò a <~ predicare » . Osserviamo questo duplice movimento : andare verso Gesù per stare con lui e essere mandati da lui per annunciare la Buona Novella. È il duplice movimento che caratterizza l'apostolato evangelico . Così viene definita, ín Marco 3 . 14, la condizione dei dodici discepoli : le stesse parole dicono ín entrambi i casi che cosa è la missione dell'apostolo : sí fonda sul fatto di ~~ stare con Gesù », e sí concretízza nella predicazione . Il lettore dí Marco non può non essere sensibile a questo accostamento . L'intervento di Gesù nella vita dí quest'uomo particolare, dí cui abbiamo finora parlato, non è un fatto dí cronaca che riguardi solo questo individuo . L'awenímento ha un significato universale e permanente. Diviene oggetto di un discorso specifico che sí chiama la predicazione , proclamazione al mondo dí quest'evento che è l'avvento del regno dí Dío. A proposito della guarigione dí un lebbroso raccontata ín Marco 1 . 40-45, il Padre André Paul ha scritto alcune righe che si adattano perfettamente al racconto della guarigione dell'indemoniato : <~ In questa pagina del vangelo di Marco, íl verbo "proclamare" (Kêrusseín), al quale abitualmente non sí presta particolare attenzione,
11 . Μ. Foucauιr, ορ. cít .,
ρρ .
600-601 .
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assume un rilievo specialissimo . Non rinvia all'atto taumaturgico di Gesù, ma a ciò che esso significa . Tale proclamazione rivela la fedeltà dell'uomo alla parola che l'ha colpito e penetrato durante l'incontro inedito che gli ha permesso di esistere . . . Dopo aver guarito íl lebbroso, Gesù rinuncia alle sue ipsissima verba; la sua parola deve raggiungere anche coloro che non sono e non saranno mai dei lebbrosi » 1 2 Così, il racconto termina con un'apertura verso nuove possibilità . Gesù rifiutato, respinto, e al limite estremo crocifisso, non cesserà dí parlare . Scacciato dagli uomini, egli continuerà, per interposti testimoni, a provocare la resistenza dí coloro dí cui mette a nudo la condízíone reale, ín attesa di condurli, mediante la purgazione dei loro dèmoni interiori, alla loro ~ocazíone di uomini e dí fratelli . E se « la follia, secondo le parole dí Michel Foucault, segna l'inizio della vecchiaia del mondo », si è in diritto dí sperare che la guarigione della follia segni l'inizio del rinnovamento del mondo . Il redattore dí Marco 5 vedeva precisamente ín Gesù la promessa, per íl mondo, dí una nuova giovinezza . Nota aggiuntiva a proposito di Marco 5 . 15 Ringrazio íl professor F. Bovon d'aver voluto redigere una nota che consentirà al lettore dí valutare le possibilità e le difficoltà del metodo esegetico messo in atto nelle pagine che precedono . Ho interpretato le tre notazioni del v. 15, a proposito dell'indemoniato guarito, come l'indicazione della sua reintegrazione nel corpo sociale e nella propria umanità, da cui íl male lo aveva escluso, come mostra l'inizio del racconto . F . Bovon propenderebbe per un'esegesí più ecclesiale, egli dice, di questo versetto . L'uomo è seduto, dice Marco. « Seduto » evocherebbe la posízíone del discepolo seduto aí piedi del maestro (cfr . l'inizio del versetto : « E giunsero da Gesù, e videro l'indemoniato seduto . . . ») . $ questa la posízíone dí Maria, che ascolta la parola « seduta ai piedi del Signore » (Luca 10 . 39), come poi sarà la posízíone dí Paolo ~ aí piedi dí Gamaliele » (Atti 22 . 3) . « Vestito » alluderebbe all'abito del discepolo convertito, ín opposizione alla nudità del gío~ane che, nel momento dell'arresto di Gesù, q fuggì via nudo » (Marco 14. 52) . È nota l'importanza del vestito nella Bíbbía : bisogna avere l'abito dí nozze per essere salvati (Matteo . 22. 11-13) ; íl credente sí riveste del Cristo col battesimo (Gal. 3 . 27 ; Rom. 13 . 14). Il vestito che sí porta segnala un'identità, come il cambiamento d'abito indica 12. A. Pnu~., P . S . S., La guérison d'un lépreux, in a Nouvelle Revue Théologique x 92, 1970, p . 599 .
