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PIERS ANTHONY LA SORGENTE DELLA MAGIA (The Source Of Magic, 1979) ANCORA SU PIERS ANTHONY E IL CICLO DI XANTH Secondo appuntamento con Piers Anthony e con il suo Ciclo di Xanth. Come pensavo, il primo volume di questa serie, Un incantesimo per Chameleon, ha riscosso un notevole successo presso gli appassionati, e colgo qui l'occasione per rispondere a quelli di voi che mi hanno scritto chiedendomi perché fino ad oggi questi volumi non fossero stati pubblicati in Italia, facendo loro presente come i romanzi di un certo livello non ancora tradotti siano molti e, vuoi perché le Case Editrici che pubblicano organicamente fantascienza sono rimaste assai poche, vuoi perché i curatori non possono certo leggere la grande quantità di volumi di fantascienza che vengono stampati ogni anno all'estero, si può anche dare il caso che si verifichino delle carenze di questo genere. L'importante comunque è che, prima o poi, tali libri possano giungere sino ai lettori, cioè sino a voi. In questo secondo volume della tetralogia di Xanth, Anthony non ha perso nulla della sua vena scanzonata ed umoristica. Questa sua caratteristica, del tutto personale ed esclusiva, è quella che gli ha valso tanto successo, prima presso gli appassionati di lingua anglosassone, ed ora anche nel nostro Paese. In un settore quale è quello della fantasy, dove la seriosità - per non parlare addirittura di fosche tinte o di tragedia - è di rigore, il modulo narrativo proposto dal nostro autore ha avuto l'effetto di una brezza fresca e tonificante. Né mi si vengano a portare come raffronto i romanzi del duo Pratt/De Camp (per intenderci quelli che fanno capo al personaggio di Harold O'Shea), perché in quel caso si è trattato solo di una insipida parodia di antichi poemi classici, peraltro condotta con scarsa incisività, e soprattutto, priva di quel «tono» che si può riscontrare solo in autori di una certa statura, quale appunto è Anthony. E poi l'inventiva. Le pagine del Ciclo di Xanth sono semplicemente rutilanti di esseri favolosi, ambientazioni particolarissime e contesti magici, i quali hanno comunque sempre dei precisi riferimenti con la tradizione mitica e folcloristica che tutti conoscete per cui - così come ho già avuto modo di dirvi nella mia precedente introduzione ad Un incantesimo per Chameleon - quello che maggiormente stupisce è il fatto che una narrativa
talmente permeata di elementi magici e fantastici, risulti in ultima analisi non solo comprensibile, ma addirittura persino consueta per il lettore. La sorgente della magia riprende là dove era finito il primo volume del Ciclo, necessario antefatto alla comprensione ed all'inquadramento dei personaggi e dell'ambiente nel quale si svolgono le avventure narrate in questo secondo volume. Dopo un inizio nel quale Anthony ci illustra magistralmente... le delizie della vita coniugale dei suoi eroi ormai felicemente accasati, ecco la suspense concretizzata in una forza misteriosa nonché molto pericolosa, che sembra aver preso decisamente di mira Bink allo scopo di eliminarlo. Questi, sia per sfuggire alle profferte amorose di un ex fantasma tornato a rivivere nel corpo di una bellissima donna innamoratasi perdutamente di lui; sia per sottrarsi alle insofferenze di Chameleon la quale - in attesa di un suo erede - lo sottopone ad ogni sorta di piccole vessazioni; ma soprattutto per fuggire la noia che sembra pervadere la sua esistenza di marito più o meno felice, s'imbarca nella ricerca della fonte della magia che domina la terra di Xanth. In questa sua ricerca è accompagnato da un'eterogenea brigata della quale fanno parte sia vecchie conoscenze già incontrate in Un incantesimo per Chameleon che nuovi comprimari, la cui delineazione tipologica e caratteriale non è certo meno felice di quella dei primi. Le molte avventure si snodano lungo le pagine in un susseguirsi di colore e di trovate sempre nuove le quali, illustrate da una prosa leggera e scorrevole, vi offriranno una lettura piacevole ed interessante soffusa di una sottile vena di humour, e vi faranno gradita compagnia sino all'epilogo del quale ovviamente non vi anticiperò alcunché per non privarvi del piacere della lettura. Ed ora, nel salutarvi, vi do appuntamento al prossimo volume del Ciclo. Gianni Pilo CAPITOLO PRIMO LO SCHELETRO NELL'ARMADIO Il fiutamagia si avvicinò lentamente a Bink, e il lungo muso sottile fremette industriosamente. Quando gli si accostò, si lasciò travolgere da un entusiasmo frenetico, sbuffando note flautate, agitò la coda folta e saltellò in tondo.
«Sicuro, anche tu mi sei simpatico, Sniffa,» disse Bink, chinandosi per abbracciarlo. L'esserino gli passò la lingua sul naso. «Sei stato uno dei primi a credere nella mia magia, quando...». Bink s'interruppe, perché la bestiolina si comportava in modo strano. Aveva smesso di saltellare e adesso aveva quasi un'aria spaventata. «Cosa c'è, mio piccolo amico?» chiese preoccupato Bink. «Ho detto qualcosa che ti ha offeso? Scusami!». Ma il fiutamagia mise la coda fra le gambe e si allontanò furtivamente. Bink lo seguì con gli occhi, dispiaciuto. Sembrava quasi che la magia si fosse spenta, e avesse fatto perdere all'essere la sua funzione. Ma il talento di Bink, come tutti gli altri, era innato; non si sarebbe dissipato finché lui avesse avuto vita. Doveva essere stato qualcosa d'altro a spaventare il fiutamagia. Bink si guardò intorno irrequieto. A est c'era il frutteto di Castel Roogna, con gli alberi carichi di ogni sorta di frutti esotici, verdure e altre cose più strane, come le ciliege-bombe e le maniglie delle porte. A sud si estendeva l'indomato territorio di Xanth. Bink ricordava che quella giungla aveva spinto lì lui e i suoi compagni, tanto tempo prima, ed era sembrata una mossa minacciosa... Ma oggi gli alberi, in sostanza, erano amici: avevano voluto semplicemente che un Mago restasse e rendesse di nuovo grande Castel Roogna. E il Re Trent l'aveva fatto. Ora la considerevole potenza di quella regione si prodigava per il bene del regno. Sembrava tutto in ordine. Bene, allora doveva continuare a darsi da fare. Quella sera ci sarebbe stato un ballo, e lui aveva le scarpe molto malridotte. Andò in fondo al frutteto, dove aveva messo radici uno sperduto albero delle scarpe. Alle scarpe piaceva molto muoversi, e spesso andavano a piantarsi nei posti più incredibili. Quello aveva parecchie scarpe già mature. Bink le esaminò senza coglierle, fino a che fu sicuro di aver trovato un paio che faceva per lui. Allora le staccò, le scosse per far cadere i semi e le calzò. Erano molto comode e piuttosto belle. Si avviò per tornare indietro, esagerando i movimenti per ammorbidire le scarpe senza sciuparle, e continuò a pensare all'incontro con il fiutamagia. Era un presagio? I presagi si avveravano sempre, nella Terra di Xanth, ma raramente era possibile interpretarli in modo esatto prima che fosse troppo tardi. Stava per accadergli qualcosa di brutto? Sembrava poco probabile; Bink sapeva che non era un'esagerazione presumere che capitasse qualcosa di terribile a tutto Xanth prima che succedesse qualcosa di male a
lui. Quindi doveva essere un'interpretazione errata. Il fiutamagia aveva semplicemente avuto un attacco d'indigestione, e aveva dovuto scappare. Ben presto Bink arrivò in vista di casa sua. Era una magnifica ricotta, poco lontana dal palazzo; e si era stabilito lì quando era sposato. Da tempo la crosta s'era indurita e aveva perduto gran parte del sapore, e le pareti erano di formaggio a grana fine, di un delicato giallo-panna. Era una delle casette più saporite che esistessero, ma dato che non era stato lui a scavarla, non pensava che fosse il caso di vantarsene. Bink trasse un profondo respiro, si fece coraggio, e aprì la porta di crosta. Gli arrivò una zaffata dolciastra di odore di formaggio stagionato, e contemporaneamente uno strillo rauco gli giunse agli orecchi. «Sei tu, Bink? Era ora! Dove sei andato a nasconderti, con tutto quello che c'è da fare? Non hai nessun riguardo!». «Avevo bisogno d'un paio di scarpe», disse lui, bruscamente. «Un paio di scarpe!» esclamò lei, incredula. «Le hai, idiota!». Sua moglie era molto più intelligente di lui, al momento, perché l'intelligenza di Chameleon variava secondo i giorni del mese come il suo aspetto. Quando era bellissima, era stupida... estremamente stupida. Quando era sveglia, era brutta. Molto sveglia e molto brutta. In quel momento era al culmine dell'ultima fase. Era anche per quella ragione che se ne stava virtualmente chiusa nella sua stanza. «Avevo bisogno di un bel paio di scarpe per questa sera», disse lui, cercando di non perdere la pazienza. Ma già mentre pronunciava quelle parole si rese conto che era stato un errore: ogni allusione alla bellezza l'avrebbe fatta scattare. «Vai al diavolo, somaro!». Bink avrebbe desiderato che lei non insistesse tanto sulla sua intelligenza inferiore. Di solito, era abbastanza furba per non farlo. Bink sapeva di non essere un genio, ma non era neppure un subnormale; era lei, ad essere l'uno e l'altro. «Devo andare al Ballo dell'Anniversario», spiegò, anche se naturalmente lei lo sapeva già. «Sarebbe un insulto alla Regina presentarmi malvestito». «Scemo!» gridò lei dal suo nascondiglio. «Ci andrai in costume! Nessuno vedrà le tue luride scarpe!». Già, era vero. Aveva fatto quella camminata per niente. «Ma è tipico del tuo egoismo», continuò lei, con virtuosa indignazione. «Te ne vai a spassartela mentre io sto qui in casa, sola, a soffrire, e a mordere i muri». Anche questo era verissimo; il formaggio era vecchio e
duro, ma lei lo rosicchiava quando era arrabbiata, e adesso era arrabbiata quasi ininterrottamente. Comunque, Bink si sforzò d'essere obiettivo. Era sposato da un anno appena, e amava Chameleon. Fin dall'inizio aveva saputo che ci sarebbero stati momenti belli e momenti brutti, e quello era un momento brutto. Molto brutto. «Perché non vieni al ballo anche tu, cara?». Lei esplose. «Io? Quando sono così? Risparmiami i tuoi sarcasmi da deficiente!». «Ma come hai ricordato tu stessa, è una festa in costume. La Regina traveste tutti i presenti nel modo che preferisce. Nessuno vedrà che...». «Cretino rimbecillito!» gridò lei attraverso la parete, e Bink sentì uno schianto. Adesso lei stava tirando gli oggetti, in preda a un'autentica crisi di furore. «Come posso andare a una festa in qualunque modo... quando sono incinta di nove mesi?». Era quello, in verità, che la sconvolgeva. Non la normale fase intelligente-brutta, alla quale era abituata da tutta la vita, ma gli enormi disagi e le restrizioni della gravidanza. Bink l'aveva messa in quelle condizioni mentre lei era nella fase bellissima-stupida, e quando era ridiventata intelligente aveva scoperto che non aveva desiderato un impegno del genere, in quel momento. Temeva che il bambino fosse come lei... o come lui. Avrebbe voluto trovare un incantesimo capace di garantire che il bambino fosse veramente dotato, o almeno normale, e adesso tutto dipendeva dal caso. Aveva accettato di malagrazia la situazione, e non lo aveva perdonato. Più diventava intelligente, più la gravidanza avanzava, e più lei andava su tutte le furie. Bene, presto sarebbe passata, e sarebbe diventata anche più carina... giusto in tempo per il bambino. Sarebbe nato tra una settimana all'incirca. Forse il piccolo sarebbe stato normale, forse avrebbe avuto un forte talento, e le paure di Chameleon si sarebbero placate. E allora avrebbe smesso di prendersela con lui. Ma se il piccino fosse stato anormale... Ecco, era meglio non pensarci. «Scusami avevo dimenticato», borbottò Bink. «Dimenticato?» L'ironia di quel tono lo ferì come una spada magica. «Imbecille! Ti piacerebbe dimenticarlo, no? Perché non ci hai pensato l'anno scorso quando...». «Devo andare, Chameleon», mormorò lui, uscendo in fretta. «La Regina si agita quando la gente arriva in ritardo». Per la verità, sembrava che tutte le donne si agitassero a causa degli uomini e facessero scenate. Era una
delle caratteristiche che le distingueva dalle ninfe, le quali sembravano donne ma erano sempre docili ai capricci maschili. Bink pensava che doveva ritenersi fortunato perché sua moglie non aveva un talento pericoloso, come dar fuoco alla gente o causare temporali. «E perché la Regina doveva dare questa ridicola, inutile festa?» chiese Chameleon. «Proprio quando sa che io non posso andarci?». Ah, la logica femminile! Perché tentare di comprenderla? Tutta l'intelligenza della Terra di Xanth non sarebbe bastata. Bink chiuse la porta. Per la verità, la domanda di Chameleon era retorica. Tutti e due conoscevano la risposta. La Regina Iris approfittava di tutte le occasioni per mettere in mostra la sua altissima posizione, e quello era il primo anniversario del conseguimento di tale posizione. In teoria il ballo era in onore del Re, ma il Re Trent non se ne curava molto e probabilmente ne avrebbe fatto volentieri a meno. La festa era per la Regina... e, anche se non poteva costringere il Re a partecipare, guai al piccolo funzionario che quella sera non si fosse presentato! E Bink era appunto un piccolo funzionario. E perché? si chiese, mentre camminava pensieroso e depresso. Avrebbe dovuto essere un personaggio importante, il Ricercatore Reale di Xanth, che aveva il compito di sondare i misteri della magia e di riferire direttamente al Re. Ma con la gravidanza di Chameleon e la necessità di organizzarsi in casa, Bink non aveva fatto vere e proprie ricerche. La colpa era soltanto sua. Avrebbe dovuto considerare le conseguenze della gravidanza di sua moglie. Quella volta, la paternità era stata l'ultima cosa che gli era passata per la mente. Ma Chameleon, nella fase della bellezza, obnubilava la mente di un uomo ed eccitava i suoi... beh, meglio non pensarci. Ah, la nostalgia! Poter tornare al tempo in cui l'amore era fresco, spensierato, privo di complicazioni e di responsabilità! Chameleon bella era così simile a una ninfa... No, era una sensazione ingannevole. La sua vita, prima d'incontrare Chameleon, non era stata affatto semplice, e l'aveva incontrata tre volte prima di riconoscerla. Aveva temuto di non possedere alcun talento magico... Si sentì tremare... e di colpo il suo aspetto cambiò. Il costume della Regina era arrivato. Bink era lo stesso individuo, mentalmente e fisicamente, ma adesso aveva l'aspetto d'un centauro. L'illusione della Regina, per fargli giocare il gioco inventato da lei, nella sua infinità capacità di combinare dispettucci. Ogni invitato doveva indovinare l'identità di tutti gli altri che poteva, prima di arrivare alla sala da ballo del palazzo, e c'era un premio
per chi avesse effettuato il maggior numero di riconoscimenti esatti. Come se non bastasse, la Regina aveva creato un labirinto di siepi intorno a Castel Roogna. Anche se Bink non avesse giocato a riconoscere gli altri invitati, sarebbe stato costretto a percorrere quel gigantesco rompicapo. Accidenti alla Regina! Ma doveva rassegnarsi, come tutti. Il Re, saggiamente, non si intrometteva nelle faccende domestiche, e dava parecchia corda alla consorte. Sospirando, Bink entrò nel labirinto e cominciò pazientemente ad avvicinarsi nell'intrico di falsi sentieri per raggiungere il castello. Quasi tutte le siepi erano illusorie, ma quelle vere erano abbastanza numerose perché fosse più saggio prendere sul serio quei meandri, anziché tentare di passarvi in mezzo. Era meglio che la Regina si divertisse, soprattutto nell'occasione importante del primo anniversario dell'incoronazione del Re. Quando non era contenta, diventava anche peggio di Chameleon. Bink girò a un angolo... e per poco non si scontrò con uno zombi. La faccia verminosa grondava terriccio e muco; e le grandi orbite quadrate sembravano finestre di putredine. Il lezzo era spaventoso. Morbosamente affascinato, Bink lo guardò negli occhi. Gli parve che in fondo vi fosse una luce fioca, come il chiaro di luna su una pianura infestata, o la fosforescenza dei funghi sul cervello putrefatto del cadavere. Gli sembra di guardare, attraverso due gallerie gemelle, la sorgente stessa di quella vitalità macabra, o forse la radice di tutta la magia di Xanth. Eppure era un incubo, perché lo zombie era uno dei morti viventi, un orrore che doveva venire sepolto in fretta e dimenticato. Perché quello era uscito dalla sua tomba senza pace? Gli zombi, normalmente, si svegliavano solo per difendere Castel Roogna, ed erano rimasti passivi da quando era asceso al trono il Re Trent. Lo zombi si avvicinò a Bink e aprì la bocca fossilizzata. «Vooomm», disse, sforzandosi di formare una parola con il gas fetido che era il suo alito. Bink indietreggiò, nauseato. Temeva poche cose, nella Terra di Xanth, perché il suo coraggio fisico e il suo talento magico facevano di lui uno degli individui più formidabili del regno. Ma il disagio e il disgusto ispirati dalla vicinanza dello zombi lo snervavano. Girò su se stesso e si avviò correndo per un viale laterale, lasciandosi il mostro alle spalle. Con le articolazioni putrefatte, non avrebbe potuto eguagliare la sua velocità, e infatti non tentò neppure. All'improvviso una spada luminosa si levò davanti a lui. Bink si fermò,
sconcertato da quella seconda apparizione. Non vide nessuno: soltanto l'arma. Che scopo aveva quell'illusione? Oh... doveva essere un altro trucco spiritoso della Regina. A lei piaceva rendere emozionanti le sue feste. Bink non doveva far altro che passare attraverso la spada, chiamando il bluff di quell'interferenza. Tuttavia esitava. La lama gli sembrava terribilmente reale. Bink ricordò la sua esperienza con Jama, in gioventù. Il talento di Jama era la manifestazione di spade volanti, solide, affilate e pericolose durante i pochi secondi della loro esistenza; e tendeva a manifestare il suo talento in modo arrogante. Jama non era amico di Bink, e se era da quelle parti... Bink sguainò la sua spada. «In guardia!» esclamò, e colpì l'altra lama, quasi aspettandosi di non incontrare resistenza. La Regina sarebbe stata soddisfatta perché il trucco era riuscito, e in questo modo lui non correva rischi... L'altra spada era solida. L'acciaio urtò rumorosamente contro l'acciaio. Poi l'altra lama si torse per disimpegnarsi e affondò rapida verso il suo petto. Bink parò e si scostò. Non era una lama temporanea, volante e priva d'intelligenza. Una mano invisibile la guidava, e questo voleva dire che c'era un uomo invisibile. La spada colpì ancora, e Bink parò di nuovo. La lama cercava veramente di colpirlo! «Chi sei?» chiese Bink, ma non ebbe risposta. In quell'ultimo anno Bink s'era esercitato a tirare di scherma, e il suo maestro diceva che era un buon allievo. Aveva coraggio, prontezza, forza fisica. Sapeva di non essere ancora esperto, ma non era più un dilettante. Apprezzava quella sfida, anche contro un avversario invisibile. Ma un vero duello... era tutto un'altra cosa. Perché veniva aggredito, e in quella fausta occasione? Chi era quel nemico silenzioso e segreto? Era una fortuna che l'incantesimo dell'invisibilità non influisse anche sulla spada, perché in tal caso sarebbe stato tremendo. Ma ogni magia, in Xanth, era singola: una spada non poteva avere la dote magica che la rendeva dura e affilata e avere anche quella dell'invisibilità. Beh, era possibile, perché tutto era possibile in magia; ma era estremamente improbabile. Comunque, a Bink bastava vedere l'arma. «Ah!» esclamò. «Desisti, o dovrò reagire!». La spada nemica gli sferrò un altro fendente feroce. Bink aveva già capito di non aver di fronte un esperto; lo stile dello schermitore era più ardimentoso che abile. Bink bloccò l'arma, poi rispose con un affondo poco
convinto in direzione dello stomaco invisibile ma esposto dell'avversario. Lo stomaco poteva essere soltanto in quel punto, visibile o no, perché nella scherma era indispensabile un certo equilibrio, una certa posizione. Il colpo di Bink non era abbastanza forte per ferire gravemente, ma... La sua lama passò attraverso il torace invisibile senza incontrare resistenza. Non c'era assolutamente nulla. Sbalordito, Bink perse la concentrazione e l'equilibrio. La spada nemica puntò verso la sua faccia. Lo schivò appena in tempo. Il suo maestro, Crombie il soldato, gli aveva insegnato quella manovra; ma stavolta scampò almeno in parte per pura fortuna. Senza il suo talento, sarebbe stato spacciato. Bink non ci teneva a dipendere troppo dal suo talento. Per questo stava imparando la scherma: per difendersi a modo suo, apertamente, con orgoglio, senza subire le risatine di coloro i quali presumevano, piuttosto naturalmente, che fosse stato il caso di aiutarlo. La sua magia poteva bloccare o attutire un attacco facendo scivolare l'avversario su una buccia di un frutto: non teneva affatto conto del suo orgoglio. Ma quando lui vinceva lealmente con la spada, nessuno rideva. Nessuno rideva, adesso, ma a lui non piaceva comunque essere attaccato da un... da che cosa? Doveva essere una delle armi magiche dell'arsenale privato del Re, ed era guidata consapevolmente. Ma non poteva essere opera del Re; il Re Trent non faceva mai scherzi, e non permetteva a nessuno di mettere le mani sulle sue armi. Qualcuno aveva attivato la spada e l'aveva mandata in giro a combinare guai; e quella persona presto avrebbe dovuto affrontare la temibile collera del Re. Per il momento, quel pensiero non era di grande consolazione per Bink, comunque. Non voleva aver l'aria di nascondersi dietro la protezione sovrana. Voleva combattere la sua battaglia e vincere. Ma avrebbe avuto qualche problema, a sconfiggere una persona che non c'era. Mentre rifletteva, Bink scartò l'idea che l'arma fosse manovrata a distanza da qualcuno. Magicamente era possibile, ma a quanto ne sapeva non aveva nemici; nessuno poteva aver voglia di attaccarlo con mezzi magici o naturali, e nessuno avrebbe osato farlo con una delle spade del Re, nel giardino di Castel Roogna. Bink continuò a battersi con la spada nemica, mettendola in una posizione vulnerabile, e sferrò un fendente attraverso il braccio invisibile. Naturalmente, non c'era nessun braccio. Non c'erano dubbi; la spada si muoveva da sola. Non si era mai battuto con una di quelle armi, perché il Re non
si fidava delle capacità di giudizio delle spade, e quindi era un'esperienza nuovissima. Ma naturalmente, in se stessa la cosa non era strana: perché non duellare con una lama incantata? Eppure, perché quella spada doveva cercare di ucciderlo, presumendo che agisse di propria iniziativa? Bink provava soltanto rispetto per le armi bianche. Si prendeva cura della sua spada, si accertava che l'incantesimo dell'affilatura fosse sempre in ordine, e quindi le spade di ogni tipo e fede non avrebbero avuto motivo di rancore verso di lui. Forse, inavvertitamente, aveva offeso quella particolare arma. «Spada, se ti ho causato fastidi o se ti ho fatto torti, ti chiedo perdono e mi offro di fare ammenda», disse. «Non voglio battermi con te senza ragione». Ferocemente, la spada cercò di colpirlo alle gambe. Non intendeva dargli quartiere! «Dimmi almeno perché sei offesa!» esclamò Bink, scostandosi appena in tempo. La spada, implacabile, continuò l'attacco. «Allora devo metterti fuori uso», disse Bink, tra l'ira e il rammarico. Ecco una vera sfida! Per la prima volta assunse una posa pienamente offensiva, battendosi con abilità. Sapeva d'essere uno schermitore più abile della sua avversaria. Ma non poteva abbattere chi impugnava l'arma, poiché non esisteva. Non c'era un corpo da trapassare, una mano da ferire. La spada non dava segni di stanchezza; era alimentata dalla magia. E allora, come avrebbe potuto sconfiggerla? Era una sfida più impegnativa di quanto avesse immaginato. Bink non era preoccupato, perché non gli sembrava il caso di preoccuparsi d'una abilità inferiore alla sua. Eppure l'avversaria era invulnerabile... Comunque, il suo talento non avrebbe permesso che la spada gli facesse del male. Una lama impugnata da un uomo in modo normale poteva ferirlo, perché era mundana anch'essa; ma quando c'era di mezzo la magia, lui era al sicuro. In tutto Xanth non c'era quasi nulla che fosse completamente privo di magia, e quindi lui era ben protetto. Il problema era: avrebbe vinto onestamente, grazie alla sua abilità e al suo coraggio, oppure per una coincidenza apparentemente fantastica? Se lui non ci fosse riuscito nel primo modo, ci sarebbe riuscito il suo talento, nel secondo. Portò di nuovo l'avversaria in una posizione vulnerabile, e poi la colpì sul piatto della lama, sperando di spezzarla. Fu inutile; il metallo era troppo forte. Non si aspettava che quella mossa fosse veramente efficace; la
forza era uno degli incantesimi principali delle spade moderne. E adesso? Sentì lo scalpitio di qualcuno che si avvicinava. Doveva concludere in fretta, o si sarebbe trovato nell'imbarazzante situazione di venire salvato. Il suo talento non si curava del suo orgoglio, ma solo della sua sicurezza. Bink si trovò con le spalle contro un albero... un albero vero. Il labirinto di siepi era stato sovrapposto alla vegetazione esistente, e tutto entrava a far parte dell'enigma. Quello era un albero della colla: qualunque cosa penetrasse la corteccia, ci restava magicamente attaccato. Poi l'albero si avvolgeva lentamente intorno all'oggetto e l'assorbiva. Non succedeva nulla di male, finché la corteccia era intatta; i bambini potevano tranquillamente arrampicarsi sul tronco e giocare fra i rami. I picchi giravano alla larga da quegli alberi. Quindi Bink poteva appoggiarsi, ma doveva stare attento a non... La spada nemica cercò di colpirlo alla faccia. Più tardi, Bink non seppe mai con certezza se l'ispirazione era venuta prima o dopo la sua azione. Probabilmente dopo, il che significava che il suo talento era di nuovo all'opera, nonostante i suoi sforzi per evitarlo. Comunque stavolta, anziché parare, schivò. La spada gli passò sopra la testa e si piantò nell'albero, affondando nella corteccia. Immediatamente la magia dell'albero si attivò, e la lama restò bloccata. Si dibatté e lottò, ma non riuscì a fuggire. Niente poteva battere la magia specifica di una pianta come quella! Bink aveva vinto. «Addio, Spada», disse, rinfoderando la propria lama. «Mi dispiace che non abbiamo potuto intrattenerci più a lungo». Ma dietro quella sicumera c'era una certa inquietudine: chi o che cosa aveva incitato la spada magica a ucciderlo? Dopotutto, doveva avere un nemico da qualche parte, e l'idea non gli piaceva. Non era tanto la paura di un attacco, quanto una sensazione viscerale di disagio al pensiero di essere detestato da qualcuno fino a tal punto, quando si sforzava di andare d'accordo con tutti. Girò un altro angolo... e andò a sbattere contro un cactus lancia-aghi. Non era vero, altrimenti si sarebbe trasformato in un puntaspilli umano: era un'illusione. Il cactus allungò un ramo spinoso e afferrò Bink per il collo. «Screanzato!» sbuffò. «Vuoi che ti abbellisca nel fango quella brutta faccia?». Bink riconobbe la voce e la stretta poderosa. «Chester!» ansimò. «Il centauro Chester!». «Per tutte le mosche cavalline!» imprecò Chester. «Mi hai indotto a rivelarmi con un trucco!». Allentò leggermente la stretta terribile. «Ma adesso
farai meglio a dirmi chi sei tu, altrimenti potrei stringerti così». Strinse, e Bink ebbe la sensazione che la testa gli schizzasse via. Dov'era finito il suo talento? «Fink! Fink!» squittì, cercando di pronunciare il suo nome attraverso le labbra che non riusciva a chiudere. «Hink!». «Inchiostro? Sarei nero come l'inchiostro, io?», disse Chester, irritato. E strinse più forte. «Non soltanto sei brutto come l'inferno, sei anche insolente!». Poi esclamò: «Ehi.... ma hai la mia faccia!». Bink aveva dimenticato d'essere in costume. La sorpresa aveva indotto il centauro ad allentare momentaneamente la stretta, e Bink approfittò dell'occasione. «Sono Bink! Il tuo amico! Travestito da un'illusione!». Chester rifletté. I centauri non erano stupidi, ma quello tendeva a pensare più con i muscoli che con il cervello. «Se stai cercando d'imbrogliarmi...». «Ricordi Herman l'Eremita? Come l'incontrammo nella foresta, e come salvò Xanth con la magia dello sciame dei fuochi fatui? Il migliore di tutti i centauri!». Finalmente Chester si decise a posarlo. «Lo zio Herman», disse sorridendo. L'effetto fu orrendo, sulla faccia da cactus. «E va bene. Ma cosa ci fai nel mio aspetto?». «La stessa cosa che fai tu in forma di cactus» disse Bink, massaggiandosi la gola. «Sono venuto al ballo in maschera». Sembrava che il collo non fosse rotto, quindi il suo talento aveva lasciato correre. «Oh, sì,», esclamò Chester, flettendo in modo eloquente le spine. «Uno scherzo della buona Regina Iris, l'incantatrice carogna. Hai ancora trovato la strada per entrare nel palazzo?». «No. Anzi, mi sono imbattuto in una...» Ma Bink non voleva parlare della spada. «In uno zombi». «Uno zombi!» Chester rise. «Lo compiango, poveraccio, con quel costume!». Un costume! Certo! Lo zombi non era vero; era solo uno dei tanti costumi-illusione della Regina. Bink aveva reagito con la stessa miopia di Chester, fuggendo prima di scoprirne l'identità. E così aveva incontrato la spada, che sicuramente non era né un costume né un'illusione. «Ecco, non mi sembra un gioco molto divertente», disse. «Non sembra neppure a me», riconobbe Chester. «Ma il premio... vale un anno della mia vita». «Per definizione», ammise Bink. «Una Risposta gratuita dal Buon Mago
Humfrey. Ma tutti concorrono: vincerà qualcun altro». «No, se ci mettiamo al galoppo», disse Chester. «Andiamo a smascherare lo zombi prima che scappi!» «Sì», disse Bink, imbarazzato dalla propria reazione precedente. Passarono davanti alla spada, ancora piantata nell'albero. «Chi trova tiene!» esclamò allegramente Chester, e tese la mano per prenderla. «Quello è un albero della colla; non la mollerà». Ma il centauro aveva già afferrato la spada e stava tirando. Era così forte che provocò una pioggia di corteccia. Ma la spada non si staccò. «Uhm», disse Chester. «Senti, albero... al Villaggio dei Centauri abbiamo un albero della colla. Durante la siccità l'ho innaffiato ogni giorno, e perciò è sopravvissuto. Ora ti chiedo in cambio soltanto questa spada che a te non serve». La spada si staccò. Chester la ripose nella faretra, fissandola con una corda. O almeno così intuì Bink, osservando le contorsioni del cactus. Aveva portato la mano all'impugnatura della sua arma, temendo il ripetersi delle ostilità, ma la spada magica stava buona. Ciò che l'aveva animata, qualunque cosa fosse, se ne era andato. Chester si accorse dell'occhiata di Bink. «Bisogna capire gli alberi», disse proseguendo. «E' vero, naturalmente: un centauro non mente mai. Innaffiavo davvero quell'albero. Era più comodo che andare alla latrina». Dunque l'albero della colla aveva ceduto la sua preda. Bene, perché no? In genere, i centauri erano veramente gentili con gli alberi, anche se Chester non aveva un grande amore per i cactus lancia-aghi. E senza dubbio era per quella ragione che la Regina Iris gli aveva imposto quel costume. Arrivarono nel punto dove Bink aveva incontrato lo zombi, ma non c'era più. Era rimasto soltanto un pezzetto di terra viscida, sul sentiero. Chester lo spostò con uno zoccolo anteriore. «Terra vera... da un falso zombi?» chiese, perplesso. «Le illusioni della Regina si stanno perfezionando». Bink annuì. Era un dettaglio inquietante. Evidentemente la Regina aveva esteso parecchio l'illusione... ma che bisogno aveva di farlo? La sua magia era fortissima, ben superiore ai talenti della gente comune, perché era una dei tre cittadini di Xanth appartenenti alla categoria dei Maghi. Ma doveva essere impegnativo, persino per il suo potere, mantenere tutti i particolari dei costumi di tutti gli invitati alla festa. I costumi di Bink e Chester erano soltanto visivi, altrimenti avrebbero avuto difficoltà a conversare. «Ecco un mucchio di terra fresca», osservò Chester. «Terra vera, non di zombi». Lo colpì con un piede di cactus che lasciò comunque l'impronta
d'uno zoccolo. «È possibile che sia tornato a seppellirsi qui?» Incuriosito, Bink spostò il terriccio con il piede. All'interno del mucchio non c'era niente. «Bene, l'abbiamo perso», disse Bink, inspiegabilmente sconvolto. Lo zombi gli era sembrato così vero! «Troviamo la strada per entrare nel palazzo, invece di star qui a far la figura dei fessi». Chester annuì, agitando ridicolmente la testa spinosa. «Tanto, non riuscivo molto bene a identificare la gente», ammise. «E l'unica domanda che avrei potuto fare al Buon Mago non ha risposta». «Non ha risposta?» chiese Bink mentre svoltavano in un altro vialetto. «Da quando Cherie ha avuto il puledrino - e bada bene, è un centauretto magnifico, con una coda foltissima - lei non ha più molto tempo per me. È come se fossi un quinto zoccolo nella scuderia. Quindi, che cosa posso...?» «Anche tu!» esclamò Bink, riconoscendo la causa del suo malumore. «Chameleon non lo ha ancora avuto, ma...» E alzò le spalle. «Non preoccuparti, non avrà un puledrino». Bink represse una risata, anche se la battuta non era molto divertente. «Ah, le giumente... non puoi stare con loro e non puoi stare senza di loro»,' disse avvilito Chester. All'improvviso, un'arpia girò l'angolo. Ci fu un gran daffare per evitare uno scontro. «Sei cieca nel becco?» chiese Chester. «Togliti di mezzo, cervello di gallina». «E tu hai la testa di rapa?» Ribatté l'arpia in toni flautati. «Togliti tu dalla mia strada, prima che ti prenda, ti faccia su in un fagotto e ti cucia con quei tuoi aghi spuntati». «Aghi spuntati!» Chester, che era piuttosto bellicoso anche quando era dell'umore più mite, si gonfiò a quell'affronto. Se fosse stato un vero cactus avrebbe lanciato immediatamente una raffica di aghi... che non sembravano affatto spuntati. «Vuoi che ti cacci quelle penne luride dentro il gargarozzo?» Questa volta fu l'arpia a gonfiarsi per l'indignazione. Quasi tutti gli esemplari della sua specie erano femmine, ma quello era maschio: un altro scherzo della Regina. «Naturalmente», rispose. «Dopo che ti avrò spremuto tutta la linfa dalla polpa, facciaverde». «Ah, sì?» ribatté Chester, dimenticando che i centauri non erano tipi dalle dimensioni molto comuni. L'arpia e il cactus erano grossi più o meno egualmente. L'arpia doveva essere una creatura di dimensioni considerevoli, tutt'altro che abituata a farsi intimidire dagli sconosciuti. E quei toni strani, flautati...
«Manticora!» esclamò Bink. L'arpia s'interruppe. «Un punto per te, centauro. Mi sembra di riconoscere la tua voce ma...» Bink ricordò di colpo che al momento era travestito da centauro, quindi l'essere si rivolgeva a lui, non a Chester. «Sono Bink. Ci siamo conosciuti in occasione della mia visita al Buon Mago, quando...» «Oh, sì. Spaccasti lo specchio magico. Per fortuna Humfrey ne aveva un altro. Come ti sono andate le cose?» «Male. Mi sono sposato.» La manticora scoppiò in una risata musicale. «Non con questo cactus, mi auguro». «Stai a sentire, coso...» disse Chester minacciosamente. «Questo è il mio amico Chester il centauro», si affrettò a dire Bink. «È nipote di Herman l'Eremita, che salvò Xanth dai...» «Conoscevo Herman!» disse la manticora. «Era il più grande di tutti i centauri, anche prima di sacrificare generosamente la vita per il suo paese. L'unico, tra quelli che ho conosciuto, che non si vergognasse del suo talento magico. Una volta i suoi fuochi fatui mi fecero da guida per uscire dalla tana di un drago. Quando seppi che era morto, ero così triste che andai a pungere a morte un piccolo albero groviglio. Oh, lui era tanto superiore a quelle teste di zoccolo dei suoi simili che l'avevano esiliato...» Poi si interruppe. «Senza offesa, cactus, dato che sei suo nipote. Magari potrei prenderti a colpi di pungiglione, ma non voglio fare un affronto alla memoria di quel grande». Per conquistarsi le simpatie di Chester non c'era sistema migliore che elogiare la memoria dello zio eroe, e forse la manticora lo sapeva. «Non mi sono offeso!» dichiarò subito. «Tutto quello che hai detto è vero. I miei simili avevano esiliato Herman perché pensavano che la magia, in un centauro, fosse riprovevole. Quasi tutti la pensano ancora così. Persino la mia giumenta, che pure è il più simpatico pezzo di...» Scrollò la testa spinosa, e si trattenne. «Quelli sono davvero tante teste di zoccolo». «Ma i tempi cambiano», disse la manticora. «Un giorno tutti i centauri ostenteranno i loro talenti anziché disprezzarli». Fece un gesto con le ali da arpia. «Bene, adesso devo andare a identificare qualcun altro, anche se non ho bisogno del premio. È per la soddisfazione». La manticora se ne andò. Bink si meravigliò ancora una volta dell'umorismo della Regina, che aveva travestito da arpia un essere tanto formidabile... testa umana con triple mascelle, corpo di leone, ali di drago e mo-
struosa coda di scorpione. Era senza dubbio una delle creature più terribili della Terra di Xanth... trasformata nelle sembianze di una delle più disgustose. Eppure la manticora lo sopportava di buona grazia; si sentiva sicura nella certezza di possedere un'anima, e si curava ben poco delle apparenze. «Chissà se ho anch'io un talento magico?» mormorò Chester, in tono vagamente colpevole. La transizione dalla vergogna all'orgoglio era davvero difficile! «Se vincessi il premio, potresti scoprirlo», gli fece osservare Bink. Il cactus si rianimò. «È vero!» Evidentemente era quella, la domanda senza risposta che aveva in mente. Poi si avvilì di nuovo. «Ma Cherie non mi permetterebbe mai di avere un talento, neppure piccolo piccolo. Sai quanto è intransigente in queste cose». Bink ricordava l'atteggiamento della giumenta. Annuì. La centauressa Cherie era magnifica, e sapeva destreggiarsi benissimo con la magia di Xanth, ma non la tollerava negli altri centauri. A Bink ricordava l'atteggiamento di sua madre nei confronti del sesso tra i giovani umani. Per gli animali era naturale, ma quando c'era di mezzo qualcosa come una ninfa dell'avena selvatica... Bene, Chester aveva un grosso problema. Svoltarono a un altro angolo - gli angoli abbondavano, in quel labirinto infernale - e si trovarono di fronte alla porta del palazzo, che splendeva al di là del ponte levatoio gettato attraverso il fossato. «Andiamo, prima che il labirinto cambi!» esclamò Bink. Si misero a correre... e subito le siepi tremolarono e si confusero. La cosa più tremenda, in quel meandro, era l'instabilità; a intervalli irregolari assumeva configurazioni nuove, ed era impossibile risolverlo metodicamente. Sarebbero arrivati troppo tardi per uscirne. . «Non voglio fermarmi proprio adesso!» esclamò Chester. Il suono del galoppo del cactus divenne più forte. «Saltami in groppa!» Bink non discusse. Spiccò un balzo verso la parte più spinosa del cactus, fece una smorfia aspettandosi di sentire gli aculei che gli si piantavano nell'inguine. Atterrò di precisione sulla schiena di Chester, assolutamente equina. Fiu! In quel momento Chester accelerò. Bink aveva già cavalcato un centauro - quando Cherie gli aveva offerto gentilmente un passaggio - ma non una massa d'energia come Chester! Era robusto persino secondo la mentalità dei centauri, e adesso andava di fretta. I muscoli enormi guizzavano lungo il corpo e lo lanciavano avanti con tanto impeto che Bink temeva di venire disarcionato. Ma si aggrappò alla criniera e si augurò che il suo talento
continuasse a proteggerlo. Ben pochi abitanti di Xanth conoscevano il talento di Bink, e lui stesso l'aveva ignorato per i primi venticinque anni della sua vita. Il talento, infatti, si mimetizzava, evitava ogni pubblicità. Impediva che lui venisse danneggiato dalla magia... ma chiunque sapesse questo avrebbe potuto fargli del male con mezzi normali. Perciò il talento di Bink si mascherava da coincidenza. Soltanto il Re Trent, oltre allo stesso Bink, conosceva la verità. Probabilmente il Buon Mago Humfrey lo sospettava, e Chameleon doveva averne un'idea. Una siepe nuova si parò tra loro e la porta. Probabilmente era un'illusione, dato che avevano appena visto l'entrata. Chester si avventò per attraversarla... e fece volare tutto intorno una pioggia di rami. Non era affatto un'illusione... l'illusione doveva essere stata la porta, invece. La Regina era capace di far sparire le cose, creando l'illusione dello spazio vuoto; avrebbe dovuto ricordarlo prima. Che potenza aveva il centauro! Le fronde invisibili aggredivano Bink come venti tempestosi, ma lui si teneva aggrappato. Apparve un'altra barriera; Chester deviò per seguire un nuovo sentiero, e sfondò un'altra siepe. Quando si metteva in moto lui, tanto peggio per l'uomo, la bestia o la pianta che gli si parava davanti! All'improvviso uscirono dal labirinto e si trovarono al fossato. Ma la sterzata di Chester l'aveva portato venti passi oltre il ponte levatorio, e non c'era spazio per correggere la rotta. «Tieniti forte!» gridò Chester, e spiccò un salto. Questa volta lo slancio fu così poderoso che Bink strappò una doppia manciata di criniera dalla pelle del centauro e scivolò giù dai quarti posteriori. Roteò su se stesso e piombò nel fossato. Immediatamente i mostri del fossato presero a convergere verso di lui, con le fauci spalancate. Erano sempre vigili; altrimenti avrebbero rischiato il licenziamento. Un enorme serpente si avvicinò: ognuna delle zanne lucide era lunga quanto l'indice di Bink. Dall'altra parte un crocco color porpora spalancò la proboscide nodosa, mettendo in mostra denti ancora più lunghi. E direttamente sotto Bink, dal fango, salì un behemoth, con la schiena così larga che sembrava riempire l'intero fossato. Bink si dibatté disperatamente nell'acqua, cercando di raggiungere la riva a nuoto; sapeva che nessun uomo poteva sfuggire a uno di quei mostri, e tanto meno a tutti e tre. Il behemoth salì, sollevandolo per metà dalla superficie; il crocco si accostò spalancando le fauci; il serpente si avventò
dall'alto con la velocità di un fulmine. E... e il crocco e il serpente si scontrarono e i loro denti, urtandosi, sprizzarono scintille. I due mostri furono sbilanciati violentemente dalla massa del behemoth... e Bink slittò su quel pendio inclinato come su uno scivolo unto, lontano dai denti, e finì sano e salvo accanto al muro interno del fossato. Una coincidenza sorprendente... Ah. Era il suo talento che era entrato in azione ancora una volta per salvarlo dalle conseguenze della sua follia. Tentare di cavalcare un centauro galoppante che sembrava un cactus... avrebbe dovuto cercare la strada per uscire dal labirinto come facevano tutti gli altri. Per fortuna sua, il centauro e il fossato erano magici, e quindi il suo talento aveva potuto funzionare. Chester era atterrato indenne, ed era lì ad aiutarlo a uscire dall'acqua. Lo tirò su con una mano sola, senza sforzo. Ma gli tremava la voce. «Ho pensato... quando sei caduto in mezzo ai mostri... non avevo mai visto una cosa simile...». «Non avevano molta fame», disse Bink, che preferiva non dare troppa importanza al significato dei fatti. «Stavano giocherellando con il cibo e hanno esagerato. Entriamo. A quest'ora staranno già servendo i rinfreschi». «Ehi, sì!» esclamò Chester. Come tutti gli esseri più poderosi, aveva un appetito cronico. «Così potrò fare il pieno». «Il pieno di fieno», borbottò Bink. Ma non era una battuta azzeccata; i centauri non mangiavano il fieno, qualunque cosa dicessero i loro detrattori. Si avvicinarono al castello... e le illusioni svanirono. Lì l'incantesimo si esauriva. Erano tornati se stessi, uomo e centauro. «Sai, non mi ero accorto di avere una faccia così brutta fino a quando l'ho vista addosso a te», confessò pensieroso Chester. «Ma hai i quarti posteriori d'una bellezza straordinaria», gli fece notare Bink. «È vero, è vero», ammise il centauro, raddolcendosi. «Ho sempre detto che Cherie non è diventata la mia compagna per la mia bella faccia». Bink stava per scoppiare a ridere, ma si accorse che il suo amico diceva sul serio. Inoltre erano arrivati all'ingresso, e c'erano altri a portata d'orecchio. La guardia sulla porta del palazzo aggrottò la fronte. «Quanti ne hai indovinati, Bink?» chiese, stringendo il taccuino per annotare i nomi. «Uno solo, Crombie», disse Bink, indicando Chester. Poi ricordò la manticora. «O meglio due».
«Allora sei fuori gara», disse Crombie. «Il capolista ne ha riconosciuti dodici». Guardò Chester. «E tu?». «Non avrei saputo che farmene del premio», rispose il centauro in tono burbero. «Non vi siete impegnati per niente, voi due», disse Crombie. «Se ci fossi stato io, invece d'essere bloccato qui a fare le commissioni per la Regina...». «Pensavo che ti piacesse lavorare a palazzo», disse Bink. Aveva incontrato Crombie quando era un soldato alle dipendenze del precedente Re. «Oh, mi piace... ma preferisco l'avventura. Il Re è un gran brav'uomo, ma...» Crombie fece una smorfia. «Beh, conosci la Regina». «Tutte le giumente sono difficili», disse Chester. «È la loro indole. Non potrebbero essere diverse, neppure se volessero». «Hai proprio ragione», esclamò Crombie in tono convinto. Era un misogino arrabbiato. «E quelle che possiedono la magia più forte... chi altri poteva inventare un'idiozia come questa mascherata? Quella ci tiene a sfoggiare i suoi incantesimi». «Non ha nient'altro da sfoggiare», disse Chester. «Il Re non le bada neppure». «Il Re è un Mago in gamba!» riconobbe Crombie. «Quando lei non si diverte a combinare pasticci come questi, far la guardia a palazzo è una noia. Vorrei tanto partire per una missione da vero uomo, come quella volta che io e Bink...». Bink sorrise al ricordo. «Quella grandinata in technicolor fu qualcosa di grandioso, eh? C'eravamo accampati sotto l'albero-groviglio...». «E la ragazza scappò via», disse Crombie. «Quelli sì che erano bei tempi!». Con sua grande sorpresa, Bink scoprì che era d'accordo con Crombie. A quel tempo l'avventura non gli era sembrata divertente, ma ripensandoci adesso aveva un suo fascino. «Tu mi dicesti che quella ragazza era un pericolo per me». «E lo era sul serio», disse Crombie. «Ti ha sposato, no?». Bink rise, ma fu una risata un po' forzata. «Sarà meglio che entriamo prima che i rinfreschi finiscano». Si voltò, e per poco non inciampò in un altro mucchietto di terra. «Ci sono molte talpe intorno alla reggia?» chiese, un po' innervosito. Crombie fissò il terriccio. «Un momento fa non c'era. Forse una talpa magica è stata attirata dalla festa. Quando smonterò, avvertirò il capo cu-
stode». Bink e Chester entrarono. La sala da ballo del palazzo era stata decorata dalla Regina Iris, naturalmente. Era uno scenario sottomarino, con le alghe ondeggianti che salivano dal profondo, pesci multicolori che nuotavano, e cirripedi sulle pareti. Qua e là c'erano spiagge subacquee di finissima sabbia bianca che si spostavano magicamente: e così, se un invitato stava fermo, lo scenario gli andava incontro. Un enorme serpente marino si attorceva intorno alla sala, e le sue spire palpitanti coprivano a tratti le pareti. Chester si guardò intorno. «La Regina è una carogna e si dà un sacco di arie, ma devo ammettere che la sua magia è impressionante. Però mi preoccupa la quantità dei rinfreschi. Se non sono sufficienti...». Ma non c'era pericolo che scarseggiassero. C'era una montagna di rinfreschi, sorvegliati personalmente dalla Regina Iris che teneva a guinzaglio un salamoiatore. Quando qualcuno aveva l'impudenza di prendere una di quelle leccornie, il salamoiatore la trasformava in salamoia. «Non si mangia prima dell'assegnazione del gran premio», annunciò Iris, guardandosi intorno severamente. Dato che si era travestita da sirena guerriera, con tanto di corona appuntita, tridente e coda poderosa, e le punte del tridente luccicavano di una sostanza che probabilmente era illusoria ma che avrebbe anche potuto essere autentico veleno, era un deterrente abbastanza formidabile anche senza il salamoiatore. Bink e Chester si separarono, mescolandosi agli altri ospiti. C'erano tutti gli esseri importanti di Xanth, eccettuata la compagna di Chester, Cherie, che senza dubbio era ancora tutta presa dal puledrino, e Chameleon, tutta presa dalla sua infelicità. E il Buon Mago Humfrey, che non amava frequentare le feste. Bink scorse suo padre Roland, che era venuto dal Villaggio Nord. Roland ebbe cura di non metterlo in imbarazzo con vistose manifestazioni d'affetto. Si strinsero la mano. «Che belle scarpe, figliolo». Era comunque un commento felice, dopo la scenata con Chameleon. «Appena colte dall'albero», disse impacciato Bink. «Che cos'hai fatto in questi ultimi mesi?». Mentre Roland parlava, gli usciva di bocca un torrente di bollicine che salivano tremolando verso la superficie dell'Oceano. Quando la Regina Iris creava un'illusione, era un'illusione sul serio! I comuni cittadini, con i vari talenti magici, di fronte alle opere dell'Incantatrice non potevano far altro che ammirare e disperare. E naturalmente era per quello che la Regina aveva messo in piedi un simile spettacolo.
«Oh, mi sono allenato a tirare di scherma, ho coltivato l'orto, e altre cose del genere», disse Bink. «So che Chameleon deve avere il bambino da un momento all'altro». «Anche quello», disse Bink, assalito da una nuova ondata di frustrazione. «Un figlio serviva a riempire la casa». Purché fosse un figlio normale, dotato di un talento. Bink cambiò discorso. «Abbiamo una pianta di pantofoline che sta mettendo i boccioli; credo che presto darà il suo primo paio di pantofole». «È magnifico», disse Roland in tono serio, come se fosse una notizia importante. All'improvviso Bink si rese conto che aveva ben poco da dire, a proposito di quell'ultimo armo. Che cosa aveva realizzato? Virtualmente nulla. Non era strano che si sentisse così sfasato! La luce si affievolì. Fu come se scendesse il crepuscolo e oscurasse il mare. Ma la luce diffusa del giorno fu sostituita dalla fluorescenza notturna. Le vesciche galleggianti delle alghe splendevano come lampadine, e il corallo neon rifulgeva in vari colori. Persino le spugne rigonfie emettevano un blando chiarore. Gli animali erano più luminosi: le anguille elettriche irradiavano fasci degni di riflettori, e i vari pesci brillavano. L'effetto complessivo era sconcertante e bellissimo. «Se almeno il suo carattere fosse degno del suo buon gusto», mormorò Roland, riferendosi alla Regina. «Ora assegneremo il premio», annunciò la Regina Iris. Splendeva più di tutto: torrenti di luce si irradiavano dalle punte della corona e del tridente, e il bellissimo torso nudo di sirena era delineato nettamente. Era la Signora delle Illusioni: poteva rendersi magnifica quanto voleva, e sapeva scegliere. «So che è stato un matrimonio di convenienza», continuò Roland. Sebbene non fosse un Mago, Roland era il reggente per conto del Re a nord dell'Abisso, e non aveva molta reverenza per la sovranità. «Qualche volta deve essere davvero molto conveniente». Bink annuì, un po' imbarazzato dall'evidente apprezzamento che suo padre dimostrava per la bellezza sfolgorante anche se illusoria della Regina. Dopotutto, Roland si stava avvicinando alla cinquantina! Eppure doveva essere vero. Il Re non dimostrava amore per la Regina, e la teneva in pugno con una sottigliezza energica che sbalordiva quanti avevano conosciuto Iris prima del matrimonio. Ma nonostante la disciplina, lei sembrava contenta. Quelli che conoscevano bene il Re sapevano che non soltanto era
un Mago più potente di lei, ma aveva anche una personalità più forte. Anzi, sembrava che la magica Terra di Xanth avesse in lui il Re più efficiente dopo il regno di Roogna della Quarta Ondata, il costruttore del castelloreggia. Si stavano già compiendo cambiamenti formidabili; lo scudo magico che aveva protetto Xanth dagli intrusi era stato rimosso, e gli esseri di Mundania potevano attraversare il confine. I primi a varcarli erano stati i membri dell'ex esercito mundano del Re; erano stati sistemati in zone spopolate, ed erano diventati utili cittadini di Xanth. Era stato abolito, per i cittadini del luogo, l'obbligo di dare dimostrazione d'un talento magico... e con grande stupore di molti conservatori, questo non aveva portato al caos. Le persone, adesso, erano sempre più conosciute e rispettate per le loro qualità intrinseche, e non soltanto per le doti magiche accidentali. C'erano spedizioni che esploravano la vicina Mundania, dove non esisteva la magia, ed erano stati istituiti posti di guardia per evitare qualche invasione a sorpresa. Il Re non aveva distrutto la Pietra dello Scudo; se fosse stato necessario avrebbe rimesso in funzione lo schermo. Comunque, Bink era sicuro che il Re Trent aveva un occhio di riguardo per tutte le cose buone e utili, incluse le belle donne, e la Regina era a sua disposizione. Lei poteva diventare come il Re desiderava, e lui non sarebbe stato umano se non ne avesse approfittato, almeno qualche volta. Il problema era: che cosa voleva? A palazzo tutti se lo chiedevano, e l'opinione più diffusa era che il Re voleva la varietà. Raramente la regina appariva per due volte sotto lo stesso aspetto. «Guardia di Palazzo, il rapporto», chiese perentoriamente la Regina. Il soldato Crombie avanzò a passo solenne. Era splendido nell'uniforme della reggia, un magnifico soldato d'un regno che non aveva bisogno di soldati. Sapeva battersi coraggiosamente con la spada o a mani nude, e non gli piaceva fare da lacchè a una donna... e lo dimostrava. Per questo la Regina Iris si divertiva a dargli ordini. Ma non poteva esagerare, perché Crombie era devotissimo al Re, e il Re gli era affezionato. «La vittoria va a...» esordi la Regina, nascondendosi in una nube colorata. Un'altra illusione, naturalmente, ma molto efficace. «Prima devi annunciare il secondo arrivato, e poi il vincitore. Fanne una giusta, per cambiare!». La faccia indignata di Crombie emerse dalla nube che si disperdeva. «Le donne!» borbottò in tono caustico. La Regina sorrise divertita. «Il secondo arrivato, con nove identificazioni esatte, è...» Crombie fece un'altra smorfia. «Una donna, Bianca del Villaggio Nord».
«Mia madre!» esclamò sorpreso Bink. «Gli indovinelli le piacciono», commentò orgogliosamente Roland. «Credo che tu abbia ereditato da lei l'intelligenza, oltre all'aspetto». «E il coraggio e la forza li ho ereditati da te», rispose Bink, grato per il complimento. Bianca si avviò a passo dignitoso verso il palco. Era una bella donna che in gioventù era stata bellissima, e diversamente dalla Regina era autentica. Il suo talento era la ripetizione degli eventi passati, non l'illusione. «Dunque le donne fanno bella figura ancora una volta», disse la Regina, sorridendo maliziosamente al misogino Crombie. «Il premio è...» s'interruppe. «Custode, porta il secondo premio. Dovevi tenerlo pronto». La smorfia di Crombie divenne addirittura minacciosa. Ma andò a uno stipo seminascosto dalle alghe e tirò fuori un recipiente coperto. «Il premio», ripeté la Regina, togliendo il coperchio, «È un morsicatore in vaso!». Le signore presenti mormorarono d'ammirazione e d'invidia, mentre le teste fiorite della pianta si flettevano sugli steli, azzannando rabbiosamente l'aria. I morsicatori erano utilissimi per eliminare gli insetti e altre bestie nocive, ed erano ottimi guardiani per le case. Guai all'intruso che fosse capitato a tiro d'una di quelle piante! Ma non si adattavano a crescere nei vasi, e quindi era necessario un incantesimo speciale e molto difficile, per riuscirci. Quindi i morsicatori selvatici erano piuttosto comuni, ma quelli in vaso erano rari e molto pregiati. Bianca ricevette la pianta e girò il volto con un sorriso, mentre la piccola testa di drago cercava di addentarle il naso. L'incantesimo dell'addomesticamento aveva anche lo scopo di rendere la pianta innocua per il proprietario, ma ci voleva un po' perché il morsicatore si abituasse a riconoscerlo. «È bellissimo», disse. «Grazie, Regina Iris». Poi, diplomaticamente: «Anche tu sei bellissima... ma in modo diverso». La Regina sbatté i denti imitando scherzosamente il morsicatore, e sorrise con aria benigna. Ci teneva moltissimo alle lodi dei cittadini rispettabili e onorati come Bianca, perché Iris aveva vissuto praticamente in esilio per anni, prima di salire al trono. «Ora il vincitore assoluto, servitore», disse a Crombie. «E questa volta mettici un po' di garbo, se ne sei capace». «La vincitrice, con tredici identificazioni esatte», borbottò Crombie senza il minimo garbo, «è Millie lo spettro». E alzò le spalle per esprimere il disappunto di fonte a un secondo successo femminile. Aveva fatto i conti lui stesso, quindi sapeva che la gara non era truccata. Comunque, si sapeva
che gli uomini non s'erano impegnati troppo. Lo spettro si avvicinò fluttuando. A modo suo, era la più giovane e la più vecchia degli abitanti di Castel Roogna. Era morta non ancora ventenne, più di ottocento anni prima. Quando Bink l'aveva incontrata, era una massa informe di vapore, ma da quando il castello era abitato dai mortali si era ripresa, e adesso il suo aspetto era solido e aggraziato come quello d'una donna viva. Era uno spettro molto dolce, benvoluto da tutti, e la sua vittoria fu salutata da un grande applauso. «E il primo premio è...». La Regina allargò la braccia in un gesto teatrale. «Questo certificato per una Risposta gratuita del Buon Mago Humfrey!». Squillò una fanfara, sottolineata da applausi potenziati magicamente, mentre Iris porgeva il foglio allo spettro. Millie esitò. Poiché non aveva sostanza fisica, non poteva portare il certificato. «Non importa», disse la Regina. «Ci scriverò il tuo nome, e il Mago Humfrey capirà. Anzi, probabilmente in questo momento ci starà guardando nello specchio magico. Perché non fai subito la domanda?». La risposta di Millie fu impercettibile, perché la sua voce non era altro che un mormorio spettrale. «Non preoccuparti: sono sicura che tutti saranno lieti di aiutarti», disse la Regina. «Ecco... la scriveremo sulla lavagna magica, e il Mago Humfrey potrà rispondere nello stesso modo». Fece un cenno a Crombie. «Lacchè, la lavagna!». Crombie esitò, ma la curiosità lo spinse a obbedire. Portò la lavagna. La Regina incaricò il centauro più vicino, che era Chester, e che aveva tentato invano di arraffare qualche biscotto dal buffet dei rinfreschi senza vederlo trasformato in salamoia, perché trascrivesse le parole dello spettro. I centauri erano istruiti e molti facevano i maestri, quindi scrivere toccava quasi sempre a loro. Chester non era entusiasta del comportamento della Regina più di quanto lo fosse Crombie, ma stette al gioco. Quale domanda poteva rivolgere uno spettro al Mago? Scrisse in maiuscole svolazzanti: COME PUÒ RIVIVERE MILLIE? Vi furono altri applausi. Agli invitati quella Domanda piaceva. Era una vera sfida... e la Risposta, data pubblicamente, poteva fornire indicazioni utili per tutti. Di solito una Risposta del Mago Humfrey costava al richiedente un anno di servizio, e veniva data soltanto a chi la faceva. La festa stava diventando molto interessante!
Le parole sparirono, come cancellate da una spugna invisibile. Poi apparve la Risposta del Mago: I REQUISITI SONO TRE: 1 ° - DEVI AVERE LA VOLONTÀ SINCERA DI DIVENTARE MORTALE. Era evidente che Millie l'aveva. Rivolse alla lavagna un gesto implorante perché continuasse, per scoprire se gli altri requisiti erano altrettanto facili... o impossibili. Tecnicamente, come diceva il proverbio, con la magia niente era impossibile; ma in pratica certi incantesimi erano d'una difficoltà proibitiva. Bink sperava per Millie: una volta anche lui aveva agognato disperatamente un talento magico, dal quale dipendevano allora la cittadinanza, il benessere e il suo amor proprio. Per una persona che era morta prematuramente ma non aveva cessato di esistere, la mortalità doveva essere una speranza immane! Certo, se Millie avesse ripreso a vivere, a suo tempo sarebbe morta di nuovo. Ma in realtà avrebbe completato la vita che aveva incominciato tanti secoli prima. Come spettro si trovava in un vuoto, incapace di influire materialmente sul suo destino, incapace di provare amore, paura e sentimenti. Ecco, no, si corresse Bink. Era evidente che i sentimenti li provava... ma non come le persone fisiche. Non poteva conoscere il piacere e il dolore corporeo. 2°, continuò la lavagna, DEVI TROVARE UN GUARITORE D'INCANTESIMI CHE RIPORTI IL TUO TALENTO ALLA POTENZA OTTIMALE. «C'è un Guaritore d'Incantesimi, tra i presenti?» chiese la Regina, e si guardò intorno, facendo scintillare le punte della corona. «No? Bene, fattorino... indica il più vicino». Crombie fece per ringhiare, ma ancora una volta si lasciò vincere dalla curiosità. Chiuse gli occhi, girò su se stesso, e tese il braccio destro, puntando verso nord-est. «Deve essere il Villaggio dell'Abisso», disse la Regina. Sull'Abisso, che separava Xanth in due parti, gravava un incantesimo che impediva di ricordarlo, ma al Castello era stato applicato un controincantesimo che permetteva agli abitanti e ai visitatori di ricordarlo. Il Re avrebbe faticato a governare, se non fosse stato in grado di rammentare un elemento geografico importante come l'Abisso. «Dov'è il nostro trasportatore?». «Eccomi, Altezza», disse un uomo. Guardò nella direzione indicata da Crombie... e all'improvviso una vecchia apparve davanti a loro. Si guardò intorno, sbalordita da tutta quella gente e dall'acqua, perché l'illusione sottomarina perdurava ancora.
«Sei una Guaritrice d'Incantesimi?» chiese la Regina. «Sì», rispose la vecchia. «Ma non lavoro per gli stupidi sprofondati nell'oceano. Soprattutto quando vengo strappata al mio bucato senza il minimo...». «Questo è il Ballo per l'anniversario dell'incoronazione del Re Trent», disse altezzosamente la Regina. «Adesso puoi scegliere, vecchia: o ci fai un incantesimo, e partecipi alla festa con noi, in un costume così...». La vecchia apparve improvvisamente abbigliata da dama d'onore., grazie alla magia illusoria della Regina. «Oppure non fai l'incantesimo, e questo animale ti trasformerà in salamoia». Prese in braccio il salamoiatore, che sibilò impaziente. La vecchia, come Crombie e Chester, non sembrava per niente entusiasta, ma fece la scelta più ragionevole. «Che incantesimo?». «L'incantesimo di Millie», disse la Regina, indicando lo spettro. La Guaritrice d'Incantesimi studiò Millie; poi sghignazzò. «Fatto», disse, mostrando i quattro denti in un gran sorriso. «Chissà cosa c'è di tanto divertente?» mormorò Roland. «Tu sai qual è il talento di Millie?». «Gli spettri non hanno talenti», disse Bink. «Il suo talento in vita. Doveva essere speciale». «Sì. Credo che lo scopriremo, se riuscirà a soddisfare anche la terza condizione». 3°, continuò la lavagna. IMMERGI IL TUO SCHELETRO NELL'ELISIR RISANATORE. «Ne abbiamo in abbondanza», disse la Regina. «Sguattero...». Il soldato si era già mosso. Dopo un momento tornò portando un secchio d'elisir. «Dunque... dov'è il tuo scheletro?» chiese la Regina. Ma a questo punto Millie esitò. Sembrava che si sforzasse di parlare, senza riuscirci. «Un Incantesimo del Silenzio!» esclamò la Regina. «Non ti è permesso dire dov'è! Ecco perché è rimasto nascosto per tanti secoli!». Millie annuì tristemente. «Meglio così!» disse la Regina Iris. «Organizziamo una caccia al tesoro! In quale armadio è lo scheletro di Millie? Un premio speciale per chi lo troverà!». Rifletté un attimo. «Sono rimasta senza premi regolari... Ecco, ci sono! Il primo appuntamento con Millie quando sarà tornata mortale!». «Ma se lo trovasse una donna?» chiese qualcuno.
«Chiederò al Re mio marito di trasformarla in uomo per l'occasione», rispose la Regina. Vi fu una risata impacciata. Stava scherzando... o no? A quanto ne sapeva Bink, il Re poteva trasformare qualunque essere vivente in qualunque altro essere vivente... dello stesso sesso. Ma non si serviva mai del suo talento per capriccio. Quindi la Regina aveva scherzato. «Ma quando si mangia?» chiese Chester. «Ecco!» decise la Regina Iris. «Le donne hanno già dimostrato la loro superiorità, quindi saranno escluse dalla caccia al tesoro. Cominceranno con i rinfreschi, mentre gli uomini andranno in cerca di...». Ma poi vide che Chester gonfiava il petto, e capì di essersi spinta troppo in là. «Oh, va bene, anche gli uomini possono mangiare... anche quelli che hanno un appetito da cavallo. Ma non toccate la torta dell'Anniversario. La taglierà il Re... quando la caccia al tesoro sarà finita». Assunse un'aria pensosa, e per lei era una cosa insolita: era sicura che il Re l'avrebbe accontentata? La torta era magnifica: strati e strati di glassa scintillante, sovrastati da un enorme numero 1 e da un busto del Re Trent straordinariamente fedele. La Regina esaltava sempre la gloria del Re, perché si rifletteva su di lei. Qualche povero cuoco era sicuramente ammattito per organizzare la magia necessaria per quel capolavoro di pasticceria! «Salamoiatore, fai la guardia alla torta, e trasforma in salamoia chiunque osa toccarla», disse la Regina, legando il guinzaglio alla gamba del tavolo. «E adesso, uomini... avanti con la caccia al tesoro!». Roland scrollò la testa. «Sarebbe meglio lasciare indisturbati gli scheletri negli armadi», commentò. «Credo che andò a complimentarmi con tua madre». Lanciò un'occhiata a Bink. «Dovrai rappresentare tu la nostra famiglia nella caccia al tesoro. Non sei obbligato a cercare con troppo impegno». Fece un piccolo gesto di commiato e si allontanò tra le fulgide correnti marine. Bink restò immobile per un momento, riflettendo. Era evidente che suo padre aveva capito che qualcosa non andava, ma non faceva commenti diretti. E che cosa non andava? Bink sapeva che adesso faceva una bella vita, con una moglie a posto, anche se variabile, e il favore del Re. Perché sognava avventure in luoghi lontani, perché sognava di usare la spada di cui stava imparando l'arte, di affrontare i pericoli e magari la morte, sebbene sapesse che il suo talento lo avrebbe protetto da ogni autentica minaccia? Che cos'aveva? Sembrava quasi che fosse stato più felice quando il suo fu-
turo era in dubbio... e questo era ridicolo. Perché Chameleon non era lì? Era ormai vicina al parto, ma avrebbe potuto assistere al ballo, se avesse voluto. C'era una levatrice magica in servizio a palazzo. Poi si decise. Via con la caccia al tesoro! Forse sarebbe riuscito a trovare lo scheletro nell'armadio. CAPITOLO SECONDO LA CACCIA AL TESORO Adesso era alle prese con una sfida, per quanto superficiale. Doveva incominciare facendo lavorare il cervello. Non era detto che Millie fosse per forza di cose in un armadio. Le sue ossa dovevano essere in qualche posto, entro i confini della reggia, perché lì era il suo fantasma... ma poteva essere dovunque, all'interno del fossato o del giardino. Lontano dalle parti battute regolarmente. A meno che le ossa fossero sepolte sotto un pavimento o dentro un muro. Sembrava improbabile; la struttura della reggia era solidissima, rinforzata da Incantesimi di Durata; sarebbe stata un'impresa sfondare una parete o un pavimento. Presumendo che Millie fosse morta all'improvviso e in circostanze sospette (altrimenti non sarebbe diventata uno scheletro) l'assassino avrebbe dovuto nascondere il cadavere in fretta e furtivamente. Non avrebbe certo ricostruito i muri per celarlo! Il vecchio Re Roogna non avrebbe tollerato una cosa simile. Dove si poteva nascondere un corpo in pochi minuti... e in modo così efficiente che restasse introvabile per secoli? I lavori di ristrutturazione ordinati dal Re avevano coinvolto ogni parte di Castel Roogna, trasformandolo nella reggia attuale; e agli artigiani addetti ai restauri non sarebbe sfuggita una cosa del genere. Quindi sembrava una cosa meccanicamente impossibile. Non potevano esserci scheletri in quegli armadi. Bink vide che gli altri uomini erano già occupati a frugare in tutti i ripostigli. Era inutile far loro concorrenza, anche ammettendo che lo scheletro fosse lì. Meccanicamente impossibile... ah, ecco la chiave! Non magicamente impossibile! Le ossa dovevano essere state trasformate in qualcosa d'altro, qualcosa d'innocuo e fuorviante. Il problema era: che cosa? Nel palazzo c'erano mille manufatti, e poteva trattarsi d'uno qualunque. Eppure la trasformazione era una delle magie maggiori, e quale Mago avrebbe perso tempo con una semplice cameriera? Quindi poteva darsi che le ossa fosse-
ro rimaste allo stato naturale, o magari fossero state dissolte in un solvente o macinate e ridotte in polvere. Comunque, doveva esserci qualche indizio della loro identità, se era possibile sviscerarlo esattamente. Sì, era un enigma sconcertante! Bink si avvicinò al tavolo dei rinfreschi. C'erano torte, ciambelle, biscotti, focacce, crostate e bevande assortite. Chester era occupato a rimpinzarsi. Bink girò intorno al tavolo, cercando qualcosa d'interessante. Quando si avvicinò alla torta dell'Anniversario, il salamoiatore soffiò in tono minaccioso. Aveva un corpo di gatto, con il muso verde e pungente, e gli occhi umidi di salamoia. Per un momento provò la tentazione di accostarsi, di provare la sua magia contro la magia dell'esserino. La magia non poteva fargli del male, ma sicuramente il felino avrebbe tentato di metterlo in salamoia. Che cosa sarebbe accaduto? No... non era un adolescente temerario deciso a provare il proprio coraggio con simili bravate sciocche. Perché costringere il suo talento a faticare inutilmente? Scorse un biscotto che sembrava una faccia sorridente e lo prese. Mentre se lo portava alle labbra, il sorriso divenne un O d'orrore. Bink esitò; sapeva che si trattava di una delle tante illusioni della Regina, ma comunque non se la sentiva di addentarlo. Il biscotto contraeva la faccia nell'attesa della fine; poi, quando il morso non venne, riaprì un occhio di glassa. «Su, piccolo... prendi», disse Bink, porgendo il biscotto al salamoiatore. Ci fu un lieve zoop! e il biscotto fu trasformato in salamoia, con uno degli occhi aperti e l'altro socchiuso. Adesso puzzava d'acqua salata. Lo posò sul pavimento, e il salamoiatore si avvicinò guardingo e prese in bocca il biscotto. A Bink era passato l'appetito. «Il tuo Incantesimo è infermo», disse una donna accanto a lui. Era la vecchia Guaritrice degli Incantesimi, che si godeva l'inattesa partecipazione alla festa. Il ballo, in teoria, era aperto a tutti, ma pochi cittadini avevano il coraggio di parteciparvi. «Però è troppo potente perché io possa guarirlo. Sei un Mago?». «No. Sono soltanto una nullità con un forte talento», disse Bink, augurandosi di poter essere veramente faceto come cercava di mostrarsi. La vecchia si concentrò. «No, mi sbaglio. Il tuo incantesimo non è infermo, è soltanto bloccato. Credo che soffra per mancanza d'esercizio. L'hai usato durante l'ultimo anno?». «Un po'», rispose Bink, pensando alla recentissima avventura con i mostri del fossato. «Non. molto».
«Devi usare la magia, altrimenti la perdi», disse la donna con aria saputa. «E quando non c'è occasione di usarla?». «C'è sempre un'occasione per servirsi della magia... in Xanth». A Bink non sembrava del tutto vero. Il suo talento lo proteggeva da quasi tutti i mah... ma lo proteggeva anche il favore del Re. Quindi il talento si esercitava pochissimo, e forse stava diventando fiacco. Il duello con la spada animata era stata la prima vera occasione che il suo talento aveva avuto per manifestarsi da diverso tempo, e aveva cercato di evitare di servirsene. Dunque, tutto si limitava al tuffo nel fossato. Era rimasto un po' bagnato, ma lo scenario sottomarino lo nascondeva. Avrebbe dovuto andare in cerca del pericolo, per mantenere il suo talento in buona salute? Sarebbe stata davvero un'ironia. La donna alzò le spalle e passò oltre, piluccando altre leccornie. Bink si guardò intorno... e incontrò gli occhi spettrali di Millie. Le andò incontro. «Come va?» chiese educatamente. A distanza ravvicinata, la voce dello spettro era udibile. Forse aiutava anche il movimento delle labbra esangui. «È così emozionante», disse Millie, debolmente. «Essere di nuovo viva!». «Sei sicura che valga la pena di diventare mortale?» chiese lui. «A volte, quando una persona realizza il suo sogno, scopre che non è ciò che desiderava». Stava parlando a Millie... o a se stesso? Lei lo guardò con aria comprensiva. Bink vedeva gli ospiti che si muovevano dietro di lei, perché era semitrasparente. Era un po' difficile vederla bene. Eppure era bella, a suo modo: non solo per il viso e la figura, ma anche per la sua gentilezza innata e la premura per gli altri. Millie aveva aiutato molto Chameleon, mostrandole dov'erano le varie cose, e quali frutti erano commestibili e quali pericolosi, spiegandole il protocollo del castello. Era stata Millie a mostrare inavvertitamente a Bink un'altra faccia del Mago Trent, ai tempi in cui Bink era convinto che fosse malvagio. «Sarebbe così bello se fossi tu a trovare le mie ossa», disse Millie. Bink rise, con aria imbarazzata. «Millie, sono sposato!». «Sì», confermò lei. «Gli uomini sposati sono i migliori. Sono... esperti, gentili, costanti, e non parlano a vanvera. Per il mio ritorno alla vita, per la mia esperienza, sarebbe veramente molto piacevole se...». «Non mi hai capito», disse Bink. «Io amo mia moglie Chameleon». «Sì, certo, le sei fedele», rispose Millie. «Ma in questo momento è nella fase della bruttezza e incinta al nono mese, e ha la lingua aguzza come il
pungiglione d'una manticora. È adesso che tu hai più bisogno di sollievo, e se riavrò la vita...». «Non continuare, ti prego!» esclamò Bink. Lo spettro aveva colpito nel segno. «Io ti amo, sai?» continuò Millie. «Mi ricordi... uno che amavo veramente quando ero viva. Ma lui è morto da ottocento anni». Si guardò pensosamente le dita trasparenti. «Quando ti ho incontrato per la prima volta, Bink, non potevo sposarti. Potevo solo guardarti e sospirare. Sai che cosa significa vedere tutto e non partecipare mai? Sarei andata bene per te, se...». S'interruppe, nascondendo il viso. La sua testa si annebbiò davanti agli occhi di Bink. Bink era imbarazzato e commosso. «Mi dispiace, Millie, non sapevo». Le posò la mano sulla spalla tremante... e naturalmente l'attraversò. «Non avevo mai pensato che fosse possibile renderti la vita. Se l'avessi immaginato...». «Sì, certo», singhiozzò Millie. «Ma sarai una ragazza molto carina. Sono sicuro che ci saranno moltissimi giovani che...». «È vero, è vero», ammise lei, tremando ancora di più. Ormai si stava annebbiando completamente, e gli altri invitati incominciavano a fissarla. La situazione stava per diventare imbarazzante. «Se c'è qualcosa che posso fare...» disse Bink. Millie si rianimò di colpo, e la sua immagine ridivenne più nitida. «Trova le mie ossa!». Per fortuna non sarebbe stato tanto facile. «Cercherò», promise Bink. «Ma non ho più probabilità degli altri». «Sì, invece. Tu sai come fare, se impegni la tua intelligenza straordinaria. Non posso dirti dove sono, ma se ti dai da fare...». Millie lo guardò con ardore supplichevole. «Sono passati tanti secoli. Prometti che tenterai». «Ma io... cosa penserebbe Chameleon se...». Millie nascose la faccia tra le mani. Le occhiate degli altri invitati divennero più dure via via che i contorni dello spettro diventavano evanescenti. «Sta bene, tenterò», promise Bink. Perché il suo talento non l'aveva protetto, in questo caso? Ma conosceva la risposta: la sua magia lo proteggeva dal male magico e fisico. Millie era quasi magica, ma non fisica... e ciò che intendeva fare con lui quando avesse riacquistato la fisicità non si poteva normalmente considerare un male. Il suo talento non si era preoccupato delle complicazioni emotive. Bink avrebbe dovuto risolvere da solo quel
triangolo. Lo spettro sorrise. «Non metterci troppo tempo», disse, e si allontanò fluttuando, senza toccare il pavimento con i piedi. Bink scorse Crombie e lo raggiunse. «Incomincio a capire il tuo punto di vista», disse. «Sì, ho notato che lei ti stava lavorando», ammise Crombie. «È da un po' che ti ha messo gli occhi addosso. Un uomo ha poche possibilità di cavarsela, quando una di quelle volpi lo prende di mira». «Millie è convinta che io possa ritrovare per primo le sue ossa... e adesso devo tentare. Tentare sul serio, non per finta». «È un gioco da bambini», osservò Crombie. «Sono da quella parte». Chiuse gli occhi e alzò il braccio. «Non avevo chiesto il tuo aiuto!» scattò Bink. «Oh, scusami. Dimentica la mia indicazione». «Non posso. Adesso sarò costretto a guardare, e sicuro come l'inferno troverò le ossa. Millie doveva sapere che ti avrei consultato. Forse è il suo talento: sapere le cose in anticipo». «E allora perché non se la squagliò, a suo tempo, prima di finire assassinata?». Era una domanda intelligente. «Forse dormiva quando...». «Bene, ma tu non dormi. Tu potresti squagliartela. Qualcun altro la troverà, soprattutto se fornirò le indicazioni». «Perché non le trovi tu, le ossa?» chiese Bink. «Potresti seguire il tuo dito, e farlo in un istante». «Non posso. Sono in servizio». Crombie sorrise soddisfatto. «Ho già avuto abbastanza problemi con le donne, grazie a te». Oh. Era stato Bink a presentare quel misogino alla sua ex fidanzata, Sabrina, una ragazza bella e dotata che Bink aveva scoperto di non amare. Evidentemente la presentazione aveva portato a un legame amoroso. E adesso Crombie si vendicava. Bink raddrizzò le spalle e si mosse nella direzione indicata. Le ossa dovevano essere al piano di sopra. Comunque, poteva darsi che non fosse facile rintracciarle. Se avesse fatto onestamente del suo meglio e non le avesse localizzate... Eppure... sarebbe stato così spiacevole, un appuntamento con Millie? Tutto ciò che aveva detto lei era vero: era un momento molto brutto per Chameleon, ed era meglio lasciarla perdere. Fino a quando avesse raggiunto la fase della bellezza e della dolcezza e avesse avuto il bambino.
No, sarebbe stata una rovina. Lui sapeva cos'era Chameleon, quando l'aveva sposata, sapeva che ci sarebbero stati bei momenti e momenti brutti. Doveva solo sopportare la fase peggiore, sapendo che sarebbe passata. Finora l'aveva fatto. Quando c'era un problema difficile, nella fase intelligente Chameleon era preziosa; qualche volta Bink teneva in serbo i problemi perché lei li risolvesse in quell'occasione. Non poteva permettersi di spassarsela con Millie o con altre femmine. Si orientò verso la stanza situata sulla linea che Crombie aveva indicato. Era la Biblioteca Reale, che custodiva la sapienza dei secoli. Era là, lo scheletro dello spettro?». Bink entrò... e trovò il Re. «Oh, perdonami, Maestà. Non immaginavo...». «Entra, entra, Bink», disse il Re Trent, sorridendo calorosamente. Aveva l'aspetto di un vero sovrano, persino quando era semistravaccato sul tavolo, come in quel momento. «Stavo meditando su un problema personale, e forse sei stato mandato per darmi la soluzione». «Non ho la soluzione neppure per il mio dilemma», disse Bink, in tono piuttosto diffidente. «Non sono in grado di parlare dei tuoi». «Il tuo dilemma?». «Chameleon è intrattabile e io sono irrequieto, e qualcuno sta cercando di uccidermi, e Millie lo spettro vuol fare l'amore con me». Il Re Trent rise... e smise di colpo. «Mi rendo conto che non l'hai detto per scherzare», disse. «Chameleon migliorerà e la tua inquietudine si calmerà. Ma gli altri... chi vuole ucciderti? Ti assicuro che non ha l'Autorizzazione Reale». Bink raccontò lo scontro con la spada. Il Re assunse un'espressione pensierosa. «Io e te sappiamo che solo un Mago potrebbe farti del male con simili mezzi... e in Xanth ci sono soltanto tre persone di questa categoria. Ma nessuna delle tre ti vuol male, o possiede il talento di animare le spade. Quindi non sei veramente in pericolo. Tuttavia sono d'accordo con te: può essere una faccenda molto fastidiosa. Indagherò. Dato che hai fatto prigioniera la spada, dovremmo essere in grado di risalire alla radice della sua motivazione. Se qualcuno ha cooptato una delle armi del mio arsenale...». «Uh, io penso che venisse proprio di lì», disse Bink. «Ma Chester il Centauro l'ha vista e l'ha presa...». «Oh. Bene, lasciamo perdere questo particolare; l'alleanza dei centauri è importante per me, come lo è sempre stata per tutti i Re di Xanth nel corso della Storia. Chester può tenersi la spada, anche se credo che riusciremo ad
annullare la sua proprietà d'auto-motivazione. Però, mi sembra che in questo ci sia una certa rassomiglianza con la tua magia; ciò che si oppone a te è celato, e usa una magia diversa dalla propria per attaccarti. La spada non è tua nemica; è stata solo lo strumento della forza ostile». «Una magia come la mia...» ripeté Bink. «Sì, può darsi. Non sarebbe identica, perché in Xanth la magia non si ripete mai, ma simile...». Fissò il Re, allarmato. «Questo significa che posso aspettarmi guai dovunque, da parte di qualunque cosa... e ogni volta sembrerà una coincidenza!». «Da parte di uno zombi, o d'una spada o da un mostro del fossato, o d'uno spettro», disse il Re. «Forse c'è un disegno preciso». Tacque, riflettendo. «Com'è possibile che uno spettro...». «Millie ritornerà in vita, quando avrò trovato il suo scheletro... che forse è in questa sala. Ciò che più mi turba è il fatto che mi sento tentato». «Millie è molto carina», disse il Re Trent. «Posso benissimo capire la tentazione. Anch'io vado soggetto alle tentazioni: è appunto l'oggetto della mia meditazione attuale». «Senza dubbio la Regina può soddisfare qualunque... uhm... tentazione», disse cautamente Bink; non voleva lasciar capire che a palazzo si facevano molte ipotesi al riguardo. La vita privata del Re doveva restare privata. «Può assumere l'aspetto di qualunque...». «Appunto. Non ho toccato la Regina o altre donne, da quando morì mia moglie». Per il Re Trent, la parola «moglie» si riferiva esclusivamente alla donna che aveva sposato in Mundania. «Eppure so che devo dare un erede al Trono di Xanth, direttamente o mediante l'adozione, nell'eventualità che non ci sia un Mago adatto disponibile quando verrà il momento. Spero sinceramente che un Mago ci sia! Tuttavia mi sento in dovere di tentare, perché era una delle condizioni implicite che ho accettato prendendo la corona. Da un punto di vista etico, la cosa dovrebbe cointeressare la Regina. Quindi devo farlo, anche se non l'amo e non l'amerò mai. Il problema è: quale forma dovrò chiederle di assumere per l'occasione?». Per Bink, quello era un problema troppo personale. «Qualunque forma ti piaccia, direi». La Regina aveva il grande prestigio di poter assumere istantaneamente un nuovo aspetto. Se Chameleon fosse stata in grado di far altrettanto... «Ma io non penso a ciò che mi piace. Voglio soltanto fare ciò che è necessario». «Perché non combini le due cose? Lascia che la Regina assuma la sua forma illusoria più provocante, oppure trasformala tu stesso in quell'aspet-
to. Quando ci sarà un erede, falla ritornare come prima. Non c'è nulla di male nel divertirti facendo il tuo dovere, non ti sembra?». Il Re scrollò il capo. «Normalmente questo sarebbe vero. Ma il mio è un caso speciale. Non sono sicuro che ce la farei con una bella donna, o con qualunque donna, a meno che somigliasse molto a mia moglie». «E allora fai in modo che la Regina somigli a tua moglie», disse Bink, senza riflettere. «Il mio timore è che questo degradi un ricordo per me venerato». «Oh, capisco. Vuoi dire che se somigliasse troppo a tua moglie, potrebbe sembrare che la sostituisse e...». «Più o meno». Era un vicolo cieco. Se il Re poteva farcela soltanto con la moglie morta, e non sopportava un'altra donna che le somigliasse fisicamente, che cosa poteva fare? Era un aspetto segreto del Re che Millie aveva mostrato a Bink, molto tempo prima; la sua incessante devozione ai familiari scomparsi. Era stato difficile, dopo, considerare malvagio quell'uomo; e infatti il Re Trent non era malvagio. Era il miglior Mago è forse l'uomo migliore di Xanth. Bink era l'ultimo al mondo che desiderasse alterare quell'aspetto del Re Trent. Eppure il problema dell'erede era grave. Nessuno voleva che si ripetessero i guai conseguenti alla mancanza di una successione reale ben definita. Doveva esserci un erede che regnasse fino a quando fosse apparso un Mago adatto, dando continuità al governo. «Sembra che abbiamo un dilemma molto simile, Maestà», disse Bink. Si sforzava di mantenere un doveroso atteggiamento di rispetto, a causa del modo in cui aveva fatto la conoscenza di Trent prima che diventasse Re. Doveva dare il buon esempio. «Ognuno di noi preferisce restare fedele alla propria moglie, eppure lo trova difficile. Il mio problema passerà, ma il tuo...». S'interruppe, colpito da un'ispirazione. «Millie risusciterà quando le sue ossa verranno immerse nell'acqua risanatrice. Supponiamo che tu recuperassi le ossa di tua moglie, le portassi in Xanth...». «Se il sistema funzionasse, sarei bigamo», osservò il Re Trent. Ma sembrava scosso. «Comunque, se mia moglie potesse rivivere...». «Potresti accertarti se la procedura funziona, quando proveranno con Millie», disse Bink. «Millie è uno spettro... non è morta completamente. È un caso speciale, come quello di un'ombra. Accade quando vi sono cose importanti e incompiute che lo spirito vuole portare a termine.
Mia moglie non è un fantasma; non ha lasciato nulla d'incompiuto, tranne la sua vita. Rianimare il corpo senza la sua anima...». Bink cominciava a pentirsi di aver esposto quell'idea. Quali orrori si sarebbero scatenati in Xanth se tutti gli scheletri fossero stati risuscitati indiscriminatamente? «Potrebbe essere uno zombi», disse. «Ci sono rischi molto gravi», dichiarò il Re. «Tuttavia, mi hai dato motivi di riflessione. Forse per me c'è ancora speranza! Nel frattempo, è certo che non chiederò alla Regina di assumere le sembianze di mia moglie. Forse farò una figura ridicola tentando senza riuscire, ma...». «È un peccato che non possa trasformare te stesso», disse Bink. «Allora potresti scoprire se ci riesci senza che nessuno se ne accorgesse». «La Regina lo saprebbe. E fallire con lei significherebbe dimostrare una debolezza che non posso permettermi. Lei si sentirebbe superiore, sapendo che quello che ha scambiato per un ferreo autocontrollo è soltanto impotenza. E se lo scoprisse sarebbe un grosso guaio». Bink, che conosceva bene la Regina, se ne rendeva perfettamente conto. Soltanto il rispetto e la paura che provava per la personalità e i poteri del Re la tenevano a freno. Il suo talento di trasformatore sarebbe rimasto immutato... ma il rispetto che lei provava per la sua personalità si sarebbe inevitabilmente corroso. Sarebbe diventato molto difficile tenerla a bada, e non sarebbe stato un bene per la Terra di Xanth. «Non potresti... ehm... forse un esperimento con qualche altra donna, prima? In questo modo, se fallissi...». «No», rispose il Re in tono fermo. «La Regina non è il mio amore, ma è la mia legittima consorte. Non la defrauderò... e non defrauderò nessun altro cittadino del mio regno, in questo o in altre cose». Era quella, l'essenza della sua nobiltà d'animo! Eppure la Regina avrebbe potuto imbrogliare lui, se ne avesse avuto l'occasione e se avesse saputo che era impotente. A Bink quella prospettiva non piaceva. Aveva visto nel regno di Trent l'inizio di un'Età dell'Oro: ma adesso sembrava carico di pericoli. Poi Bink ebbe un'altra ispirazione. «La memoria di tua moglie... quello che conservi non è soltanto il tuo ricordo di lei, ma anche il ricordo di te stesso. Quando eri felice. Non puoi far l'amore con un'altra donna, o permettere che un'altra donna prenda il suo aspetto. Ma se fossero altri due a far l'amore... voglio dire, la Regina e un uomo che non ti somigliasse... nessun ricordo sarebbe contaminato. Quindi, se la Regina cambiasse il tuo aspetto...».