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una trasformazione della persona. « Sano dí mente » (~~~~o~oú~~~) infine potrebbe essere messo in relazione con l'atteggiamento del credente, così come san Paolo lo definisce ed esige : « Non innalzatevi con i pensieri oltre íl giusto limite, ma pensate secondo saggezza (~~ov~w ~~~ ~ó ~~~~ov~w) . . . » (Rom. 12. 3) . La follia della croce è la saggezza dí Dio, e il cristiano può dichiarare dí avere il ~o~~ del Cristo (I Cor . 2 . 16) . È ~u~'esegesi seducente, ma il fascino stesso che essa esercita su di me mi rende diffidente ; esito a farla mia . Un'esegesi dí questo tipo mette ín luce la difficoltà e la necessità dí fissare dei limiti alla ricerca legittima e necessaria delle armoniche semantiche del testo . Dove comincia l'arbitrario negli accostamenti possibili ? Se è giusto rischiare per arricchire le parole delle loro possibili risonanze, con~iene anche non scendere al dí sotto del coefficiente di probabilità accettabile . Il massimo di probabilità ín questa materia è assicurato quando sí legge íl testo alla luce che proviene dal testo stesso : il vero senso, íl senso ultimo dei termini è quello che íl contesto prossimo conferisce ad essi ; ín ciò che dice il contesto sí trova íl limite più stretto che conviene imporre alla ricerca dí ciò che il testo vuole dire . Ci sí può tuttavia affrancare da questo rigore ín molti casi veramente limitante . Ricorrere all'insieme del testo dí Marco per arricchire un particolare è operazione che presenta ancora una grande sicurezza . È già più aleatorio uscire dall'ambito del vangelo in questione, per utilizzare dati provenienti dagli altri sinottici . Ma possiamo crederci largamente autorizzati a tentare questa via : è legittimo presumere che le tradizioni raccolte ín Marco, Matteo e Luca sono strettamente apparentate, che grosso modo sono uscite da ambíentí simili e che tali tradizioni non hanno rinnegato la loro affi~~ítà nonostante la forma peculiare che ogni redattore ha imposto alla materia per renderla più rispondente alle sue intenzioni o alle circostanze dell'ambiente per íl quale egli scriveva . . Mí sembra invece assai rischioso gettare sul nostro testo lumi provenienti dalle lettere paolíne o dal vangelo giovanneo . Per farlo, occorrerebbe disporre di dati che non abbiamo - o non . abbiamo ín misura sufficiente - circa la conoscenza, da parte del nostro evangelista e dei suol lettori, dei temi e della terminologia propri dell'apostolo Paolo . Proprio a pausa della nostra ignoranza su questo punto, non oserei affermare che tali accostamenti siano assolutamente da escludere ; ma è certo che íl rischio dí far dire al testo più dí quanto non dica e non voglia dire - dí per se stesso, è proporzionale alla. distanza degli ambíentí letterari comparati . F~nr~z-J . L~Er~~n~nr 113
INDICE
5 Premessa 9
LO STRUTTURALISMO FRANCESE E L'ESEGESI BIBLICA
9
Introduzione I . Il padre dello strutturalismo : Claude Léví-Strauss II . Un (c enfant terrible » dello strutturalismo : Roland Barthes III . Illustrazione del metodo Conclusione
12 16 20 23 25 27 33
LA LOTTA CON L'ANGELO : ANALISI TESTUALE DI GENESI
I . L'analisi sequenziale II . L'analisi strutturale
39 LTN ESEGETA DI FRONTE 42 Primo approccio 47 Secondo approccio S3 Terzo approccio 6O 62 63 64 64 68 73 76 80 85
32, 23-33
A GENESI
32, 23-33
L'INDEMONIATO DI GERASA: ANALISI LETTERARIA DI MARCO
5,
1-20 Chi parla ? A chi parla íl testo ? Il testo contiene l'indice del suo statuto ? La struttura spaziale Le persone Lo stato dí possessione e lo stato di guarigione Gesù riconosciuto, Gesù rifiutato L'interpretazione parabolica Come interpretare la possessione ?
89 SAGGIO DI ESEGESI : MARCO 5, 1-20 112 Nota aggiuntiva a proposito dí Marco 5, 15 117