«È ridicolo!» scattò il Re. «Credo di sì», disse Bink. «Non avrei dovuto parlarne». «Tenterò». «Scusami se ti ho importunato. Io...». Bink s'interruppe. «Hai detto che tenterai?». «Oggettivamente, so che questo ininterrotto attaccamento a mia moglie e a mio figlio non è ragionevole», rispose il Re. «Mi sta ostacolando nell'adempimento dei miei doveri. Forse un sotterfugio irragionevole può essere il rimedio. Chiederò a Iris di darmi l'aspetto di un altro uomo, e di assumere quello di un'altra donna; e faremo il tentativo da estranei. Dovrai farmi la cortesia di mantenere il segreto, Bink». «Sì, certo, naturalmente», disse Bink, impacciato. Avrebbe preferito che il Re non avesse debolezze umane, mentre paradossalmente lo rispettava proprio per quelle debolezze. Ma sapeva che quello era un aspetto del Re che nessun altro riusciva a scorgere. Bink era un confidente, anche se a volte quel ruolo era inquietante. «Io... uhm... devo trovare le ossa di Millie. Dovrebbero essere qui in Biblioteca». «Ma certo, continua pure l'esplorazione. Io cercherò la Regina». Il Re si alzò bruscamente e uscì. Così? Bink era sbalordito dall'alacrità con cui agiva quell'uomo, quando prendeva una decisione. Ma era una delle qualità che lo rendevano adatto a regnare, diversamente dallo stesso Bink. Bink guardò i libri. E all'improvviso comprese: lo scheletro di Millie poteva essere stato trasformato in un libro; questo avrebbe spiegato perché non era stato scoperto in tanti secoli, e perché Millie veniva lì di frequente. Spesso lei sostava presso la parete sud. Il problema era: quale libro? Passò accanto agli scaffali stracarichi, leggendo i titoli sui dorsi dei volumi. Era un'ottima biblioteca, con centinaia di testi; come poteva scegliere? E se avesse trovato quello giusto, in qualche modo, come avrebbe potuto rendergli il vero aspetto? Prima sarebbe stato necessario ritrasformarlo in scheletro... era un lavoro per un Mago. Continuava a sbattere la testa: c'era troppa magia. A quanto ne sapeva lui, non esisteva nessun trasformatore di oggetti inanimati. Quindi la cerca di Millie, dopotutto, era senza speranze. Eppure perché, allora, il Buon Mago le aveva detto semplicemente di usare l'acqua risanatrice? Non aveva senso! Comunque, aveva promesso di tentare, anche se la sua situazione personale era complicata. Per prima cosa doveva trovare il libro: e poi avrebbe
potuto preoccuparsi del resto. La ricerca richiese diverso tempo. Alcuni testi poteva eliminarli immediatamente, come L'anatomia dei draghi purpurei, oppure Grandine: magica e mundana. Ma altri erano problematici, come La posizione sociale degli spiriti nelle dimore regali o Storie per spettri. Dovette prenderli dagli scaffali e sfogliarli, cercando senza sapere che cosa cercasse. Passò altro tempo, e Bink non approdava a nulla. Nessun altro entrò nella Biblioteca; a quanto pareva, era l'unico a seguire quella pista particolare. L'intuizione a proposito dei libri doveva essere sbagliata. C'era un'altra stanza, sopra quella, e la linea indicata da Crombie intersecava anche quella. Forse là... Poi lo vide. Lo scheletro nell'armadio. Doveva essere quello! Prese il volume. Era stranamente pesante. La copertina era di pelle variegata, sottilmente orribile. L'aprì, e ne esalò un odore strano e sgradevole, come di uno zombi rimasto troppo a lungo al sole. Sul frontespizio non c'era stampato nulla; c'era solo un miscuglio di colori che ricordava vagamente un insetto schiacciato. Chiuse in fretta il libro. Non aveva più dubbi. Il secchio dell'elisir era al pianterreno, nella sala da ballo. Bink strinse il libro fra le braccia - era troppo pesante per reggerlo con una mano sola - e si avviò per scendere. Incontrò un altro zombi... o forse era lo stesso di prima. Era difficile distinguerli. Stava salendo la scala. Bink comprese che quello era autentico, perché la Regina non aveva esteso la mascherata all'interno del palazzo, e ai piani superiori non c'erano illusioni. Adesso Bink sospettava che anche quello incontrato in giardino fosse stato autentico. Che cosa ci facevano gli zombi, fuori dalla terra dove riposavano? «Indietro!» esclamò Bink, proteggendo il libro. «Vattene dalla reggia! Torna alla tua tomba!». Avanzò minacciosamente, e lo zombi indietreggiò. Un uomo sano e robusto poteva fare a pezzi uno zombi senza difficoltà, se era disposto a provarcisi. Lo zombi incespicò sui gradini e cadde, piombando giù per la rampa con macabro abbandono. Pezzi d'osso e di putredine si sparsero sugli scalini, e un liquido scuro intrise lo splendido, vecchio legno. L'odore rivoltò lo stomaco di Bink, gli fece bruciare gli occhi. Gli zombi non avevano una grande coesione. Bink lo seguì giù per la scala, sporgendo le labbra in una smorfia schifata. A Castel Roogna c'erano molti zombi, e avevano contribuito a farne il palazzo del Re. Ma adesso avrebbero dovuto starsene tranquilli nelle loro
tombe. Quale motivo macabro li aveva indotti a presentarsi alla festa? Bene, a suo tempo avrebbe informato il Re. Per prima cosa doveva occuparsi dello scheletro di Millie. Entrò nella sala da ballo... e vide che la decorazione sottomarina era sparita. Erano riapparsi i muri e le colonne normali. La Regina aveva perduto interesse per le sue illusioni? «L'ho trovato!» esclamò, e gli invitati si affollarono subito intorno a lui. «Dov'è finita l'acqua?». «La Regina è uscita all'improvviso, e l'illusione è finita», rispose Chester, ripulendosi la faccia dalle briciole di una torta verde. «Su, lascia che ti aiuti con quel libro». Il centauro allungò una mano e lo prese senza difficoltà dalla stretta dell'ormai stanco Bink. Oh, poter avere la forza d'un centauro! «Volevo dire l'acqua risanatrice, l'elisir», disse Bink. Sapeva bene che cos'era successo alla Regina, ora che ci pensava! L'aveva chiamata il Re. «Eccola», disse Crombie, tirando fuori il secchio che stava sotto il tavolo. «Non volevo che ci cadessero dentro le briciole». E piazzò il secchio sul pavimento, vicino alla Torta dell'Anniversario. «Ma quello non mi sembra uno scheletro», osservò la manticora. «È trasformato... o qualcosa del genere», spiegò Bink. Aprì il volume che Chester sosteneva. Si levò un brusio generale di sbalordimento. Quella sì che era una magia! La Guaritrice d'Incantesimi sbirciò il volume. «Non è una trasformazione. È magia topologica. Prima d'ora non avevo visto un caso tanto estremo». Non ne avevano mai visti neppure gli altri. «Cos'è la magia topologica?» chiese Crombie. «Cambiare la forma senza cambiarla», rispose la donna. «Vecchia, stai dicendo fesserie», ribatté Crombie, con la consueta diplomazia che usava sempre nei confronti del bel sesso. «Sto parlando di magia, imbecille», replicò la Guaritrice. «Prendi un oggetto, stiracchialo, comprimilo, appiattiscilo, piegalo, e ne avrai cambiato la forma senza cambiare la natura. Rimane topologicamente simile. Questo libro è una persona». «Con lo spirito spremuto fuori», disse Bink. «Dov'è andata a finire Millie?». Lo spettro apparve, in silenzio. Era ancora soggetta al sortilegio e non poteva parlare del proprio corpo. Il suo era stato un destino terribile, per tutti quei secoli. Appiattita e ripiegata in un libro, e senza poterlo dire a
nessuno. Fino a quando il premio concesso dalla Regina per la gara dei riconoscimenti, per pura coincidenza, le aveva aperto la strada. Per pura coincidenza? Bink sospettava che quella fosse opera del suo talento. «Non dovrebbe essere la Regina a sovrintendere alla resurrezione?» chiese ancora la manticora. «La Regina ha da fare altrove, e non dobbiamo disturbarla», disse Bink. Per la verità, lui stava proteggendo il Re. «Sarà meglio procedere senza di lei». «Giusto», disse Chester, e buttò il volume nel secchio. «Aspetta!» gridò Bink. Ma sapeva che ormai era troppo tardi. Lui aveva pensato d'immergerlo dolcemente. Ma forse era meglio così. Il libro baluginò. Millie lo Spettro si lasciò sfuggire uno strillo quasi silenzioso e venne attratta verso il secchio. Poi il volume si gonfiò, assorbendo rapidamente l'elisir, si aprì e si spiegò. Le pagine divennero arti umani, la pesante copertina diventò una testa e un busto umani, orrendamente appiattiti, ma che tuttavia già incominciavano ad assumere lineamenti di bambola. Con un sussulto grottesco, il tomo divenne una figura deforme, e continuò a gonfiarsi e a consolidarsi prendendo l'aspetto d'una donna. Millie lo Spettro, che stava ancora cercando di urlare, finì fluttuando in quella massa, e i suoi contorni si fusero con quelli del corpo. Poi fantasma e corpo entrarono perfettamente in fase. Millie era immersa nel secchio fino alle ginocchia: era la ninfa più incantevole che si potesse desiderare, in un sorprendente contrasto con ciò che tutti avevano appena visto. «Sono viva!» esclamò in tono di meraviglia. «Senza il minimo dubbio», ammise Chester. «Qualcuno le porti qualcosa da mettersi addosso». Ci fu un movimento improvviso. Una figura si avanzò portando una veste putrefatta. Era lo zombi. Le donne strillarono e tutti si affrettarono a scostarsi per evitarlo. Crombie gli si parò davanti con una smorfia. «Voi puzzoni non potete entrare. Fuori, fuori!». Lo zombie indietreggiò verso la Torta dell'Anniversario. «Non da quella parte!» gridò Bink, ma ormai era troppo tardi. Lo zombi era arrivato a tiro del salamoiatore, che subito ringhiò. Si sentì uno zoop! e lo zombi fu trasformato in salamoia. Sprizzando gocce di liquido putrido, cadde nella torta. Il salamoiatore colpì di nuovo,
trasformando in salamoia l'intera torta con lo zombi incluso. Frammenti di glassa in salamoia volarono tutto intorno e piovvero sugli invitati. Il salamoiatore si liberò dal guinzaglio e balzò sul tavolo dei rinfreschi, dove trasformò tutto quello cui passava davanti. Le donne strillarono di nuovo: era uno degli sciocchi e incantevoli manierismi del loro sesso. «Cosa succede?» chiese un giovane sconosciuto dalla soglia dell'ingresso principale. «Stai indietro!» gli intimò Bink. «Il maledetto salamoiatore della stramaledetta Regina si è scatenato!». In quel momento scorse una donna giovane e bella alle spalle dello sconosciuto. Evidentemente i due si erano autoinvitati. Crombie arrivò a grandi passi. «Ci penso io a togliere di torno questi idioti!» gridò sguainando la spada. Il salamoiatore preferì andare a presentarsi personalmente. Balzò verso i due sconosciuti. Si sentì uno zap!... ma questa volta fu il salamoiatore a finire in salamoia, in un certo senso. Piombò sul pavimento, sorpreso, poi sbatté le ali e s'involò. Era stato trasformato in una minuscola gazzella alata. «La mia torta!» gridò la giovane sconosciuta. Allora Bink comprese. «La Regina!». «E il Re!» gli fece eco Crombie, sgomento. «In costume illusorio». Bink si chiese come aveva chiamato la Regina, poco prima. E Crombie aveva sguainato la spada contro il Re. Ma la Regina Iris era già corsa accanto alla torta. «In salamoia... con dentro uno zombi! Chi è stato?». Era così indignata che lasciò sfuggire l'illusione. Apparve a tutti gli invitati nel suo aspetto naturale, e rivelò anche il Re. Erano entrambi in deshabillé. Crombie il misogino ebbe comunque un soprassalto di galanteria. Rinfoderò la spada, si sfilò la giacca e la drappeggiò sulle spalle della Regina, che adesso dimostrava tutti i suoi anni. «Qui fa freddo, Altezza». Bink si affrettò a offrire la propria giacca al Re, che l'accettò come se fosse la situazione più normale del mondo. «Grazie, Bink», mormorò. Millie uscì dal secchio: era splendidamente nuda e non aveva affatto freddo. «Purtroppo la colpa è mia, Sovrane Maestà. Lo zombi è venuto ad aiutarmi, e il salamoiatore si è scatenato...». La Regina squadrò per un lungo istante la figura adorabile di Millie, poi si guardò. Di colpo, Re e Regina riapparvero abbigliati regalmente: lei somigliava un po' a Millie, lui aveva il suo aspetto naturale, che era piuttosto
bello. Bink, come tutti i presenti, sapeva che entrambi indossavano giacche prestate, e che avevano scoperte alcune parti imbarazzanti della loro anatomia; ma adesso non si vedeva niente. Dopo un altro istante, anche Millie venne vestita d'illusione; era un abito da cameriera, dato che era una cameriera, ma era pur sempre molto carina. Bink annuì. A quanto pareva, il consiglio che aveva dato al Re, cambiare la propria immagine per far l'amore con la Regina, era stato efficace. Ma lo scompiglio causato dalla resurrezione di Millie aveva interrotto tutto. La Regina ispezionò il disastro del tavolo dei rinfreschi. Poi lanciò un'occhiata obliqua al Re e decise di mostrarsi benevola. «Dunque ha funzionato! Non sei più uno spettro!». Studiò di nuovo Millie, attentamente. «Ma dovresti essere vestita per l'occasione: oggi per te non è una giornata lavorativa». E Millie apparve in un elegante abito da sera, con le scarpette di vetro e una tiara scintillante. «Chi ha trovato il tuo scheletro?». Millie sorrise radiosamente. «È stato Bink». La Regina guardò Bink. «A quanto pare, tu metti il naso dappertutto», mormorò. Poi, alzando la voce: «Allora, il premio spetta a Bink. Il primo appuntamento di...». S'interruppe di colpo. Dietro di lei, lo zombi in salamoia si era alzato dalla torta. Neppure la salamoia poteva uccidere uno zombi, che era già per metà in salamoia nel suo stato naturale. Pezzi di carne caddero frammisti ai pezzi di torta. Un grumo amorfo era piovuto sulla spalla della Regina, passando attraverso l'abito-illusione e finendo chissà dove. Era stato questo a interrompere il suo discorso. Furiosa, la Regina Iris si girò verso lo zombi. «Fuori dalla reggia, massa di putredine!». Lanciò un'occhiata al Re. «Trent, trasforma questo mostro! Ha rovinato la mia torta!». Ma il Re Trent aveva un'aria pensierosa. «Credo che lo zombi se ne andrà spontaneamente, Iris. Trova un altro accompagnatore per Millie: ho bisogno dei servigi di Bink per un'altra faccenda». «Maestà...» protestò Millie. «E fai in modo che il sostituto prenda l'aspetto di Bink», mormorò il Re alla consorte. «Bink, vieni in Biblioteca». In Biblioteca, il Re Trent spiegò subito le sue intenzioni. «Qui in Xanth abbiamo una gerarchia della magia. Poiché sono il Mago più potente, io sono il Re, e l'Incantatrice più potente è la Regina. Il Buon Mago Humphrey è il nostro Primo Ministro. Ma tu, Bink... tu sei anonimo. Hai una magia equivalente, ma è segreta. Quindi non hai la posizione meritata dal
tuo talento. Forse questo costituisce una minaccia per il tuo benessere». «Ma non c'è nessun pericolo...». «Non è vero, Bink. Chi ha mandato quella spada è una minaccia per te, anche se probabilmente non molto grave. Tuttavia, il tuo talento è potente, non astuto. Ti protegge dalla magia ostile, ma ha un problema quando è alle prese con pericoli intangibili. Come sappiamo, a casa tua la situazione non è ideale in questo momento e...». Bink annuì. «Ma, come sappiamo entrambi, passerà». «D'accordo. Tuttavia il tuo talento, forse, non è tanto razionale. Perciò ti ha procurato una donna che considera migliore... e io posso contestare la sua morale, non il suo gusto. Poi ha esitato quando si è reso conto che questo avrebbe causato guai. Perciò ti ha impedito di avere l'appuntamento con Millie. La rianimazione dello zombi rientrava nel suo programma. È probabile che lo zombi dovesse aiutarti a ritrovare lo scheletro; ma poi il talento ha dovuto cambiare la sua iniziativa. È impossibile sapere quali guai sarebbero accaduti se Millie e la Regina avessero insistito per farti mantenere l'appuntamento; ma sappiamo che il pasticcio sarebbe apparso come una coincidenza, perché così opera il tuo talento. Poteva darsi che ci crollasse la reggia sulla testa, o che uno sfortunato incidente ritrasformasse Millie in un fantasma». «No!» gridò inorridito Bink. «So che non vorresti che capitasse una cosa simile a una creatura tanto simpatica. E non lo vorrei neanch'io. Per questo mi sono intromesso. Dobbiamo accettare semplicemente il fatto che non puoi avere appuntamenti con Millie, anche se il tuo talento l'ha riportata in vita. Credo di aver risolto il problema, per il momento. È ovvio che il talento di Millie è il fascino sessuale: questo spiega la sua morte prematura in circostanze che l'hanno trasformata in uno spettro. Non le mancherà certo la compagnia maschile... a parte la tua». «Fascino sessuale!» esclamò Bink. «Ecco perché la Guaritrice d'Incantesimi era così divertita! Sapeva quali guai ci sarebbero stati non appena avesse restaurato l'incantesimo! Ed ecco perché io ero tanto tentato dalla proposta di Millie, nonostante...». «Appunto. L'ho sentito anch'io... e avevo appena finito di congiungermi con la Regina, grazie al tuo suggerimento. Ecco, riprendi la tua giacca». Il Re la restituì con aria solenne. «È colpa mia se tutti, a palazzo, sapranno...». «Che sono virile», concluse Trent. «Non è una vergogna. Ora Iris non
verrà mai a conoscere la debolezza che altrimenti avrei dimostrato. Ovviamente, in un momento simile non avrei dovuto provare attrazione per un'altra donna. Ma davanti a Millie l'ho provata. Perciò ho capito che c'era di mezzo la magia. Ma tu hai una situazione familiare difficile, e Millie evidentemente ti desidera... Bink, credo sia necessario allontanarti per qualche tempo, almeno fino a quando Millie non si sarà sistemata con qualcun altro». «Ma Chameleon... non posso lasciarla sola...». «Non preoccuparti. L'inviterò alla reggia, e sarà servita e assistita nel modo migliore. Anzi, credo che la stessa Millie sarebbe un'ottima cameriera per lei, fino a quando non troveremo una soluzione. È sufficiente che ti allontaniamo dalla tentazione. Poiché il tuo talento è potente ma mette a soqquadro la vita del palazzo, cercherò di guidarlo. Bink, ti comando di incominciare la tua missione: individuare la fonte della magia di Xanth». Il Re Trent tacque e Bink attese. Non accadde nulla. «Credo che il mio talento sia d'accordo», disse finalmente Bink. «Bene», disse il Re, rilassandosi. Era il solo a sapere quanto fosse pericoloso contrastare il talento di Bink. «Ti assegnerò tutti i mezzi necessari. Qualcuno che ti protegga, perché forse dovrai avventurarti in territori pericolosi e affrontare minacce non magiche. E qualcuno che ti faccia da guida...». Schioccò le dita. «Chester il centauro! È in una situazione familiare molto simile alla tua, e siete amici. Potrai cavalcarlo, e in caso di pericolo non potresti trovare un alleato migliore». «Ma i centauri non sono uomini. Potrebbe rifiutare». «È vero che nei confronti dei centauri ho soltanto un potere nominale. Non posso ordinargli di accompagnarti. Ma credo che sarà disposto ad arrivare fino al castello del Buon Mago Humfrey». «Perché?» chiese Bink perplesso. «Perché soltanto Humfrey può dirgli qual è il suo talento magico». Certo che il Re era al corrente di tutto! «Ma quella Risposta gli costerebbe un anno di servizio!». Il Re alzò le spalle. «Ma non c'è niente di male a parlare con Humfrey. Chester potrà venire con te per tenerti compagnia, e approfittarne per fare una chiacchierata con il Buon Mago». Finalmente Bink sorrise. «E Cherie la centauressa non lo saprebbe mai!». «Potresti parlarne con Chester». Il Re rifletté per qualche istante. «E Crombie... lui potrà indicarti la strada».
«Non credo che Crombie ce la farebbe a reggere l'andatura di Chester», disse Bink. «Nessun uomo può stare dietro a un centauro. E Chester non sarebbe disposto a portare due persone...». «È un problema facile da risolvere. Trasformerò Crombie in modo che possa stargli vicino. Un drago...». «Spaventerebbe la gente e attirerebbe l'attenzione...». «Sì, è vero. Un grifone, allora. Ce n'è qualcuno addomesticato, e la gente non s'incuriosirà troppo. La trasformazione lo priverà della parola, ma gli darà il potere di volare: è uno scambio accettabile. E in rapporto al peso, non esiste un animale da combattimento più efficiente di un grifone. Con un centauro e un grifone per compagnia, non dovresti temere nessuna minaccia mundana». Il Re tacque di nuovo. «Comunque, credo che faresti bene a chiedere il consiglio di Humfrey. Forse ci sono molte cose che non sappiamo». Bink si sentì pervadere dall'euforia. Una nuova avventura! «Maestà, ti troverò la sorgente della magia. Quando posso cominciare?». «Domattina», rispose sorridendo il Re Trent. «Adesso torna a casa e parla a tua moglie della missione. Ma non accennare a Millie, l'ex-spettro». «Oh, no!» confermò Bink, sorridendo a sua volta. Mentre stava per uscire, gli venne in mente un'altra cosa. «Sai che c'è una talpa magica, qui in giro?». Il Re accettò garbatamente la comunicazione. «Non lo sapevo ancora. Non ho obiezioni, purché non disturbi i sepolcri degli zombi». S'interruppe bruscamente. «Lo zombi...». «Ce n'era un altro in giardino, accanto al mucchio di terra. Forse era lo stesso». «A tempo debito ordinerò un'indagine». Il Re fissò Bink con aria tollerante. «Hai altre importanti informazioni da darmi?». «Uh, no», rispose Bink, imbarazzato. Perché aveva parlato al Re di quella faccenduola di poco conto? Aveva perso completamente il senso delle proporzioni. CAPITOLO TERZO CACCIA AI NICHELPIEDI Il mattino dopo partirono per la missione: tre maschi con problemi causati dalle loro donne. Tutti si dichiaravano lietissimi di allontanarsi dai guai e di lanciarsi nell'avventura. Crombie era soddisfatto della sua nuova
forma: spiegava di continuo le ali e faceva brevi voletti di prova. Per la verità, il soldato aveva motivo d'essere contento. Le zampe leonine avevano muscoli poderosi, la testa d'aquila era bellissima, con gli occhi penetranti, e le penne delle ali erano splendide. Il piumaggio del collo era azzurro, quello del dorso nero, e sul petto era rosso, mentre le ali erano candide. In tutto Xanth sarebbe stato difficile trovare un mostro più bello. Ma quelli erano i territori desolati, non un campo da gioco. Nel momento in cui lasciarono Castel Roogna, la magia ostile li circondò. Quasi tutti i sentieri della zona erano stati incantati per ordine del Re, e quindi c'erano pochi pericoli per i viaggiatori che non li abbandonavano. Ma il Buon Mago Humfrey non aveva mai amato molto la compagnia, e quindi non c'era una strada diretta che portasse al suo castello. Tutte le strade, magicamente, portavano lontano dalla residenza del Mago. E il viaggio non era sicuro. Per fortuna, il senso dell'orientamento di Crombie poteva avviarli nella direzione giusta. Ogni tanto il soldato-grifone si fermava, chiudeva gli occhi, tendeva un'ala o una zampa, girava su se stesso e si fermava indicando. Il suo talento non sbagliava mai. Purtroppo non teneva conto delle complicazioni causate da un percorso in linea retta. La prima cosa in cui s'imbatterono fu un macchione di campanelle infernali. I tralci delle piante si alzarono, e le campane lanciarono squilli stridenti. Il tintinnio divenne assordante... e sconvolgente. «Dobbiamo andarcene!» gridò Bink, ma sapeva che con quel chiasso gli altri non lo sentivano. Chester si tappava gli orecchi con le mani e sgroppava, prendendo a calci le campanelle... ma per ognuna che ne fracassava, altre dodici suonavano ancora più forte. Crombie spiegò le ali e le sbatté violentemente. Bink pensò che stesse per prendere il volo, ma il grifone piantò le quattro zampe unghiute nell'intrico di tralci e tirò verso l'alto. I tralci si tesero e il clangore delle campane divenne ancora più stridulo, poi si smorzò. La tensione impediva loro di oscillare, e quindi non potevano suonare. Bink e Chester ne approfittarono per scappar via. Poi Crombie lasciò la presa e s'involò, allontanandosi. Si erano liberati, ma quello era stato un avvertimento. Non potevano continuare ad andare avanti alla cieca, spensieratamente, come se viaggiassero sulla strada del Re. Proseguirono, evitando per prudenza gli alberi groviglio e le liane scorsoie. Crombie, adesso, si fermava spesso a controllare l'ubicazione dei pericoli più vicini, e non soltanto la direzione giusta. A volte dovevano evita-
re luoghi apparentemente innocui, passando tra erbe pruriginose e frane. Ma si fidavano del talento di Crombie: era meglio soffrire il prurito e scivolare, piuttosto che incontrare una fine ignominiosa. L'avventura non sembrava tanto esaltante, adesso che si trovavano a viverla. C'erano tanti piccoli dettagli fastidiosi e spiacevoli che, pensava Bink, si era portati a dimenticare quando si stava comodi in casa propria. Aveva le gambe indolenzite, a forza di sobbalzare sulla groppa del centauro, e sudava parecchio. Quando ebbero fame, Crombie indicò un albero analcolico che cresceva in un tratto di sabbia di zucchero. Chester prese una pietra aguzza e aprì un foro nella corteccia, e tutti poterono bere la linfa che sprizzava dall'albero. Sembrava sangue, e in un primo momento faceva impressione; ma aveva sapore di lampone. La sabbia di zucchero era troppo dolce, e poterono mangiarne solo un po'. Crombie allora indicò un albero del pane: quello andava molto meglio. Le pagnotte erano perfettamente mature, calde e fumanti, e avevano un sapore delizioso. Ma proprio quando i tre si sentivano di nuovo sicuri, il pericolo venne a cercarli. Il talento di Crombie funzionava solo quando veniva chiamato in causa; non era un allarme automatico. In questo caso, la minaccia era rappresentata da un drago di media grandezza, terragnolo e lanciafiamme. Era più o meno il peggior nemico che si potesse incontrare in Xanth, escludendo un drago grosso. Quei mostri erano i signori dei territori desolati, ed erano campioni di cattiveria e di ferocia. Se fosse stato più grande, per i tre sarebbe stata la fine. Ma poiché era di dimensioni medie, un uomo, un grifone e un centauro avevano una possibilità di battersi. Comunque, perché il drago era venuto a cercarli? Normalmente i draghi non attaccavano gli uomini e i centauri; si battevano con loro solo quando era necessario. Infatti, anche se il drago era padrone dei territori desolati, il numero, l'organizzazione e le armi degli uomini e dei centauri li rendevano avversari troppo formidabili. E alcuni uomini, come il Re, avevano a disposizione una magia che poteva liquidare qualunque drago. Normalmente, umani e draghi si evitavano a vicenda. Il nemico sconosciuto... poteva essere stato lui a mandare il drago? Una spintarella al cervellino bollente del drago... e il risultato sarebbe apparso come un normale incidente dei territori desolati. Bink ricordava l'analisi del Re: la magia del nemico era molto simile alla sua. Non era identica, naturalmente. Ma simile. E quindi insidiosa. Poi scorse un mucchietto di terriccio che sembrava fresco. La talpa ma-
gica lì? Tutto Xanth doveva essere infestato da quegli esseri! Crombie e Chester erano entrambi ardimentosi. Ma Bink, in ultima analisi, dipendeva dal suo talento segreto. Il guaio era che la protezione non si estendeva automaticamente sui suoi due amici. Bink poteva sperare di aiutarli solo partecipando in modo diretto allo scontro, perché allora il suo talento avrebbe dovuto salvarli, per salvare lui. Si sentiva colpevole, perché sapeva che il suo coraggio era falso; loro avrebbero potuto morire, mentre lui era incantato. C'era parecchia magia del genere in Xanth; sembrava che amasse avvilupparsi nel mistero superfluo, facendosi più bella. Comunque, erano stati sorpresi in una radura pianeggiante, il terreno da caccia ideale per il drago. Non c'erano grossi alberi che offrissero un riparo, e non c'erano magie locali di cui potessero servirsi. Il drago s'era lanciato alla carica, e un fascio di fiamme gli scaturiva dalla bocca. Una vampata sarebbe stata sufficiente per arrostire un uomo. Come tutti dicevano, i draghi apprezzavano molto il sapore degli umani arrosto. Chester stringeva l'arco con una freccia incoccata. Era armato di tutto punto con arco, frecce, spada e un rotolo di corda, e sapeva come usarli. «Tenetevi lontani dalle fiamme!» urlò. «Deve riformarle tra uno sbuffo e l'altro. Quando vedete che si gonfia, spostatevi!». Era un buon consiglio. Un essere delle dimensioni di un drago era inevitabilmente un po' lento nelle manovre, e il getto di fiamma doveva venire scagliato con precisione. Anzi, forse sarebbero stati più al sicuro vicino al mostro, per schivarlo rapidamente in modo che lui non potesse orientarsi. Ma non troppo vicino, perché le zanne e gli artigli di un drago erano terribili. Ma anche Crombie aveva gli artigli, e il suo rostro valeva quanto una bocca dentata. E aveva il vantaggio di volare. Poteva manovrare più svelto del drago nonostante la sua massa, anche se naturalmente era molto più leggero. Però non era un grifone naturale, e quindi non avrebbe potuto reagire con la stessa velocità e precisione. Bink era l'anello più debole della difesa... o almeno così sarebbe parso agli altri. «Bink, stai indietro!» gli gridò Chester quando lo vide avanzare. Bink non poteva spiegare al centauro perché si stava comportando con apparente stoltezza. Il drago rallentò quando fu più vicino, e fissò l'avversario più temibile... il grifone. Crombie lanciò un urlo di sfida e si avventò volteggiando verso la coda del drago. Quando la testa del mostro si girò per seguirlo, Chester gli scagliò una freccia nel collo. Il dardo era stato tirato con una potenza
che solo un centauro poteva avere, tuttavia rimbalzò sulle squame metalliche del drago. «Devo tirare in bocca... quando non lancia fiamme», borbottò Chester. Bink sapeva che era pericolosissimo. Era possibile colpirlo in bocca solo piazzandosi davanti al drago quando l'apriva... e normalmente l'apriva solo per mordere o sbuffare fiamme. «No!» gli gridò. «Lascia che Crombie ci trovi una via di scampo». Ma Crombie non lo sentiva, ed era occupato, e comunque l'ostinato centauro non era disposto a scappare. Se non avessero attaccato il drago, il drago avrebbe annientato loro. Bink avanzò brandendo la spada e cercò un punto vulnerabile. Più si avvicinava e più il drago gli sembrava grosso. Le squame erano sovrapposte: erano impenetrabili per le frecce, ma forse non lo erano per una lama, se Bink fosse riuscito a insinuarla tra le squame. Se fosse riuscito a colpirlo a un organo vitale... Crombie si avventò in picchiata, gettando grida stridule. Neppure un drago poteva permettersi di ignorare la picchiata d'un grifone. Si voltò di scatto, avvolgendosi su se stesso, e alzò la testa in cerchio per intercettare l'avversario. Spalancò le fauci enormi, ma non era pronto a eruttare il fuoco; aveva intenzione di strappargli un'ala o la testa, evidentemente. Inclinò il collo verso Bink, che non riteneva pericoloso. Chester tirò alla bocca, ma non era nell'angolazione giusta, e la freccia rimbalzò su un dente. Crombie si avvicinò, con gli artigli sguainati, e virò per evitare le fauci spalancate e colpire un occhio. Bink accorse, e piantò la punta della spada nelle scaglie sotto il collo. Il corpo del drago aveva uno spessore equivalente alla statura di Bink, e ogni squama aveva il diametro d'una mano allargata, ed era azzurra, lucida e frangiata d'iridescenza, affilata come un coltello. Mentre la lama di Bink affondava, le squame fulgide e letali scivolarono più vicino alla sua mano. Si rese conto bruscamente che poteva ferirsi in modo grave prima che la spada causasse danni seri al mostro. Era veramente inutile che un uomo cercasse di uccidere un drago! L'affondo, tuttavia, era fastidioso, come poteva esserlo una spina per un uomo. Il drago si voltò di scatto per vedere la causa di quella seccatura, e piegò il collo in una curva a S per puntare il muso verso Bink. Da quella posizione, il muso sembrava due volte più grosso. Era color rame, con due valvole-narici incardinate in modo da impedire la fuoriuscita dell'aria. Il drago inspirava attraverso il naso ed espirava dalla bocca; probabilmente le
fiamme avrebbero rovinato i delicati condotti nasali, quindi il sistema doveva essere infallibile. Le labbra erano brunite e un po' più chiare, come se fossero formate da una lega con un metallo più robusto, in grado di tollerare il calore tremendo dell'alito. I denti erano scuri di fuliggine negli interstizi. Gli occhi erano situati ai lati del cranio, ma il muso era piazzato in modo che il drago potesse guardare direttamente davanti a sé, per orientare il getto di fuoco. In quel momento gli occhi erano fissi su Bink, che stava con una mano sull'impugnatura della spada piantata nella parte più bassa della curva del collo. Come tutti gli esseri, i draghi erano più o meno intelligenti, ma anche un drago stupido avrebbe collegato Bink alla ferita, in quelle circostanze. Le valvole delle narici si chiusero di scatto. La bocca si aprì per arrostire Bink. Bink restò immobile. Riusciva a pensare soltanto alla sua spada: era un'arma eccellente, incantata, che restava sempre affilata e leggera nella sua mano. Era un dono proveniente dall'arsenale del Re. Se si fosse spostato, avrebbe dovuto lasciare la sua fedele arma piantata nel collo del drago, perché non c'era il tempo di svellerla. Non voleva perderla, e quindi la teneva stretta... e non poteva evitare lo sbuffo di fiamma. Nel ventre del drago risuonò un rombo. La gola si aprì, pronta a eruttare la colonna di fuoco. E Bink era un bersaglio immobile. Poi una freccia passò sibilando sopra la spalla di Bink e scese in quella gola spalancata. Un tiro perfetto del centauro. Troppo perfetto. Anziché penetrare nel rivestimento morbido della strozza e perforare un organo vitale, la freccia sparì nella fiamma. Poi la fiamma scaturì, in un fascio letale di luce dorata, distrusse la freccia e balenò verso la testa di Bink. E il grifone si avventò contro il muso del drago, abbassandolo nell'attimo in cui fuoriusciva il fuoco. Il muso sbatté a terra ai piedi di Bink. Vi fu una specie di esplosione. La testa del drago venne avvolta dalla fiammata, e un piccolo cratere si aprì nel terreno. Poco mancò che il grifone ci rimettesse un'ala. Bink restò lì, con la spada in mano, indenne, sull'orlo del cratere. Il grifone afferrò Bink con gli artigli mentre il drago ritrovava l'orientamento. Erano in aria quando un secondo fascio di fuoco passò sotto i piedi di Bink. Crombie non poteva sostenere per molto tempo il peso di Bink al suolo, e ancor meno in aria. «Trova una via di scampo!» gridò Bink. «Usa il tuo
talento!». Sorpreso, il grifone lo lasciò cadere in un cespuglio di cuscini e roteò in volo, cercando la direzione. Il drago, intanto, eruttò numerose sfere di fuoco polverose, sprizzò una pioggia di fuliggine, si schiarì la gola e si avventò alla carica. Chester gli galoppava al fianco, cercando la possibilità di un buon tiro. Era evidente che quel drago era troppo duro, anche per tutti e tre insieme. Crombie indicò sulla destra con la punta dell'ala. «Squawk!» gridò. Chester tornò indietro, di carriera. «Saltami in groppa!» urlò. Bink spiccò un balzo, e finì sui quarti posteriori del centauro. Si accorse di scivolare, si aggrappò disperatamente alla criniera e si raddrizzò mentre Chester continuava a galoppare a testa bassa. Per poco Bink non cadde in avanti, ma strinse forte le ginocchia e si aggrappò più forte. Alzò gli occhi... e vide che il drago li stava caricando. Il mostro doveva essere tornato indietro a sua volta! «Chester!» urlò terrorizzato. «È davanti a noi!». «Davanti un corno!» gridò il centauro, dietro di lui. «Sei girato all'indietro, stupido!». Già. Proprio così. Il drago li inseguiva, cercando di raggiungerli, e Bink stava aggrappato alla bella coda di Chester. Non era strano, se gli era sembrato che tenesse la testa bassa! Bene, era un buon sistema per tener d'occhio il drago. «Il mostro guadagna terreno», riferì Bink. «Dove sta indicando Crombie?». «Proprio dove sto andando io!» gridò di rimando Chester. «Ma non so quanto sia lontano!». La sua rabbia era comprensibile; non gli piaceva fuggire davanti a un nemico, anche se era formidabile come il drago. Se non fosse stato per Bink, il centauro non si sarebbe mai ritirato. Crombie aveva indicato la direzione, ma non poteva sapere se si sarebbero messi tempestivamente in salvo. E se il drago li avesse raggiunti prima? Bink temeva che il suo talento avrebbe dovuto entrare di nuovo in azione. «Non avevo mai visto un simile atto di coraggio da parte di un uomo», gridò Chester. Evidentemente pensava che i centauri avessero un ardimento eccezionale. «Ti sei piantato davanti alla bocca del drago per attirare la sua attenzione e sei rimasto assolutamente immobile, perché io potessi prendere bene la mira. Hai rischiato di finire arrosto». O trafitto dalla freccia del centauro. Ma raramente i centauri sbagliavano il bersaglio. «Non è stato coraggio», rispose Bink. «Ero troppo atterrito per
muovermi». «Davvero? E quando hai piantato la spada nel collo di quel vecchio lanciafiamme?». Sì, poteva essere apparso come un gesto di coraggio. Come poteva spiegare, Bink, che la protezione garantita dal suo talento segreto gli facilitava le cose? Se avesse creduto nella possibilità di venire ucciso, forse non avrebbe mai osato farlo. «Ho fatto solo quel che stavate facendo voi due: attaccavo. Per salvarmi la pelle». Chester sbuffò e continuò a galoppare. E il drago continuava a ridurre le distanze. Se fosse stato un drago volante sarebbero stati perduti... a parte il fatto che i draghi volanti erano più piccoli, e quindi meno potenti. Ma qualunque drago era pericoloso, a meno che l'essere attaccato possedesse una contromagia. Ormai il drago era a portata di fuoco. Il naso era sporco di terriccio, ma la fornace era carica. Aprì la bocca... Chester precipitò in una buca. «Tieniti forte!» gridò, troppo tardi. «Il crepaccio è troppo largo per attraversarlo!». Era evidente. Bink rischiò di fare una capriola sopra la coda di Chester, si aggrappò, e atterrò con un tonfo da scardinare le viscere. Le pareti salirono rapidamente intorno a lui. Dovevano essersi avvicinati di sbieco al crepaccio, ed era abbastanza facile discenderlo. Doveva essere quella, la via di scampo indicata da Crombie. Anzi, il grifone stava tagliando verso di loro per raggiungerli. Ma il drago li seguì. Il lungo corpo sinuoso era ben adattato per quel tipo di aperture. Non esisteva un crepaccio dove potesse nascondersi un centauro senza che il drago lo seguisse. Bink era incerto: poteva essere una diversione, anziché la via di scampo? All'improvviso Chester si arrestò, slittando. «Non fermarti!» gridò Bink. «Il mostro è dietro di noi!». «Bella via di scampo ci ha trovato quel cervello di gallina», borbottò irritato il centauro. «Avremmo fatto meglio a batterci con il drago». «Dovremo farlo», disse Bink, girandosi verso la testa di Chester. «Non possiamo distanziarlo...». Poi vide perché Chester s'era fermato. «I nichelpiedi!» gridò, ancora più inorridito. Anche il drago vide i nichelpiedi. Frenò, si fermò e tentò di girarsi... ma il crepaccio era troppo stretto. Avrebbe potuto avvolgersi in spire su se stesso, ma in quel modo avrebbe esposto di nuovo il collo già ferito.
Crombie atterrò in mezzo a loro. «Era questa la tua via di scampo, cervello di gallina?» chiese Chester, mentre i nichelpiedi si avvicinavano, formando barricate viventi dovunque ci fosse ombra e tagliando ogni possibilità di ritirarsi. «Squawk!» rispose rabbiosamente il grifone. Capiva benissimo l'insulto, anche se non poteva rispondere a tono. Si alzò, ripiegando le ali perché non sbattessero contro le pareti. Chiuse gli occhi, girò goffamente su se stesso e tese una zampa anteriore. Ma la zampa non era ben salda: ondeggiava in semicerchio. Alcuni nichelpiedi, più ardimentosi degli altri, vennero all'attacco. Ognuno aveva cinquecento zampe e una coppia di mandibole, e ognuno prediligeva la carne fresca. Era possibile uccidere un nichelpiedi, con un certo sforzo non proprio piacevole; ma cento erano insormontabili, senza un'armatura straordinaria o la magia. Ma bisognava tentare, perché se c'era una cosa peggiore che venire arrostiti da un drago, era essere fatti a pezzi dai nichelpiedi. Il drago guaì. Un nichelpiedi gli si era attaccato alla zampa anteriore e stava staccando un pezzo di carne del diametro d'un pollice. Gli artigli del drago erano di ferro, ma le mandibole del nichelpiedi erano di nichelio indurito dalla magia, e potevano trapassare qualunque cosa, in pratica. Chester ridacchiò cupamente. Poi spiccò un balzo verticale, lanciando un grido che sembrava un nitrito. Un altro nichelpiedi gli aveva staccato un pezzo di zoccolo. Chester ripiombò, per calpestare con furore il mostriciattolo. Ma il nichelpiedi corse via, evitando il colpo... mentre altri assalivano gli altri zoccoli di Chester. Questa volta fu il drago a ridacchiare. Ma non era una situazione divertente. Il crepaccio era profondo, piatto tra le pareti verticali di roccia. Era troppo profondo perché Bink potesse uscirne con un balzo. Avrebbe potuto farcela montando sulla groppa di Chester... ma il centauro come ne sarebbe uscito? Il drago poteva sollevare la testa a quell'altezza... ma non le zampe anteriori. Solo il grifone poteva fuggire... ma il crepaccio era troppo stretto e gli impediva di spiegare le ali. Era atterrato planando, ma per decollare avrebbe dovuto muoversi ben più energicamente. Con l'aiuto di Chester avrebbe potuto alzarsi abbastanza... ma, e Chester? Erano prigionieri della situazione non meno che delle pareti. Tra poco sarebbero finiti in pasto allo sciame, se non fossero usciti in fretta. Ma la mole del drago bloccava l'uscita. Il mostro si muoveva nervo-
samente, cercando di sollevarsi dal suolo per non farsi mordere, mentre i nichelpiedi gli attaccavano allegramente le zampe. Anche Chester si comportava allo stesso modo, e anche Crombie, che per il momento era impossibilitato a volare. E Bink... che aveva le estremità più delicate di tutti. Dov'era finito il suo talento? «È soltanto la luce che li tiene a bada», disse Chester. «Quando il sole si sposterà, li avremo tutti addosso». Bink guardò la linea d'ombra. In quel momento il sole era alto, e c'era appena un piccolo tratto buio. Ma quell'area era piena di mostriciattoli. Solo un nichelpiedi su cento si azzardava a muoversi nella luce, per correre nell'ombra del corpo di qualcuno... ma anche così, ne stava arrivando una dozzina. Poi Bink ebbe un'ispirazione. «Dobbiamo collaborare!» gridò. «Tutti... prima che ci divorino!». «Certo», disse Chester. «Ma come ci sbarazziamo del drago?». «Collaborare con il drago, voglio dire!». Chester, Crombie e il drago lo guardarono, egualmente sbalorditi. Stavano ancora saltellando per evitare i nichelpiedi. «Un drago è troppo stupido per collaborare, anche se volesse», obiettò Chester. «Ammesso che serva a qualcosa. Nel cervello di questo mostro c'è solo una luce pilota. Perché aiutarlo a mangiarci?». «Dovremmo concludere una tregua», disse Bink. «Noi lo aiutiamo, e lui non ci mangia. Non può girarsi, non può sollevare il corpo da terra. Perciò è vulnerabile quanto noi. Ma può combattere i nichelpiedi molto meglio di noi. Quindi noi gli proteggeremo i fianchi...». «La fiamma!» esclamò il centauro. «I nichelpiedi odiano la luce... e la fiamma è luminosa!». «Giusto», disse Bink. «Noi proteggiamo la parte al buio, e i piedi...». «E il posteriore», aggiunse Chester, lanciando un'occhiata a Crombie. «Se si fida di noi...». «Non ha scelta», disse Bink, muovendosi verso il drago. «Lui non lo sa! Stai attento... ti brucerà!». Ma Bink, protetto dalla sua magia, sapeva che non sarebbe finito bruciato. Si avvicinò al naso del drago e si fermò davanti alle narici di rame. Ne uscivano fili di fumo: l'impianto perdeva un po', quando era in ozio. «Drago», disse, «mi capisci, vero? Non puoi parlare, ma sai che siamo tutti nei guai, e finiremo a pezzi, divorati dai nichelpiedi, se non collaboriamo per combatterli». E spiccò un balzo per evitare l'assalto di un altro nichelpiedi.
Il drago non reagì. Si limitò a fissarlo. Bink si augurò che fosse un buon segno. Sguainò la spada, prese di mira il nichelpiedi e lo trafisse con la punta. Il mostriciattolo si aggrappava alla vittima con qualche centinaio di zampe e prelevava un boccone di carne. Orribile! «Io posso eliminare un nichelpiedi alla volta», continuò Bink, mostrando la sua preda all'occhio destro del drago. «Posso sedermi su una delle tue zampe e proteggerla. Il mio amico centauro potrebbe difendere la tua coda. Il grifone, che è un soldato trasformato ed è egualmente amico mio, potrebbe scacciare i nichelpiedi che ti cadessero sulla schiena, e stritolarli con il becco. Noi possiamo aiutarti... se ti fidi di noi». «E noi, come possiamo fidarci di lui?» chiese Chester. Anche stavolta il drago non reagì. Era stupido, o aveva capito? Finché ascoltava, Bink doveva presumere che tutto andasse bene. «Ecco ciò che dobbiamo fare», continuò in fretta, perché l'ombra stava avanzando e i nichelpiedi diventavano più baldanzosi. Tre si avvicinavano ai piedi di Bink: sarebbe stato difficile infilzarli tutti in tempo utile. «Noi tre ti passeremo addosso per raggiungere la coda e le zampe posteriori. Crombie starà appollaiato sulla ma schiena. Quindi devi lasciarci passare, e sopportare il nostro peso. Faremo tutto il possibile per conservare intatte le tue squame. Ma il compito più importante è il tuo. Quando saremo alle tue spalle, arrostisci tutti i nichelpiedi che ti stanno davanti. Tutti! A loro la luce non piace, e sloggeranno. Poi potremo uscire di qui. D'accordo?». Il drago continuò a fissarlo. Aveva capito? Chester intervenne: «Drago, tu sai che i centauri sono esseri d'onore. Lo sanno tutti! Ti do la mia parola: non ti attaccherò, se mi lascerai passare. Conosco Bink: sebbene sia un uomo, anche lui è un essere d'onore. E il grifone...». Esitò. «Squawk!» disse rabbiosamente Crombie. «Anche Crombie è un essere d'onore», si affrettò a dichiarare Bink. «E presumiamo che lo sia anche tu, drago». Ma il drago si limitava ancora a fissarlo. Bink capì che avrebbe dovuto rischiare. Forse il drago era troppo stupido per capire la proposta, o forse non si fidava. Era possibile che non avesse modo di rispondere: e loro dovevano puntare su quell'eventualità. «Ora mi arrampicherò sulla tua schiena», disse Bink. «I miei amici mi seguiranno. La tregua durerà fino a quando saremo tutti usciti dal crepaccio». Una tregua. Aveva imparato ad apprezzare quel genere di compromesso più di un anno prima, quando lui e Chameleon avevano concluso una tre-
gua con il Mago Malefico. Li aveva salvati tutti dal disastro nei Territori Desolati. Sembrava che non esistesse un nemico troppo terribile per non trattare con lui nel momento del pericolo. Si rivolse di nuovo al drago silenzioso. «Se non credi, bruciaci subito, e affronta da solo i nichelpiedi». Arditamente, girò intorno alla testa del drago, verso la base del collo, dove spuntavano le zampe anteriori. Il drago non lo bruciò. Vide la ferita che gli aveva fatto nel collo: lasciava sgocciolare l'icore che un nichelpiedi beveva avidamente. Il mostriciattolo stava scavando la pietra per assorbire ogni goccia di quella leccornia. Dovevano essere i mostri più rapaci della Terra di Xanth, in rapporto alle dimensioni! Bink rinfoderò la spada, dopo aver staccato il nichelpiedi infilzato; tese le mani e saltò. Superò con la testa e il petto la zampa del drago, e cominciò a inerpicarsi sulle squame. Erano appiattite, e non lo tagliavano... finché non le strofinava controsenso. Il drago non si mosse. «Venite, Chester, Crombie!» chiamò Bink. Spronati dal richiamo e dai nichelpiedi che li assediavano, i due lo seguirono. Il drago li fissò guardingo, ma non lanciò sbuffi di fiamma. Ben presto, i tre raggiunsero i posti di combattimento. Appena in tempo: i nichelpiedi si erano ammassati così fitti che le pareti in ombra erano rischiarate dai loro riflessi. L'ombra avanzava inesorabile. «Brucia davanti a te!» urlò Bink al drago. «Noi ti proteggiamo i fianchi!». Sguainò la spada e infilzò un altro nichelpiedi. Il drago eruttò una tremenda ondata di fuoco. Bruciacchiò tutto il crepaccio, oscurando ogni cosa con le fiamme e il fumo. Fu come se fosse caduto un fulmine. I nichelpiedi lanciarono grida stridule, caddero dalle pareti, bruciando. Qualcuno esplose. Vittoria? «Benissimo», disse Bink al drago, asciugandosi gli occhi lacrimosi. Era stato investito da una zaffata di gas caldissimo. «Adesso indietreggia». Ma il mostro non si mosse. «Non può», disse Chester. «Le sue zampe non funzionano in quel modo. Un drago non indietreggia mai». Bink si rese conto che era vero. Il drago era agile, e normalmente si girava su se stesso per invertire la marcia. Le zampe e i piedi erano strutturati in modo da muoversi solo in avanti. Non era strano che non avesse espresso il suo consenso per la proposta di Bink: non poteva fare ciò che gli veniva chiesto. Non parlava, e non poteva spiegarsi: una negazione sarebbe parsa un rifiuto della tregua. Anche un essere molto intelligente si sa-
rebbe trovato alle prese con un dilemma serio, in una situazione del genere, e il drago non era troppo sveglio. Perciò non si era mosso. «Ma allora possiamo soltanto avanzare ancora di più nel crepaccio!» esclamò Bink, sgomento. «O aspettare che si faccia buio». In entrambi i casi sarebbe stato un disastro; nell'oscurità assoluta, i nichelpiedi si sarebbero avventati in massa e li avrebbero divorati. Che destino orribile! La fiamma del drago non poteva durare in eterno; era necessario che si rifornisse di combustibile. Era stato appunto ciò che aveva cercato di fare all'inizio, inseguendoli. Non appena i suoi fuochi si fossero spenti, i nichelpiedi sarebbero tornati all'attacco. «Non è possibile salvare il drago», disse Chester. «Montami in groppa, Bink. Uscirò di qui al galoppo, ora che abbiamo superato l'ostacolo. Crombie può decollare dalla schiena del drago e volar via». «No», rispose con fermezza Bink. «Sarebbe una violazione della tregua. Ci siamo accordati per salvare anche lui». «Non è vero», ribatté irritato il centauro. «Ci siamo impegnati a non attaccarlo. Non lo attaccheremo. Ci limiteremo ad abbandonarlo». «Per lasciare che l'attacchino i nichelpiedi?» scattò Bink. «Io non l'intendevo così. Tu vattene, se vuoi; io porterò a termine l'impegno, nel senso sottinteso e in quello letterale». Chester scrollò il capo. «Non soltanto sei l'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto, sei anche testardo come un vero umano». Testardo e coraggioso. Bink si augurò che fosse vero. Sostenuto dal suo talento, poteva correre rischi e mantenere impegni che altrimenti avrebbe rifiutato. Crombie e Chester avevano il coraggio autentico: sapevano che avrebbero potuto morire. Ancora una volta si sentì preso dai rimorsi, poiché sapeva che in un modo o nell'altro se la sarebbe cavata, mentre i suoi amici non avevano la stessa certezza. Eppure era sicuro che non l'avrebbero abbandonato. Quindi era bloccato: li aveva messi in un pericolo terribile... per onorare la tregua con un nemico che aveva cercato di ucciderli tutti. Quale era il comportamento più morale?». «Se non possiamo indietreggiare, dobbiamo andare avanti», decise Chester. «Di' al tuo amico di muoversi». Era un'ironia pesante... ma Chester non era un tipo molto sottile. Anzi, era polemico e rissoso. Ma era un amico fedele. Il rimorso di Bink si intensificò. La sua unica speranza era che, siccome si trovavano tutti nello stesso guaio, il suo talento li avrebbe tirati fuori insieme. Forse. «Drago, se non ti spiace...» grido Bink. «Forse più avanti c'è un'uscita».
«E forse la luna non è fatta di formaggio verde», mormorò Chester. Era un sarcasmo; ma Bink ricordò quando, durante la sua infanzia, c'era stata quella che i centauri chiamavano un'eclissi; il sole era andato a sbattere contro la luna e ne aveva staccato un grosso pezzo, e un enorme fetta di formaggio era caduta sulla terra. Tutti gli abitanti del Villaggio Nord s'erano ingozzati prima che andasse a male. Il formaggio verde era il migliore... ma cresceva bene soltanto in cielo. Anche le migliori torte erano in cielo. Il drago avanzò pesantemente. Bink gli cinse la caviglia con le braccia per non cadere: ma era peggio che cavalcare un centauro! Crombie spiegò parzialmente le ali per tenersi in equilibrio, e Chester, che era girato dalla parte opposta, trottò a ritroso, sbalordito. Quella che per un drago era un'andatura prudente, per gli altri era un passo sostenuto. Bink temeva che il crepaccio si restringesse e impedisse di proseguire. Allora avrebbe avuto veramente una crisi di coscienza! Invece si estendeva in avanti all'infinito, incurvandosi avanti e indietro. Non c'erano uscite visibili. Ogni tanto il drago sgombrava la strada con uno sbuffo di fiamma, ma Bink notò che il fuoco si andava indebolendo. Occorreva parecchia energia per eruttare quelle vampe, e il drago era affamato e stanco. Tra poco non sarebbe più riuscito a scacciare i nichelpiedi. Chissà se ai draghi piaceva il formaggio verde? Che pensiero assurdo! Anche se il formaggio avesse potuto alimentare il fuoco, in quel momento la luna non c'era, e anche se fosse stata nel cielo, come avrebbero potuto raggiungerla? Poi il crepaccio si biforcò. Il drago si fermò, perplesso. Quale era il percorso più promettente? Crombie chiuse gli occhi e girò su se stesso come poteva, sul dorso del drago. Ma anche questa volta la sua ala indicò in modo incerto, escludendo le due biforcazioni e ricadendo. Evidentemente il talento di Crombie aveva bisogno d'un Guaritore di Incantesimi... e nel momento meno opportuno. «Puoi star sicuro che quel cervello di gallina combinerà un pasticcio», borbottò Chester. Crombie, il cui udito d'aquila evidentemente era in perfetta forma, reagì con uno scatto rabbioso. Strillò e si avviò verso il centauro, rizzando le penne del collo come la gorgiera di un lupo mannaro. «Calmati!» gridò Bink. «Non ne usciremo più se litighiamo tra di noi!». Riluttante, Crombie tornò al suo posto. A quanto pareva, toccava a Bink scegliere la strada. C'era una possibilità che i due rami del percorso girassero per incontrarsi più avanti? In quel caso, era il sistema migliore per far voltare il drago: co-
sì avrebbero potuto uscire tutti insieme. Ma gli sembrava improbabile. Comunque, se era così, qualunque strada sarebbe andata bene. «Vai a sinistra». Il drago si avviò nel crepaccio di sinistra. I nichelpiedi li seguirono. Diventava sempre più difficile scacciarli; non soltanto l'ombra avanzava, ma l'angolazione obliqua del passaggio lasciava meno spazio ai raggi solari. Bink guardò il cielo... e scoprì che la situazione era anche più grave di quanto sembrasse. Si stavano formando ammassi di nubi. Presto non ci sarebbe più stato il sole. E i nichelpiedi sarebbero partiti all'attacco... Il crepaccio si ramificava di nuovo. Oh, no! Stava diventando un labirinto... gran brutta faccenda. Se si fossero perduti... «Ancora a sinistra», disse Bink. Era terribile: tirava a indovinare, e li metteva in guai sempre peggiori. Se almeno il talento di Crombie avesse funzionato! Era strano che avesse fatto fiasco. Era sembrato in perfetto ordine fino a che erano entrati nel crepaccio. Anzi, l'aveva indicato. Perché li aveva mandati in un posto che gli impediva di funzionare? E perché il talento di Bink lo permetteva? Anche quello non funzionava più? All'improvviso ebbe paura. Non aveva notato fino a che punto aveva finito per dipendere dal suo talento. Senza quello, era vulnerabile! Poteva essere danneggiato o ucciso dalla magia! No! Non poteva crederlo. Il suo talento doveva persistere... e anche quello di Crombie. Doveva soltanto scoprire perché al momento non funzionavano a dovere. Non funzionavano a dovere? E come poteva sapere che fosse così? Forse i due talenti stavano cercando di fare del loro meglio, e non venivano interpretati nel modo esatto. Come il drago, erano potenti ma silenziosi. Crombie doveva soltanto fare la domanda giusta. Se chiedeva: «Quale strada porta fuori dal labirinto?» era possibile che la risposta fosse... tutte, o nessuna. Che cosa avrebbe fatto allora il suo talento? Se avesse chiesto la direzione esatta per uscire, e se quella strada era curva, l'ala o la zampa non avrebbero dovuto incurvarsi a loro volta? Non c'era un'unica direzione, una scelta precisa: la via di scampo era un labirinto. Perciò Crombie era perplesso e credeva che il suo talento l'aveva tradito, quando forse s'era semplicemente arreso per l'irritazione. E se il talento di Bink lo sapeva... Non si sarebbe preoccupato: gli avrebbe mostrato il modo per far funzionare quello di Crombie, a tempo debito. Ma sarebbe stato meglio se Bink avesse trovato da solo la via dell'uscita. Così avrebbe salvato l'onore e l'amicizia.
Quindi adesso toccava a lui. Come poteva risolvere l'enigma del talento bloccato? Evidentemente, una direzione precisa non era la risposta. Eppure il talento di Crombie era direzionale. Chiedeva dov'era qualcosa, e il talento magico gli mostrava la direzione. Se in questo caso la direzione non costituiva la risposta, che cosa la costituiva... e Crombie come poteva identificarla? Forse avrebbe potuto servirsi del talento di Crombie per scoprirlo. «Crombie», gridò. «Dov'è qualcosa che ci tirerà fuori di qui?». Il grifone eseguì prontamente la solita manovra, ma invano. «È inutile», borbottò Chester. «Il suo talento non funziona più. Non che fosse mai stato gran cosa. Ora, se io avessi un talento...». Crombie strillò, in un tono che equivaleva a un discorso, per indicare dove il centauro poteva mettersi quel talento. Chester arrossì fino agli orecchi. «Sei appunto in viaggio per scoprirlo», gli rammentò Bink. «Per ora, abbiamo soltanto Crombie. Credo che ci sia una chiave, purché la troviamo in tempo». S'interruppe per infilzare un altro nichelpiedi. Morivano lentamente, ma non attaccavano più, quando venivano trafitti. Non potevano: i loro compagni si affrettavano a divorarli. Tra poco sarebbe stato impossibile pensare ad altro che ai nichelpiedi! «Crombie, dov'è qualcosa che possa mostrarci come uscire di qui?». «L'hai appena chiesto», brontolò Chester. «No, ho modificato leggermente l'espressione. Mostrare non è la stessa cosa che...». S'interruppe per osservare il grifone. Per un momento parve che il talento di Crombie funzionasse; ma poi l'ala tremolò avanti e indietro e ricadde. «Comunque, forse ci stiamo avvicinando alla soluzione», disse Bink. «Crombie, dov'è qualcosa che possa fermare i nichelpiedi?». L'ala di Crombie puntò verso l'alto. «Sicuro», disse Chester, disgustato. «Il sole. Ma si sta nascondendo dietro le nubi». «Almeno, questo dimostra che il suo talento funziona». Arrivarono a un'altra biforcazione. «Crombie, quale crepaccio ci porterà più vicino a qualcosa che possa aiutarci?» chiese Bink. L'ala puntò con fermezza verso destra. «Ehi, ha funzionato davvero!» esclamò ironicamente Chester. «A meno che lui simuli». Crombie proruppe in un altro stridio insultante che quasi sarebbe bastato da solo ad arrostire qualche nichelpiedi.
Ma ormai la nube aveva coperto il sole, sprofondando l'intero crepaccio in un'ombra spaventosa. I nichelpiedi avanzarono ticchettando soddisfatti. «Drago, vai a destra!» gridò Bink. «Soffia davanti a te e corri. Usa le ultime riserve di fuoco, se è necessario. Siamo sulle tracce di qualcosa di utile». Almeno se lo augurava. Il drago lanciò una colonna di fiamma che illuminò il passaggio per un lungo tratto. Ancora una volta i nichelpiedi stridettero e morirono. Il drago galoppò sui loro corpi fumanti, trasportando Bink, Chester e Crombie. Ma cominciava a dar segni di stanchezza. Qualcosa luccicava più avanti nel passaggio. Bink riprese fiato, speranzoso... ma quasi subito si accorse che era soltanto un fuoco fatuo. Quello non poteva aiutarlo! Non poteva? Di colpo, Bink ricordò qualcosa. «Ecco!» gridò; «Drago, segui il fuoco fatuo!». Il drago obbedì, nonostante il nitrito incredulo di Chester. Non lanciò altre fiamme, perché la sua fornace era quasi esaurita: ma poteva ancora correre a una velocità rispettabile. Il fuoco fatuo guizzava, come avevano sempre fatto tutti i fuochi fatui, quasi al limite della percezione. Era il loro divertimento. Il drago lo seguì pesantemente, una biforcazione dopo l'altra, completamente sperduto... e all'improvviso uscì sul letto prosciugato di un fiume. «Siamo usciti!» gridò Bink. Quasi non ci credeva. Ma non erano ancora in salvo. I nichelpiedi stavano uscendo a frotte dal crepaccio. Bink e Chester balzarono dalla schiena del drago e si arrampicarono fuori dal greto. Si trovarono in mezzo alle ceneri di un vecchio incendio. Crombie spiegò le ali e si lanciò nel cielo con un grido di sollievo. I nichelpiedi non inseguirono neppure il drago; non potevano correre forte tra la cenere, e temevano di essere sorpresi dal ritorno del sole. Ormai erano al sicuro. Il drago si accasciò ansimando, in una nuvola di cenere. Bink si avvicinò al muso. «Drago, ci siamo battuti lealmente, e tu stavi per vincere. Siamo fuggiti, e ci hai inseguiti, e siamo finiti tutti nel crepaccio. Abbiamo concluso una tregua per salvarci, e tu l'hai mantenuta onorevolmente come noi. Collaborando ci siamo salvati tutti. Ora preferirei averti come amico che come nemico. Accetti di fare amicizia con noi tre prima che ci separiamo?». Il drago lo guardò. Finalmente inclinò in avanti il naso in segno di assenso.
«Arrivederci... e buona caccia», disse Bink. «Ecco, possiamo darti un aiuto. Crombie, dov'è una buona preda qui vicino... qualcosa che anche un drago stanco possa catturare?». Crombie roteò nell'aria e tese un'ala. Indicava a nord... e sentirono il rumore di qualcosa di grosso che si dibatteva, probabilmente impigliato in un cespuglio di liane scorsoie. Un animale grasso e stupido, che sarebbe morto lentamente nei cappi, se non fosse stato liquidato più pietosamente da un drago. «Buona caccia», ripeté Bink, battendo la mano sul naso di rame tiepido del drago. Il dragò si avviò verso nord. «Ma perché?» chiese Chester sottovoce. «Non abbiamo bisogno dell'amicizia d'un drago». «Volevo che ci fosse amico qui», disse Bink. «È un posto speciale, dove dovrebbe esistere pace tra tutte le creature di Xanth». «Sei impazzito? Qui è tutto bruciato!». «Te lo mostrerò», disse Bink. «Seguiamo il fuoco fatuo». Il fuoco fatuo c'era ancora, non abbastanza vicino perché fosse possibile raggiungerlo. «Senti, Bink», protestò Chester. «Abbiamo avuto la fortuna di uscire grazie a quel fuoco fatuo... ma è meglio non fidarci a seguirlo. Ci porterebbe incontro a una catastrofe». «Questo no», disse Bink, seguendolo. Dopo un momento Chester alzò le spalle, scalciò con gli zoccoli posteriori e gli andò dietro. Crombie planò per raggiungerli. Poco dopo il fuoco fatuo si fermò davanti a una lapide splendente. Una tomba. Quando si avvicinarono, la pietra s'illuminò e mostrò le parole HERMAN L'EREMITA. «Zio Herman!» esclamò Chester. «Vuoi dire che fu qui...». Fu qui che salvò Xanth dai Guizzanti», disse Bink. «Chiamando molte creature con i suoi fuochi fatui, e poi scatenando il fuoco di una salamandra per sterminare i guizzanti. Diede generosamente la sua vita, e morì da eroe. Sapevo che il fuoco fatuo ci avrebbe portati qui, quando ho riconosciuto la zona, perché tu sei suo parente e i fuochi fatui onorano la sua memoria. Il talento di Crombie ha localizzato il fuoco fatuo, e il fuoco fatuo...». «L'eroico zio Herman», disse Chester, e la sua faccia si contrasse in un'espressione insolita. Il bellicoso centauro era poco abituato a sentimenti come la reverenza e il rispetto. E sembrava quasi che nell'aria risuonasse la mesta melodia di un flauto.
Bink e Crombie si allontanarono, lasciando Chester alle sue meditazioni. Bink incespicò in un mucchio di terriccio che un minuto prima non c'era e per poco non cadde lungo disteso. E quella fu l'unica nota stonata. CAPITOLO QUARTO IL CASTELLO DEL MAGO Il castello del Buon Mago Humfrey era sempre lo stesso. Era alto e svettante, con robusti bastioni esterni e un'alta torre centrale sovrastata da merli e parapetti, e tutti gli altri consueti dettagli dei castelli. Era più piccolo di quanto lo ricordasse Bink, ma sapeva che non era cambiato. Forse il problema era che il suo ricordo dell'interno lo faceva sembrare più grande del ricordo dell'esterno. Ma con la magia, era possibile che dentro fosse veramente più spazioso che fuori. Le strade d'accesso magiche comunque erano cambiate, e l'ippocampo non stava più nel fossato. Il suo anno di servizio era finito. Sicuramente c'era un altro essere di guardia all'interno, al posto della manticora che Bink aveva incontrato quella volta dato che l'aveva rivista al Ballo dell'Anniversario. Anche i mostri dovevano prestare servizio per un anno, per pagare le Risposte del Buon Mago, e normalmente fungevano da guardiani del castello. Humfrey non amava i disturbatori. Quando si accostarono al fossato, videro il nuovo guardiano. Un mostro? No, molti mostri! L'acqua brulicava di spire serpentine, alcune bianche e altre nere, che scivolavano ininterrottamente l'una accanto all'altra. «Ma dove sono le teste e le code?» chiese sbalordito Chester. «Io vedo solo le spire». Si fermarono tutti e tre in riva al fossato, riflettendo. Che cosa poteva chiedere al Buon Mago un'intera flotta di serpenti marini? Perché tenevano alla sua Risposta al punto d'essere tutti disposti a pagare l'onorario stabilito? Com'erano arrivati lì? Sembrava che Bink e i suoi amici non avessero la possibilità di scoprirlo. Per fortuna, quello non era un pericolo che lui doveva sfidare. Bink era in missione per incarico del Re, e sarebbe stato ammesso nel castello appena avesse segnalato la sua presenza. «Mago Humfrey!» gridò. Non ci fu risposta. Senza dubbio il Buon Mago era assorto nella lettura d'un testo di magia e non badava a ciò che succedeva fuori. «Mago, sono Bink, in missione per ordine del Re!» gridò di nuovo. Nessuna risposta. «Quel vecchio gnomo dev'essere duro d'orecchio»,
borbottò Chester. «Lascia provare a me». Si portò le mani alla bocca e muggì: «MAGO! VISITE!». Il mugghio echeggiò e riecheggiò dai bastioni, ma il castello rimase silenzioso. «Dovrebbe essere in casa», disse Bink. «Non va mai in nessun posto. Comunque, possiamo controllare. Crombie, dov'è il Buon Mago?». Il grifone fece la solita manovra e indicò... direttamente il castello. «Deve essere in quella direzione, ma molto lontano», disse Chester. «Se il tuo talento non sta facendo di nuovo fiasco». Crombie strillò e rizzò le penne azzurre. Si alzò sulle zampe posteriori e con quelle anteriori sferrò colpi all'aria, sfidando alla lotta il centauro. Chester sembrava dispostissimo ad accontentarlo. «No, no!» gridò Bink, buttandosi tra i due. «Non vorremo fare una brutta impressione!». «Diavolo, io volevo fare una bellissima impressione... sul suo muso piumato», borbottò Chester. Bink sapeva che doveva separare in fretta quei due esseri bellicosi. «Gira dall'altra parte del castello e cerca di nuovo il Mago», disse a Crombie. «Triangola, insomma», disse Chester. Triangolare? Bink, abituato com'era ai modi burberi dell'amico, aveva dimenticato che i centauri erano tipi istruiti. La triangolazione era un metodo magico per localizzare qualcosa senza avvicinarsi direttamente. Chester era intelligente e possedeva un vasto repertorio di conoscenze, quando si degnava di metterlo in mostra. Il grifone, deciso che dopotutto quella parola non era un insulto osceno, volò verso un lato dei bastioni e indicò di nuovo. Indicò il castello. Non c'era il minimo dubbio: il Mago era in casa». «È meglio che voli ad avvertirlo del nostro arrivo», disse Bink. «Non vorrei che ci impegolassimo con i mostri del fossato». Crombie decollò di nuovo. C'era un piccolo spazio per atterrare tra il fossato e il castello, ma nel muro non c'erano aperture, quindi il grifone salì verso la torre. Ma sembrava che neppure lassù ci fosse una via d'accesso per un essere delle sue dimensioni; e perciò, dopo averne fatto due volte il giro in volo, tornò indietro. «Adesso ricordo», disse Bink. «Le finestre sono sbarrate. Un uccellino può passare, ma un grifone no. Dovremo sfidare il fossato». «Siamo qui per incarico del Re!» esclamò rabbioso Chester. La sua brutta faccia sembrava fatta apposta per le smorfie. «Non siamo obbligati ad affrontare simili pericoli!».
Anche Bink era stizzito. Ma sapeva che avrebbe potuto farcela, grazie al suo talento. «È compito mio. Vedrò se mi riesce di superare gli ostacoli e attirare l'attenzione di Humfrey. Poi vi farò entrare». «Non ti permetteremo di sfidare da solo il fossato!» protestò Chester, e Crombie strillò per approvare. Quei due potevano non andare d'accordo, ma erano amici devoti, per lui. Era imbarazzante. Loro non avevano protezioni magiche. «Preferirei andare solo, davvero», disse Bink. «Sono più piccolo di te, e mi sarà più facile passare. Se cadrò nel fossato, potrai lanciarmi una corda e tirarmi fuori alla svelta. Ma io non potrei mai tirarti fuori, se...». «Hai ragione», ammise controvoglia Chester. «Crombie può superare il fossato in volo, ma sappiamo già che non può entrare, Peccato che non sia abbastanza forte da trasportarti». Crombie ricominciò ad arruffare le penne, ma Bink si affrettò a intromettersi. «Potrebbe portarmi la tua corda, in caso di necessità. Credo sinceramente che sia meglio così. Tu puoi essermi utile soprattutto aiutandomi a capire che razza di mostri ci sono nel fossato. Nel lessico dei centauri esiste qualche voce che si riferisca ai serpenti senza testa?». «Qualcosa c'è... ma le spire non corrispondono. Sembrerebbero piuttosto pezzi di...». Chester s'interruppe e sgranò gli occhi. «Ma sì! È un ouroboros!». «Un ouroboros?» ripeté Bink, senza capire. «Che cos'è? Una flotta di mostri marini?» «È un mostro solo, un drago acquatico che si stringe la coda tra i denti. È per metà bianco e per metà nero. Simboleggia...». «Ma ci saranno almeno venti segmenti, tutto intorno al fossato! Alcuni sono vicini al castello, altri al bordo esterno. Guarda... eccone là tre paralleli. Non possono appartenere allo stesso mostro!». «Sì, invece», disse Chester con aria saputa. «L'ouroboros è completamente avviluppato intorno al castello...». «Ma questo spiegherebbe soltanto un'unica fila di...». «È avviluppato parecchie volte, e la testa è immersa al di sotto delle spire per acchiappare la coda. È un po' come una striscia di Moebius. Quindi...». «Che cosa?». «Lascia stare. È magia specializzata. Puoi credermi sulla parola: la cosa nel fossato è un unico mostro... e non può mordere, perché non può mollare la propria coda. Quindi, se riesci a tenerti in equilibrio, puoi usarlo come
passerella per raggiungere il castello». «Ma nessun segmento emerge dall'acqua per più di un braccio e mezzo! Cadrei, se cercassi di saltare da uno all'altro». «E tu non saltare», rispose Chester, mostrando una pazienza che per lui era insolita. «Cammina. Anche avvoltolato parecchie volte intorno al castello, l'ouroboros è troppo lungo per il fossato, quindi deve compiere convoluzioni verticali, che non si raddrizzano mai. Appena una si abbassa deve alzarsene un'altra, e questo avviene in un'ondulazione progressiva. È così che si muove l'ouroboros, in questo ambiente ristretto. Quindi non dovrai neppure bagnarti: segui un segmento del mostro fino alla fine». «Ma non ha senso!» esclamò Bink. «Stai parlando in centaurese. Non puoi spiegarti in modo più semplice?». «Salta a bordo della spira più vicina e restaci», consigliò Chester. «E allora capirai». «Hai più fiducia in me di quanta ne abbia io», disse dubbiosamente Bink. «Spero che tu sappia quello che sto facendo». «Mi sono fidato di te perché ci tirassi fuori dal crepaccio dei nichelpiedi dove ci aveva portati Crombie», disse Chester. «Adesso fidati di me perché ti aiuti a superare il fossato. Non mi dire che non hai mai viaggiato su un mostro prima d'ora». «Squawk!» gridò Crombie, puntando un'ala verso il centauro. Bink sorrise: lui aveva cavalcato Chester. Un punto per il soldato. «Ma stai attento a non cadere», continuò imperturbabile Chester. «Le spire ti stritolerebbero». «Uhm», fece Bink, ritornando serio. La prospettiva non gli sorrideva, anche se poteva contare sul suo talento. Viaggiare sulla schiena d'un mostro marino in movimento? E perché non camminare sulle ali di un roc in volo, dacché c'era?». Si guardò intorno, come tendeva a fare ogni volta che cercava di eludere qualcosa che sapeva di non poter evitare... e scorse un altro mucchietto di terra. Rabbiosamente, si avvicinò e lo calpestò. Ma quando si presentò una spira adatta, Bink spiccò un balzo e la raggiunse, roteando le braccia come un albero-mulino per riprendere l'equilibrio. Il segmento del mostro affondò un po' sotto il suo peso, poi si stabilizzò pneumaticamente. Sebbene fosse bagnata, la pelle bianca non era molto scivolosa. Bene: forse quella passeggiata non era impossibile, dopotutto! La spira s'increspò. La sezione che stava davanti a Bink s'immerse
nell'acqua. «Girati!» gridò Chester dalla riva. «Non mollare!». Bink si girò, mulinando di nuovo le braccia. Dietro-davanti a lui, la spira si stava allungando. Si incamminò, allungando il passo quando l'acqua gli lambì i talloni, Era come una strada magica che si apriva davanti a lui e si chiudeva alle sue spalle. Forse era lo stesso principio regolatore di quelle vie a senso unico: erano schiene di mostri! Eppure, anche se il serpente sembrava muoversi all'indietro rispetto a Bink, la spira restava dov'era, o meglio si spostava leggermente in avanti. Quindi lui camminava abbastanza svelto, per avanzare lentamente. «In questo modo non arriverai mai!» protestò. «Non sono neppure avviato verso il castello». «Ci arriverai», gridò Chester. «Muovi quei piedi». Bink continuò a camminare, mentre il centauro e il grifone si spostavano adagio sulla riva per seguirlo. All'improvviso, una spira apparve tra lui e i suoi amici. «Ehi, sono passato su una spira interna... e non ho mai lasciato quella esterna!» esclamò. «Stai avanzando a spirale», spiegò Chester. «È l'unico sistema. Quando raggiungi l'altra sponda, salta». Bink continuò. Era piuttosto piacevole, adesso che si era abituato e capiva il meccanismo. Era inevitabile che raggiungesse l'altra sponda, purché restasse dov'era. Eppure era un rompicapo ingegnoso: l'avrebbe mai risolto senza l'aiuto di Chester? Di colpo, il segmento si restrinse. Stava arrivando all'estremità della coda! Poi apparve la testa dell'ouroboros, con i denti che stringevano la coda con molta decisione. Di nuovo innervosito, Bink non aveva altra alternativa che camminare sulla testa. E se l'ouroboros avesse deciso di mollare la presa, per quella volta, e di azzannare lui? I grandi occhi di drago lo fissarono per un momento, facendogli scorrere un brivido di freddo lungo la schiena. Poi la testa passò oltre, continuando nell'acqua il movimento ondulante, e Bink proseguì sul collo massiccio, che dopo la coda sottile sembrava largo come una strada. Evidentemente quel drago, o serpente, o quello che era, non aveva bisogno d'aria. Poteva tenere la testa immersa a tempo indeterminato. Ma come faceva a mangiare, se non mollava mai la coda? Non poteva mangiare se stesso, vero? Forse era quella la Domanda che aveva rivolto al Mago: come poteva lasciare la coda, per sgranocchiare gli idioti che gli passeggiavano sulla schiena? No, se avesse conosciuto quella risposta, avrebbe trangugiato Bink mentre passava. «Salta, Bink!» gridò Chester.
Ehilà... il serpente aveva cambiato idea, aveva mollato la coda e stava arrivando per trangugiarlo? Bink si voltò a guardare, ma non vide nulla di speciale. Poi guardò avanti... e scoprì che il corpo si stava attorcendo al di sotto del tratto adiacente della spirale. La strada non c'era più! Balzò a terra proprio mentre stava per perdere l'equilibrio. Era davanti ai bastioni esterni del castello. Cercò la grande porta che aveva incontrato in occasione della sua prima visita, prima che Trent diventasse Re... e trovò una cascata. Una cascata? E quella com'era finita lì? Alzò lo sguardo e vide un cornicione sporgente. L'acqua scaturiva da qualche parte, fuori di vista, e scendeva scrosciando davanti alla porta. C'era un'apertura, dietro l'acqua? Bink non aveva nessuna voglia di infradiciarsi proprio adesso, dopo aver attraversato il fossato senza bagnarsi: ma doveva cercare. Si tolse gli abiti e li mise da una parte, e poi si insinuò cautamente nella cascata. L'acqua era fresca ma non gelida. Dietro c'era un piccolo spazio, e il legno della porta. Esplorò la superficie con le mani, spingendo qua e là, ma non trovò niente che cedesse. L'ingresso non doveva essere lì. Uscì a ritroso dalla cascata, scrollando la testa. E adesso, cosa poteva fare? Il cornicione circondava tutto il castello, ma Bink sapeva che era tutto pietra massiccia. Non poteva esistere un passaggio verso l'interno. Comunque, Bink fece il giro, per confermare i suoi sospetti. Nessuna via d'accesso. E ora? Fu sopraffatto da un impulso di collera. Era lì in missione per conto del Re: quindi, perché doveva sopportare tutte quelle assurdità? Il vecchio Mago-gnomo si credeva così furbo, a circondarsi di un labirinto! Bink ne aveva abbastanza dei labirinti. Prima quello della Regina, poi il crepaccio dei nichelpiedi, e adesso questo! Ma in fondo Bink era un tipo pratico. A tempo debito la rabbia svanì, come il vapore esalato da un drago. Tornò a esaminare la cascata. Quella non era una montagna, e il flusso non era naturale. L'acqua doveva venire innalzata con qualche sistema magico o mundano fino al piano superiore, e poi lasciata cadere. Sicuramente c'era un impianto a ricircolazione, che prelevava l'acqua dal fossato e poi la ributtava. Avrebbe potuto raggiungere a nuoto la presa d'aspirazione? No. L'acqua poteva andare dove non poteva andare lui. Per esempio, poteva passare attraverso un setaccio. Lui sarebbe annegato, se fosse rimasto incastrato in una conduttura sotterranea. Non valeva la pena di correre il ri-
schio. L'unica direzione possibile era... in su. Poteva arrampicarsi? Sì, certo. Notò le minuscole sporgenze nel legno al margine della cascata. «Arrivo», mormorò. Si arrampicò. Quando la sua testa si affacciò oltre il cornicione, restò agghiacciato. Sul tetto stava acquattato un gargoyle. L'acqua usciva dalla bocca grottesca. Poi si rese conto che quel mostro, come l'ouroboros, non poteva essere pericoloso, se l'avesse trattato nel modo giusto. Il gargoyle, incaricato di gettare l'acqua, difficilmente l'avrebbe inseguito. Bink si inerpicò sul tetto. Esaminò la situazione. Il gargoyle era alto più o meno quanto lui, ma era quasi tutto testa. Il corpo era scorciato, e rappresentava più che altro una specie di piedistallo. La testa era così deforme che Bink non riusciva a capire se era d'uomo o d'animale. Gli occhi erano enormi e sporgenti, il naso sembrava quello d'un cavallo, gli orecchi erano a sventola, e la bocca occupava un buon terzo della faccia. L'acqua ne sgorgava come un rigurgito prolungato. Dietro il mostro, il muro del castello continuava. Non c'erano appigli; e anche se fosse riuscito a scalarlo, più in alto si scorgevano soltanto aperture sbarrate. Non aveva molte speranze. Bink studiò il gargoyle. Com'era finito lassù? Non aveva mani o piedi autentici per arrampicarsi come aveva fatto lui. Dietro c'era una porta? Sembrava abbastanza logico. Avrebbe dovuto allontanare il mostro dalla porta. Ma come? La cosa non l'aveva attaccato, ma avrebbe potuto cambiare idea se lui l'avesse molestata. Il gargoyle era più massiccio; avrebbe potuto spingerlo già dal tetto. Purtroppo non aveva la spada per difendersi; l'aveva lasciata con gli abiti in riva al fossato. Doveva ridiscendere a prenderla? No, era sicuro che sarebbe stata un'imprudenza: avrebbe rivelato le sue intenzioni. Il gargoyle avrebbe potuto muoversi e schiacciargli le dita quando fosse risalito portando l'arma. Forse poteva bluffare. «Spostati, brutta faccia. Sono in missione per ordine del Re». Il gargoyle non gli badò. Era un'altra delle cose che esasperavano Bink: venire ignorato. «Muoviti, o ti smuoverò io!». Avanzò d'un passo verso il mostro. Nessuna reazione. E adesso, come poteva tirarsi indietro? Confidando nella protezione del suo talento, Bink si avvicinò al gargoyle, tenendosi
fuori dalla portata del torrente d'acqua che gli scaturiva dalla bocca, e tese le mani per afferrarlo. La faccia grottesca sembrava di pietra durissima. Ed era molto pesante: per quanto spingesse, non riuscì a spostarlo. Il mostro lo sconfiggeva... e non si era neppure degnato di accorgersi di lui. Poi Bink ebbe un'idea luminosa. A volte gli esseri erano vulnerabili nei confronti della loro specializzazione. La specialità del gargoyle era la bruttezza. Bink si piazzò davanti, a gambe larghe. «Ehi, bruttone... guarda come sei!». Si infilò le dita negli angoli della bocca per allargarla, e strabuzzò gli occhi. Il gargoyle reagì. Sporse le labbra per orientare il getto verso Bink. Bink saltò a lato, agilmente. «Gnaaa!» gridò, gonfiando le guance in un'altra smorfia ridicola. Il mostro tremò di rabbia, e gli scagliò un altro getto d'acqua. Bink fu investito di striscio, e per poco non precipitò nel vuoto. Era una faccenda rischiosa, dopotutto! Aprì la bocca e cacciò fuori la lingua. «Ahh!» gridò. Non poteva dire altro, mentre manteneva quell'espressione. Il gargoyle era infuriato. Spalancò la bocca fino a quando occupò mezza faccia. Ma adesso che l'apertura era così larga, l'acqua usciva a bassa pressione, in un rigagnolo che sgocciolava dal mento. Bink si tuffò... direttamente nella bocca. Risalì controcorrente, lottando contro l'acqua che scorreva lentamente... e si trovò in una cisterna all'interno del castello. In un momento risalì alla superficie e uscì. Era arrivato a destinazione! Ma non era ancora al sicuro. Sul bordo della cisterna c'era un gattocactus. Era alto la metà di Bink, con un normale muso felino, ma il suo pelame era composto di spine. Sugli orecchi le spine erano grandi e rigide come spuntoni. Ma le vere armi del gatto erano sulle zampe anteriori: lame d'osso, affilate come coltelli, che sporgevano scintillando. Evidentemente non potevano venire usate come pugnali, ma erano comunque pericolose. Il vello di spine era striato orizzontalmente di verde e di bruno, e la striatura continuava fin sulle tre code. Era un animale bello ma tremendo, e nessuno che avesse un po' di cervello lo avrebbe accarezzato distrattamente dicendogli «Che bel micio!». Era un altro guardiano del castello, o semplicemente un ospite? I gatticactus normalmente vivevano allo stato selvaggio, squarciando i cactus
con le lame e nutrendosi della linfa fermentata. I cactus lancia-aghi reagivano comunque, scagliando gli aculei contro tutto ciò che li infastidiva, e quindi erano nemici naturali dei gatticactus. Si diceva che gli scontri tra i due esseri fossero sensazionali. Ma lì non c'erano di nessun tipo. Forse l'animale era venuto a chiedere una Risposta al Buon Mago. Bink cercò di aggirarlo, ma il gatto si avviò agilmente verso l'unica via d'uscita evidente e si accucciò. Dunque avrebbe dovuto forzare la situazione. Bink s'infuriò. Ne aveva abbastanza di tutti quegli ostacoli. Non era un supplice, era lì per conto del Re! «Gatto, togliti di torno!» disse a gran voce. L'animale cominciò a russare. Ma Bink sapeva che si sarebbe svegliato di colpo se avesse cercato di passare. I gatti erano testardi. Quell'essere giocava a gatto e topo con lui... e questo lo esasperava ancora di più. Ma cosa poteva fare? Lui non era un cactus, non disponeva di centinaia d'aghi da lanciare. Come poteva liberarsi di quel gatto insopportabile? Gli aghi. Ma c'erano altre cose che si potevano scagliare, oltre agli aghi. «E allora peggio per te», gridò Bink. Si chinò verso la cisterna e immerse la mano, raccogliendo una manciata d'acqua. Le gocce volarono attraverso la camera e piovvero sul muro, accanto al felino addormentato. Il gatto si alzò con uno strillo di furore, sprizzando scintille dagli orecchi. Quasi tutti i gatti odiavano l'acqua, a parte quel po' che bevevano, e i gatti del deserto la detestavano con particolare intensità. Si avventò alla carica contro Bink, e le lame delle zampe anteriori luccicarono minacciosamente. Bink raccolse un'altra manciata d'acqua e la scagliò. Il gatto spiccò un balzo inorridito per scavalcarla. Oh, ormai era completamente furioso. «Possiamo risolvere la faccenda in due modi, Cactus», disse Bink con calma, accostando la mano all'acqua. «O io t'infradicio completamente... o tu stai buono e mi lasci passare. Scegli tu». Il gatto soffiò. Guardò Bink, poi l'acqua. Finalmente ostentò il massimo disinteresse, come tutti i felini frustrati, e si avviò da una parte, rizzando le tre code. «Benissimo, Cactus», disse Bink. «Ma ti do un avvertimento: se dovessi venire attaccato mentre passo, non dovrei far altro che afferrare il mio antagonista, tuffarmi nella cisterna e annegarlo, costi quel che costi. Sarebbe spiacevole, e spero che non si renda necessario». Il gatto fece finta di non sentire. Si sdraiò di nuovo e si riaddormentò.
Bink si avviò verso la porta, con una noncuranza simile a quella del felino; ma stava in guardia. Per fortuna il bluff aveva funzionato. Il gattocactus non si mosse. Ormai aveva superato gli ostacoli. Esplorò il castello fino a quando trovò il Buon Mago Humfrey. Lo gnomo stava appollaiato su tre grossi tomi per poterne leggere un quarto. Era vecchio; forse era l'uomo più vecchio della Terra di Xanth, e aveva la pelle tutta grinzosa e maculata. Ma era un Mago grande e onesto, e Bink sapeva che nonostante il fare burbero era buono e generoso. «Mago!» esclamò Bink, ancora irritato per le difficoltà che aveva dovuto superare per entrare. «Perché non badi ai visitatori? Ho dovuto passarne di tutti i colori... e non sono qui come supplice. Vengo per incarico del Re». Humfrey alzò la testa e si soffregò un occhio arrossato con la piccola mano nodosa. «Oh, ciao, Bink. Perché non eri mai venuto a trovarmi prima d'ora?». «Abbiamo urlato attraverso il fossato! E tu non hai risposto!». Humfrey aggrottò la fronte. «Perché dovevo rispondere a un grifone trasformato che strilla in modo da far arrossire un grifone vero? Perché dovevo badare ai muggiti di un centauro cocciuto? Uno non ha Domande da fare, e l'altro non vuol pagare per la sua. Entrambi mi farebbero perdere tempo». «Allora sapevi della nostra presenza!» esclamò Bink, un po' irritato e un po' ammirato, e con in più un'altra emozione indefinibile. Che personalità, quel Mago! «Hai lasciato che lottassi per tutto quell'inutile percorso...». «Inutile, Bink? Vieni qui per una missione che mi costerà moltissimo tempo, e che minaccerà lo stesso benessere di Xanth. Perché dovrei incoraggiare questa tua follia?». «Non ho bisogno d'incoraggiamenti!» gridò Bink, accalorandosi. «Ho solo bisogno d'un consiglio... perché il Re ha pensato che fosse più opportuno». Il Buon Mago scrollò la testa. «Il Re è un cliente molto sveglio. Tu hai bisogno di ben più d'un consiglio, Bink». «Beh, quello che voglio da te è un consiglio!». «L'avrai, e gratis: lascia perdere la missione». «Non posso lasciarla perdere! Sono stato incaricato dal...». «L'hai detto. E io ti ho detto che hai bisogno di ben altro che un consiglio. Sei cocciuto come i tuoi amici. Perché non hai lasciato in pace quel povero drago?». «Lasciare in pace quel povero...» scattò indignato Bink. Poi rise: «Sei un
bel tipo, Mago! Adesso finiscila di prendermi in giro e spiegami come mai, dato che sapevi del mio arrivo, non ci hai lasciati entrare nel castello nel modo più facile». «Perché detesto essere disturbato per faccenduole senza importanza. Se ti fossi lasciato scoraggiare dalle mie difese, non avresti avuto la forza di volontà necessaria per proseguire la missione. Ma, come temevo, hai perseverato. Ciò che è incominciato come una piccola diversione con un grazioso spettro è diventato una cerca molto seria... e il risultato è impenetrabile persino per la mia magia. Ho interrogato in proposito Beauregard, e si è agitato tanto che ho dovuto imbottigliarlo di nuovo prima che gli venisse un esaurimento nervoso». Beauregard... ah, sì, era il demone occhialuto chiuso in una bottiglia e così istruito. Bink incominciò a sentirsi a disagio. «Che cosa può sconvolgere tanto un demone?». «La fine di Xanth», rispose semplicemente Humfrey. «Ma io sto cercando soltanto la fonte della magia», protestò Bink. «Non ho intenzione di far nulla che possa danneggiare Xanth. Amo la mia patria!». «L'ultima volta che sei venuto qui non avevi neppure l'intenzione di insediare sul trono il Mago Malefico», gli rammentò Humfrey. «Le tue piccole cerche personali hanno la tendenza a sfuggirti di mano». «Vuoi dire che questa missione sarà peggio dell'ultima?» chiese Bink, eccitato e sgomento. La prima volta aveva desiderato soltanto scoprire qual era il suo talento. Il Mago annuì, con aria seria. «A quanto pare. Non posso capire in che modo la tua cerca danneggerà Xanth, ma sono certo che i rischi sono straordinari». Bink pensò di desistere e di tornare da Chameleon, anche se in quel momento era brutta e aveva la lingua tagliente, e anche se c'era Millie, non più spettro, che ronzava nei dintorni. All'improvviso, provò un interesse più vivo per la fonte della magia di Xanth. «Grazie del consiglio. Proseguirò». «Meno fretta, Bink! Non era il mio consiglio magico; era soltanto buon senso, e per questo non pretendo pagamenti. Sapevo che l'avresti ignorato». A volte per Bink era difficile non perdere la pazienza con il Buon Mago. «E allora sentiamo la tua Risposta magica». «E cosa mi offri come pagamento?».
«Pagamento!» esclamò Bink. «Questa è una missione...». «... per conto del Re», disse il Mago. «Sii realista, Bink. Il Re non ha fatto altro che toglierti di torno per un po' mentre la tua vita domestica si appiana. Non può permettere che tu gli metta a soqquadro il palazzo ogni volta che cerca di far l'amore con la Regina. Non mi sembra proprio il caso di rinunciare al mio onorario». Solo uno sciocco poteva cercare di discutere con un Mago che aveva il talento dell'informazione. Ma Bink discusse. «Il Re ha semplicemente scelto il momento della missione perché tornasse utile a me. Il mio compito è sempre stato scoprire la fonte della magia: ma ci ho messo un po' a decidermi. Per il Re è importante disporre di questa scoperta. Ormai sono impegnato nella cerca, con l'appoggio dell'autorità del Re, e lui ha diritto di chiedere la tua collaborazione, se vuole. Lo sapevi benissimo, quando hai contribuito a farlo salire al trono». Humfrey scosse il capo. «Il potere ha reso Trent arrogante. Sfrutta senza pietà i talenti altrui per realizzare i suoi scopi». Poi sorrise. «In altre parole, è esattamente il sovrano di cui Xanth ha bisogno. Non supplica e non chiede: comanda. Io, come devoto cittadino, devo sostenerlo nell'esercizio del potere». Sbirciò Bink. «Anche se viene esercitato in modo capriccioso. Quindi rinuncio al mio onorario per il bene di Xanth, benché in questo caso tema che sia per il male di Xanth». La capitolazione era troppo improvvisa e troppo amabile. Doveva esserci sotto qualcosa. «Qual è la tua Risposta, allora?». «Qual è la tua Domanda?». Bink aspirò una boccata d'aria. «Di che cosa ho bisogno per questa cerca?» balbettò, quasi strozzato. «La tua cerca non può avere successo a meno che porti con te un Mago». «Un Mago!» esclamò Bink. «In Xanth ci sono soltanto tre persone della categoria dei Maghi, e due sono il Re e la Regina! Non posso...». Poi s'interruppe. Aveva capito. «Tu?». «Te l'avevo detto che questa storia mi sarebbe costata parecchio tempo!» borbottò Humfrey. «Devo sospendere tutte le mie ricerche arcane, mettere il castello in naftalina... perché tu non sei capace di aspettare qualche giorno che tua moglie porti a termine la gravidanza e ridiventi dolce e carina». «Vecchio briccone!» gridò Bink. «Tu vuoi accompagnarmi!». «Non direi», ribatté il Mago in tono acido. «Il fatto è che la cerca è troppo importante per lasciare che un dilettante la rovini, e il Re lo sapeva benissimo quando ti ha mandato da me. Poiché non c'è a disposizione un al-
tro esperto, sono costretto a sacrificarmi. Ciò non significa, comunque, che debba farlo di buona grazia». «Ma avresti potuto cercare la fonte dalla magia in qualunque momento! Non eri obbligato a cooptare la cerca proprio quando io...». «Io non coopto un bel niente! La cerca è tua; io mi limito ad accompagnarti, come risorsa in caso d'emergenza». «Vuoi dire che non assumi il comando della spedizione?». «Perché dovrei desiderarlo? Baderò agli affari miei, lasciando a te i fastidiosi dettagli della direzione e della scelta del percorso, fino a che non ci sarà bisogno delle mie risorse... e mi auguro che non avvenga presto e troppo spesso». Bink non riusciva a capire fino a che punto Humfrey stesse parlando sul serio. Senza dubbio uno specialista di magia dell'informazione doveva nutrire un serio interesse per la fonte della magia... ma il Buon Mago amava la vita comoda e tranquilla, come attestavano il suo castello e le relative difese. Probabilmente Humfrey era diviso tra il desiderio d'isolamento e il desiderio di conoscenza, e così reagiva negativamente mentre faceva ciò che giudicava giusto. Era inutile aggravare la situazione. Sarebbe stato senza dubbio preziosissimo, in una cerca di quel genere. «Mi dispiace di causarti questo fastidio, ma sono lieto d'avere il tuo aiuto. La tua esperienza è tanto maggiore della mia». «Umph», riconobbe Humfrey. Non voleva mostrarlo, ma si era raddolcito. «Allora andiamo avanti. Vai a dire al troll di abbassare il ponte levatoio per far entrare i tuoi compagni». «Uh, c'è un'altra cosa», disse Bink. «Forse qualcuno sta cercando di uccidermi». «E vuoi sapere chi è». «Sì. E perché. Non mi piace...». «Questa non è una faccenda che riguarda il Re. Dovrai pagarmi l'onorario». Oh. Proprio quando Bink incominciava a sospettare che il Buon Mago fosse generoso, trovava la conferma della sua indole mercenaria. Un anno di servizio per la Risposta? Bink preferiva individuare da solo il suo nemico. «Lascia perdere», disse. «Sta bene», rispose benignamente Humfrey. Irritato, Bink scese la scala, trovò il troll e gli passò l'ordine. Il mostro calò il ponte levatoio. Bink non sapeva dove fosse il meccanismo, dato che dall'esterno non si vedeva, e il troll stava in una camera al centro del ca-
stello. Doveva esserci un potenziamento magico che collegava l'azione del troll a quella del ponte. Comunque il sistema funzionava, e finalmente Crombie e Chester entrarono da una porta che si apriva nel bel mezzo dell'edificio. Com'era possibile che ci fosse un'apertura proprio lì, se nel muro non esistevano brecce? Evidentemente il Mago non lesinava i prodigi! Forse qualche abile tecnico era venuto a proporgli una Domanda, e come onorario aveva costruito quel congegno. «Sapevo che ce l'avresti fatta, Bink!» disse il centauro. «Cos'ha detto il vecchio gnomo della tua cerca?». «Verrà con me». Chester scrollò la testa. «Allora sei nei guai». Il Mago scese la scala per salutarli. «Dunque tu vuoi sapere qual è il tuo talento osceno», disse al centauro. «Che onorario offri al vecchio gnomo?». Per una volta, Chester si mostrò intimidito. «Non sono sicuro di volere... I centauri non dovrebbero...». «Non dovrebbero essere così incerti?» chiese Humfrey in tono tagliente. «Chester è venuto soltanto per darmi un passaggio», disse Bink. «E per combattere i draghi». «Bink ha ancora bisogno d'un passaggio», disse Humfrey. «Dato che ormai sono associato a questa cerca, è mio dovere organizzarla. Ti propongo questo patto: anziché il consueto anno di servizio per la Risposta, accetterò un servizio per tutta la durata della cerca». Chester era rimasto sbalordito. «Vuoi dire che ho un talento? Un talento magico?». «Indubbiamente». «E lo conosci già?». «Lo conosco». «Allora...». Ma il centauro s'interruppe. «Potrei capirlo da solo, se per te è stato così facile. Perché dovrei pagarti?». «Già, perché?» disse il Mago. «Ma se non lo capissi, e se Bink si trovasse nei guai perché incontra un drago quando io non ci sono...». «Mi piacerebbe lasciarti bollire nel tuo dilemma a tempo indeterminato», disse Humfrey. «Ma vado di fretta, e Bink ha bisogno che tu gli dia un passaggio, quindi taglierò corto. Intraprendi il servizio che ti chiedo come pagamento anticipato per avere la mia Risposta. Se non riuscirai a scoprire da solo qual è il tuo talento, te lo dirò al termine della cerca... o anche pri-
ma, su tua richiesta. Se risolverai da solo l'enigma, ti darò una seconda Risposta a qualunque altra domanda tu possa rivolgermi. Quindi, in pratica, avrai due Risposte al prezzo di una». Chester rifletté per qualche istante. «Ci sto», disse poi, «Tanto mi piace l'avventura». Il Mago si rivolse a Crombie. «Tu sei direttamente al servizio del Re, quindi sei impegnato a portare a termine la cerca. Ti ha dato una forma magnifica, ma priva di linguaggio intellegibile. Credo sarebbe meglio se tu fossi più comunicativo. Perciò, ti presento un altro dei miei servitori per onorario, Grundy il Golem». Apparve una minuscola figura umana, non più alta d'una spanna. Sembrava fosse fatta di pezzi di spago e d'argilla e di legno e di altri rifiuti, ma era animata. Il grifone guardò il golem con un'aria di sprezzante sorpresa. Un colpo del suo becco d'aquila avrebbe potuto tranciare i quattro arti della piccola figura. «Squawk!» commentò Crombie. «Altrettanto a te, cervello di gallina», disse il golem senza particolare enfasi, come se la cosa non l'interessasse. «Il talento di Grundy è la traduzione», spiegò il Mago. «Gli assegno il compito di esprimere il linguaggio grifonesco del soldato in linguaggio umano, perché possiamo capirlo meglio. Lui ci capisce già, come molti animali; quindi non è necessaria la traduzione all'inverso. Il golem è abbastanza piccolo perché uno di noi possa portarlo senza difficoltà, perciò non costituirà un problema. Bink cavalcherà il centauro, e io il grifone. Così viaggeremo più in fretta». E così tutto fu organizzato con efficienza. Era incominciata la cerca della fonte della magia di Xanth. CAPITOLO QUINTO IL VERTICE DEL GOLEM Si fermarono all'esterno del castello, al di là del fossato, mentre il Mago metteva in naftalina la sua residenza. L'oroboros e gli altri esseri che prestavano servizio a titolo d'onorario avevano ottenuto una licenza e se ne erano già andati. Humfrey si frugò nella veste, mostrando la pesante cintura a molte tasche, ed estrasse una boccetta chiusa. Forzò il tappo con i pollici fino a quando saltò. Il fumo uscì turbinando e s'innalzò nel cielo. Poi si condensò, formando la falena più grande che Bink avesse mai immaginato, con un'apertura d'ali
che gettava ombra sull'intero castello. L'essere volò sopra la costruzione e lasciò cadere una sfera. Quando la sfera piombò vicino alla torre più alta, esplose. I vapori biancogrigiastri che ne uscirono si dilatarono, toccando ogni parte della residenza del mago. Poi si avvolsero strettamente, inguainandola in una rete serica che la faceva apparire come una tenda gigantesca. Adesso ne usciva un odore freddo e amaro che sapeva vagamente di disinfettante. «Ecco fatto», borbottò Humfrey in tono di soddisfazione. «Potrà durare anche per cent'anni, se sarà necessario». «Cent'anni!» esclamò Chester. «Credi che la nostra missione richiederà davvero un secolo?» «Su, andiamo, andiamo, stiamo perdendo tempo», brontolò il Buon Mago. Bink, in groppa al centauro, guardò il grifone. «Intende dire, Crombie, che dobbiamo conoscere la direzione della fonte della magia. La missione si dovrebbe compiere in pochi giorni, con il tuo aiuto». Il grifone gracchiò irosamente. «Bene, perché quel vecchio scemo non ha detto così?» tradusse pronto il golem. Stava sulla schiena di Crombie insieme al Mago, dato che tutti e due, insieme, pesavano meno della metà di Bink. «Ben detto, soldato», mormorò Chester. Crombie si girò di scatto, minacciando di disarcionare i passeggeri. «Da quella parte», disse Grundy, indicando... in un cerchio continuo. Il suo braccio minuscolo non puntava da nessuna parte. «Oh, no», protestò Chester. «Il suo talento ha ricominciato a fare i capricci». «Non è che non funziona», ribatté Humfrey. «È sbagliata la domanda». Bink aggrottò la fronte. «Abbiamo già avuto altre difficoltà del genere. Qual è la domanda giusta?» «È tuo compito svolgere la cerca», disse Humfrey. «Io devo conservare le mie informazioni per i casi d'emergenza», Si assestò più comodamente tra le penne dorsali del grifone e chiuse gli occhi. Il Buon Mago era taciturno come al solito. Non aveva l'abitudine di aiutare qualcuno senza pretendere il suo onorario, anche quando lui stesso avrebbe potuto trarre beneficio da quell'aiuto. Adesso Bink era di nuovo nei guai: doveva trovare il modo di far funzionare il talento di Crombie... mentre il Mago dormiva. Prima, nel crepaccio dei nichelpiedi, Crombie s'era confuso perché non
esisteva un'unica direzione per mettersi in salvo. Era così anche adesso? Non c'era un'unica fonte della magia? In tal caso, sarebbe stato molto difficile rintracciarla. Ma ufficialmente la direzione spettava a lui: doveva darsi da fare, e in fretta. Era evidente che il Buon Mago non gli aveva fatto un favore lasciandogli la guida della spedizione. «Qual è il percorso più diretto per raggiungere la fonte della magia?» Questa volta l'ala del grifone puntò in basso, ad angolo. Dunque non era una direzione orizzontale: la fonte era sottoterra. Ma questo non era di grande aiuto. Non potevano scavare a grande profondità. Avrebbero avuto bisogno della collaborazione d'una persona che avesse il talento degli scavi magici, e questo avrebbe comportato ritardi e fastidi. Erano già più numerosi di quanto Bink avesse previsto. Sarebbe stato meglio trovare un percorso naturale. «Dov'è un accesso a questa fonte, passando dalla superficie?» chiese Bink. L'ala incominciò a vibrare avanti e indietro. «La più vicina!» Si corresse precipitosamente Bink. L'ala si stabilizzò e puntò con fermezza verso il sud. «Nel cuore del territorio inesplorato», disse Chester. «Avrei dovuto immaginarlo. Forse dovrei chiedere subito la mia Risposta e andarmene». Crombie strillò. «Cervello di gallina dice che se ricevi adesso la tua stupida Risposta, non puoi andartene, equino». Chester gonfiò irosamente il petto. «Ha detto così? E tu digli da parte mia che ha escrementi d'uccellaccio al posto del cervello e...» «Calma», disse Bink al centauro. «Crombie non ha bisogno che il golem gli traduca le tue parole». «Per la verità ti ha dato del somaro», spiegò premurosamente Grundy. «Immagino che si riferisse alle tue parti posteriori, che sono asinine quanto...» Il grifone strillò di nuovo. «Oh, mi sbagliavo», disse il golem. «Si riferiva alla tua intelligenza». «Stai a sentire, cervello di gallina!» gridò Chester. «Non ho bisogno della tua opinione! Perché non te la metti...» Ma Crombie stava strillando contemporaneamente. I due si fronteggiarono con aria aggressiva. Il centauro era più grosso e muscoloso del grifone, ma il grifone era probabilmente più temibile, e aveva la mente d'un soldato umano nel corpo di un animale nato per combattere. «Squawk!» urlò Bink. «Voglio dire, basta! Il golem non combina altro
che malintesi. Ovviamente, la parola che ha usato Crombie era 'centauro'. Non è così, Crombie?» Crombie strillò in tono affermativo. «Guastafeste», borbottò Grundy tra sé. «Proprio quando stava diventando interessante». «Lascia perdere», disse Bink. «Ammetti che avevo ragione io, golem?» «Un centauro è un somaro... davanti è di dietro», disse Grundy, imbronciandosi. «Dipende, se lo definisci intellettualmente o fisicamente». «Ho intenzione di tapparti quella boccaccia», disse Chester, tendendo la mano verso il golem. «Non puoi farlo, faccia di mulo!» protestò Grundy. «Io sono al servizio dello gnomo!» Chester si fermò, vedendo che il Buon Mago dava segno di svegliarsi. «Al servizio di chi!» «Di questo nanerottolo!» disse Grundy, indicando Humfrey con un dito. Chester guardò Humfrey e assunse un'aria fintamente perplessa. «Signore, come puoi accettare simili insulti da un essere che lavora per te?» «Oh-oh», borbottò il golem, accorgendosi d'essere caduto in trappola. «Credevo che dormisse». «Il golem non ha una realtà personale», disse Humfrey. «Perciò le sue parole non mi offendono. Tanto varrebbe arrabbiarsi con un grumo d'argilla». «Diglielo chiaro, gnomo», dichiarò Grundy. Ma sembrava un po' imbarazzato. «Procediamo con la nostra cerca», propose Bink mentre il Buon Mago chiudeva di nuovo gli occhi. Si chiese com'era possibile che un costrutto irreale come il golem potesse essere al servizio di Humfrey per pagare l'onorario. Grundy doveva aver fatto una Domanda, e aveva avuto una Risposta... ma cosa poteva aver spinto quell'entità magica a cercare simili informazioni? Poi Bink ebbe un'improvvisa ispirazione, mentre procedevano verso sud. «Crombie, qualcuno o qualcosa ha cercato di eliminarmi. Credo sia stato per questo che il drago ci ha attaccati. Puoi indicarmi dov'è il mio nemico?» «Squawk!» disse Crombie. Volteggiò su se stesso, e il Buon Mago sobbalzò sulla sua schiena, ma non si svegliò. Quando l'ala si stabilizzò, indicava... la stessa direzione della fonte della magia. «Si direbbe», disse Chester in tono serio, «che il tuo nemico si opponga alla cerca. Questo influisce sulla tua decisione?»
«Sì», rispose Bink. «La rende ancora più forte». Ma ricordava che la spada l'aveva attaccato prima che partisse per la missione. Il nemico l'aveva previsto? Sarebbe stata una gran brutta faccenda, perché comportava ben altro che una strategia o una magia normali. «Andiamo avanti». Nelle vicinanze del castello del Mago il territorio era piuttosto tranquillo, ma via via che penetravano nelle Zone Desolate tutto cambiava. C'erano cespugli altissimi che oscuravano la visuale, e mentre loro passavano il fogliame irradiava scariche d'energia statica che facevano rizzare capelli, pelo, piume e spago a tutti quanti. I cespugli erano sovrastati da un'antenna che puntava infallibilmente sulla comitiva. Bink non si era mai avvicinato abbastanza a una di quelle cose per scoprire che cosa fosse, e non aveva intenzione di farlo proprio adesso. Perché le antenne li sorvegliavano tanto attentamente, eppure non agivano? Arrivarono i moscerini del sudore, e li tormentarono fino a quando Humfrey si svegliò, tirò fuori una boccetta e l'aprì. Ne uscì un vapore che si dilatò, avvolse i moscerini... e poi ritornò nella boccetta, trascinando con sé gli insetti. «Tanto, era ora che Nebbia mangiasse», spiegò il Buon mago riponendo la boccetta. Non aggiunse altro, e nessuno ebbe il coraggio di fare domande. Humphrey si riaddormentò. «Dev'essere bello, essere un mago», disse Chester. «Ha la soluzione di tutti i suoi problemi, in una boccetta o in un'altra». «Deve averle acquisite in passato come onorari», disse Bink. Poi capitarono in una macchia di lappe delle imprecazioni. Se le ritrovarono sulle gambe, e facevano un prurito d'inferno. C'era un solo modo per sbarazzarsi d'una di quelle lappe: bisognava bandirla con un'imprecazione. Il problema stava nel fatto che la stessa imprecazione non si poteva usare due volte nello stesso giorno: dovevano essere tutte diverse. Humfrey non fu per nulla soddisfatto di doversi svegliare ancora. Questa volta sembrava che non avesse una soluzione in boccetta. «Per la barba del mio prozio Humbug, vattene!» disse il Buon Mago, e la lappa alla quale si rivolgeva si staccò, intontita. «Per il muso d'un serpente marino con la nausea, sparisci!» E se ne staccò un'altra. Chester era molto più diretto, perché parecchie lappe s'erano aggrovigliate nella sua bella coda. «Crepa, faccia pungente! Ti calpesterò come un nichelpiedi! Via, via, maledetta lappa!» E tre lappe caddero, sopraffatte. «Lasciami», disse Bink, invidiando l'immaginazione degli altri. «Vai a far prurito a un drago!» Anche le sue lappe incominciarono a staccarsi, ma meno rapidamente di quelle fulminate delle più energiche imprecazioni
degli altri. Bink non aveva il bernoccolo per certe cose. Ma Crombie era in difficoltà. I grifoni non erano originari di quella regione di Xanth, ed evidentemente le lappe non capivano i suoi strilli. Poi, quando il golem incominciò a tradurre, si staccarono a frotte. «Per le bocche sanguinanti d'un campo di morsicatoli selvatici, cacciate il vostro posteriore purpureo nella latrina puzzolente più vicina! Se le vostre facce fossero fiori, avvelenereste tutto il giardino! Cacciatevi le radichette rosee nel...» Il golem s'interruppe sbalordito. «È possibile? Non credo di poterlo tradurre». Ma le lappe capirono, e all'improvviso le piume splendenti del grifone restarono libere. Nessuno sapeva imprecare come un soldato! Comunque era impossibile evitare tutte le lappe della zona, e quando ne uscirono le loro imprecazioni erano diventate estremamente stiracchiate. Qualche volta era necessario sprecarne due o tre per costringere una lappa a mollare la presa. E adesso erano affamati. Non c'era niente di meglio d'un bel torrente di turpiloquio per stuzzicare l'appetito. «Tu conosci questa zona», disse Chester al Mago prima che si riaddormentasse. «Dove c'è qualcosa da mangiare?» «Non disturbarmi per queste bazzecole», ribatté Humfrey. «Io mi sono portato le provviste... come avreste fatto anche voi, se aveste avuto un po' di preveggenza». Aprì un'altra boccetta. Questa volta il vapore che uscì si condensò in una torta a più strati completa di glassa. Il Mago l'afferrò al volo, ne staccò una fetta già tagliata e mangiò, mentre il resto della torta si dissolveva e rifluiva nella boccetta. «Capisco che abbiamo sbagliato a non portare provviste per il viaggio», disse Bink. «Ma non pensi che avresti potuto offrire un po' di torta anche a noi, per questa volta?» «Perché dovrei pensare una cosa del genere?» domandò incuriosito Humfrey. «Ecco, perché abbiamo fame, e questo faciliterebbe...» Il Mago ruttò. «Vai a trovarti da solo la sbobba, scroccone», tradusse il golem. Bink pensò che il Buon Mago era un compagno di viaggio meno congeniale di quanto lo era stato il Mago Malefico, l'ultima volta che lui aveva sfidato i territori desolati di Xanth. Ma sapeva che le apparenze potevano ingannare. Crombie strillò. «Cervello di gallina dice che qui intorno ci dovrebbe essere qualche albero da frutto. Ce li indicherà», Il grifone eseguì la solita
manovra e indicò la direzione. Dopo pochi istanti videro un'enorme fruttiera. La pianta aveva la forma di un bacile, ed era piena zeppa di frutti. Accorsero allegramente... e i frutti, spaventati, zampillarono verso l'alto, riempiendo l'aria di colori. «Oh, no, sono frutti alati!» esclamò Bink. «Dovevamo avvicinarci furtivamente. Perché non ci hai avvertiti, Crombie?» «Perché non l'hai chiesto, scimunito», ribatté il golem. «Prendeteli!» gridò Chester, spiccando un balzo per afferrare una mela. Bink rischiò di venire disarcionato e si affrettò a smontare. Una pesca matura si soffermò in volo un momento per orientarsi. Bink si slanciò e l'afferrò con una mano. Le ali svolazzarono disperatamente, poi desistettero. Erano comuni foglie verdi, adattate allo scopo. Bink le strappò senza pietà, perché la pesca non scappasse, e andò a cercare altri frutti. Inciampò e cadde lungo disteso, lasciandosi sfuggire una melagrana volante. Guardò rabbiosamente l'ostacolo imprevisto. Era un altro dei mucchietti onnipresenti di terriccio fresco. Questa volta si rialzò e lo pestò fino ad appiattirlo. Poi riprese a inseguire i frutti. Presto ne ebbe una piccola collezione: una mela, una pesca, una prugna, due pere, alcuni grappoli d'uva e una banana. Quest'ultima, che volava grazie a foglie mostruose simili alle ali di un avvoltoio, gli aveva dato parecchio da fare, ma era deliziosa. Bink non si sentiva del tutto a suo agio mentre mangiava quei frutti, perché gli sembravano troppo simili a esseri viventi; ma sapeva che le ali erano un adattamento magico che permetteva alle piante di spargere più lontano i semi. I frutti erano fatti per essere mangiati: non erano consci e sensibili. Oppure sì? Bink scacciò quel pensiero dalla mente e si guardò intorno. Erano ai margini d'una foresta di legnomorto. Humfrey si svegliò. «Ho un brutto presentimento», dichiarò. «Non voglio essere costretto a usare la mia magia per scoprire che cos'ha ucciso questi alberi. È meglio girare intorno». «A che serve essere un Mago se non usi la tua magia?» chiese stizzito Chester. «Devo conservarla rigorosamente per usarla nei casi d'emergenza», rispose Humfrey. «Quelle che abbiamo affrontato finora sono state soltanto seccature, indegne del mio talento». «Cantaglielo chiaro, carogna», confermò il golem. Chester non sembrava molto convinto, ma rispettava troppo il Mago per continuare a discuterne. «Ormai è pomeriggio inoltrato», osservò. «Dove c'è un posto adatto per passare la notte?»
Crombie si fermò e roteò così vigorosamente che per poco non fece cadere i suoi passeggeri. «Umph!» esclamò Humfrey, e il golem tradusse premurosamente: «Cafone d'un felino alato! Rimetti per terra quelle zampacce da gatto!» La testa del grifone ruotò completamente all'indietro, e puntò gli occhi e il becco terribile verso il golem. «Squawk!» disse energicamente Crombie. Grundy non tradusse, ma sembrava impaurito. Crombie completò la manovra e indicò una nuova direzione. «Non è lontano dalla pista. Ci andremo», decise Chester, e nessuno lo contraddisse. Il percorso fiancheggiava la foresta morta, ed era una fortuna, perché li c'erano pochi rischi. Ciò che aveva ucciso la foresta aveva eliminato anche gran parte della magia ad essa legata, buona e cattiva che fosse. Ma Bink provava una curiosità crescente per gli alberi enormi che si vedevano dall'altra parte. Quelli erano indenni, e l'erba lussureggiante sembrava indicare che il suolo non era stato avvelenato da un mostro. Anzi stavano spuntando nuovi germogli che incominciavano la lunga impresa di ricostruire la foresta. Qualcosa aveva colpito e ucciso e se ne era andato senza lasciare altre tracce della sua presenza. Per non pensare più a quel fastidioso enigma senza soluzione, Bink si rivolse al golem. «Grundy, se non ti dispiace parlarne... quale è stata la Domanda che hai rivolto al Mago?» «Io?» chiese il golem, sbalordito. «T'interessi a me?» «Naturalmente», disse Bink. «Sei una...» Stava per dire «persona», ma ricordò che da un punto di vista tecnico il golem non lo era. «Una entità», finì, un po' impacciato. «Hai coscienza, sentimenti...» «No, nessun sentimento», disse Grundy. «Sono soltanto un costrutto di spago, argilla e legno, animato per magia. Faccio quel che mi viene detto, senza interesse e senza emozioni». Senza interesse e senza emozioni? Non sembrava affatto vero. «Mi è sembrato che avessi dimostrato una partecipazione personale, quando ho espresso interesse per te. «Davvero? Deve trattarsi di una comune emulazione delle reazioni umane. Devo effettuare tali emulazioni quando presto servizio come traduttore». Bink non era convinto, ma non obiettò nulla. «Se non hai interesse per gli affari umani, perché ti sei rivolto al Buon Mago? Che cosa gli hai chiesto?»
«Gli ho chiesto come potevo diventare reale», disse il golem. «Ma sei reale! Esisti, no?» «Se togliessi l'incantesimo che mi ha creato, non sarei altro che un mucchietto di ciarpame. Io voglio essere reale come lo sei tu. Senza magia». Reale senza magia. Sì, era ragionevole, dopotutto. Bink ricordava quanto aveva sofferto in gioventù, quando credeva di non possedere un talento magico. Quella era l'altra faccia del problema: l'essere che non aveva realtà al di fuori della magia. «E qual è stata la Risposta?» «Curarsi». «Che cosa?» «Curarsi, scemo». «Curarsi?» «Curarsi». «Tutto qui?» «Sì». «Tutta la Risposta?» «Tutta la risposta, stupido». «E per questo presti servizio un anno intero?» «Credi di avere il monopolio della stupidità?» Bink si voltò a guardare il Buon Mago, che sembrava sveglio ma restava tranquillamente in silenzio. «Come puoi giustificare la pretesa di un simile onorario per una Risposta così?» «Non devo affatto giustificarla», disse Humfrey. «Nessuno è obbligato a rivolgersi al vecchio gnomo esoso per chiedere informazioni». «Ma chiunque paga l'onorario ha diritto a una Risposta onesta», disse Bink, turbato. «Il golem ha avuto una Risposta onesta. Il fatto è che non possiede un'onesta comprensione». «Bene, non ce l'ho neppure io!» esclamò Bink. «Nessuno riuscirebbe a ricavare un senso da questa Risposta!» Il Mago alzò le spalle. «Forse lui ha fatto la Domanda sbagliata». Bink si rivolse a Chester. «Secondo te è una Risposta onesta?» «Sì», disse il centauro. «Voglio dire, quell'unica parola... 'curarsi'. Niente altro, per un intero anno di servizio». «Sì». «Credi che ne valga la pena?» Bink non riusciva a capire. «Sì».
«Tu saresti soddisfatto di una simile Risposta alla tua Domanda?» Chester rifletté. «Non credo che questa Risposta abbia relazioni con il mio problema». «Quindi non saresti soddisfatto?» «No, sarei soddisfatto se quella fosse la mia Risposta. Ma non credo che lo sia. Io non sono un golem, capisci?» Bink scrollò la testa, meravigliato. «Allora anch'io sono un po' golem. Non credo che sia una Risposta sufficiente». «Tu non sei un golem», disse Grundy. «Non sei abbastanza sveglio». Che razza di diplomazia! Ma Bink ritentò: «Chester, puoi spiegarci la Risposta?» «No, neppure io la capisco». «Ma hai detto...» «Ho detto che secondo me era una Risposta onesta. Se fossi un golem, senza dubbio capirei a che cosa si riferisce. È certo più credibile dell'idea che il Buon Mago non si comporti onestamente». Bink ricordò che Humfrey aveva detto alla manticora che aveva un'anima... e l'aveva detto in un modo che aveva soddisfatto il mostro emotivamente, non solo intellettualmente. Era un'argomentazione convincente. Doveva esserci una ragione per l'oscurità della Risposta data al golem. Ma... ah che frustrazione, fino a quando quella ragione non fosse apparsa chiara! Verso l'imbrunire scorsero una casa. Il talento di Crombie indicava che quella notte avrebbero alloggiato lì. L'unico problema era rappresentato dalle dimensioni. La porta era alta tre braccia. «È il domicilio di un gigante... o di un orco», disse Humfrey, accigliandosi. «Un orco!» ripeté Bink. «Non possiamo fermarci!» «Ci metterà tutti un pentola e accenderà il fuoco», confermò Chester. «Gli orchi vanno pazzi per la carne umana». Crombie strillò. «L'idiota dice che il suo stupido talento non sbaglia mai», riferì Grundy. «Sì, ma ricorda che il suo talento ha limiti precisi!» ribatté Bink. «Abbiamo chiesto dov'era un buon posto per passare la notte, ma non abbiamo detto che doveva essere anche sicuro». «Oserei dire che un pentolone d'acqua calda è un posto piacevole per rilassarsi», osservò Chester. «Fino a quando non diventa troppo calda. Allo-
ra il bagno è...» «Credo che dovrò usare un po' della mia preziosa magia», disse lamentosamente Humfrey. «È troppo tardi per vagare nella foresta alla ricerca di un altro alloggio». Tirò fuori un'altra boccetta e la stappò. Il tappo era ostinato, e cedette controvoglia, quindi il processo richiese un po' di tempo. «Uh, ma quello non è un portademoni!» chiese Bink, che pensava di riconoscere il modello. Certe bottiglie erano più solide e ingegnose della altre, e portavano simboli magici. «Non dovresti...» Il Mago si fermò. «Umpf». «Dice che stava appunto per farlo, cretino», spiegò il golem. «Se sei disposto a crederlo». Il Mago tracciò per terra un pentacolo, vi mise la bottiglia e pronunciò un incantesimo indecifrabile. Il tappo schizzò via, e il fumo demoniaco uscì, si condensò e assunse la forma di un'entità occhialuta nella quale Bink riconobbe Beauregard. Il dottissimo demone non attese neppure la domanda. «Mi hai tirato fuori per questo, vecchio? Naturalmente non c'è pericolo. L'orco è vegetariano. È pericolosa la vostra missione, invece». «Non ti ho chiesto della missione!» scattò Humfrey. «Lo so che è pericolosa. Per questo vi partecipo». «Non è da te abbandonarti a simili follie, soprattutto a scapito delle tue comodità», continuò Biauregard, rialzandosi gli occhiali sul naso. «Stai finalmente perdendo il senno? Rimbecillisci? Oppure stai semplicemente cercando di morire in una fiammata d'ignominia?» «Vattene, spirito infernale! Ti evocherò quando avrò bisogno delle tue inutili congetture». Beauregard scrollò mestamente la testa, si dissolse e rientrò nella bottiglia. «È uno spirito sensibile», disse Bink, impacciato. «È necessario che lo tieni rinchiuso in quella boccetta?» «Nessuno può tener rinchiuso un demone», ribatté seccamente il Mago. «E poi, il suo servizio non è ancora terminato». Qualche volta era difficile seguire la logica di quell'uomo. «Ma era già con te la prima volta che ti ho incontrato, più di un anno fa!» «Aveva una Domanda molto complessa». «Un demone dell'informazione, che risponde alle domande per cui tu vieni pagato, deve pagarti per avere Risposte?» Humfrey tacque. Bink sentì una fievole risata rombante, e dopo un mo-
mento si accorse che proveniva dalla bottiglia del demone. C'era sotto senza dubbio qualcosa di molto strano. «È meglio che entriamo prima che faccia buio», disse Chester, sbirciando con aria dubbiosa la porta dell'orco. Bink avrebbe desiderato approfondire la faccenda del demone, ma il centauro non aveva torto. Si avvicinarono alla porta. Era massiccia, formata da tre tronchi interi di legnoferro, scortecciati e legati con liane predatrici. Bink si meravigliò: il legnoferro non arrugginito poteva venire ricavato solo da alberi abbattuti da poco, e neppure una scure magica ci riusciva molto bene. E quale mostro poteva tranquillamente prendere le liane mortali per quello scopo? Di solito le liane usavano la loro forza per stritolare la preda, ed erano fortissime. Chester bussò energicamente. Vi fu un silenzio, mentre gli echi metallici si dileguavano. Poi dall'interno si avvicinarono tonfi lenti. La porta si spalancò con tanta violenza che i cardini di legnoferro si arroventarono, e il risucchio dell'aria trascinò avanti il centauro di un passo. Apparve una luce abbagliante che profilava la figura terribile dell'orco. Era alto il doppio di Bink; faceva sembrare piccola persino la porta mostruosa, e il corpo era grosso in proporzione. Gli arti muscolosi sembravano tronchi d'albero. «Ugh!» tuonò l'orco. «Dice: Uzzo, uzzo, che cos'è questo puzzo?» tradusse il golem. «Puzzo?» gridò Chester. «Quello che puzza è lui!» Era vero. Sembrava che l'orco non amasse i lavacri e neppure la magia pulitrice. Era incrostato di sporcizia ed esalava un lezzo di vegetazione putrida. «Ma non possiamo passare la notte all'aperto», disse Bink. Crombie strillò. «Cervello di gallina dice di sbrigarvi, ritardati mentali». «Tipico, da parte di Cervello di gallina», borbottò Chester. L'orco grugnì. «Dice che quel che sente al fiuto è un grifone fottuto». Il grifone si alzò, inviperito, spiegò le ali colorate e strillò. «Ti piacerebbe se rimediassi al problema amputandoti la proboscide?» tradusse Grundy. L'orco si gonfiò ancora più di lui. E ringhiò. «Io ti sfascio la crappa per farmene la pappa» disse il golem. Poi ci fu un caos di strilli e di grugniti, mentre il golem traduceva soddisfattissimo l'intero dialogo. «Vieni fuori e ripetilo se hai coraggio, cretino!» «Entra e ti faccio secco, topastro con il becco. Voglio farti la festa e
spaccarti la testa». «E tu ti spaccheresti la testa se cercassi di pensare!» strillò Crombie. «Tutti gli orchi parlano in distici rimati!» chiese Bink, quando i due fecero una pausa per rifarsi una adeguata scorta di invettive. «Oppure è un'invenzione del golem?» «Quel piccolo pisquello non ne avrebbe il cervello», tradusse il golem. Poi reagì, inviperito: «Chi sarebbe il pisquello, figlio di un bord...« «Gli orchi sono molto diversi tra di loro, come le altre creature», L'interruppe Humfrey. «Questo sembra amichevole». «Amichevole!» esclamò Bink. «Per un orco. Sarà meglio che entriamo». «Ti farò a minestrone dentro il mio pentolone!» Ringhiò l'orco tramite il golem. Ma il grifone si fece avanti e l'orco , riluttante, lo lasciò passare. L'interno era soffocante e tetro, come si conveniva alla dimora di un mostro. La luce accecante che era apparsa quando s'era aperta la porta era sparita: evidentemente il padrone di casa aveva acceso una torcia nuova per l'occasione, e si era già consumata. Il pavimento era coperto di paglia bagnata, mucchi di legnocorda erano allineati lungo le pareti, e un calderone ribolliva come fango vulcanico su un fuoco acceso nel focolare al centro. Però, sembrava che non ci fossero mucchi di ossa. E questo era incoraggiante. Bink non aveva mai saputo che esistessero orchi vegetariani, ma sicuramente il demone Beauregard sapeva il fatto suo. Bink, rendendosi conto che le minacce ininterrotte erano più che altro un bluff, si sentiva imbarazzato all'idea di approfittare di quel mostro bonario (per un orco). «Come ti chiami?» domandò. «Tu sgranocchia, e io scrocchia». Evidentemente l'orco non aveva capito. «Io mi chiamo Bink; e qual è il tuo nome?» «Mi par d'indovinare che tu non sai scrocchiare». L'orco tuffò una zampaccia sporca e pelosa nel paiolo bollente, estrasse una manciata di poltiglia, la sbatté in una ciotola di legno e la spinse verso Bink. «Bink, bevi, bevi, che così ti sollevi». «Voleva dire che il suo nome è Scrocchia», disse Chester. «Ti offre da mangiare. Non distingue tra i pasti, per lui mangiare è 'sgranocchiare'». «Oh. Uh... grazie, Scrocchia», disse Bink, impacciato. Tu sgranocchia, e io Scrocchia... Adesso aveva senso: era un'offerta di cibo e una risposta alla domanda, non una minaccia. Accettò la brodaglia. L'orco servì anche gli altri; la zampaccia enorme sembrava invulnerabile al calore.
Bink guardò dubbioso la sua porzione. Era troppo densa per berla, troppo liquida per pescarla con le dita e sebbene fosse caldissima non sembrava ancora del tutto morta. Era color porpora, con escrescenze verdi. L'odore comunque era piuttosto buono, sebbene vi galleggiasse una mosca lessata. Chester fiutò la sua ciotola con aria d'approvazione. «Ma è brodo purpureo con legnonoce verde... una leccornia fenomenale! Però ci vuole un processo magico per estrarre il brodo purpureo, e soltanto un elfo verde può procurare il legnonoce. Come hai fatto?» L'orco sorrise. L'effetto fu orrendo, anche nella semioscurità. «Infatti un elfo c'è che lavora per me», tradusse il golem. Poi Scrocchia sollevò un tronco dal mucchio e lo mise sopra il calderone. Lo strinse alle estremità... e strizzò il tronco come un panno bagnato. Un sottile getto di liquido purpureo cadde nel paiolo. Quando il tronco fu ben spremuto, l'orco strappò distrattamente le corde che lo fermavano e le aggiunse al fuoco. Bene, quello era un modo per bruciare il legnocorda. Bink non aveva mai assistito in vita sua a una simile manifestazione di forza bruta. Anziché fare commenti, intinse un dito nella poltiglia che si andava raffreddando, tirò fuori la mosca, poi pescò un grumo cremoso e se lo mise in bocca. Era delizioso. «È il piatto più squisito che abbia mai mangiato!» esclamò stupito. «L'hai detto di gran cuore; tu pensi che fa orrore», ringhiò Scrocchia, lusingatissimo. Crombie strillò, dopo aver assaggiato a sua volta. «Tu farai orrore, ma questa roba è ottima», tradusse il golem. Scrocchia, soddisfatto di quel duplice complimento, si servì buttandosi in bocca una manciata di poltiglia. Si leccò le dita e ne prese un'altra. Quando gli altri ebbero finito le loro razioni, li servì di nuovo con la stessa mano. Nessuno pensò che fosse il caso di protestare; dopotutto, quali germi magici potevano sopravvivere al calore? Dopo il pasto, si sdraiarono sulla paglia. Gli altri si accinsero subito a dormire, ma Bink era assillato da un pensiero. «Scrocchia, tra noi si usa offrire qualche servizio in cambio dell'ospitalità. Cosa possiamo fare per ripagare questo ottimo pasto e l'alloggio?» «Sì, è giusto», disse Chester. «Hai bisogno che ti tagliamo la legna o che facciamo qualche altra cosa?» «Non vi state a disturbare, io ho legna da buttare», grugnì l'orco. Batté il pugno su un tronco e lo sgretolò. Evidentemente non aveva bisogno d'aiu-
to. Crombie strillò. «Cervello di gallina dice che lui sa indicare la direzione di qualunque cosa. Che cosa vuoi, Facciadipietra?» Tradusse il golem. «Voglio solo dormire, non starmi a infastidire», borbottò Scrocchia. «No, se prima non ti avremo reso un servigio», insistette Bink. «Fatti pure un bel sogno, non c'è proprio bisogno!» Scrocchia strinse in pugno una manciata di paglia, e quando allentò le dita la paglia si era fusa in uno stecco. L'orco l'usò per pulirsi i denti. Per una volta, Chester consigliò la prudenza. «Non possiamo imporgli con la forza un servigio che non vuole». «Forse non sa di volerlo», disse Bink. «Dobbiamo rispettare il codice di comportamento». «Sei uno zotico cocciuto», disse Grundy, che questa volta parlava a proprio nome. «Perché cercare guai?» «È questione di principio», rispose Bink, incerto. «Crombie, puoi indicare dov'è la cosa che Scrocchia desidera?» Il grifone strillò affermativamente, girò su se stesso sollevando la paglia e indicò. Indicò il Buon Mago Humfrey che sonnecchiava in una angolo, con una manciata di paglia sulla testa. «Lascia perdere», protestò Humfrey, insonnolito. «Non sono disposto a farmi mangiare». «Ma lui è vegetariano!» gli rammentò Bink. «Non è possibile che voglia mangiarti. Forse vuole farti una Domanda». «Ma non per avermi dato alloggio una notte! Dovrebbe servirmi per un anno». «Non ho domande, senti, né suggerimenti», grugnì l'orco. «Sembra che stiamo imponendo al nostro ospite qualcosa che non desidera», disse Chester, con una diplomazia che in lui era sorprendente. Era chiaro che le esibizioni di forza di Scrocchia l'avevano molto colpito. L'orco era senza dubbio l'essere più poderoso che avessero incontrato. «C'è qualcosa che Scrocchia vuole, anche se non lo sa», disse Bink. «Ed è nostro dovere trovarglielo». Nessuno obiettò, anche se Bink era sicuro che tutti avrebbero preferito che lasciasse perdere l'argomento. «Crombie, forse non è il Mago che vuole, ma qualcosa che il Mago ha addosso. Dove hai indicato, esattamente?» Crombie strillò, rassegnato, e indicò di nuovo. Bink osservò attentamente. «Ecco!» esclamò. «Qualcosa sul suo inguine». Poi s'interruppe, intimidito. «Oh. Forse la sua giacca».
Ma il Mago s'era addormentato e stava russando. «Oh, avanti!» disse Grundy. «Controllerò io». Si arrampicò sul Mago e s'infilò dentro la giacca. «Non credo che...» attaccò Bink, sbalordito da tanta audacia. «È un problema tuo», disse il golem dall'interno della giacca. «Dev'essere... questa». Uscì, stringendo fra le braccia una boccetta. Per lui era un peso tremendo. «E la bottiglia del demone!» disse Chester. «Non far scherzi...» Ma Grundy stava già togliendo il tappo. Bink si lanciò per trattenerlo, ma come al solito arrivò troppo tardi. Questa volta il tappo non fece resistenza: schizzò via nell'istante in cui Bink afferrava la boccetta. «Ormai è fatta!» esclamò Chester. «Se Humfrey si sveglia...» Bink restò con la boccetta in mano mentre il demone si condensava, libero dalle iscrizioni magiche e dagli incantesimi. «Qualcuno... qualcuno... ha fatto un... un...» balbetto Bink. Beauregard si consolidò, con un enorme tomo sotto un braccio. Sbirciò Bink al di sotto degli occhiali. «Un pentacolo?» disse. «Mi pare di no». «Che cos'ho fatto?» gemette Bink. Beauregard agitò negligentemente la mano libera. «Tu non hai fatto niente, Bink. È stato quello stupido golem». «Ma sono stato io a dargli l'idea!» «Può darsi. Ma non preoccuparti. Considerati piuttosto lo strumento del destino. Sappi che non erano la bottiglia e il pentacolo a trattenermi; ma onoravo queste convenzioni per compiacere il Mago, per motivi di cortesia professionale. L'accordo era che l'avrei servito come informatore di riserva fino a quando le circostanze mi avessero liberato, secondo le consuete regole del controllo dei demoni. Ora l'occasione è venuta, com'era predestinato. Un demone veramente vincolato sarebbe fuggito; io sono libero di andarmene. Ti ringrazio, e me ne vado». Incominciò a svanire. «Aspetta!» gridò Bink. «Rispondi almeno alla Domanda del simpatico orco!» Beauregard si consolidò di nuovo. «Lui non ha nessuna Domanda. Vuole soltanto dormire. Gli orchi hanno bisogno di riposare parecchio, altrimenti perdono la cattiveria». «Ma il talento di Crombie ha indicato...» «Oh, già tecnicamente c'è qualcosa, ma non è un desiderio consapevole».
«Andrà bene lo stesso», disse Bink. Non avrebbe mai immaginato che gli orchi potessero avere desideri inconsci. «Dicci che cos'è, prima di andartene». «Vuol sapere se deve prendere moglie», disse il demone. L'orco ringhiò. «Avrei piaceri o doghe, se io prendessi moglie?» tradusse il golem. «Ecco, questo è interessante», disse Beauregard. «Un golem che presta servizio in pagamento di una Risposta che non può comprendere». «Chi potrebbe capire una Risposta formata da una parola sola?» chiese Grundy. «Soltanto un essere reale», rispose Beauregard. «Si tratta proprio di questo... lui non è reale», disse Bink. «Vuol sapere come diventarlo». Beauregard si rivolse al centauro. «E tu vuoi sapere qual è il tuo talento. Potrei dirtelo, naturalmente, ma allora dovresti pagarmi, e questo non lo vorremmo né tu né io». «Perché non ti limiti a rispondere alla domanda dell'orco e te ne vai?» chiese Bink, che non si fidava di quel demone troppo sapiente. «Non posso farlo direttamente, Bink. Sono un demone: lui non accetterebbe la mia risposta, per quanto fosse razionale. Appartiene a una specie irrazionale, come te; quindi devi rispondergli tu». «Io! Ma...» Bink s'interruppe. Non aveva voglia di parlare dei suoi attuali problemi con Chameleon. «Parlavo al plurale», disse Beauregard in tono condiscendente. «Tu, Chester e Crombie dovreste discutere i rapporti con le vostre femmine, e il risultato fornirà all'orco la prospettiva che gli serve». Poi riflette un momento. «Anzi, in questo contesto, potrebbe essere pertinente un mio commento». E il demone sedette sulla paglia insieme a loro. Vi fu un silenzio. «Uh... come hai... cioè... hai in mente... una femmina d'orco... uh... un'orchessa?» chiese Bink a Scrocchia. L'orco rispose con una raffica di grugniti, sbuffi, e digrignamenti dei denti gialli. Il golem ebbe il suo daffare a star dietro alla traduzione, ma si mostrò all'altezza del compito. «Un mattino allegro come un ben funerale, quando stava ormai per scoppiare un temporale, ebbi la pensata di fare una passeggiata. Pensavo di trovare qualcosa da mangiare. Non c'era nessuno, ero troppo lontano; né un drago né un mostro, e neppure un nano. Entrai in una foresta così grande e imponente che in confronto degli alberi io mi sentivo un niente. L'in-
trico era tremendo, era di grande impaccio, ma finalmente giunsi a un mitico crepaccio, con nichelpiedi e mille altre delizie, e tanta acqua stagnante coperta d'immondizie. Poi incontrai un castello e vidi che là c'era un bel sudario funebre per bandiera. Il vento aveva il dolce profumo della fossa, e tutte le muraglie erano fatte d'ossa. C'era un draghetto, Puk, che dormiva all'ingresso, e vicino qualcosa mi lasciò come un fesso: una fontana invasa tutta dalla fanghiglia, e che gettava acqua più del sangue vermiglia. Guardavo quella scena sì bella e peregrina, e già dalle mie labbra colava l'acquolina. Sapevo che l'incanto si sarebbe compiuto quando avessi mangiato, quando avessi ceduto. Ma volevo vedére se dentro quel castello si celava per caso qualche altro gioiello. E sdraiata su un lurido vecchio telo da tenda io trovai finalmente un'orchessa stupenda. Capelli come ortiche, e pelle da limaccia, e degna d'uno zombi era quella sua faccia. Puzzava di carogna, roba da vomitare; ero così entusiasta che avrei voluto urlare. Pensavo di star male, vermi nelle budella, ma ero innamorato invece della bella. Con il pugno le ho dato una grossa batosta, che per noi orchi è il modo di fare una proposta. L'ho presa per la gamba, l'ho trascinata via, per portarmela a casa, l'amatissima mia. Allora tutto il castello s'è svegliato, troll e folletti e mostri del fossato. E hanno festeggiato la coppia ben riuscita bersagliandoci entrambi con la frutta marcita. Però mentre uscivamo, è successo un gran danno; è suonato l'allarme dove i diavoli stanno. Facevano dormire il castel per cent'anni quei diavoli del lago che san solo far danni. Gettarono un incanto allor così potente che noi scappammo subito precipitosamente. Corsi di qua e di là, sbatacchiando la testa, ma l'incanto ci colse in mezzo alla foresta. Gridai: 'Non scrocchio ossa!' con furiosi latrati, e quelli si convinsero che fossimo scappati. L'incanto allora esplose con furia repentina, e tutta la foresta si trasformò in rovina. Ora non scrocchio ossa, o i diavoli sapranno che mi sono salvato ricorrendo a un inganno. Non voglio che mi lancino altre maledizioni magari anche peggiori, quei perfidi demoni. La mia amata nel bosco giace adesso assopita e consuma nel sonno il fior della sua vita. Ma una cosa mi turba, e devo dir che basta: lei non s'era mostrata veramente entusiasta. Voglio sapere adesso: farò meglio a lasciarla dove si trova ora, od andare a cercarla?» Gli altri rimasero a lungo in silenzio, dopo lo straordinario racconto dell'orco. Finalmente Crombie strillò. «È veramente un'avventura romantica grandiosa», tradusse Grundy. «Anche se apprezzo le qualità eccezionali della tua amica, devo dire, in base alla mia esperienza, che tutte le femmine sono creature infernali, il cui scopo principale nella vita è ingannare, in-
trappolare e rendere infelici i maschi. Perciò...» Il grugnito dell'orco interruppe il grifone a metà di uno strillo. «Ah ah ah ah ah, ah ah ah ah ah», tradusse Grundy. «Vado subito a prenderla e me la porto qua!» Chester sorrise. «Nonostante le raccomandazioni del mio amico, devo invitarti alla prudenza. Per quanto una giumenta tormenti lo stallone, e per quanto sembri normalmente irragionevole, viene il momento in cui mette al mondo il suo primo puledrino. Allora la giumenta non ha più interesse per...» «Non ti tormenta più? Questo non mi va giù», ringhiò Scrocchia, deluso. «Ma a tempo debito», disse Bink, «finisce per ritornare normale, e spesso ha la lingua molto tagliente. Comunque, credo che qualche mugugno sia meglio di nessun mugugno. Quindi, perché non svegli la tua bella addormentata e non le lasci una possibilità? Può darsi che renda la tua vita del tutto insopportabile». Gli occhi dell'orco s'illuminarono come torce. «Devo ammetterlo», disse Beauregard, «questa conversazione mi ha offerto un'affascinante opportunità di studiare i sentimenti umani, animali e orcheschi. Ciò che per gli umani è un mugugno, per gli orchi è entusiasmo. Questo andrà benissimo per concludere la mia dissertazione». «La tua che cosa?» chiese Bink. «La mia tesi di libera docenza sulla fallibilità degli esseri intelligenti che vivono sulla superficie di Xanth», spiegò Beauregard. «Ho chiesto informazioni al Mago umano Humfrey, e lui mi ha assicurato che un periodo di servizio nella bottiglia mi avrebbe dato le indicazioni necessarie, poiché la natura d'una persona può essere meglio giudicata tramite le domande che considera più importanti. È stato veramente così, e ormai sono sicuro che otterrò il dottorato. Questo mi qualificherà per stringere un vincolo permanente con la demonessa del mio cuore, e ne vale la pena. Provo una certa euforia demoniaca. Perciò offrirò in dono a ognuno di voi un piccolo omaggio, frutto delle mie ricerche». Beauregard si rivolse a Chester. «Preferisco non rivelarti direttamente il tuo talento magico, ma ti darò un indizio: rispecchia l'aspetto represso del tuo carattere. Poiché, come molti centauri, non hai voluto credere all'esistenza della magia nella tua specie, interi aspetti della tua personalità sono stati repressi. Quando riuscirai a liberarti di questo condizionamento, il tuo talento si manifesterà in modo naturale. Non sprecare un anno della tua vita per la Risposta del Buon Mago; basta che cerchi di esprimere meglio te
stesso». Poi si rivolse a Crombie: «Non potrai sottrarti al tuo destino in questa maniera. Quando ritornerai dalla cerca - se tornerai - Sabrina ti prenderà nella trappola di un matrimonio infelice, a meno che tu stringa un legame più conveniente prima di rivederla. Perciò divertiti finché puoi: spassatela e non preoccuparti per il domani, perché sarà peggio dell'oggi. Eppure per te il matrimonio non è un destino peggiore della morte: lo capirai quando ti troverai di fronte alla morte». Lasciò l'avvilito grifone e si girò verso il golem. «Il significato della Risposta che ti ha dato il Mago è questa: le persone provano sentimenti, si curano di qualcosa. Gli oggetti inanimati, no. Solo quando proverai sentimenti autentici che vinceranno la tua logica diventerai reale. Potrai raggiungere questo vertice solo se t'impegnerai... ma stai in guardia, perché i sentimenti degli esseri vivi sono in molti casi assai spiacevoli». Finalmente, il demone si rivolse a Scrocchia: «E a te, orco, dico di andare a prendere al tua dama. Mi sembra che sia una degna compagna, una femmina orrenda sotto tutti gli aspetti». E Scrocchia rimase tanto commosso che quasi arrossì. Beauregard si girò verso Bink. «Non sono mai riuscito a scoprire la tua magia, ma sento che ora è in funzione. È estremamente forte... ma ciò che cerchi è infinitamente più forte. Se insisterai, correrai il rischio di venire annientato, e di annientare le cose che più ti sono care. Eppure insisterai, quindi ti faccio le mie condoglianze. Arrivederci...» E si dileguò. Gli altri si scambiarono occhiate. «Dormiamo», propose Chester. Sembrò a tutti che quella fosse l'idea migliore della serata. CAPITOLO SESTO LA POLVERE MAGICA L'indomani mattina ringraziarono l'orco e proseguirono la cerca, mentre Scrocchia si addentrava impaziente nella foresta morta per svegliare la bella sposa dai capelli come ortiche e dalla pelle di limaccia. Avevano varie cose nuove da considerare. Ora conoscevano la causa della morte degli alberi, ma... i diavoli maligni che vivevano nel lago e disponevano di magie tanto devastanti? c'erano Maghi, tra loro, e la fonte della magia era nei pressi? Humfrey era particolarmente pensieroso. Forse non era stato addormentato del tutto, durante la conversazione serale, o forse aveva attinto alla sua
magia informazionale per accertare la situazione. Doveva sapere che il demone Beauregard se ne era andato. «Quale magia», mormorò, «può devastare un'intera foresta dissipando un'unica maledizione? Perché non hai mai pensato di cercare», disse Chester, con la solita mancanza di diplomazia. «Adesso stiamo cercando», osservò Bink. «La magia dovrebbe essere più forte, vicino alla sorgente». Crombie strillò. «La magia forte è una cosa. Le maledizioni della categoria dei Maghi sono un'altra faccenda. Lasciatemi controllare». E ripeté la consueta manovra. Erano avviati nella direzione giusta. Il territorio sembrava normale; i grandi alberi guardavano minacciosamente gli intrusi, mentre i più piccoli cercavano di ritrarsi. C'erano nugoli di frutti volanti: bacche, ciliegie e pompelmi sembravano alla ricerca di un'altra fruttiera. Sentieri invitanti apparivano in mezzo agli intrichi, e naturalmente la comitiva li evitava. Nella Terra di Xanth, la via più facile era di rado la migliore! C'era una pista di drago, con i segni delle bruciature sui tronchi degli alberi che delimitavano i confini territoriali. Il posto più sicuro, quando si era inseguiti da un drago, era qualche passo all'interno del territorio di un altro: ogni tentativo di caccia di frodo avrebbe portato a un regolamento di conti tra i due mostri. Presto, però, il cammino divenne più difficile. Rovi dalle spine scintillanti e dal pessimo carattere bloccavano ampi tratti, e altri erano pattugliati da branchi di formiche-leoni. Un macchione d'erbapuzzola circondava l'unico sentiero che restava, e si trattava di una varietà molto grossa e potente. La comitiva cercò di passare in mezzo, ma il fetore divenne così intenso che persino l'orco, se fosse stato con loro, avrebbe esitato. Ripiegarono boccheggiando. Presero in considerazione le alternative: rovi e formiche-leoni. Bink tentò di aprire un varco tra le piante con la spada, ma ogni volta altri rami lo richiudevano, minacciosamente. Erano rovi più svegli del normale, e la lucentezza delle spine faceva pensare che fossero velenose. Bink indietreggiò. Ancora una volta si trovava alle prese con la possibilità che il suo talento lo proteggesse ma lasciasse morire i suoi amici. Si avvicinò alla zona delle formiche-leoni. Gli insetti dalla testa di leone avevano aperto piste praticabili, e avevano eliminato spietatamente tutti i pericoli. Tutti i pericoli, cioè, tranne le stesse formiche-leoni. La spada di Bink poteva uccidere un leone, le frecce e gli zoccoli di
Chester potevano liquidarne altri due o tre, e come grifone Crombie ce l'avrebbe fatta a eliminarne quattro... ma gli esseri avrebbero attaccato a dozzine, senza paura e senza pietà. Anche in questo caso, probabilmente Bink ne sarebbe uscito indenne, per qualche coincidenza incredibile... ma gli altri? Si voltò... alzò gli occhi al cielo e vide un sentiero tra gli alberi. Tra le cime degli alberi. Si soffregò gli occhi. Un sentiero nell'aria? Beh, perché no? Con la magia, si disse per l'ennesima volta, tutto era possibile. Il problema era: gli umani e i semi-umani potevano percorrerlo? E se potevano, dove li avrebbe condotti? Comunque, sembrava il percorso più promettente. Se lui stava in groppa a Chester, il suo talento non avrebbe permesso che salissero sul sentiero aereo a meno che quello li sostenesse entrambi. Il grifone, il Mago e il golem pesavano molto meno, quindi avrebbero potuto seguirli senza rischi. «Credo di vedere una strada», disse Bink. Tentarono. Trovarono un punto dove il sentiero magico scendeva spiraleggiando vicino al suolo, e Crombie roteò su se stesso per scoprire se c'erano pericoli su quella strada. Non c'erano. Salirono e si avviarono in alto, tra gli alberi. La cosa più strana era che il sentiero era sempre pianeggiante, per quanto s'incurvasse. Ma la foresta roteava tutto intorno. Qualche volta il sole era sotto di loro, qualche volta da una parte, mentre gli alberi assumevano le angolazioni più svariate. Incuriosito, Bink tese la mano per toccare il fogliame di un albero il cui tronco si protendeva dal terreno, sopra di lui. Era solido. Naturalmente, Bink sapeva che era lui, quello che stava capovolto: il sentiero creava un orientamento tutto suo. Si voltò indietro e vide che il grifone marciava con un'inclinazione diversa, ma capì che agli occhi del grifone, del Mago e del golem era lui ad apparire bizzarramente inclinato. Era una magia sconcertante ma innocua. Per ora. Nel frattempo, Bink si godeva quella comodità e il panorama. Il sentiero conduceva attraverso la foresta, quasi sempre a notevole distanza dal suolo, e la prospettiva nuova era piacevole, attraversata da raggi solari obliqui e colonne di nebbia dai dolci colori. Era un modo strano di vedere le cose. Il sentiero passava al di sopra della portata delle formiche-leoni, ma al di sotto della portata dei predatori alati. Bink scorse parecchi piccoli draghi volanti, un'arpia, e persino un roc in lontananza, ma nessuno si accostava al sentiero. Anche le piante erano insolitamente passive. I tentacoli dei costrittori
penzolavano vicino al sentiero, ma non lo sfioravano mai, e non c'erano rami che lo bloccassero. Ovviamente il sentiero era incantato, e questo era sospetto: le vie migliori, per definizione, erano le più pericolose. Bink ricordava quanto era stato facile penetrare nella foresta intorno a Castel Roogna, quand'era ancora abbandonato, e quanto era stato difficile uscirne. A che cosa stavano andando incontro? Il talento di Crombie affermava che non c'erano pericoli nella direzione in cui si snodava il sentiero... ma il talento di Crombie poteva essere troppo letterale. Per Bink, qualunque cosa che ritardasse il compimento della missione era una minaccia. Non ci si poteva fidare d'una magia sconosciuta. Era meglio chiedere al Buon Mago. «Naturalmente la strada è sicura, Bink», rispose Humphrey in tono irritato. «Pensi che altrimenti la percorrerei?» E Bink non aveva ancora fatto la domanda! Il Mago conservava il suo talento speciale, anche se il rifiuto di usarlo nell'interesse della spedizione lo faceva sembrare talvolta poco più simpatico di un'arpia. A che serviva viaggiare con un Mago, se non usava mai i suoi poteri per facilitare le cose? Persino il Mago Malefico se ne era servito quando c'era la minaccia di... «Si tratta appunto di questo, Bink», disse Humfrey. «Attualmente non ci sono pericoli. Quando la situazione cambierà, userò la magia che ho tesaurizzato con tanto scrupolo. Tu sei ancora giovane; sperperi le risorse senza pensare, e ti vai a cacciare in pasticci che avresti dovuto evitare». Gli stava bene; così avrebbe imparato a lasciar volare liberi i suoi pensieri! Bink si azzittì mentalmente e continuò a procedere. A tempo debito il sentiero scese verso un grazioso villaggio, con le case dai tetti di paglia e i muri colorati, e linde passerelle che le collegavano l'una all'altra. «Avete notato?» chiese Chester. «Non c'è magia nella costruzione. Solo materiali mundani». «È vero», disse Bink, sorpreso. «Se ci stiamo avvicinando alla fonte della magia, su un sentiero magico, la magia non dovrebbe essere di più, anziché meno!» Si rivolse al grifone. «Crombie, sei sicuro che sia...» Crombie strillò. «Cervello di gallina dice che è la direzione giusta», tradusse il golem. «Ma il villaggio può essere solo una tappa, non la destinazione». Una vecchia arpia brizzolata uscì svolazzando incontro ai visitatori. Tutti si prepararono al peggio, perché le arpie erano famigerate. Ma quella, sebbene fosse sottilmente orribile, era pulita e per nulla aggressiva. «Ben-
venuti, viaggiatori», disse, senza neppure prendersi il disturbo d'insultarli. Un'arpia straordinariamente garbata! «Uh, grazie», disse Bink. «Stiamo cercando la... un posto dove passare la notte. Non abbiamo cattive intenzioni». Non aveva mai saputo che un'arpia si comportasse con cortesia, e quindi rimase in guardia, tenendo la mano sull'impugnatura della spada. «L'avete trovato», rispose lei. «Siete tutti maschi?» «Sì», rispose Bink, inquieto. «Siamo alla ricerca della fonte della magia. Sembra che il tuo villaggio le sia vicino. Noi...» «Cinque maschi», disse l'arpia. «Che abbondanza!» «Le vostre femmine non ci interessano», disse Chester, con la consueta bellicosità. Crombie strillò. «Almeno, non la loro intelligenza», tradusse il golem. Chester arricciò il labbro in una smorfia quasi equina. Bink dovette affrettarsi a parlare prima che quei due ricominciassero. «Saremo felici di sbrigare qualche lavoretto per voi, in cambio di vitto e alloggio per questa notte. Poi, domani, se avete qualche informazione sulla magia...» «Dovrete parlarne con Trolla», disse l'arpia. «Da questa parte, prego». Si allontanò svolazzando e mormorò «Uomini!» in tono di preoccupante eccitazione. «Forse non hai torto», bisbigliò Chester a Crombie. «Se siamo caduti in un nido di arpie...» «Forse è meglio risalire sul sentiero aereo e tornare indietro», concluse Bink, voltandosi a guardare. Ma il sentiero era sparito. Non potevano tornare indietro. Trolla era... un troll femmina. Era brutta quasi quanto l'arpia, ma anche lei era sorprendentemente gentile. «Capisco che siete a disagio, bei visitatori», disse. «E ne avete motivo. Ma non a causa delle abitanti del villaggio. Lasciate che vi serva la cena, mentre vi spiego la situazione». Bink e gli altri si scambiarono occhiate. Il centauro e il grifone sembravano molto a disagio, ma il Buon Mago appariva tranquillissimo. Trolla batté la mani callose, ed entrarono alcune ninfe dei boschi che portavano i piatti. Avevano i capelli verdi, la pelle bruna, le labbra e le unghie rosse, come alberi in fiore. Ma le figure erano umane; ognuna di loro era una bellezza nuda, snella, tornita e maliziosa. E tutte adocchiavano Bink e Humfrey con grande interesse. Forse sarebbe stato più esatto dire «con grande appetito». La cena era virtualmente mundana: verdure e frutti locali, e piccole bi-
stecche di drago. I baccelli d'erbalatte fornivano la bevanda; il latte era buono, ma non eccezionale. «Forse avete notato che non abbiamo usato magie nella preparazione del pasto», disse Trolla. «Qui usiamo la magia il meno possibile, perché ce n'è più che in qualunque altra località di Xanth. Mi rendo conto che per voi non ha senso...» «È molto logico, invece», disse Humfrey, attaccando un'altra bistecca. Trolla lo fissò. «Tu devi essere un Mago, Signore». «Umpf». Lui sembrava più interessato al cibo che alla discussione. Ma Bink sapeva che non era così. Humfrey stava attentissimo a tutto ciò che aveva attinenza con la magia. «Se lo sei... se qualcuno di voi possiede una forte magia... devo avvertirvi d'essere molto prudenti nell'usarla», disse Trolla. «Vi prego di non fraintendermi: la mia non è una minaccia. È che tutta la magia... ecco, permettete che vi dia una piccola dimostrazione». Batté le mani ed entrò una ninfa, bella e nuda come le altre. «Portami una piccola lucciola», disse Trolla. La ninfa tornò subito, portando la lucciola. Era piccolissima... del tipo che produceva al massimo una scintilla innocua. Stava posata sul tavolo, con le ali color fiamma ripiegate e le zampette isolate. «Ora state a vedere cosa succede quando la spavento», disse Trolla. Batté sul tavolo, violentemente. La lucciola sobbalzò, sgomenta, e lanciò la fiamma, per un attimo. Irradiò luce e calore, e una sfera di fumo salì verso il soffitto. Un tratto del tavolo, ampio quanto una mano, era carbonizzato. La lucciola era sparita. «Si è bruciata!» esclamò Chester. «Non intendeva farlo», spiegò Trolla. «Era una normale lucciola di Xanth, non acclimatata in questa regione. Qui, vicino alla fonte, la sua magia si è moltiplicata per cento. La minuscola scintilla è diventata una fiamma che l'ha consumata. Fino a che voi maschi non vi sarete acclimatati, vi consiglio di non praticare le vostre magie nel villaggio. Apprezziamo molto la vostra presenza e non vogliamo che vi capiti nulla di male». Bink guardò Humfrey, ma il Buon Mago continuò a mangiare. «Uh... nessuno di noi ha magie incendiarie», disse Bink, rendendosi conto che toccava a lui rispondere a nome di tutti. Eppure, si chiese, che cosa avrebbe fatto il suo talento, di fronte a una minaccia? Quello che intendeva essere un miglioramento poteva diventare un peggioramento. «Ma sarebbe meglio se... se niente ci minacciasse». «Purtroppo, c'è una minaccia gravissima», disse Trolla in tono serio.
«Perché siete maschi. Avrete notato che non ci sono maschi nel villaggio». «L'abbiamo notato», ammise Bink. «Le vostre ninfe sembrano molto colpite dalla nostra presenza». In effetti, le ninfe gli stavano così vicine che non riusciva a muoversi senza toccarle involontariamente. «Il nostro problema è questo», continuò Trolla. «Una sirena ha attirato i nostri maschi. In origine, questo era un normale villaggio umano, se si esclude il nostro compito, che è unico e fondamentale. Poi venne la sirena e ci portò via i nostri uomini. Poiché non potevamo trascurare il nostro lavoro, con grandi rischi personali intraprendemmo la costruzione del sentiero incantato che avete percorso, per incoraggiare l'immigrazione. Ma anche i nuovi uomini ci vennero presto sottratti. Estendemmo la ricerca agli esseri non umani: e fu così che io venni qui, con mio marito, il troll. Ma la terribile emorragia continuò; ben presto rimasi vedova... e non nel modo normale». Bink si allarmò. Certe femmine di troll divorano i mariti. Si diceva che l'unica cosa di cui aveva paura un troll fosse la propria moglie... e a ragione. Forse quella femmina predatrice stava cercando un altro marito? «Ora il nostro villaggio è formato da femmine intelligenti d'ogni specie», continuò Trolla. «E da un certo numero di animali. La strada magica ci porta soltanto esseri intelligenti, ma alcuni animali s'infiltrarono attraverso la giungla. La sirena... per voi è il pericolo. Quando sentirete il suo richiamo, sparirete nella foresta e non tornerete più. Ve lo risparmieremmo, se potessimo, ma non possiamo far nulla a meno che ricorriamo a certi mezzi». «Quali?» chiese nervosamente Bink. «Potremmo assordarvi, in modo che non la sentiate», spiegò Trolla. «Oppure castrarvi, così non reagireste a...» «Perché voi femmine non andate a uccidere la sirena?» chiese Chester «Senza offesa, signora, ma penso che probabilmente tu ce la faresti». «Sarei ben felice di farla a pezzi e di mangiarmela», disse Trolla. «Ma non posso superare l'albero groviglio. La sirena ha fatto un patto con lui: lascia passare i maschi che vanno da lei, ma agguanta le femmine». «Allora dovete eliminare l'albero groviglio», disse Bink. «Dato che qui la magia è così forte, come hai dimostrato, dovrebbe essere piuttosto facile. Qualche lucciola, o qualche ananas-bomba...» «Non è un albero groviglio normale», disse Trolla. «Abbiamo tentato di distruggerlo ma, sebbene sia fuori dal nostro villaggio, ha assorbito magia a sufficienza per sventare i nostri sforzi. Dopotutto, siamo soltanto femmi-
ne... e gli uomini non lo combattono, quando sono affascinati dalla sirena». Bink trasse un profondo respiro. «Credo che possiamo rendervi questo servizio, in cambio dell'ospitalità. Domani uccideremo l'albero». Trolla scrollò mestamente la testa. «Sei molto gentile», disse. «Ma la sirena non lo permetterà». La sirena non conosceva il talento di Bink. Dato che sirena e albero groviglio erano entità magiche, la sua magia l'avrebbe protetto contro di loro. In un modo o nell'altro. Ma considerando le possibili complicazioni del potenziamento della magia in quel luogo, avrebbe fatto meglio ad affrontare da solo quell'albero. Non voleva che ci andassero di mezzo i suoi amici. Forse avrebbe potuto sgattaiolare fuori durante la notte e farlo mentre gli altri dormivano. Crombie strillò. «Che funzione ha nel villaggio, vecchia?» tradusse il golem. «È situato sulla fonte della magia», rispose Trolla. «Questa è l'origine della magia di Xanth. La polvere ne è satura, e se si accumulasse quasi tutto il resto di Xanth diventerebbe rapidamente mundano, mentre nel villaggio si svilupperebbe una concentrazione fatale. Perciò dobbiamo sparpagliare la polvere, mantenendo un equilibrio ragionevole». Si guardò intorno. «Sembra che abbiamo terminato il pasto. Permettetemi di mostrarvi la nostra attività». «Umpf», disse Humfrey. Ormai Bink era sicuro che il Mago si limitava a fingersi disinteressato, secondo la sua abitudine: la conclusione della loro cerca era vicina! Eppure Bink si sentiva deluso; si era aspettato di incontrare maggiori difficoltà nell'acquisizione della conoscenza che gli stava a cuore. Trolla li accompagnò in un grande edificio costruito di pietra mundana. All'interno c'era un'enorme fossa di ghiaia, dove minuscole femmine d'elfo, gnome e silfidi scavavano ed estraevano la sabbia con picconi e badili piccolissimi. La caricavano su carri a ruote trainati da alcune centauresse, una manticora e una piccola sfinge. Bink si sentì pizzicare la pelle quando si avvicinò alla sabbia: conteneva una magia molto forte, non c'era dubbio! Eppure era la prima volta che incontrava una magia indeterminata. Quella sabbia non operava magie in proprio e non gettava incantesimi; era magica, e attendeva istruzioni precise. Bink non riusciva quasi a crederlo. La sabbia veniva portata in un altro edificio, dove tre enormi efalunfi la calpestavano e la riducevano in polvere. Gli efalunfi erano animali che di solito vivevano allo stato selvatico nel territorio desolato; ma evidente-
mente quelli erano addomesticati e ben curati, e avevano l'aria felice. Poi un uccello roc lanciava la polvere nell'aria, con grandi colpi delle ali mostruose. Quella corrente forzata era così potente da formare minuscoli cicloni. «La grandinata in technicolor!» esclamò Bink. «È la polvere che ricade!» «Esattamente», confermò frolla. «Noi cerchiamo di mandare la polvere molto in alto, perché venga trasportata dalle correnti su tutto Xanth prima di ricadere, ma le tempeste localizzate la fanno scendere prima del tempo. La regione immediatamente sottovento è inabitabile per gli esseri intelligenti; la concentrazione della polvere nell'aria altera l'ecologia e porta alla demenza. Quindi la nostra attività comporta rischi... ma dobbiamo continuarla. Saremmo felici se voi maschi restaste qui, incoraggiando le nostre donne... ma sappiamo che dovete fuggire per sottrarvi al richiamo della sirena. Purtroppo, la nostra via d'accesso è a senso unico; recentemente abbiamo avuto troppo da fare per costruire una rampa di partenza. Potete andarvene solo passando attraverso la Regione della Follia. Comunque, è sempre preferibile alla sirena. Vi aiuteremo come potremo ma...» «Ma prima dobbiamo rendervi un servigio», disse Bink. «Abbiamo vari talenti, e dovremmo essere in grado di farcela». Ma era segretamente irrequieto; gli sembrava improbabile che potessero riuscire dove tutti gli altri uomini erano falliti. E si domandò ancora una volta perché la fonte della magia di Xanth era rimasta sconosciuta per tanti secoli, se gli abitanti del villaggio avevano sempre saputo di che si trattava. Forse il fatto che nessuno, a quanto sembrava, sopravviveva quando lasciava il villaggio... o forse la polvere magica annebbiava le altre magie, e quindi gli oggetti come gli specchi incantati non si mettevano a fuoco su quell'area. Probabilmente nella Terra di Xanth c'erano moltissimi segreti ancora da scoprire... «Questa sera terremo un'adunanza», disse Trolla. «Alcune delle ragazze più giovani non hanno mai visto un maschio, e meritano quest'occasione. Conoscerete tutte, e decideremo come aiutarvi a sfuggire alla sirena. Finora non è stato trovato un sistema per impedire che il suo richiamo raggiunga i maschi, anche se noi femmine non possiamo sentirlo. Con il vostro permesso, potremmo chiudervi in gabbia, così...» «No!» esclamarono contemporaneamente Bink e Chester, mentre Crombie lanciava uno strido. «Siete veri maschi, sempre pronti ad accettare una sfida», disse Trolla con aria d'approvazione venata di tristezza. «Comunque, prima o poi do-
vremmo farvi uscire, e allora la sirena vi attirerebbe, quindi le gabbie non rappresentano una soluzione. Dobbiamo sbarazzarci della sirena!» Per un momento la sua faccia assunse l'espressione d'odio feroce che era normale per i troll. Ma poi si raddolcì. «Vi accompagnerò al vostro alloggio, e verrò a prendervi al crepuscolo. Vi prego di essere pazienti con tutte le nostre concittadine; la vostra presenza è un evento sensazionale, e le ragazze non sono abituate alla vita di società». Quando rimasero soli, Bink apostrofò il Mago. «Qui c'è qualcosa di strano. Perché non usi la tua magia per scoprire come stanno veramente le cosa?» «Devo far tutto io?» borbottò Humfrey. «Senti, nanerottolo!» scattò Chester. «Noi abbiamo faticato da consumarci le code, mentre tu non hai fatto altro che poltrire». Humfrey restò imperturbato. «Quanto desideri essere pagato per i tuoi sforzi...» Bink pensò che avrebbe fatto meglio a intromettersi, sebbene capisse l'atteggiamento del centauro. Non aveva immaginato che guidare una spedizione comportasse tanti problemi! «Sembra che siamo arrivati a destinazione, alla fonte della magia. Ma è stato troppo facile, e le abitanti del villaggio sono troppo accomodanti. Tu solo puoi dirci se abbiamo completato davvero la cerca, o se siamo finiti in una trappola che divora gli uomini. Senza dubbio è venuto il momento d'impiegare la tua magia, se vuoi essere tanto generoso». «Oh, d'accordo», disse sgarbatamente Humfrey. «Non te lo meriteresti, dopo che hai liberato Beauregard, ma darò un'occhiata». Il Mago tirò fuori uno specchio. «Specchio, servo delle mie brame, sei tu il più bello del reame?» Lo specchio si annebbiò e divenne scarlatto. «Oh, finiscila di arrossire!» scattò Humfrey. «Era solo una prova». Bink ricordava uno specchio come quello. Rispondeva solo per immagini, e in modo piuttosto tortuoso; una domanda troppo diretta su un argomento delicato poteva spaccarlo. «Conosci la fonte della magia di Xanth?» chiese il Mago. Apparve l'immagine d'un bimbetto sorridente. Era chiaro che significava «sì». «Puoi dirmi l'ubicazione della fonte?» Il Mago mormorò agli altri: «È un momento cruciale. A casa, lo specchio non poteva mai rivelare questa informazione, ma qui, dove la magia è più forte...»
Il bimbetto sorrise di nuovo. Humfrey sorrise a sua volta, assaporando l'imminente vittoria. «Mi dirai dov'è?» Di nuovo il sorriso cherubico. Bink sentì il cuore battergli più forte. Capiva che il Mago stava abbordando l'argomento con estrema prudenza. Lo specchio prendeva alla lettera ogni domanda, e non forniva chiarimenti spontanei; quell'approccio tortuoso faceva sì che non venisse sopraffatto da una sfida troppo brusca. «Per favore, mostrami sullo schermo l'ubicazione». Lo specchio diventò buio. «Ahi», disse Bink. «Si è rotto?» Lo specchio si rischiarò e apparve un bimbetto piangente. «Ti ha risposto di no», disse Humfrey. «Abbi la bontà di lasciarmi proseguire l'indagine». Si rivolse allo specchio. «Mi stai mostrando una scena sotterranea?» Il bimbo sorrise. «Insomma, confermi che la fonte della magia non è nel villaggio in cui ci troviamo?» Questa volta apparve un grosso punto interrogativo. «Stai dicendo che la fonte della magia è in questo villaggio?» chiese bruscamente il Buon Mago. Riapparve il punto interrogativo. «Umpf, c'è un problema», bofonchiò Humfrey. «Lo specchio non sa scegliere tra le verità. C'è qualcuno che ha un'idea?» «È questione di prospettiva», disse Chester. «Se la fonte è la polvere magica, può darsi che ci sia più di un giacimento. Molto probabilmente è un fiume che sale dalle viscere della terra. Forse si ha una definizione multipla, a seconda che tu pensi alla fonte in superficie oppure alla fonte della fonte». «Ecco un essere con la mente ben disciplinata», disse Humfrey in tono d'approvazione. «Se almeno la disciplinasse più spesso, anziché litigare con il soldato». Si girò verso lo specchio. «L'analisi del centauro è esatta?» Il bimbetto sorrise. «Ora», chiese il mago, «conosci la motivazione delle abitanti del villaggio?» Quando ricevette un altro sorriso, chiese: «Hanno buone intenzioni verso di noi?» Il sorriso lo confermò. Bink si sentì un po' sollevato. «E Trolla ha detto la verità a proposito della sirena?» Un altro sorriso. Humfrey alzò la testa. «Adesso viene il difficile», disse, in tono soddi-
sfatto. Bink comprese che anche il mago amava le sfide. L'abilità magica che aveva tenuta in serbo adesso veniva usata, ed era efficace. «Finora abbiamo soltanto confermato quel che sapevamo già. Ora dobbiamo avventurarci nell'ignoto». Si rivolse di nuovo allo specchio. «Puoi dirci come risolvere il problema delle abitanti del villaggio?» Il cherubino sorrise. «È straordinariamente sollecito», commentò Humfrey. «Il potenziamento magico locale sta veramente moltiplicando il potere dello specchio. Ora disponiamo di un efficiente strumento di ricerca». Guardò di nuovo lo specchio. «Come...» «Maschi, siete pronti?» chiese Trolla dalla soglia. Tutti sussultarono. Bink stava per spiegare, poi notò il rapido cenno negativo del Mago. Lo specchio era sparito. Il Buon Mago non voleva rivelare il segreto della sua magia, almeno per il momento. Bene, avevano già saputo parecchie cose, e avrebbero ripreso a interrogare lo specchio alla prima occasione. «Che bel vestito», disse Bink a Trolla. Non era una menzogna: l'abito era molto grazioso, anche se lei continuava ad essere una femmina di troll. Evidentemente c'era in programma una festa. La seguirono. La piazza centrale del villaggio era stata trasformata, con mezzi non magici. C'era un falò di legno vero, che lanciava scintille e fumo fino al cielo. Era il crepuscolo, e incominciavano a spuntare le stelle. Sembrava che le scintille volassero in cielo e si trasformassero in astri... e forse, pensò Bink, la magia potentissima di quella regione produceva davvero tale effetto. Le stelle dovevano pur finire lassù in qualche modo, no? Le femmine del villaggio erano incantevoli, vestite per la festa. Le giovani erano molto più numerose di quelle che avevano visto prima, e adesso che avevano terminato il turno di lavoro non vedevano l'ora di stare vicine agli ospiti. Bink fu circondato da ninfe, driadi e fanciulle umane, mentre Humfrey era assediato da silfidi, elfette e mignonette. Tre affascinanti centauresse stavano intorno a Chester. Due grifone adocchiavano Crombie, ma non potevano avere molte speranze con quel misogino arrabbiato. Dopotutto, erano soltanto animali. C'era persino una golem che stava dietro a Grundy. Eppure, che aria triste avevano le altre femmine... la manticora, la sfinge e le arpie. Loro non avevano maschi da vezzeggiare. «Ecco, ragazze... sono sposato», protestò Bink, quando l'assedio divenne più stringente. «Lei non lo saprà mai», gli garantì un'affascinante ragazza dalla chioma
azzurra. «E noi abbiamo bisogno di te più di quanto ne abbia lei». E gli schioccò un bacio sull'occhio sinistro, l'unica parte che poteva raggiungere a causa dell'accalcarsi delle altre fanciulle. «Sì, nessun uomo lascia questo villaggio, se non per il richiamo di quella carogna canora», soggiunse una bellezza dal pelame morbido. «È nostro dovere trattenerti, per salvarti la vita. Tua moglie non preferirebbe saperti un po' consumato, piuttosto che morto?» Era una domanda imbarazzante! Cosa ne avrebbe pensato Chameleon? Nella fase bella-stupida si sarebbe rattristata e poi avrebbe perdonato; nella fase brutta-intelligente avrebbe capito la situazione con spirito realistico. Quindi avrebbe accettato quel che c'era da accettare, e certo non avrebbe voluto che lui morisse. Comunque, Bink non intendeva spassarsela con nessuna di quelle... Qualcosa lo distrasse. Era un suono fievole, strano, e tuttavia affascinante. Si sforzò di ascoltare, ma il chiasso che facevano le ragazze lo sommergeva quasi completamente. «Per favore, voglio sentire... c'è una melodia...» «È la sirena!» strillò una fatina. «Cantate, ragazze, cantate! Soffocate il richiamo di quella carogna!» Cantarono a voce alta, appassionatamente e stonando senza ritegno. Ma la melodia insidiosa riusciva a penetrare, e quel tema limpido si insinuava nella cacofonia generale, imponendo a Bink di reagire. Si avviò in quella direzione... Immediatamente le fanciulle lo abbrancarono. Lo cinsero con le braccia, trascinandolo indietro, lo buttarono al suolo, seppellendolo sotto i loro corpi morbidi. Bink crollò in un groviglio di braccia, gambe, seni e altri elementi anatomici che non si prese la briga di definire. Le ragazze erano benintenzionate... ma era impossibile non ascoltare il richiamo della sirena. Bink lottò per liberarsi, e intravide altri mucchi di corpi... i suoi compagni erano nella sua stessa situazione. Bink era più forte delle ninfe, che erano fragili e delicate, e non voleva far loro del male. Eppure doveva liberarsi dal loro abbraccio soffocante. Se le scrollò di dosso, staccando le loro mani, respingendole. Vi furono strilli e grida e risatine; e poi balzò in piedi e si lanciò a corsa. Chester, Crombie e il Mago lo raggiunsero, affascinati dal canto irresistibile. «No! No!» gridò disperata Trolla. «State cercando la morte! Siete maschi civili o esseri senza cervello?»
Quelle parole turbarono Bink. Che cosa voleva, lui, da una tentatrice magica? Eppure non riusciva a resistere alla sirena. Il suo incanto aveva una qualità ultraterrena che colpiva le radici della mascolinità, più a fondo della sede dell'intelligenza. Era un maschio, e quindi reagiva. «Lasciateli andare. Sono perduti», disse angosciosamente Trolla. «Abbiamo tentato, come sempre... e abbiamo fallito». Sebbene fosse affascinato dalla sirena, Bink provava simpatia per Trolla e le ragazze. Loro offrivano vita e amore, eppure erano condannate a continue ripulse; il loro orientamento positivo non poteva competere con l'ossessione negativa della sirena. Le abitanti del villaggio subivano una sorte terribile quanto quella degli uomini. Forse perché erano ragazze sincere, e promettevano solo ciò che potevano mantenere, mentre la sirena non si poneva limiti del genere? Crombie strillò. «Come falliscono tutte le femmine», tradusse Grundy, rivolgendosi alla disperata Trolla. «Anche se non capisco perché qualcuno di noi debba reagire al richiamo...» Il grifone scrollò le ali e passò oltre. Lo sentiva anche il golem? Doveva essere così, perché non protestava. Scesero correndo per un sentiero che si apriva magicamente davanti a loro. Era un sentiero perfetto, del tipo che di solito conduceva verso un predatore enorme e stazionario come un albero groviglio. Ma naturalmente quell'albero groviglio non li avrebbe attaccati, perché erano maschi affascinati dalla sirena. Sarebbe stata lei a ucciderli, a modo suo. In che modo? Si chiese Bink. Non riusciva a immaginarlo, ma la prospettiva era molto eccitante. «Che modo straordinario di morire!» mormorò. Arrivò in vista dell'albero. Era mostruoso, anche per un esemplare della sua specie. I tentacoli penzolanti erano grossi come le gambe di un uomo, lunghissimi e agili. La fragranza tentatrice lo avvolgeva come un abito da sera e lo faceva apparire infinitamente desiderabile. Una dolce musica emanava dalle fronde: non era un richiamo di sirena, ma un tipo di melodia che metteva addosso la voglia di sdraiarsi ad ascoltare in pace. Ma un veterano dei territori desolati di Xanth non poteva lasciarsi ingannare. Quello era uno degli esseri più esiziali: neppure un drago si sarebbe avvicinato a un albero groviglio! Il sentiero passava proprio là sotto, dove la cortina dei tentacoli si schiudeva e cresceva l'erbetta verdissima. Ma tutto intorno c'era un ammasso d'ossa sbiancate, i resti delle precedenti vittime. Ossa femminili, pensò Bink, e fu assalito da un'altra fitta di rimorso.
Eppure la sirena continuava a chiamare, e loro seguivano il richiamo. Passarono in fila, uno dietro l'altro, perché sotto l'albero il sentiero era molto stretto. Chester galoppava in testa, poi veniva Crombie, perché erano i più veloci; Bink e il Mago li seguivano più in fretta che potevano. Non avevano avuto il tempo di salire sulle loro cavalcature per procedere più speditamente. Chester si soffermò sotto l'albero terribile, e i tentacoli fremettero d'avidità repressa, ma non l'afferrarono. Dunque era vero: il canto della sirena annullava i riflessi dell'albero-groviglio! La musica lontana adesso era più forte e più avvincente; era l'essenza stessa del fascino femminile. Le ninfe del villaggio erano graziose e dolci, ma la promessa della sirena era irresistibile: come se tutto l'incanto della femminilità fosse stato distillato e concentrato e... Davanti a Bink, il grifone si fermò di colpo. «Squawk!» esclamò. «Cosa sto facendo qui?» tradusse il golem che stava sopraggiungendo di corsa a velocità sorprendente, considerando le sue dimensioni. «La sirena non è altro che una stramaledetta femmina subdola decisa a succhiarmi il sangue!» Era una verità sacrosanta, ma gli altri non lo ascoltarono. Naturalmente la sirena era una femmina subdola, in assoluto! Che differenza faceva? Era impossibile non obbedire al richiamo! Ma il misogino era deciso a fare il difficile. «Sta cercando di prendermi in trappola, quella!» strillò. «Tutte le donne sono così! Morte alle donne!» E diede un rabbioso colpo di becco all'oggetto più vicino... che era l'estremità di un tentacolo dell'albero. Se si fosse trattato di un uccellino, la beccata sarebbe stata al massimo fastidiosa. Ma Crombie era un grifone. Il becco era affilato come una spada, potente come una morsa, un'arma capace di tranciare la caviglia di un uomo. Il tentacolo aveva appunto il diametro di una caviglia, e il colpo lo stroncò di netto. Il pezzo staccato piombò a terra, contorcendosi come un verde serpente decapitato. Per un momento l'albero rimase paralizzato. Nessuno poteva permettersi di fargli una cosa simile! L'estremità superiore del tentacolo lasciò sgocciolare una linfa scura, mentre si agitava come se cercasse la parte tranciata. La dolce musica in sottofondo divenne stridente. «Credo che la tregua sia finita», disse Bink. Ma non se ne curava, perché il canto della sirena continuava, attirandolo con la promessa di delizie indicibili. «Avanti, Crombie, mi stai bloccando la strada». Ma il soldato non volle sentir ragioni. «Squawk! Squawk!» esclamò, e
prima che Grundy potesse tradurre, tranciò un secondo tentacolo, poi un terzo. L'albero groviglio tremò. Quindi, infuriatissimo, reagì. La musica divenne un assordante barrito di indignazione, e i tentacoli scattarono per afferrare il grifone... e il centauro, l'uomo e il Mago. «L'hai fatta grossa, Cervello di gallina!» urlò Chester nel frastuono. Afferrò il primo tentacolo che lo sfiorò e lo torse fra le mani come l'orco aveva strizzato il tronco. Sebbene i tentacoli fossero solidissimi quando abbrancavano qualcosa, avevano scarsa resistenza alla compressione, e in un attimo quello finì schiacciato, inservibile. Di colpo, il canto fascinoso della sirena fu sommerso dal furore dell'albero, e i viaggiatori si trovarono impegnati a lottare per la vita. Bink sguainò la spada e sferrò fendenti ai tentacoli protesi verso di lui, recidendoli uno ad uno. Al suo fianco, Crombie colpiva con il rostro e gli artigli, usando tutte e quattro le zampe. Lunghi graffi apparivano sui tentacoli che toccava, e lasciavano colare una linfa densa e verdognola. Ma altri continuavano ad avventarsi da ogni parte, perché quello era il centro del potere dell'albero. Chester indietreggiò contro il tronco e imbracciò l'arco, Scagliò una freccia dopo l'altra contro le robuste estremità superiori dei tentacoli, paralizzandoli. Ma... «No, Chester!» gridò Bink. «Allontanati dal...» Troppo tardi. Le fauci immense si aprirono nel tronco, le labbra di corteccia si sporsero per inghiottire i quarti posteriori del centauro. Bink si avventò per aiutare l'amico. Ma un tentacolo gli avvinghiò la caviglia e lo fece cadere. Poté soltanto urlare: «Scalcia, Chester!» Poi si trovò sepolto fra i tentacoli, torniti ed elastici come le braccia delle ragazze del villaggio, ma molto meno amabili. Il braccio che reggeva la spada era immobilizzato, e non poteva far altro che mordere, con scarsi risultati. E per giunta, la linfa verde aveva un sapore schifoso. Chester scalciò. Il calcio di un centauro era potente. Abbassò la testa e le spalle per controbilanciare la parte posteriore, e tutta la forza del corpo straordinario esplose attraverso i due zoccoli. Colpirono all'interno delle fauci dell'albero, contro la gola lignea, e il suolo tremò per il duplice impatto. Alcune vecchie ossa caddero dal fogliame e piovvero a terra. Ma la bocca lignea non mollò. I succhi gastrici fluirono, incominciando la digestione dell'ottima carne centauresca. L'istinto di Chester sarebbe stato utile contro qualunque albero normale... usare il tronco inerte per proteggere i
suoi preziosi ma vulnerabili quarti posteriori. Ma in quel caso era una catastrofe. Chester scalciò di nuovo, una, due volte, con grande violenza. Neppure l'albero predatore poteva resistere a lungo a quel trattamento. Di solito, la vittima era priva di sensi o ridotta all'impotenza quando arrivava alla fase del consumo, e non sveglia e scalpitante. Poco a poco, con riluttanza, la corteccia cedette e il centauro si liberò. I fianchi bellissimi erano coperti di linfa-saliva, e uno zoccolo s'era scheggiato nell'urto furioso con il legno. Ma almeno era vivo. Sguainò la spada e avanzò per aiutare Bink, che stava soffocando non troppo lentamente nell'abbraccio dei tentacoli. Il Mago Humfrey, intanto, aveva i suoi problemi. Stava cercando di stappare una delle sue boccette, ma i tentacoli l'avvinghiavano troppo in fretta. L'albero stava per sopraffarli tutti! Crombie s'era fatto largo a beccate e unghiate. All'improvviso si svincolò. «Sono libero, mostro vegetale!» strillò esultante.. «Scommetto che anche tu sei femmina!» Aveva sfoderato il suo insulto peggiore. Il golem era risalito a bordo, e aveva ripreso le sue funzioni di traduttore simultaneo. «Non puoi acchiapparmi!» E infatti l'albero non poteva, perché era trattenuto dalle radici. Crombie spiegò le ali e s'involò, allontanandosi. E gli altri? Come se fosse ancora più infuriato da quella sconfitta, l'albero si concentrò sulle prede rimaste. I tentacoli si avvolgevano come pitoni, stringendo e stringendo. Chester stava cercando di aiutare Bink, ma non osava sferrare colpi troppo vicini, per timore di affettare l'amico con la spada, insieme a un tentacolo. Bink, che adesso era il più vicino al tronco, veniva trascinato a testa in avanti verso le temibili fauci. Finalmente, Humfrey stappò la bottiglia. Il fumo uscì, si espanse e si condensò... in una torta alla ricotta con spezie. «Maledizione!» gridò il Mago. «Ho sbagliato boccetta!» Chester sparò un calcio alla torta che slittò sull'erba e fini nelle fauci bavose dell'albero. Le labbra di corteccia si chiusero. Il centauro non avrebbe potuto tirare con precisione maggiore neppure se l'avesse fatto di proposito. L'albero si trozzò. Fu scosso da un attacco di colpi di tosse, seguito da uno starnuto. Grossi pezzi di ricotta volarono dalla bocca. «Le spezie sono piuttosto piccanti», borbottò Humfrey, cercando precipitosamente un'altra boccetta. Ormai la testa di Bink era vicinissima alle fauci. La corteccia si contor-
ceva, cercando di liberarsi dal sapore della ricotta alle spezie. Il mostro amava la carne fresca, non i latticini. La linfa scorreva dai nodi simili a denti per ripulire le fauci. Tra un momento sarebbe stato pronto per trangugiare Bink. Chester stava ancora cercando di aiutarlo, ma tre tentacoli gli si erano abbarbicati al braccio che reggeva la spada, altri gli avvinghiavano le varie estremità. Neppure la sua forza enorme poteva prevalere contro la potenza dell'albero. «E quel soldato vigliacco è scappato!» grugnì, continuando a lottare. «Se riesco a mettergli le mani addosso...» Spiaccicò un altro tentacolo prima che anche il braccio libero venisse bloccato. Humfrey stappò un'altra boccetta. Il vapore emerse... e assunse la forma d'un vampiro. L'essere si guardò intorno, lanciò uno squittio di terrore, giurò di rinunciare al sangue per tutta la vita, e volò via. Un tentacolo scattò, lo colpì e lo sbatté a terra. L'albero stava avendo davvero la meglio. Gli ultimi avanzi della ricotta vennero risputati; le fauci si riaprirono per ingurgitare Bink. Bink vide le file dei nodi che fungevano da denti, e la linfa-saliva. Dalle pareti interne della bocca si protendevano fibrille che sembravano tentacoli in miniatura, pronte ad assorbire il sangue della vittima. All'improvviso Bink comprese: l'albero groviglio era parente dell'erba carnivora che cresceva nei Territori Desolati! Sarebbe bastato aggiungere un tronco e i tentacoli a una macchia di quell'erba e... Humfrey sturò un'altra boccetta. Questa volta si formò un basilisco, che sbatté le alucce e si guardò minacciosamente intorno. Bink chiuse gli occhi per evitare il suo sguardo, e Chester fece altrettanto. L'albero rabbrividì e cercò di ritrarsi. Non esisteva, in tutta la Terra di Xanth, un solo essere che fosse disposto a incontrare lo sguardo di quella piccola lucertola-gallo! Bink senti il battito delle ali mentre il basilisco volava diritto nella bocca dell'albero groviglio... e si fermava. Ma non accadde nulla. Cautamente, Bink aprì un occhio. L'albero era ancora vivo. Il basilisco non l'aveva ucciso con un'occhiata. «Oh... un basilisco finto», gemette Bink, deluso. «Ho un buon rimedio contro questi alberi, da qualche parte», insistette Humfrey, che stava ancora frugando tra le sue boccette. Ogni volta che un tentacolo lo stringeva troppo forte, lo stordiva con un gesto magico. Bink non aveva mai saputo che esistessero gesti capaci di tanto... ma naturalmente lui non era un Mago dell'Informazione. «Sono tutte in disordine...» I tentacoli spinsero Bink nella bocca. Il puzzo di carogna era fortissimo. Impotente, fissò la propria fine.
«Squawk!» gridò una voce, oltre l'albero. «Carica!» Crombie era ritornato! Ma che cosa poteva fare, da solo? Si sentì lo scalpiccio di numerosi piedi. L'albero rabbrividì. Arrivò un odore di fumo e di vegetazione bruciata. Con la coda dell'occhio, Bink vide una luce arancione, come se un incendio infuriasse nella foresta. Erano torce! Crombie aveva chiamato a raccolta le femmine del villaggio, e adesso stavano aggredendo l'albero con le fiaccole, e bruciavano i tentacoli. Che eroismo! Adesso l'albero groviglio era costretto a difendersi da un attacco in forze. Lasciò cadere Bink, per aver liberi i tentacoli. Bink vide che avvinghiava una graziosa ninfa, e la sentì urlare mentre lasciava cadere la torcia e veniva sollevata in aria. «Squawk! Squawk!» ordinò Crombie, e altre femmine accorsero in aiuto della compagna, formando uno schermo di fiamme. Altri tentacoli vennero bruciacchiati, e la ninfa cadde al suolo. Bink recuperò la spada e ricominciò a sferrare fendenti dall'interno della cortina di tentacoli. Ormai l'albero badava alla minaccia che veniva dall'esterno, e quindi era più vulnerabile dall'interno. Ad ogni colpo Bink tranciava un altro ramo verde, denudando gradualmente il mostro vegetale. «Squawk!» strillò Crombie. «Venite fuori!» tradusse il golena. Era un consiglio sensato. Se l'albero si fosse concentrato di nuovo verso l'interno, Bink, Chester e Humfrey si sarebbero trovati ancora nei guai. Era meglio uscire finché era possibile. Dopo un attimo erano a fianco del grifone. «Squawk!» esclamò Crombie. «Finiamo il mostro!» spiegò Grundy. Le signore si misero all'opera con molto impegno. Erano una cinquantina e circondavano l'albero, agitavano le torce e scottavano i tentacoli. Avrebbero potuto sconfiggere l'albero in qualunque momento, anziché lasciarsi intimorire per tanti anni... se avessero avuto un maschio a guidarle. Era un'ironia che l'organizzatore fosse proprio il misogino Crombie! Eppure, forse era giusto. L'ossessione paranoica di Crombie nei confronti delle motivazioni delle donne gli aveva permesso di resistere alla sirena e di spezzare il suo incantesimo. Adesso si serviva di quelle femmine in un modo che un soldato poteva capire benissimo: come carne da macello per la battaglia. Forse non avrebbero reagito con tanta obbedienza a un uomo più gentile. Forse avevano bisogno di qualcuno che le disprezzasse e che fosse pronto a sfruttarle per i suoi scopi. L'albero si stava raggrinzendo; metà dei terribili rami erano amputati o
paralizzati. Ci sarebbe voluto un po' di tempo per ucciderlo, ma ormai la vittoria sembrava certa. Grazie a Crombie e alle coraggiose abitanti del villaggio. «Sai, potrei imparare a rispettare le donne come queste!» mormorò Crombie, durante una pausa nella sua infaticabile attività. Per la verità, furono strilli - e - traduzione, ma Bink era ormai così abituato che non notava la differenza. «Obbediscono agli ordini, e si battono quasi come uomini, tenendo conto del...» S'interruppe a metà di uno squawk e restò in ascolto. Allora Bink sentì di nuovo il richiamo della sirena, non più sommerso dal fragore della battaglia. Oh, no! Tentò di resistere... e non ci riuscì. La sirena aveva ritrovato il suo incanto. Bink si avviò in direzione del suono. I suoi compagni si accodarono in silenzio. Le femmine del villaggio, troppo prese dalla battaglia vittoriosa, non li videro allontanarsi. CAPITOLO SETTIMO FEMMINE ESIZIALI I rumori del combattimento svanirono in lontananza. I maschi, incluso Crombie, proseguirono lungo il sentiero, attratti dal canto della sirena. La sua magia era più forte, e faceva fremere Bink. Sapeva che la sirena intendeva ucciderlo, come aveva cercato di fare l'albero groviglio... ma che morte soddisfacente sarebbe stata! Era un sentiero bellissimo, e niente ostacolava l'avanzata. Presto arrivarono sulla riva d'un laghetto. C'erano due minuscole isolette, come cime di montagne nascoste sotto la superficie. Da lì proveniva la musica della sirena. Avanzarono sul sentiero. Bink pensò che Crombie si sarebbe ribellato ancora, e in cuor suo sperava che lo facesse, ma il grifone non esitò. Evidentemente la sua opposizione alle femmine era stata smussata dall'ammirazione per le abitanti del villaggio, e non era più capace di nutrire sospetti sufficienti. Anzi, fu il primo a salire sul sentiero d'acqua... e l'acqua cedette leggermente sotto i suoi artigli ma lo sostenne. Il Mago veniva per secondo, Bink per terzo e... Da una parte si levò un belato rabbioso. Un piccolo essere arrivò correndo lungo la spiaggetta. Era quadrupede e lanoso, come una pecora, con ampie corna ricurve che gli giravano intorno alla testa. Evidentemente il sentiero attraversava il suo territorio, e non era disposto a tollerare gli intrusi.
Chester, che si trovava sulla strada dell'essere, si fermò. «Un ariete da assedio», commentò, riconoscendolo. «Non è soggetto all'incantesimo della sirena perché è soltanto un animale. È inutile cercare di ragionare con lui». Un ariete da assedio! Bink si soffermò; la curiosità ebbe momentaneamente la meglio sul fascino della sirena. Aveva sentito parlare di quegli esseri, e dei loro parenti gli arieti idraulici, ma non ne aveva mai incontrato uno. A quanto ne sapeva, esistevano solo per dare testate, e si divertivano a farlo. Se c'era una porta da abbattere o il muro d'un castello da sfondare, un ariete come quello aveva un valore inestimabile. Nelle altre occasioni erano una seccatura, perché non la finivano mai di battere la testa contro gli ostacoli. Chester era molto più grosso dell'ariete... ma l'ariete l'aveva tagliato fuori dal sentiero della sirena. Lo schivò una volta, ma l'animale frenò con uno stridore di zoccoli - una manovra ammirevole, sulla sabbia, anche con l'aiuto della magia - e ruotò su se stesso per caricare di nuovo. Chester si sarebbe preso una testata nelle parti posteriori, se l'avesse ignorato... e quelle parti posteriori erano il suo orgoglio nonostante le macchie causate dalla linfa dell'albero groviglio. Erano molto più belle della faccia. Perciò si voltò di scatto per evitare l'ariete, e schivò anche la seconda carica. Ma non sarebbe finita mai. L'ariete sarebbe stato felicissimo di continuare in eterno, sollevando altri zampilli di sabbia ad ogni frenata, ma Chester doveva obbedire al richiamo d'una sirena. Quindi doveva fermare l'ariete, in un modo o nell'altro. Bink si chiese se il suo talento aveva contribuito a salvarlo dall'albero groviglio, così come aveva usato liberamente le motivazioni e la magia di altri. L'ariete era un altro mezzo per impedirgli di raggiungere la sirena? In quel caso, avrebbe dovuto tenere per l'ariete, non per Chester. Chester, che non era uno stupido, fra una carica e l'altra manovrò portandosi direttamente davanti a un grosso albero. Non distoglieva mai gli occhi dall'ariete, per non farsi cogliere alla sprovvista. Alla prossima carica l'ariete sarebbe andato a sbattere contro il tronco, e con un po' di fortuna sarebbe rimasto intontito. O almeno avrebbe incominciato a restare intontito, perché ce ne volevano, di testate, per stordire un ariete da assedio. E quegli esseri erano già piuttosto tonti in partenza. Poi Bink riconobbe l'albero. «Quello no, Chester!» urlò. «È un ...» Troppo tardi! Perché interveniva sempre troppo tardi? Stava diventando irritante! L'ariete caricò, Chester si schivò saltellando, si udì un trillo flau-
tato, musicale, e l'animale si avventò contro l'albero a testa bassa. La forza dell'impatto fu talmente grande, sproporzionata alle dimensioni dell'ariete, che l'albero tremò violentemente. «...un ananas!» finì Bink, troppo tardi. I frutti cominciarono a cadere: erano enormi ananas dorati, perfettamente maturi. E ognuno, quando toccava il suolo, esplodeva. Era così che la pianta si riproduceva; il frutto, detonando, scagliava la gragnola di semi tutto intorno, in modo che ognuno potesse generare, con un po' di fortuna e un po' di magia, un albero nuovo. Ma era piuttosto pericoloso trovarsi nelle vicinanze quando questo avveniva. Un ananas piovve sul didietro dell'ariete. L'ariete belò e si girò per fronteggiarlo, con i quarti posteriori bruciacchiati e doloranti, ma naturalmente era inutile. Altri frutti stavano piovendo tutto intorno. Uno cadde proprio davanti all'ariete. Con uno sbuffo furibondo, l'animale si avventò per intercettarlo, e lo ricevette proprio sulle corna. L'esplosione riuscì veramente a intontirlo: l'ovino si allontanò barcollando e belando felice. Chester, nel frattempo, era impegnato in una complicata danza per sfuggire agli ananas e soprattutto per ripararsi la coda fluente e il posteriore. Riusciva a evitare i frutti che piovevano a sinistra, a destra davanti, ma quelli che cadevano dietro rappresentavano un problema. Uno gli finì quasi sulla coda, e anzi la sfiorò. Chester, con una manovra straordinaria, spostò fulmineamente i quarti posteriori... ma il movimento lo portò con la testa nello spazio appena lasciato libero dalla coda. L'ananas gli scoppiò proprio sotto il mento. La testa venne avvolta da fiamme e fumo. Poi il fumo si dileguò e il centauro restò lì, stordito. Bink non fu capace di tornare indietro, nonostante la preoccupazione per l'amico. Un po' perché i richiami insistenti della sirena gli permettevano di soffermarsi ma non di indietreggiare, e un po' perché il sentiero sul lago era a senso unico. Era solido finché procedeva in avanti, ma era soltanto acqua quando tentava di arretrare. Il lago era piccolo, ma sembrava molto profondo, e Bink non sapeva che cosa ci fosse dentro. Nelle profondità si annidavano spesso le magie peggiori. Poté soltanto gridare: «Chester? Tutto bene?» Il centauro scrollò adagio la testa. L'esplosione non aveva danneggiato la faccia, che era sempre stata brutta, ma Bink era preoccupato per la splendida intelligenza dell'amico. L'ananas gli aveva lesionato il cervello? «Chester! Mi senti?» Poi, quando si accorse che il centauro non gli badava, Bink comprese. Lo scoppio l'aveva assordato!
Bink agitò violentemente le mani, e alla fine Chester se ne accorse. «Parla più forte... non ti sento!» Poi anche lui capì. «Sono sordo! Non sento niente!» Ma almeno, per il resto sembrava in buone condizioni. Bink, ora che non era più assillato dell'ansia, si sentì nuovamente sopraffatto dal richiamo incessante della sirena. Fece un cenno. «Al diavolo la sirena!» gridò Chester. «Adesso non posso sentirla. È da stupido andare da lei. Vuole ucciderci!» Crombie si era liberato per breve tempo dall'ossessione, presso l'albero groviglio, ma era stato ricatturato dalla sirena. Adesso Chester era stato liberato grazie all'intervento dell'ariete. Doveva essere opera del talento di Bink! Ma Bink era ancora preso all'amo. Si girò e proseguì verso l'isola. Crombie e il Buon Mago erano ormai quasi arrivati, perché non avevano indugiato a lungo quanto lui. Chester arrivò al galoppo lungo il sentiero e raggiunse Bink. Lo sollevò per i gomiti con le mani poderose. «Non andare, Bink! È una pazzia!» Ma Bink non l'ascoltò. «Mettimi giù, somaro! Devo andare». I suoi piedi continuavano a camminare nell'aria. «Non ti sento, ma so che cosa stai dicendo, e non varrebbe la pena di ascoltarlo», disse Chester. «C'è solo un modo per farla finita prima che gli altri siano spacciati». Posò Bink e afferrò il grande arco. La sirena era ancora lontana, ma non esistevano arcieri paragonabili ai centauri. La corda dell'arco sibilò, e la freccia letale saettò sopra l'acqua, verso l'isola e la figura femminile che vi stava sopra. Vi fu un urlo di dolore, e la melodia cessò bruscamente. La freccia di Chester era arrivata a segno. Di colpo, tutti furono liberi: l'ossessione era cessata. Il talento di Bink l'aveva spuntata, finalmente, salvandolo dal male senza rivelarsi. Corsero all'isola. La sirena giaceva a terra... ed era la più incantevole che Bink avesse mai visto, con la chioma di sole e la coda che luccicava come acqua corrente. La freccia le aveva trapassato il petto, un po' al di sotto degli spettacolosi seni nudi, e adesso sanguinava davanti e dietro. Si era accasciata sul dulcimer che stava suonando. Ma non era morta. Sebbene la freccia, scagliata con la mira infallibile del centauro, dovesse averle trapassato il cuore, respirava ancora. Non aveva neppure perso i sensi. Sollevò debolmente il viso per guardare Chester. «Perché mi hai colpita, bel maschio?» bisbigliò.
«Non può sentirti. È sordo», disse Bink. «Non volevo fare alcun male... solo amare», continuò lei. «Amare tutti gli uomini... perché dovevi opporti?» «Che gioia c'è nella morte?» chiese Bink. «Noi ti abbiamo portato quello che tu hai portato ad altri cento uomini». Parlava burberamente, ma soffriva nell'assistere all'agonia di quell'incantevole creatura. Ricordava quando anche Chameleon era stata ferita allo stesso modo. «Io non portavo la morte!» protestò la sirena, con tutta la veemenza di cui era capace, e ansimò quando lo sforzo le fece sgorgare dal petto un fiotto di sangue. Tutto il corpo, sotto le spalle, era insanguinato; e si stava indebolendo a vista d'occhio. «Soltanto... soltanto amore!» Si accasciò e perse i. sensi. Bink, commosso nonostante ciò che sapeva, si rivolse al mago. «È... è possibile che abbia detto la verità?» Humfrey tirò fuori lo specchio magico, che mostrava il viso sorridente del bimbetto. «È possibile», riferì il Mago. Poi chiese: «La sirena ha detto la verità?» Il bimbo sorrise di nuovo. «Non intendeva fare del male», borbottò il Mago. «Non è lei che uccide, anche se attirava qui gli uomini». Tutti si scambiarono un'occhiata. Poi Humfrey tirò fuori la boccetta d'elisir risanatore e ne spruzzò una goccia sulla terribile ferita che si rimarginò immediatamente. La sirena ritornò indenne. Il Mago offrì a Chester una goccia d'elisir per gli orecchi, ma il centauro la rifiutò. Humfrey la spruzzò sul posteriore equino, che ridiventò più bello che mai. «Mi hai guarito!» esclamò la sirena, passandosi le mani sul petto. «Non c'è neppure sangue, né dolore!» Poi, scuotendosi: «Devo cantare!» Tese la mano per prendere il dulcimer. Chester lo colpì con un calcio. Lo strumento volò nell'aria e piombò nel lago. «Ecco la fonte della sua magia!» gridò il centauro. «L'ho distrutta!» La fonte della magia... distrutta. Era un presagio? La sirena provò a cantare. Gonfiò meravigliosamente il petto... e aveva una voce splendida, ma adesso era priva di potere. Il centauro l'aveva veramente privata della sua magia disastrosa. Lei tacque. «Vuoi dire che era questo a far accorrere gli uomini? Credevo che apprezzassero il mio canto». Aveva l'aria molto avvilita. A quanto pareva era davvero candida quanto affascinante, come Chameleon nella fase bella. «Che fine hanno fatto tutti gli uomini?» le domandò Bink.
«Andavano a trovare mia sorella», disse la sirena, indicando l'altra isola. S'imbronciò. «Io offro loro tutto il mio amore... ma vanno sempre da lei». Strano! Chi poteva sottrarre le vittime a una sirena? «Chi è tua sorella?» chiese Bink. «Voglio dire, qual è la sua magia? È una sirena anche lei?» «Oh, no. È una gorgone, e molto carina». «Una gorgone!» esclamò Bink. «Ma è letale!» «No, lei non farebbe mai male a nessuno, come me», protestò la sirena. «Vuol bene agli uomini. Solo, vorrei che me li rimandasse». «Non sai che cosa fa lo sguardo d'una gorgone?» chiese Bink. «Che cosa succede a chi la guarda in faccia?» «Io ho guardato in faccia a mia sorella tante volte! Lei non fa niente di male!» Humfrey tirò fuori lo specchio. «Fa effetto soltanto sugli uomini?» chiese, e il bimbetto sorrise. A quanto sembrava, la sirena non conosceva l'effetto disastroso che il volto di sua sorella aveva sugli uomini. E quindi per anni aveva innocentemente attratto i maschi... che la gorgone trasformava in pietra. «Dobbiamo parlare con tua sorella», disse Humfrey. «Il sentiero continua fino alla sua isola», rispose la sirena. «Che cosa farò, senza il mio dulcimer?» «La tua voce è abbastanza bella anche senza accompagnamento, e sei bella anche tu», disse diplomaticamente Bink. Era vero, fino a un certo punto: se la metà inferiore fosse stata comparabile a quella superiore, sarebbe stato vero completamente. «Puoi cantare a cappella, senza strumenti». «Davvero?» chiese lei, rianimandosi. «E attirerò uomini simpatici come te?» «No. Ma forse un uomo simpatico ti troverà comunque». Bink si rivolse al Mago. «Come possiamo avvicinare la gorgone? Basterebbe un'occhiata...» «Dovremo affrontarla di mattina», disse Humfrey. Bink aveva perduto il conto del tempo. Le stelle erano spuntate al villaggio, poi si erano lanciati nella notte, si erano battuti con l'albero groviglio, quindi erano andati all'isola... dove sembrava che stesse appena scendendo l'imbrunire. Aveva senso? Bink aveva pensato che il sole tramontasse su Xanth nello stesso istante, ma adesso si rendeva conto che non era così. Comunque, al momento aveva altre cose di cui preoccuparsi. Ascoltò il resto del discorso di Humfrey. «Sirena, se hai cibo e letto...»
«Io non sono un femmina di quel genere», protesto lei, castamente. Bink le fissò la lucida coda di pesce. «Evidentemente no. Vogliamo solo un posto per dormire». «Oh». Lei sembrava delusa. «Per la verità, potrei diventare di quel genere, se...» Tremolò un poco, e la coda si trasformò in un bellissimo paio di gambe. «Vogliamo solo dormire», disse Chester. Sembrava che il suo udito stesse tornando. «E mangiare». Ma la sirena si indignò. «Dopo che mi hai trafitta con una freccia e hai rotto il mio dulcimer?» «Scusami», disse Chester. «Ho il mal di testa». Gli stava bene, pensò Bink. Perché quel cocciuto non aveva accettato una goccia d'elisir per la testa, come l'aveva accettata per la coda? «Se fossi davvero pentito, lo dimostreresti», disse la sirena. Crombie strillò. «Ti sta già piantando addosso le sgrinfie», tradusse il golem. Doppiamente irritato, Chester fissò la sirena con aria cupa. «Come?» «Facendomi fare una galoppata sulla tua groppa». Per poco Bink non scoppiò a ridere. Era una cosa che piaceva moltissimo a tutte le ninfe. «Allora sali», disse Chester, sconcertato. Lei gli si accostò, ma non riuscì a montare. «Sei troppo alto», protestò. Chester si girò, le cinse con un braccio la vita snella, e se la issò in groppa. «Iiih!» gridò felice la sirena. «Come sei forte!» Crombie strillò di nuovo, e il suo commento non aveva bisogno d'interpretazioni. Lei stava veramente usando le sue arti con il centauro, e non aveva bisogno del canto per riuscirci. Chester, che non era del suo umore migliore dopo l'incontro con gli ananas, si raddolcì visibilmente. «Tutti i centauri sono forti». La sistemò per benino sulla groppa e si avviò. La sirena gli si afferrò alla criniera. «Oh, che spalle ampie! E che bel pelame lucido! Devi essere il più bello di tutti i centauri!» «Visto da tergo, può darsi», ammise lui. E cominciò a trottare. «Oh, com'è divertente» esclamò la sirena, mollando la presa il tempo necessario per battere le mani come una bambina. «Devi essere il centauro più intelligente, e il più veloce...» Poi s'interruppe. «Magari potresti fare un saltino...» Chester, con il petto gonfio per tutte quelle lodi, spiccò un balzo enorme. La sirena urlò e gli volò dalla groppa. Erano vicini all'acqua, dato che l'iso-
la era molto piccola, e lei piombò nel lago. «Uh, perdonami», disse Chester, mortificato. «Forse ho esagerato un po'». E tese la mano per pescarla. Le gambe erano ridiventate una coda di pesce. «Niente di male», disse la sirena. «Nell'acqua mi trovo a casa mia». Si assestò tra le sue braccia e gli diede un bacio. Crombie strillò. «Non esiste uno stupido più stupido di un somaro», tradusse il golem. «Sicuro», riconobbe Chester, che adesso era di nuovo d'ottimo umore. «Ma non dirlo a Cherie». «Cherie?» chiese la sirena aggrottando la fronte. «La mia giumenta. La cosa più carina che ci sia in Xanth. È rimasta a casa, a badare al nostro puledrino. Si chiama Chet». La sirena accusò il colpo. «Che simpatico», disse, smontata. «Ora sarà meglio che provveda al foraggio e alla stalla». Bink sorrise tra sé. Chester, dopotutto, non era poi tanto stupido. Consumarono un modesto pasto, pesci e cetrioli di mare, e si sdraiarono su un mucchio di morbide spugne asciutte. Bink allungò i piedi... e urtò un altro mucchietto di terriccio. Questa volta era troppo stanco per calpestarlo, e quindi non vi badò. La sirena, che ormai aveva rinunciato al centauro, venne a rannicchiarsi al buio accanto a Bink. «Ehi», disse lui, ricordando all'improvviso. «Dobbiamo renderti un servigio in cambio dell'ospitalità!». Crombie strillò. «Rendilo tu il servigio, cretino», tradusse Grundy. «Sei il più vicino a lei». «Servigio?» chiese la sirena, strusciandosi contro Bink. Bink arrossì furiosamente nell'oscurità. Accidenti all'allusione di Crombie. «Uh, niente», disse, e finse di addormentarsi. Quasi subito la finzione si trasformò in realtà. La mattina dopo si congedarono dalla sirena dopo aver perso qualche tempo a spaccarle un po' di legna per cucinare... un servizio che lei apprezzò, perché quel genere di lavoro non le piaceva. E si accinsero a sfidare la sorella. «Tutti voi dovete bendarvi», stabilì Humfrey. «Io userò lo specchio». Per poter vedere indirettamente la gorgone, appunto. Era l'unico modo per guardare uno di quegli esseri: lo sapevano tutti. Eppure, perché uno specchio funzionava? L'immagine nel vetro doveva essere orrenda quanto l'originale.
«Polarizzazione», spiegò il Mago senza che nessuno glielo chiedesse. «È la magia delle immagini parziali». Questo non chiariva molto le cose. Ma restava un interrogativo più importante. «Che cosa dovremo fare, per far cessare la...». Bink non voleva usare la parola «strage» in presenza dell'innocente sirena. Avvicinarsi alla gorgone era una cosa: liquidarla a occhi bendati era tutta un'altra faccenda. «Vedremo», disse Humfrey. Si lasciarono bendare, incluso il golem. Poi si disposero in catena per seguire il Buon Mago, che s'incamminò a ritroso sul sentiero tra le isole, usando lo specchio per vedere nella direzione in cui procedeva. In questo caso non ne utilizzava la magia, ma solo il normale potere riflettente, la magia naturale che tutti gli specchi possedevano. Era strano e inquietante, camminare sull'acqua senza vedere niente. Come sarebbe stato terribile, perdere la vista per sempre! Quale magia era migliore dei sensi naturali? Bink sentì sotto i piedi la terraferma. «State qui, rivolti verso l'esterno», disse Humfrey. «Per ogni evenienza. Io mi occuperò della gorgone». Bink obbedì. Era ancora nervoso. Provava la tentazione di strapparsi la benda e guardare la gorgone... ma non era una tentazione molto forte. Una volta s'era trovato in cima a un'alta montagna e aveva sentito l'impulso di buttarsi: sembrava che in lui ci fosse un istinto di morte, oltre all'istinto di vita. Forse la sua smania d'avventura proveniva dalla stessa fonte. «Gorgone», chiamò Humfrey. Lei rispose, proprio alle spalle di Bink: «Sono io. Benvenuto sulla mia isola». La voce era dolcissima, ancora più amabile di quella della sorella. «Perché non mi guardi?». «Il tuo sguardo mi trasformerebbe in pietra», disse bruscamente Humfrey. «Non sono bella? Chi ha riccioli serpentini come i miei?» chiese la gorgone in tono lamentoso, e Bink sentì il sibilo sommesso delle serpi. Si chiese cosa si doveva provare a baciare la gorgone, con quei capelliserpenti che si attorcevano intorno alle due facce. Era un'idea allarmante e tentatrice. Eppure che cos'era la gorgone, se non l'incarnazione letterale della promessa e della minaccia rappresentante da ogni donna? «Sei bella», riconobbe Humfrey. Doveva essere bellissima, pensò Bink, perché il Buon Mago non usava fare complimenti. Oh, poterle dare un'occhiata! «Dove sono gli altri uomini che sono venuti da te?». «Se ne sono andati», rispose tristemente la gorgone.
«Dove?». «Là», disse lei, e Bink pensò che stesse indicando. «Dietro quelle rocce». Humfrey andò a vedere. «Sono statue», disse, tutt'altro che sorpreso. «Statue di uomini, molto realistiche. Sembrano veri». «Sì», ammise la gorgone. «Sono proprio identiche agli uomini che sono venuti da me». «E questo non ti suggerisce niente?». «Gli uomini hanno lasciato le statue in dono. Ma io avrei preferito che non se ne andassero. Non so che cosa farmene di tutte queste pietre». Non si rendeva conto di quel che aveva fatto! Pensava che fossero statue offerte in ricordo. Forse si rifiutava di riconoscere la verità, escludendola dalla propria coscienza e illudendosi d'essere una ragazza normale. Rifiutava di credere nella propria magia. Che illusione fatale! Eppure, pensò Bink, non era il tipico processo mentale delle femmine? Quale, tra loro, accettava di riconoscere i guai che il suo sesso causava agli uomini? Ma quella era un'affermazione di Crombie, e quindi probabilmente era un'esagerazione. Forse c'era un po' della sirena e un po' della gorgone in ogni donna, ma non troppo. E in Chameleon non c'era nulla di tutto questo. «Se verranno altri uomini», continuò Humfrey, in tono insolitamente gentile, «lasceranno solo altre statue. E questo non va bene». «È vero, le statue sono già troppe», confermò ingenuamente la gorgone. «La mia isola è ormai sovraffollata». «Gli uomini non devono più venire», disse Humfrey. «Devono starsene a casa, con le loro famiglie». «Ma non potrebbe venire almeno un uomo... e restare per un po'?» chiese lamentosamente lei. «No, purtroppo. Gli uomini... ecco, non vanno bene per te». «Ma io ho tanto amore da donare... Se almeno un uomo restasse qui! Anche se fosse piccoletto. Gli vorrei bene per sempre, e lo farei tanto felice...». Bink incominciava a rendersi conto della tragedia della gorgone. Voleva soltanto amare ed essere amata, e invece seminava catastrofi. Quante famiglie aveva annientato con la sua magia? Che cosa si poteva fare di lei... se non ucciderla? «Devi andare in esilio», disse Humfrey. «Lo scudo magico è stato rimosso per ordine del Re; tu puoi uscire liberamente da Xanth. In Munda-
nia la tua magia si dissiperà, e tu potrai fare ciò che vorrai con gli uomini di tua scelta». «Lasciare Xanth!» gridò lei, allarmata. «Oh, no, preferirei morire! Non posso lasciare la mia patria!». Bink la capiva. Una volta anche lui era stato costretto all'esilio... «Ma in Mundania saresti una ragazza normale, non più oppressa da una maledizione. Sei bellissima, e hai un carattere dolce. Là potresti scegliere tra tutti gli uomini». «Io amo gli uomini», disse lentamente la gorgone. «Ma amo di più la mia patria. Non posso andarmene. Se non ho altra scelta, ti prego di uccidermi e di porre fine alla mia infelicità». Per una volta, il Buon Mago sembrava sconvolto. «Ucciderti? Non lo farei mai! Sei la creatura più incantevole che abbia mai visto, anche attraverso uno specchio! Se fossi giovane...». A questo punto si manifestò un normale artificio femminile. «Oh, ma tu non sei vecchio, Signore. Sei un bell'uomo». Crombie represse uno «squawk», Chester tossì e Bink si sentì soffocare. La gorgone aveva esagerato parecchio. Humfrey era buono, ma non era esattamente bello. «Tu mi lusinghi», rispose in tono serio il Mago. «Ma ho altre cose da fare». «Tra tutti gli uomini che sono venuti qui, sei il solo che si è fermato a parlare con me», continuò la gorgone. «Mi sento tanto sola! Ti supplico, resta con me, e io ti servirò per sempre». A questo punto Crombie strillò a gran voce. «Non voltarti, idiota!» gridò il golem. «Continua a servirti dello specchio!». «Uhm, sì», disse Humfrey. L'udito del grifone doveva essere finissimo, pensò Bink, se aveva sentito che il Mago si stava girando! «Gorgone, se ti guardassi direttamente...». «Ti sentiresti obbligato ad andar via, lasciando soltanto una statua che ti somiglia, come ricordo», concluse lei. «Non capisco perché gli uomini fanno così! Ma vieni: chiudi gli occhi se è necessario, baciami, lascia che ti mostri l'amore che provo per te. Ogni tua parola sarà un ordine per me, se resterai! Il Mago sospirò. Il vecchio gnomo si sentiva tentato? Bink sospettava che fosse rimasto scapolo non per disinteresse verso le donne, ma perché non aveva trovato una compagna adatta. Le donne normali non si curavano di un vecchio nanerottolo... e se gli avessero dimostrato interesse l'avrebbero fatto probabilmente al solo scopo di approfittare della sua formidabile
magia. E lì c'era una ragazza che non sapeva niente di lui, e si offriva di amarlo, e gli chiedeva soltanto di non abbandonarla. «No, mia cara», disse finalmente Humfrey. «Sarebbe piacevole, non lo nego, e normalmente sarei tentato di restare con te un giorno o due, anche se sarei costretto a bendarmi gli occhi. Ma sarebbero necessarie le risorse d'un Mago per frequentarti senza pericolo, e io sono impegnato in una cerca che ha la precedenza su tutto, e non posso...». «Allora resta un giorno o due!» esclamò la gorgone. «E bendati gli occhi! Non credo che un Mago potrebbe interessarsi a me, ma neppure un Mago potrebbe essere più meraviglioso di te, Signore!». Sospettava la potenza della magia di Humfrey? Che importanza aveva? Humfrey sospirò di nuovo. «Forse, quando avrò terminato la cerca, se vorrai venire al mio castello...». «Sì, sì!» esclamò lei. «Dov'è il tuo castello?». «Basterà che tu chieda di Humfrey. Qualcuno t'indicherà la strada. Comunque, non puoi mostrare il tuo viso agli uomini. Dovresti portare un velo... no, neppure questo basterebbe, perché sono i tuoi occhi che...». «Non posso coprirmi gli occhi! Devo vedere!». Bink la capiva benissimo, perché in quel momento lui non poteva vedere niente. «Lasciami riflettere», disse Humfrey. Ci fu un fruscio: stava frugando tra i suoi ammennicoli magici. Poi: «Non è l'ideale, ma pazienza. Tieni la boccetta davanti al viso e stappala». Altri fruscii, poi uno schiocco quando il tappo saltò, e il sibilo del vapore che usciva, un'esclamazione soffocata, poi silenzio. Il Mago l'aveva uccisa, dopotutto, facendole fiutare un vapore velenoso? «Compagni potete togliervi le bende e voltarvi», disse Humfrey. «La gorgone è neutralizzata». Bink si strappò la benda. «Mago, non l'avrai...?». «No, non le ho fatto niente di male. Guarda». Bink e gli altri guardarono. Davanti a loro stava una giovane donna bellissima, con la chioma formata da una quantità di serpentelli. Ma il viso... non c'era. Non c'era, semplicemente. «Ho applicato al suo volto un incantesimo di invisibilità», spiegò Humfrey. «Può vedere benissimo, ma rimpiango che nessun uomo possa vederle il viso, perché è la sua bellezza più grande. Comunque, così è impossibile incontrare il suo sguardo. Lei è al sicuro... e anche noi». Era un peccato, pensò Bink. Sembrava una cara ragazza, oppressa da
una maledizione terribile. Non sempre la magia era generosa. Il Mago aveva neutralizzato la maledizione, ma era sconcertante guardarla in faccia e vedere il vuoto. Crombie fece il giro dell'isola, studiando le statue. Alcune erano centauri, altri grifoni. «Squawk!» «Guardate che disastro ha fatto quella carogna! Ha pietrificato un centinaio i maschi innocenti. A che serve neutralizzarla adesso? È come chiudere la porta quando l'uomo è scappato». Evidentemente, ormai pensava quasi come un grifone. Era uno dei pericoli delle trasformazioni prolungate. «Sì, dovremo fare qualcosa, con le statue», ammise Humfrey. «Ma ho consumato già molta della mia preziosa magia. Troppa, anzi. Crombie, indica dove si trova la soluzione di questo problema». Il grifone girò su se stesso e indicò. In basso». «Uhm. Ora indica di nuovo la fonte della magia». Crombie obbedì. Il risultato fu lo stesso. «L'immaginavo», disse Humfrey. «La nostra cerca non ha soltanto un significato informazionale». Per Bink, in quel momento, andò a posto un altro fattore. L'avventura con l'albero groviglio e le due terribili sorelle era sembrata una diversione e una grave minaccia per lui, eppure il suo talento l'aveva permessa. E adesso si accorgeva che quell'esperienza era relativa alla cerca. Comunque, non sarebbe stato necessario che lui si esponesse a quei pericoli per raggiungere la fonte della magia. Era all'opera qualcosa d'altro, oltre al suo talento. Ricordò il mucchietto di terriccio della notte precedente. C'era un nesso? Non riusciva a capirlo, ma diffidava delle coincidenze, a meno che fossero derivate dal suo talento. Se un nemico... Il Buon Mago tirò fuori di nuovo lo specchio. «Passami la Regina», ordinò. «La Regina?» chiese Bink, sorpreso. Lo specchio si appannò, poi mostrò il viso della Regina Iris. «Era ora che chiamassi, Humfrey», disse lei. «Come mai stai a perdere tempo sull'isola della gorgone, invece di proseguire la tua stupida cerca?». Crombie strillò irosamente. «Non tradurre!» gridò Humfrey al golem. Poi, rivolgendosi all'Incantatrice: «La cerca è di Bink, non mia. Abbiamo neutralizzato la sirena e la gorgone, e stiamo procedendo verso la fonte della magia. Comunicalo al Re». Iris fece un gesto noncurante. «Quando mi capiterà, nanerottolo», rispose.
Il volto del Re Trent apparve nello specchio dietro di lei. Di colpo, la Regina assunse l'aspetto di una ragazza giovane e dolce, con tanto di lunghe trecce. «Cioè subito, Buon Mago», si corresse, in fretta. Trent salutò giovialmente con la mano e tirò una treccia della Regina, e poi l'immagine svanì. «Come può parlare attraverso lo specchio?» chiese Bink. «Per tutti gli altri mostra solo immagini mute». «Iris è la sovrana dell'illusione», spiegò Humfrey. «Vorrai dire che è la sovrana del Re», strillò Crombie. «Ci è sembrato di sentirla», continuò Humfrey, riponendo lo specchio. «E al Re sembra di poter tirare una treccia che non c'è. Ma l'illusione è utile, in molti casi». «A me piacerebbe l'illusione della realtà», disse malinconicamente il golem. Humfrey tornò a occuparsi della gorgone. «A tempo debito torneremo. Intanto, ti consiglio di andare a consolare tua sorella. Ha perso il suo dulcimer». «Oh, sì, andrò da lei!» esclamò la gorgone. «Arrivederci, bel Mago!», Buttò le braccia al collo di Humfrey e gli diede un bacio invisibile sulla bocca, mentre i serpenti sibilavano e cercavano di mordergli gli orecchi. «Torna presto! Ho tanto amore da donarti...». «Uhm. Sì», disse il Mago, imbarazzato. Alzò un dito per staccare un serpentello che gli mordicchiava energicamente il lobo di un orecchio. Il sentiero magico finiva all'isola della gorgone, quindi era necessario tornare a nuoto. Usarono il talento di Crombie per individuare un percorso sicuro, evitando i mostri lacustri, poi Bink salì su Chester e Humfrey sul grifone. Era metà mattina, e il ritorno al villaggio della polvere magica fu rapido e agevole. La magia ostile non aveva ancora avuto il tempo di avanzare per prendere il posto dell'incantesimo del sentiero. L'albero groviglio era un tronco carbonizzato. Le abitanti del villaggio avevano completato l'opera, distruggendo il vecchio nemico. Ma c'era silenzio, e dalle finestre pendevano drappi neri; il villaggio era in lutto per. gli ultimi maschi vittime della sirena. Ma tutto cambiò all'improvviso, quando i maschi riapparvero. «Siete vivi!» gridò Trolla, mentre lacrime di gioia tutt'altro che trollesca le scorrevano sulla faccia orribile. «Abbiamo cercato di seguirvi, ma non sentivamo la sirena, e non siamo riuscite a trovare il sentiero nell'oscurità. Sapevamo che questa mattina era troppo tardi, e dovevamo curare le nostre compagne
ferite...». «Abbiamo neutralizzato la sirena... e sua sorella, la gorgone», disse Bink. «Nessun altro uomo prenderà più quella strada. Ma quelli che sono andati prima...». «Sono tutti morti, lo sappiamo». «No. Sono diventati pietra. Può esserci un sistema per invertire l'incantesimo a farli ridiventare normali. Se riusciremo nella nostra cerca...». «Venite, dobbiamo festeggiare!» esclamò Trolla. «Vi offriremo un banchetto e...». Bink l'interruppe. «Uh, no, grazie. Siete molto gentili, ma ora dobbiamo proseguire la cerca. Stiamo cercando la fonte suprema della magia... la fonte della vostra polvere magica». «Non c'è modo di scender laggiù», disse Trolla. «La polvere affiora da un filone...». «Si. Quindi cercheremo altrove. Se esiste una via d'accesso, in un'altra direzione...». Per quanto fosse delusa, Trolla accettò la situazione con buona grazia. «Da che parte andrete?». «Di là», disse Bink, additando la direzione che Crombie aveva indicato per la ripresa della cerca. «Ma è nel cuore della Regione della Follia!». Bink sorrise. «Forse l'accesso è attraverso la follia, allora». «La strada che passa accanto all'albero groviglio adesso è aperta. Dovete andare da quella parte, e poi fare un giro per evitare la follia...». Bink scrollò la testa. Sapeva che se quello fosse stato il percorso migliore, Crombie l'avrebbe segnalato. «Voi maschi siete così irragionevoli! Aspettate almeno qualche giorno. Smetteremo di disperdere nell'aria la polvere magica, e i suoi effetti si attenueranno. Allora potrete attraversare quella regione correndo meno rischi». «No. Abbiamo deciso di proseguire». Bink temeva che qualche giorno di sosta in quel villaggio popolato da fémmine troppo premurose sarebbe stato disastroso quanto restare con la sirena e la gorgone. Dovevano continuare il viaggio. «Allora vi daremo una guida. Lei potrà avvertirvi delle trappole, e può darsi che così riusciate a sopravvivere. Siete già mezzi matti, dopotutto». «Sì», ammise Bink con un sorriso ironico. «Siamo maschi». Un sesso non capiva l'altro: quello era un altro aspetto della magia di Xanth. Trolla
gli era piuttosto simpatica: a quanto pareva quasi tutti i mostri lo erano, quando si aveva occasione di conoscerli personalmente. La guida era una graziosissima grifona. «Squawk!» protestò Crombie. «Awk! Awk!» rispose alteramente lei. «Non puoi appiopparci una pollastra come questa!» tradusse soddisfattissimo Grundy. «Chi sarebbe la pollastra? Io sono una leonessa» «Sei una seccatura!» «E tu sei odioso!» «Femmina!» «Maschio!». «Uh, smetti pure di tradurre, Grundy», disse Bink. «Sono arrivati agli insulti supremi». Si rivolse a Trolla. «Grazie per la guida. Partiremo subito». Tutte le femmine del villaggio si schierarono per salutarli. Fu una separazione triste ma necessaria. Ben presto il territorio desolato di Xanth cancellò tutti i sentimentalismi. Lì gli alberi erano enormi e fitti, e formavano una densa giungla. Come aveva detto Trolla, era la regione che si trovava sottovento rispetto al villaggio della polvere magica, e la magia era lussureggiante. Ai livelli più bassi crescevano puntaspilli mostruosi che cercavano di pungere chiunque capitasse a tiro; tra i puntaspilli stalagmiti viventi, con le punte di pietra luccicanti per le gocce d'acqua che cadevano dall'alto. Chiazze di petrolio apparivano in tutte le depressioni; il petrolio era terribilmente scivoloso, e tenacissimo. «Gli alberi petroliera non dovrebbero scaricare i rifiuti in superficie», borbottò Chester. «Dovrebbero seppellirli, come fanno gli esseri civili». Ma le piante più alte non erano più promettenti; gli immensi tronchi metallici degli alberiferro si affollavano intorno a quelli bruciati degli albericenere. Tutto intorno, il suolo era coperto di cenere e ruggine. Qua e là gli abeti-tori sbuffavano e flettevano minacciosamente i rami cornuti. Più in alto era anche peggio: le ortiche-bruchi strisciavano sui rami e sbirciavano speranzose i viandanti, mentre i funghi-vomito pendevano in festoni untuosi. Dove si poteva trovare un percorso sicuro? «Awk!» disse la guida, mostrando la via. Passò oltre un ciuffo di serpentine sibilanti, tra due lame aguzze di pino-spada, e su per i gradini di un cespuglio-scala caduto. Gli altri la seguirono, in fretta. Era quasi buio in quell'intrico, sebbene fosse appena mezzogiorno. La vegetazione, non contenta di nascondere il sole, adesso si stava stringendo come una fascia elastica, fino a racchiuderli in una bolla. Come un elastico? Bink vide che era elastico, un'enorme liana che si estendeva tra il resto del fogliame. La liana elastica non era pericolosa per chi era armato di
spade o coltelli, ma poteva rappresentare un grosso fastidio. A quanto sembrava, c'erano pochi esseri di dimensioni cospicue, ma quelli piccoli erano moltissimi. C'erano insetti dovunque. Bink ne riconobbe alcuni: lucciole che lanciavano scariche (doveva essere venuta di lì, la lucciola che Trolla aveva mostrato al villaggio), scarabei soldato che marciavano in formazioni perfette o bivaccavano, coccinelle che ronzavano loro intorno, come facevano da tempo immemorabile le femmine di scarsa virtù intorno agli eserciti. Davanti agli zoccoli di Chester, uno scarabeo tigre si avventò su uno scarabeo cervo e lo uccise con spietata efficienza. Bink distolse lo sguardo; sapeva che quella era un'attività naturale, ma comunque non gli piaceva. Poi notò che Humfrey stava fissando qualcosa con aria incantata: un segno preoccupante, in un posto come quello. «Ti senti bene, Mago?» gli chiese. «Meraviglioso!» mormorò estatico Humfrey. «Un tesoro della natura!». «Gli insetti, vuoi dire?». «C'è uno scarabeo con le ali piumate», disse il Mago. E infatti, passò in volo un insetto con due piume colorate per ali. «E una mosca-civetta. E due alidirete!». Bink vide il grosso insetto posato su un ramo che guardava i due alidirete librati nell'aria. Non era chiaro come riuscissero a volare, perché ovviamente le reti non potevano trattenere l'aria. Ma con la magia, che cosa importava? «È una mosca-quadro!» esclamò il Mago, eccitatissimo. «È una specie nuova, credo. Dev'essere una mutazione. Aspetta, consulto il manuale». Aprì una boccetta. Il vapore uscì, si condensò in un enorme tomo, che Humfrey appoggiò sul dorso del grifone, tra le ali piegate, per sfogliare le pagine. «MOSCHE-QUADRO», lesse. «Pastorale, Natura morta, Naturalistica, Surrealista, Cubista, Acquerello, Olio, Gessetto, Inchiostro, Carboncino... avevo ragione! Questa è una Disegno-a-Pastello, e non è catalogata! Bink, controlla anche tu!». Bink si sporse a guardare. La mosca era posata sull'orecchio destro del grifone, con le ali aperte coperte da illustrazioni ceree. «A me sembra un pastello», confermò. «Sì!» esclamò Humfrey. «Devo registrarla! Che scoperta fantastica!». Bink non l'aveva mai visto così euforico. All'improvviso si rese conto d'una cosa importante: il Buon Mago viveva per quello. Il talento di Humfrey era l'informazione, e la scoperta e la classificazione di esseri viventi rientravano nel campo della sua specializzazione. Per lui non c'era nulla di più interessante dell'acquisizione dei fatti, e naturalmente gli era dispiaciuto
venirne distolto. Adesso il caso gli aveva offerto quella scoperta. Per la prima volta, Bink vedeva il Mago veramente entusiasta. Non era un individuo freddo e avido; era dinamico ed emotivo come tutti... quando lo dimostrava. Bink sentì che qualcosa tirava la spada. Batté la mano sull'impugnatura... e due mosche-ladre schizzarono via. Avevano cercato di rubargli la spada! Poi Chester sobbalzò e per poco non lo disarcionò. «Stavo per calpestare uno scarabeo delle vesciche», spiegò il centauro. «Non vorrei proprio trovarmi con una vescica in uno zoccolo!». La grifona girò all'indietro la testa senza voltare il corpo, come usavano fare i grifoni. «Awk!» esclamò spazientita. «Sbrigati, gamberetto», tradusse il golem. «Ci avviciniamo alla zona della follia». «Squawk!» rispose irritato Crombie. «Facciamo del nostro meglio! Perché non ci mostri un percorso migliore, cervello di gallina?». «Stai a sentire, gattaccio!» strillò di rimando la grifona. «Io sono qui per farvi un favore! Se voialtri imbecilli foste rimasti al villaggio...». «Stare in un villaggio di femmine? Ma tu sei già matta!». Dovettero smettere di urlare per schivare una mosca-serpente che passava con le fauci aperte. Questa volta Chester calpestò un insetto... un insetto-puzzola. L'odore orribile li costrinse ad accelerare il passo per allontanarsi. L'avanzata della grifona fece alzare in volo uno sciame variopinto di mosche-gazzelle, cavallette degli alberi, falene-tigri e una farfalla-digrasso che spruzzò di burro il Mago. Uno splendido insetto dorato svolazzò sotto il naso di Bink. «Forse anche questo è una specie nuova!» esclamò, contagiato dall'entusiasmo di Humfrey. Cercò di afferrarlo, ma proprio in quel momento Chester incespicò, e Bink non riuscì nell'intento. «È diretto verso di te, Mago!» gridò. «Prendilo!». Ma Humfrey lo schivò. «È una mosca Mida!» esclamò atterrito. «Non toccarla!». «Tutto ciò che tocca si trasforma in oro!». Adesso la mosca stava volteggiando intorno al Mago, cercando dove posarsi. «Ma è magnifico!» disse Bink. «Dobbiamo catturarla. Un po' d'oro ci farebbe comodo». «No, se diventassimo d'oro noi», ribatté Humfrey. Si chinò tanto che cadde dal grifone. La mosca Mida scese per posarsi nel posto lasciato libero. «Crombie!» urlò Bink. «Attento!». Poi la grifona urtò Crombie, spostandolo violentemente con la spalla le-
onina. Crombie si salvò... ma la mosca Mida si posò su di lei. E la grifona divenne una statua d'oro. La mosca volò via... ma ormai il danno era fatto. «Sono rarissime, e non si posano spesso», disse Humfrey, che era finito in un cespuglio. «Mi sorprende che ne abbiamo incontrata una. Forse era impazzita a causa della polvere», continuò, rialzandosi. «Forse era stata mandata», disse Bink. «Era apparsa vicino a me». Crombie si rimise in piedi agilmente. «Squawk!» «L'ha fatto per me... per salvarmi la vita», tradusse Grundy. «Perché?». «Doveva essere veramente pazza», commentò Chester in tono asciutto. Bink fissò la statua. «Come l'opera della gorgone», mormorò. «Oro anziché pietra. È possibile rianimarla?». «Crombie roteò su se stesso e indicò. «Squawk!» «La risposta si trova nella direzione della nostra cerca», disse Grundy. «Adesso Cervello di Gallina ha un motivo personale per portarla a termine». «Prima dovremo passare attraverso la follia... e senza guida», osservò Chester. Bink guardò davanti a sé, sgomento. Le cose avevano assunto di colpo una brutta piega... e anche prima non erano andate troppo bene. «Come possiamo uscire sani e salvi dalla giungla, anche senza follia?». «Crombie deve indicarci la strada migliore... un passo per volta», disse Humfrey. «Guardate... un bastone ambulante». Indicò il bastone, che camminava con due minuscoli piedi alla base, facendo dondolare la sommità incurvata. L'enorme volume era sparito; doveva averlo rimesso nella boccetta mentre Bink era distratto: ma il Mago non ne aveva bisogno. «Ha il manico di mogano... un bellissimo esemplare». Crombie indicò la strada e proseguirono lentamente, lasciando la grifona d'oro. Non potevano far nulla per lei... se non completare la cerca, nella speranza che la magia la facesse ritornare normale. Crombie si girò per guardare indietro due volte, senza strillare; sembrava immerso in pensieri molto seri. Per un misogino come lui, il sacrificio della femmina doveva essere un enigma tremendo, più significativo del pericolo che aveva corso lui stesso. Come soldato era abituato al rischio, ma non all'abnegazione. Troppo presto venne l'imbrunire. I vermi luminosi uscirono dalle tane nel terreno, mentre le pulci stavano già dormendo sulle loro brande. Uno scarabeo-gallo cantò, confuso, scambiando il crepuscolo per l'alba. I mangiacoda si mangiarono le code e sparirono per la notte. Un gruppo di mo-
sche-seghe stavano segando minuscole assi per farsi i giacigli. Bink si guardò intorno. «In questo momento non mi dispiacerebbe essere un insetto», disse. «Quelli si trovano a casa loro». Chester annuì. «Io ho già passato molte notti all'addiaccio, mai però nei territori desolati. Non sarà una notte piacevole». Bink guardò Humfrey. Il Mago era ancora tutto preso dalla sua tassonomia. «C'è uno scarabeo rinoceronte che cerca di abbattere le case», disse. «A quelle mosche domestiche non farà piacere». «Signore, dormire all'aperto sarà pericoloso. Se la tua magia potesse aiutarci a scegliere il posto migliore...». «Ora le mosche hanno chiamato le formiche carpentiere per riparare i danni!». «Magari c'è qualcosa in una delle tue boccette, un riparo temporaneo...» continuò Bink. «Ma lo scarabeo rinoceronte è troppo stupido per desistere! Ha...». «Mago!» gridò Bink, perdendo la pazienza. Humfrey alzò la testa. «Oh, Bink. Non vi siete ancora sistemati per la notte?». Riabbassò lo sguardo. «Osserva! Hanno assoldato un insetto sicario! Vogliono sbarazzarsi del...». Era inutile. Al Mago l'informazione stava più a cuore della sicurezza. Lui non era un capo, e questo spiegava perché aveva lasciato quel compito a Bink. Quindi toccava a Bink, ancora una volta. «Dovremo costruire una specie di riparo», decise. «E fare la guardia a turno». Rifletté sui vari problemi. Come potevano farsi un riparo, quando ogni pezzo di legno, ogni pietra e ogni fronda erano pronti a battersi per difendersi? Quello era un territorio selvaggio e indomato. Poi il suo sguardo incontrò le grandi ossa ricurve di un mostro defunto. Non riusciva a capire che animale fosse, ma doveva essere stato più grosso di un drago. Le ossa sembravano troppo massicce per appartenere a un roc, e non c'era traccia delle ali, quindi probabilmente era una sfinge adulta. Dieci volte più alta di un uomo. L'unica ragione per cui le sfingi non erano le signore della giungla era la loro rarità... e il loro disinteresse per le cose normali. Bink si chiese perché era così. E che cosa poteva aver ucciso una sfinge nel pieno vigore della vita? Forse la noia. «Crombie, indica la direzione del sito più vicino e più adatto per accamparci», disse, cercando una conferma. Crombie obbedì. E indicò le ossa. L'intuizione di Bink era esatta! Ne fu molto soddisfatto. «Raccogliamo qualche foglia-coperta e stendiamola sul-
le ossa», disse. «Così avremo un riparo decente, e ci servirà come fortino in caso di attacco. Crombie, indicaci le coperte più vicine». Il grifone indicò... fra le spire frementi di un albero predatore. Non era un albero groviglio, ma sembrava un suo parente; sarebbe stato troppo pericoloso avvicinarsi. «Ecco, forse potremo fare meglio la guardia se vedremo l'esterno», decise Bink. «Chester, fai tu il primo turno. Svegliami nel momento in cui ti senti venir sonno; poi chiamerò Crombie». Il centauro annuì. Non chiese quale turno sarebbe toccato al Mago; evidentemente non si fidava troppo della sua prontezza. CAPITOLO OTTAVO COSTELLAZIONI FOLLI Bink si allontanò per obbedire a un richiamo di natura... e scorse un pezzo di legno, così scuro e coperto di muschio che sembrava una pietra. Poteva essere utile, nel caso che un mostro attaccasse durante la notte. Il legno sembrava fatto per essere scagliato. Si chinò per raccoglierlo... e attese, nel dubbio che fosse incantato. Ma il suo talento l'avrebbe protetto; se fosse stato pericoloso, non avrebbe potuto toccarlo. Lo prese, osservandone la grana bruna, verde e bianca. Era sorprendentemente duro e pesante, per essere legno; si chiese se nell'acqua avrebbe galleggiato o sarebbe andato a fondo. Mentre lo stringeva, sentì un formicolio nella mano: c'era una magia, strana e potente. Sentì che il suo talento reagiva, in modo nebuloso, valutando l'oggetto, come aveva fatto un'altra volta, quando lui aveva bevuto alla fonte della vita. Anche stavolta, la sua magia abbracciò la magia dell'oggetto, e l'accettò senza conseguenze. Il talento di Bink era del livello dei Maghi; di rado lo sentiva agire direttamente, tranne quando incontrava una magia forte o complessa che gli si opponeva. Eppure... un pezzo di legno? Portò il frammento al loro campo provvisorio. «Non so che cosa sia, ma mi sembra fortemente magico. Potrebbe essere utile». Chester lo prese. «Un legno poco comune. Deve provenire da un albero molto grande e molto vecchio. Non riconosco la specie: e questo lo rende eccezionale. Forse, se riuscissi a trovare un pezzetto di corteccia...». Crombie strillò. «Dallo a me, faccia di cavallo», tradusse Grundy. «Io conosco piuttosto bene le foreste». Chester s'irrigidì leggermente. «Prendi pure, Cervello di Gallina». Crombie prese il pezzo di legno con una zampa anteriore e lo esaminò con
attenzione. «Squawk». «Ha qualcosa di molto strano», spiegò il golem. «Sì», ammise Bink. «Prima di occupartene, vuoi indicarci dov'è il cibo più vicino? Potremo mangiare mentre riflettiamo». Il grifone roteò su se stesso e indicò. Bink vide un grosso fungo luminescente. «Dev'essere quello. Non ho mai mangiato cibi fosforescenti, ma il tuo talento non sbaglia mai». Andò a staccare un pezzo di fungo: la carne era soda e asciutta, pallida, ed esalava un odore piacevole. «Squawk!» protestò Crombie, rivolto al centauro. «Non ho ancora finito di esaminarlo». «L'hai esaminato già abbastanza, testa d'avvoltoio», disse Chester. «Ora tocca a me». Bink dovette precipitarsi per evitare un altro litigio. Il guaio degli esseri combattenti era che tendevano a combattere! Non poteva voltare loro le spalle neppure per prendere da mangiare. «Tocca al Mago!» esclamò. «Forse lui può identificarlo». Riprese il legno e lo portò a Humfrey. «Signore, se non ti dispiace classificare questo esemplare raro...». Aveva pronunciato le parole magiche. Humfrey s'incuriosì. Guardò. Sbatté le palpebre. «È il fungo dell'Agonia Blu! Buttalo!». Eh? Bink aveva teso l'altra mano, cacciando il fungo sotto il naso di Humfrey. «Scusami. Volevo mostrarti il pezzo di legno, non il...». S'interruppe. «Il fungo è velenoso?». «La sua magia ti farebbe diventare tutto blu, e poi ti scioglieresti in un liquame azzurro che uccide tutti i vegetali che crescono nel terreno circostante», dichiarò Humfrey. «Ma Crombie l'ha indicato assicurando che non era pericoloso mangiarlo!». «Ridicolo! Non è pericoloso toccarlo, ma è la sostanza più esiziale che si possa mangiare. L'usavano per le esecuzioni, anticamente, al tempo delle prime Ondate». Bink lasciò cadere il fungo. «Crombie non aveva...». S'interruppe, riflettendo. «Crombie, vuoi indicare la cosa peggiore che potremmo mangiare?». Il grifone scrollò le spalle e indicò. Indicò il fungo. «Idiota!» gridò Chester a Crombie. «Ti si sono marcite le penne che hai al posto del cervello? Proprio un momento fa hai indicato che potevamo mangiarlo!». Crombie strillò irosamente. «Bink deve aver colto un altro fungo. Il mio talento non sbaglia mai», tradusse il golem.
Humfrey stava esaminando il pezzo di legno. «Il talento di Crombie sbaglia sempre», mormorò in tono distratto. «Ecco perché non mi sono mai fidato». Persino Chester rimase sbalordito. «Mago, il soldato non è un genio... questo lo riconosco... ma di solito il suo talento funziona». Il grifone strillò, indignato di quell'approvazione condizionata. «Può darsi. Non saprei». Il Mago socchiuse le palpebre e seguì con gli occhi un moscerino del sudore che passava in volo. «Che cos'è quell'essere?». «Non riconosci un comune moscerino del sudore?» chiese Bink, frastornato. «Un momento fa stavi classificando gli insetti meno noti e scoprivi specie nuove!». Humfrey aggrottò la fronte. «Perché avrei dovuto farlo? Io non so niente degli insetti». Uomo, grifone e centauro si scambiarono un'occhiata. «Prima Crombie, e adesso il Mago», mormorò Chester. «Dev'essere la follia». «Ma non influirebbe su tutti?» chiese Bink, preoccupatissimo. «Non è solo un fallimento dei talenti. Crombie ha indicato il cibo peggiore anziché il migliore, e Humfrey è passato dalla sapienza all'ignoranza...». «Proprio quando il pezzo di legno cambiava di mano!» concluse Chester. «Allontaniamolo da quel legno». «Sì», disse Chester, e si avvicinò a Humfrey. «No, ti prego... lascia fare a me», disse prontamente Bink, sicuro che il suo talento avrebbe risolto meglio la situazione. Si accostò. «Scusami, Mago», disse, togliendogli delicatamente dalle mani il frammento di legno. «Perché non ha effetto su di te?» chiese Chester. «O su di me?». «Su di te ha effetto, comunque», disse Humfrey. «Ma dato che non sai qual è il tuo talento, non puoi accorgerti che è invertito. In quanto a Bink... lui è un caso speciale». Dunque il Buon Mago era di nuovo in forma. «Allora questo legno... inverte gli incantesimi?» chiese Bink. «Più o meno. Almeno, cambia direzione della magia attiva. Dubito che potrebbe rendere alla normalità la grifona o gli uomini trasformati in pietra, se è a questo che stai pensando. Quegli incantesimi sono ormai passivi. Solo un'interruzione totale della magia potrebbe neutralizzarli». «Uhm, sì», disse Bink, incerto.
«E tu che caso speciale sei?» chiese Chester. «Tu non fai magie di nessun genere». «Si potrebbe dire che sono immune», rispose Bink, cautamente, domandandosi se il suo talento non si proteggeva più dal rischio d'essere scoperto. Poi guardò il legno che teneva in mano. Era immune? Lasciò cadere il frammento. «Squawk!» disse Crombie. «Ecco perché il mio talento aveva sbagliato! Il legno mi faceva... pumf squawk screech...». Il golem s'era avvicinato al legno, e non riusciva più a tradurre. Bink lo allontanò con delicatezza. «... di quello che intendevo», continuò Grundy, che non si era accorto del cambiamento. «È pericoloso!». «Senza dubbio», ammise Bink. E allontanò il pezzo di legno con un calcio. Chester non era tranquillo. «Quindi e stato un pasticcio accidentale. Dobbiamo ancora affrontare la follia». Crombie localizzò il cibo innocuo più vicino: questa volta ci riuscì benissimo. Era un delizioso arbusto di biscotti che cresceva accanto alle ossa. Mangiarono gli squisiti biscotti al cioccolato, e un vicino castano d'acqua fornì da bere. Bastava cogliere le castagne e bucarle per estrarre l'acqua. Mentre Bink mangiava e beveva, posò lo sguardo su un altro mucchietto di terra. Questa volta lo smosse cautamente con un fuscello, ma non trovò altro che terriccio. «Credo che questi cosi mi seguano», disse. «Ma che senso ha? Non fanno niente, stanno lì e basta». «Domattina gli darò un'occhiata», promise il Mago. Si accamparono entro la gigantesca gabbia d'ossa mentre scendeva l'oscurità. Bink si sdraiò sul muschio-spugna sotto lo scheletro, dopo aver controllato che non fosse pericoloso, e guardò le stelle che spuntavano. Accamparsi all'addiaccio non era poi così terribile! All'inizio le stelle erano soltanto punti luminosi che si affacciavano tra le ossa. Ma ben presto Bink notò le costellazioni. Non conosceva bene il cielo, perché di notte Xanth non era molto sicuro. Era sempre stato in casa, e quando veniva sorpreso all'aperto dall'oscurità si affrettava a trovarsi un riparo. Perciò il panorama del cielo notturno gli pareva affascinante. Aveva pensato, senza un motivo preciso, che le stelle avessero una luminosità eguale e fossero sparpagliate regolarmente. Invece erano molto diverse tra loro sotto entrambi gli aspetti: ce n'erano di luminosissime, e di fioche, c'erano stelle solitarie e ammassi fittissimi. Anzi, sembrava che formassero disegni precisi. Con l'immaginazione, poteva tracciare linee tra una stella e
l'altra, formando immagini. C'era una testa d'uomo, una linea curva come un serpente, e qualcosa che sembrava un albero groviglio. Via via che si concentrava, i contorni diventavano più definiti. Le figure assumevano maggiore compiutezza e sembravano quasi reali. «Ehi, quello è un centauro!» esclamò Bink. «Naturalmente», disse Chester. «È una delle costellazioni più solide. Esiste da secoli». «Ma sembra vivo! Mi è parso che si muovesse». «No, le costellazioni non si muovono. Almeno, non in quel modo. Sono...» Chester s'interruppe. «Si è mosso!» gridò Bink. «Il braccio! Ha preso una freccia dal sacco...». «Dalla faretra», lo corresse Chester. «Sta succedendo qualcosa di strano. Dev'essere l'effetto delle scariche atmosferiche». «O forse il movimento dell'aria», disse Bink. Chester sbuffò. Guardarono il centauro celeste che estraeva la freccia, l'incoccava all'arco, e si guardava intorno in cerca d'un bersaglio. C'era un cigno, ma era un uccello enorme e domestico, e non era una selvaggina adatta. C'era anche una volpe, ma sgattaiolò dietro un bovaro prima che il centauro riuscisse a prendere la mira. Poi comparve una grossa orsa. Stava cercando di catturare un leoncino, ma il leone adulto era lì vicino, ed era grosso quanto l'orsa, oltreché di pessimo umore. I due predatori girarono l'uno intorno all'altro, mentre il centauro seguiva i loro movimenti con la punta della freccia. Quale dei due doveva colpire per primo? «Tira al leone, stupido», borbottò Chester. «Allora l'orsa prenderà il leoncino e ti lascerà in pace». Bink era affascinato da quell'animazione delle costellazioni e dalla potenza e dall'eleganza delle strane bestie. Il centauro era un essere normale, naturalmente... ma gli animali come gli orsi, i leoni ed i cigni, esistevano soltanto nella mitologia che parlava di Mundania. Alcune parti della loro anatomia apparivano nelle sfingi, le chimere, i grifoni e altre bestie, ma questo non contava. Un leone mundano poteva essere descritto come un corpo di grifone con la testa di una formica-leone, una forma composita derivata dalle creature di Xanth. Ora che lo Scudo non era più in funzione, gli animali potevano attraversare liberamente il confine, e con ogni probabilità nella fascia di frontiera ce n'erano di tutti i tipi. Bink si rammaricò pensando che non aveva avuto occasione di vedere creature come gli orsi in carne e ossa, quando aveva visitato Mundania. Ma a quel tempo era sta-
to ben felice di far ritorno nel suo Xanth! Quasi sotto la coda del centauro apparve un altro stranissimo essere mundano: un lupo. Sembrava un cane con una sola testa. Bink aveva visto vari lupi mannari, ma quelli non contavano. Che orrore doveva essere la vita in Mundania, ove i lupi erano perpetuamente bloccati nella forma animale e non potevano ritrasformarsi in uomini! Il centauro celeste si girò di scatto verso il lupo e lo prese di mira con l'arco. Ma il lupo stava già passando oltre, perché era seguito da un enorme scorpione. E lo scorpione era inseguito da un uomo... no, era solo convinto che l'uomo gli desse la caccia. L'uomo, un colosso dai muscoli immani, in realtà inseguiva un serpente, e cercava di fracassargli la testa con una clava. Eppure c'era un drago che dava la caccia all'uomo, e dietro il drago veniva uno stranissimo animale dal lungo collo. Tutto il cielo era popolato di esseri bizzarri, che lo facevano sembrare un posto molto più interessante della Terra di Xanth. «Cos'è quel coso con il collo lungo?» chiese Bink. «La zoologia mitologica non è la mia specialità», rispose Chester. «Ma mi pare che sia un mostro mundano chiamato graffa». S'interruppe. «No, non è esatto. Una gaffa. No. Una... una giraffa! Ecco! Il collo lungo ha la funzione di tenere la testa lontano dalla magia ostile del suolo, o qualcosa di simile. La cosa più strana, a quanto ne so, è che nonostante la lunghezza del collo non ha voce». «Che magia strana!» commentò Bink. «Che strana antimagia, piuttosto. La Terra di Mundania avrebbe bisogno d'una buona dose di magia». Il cielo era ormai affollato di animali, via via che spuntavano le altre stelle. Più indietro c'era un granchio, e un toro senz'ali, e un vero cane con una testa sola. Gli uccelli abbondavano... alcuni erano riconoscibili come la fenice e la paradisea, ma moltissimi erano sconosciuti, come la gru, il tucano, l'aquila, il pavone, la colomba e il corvo. E c'erano anche esseri umani... uomini, bambini, e diverse donne giovani e bellissime. Le donne riportarono a Bink il ricordo di Chameleon. Più stava lontano da lei e più sentiva la sua mancanza. Che importava, anche se aveva la fase brutta? Aveva anche quella bellissima... «Guarda... ecco là il fiume Eridano», esclamò Chester. Bink lo trovò con lo sguardo. Scorreva attraverso metà del cielo, passava zigzagando ai piedi di un gigante e arrivava a... Bink non riuscì a vedere dove finisse. Dove poteva andare un fiume, nel cielo? C'era una quantità di
pesci, e uno...». «Che cos'è quello?» gridò Bink. «La favolosa balena mundana», rispose Chester. «Sono lieto che simili mostri non esistano nella nostra terra». Bink annuì convinto. Seguì di nuovo il fiume con lo sguardo, cercando di vedere dove finisse. Ma si allargava e si diradava, diventava vago e sfuggiva alla vista. Poi scorse una lucertolina. «Un camaleonte!» esclamò. Mentre parlava, la lucertola si trasformò e divenne la Chameleon che lui amava, sua moglie. Chameleon lo guardò dal profondo del cielo, e aprì le labbra. Bink, Bink, sembrava dicesse. Vieni da me... Bink balzò in piedi, rischiando di sbattere la testa contro un osso. «Vengo!» gridò allegramente. Perché mai l'aveva abbandonata? Ma era impossibile raggiungerla. Non poteva arrampicarsi in aria, o volare lassù, e del resto sapeva che lei era soltanto un'immagine, non era reale. Era soltanto una lucertola trasformata, immaginaria. Eppure, avrebbe desiderato... In quel momento il centauro celeste scagliò la freccia. La saetta fiammeggiò in volo, formando una scia brillante attraverso il cielo e divenne sempre più luminosa via via che si avvicinava. All'improvviso apparve spaventosamente grande e vicina, come se stesse piombando dal cielo... e andò a piantarsi in un albero accanto. Era un alberocane: guaì per il dolore, poi ringhiò e snudò i rami interni a forma di denti con furore canino, cercando il suo nemico. In un attimo fece a pezzi la freccia, sbranandola. Bink guardò Chester, ma nell'oscurità non riuscì a decifrare l'espressione dell'amico. La freccia della costellazione aveva colpito un albero vero! «Quel centauro ha tirato a noi?». «Se non l'ha fatto, è stato di un'imprudenza criminosa», rispose torvo Chester. «Se l'ha fatto, è un pessimo tiratore. Un cattivo esempio che danneggia la reputazione di tutti i centauri. Glielo farò capire». Profilato contro lo scintillante cielo notturno, Chester spiccava alto e magnifico. Incoccò una delle sue frecce. Tese l'arco con tutta la sua forza formidabile e scagliò il dardo verso l'alto. Il dardo salì, salì, visibile nonostante l'oscurità. Salì a un'altezza impossibile, verso la volta celeste, verso la costellazione del centauro. Bink sapeva che nessuna freccia fisica poteva colpire una stella o una figura di stelle. Dopotutto, le costellazioni erano solo linee immaginarie tracciate tra un astro e l'altro. Eppure... La freccia di Chester si piantò nel fianco del centauro-costellazione, che sobbalzò per il dolore. Dalla sua bocca scaturirono due comete e una stella
cadente: un'imprecazione tremenda! «Ah sì? Anche a te, testa vuota!» ribatté Chester. La costellazione tese una mano e strattonò la freccia di Chester. Una nova esplose dalla sua bocca mentre esaminava la ferita, dove palpitavano parecchie stelline fioche. Strappò al cigno una manciata di piumino soffice e la strofinò sulla piaga. Il cigno spennacchiato imprecò a sua volta con un torrente di stelle cadenti, ma non osò attaccare il centauro. Il centauro celeste afferrò il tubo estensibile chiamato telescopio e l'accostò all'occhio. La magia del tubo gli permetteva di vedere molto lontano. «****!!» esclamò, con un'invettiva veramente oscena, cercando chi l'aveva colpito. «Sono qui, testa di zoccolo!» urlò Chester, e puntò un'altra freccia verso il cielo. «Scendi e battiti da centauro!». «Uhm, io non lo farei...» ammonì Bink. La costellazione parve udire la sfida. Girò il telescopio e lo puntò verso l'accampamento d'ossa. Dalla bocca gli uscì un orribile pianeta anelato. «Proprio così, idiota!» gridò Chester. «Vieni a dimostrare che sei degno del tuo nome!». Degno del nome «idiota»? A Bink quella faccenda non piaceva per niente, ma non poteva intervenire. Il centauro celeste incoccò un'altra freccia. Chester fece altrettanto. Per un po' i due si squadrarono, con gli archi tesi, sfidandosi reciprocamente a tirare per primo. Poi le due frecce scoccarono, quasi nello stesso attimo. Entrambi i tiri furono fin troppo precisi. Bink vide le due frecce incrociarsi a mezza strada nel cielo e puntare sui bersagli, come fossero guidate magicamente. Nessuno dei due centauri si mosse: evidentemente era un punto d'onore, in duelli del genere. Quello che fosse schizzato a lato avrebbe dimostrato di avere i nervi fragili, e pochissimi centauri soffrivano di quella debolezza. Le due frecce mancarono l'obiettivo... ma di pochissimo. Il tiro di Chester sfiorò la fronte della costellazione, quello del centauro celeste si piantò nel terreno accanto allo zoccolo anteriore sinistro di Chester, che si trovava vicinissimo alla testa del Buon Mago addormentato. Humfrey si svegliò con un sussulto. «Pericolo pubblico equino!» gridò irritato. «Stai attento a quello che fai!». «Io sono di guardia», disse Chester. «Non è la mia freccia. Vedi? C'è sopra la polvere di stelle». Humfrey svelse la freccia dal terreno. «Oh, sì, è vero». Guardò il cielo,
socchiudendo gli occhi. «Ma la polvere di stelle non dovrebbe essere quaggiù. Che cosa sta succedendo?». Crombie si scosse. «Squawk!» «Il Mago sei tu», tradusse il golem. «Queste cose dovresti saperle». «Le costellazioni che prendono vita? È molto tempo che non ripasso questa particolare magia». Humfrey continuò a scrutare il cielo. «Tuttavia, sarebbe uno studio meritevole d'attenzione. Crombie, dov'è l'accesso più agevole a quel reame?». Crombie indicò. Bink scorse un fregio di stelle, simile a una scalinata, che scendeva verso l'orizzonte. Sembrava sempre più solida e più vicina, e raggiungeva il suolo nei pressi delle ossa. Forse era possibile salire lassù! Guardò di nuovo le stelle. Erano ancora più brillanti, e le linee che le congiungevano erano più nitide. Le figure avevano assunto chiaroscuri che le rendevano molto realistiche. Vide di nuovo Chameleon che lo chiamava a cenni. «Io salgo!». «Squawk!» dichiarò Crombie. E Grundy tradusse: «Sono sempre disposto a una bella zuffa, e quello sboccato centauro ha bisogno d'una lezione». Chester, che era già avviato verso la scala, si fermò di colpo nel sentire quelle parole. «Non fare lo stupido», scattò il Mago, rincorrendoli. «Crombie allude al centauro nel cielo, non a te». «Uhm, già, sicuro», concesse Chester senza troppo entusiasmo. Fece uno sforzo visibile per scrollarsi di dosso l'irritazione. «Carica!». E si lanciò su per i gradini. «Siete ammattiti tutti quanti?» gridò Grundy. «Lassù non c'è niente per voi!». Chester lo guardò, e Bink vide che girava la testa sullo sfondo delle costellazioni. «Non ho sentito Crombie strillare». «Non ha strillato!» urlò il golem. «Questa volta parlo a nome mio. Non salite in cielo! È una pazzia!». «È affascinante», disse Humfrey. «Uno studio diretto delle costellazioni animate! Forse non ci capiterà mai un'occasione migliore». «E io devo dare una lezione a quel centauro», dichiarò Chester. Bink volse di nuovo lo sguardo verso Chameleon. Il bisogno di raggiungerla divenne grande come il cielo. Continuò l'avanzata. «È una pazzia», gridò Grundy, tirando le penne del collo di Cromine. «A me non fa nessun effetto. Io vedo solo i fatti, perché non sono reale. È una magia ostile. Non andate!».
«Probabilmente hai ragione, minuzzolo», riconobbe Humfrey. «Ma l'offerta è troppo allettante per rifiutarla». «Lo era anche la sirena! Non andate!» ripeté Grundy. «Che ne sarà della vostra cerca, se vi lasciate sopraffare dalla follia?». «Che t'importa?» ribatté Chester. «Tu non hai sentimenti». Posò gli zoccoli anteriori sul primo gradino. Era solido, ancorato ai quattro spigoli da altrettante stelline. Le linee erano sottili come fili, e i pannelli sembravano di vetro. Era una scala traslucida, non esattamente invisibile, che saliva verso il cielo. Bink sapeva che era magica e che non era il caso di fidarsi. Ma lassù c'era Chameleon che l'aspettava, e doveva andare. Il suo talento non l'avrebbe permesso se fosse stato pericoloso, dopotutto. «Bene, io non vado!» urlò Grundy. Balzò dalla groppa del grifone, cadde in un cespuglio di insetti-fiore, e mise in fuga uno sciame di quegli essermi. Poi sparì nella notte. «Tanti saluti», borbottò Chester, salendo i gradini. Le superfici si piegavano leggermente sotto il suo peso, trascinando verso l'interno le stelle degli ancoraggi, ma non si spezzavano. Crombie, spazientito, spiegò le ali e volò intorno al centauro per andarsi a posare più in alto sulla scala. Evidentemente l'ascesa in volo era troppo ripida per un essere della sua mole, e quindi preferiva salire a piedi. Il Buon Mago veniva per terzo, mentre l'ultimo era Bink. Salirono in fila indiana. La scala era a spirale, e poco dopo Crombie si trovò direttamente al di sopra di Bink. L'effetto era interessante, ma Bink era più affascinato dal panorama sotto di lui. Quando superò le cime degli alberi, il paesaggio notturno dei territori desolati di Xanth si schiuse, impressionante grazie alla sua particolare natura. Una volta Bink era stato trasformato in un uccello, un'altra volta aveva viaggiato su un tappeto volante, e un'altra volta ancora aveva volato in forma umana: la magia gli aveva offerto esperienze piuttosto svariate. Ma quella lenta ascesa attraverso i livelli della foresta, con i gradini solidi sotto i piedi... era diversa dalle varie forme di volo, e sotto un certo aspetto era unica. Sapeva benissimo che avrebbe potuto cadere; i gradini non avevano ringhiere per aggrapparsi. E questo sembrava inserirlo nella situazione in un modo diverso dal volo. Essere al di sopra del suolo, e tuttavia legato ad esso... Di notte la foresta era bellissima. Molti alberi erano luminosi. Alcuni protendevano tentacoli bianchi come l'osso; altri erano globi dai colori pastello. Alcuni avevano fiori giganti che sembravano occhi, e quegli occhi
parevano fissare Bink. Altre fronde formavano labirinti di rami intrecciati. Mentre la guardava, l'intera foresta assunse la forma di una gigantesca faccia umana. NON ANDARE! diceva in silenzio. Bink indugiò, un po' smontato. Davvero il paesaggio cercava di parlargli? Quali interessi rappresentava? Poteva essere invidioso perché lui saliva in cielo. Voleva trattenerlo. O forse faceva così per dispetto. Crombie s'era ribellato davanti all'albero groviglio. Chester era stato casualmente assordato in tempo per salvarli dal richiamo della sirena. Allora il suo talento aveva funzionato. Perché adesso stava dormendo? Guardò in alto. L'enorme panorama del cielo l'attendeva... ammali, mostri, esseri umani. In quel momento erano tutti immobili, e attendevano l'arrivo del gruppo di Bink. Lassù c'era l'avventura. Riprese a salire. Dovette affrettarsi perché gli altri avevano continuato a muoversi, e adesso erano parecchie spirali al di sopra di lui. Non voleva arrivare in ritardo per l'azione! Quando raggiunse il Mago, che era rimasto distanziato dai due robusti quadrupedi, qualcosa arrivò ronzando dall'oscurità. Sembrava un insetto molto grosso. Non un'altra mosca Mida, si augurò. Agitò le braccia, sperando di spaventarlo. «Bink!» gridò una vocina. E adesso! Ormai era sfiatato per la rapida ascesa, e doveva osservare attentamente per non fare un passo falso mentre assorbiva gli splendori dell'immensa volta celeste e del paesaggio sottostante. Era al centro d'una scena fenomenale, voleva farne l'esperienza con la massima intensità, e non aveva proprio bisogno che un insetto venisse a distrarlo. «Vattene!». L'insetto si avvicinò. Era luminescente. E non era un insetto, bensì un pesce volante, che si muoveva lanciando getti di bollicine dalla fusoliera, per dare slancio alle ali rigide. Le branchie erano prese d'aria, e le minuscole pinne gli davano stabilità e manovrabilità. I pesci volanti erano veloci, Bink lo sapeva; dovevano esserlo, per non piombare al suolo. Questo portava sul dorso una luce, come una lanterna in miniatura, e... «Bink! Sono Grundy!». E infatti era proprio il golem, sulla schiena del pesce: lo guidava con le minuscole redini e il morso. Teneva con la mano libera la lampada, che sembrava una stellina prigioniera entro una reticella. «Ho preso il pesce attirandolo con un discorsetto nella sua lingua; adesso mi capisce e mi sta aiutando. Ho portato il pezzo di legno che inverte gli incantesimi». Batté una mano sul sella che non era una sella ma il frammento nodoso gettato via poco prima da Bink.
«Ma come fa a volare il pesce?» chiese Bink. «E tu come puoi tradurre? L'inversione...». «Non ha effetto sul pesce, perché il pesce non ha talento... è magico», spiegò Grundy, spazientito. «Il legno inverte solo la magia esteriore, non quella innata». «Per me non ha molto senso», commentò Bink. «Il legno ha invertito il talento di Cervello di Gallina, ma non l'ha ritrasformato in uomo», continuò il golem. «Ha annullato la sapienza dello gnomo, ma non ha cambiato in un uomo normale neppure lui. Non ha influito su di te, perché...». Il golem non conosceva il talento di Bink, ma la domanda era pertinente: il talento di Bink aveva sconfitto il legno... o viceversa? La risposta poteva essere questione di vita o di morte! «E tu?» chiese Bink. «Stai ancora traducendo». «Io non sono reale», replicò seccamente il golem. «Togli la mia magia, e io non sono altro che spago e argilla. Per me il legno è soltanto legno». «Ma prima il legno ha influito su di te! Parlavi a vanvera, prima che io ti allontanassi!». «Davvero?» chiese Grundy, frastornato. «Non me ne ero accorto. Credo che la traduzione sia il mio talento, quindi...». Non finì la frase e prese a riflettere. «Ci sono! Ora non sto traducendo. Parlo per me stesso!». Quella era la spiegazione. «Bene, tienimi lontano quel pezzo di legno», disse Bink. «Non mi fido». «No. Devo avvicinarlo a te, invece. Toccalo, Bink». «No!» esclamò Bink. Grundy tirò le redini, scalciò contro i fianchi del pesce e si tese in avanti. Il pesce deviò, s'impennò e accelerò, volando verso Bink. «Ehi!» protestò lui, quando gli sfiorò la mano. Ma in quel momento tutto cambiò. Di colpo le stelle furono soltanto stelle, e i gradini... i gradini erano i rami di un albero traliccio. Sopra di lui gli altri erano vicini alla cima, e stavano per salire sui ramoscelli più fragili che non avrebbero sorretto il loro peso. Crombie già si reggeva sbattendo le ah, e Chester... Bink scrollò la testa, sbalordito. Un centauro che si arrampicava su un albero! Poi il pesce sfrecciò via ronzando, e la follia ritornò. Bink era di nuovo sulla scalinata lucente, e ascendeva verso le costellazioni. «È pazzesco, lo so!» gridò. «Ma non posso trattenermi. Devo continuare a salire!».
Il golem fece avvicinare di nuovo il pesce. «Non sei capace di piantarla, anche se sai che sarà la catastrofe?». «È pazzesco», ammise Bink, tornando a ragionare per un momento quando il legno gli passò di nuovo vicino. «Ma è vero! Non preoccuparti per me... sopravviverò. Vai a tirare Chester giù dal ramo prima che si ammazzi!». «Giusto!» rispose Grundy. Spronò il pesce e sfrecciò via. Bink riprese a salire, imprecando contro la propria stupidità. Il pesce sparì nella notte. Solo la stella ingabbiata - adesso Bink sapeva che era soltanto una bacca luminescente - indicava la posizione di Grundy. La luce si avvicinò al centauro. «Santa pazienza, golem!» esclamò Chester. «Cosa diavolo ci sto facendo su un albero?». Bink non poté sentire la risposta di Grundy, ma poteva immaginarla. Dopo un istante Chester incominciò a ridiscendere a ritroso i gradini. «Ehi, imbecille!» gridò il Mago. «Toglimi dalla faccia quel tuo deretano d'asino!». «Scendi!» urlò il centauro. «Non è una scala, è un albero. Stiamo salendo verso una fine sicura». «Verso moltissime informazioni. Lasciami passare!». «È una pazzia! Grundy, portagli il legno». La luce si abbassò. «Per tutti gli specchi magici!» gridò Humfrey. «È un albero! Dobbiamo scendere!». Ma Chester aveva ripreso a salire. «Non ho ancora finito di regolare il conto con quel centauro celeste», disse. «Stupido equino!» esclamò Humfrey. «Desisti!». Il pesce sfrecciò verso Bink. «Non ce la faccio a tenerli a bada tutti e due», urlò Grundy. «Ho un solo pezzo di legno, e voi siete quattro». «Il grifone può volare, e per il momento non corre pericoli», disse Bink. «La scala... voglio dire l'albero... è stretto. Dai il legno a Chester; nessuno potrà superarlo. Poi vai a cercarne qualche altro pezzetto». «Ci avevo già pensato», disse il golem. Il pesce guizzò via. Dopo un momento, Chester invertì di nuovo la direzione di marcia. Il Buon Mago imprecò in un gergo decisamente indegno della sua categoria, ma fu costretto a indietreggiare davanti al posteriore del centauro. Poco dopo furono tutti e due immediatamente al di sopra di Bink... e anche lui inveì perché la sua ascesa era bloccata. Le costellazioni, vedendo la ritirata, scoppiarono di rabbia. «***!!» gri-
dò silenziosamente il centauro celeste. Al suo richiamo accorsero gli altri mostri stellari: il drago, l'idra, il serpente, il cavallo alato, il gigante e la balena. La follia lo dominava ancora, ma Bink non desiderava più salire la scalinata. I mostri convergevano verso l'estremità superiore della spirale. Il serpente incominciò a scendere, sinuosamente, mentre gli esseri alati si lanciavano in volo. Bink non sapeva se erano reali o illusori - oppure qualcosa d'intermedio - ma ricordava la freccia che si era piantata nell'albero-cane, e non se la sentiva di rischiare. «Mettiamoci al riparo!» gridò. Ma Crombie, che era nel punto più alto della scala e non subiva l'influenza del legno annulla-incantesimi, spiccò il volo per battersi con il cavallo alato. «Squawk!» strillò. «Iiihhh!» rispose il cavallo. Grundy passò ronzando sul suo pesce. «Oooh! Che cosa si sono detti!». Ad ali spiegate, grifone e cavallo si fronteggiarono, in un grande agitarsi di artigli e di zoccoli. Poi si scontrarono, ma Bink non riusciva a capire quale dei due stesse avendo la meglio. Poi sopraggiunse il serpente. Chester non poteva usare l'arco in modo efficace, dato che non esistevano frecce capaci di volare a spirale, perciò attendeva con la spada in pugno. Bink si domandava che cosa vedesse il centauro, dato che aveva il legno e quindi percepiva la realtà. Con ogni probabilità non era il serpente, ma un altro essere pericoloso. Nel frattempo, Bink era costretto a interpretare tutto quello che vedeva. Quando l'enorme testa serpentina si avvicinò, il centauro mugghiò un avvertimento e la colpì sul muso. La lama cozzò contro le zanne. I denti del serpe erano enormi: riflettevano la luce delle stelle e scintillavano di veleno. Erano due, e si muovevano con la precisione di due schermitori. Chester era. costretto a indietreggiare, perché aveva soltanto una spada. Poi Chester rubò l'idea al cavallo alato, e usò gli zoccoli anteriori. Colpì il muso del serpente mentre lo abbagliava con la spada. Le zampe davanti non avevano la potenza di quelle di dietro, ma gli zoccoli, erano affilati ed erano in grado di staccare la corteccia da un albero, o le squame da un serpente. Cosa sarebbe accaduto, si chiese Bink, se il legno avesse toccato il serpe? Gli avrebbe dato una visione diversa della realtà? Il centauro gli sarebbe apparso diverso, allora? Com'era possibile capire quale magia era reale e quale era falsa? Il serpente sibilò e spalancò le fauci. La bocca divenne più grande del centauro. La lingua sinuosa uscì dardeggiando per avvolgersi intorno al
braccio di Chester, ma il centauro passò l'arma nell'altra mano, e con molta efficienza gli tranciò la lingua. Il serpe sibilò di dolore e chiuse di scatto la bocca, sbattendo le zanne. Chester indugiò un attimo per liberarsi il braccio dal frammento di lingua, e riprese a sferrare colpi al muso. Sopraggiunse anche il drago. Si avventò verso Humfrey. Il Buon Mago poteva essere prigioniero della follia, ma non era scemo. Infilò una mano nella giacca ed estrasse una boccetta. Ma l'assalto del drago fu così rapido da non lasciargli il tempo di aprirla. Humfrey la scagliò nella bocca spalancata. Automaticamente, il drago l'azzannò, e il vetro si stritolò sotto i denti. Il vapore esplose, espandendosi in una nube che fuoriuscì dalla bocca del drago e gli si condensò intorno alla testa. Non si trasformò in qualcosa d'altro, in un demone, in una cortina fumogena, neppure in una torta. Aderì, formando grumi che si indurivano. «Che cos'è?» gridò Bink. «La boccetta non ha funzionato?». «L'ho pescata a casaccio», rispose Humfrey. «È... credo che sia schiuma isolante». «Che cosa?». «Schiuma isolante. Forma una schiuma, che poi si indurisce per mantenere gli oggetti caldi... o freddi». Bink scrollò la testa. Il Mago era veramente pazzo. Com'era possibile che qualcosa servisse a mantenere gli oggetti caldi o freschi? Doveva scaldare come il fuoco, oppure raffreddare come il ghiaccio. E perché qualcuno poteva provare interesse per una magia del genere? Il drago, comunque, non l'aveva presa molto bene. Si fletté a mezz'aria, e scrollò la testa con violenza, cercando di liberarsi dalla sostanza adesiva. Masticava e trangugiava, nel tentativo di eliminare la schiuma. «Io non lo farei, se fossi in te», disse Humfrey. Il drago non gli diede ascolto. Ruggì. Poi soffiò e sbuffò per accumulare il fuoco nel ventre. Si piegò, scrollandosi dalle ali pezzi di schiuma indurita. Poi puntò il muso verso il Mago ed eruttò una vampata. Dalla bocca uscì soltanto un esile filo di fiamma. Poi, sorprendentemente, il corpo del drago cominciò a enfiarsi. Si gonfiò come un pallone, un pallone enorme dal quale spuntavano soltanto le zampe, la coda, le estremità delle ali e il muso. «Cosa...!» domandò Bink, sbalordito. «L'isolante s'indurisce immediatamente, in presenza del calore», spiegò Humfrey. «È stato il fuoco stesso del drago a solidificarlo. Purtroppo questo particolare tipo d'isolante è anche...».
Il drago scoppiò. Le stelle saettarono in tutte le direzioni, bruciacchiando le fronde della giungla sottostante. Piovvero accanto a Bink e, in cielo, creando un magnifico effetto di fuochi d'artificio. «... infiammabile ed esplosivo, quando s'incendia», finì Humfrey. Guardarono le stelle volanti salire alla loro altezza, e poi esplodere in piogge di scintille multicolori. Per qualche attimo, il cielo notturno s'illuminò. «Avevo cercato di avvertire il drago», disse Humfrey. «Non bisogna accostare il fuoco a un isolante infiammabile». Bink non poteva dar torto al drago che aveva frainteso l'avvertimento. Anche lui avrebbe commesso lo stesso errore. Se il suo talento l'avesse permesso. Ma questo gli faceva capire una cosa. Se (il cielo non volesse!) lui avesse avuto qualche seria divergenza con il Buon Mago, avrebbe dovuto guardarsi da quelle boccette magiche! Non si poteva mai sapere che cosa ne sarebbe uscito. Poi un mostro piombò su Bink. Era l'idra. Non aveva ali, e non poteva aver sceso la scala perché era bloccata dal serpente. Sembrava che si fosse calata lungo un filo... ma non c'erano fili visibili. Bink si avventò contro il mostro brandendo la spada. Era in ottima forma: colpì una delle sette teste, dietro le corna, e la testa volò via. Il sangue flottò dal collo con tanta violenza che il getto si divise in due zampilli. Se non occorreva altro per battere il mostro, Bink non avrebbe avuto difficoltà. I due getti si coagularono a mezz'aria, formando grumi gemelli attaccati al collo. Via via che il sangue sgorgava, cadeva sui grumi, indurendoli e ingrossandoli. Le escrescenze si svilupparono e il colore divenne più scuro, fino a che... I grumi divennero due teste nuove! Ognuna era più piccola di quella originale, ma era altrettanto feroce. Bink era riuscito soltanto a raddoppiare il pericolo. Era un problema serio. Se ogni volta che recideva una testa ne spuntavano due, meglio si sarebbe battuto e più avrebbe aggravato la situazione. Ma se non si batteva, presto sarebbe finito sbranato da sette... no, da otto bocche. «Prendi, Bink!» gridò Chester lanciandogli qualcosa. Bink non fu entusiasta di quell'interruzione che gli impediva di concentrarsi, ma cercò di afferrare al volo l'oggetto. Nell'oscurità, le sue dita lo buttarono a lato. Nell'istante in cui lo toccò, ritrovò la ragione. Vide che era su un ramo dell'albe-
ro, e puntava la spada contro un... Ma poi il legno inverti-incantesimi schizzò via, e la follia riprese il sopravvento. Vide il frammento volare verso l'idra... e una delle teste si protese per inghiottirlo. All'ultimo istante, Bink si ritrovò a seguire un ragionamento precedente. Che cosa avrebbe fatto l'inversione dell'incantesimo all'interno di un mostro immaginario? Se la forma dell'idra era interamente un prodotto della percezione distorta di Bink - la follia comune a lui e ai suoi amici - sarebbe stata neutralizzata... no, il legno doveva essere vicino a lui per annullare i mostri. Ma poiché anche i suoi amici vedevano i mostri, e il legno non poteva essere contemporaneamente vicino a tutti... allora voleva dire che il legno non avrebbe influito sul mostro, a meno che il mostro avesse una realtà oggettiva. E anche in questo caso, il legno non avrebbe alterato la forma dell'idra, ma solo il suo talento... se l'aveva. Moltissime creature magiche non avevano talenti magici: la loro magia consisteva nella loro esistenza. Quindi... non doveva accadere nulla. L'idra urlò con tutte le otto bocche. Di colpo piombò al suolo. Atterrò con uno schianto, giacque immobile e incominciò a svanire. Bink la guardò a bocca aperta. L'idra non aveva cambiato forma... era stata annientata. Che cos'era successo? Poi comprese. L'idra aveva un talento magico, dopotutto: stare appesa a un filo invisibile. Il legno invertitore d'incantesimi aveva annullato quella magia, e aveva fatto precipitare il mostro. Il filo invisibile non era scomparso: aveva attirato l'essere verso il basso con la stessa potenza con cui prima l'aveva tirato verso l'alto. E il risultato... Ma adesso il legno era sparito. Come avrebbero potuto sfuggire alla follia? Bink alzò gli occhi. La schiuma isolante del Buon Mago aveva annientato il drago, e gli zoccoli e la spada di Chester avevano respinto il serpente. Lo spirito combattivo del centauro s'era rivelato troppo forte per il cavallo alato. Quindi i singoli duelli si erano conclusi vittoriosamente. Ma la guerra non prometteva nulla di buono. Parecchie costellazioni erano rimaste in cielo. Il centauro, il gigante e la balena non avevano potuto scendere, perché non avevano ali o magie del volo, e la scala era stata occupata dal serpente. Ora, vedendo il fato dei loro compagni, i tre urlarono la loro rabbia dalla sicurezza delle volta celeste. Novae, pianeti anellati, fulmini in miniatura e comete dalla coda arricciata si irradiavano dalle loro bocche a profusione mentre la balena lancia-
va zampilli di fregi osceni. «Ah, sì?» urlò Chester. «Verremo lassù a fare altrettanto anche a voi! Siete stati voi a cominciare, vigliacchi!». E Crombie, Humfrey e Bink si strinsero intorno a lui. «No, fermi!» strillò Grundy, dalla groppa del pesce volante, sfrecciando intorno ai quattro. «Tutti voi avete visto la natura della vostra follia! Non cedete di nuovo! Passatevi il legno dall'uno all'altro, rendetevi conto della realtà e ridiscendete a terra! Non lasciate che i mostri vi attirino verso la morte!». «Ha ragione, sapete», borbottò Humfrey. «Ma ho lasciato cadere il legno!» gridò Bink. «Ho lasciato cadere la nostra lucidità!». «Allora scendi e prendilo!» strillò il golem. «E tu, somaro... sei stato tu a lanciarglielo. Scendi e aiutalo». «Squawk!» esclamò Crombie. «E Cervello di Gallina dice che salirà da solo a prendersi tutta la gloria». «Oh, no!» ruggì Chester. «Giusto!» riconobbe il golem. «Dovete andare insieme, per spirito di equità. Voi creature reali attribuite molta importanza all'equità, no? Oppure non hai il concetto dell'onore, Cervello di Gallina? Non vuoi che il somaro ti faccia concorrenza, perché sai che ti batterebbe, se tu non avessi un buon vantaggio iniziale». «Squawk! Squawk!». Bink credette quasi di vedere una cometa schizzare dal becco di Crombie. «Giustissimo! E allora dimostra che sei capace di eguagliarlo... scendendo e trovando prima di lui quel pezzo di legno. E porta con te lo gnomo. Il somaro può portare con sé lo straccio». Lo straccio? Era così che il golem aveva deciso di chiamare Bink? Bink sentì aumentare la pressione. Solo perché il suo talento non era visibile... «Sta bene, e che ti piova addosso il letame!» disse Chester. «Andrò a prendere quello stupido legno. E poi su, a batterci gloriosamente!». E cosi, ingloriosamente, scesero la scala di vetro. I mostri celesti scoppiarono a ridere. Il cielo s'illuminò delle loro esclamazioni: ciliege-bombe che esplodevano in mille colori silenziosi, cicloni splendenti, incendi. La balena deviò il fiume Eridano in modo che l'acqua piovesse in una cascata scintillante. Il gigante mulinò l'enorme clava, staccando una quantità di stelle e facendole piovere sulla terra. Il centauro scagliò frecce luminose. «Continuate a muovervi, fannulloni!» strillò il golem. «Continuate ad al-
lontanarvi da loro. Questo li fa infuriare più di ogni altra cosa!». «Ehi, è vero», ammise Chester. «Sei parecchio furbo, per un pastrocchio di spago e catrame». «Io sono sano di mente... perché non ho nessuna delle stupide emozioni della realtà che interferisca nei miei processi di pensiero», disse Grundy. «Sono sano di mente... perché sono fatto di spago e catrame». «Quindi sei l'unico qualificato per condurci fuori dalla follia», disse il Mago. «Sei il solo che può percepire la realtà oggettiva... perché non hai aspetti soggettivi». «Sì. Non è magnifico?». Ma il golem non sembrava molto soddisfatto. All'improvviso Bink comprese che Grundy sarebbe stato felice di partecipare alla loro follia, sebbene sapesse che avrebbe portato al disastro, purché questo dimostrasse che era reale. Solo l'irrealtà del golem gli permetteva di aggrapparsi alla vita. Che destino paradossale! Una freccia colpì un cespuglio d'erba gatta fino a lui. La pianta gnaulò e soffiò, morse il dardo, e poi lo sbatacchiò con i germogli-zampe. «Oh, voglio piantargli una freccia sotto la coda!» borbottò Chester. «Quel centauro è il disonore della mia specie». «Prima trova il legno», insistette Grundy. Una delle stelle abbattute dal gigante sfrecciò sopra la testa di Bink e incendiò un albero della gomma. La pianta si allungò enormemente, cercando di allontanarsi dalla propria sostanza bruciante. Il lezzo era orribile. «Non riusciamo a trovare niente, con questo fumo», protestò Chester, tossendo. «Allora seguitemi!» gridò Grundy, indicando il percorso con il suo pesce. Semisoffocati, seguirono il golem. Le costellazioni, lassù, erano infuriate, e lanciavano gragnole di astri vari. Ma non riuscivano a colpirli. La follia non aveva potere sopra una guida razionale. Eppure la follia ce la mise tutta. La balena afferrò di nuovo il fiume, lo strattonò brutalmente dal nuovo letto. L'acqua si riversò fra le stelle in un'ondata lattiginosa, straripando. Poi trovò un nuovo canale, strappò via parecchie stelle, e precipitò verso il suolo. «Attenti!» gridò Bink. «Siamo ai piedi della cascata!». Infatti era così. La massa d'acqua scendeva verso di loro come una valanga. Si dispersero, affannosamente... ma li investì, infradiciandoli di liquido lattiginoso, scrosciando intorno a loro con un rombo di tuono e sommergendoli fino alla cintola. Crombie si aggobbì, e le sue penne perse-
ro la lucentezza; Chester strinse le braccia intorno al torace umano come per proteggersi. E il Mago... Il Buon Mago era avviluppato in un grande, coloratissimo accappatoio da spiaggia. Bagnato fradicio, quell'indumento era peggio che niente. «Ho sbagliato boccetta», spiegò intimidito. «Volevo un impermeabile». Si allontanarono dalla cascata. Bink rabbrividiva: l'acqua del fiume celeste era gelida. La follia era apparsa affascinante quando le costellazioni avevano incominciato a prendere vita, ma adesso avrebbe voluto essere a casa sua, al calduccio, accanto a Chameleon. Ah, Chameleon! Gli piaceva soprattutto nella fase «normale», né bellissima né intelligente, ma una piacevole via di mezzo. Sembrava sempre così gradevole, il breve periodo in cui lei era normale, dato che cambiava di continuo. Ma l'amava con qualunque forma e con qualunque grado d'intelligenza... soprattutto in momenti come quelli, quando era bagnato fradicio, intirizzito, stanco e spaventato. Sferrò una sberla a una stella fluttuante, per sfogare lo sconforto. Probabilmente quell'astro luminoso era infelice quanto lui, strappato dal cielo per piombare sulla terra. Lì l'acqua era troppo bassa per la balena, l'unico mostro celeste che avrebbe potuto rappresentare un vero pericolo in quella fase. Erano ormai usciti dalla fanghiglia. «Nella vita reale, questo dev'essere un acquazzone», commentò Chester. La camminata fu interminabile. Il golem continuava a incalzarli nella notte. L'ira delle costellazioni li inseguì per un tratto, poi si sperse quando passarono sotto il baldacchino formato dalla giungla. Il terreno parve diventare una massa di burro d'arachidi che ondeggiava sotto i loro passi. Gli alberi, pericolosi per conto loro, sembravano assumere l'aspetto di minacce aliene: diventavano purpurei e canticchiavano in coro protendendo sinistri frutti allungati. Bink sapeva che la follia, sia che sembrasse benigna o maligna, li avrebbe annientati tutti in pochi istanti se avessero ceduto. Il suo spirito d'autoconservazione lo incoraggiava a resistere, e la resistenza diventava via via più forte... ma non gli riusciva ancora di penetrare fino alla realtà. In un certo senso, assomigliava alle illusioni della Regina... ma influiva sulle emozioni e non soltanto sulle percezioni, e quindi era ancora più pericolosa. Sentì il golem strillare qualcosa a Crombie in lingua grifonesca, e poi vide che il golem faceva posare il suo pesce volante sulla testa del soldato.
Evidentemente il pesce era stanco e aveva bisogno di riposo. «Merita una ricompensa», disse Bink. «Per il suo servizio tempestivo». «Davvero? Perché?» chiese Grundy. Bink fece per rispondere, poi si rese conto che era inutile. Il golem non era reale: non se ne curava. Faceva ciò che doveva fare, ma la coscienza e la compassione umana non facevano parte della sua mentalità. «Credimi sulla parola: il pesce deve essere ricompensato. Che cosa gli piacerebbe?». «Questo è un guaio», borbottò Grundy. Ma gorgogliò qualcosa alla sua cavalcatura. «Vuol mettere su famiglia». «Basta che trovi una signora della sua specie», osservò Bink. «Oppure un gentiluomo, se è femmina». Un altro dialogo in lingua dei pesci. «Nella regione della follia non riesce a trovarla», spiegò il golem. «Un pezzetto del legno che inverte gli incantesimi risolverebbe il problema», disse Bink. «Anzi, sarebbe utile a tutti noi. Ci siamo lasciati sconvolgere dalla follia e dall'acqua e non abbiamo pensato alla cosa più ovvia. Vediamo se il talento di Crombie può individuare un altro po' di quel legno». Crombie strillò, piuttosto sgomento. Roteò su se stesso e indicò... un mucchio tremolante di gelatina. «Quello è un albero sanguisuga», disse Grundy. «Non possiamo andar là!». «Perché no?» chiese scherzosamente Chester. «Tu non hai sangue». «Il legno dev'essere più oltre», disse Bink. «Il talento di Crombie continua a funzionare, ma dobbiamo stare in guardia contro i rischi accidentali del percorso, ora più che mai. Di notte, e con la follia... tu solo puoi farcela, Grundy». «E lo sto facendo!» ribatté irritato il golem. «Abbiamo bisogno di luce», disse Chester. «Cervello di Gall... uh, Crombie, dove possiamo trovare una luce non pericolosa?». Il grifone indicò. C'era un branco di cose ondeggianti, dalle zampe lunghe e dagli occhi che splendevano orribilmente. Bink si avvicinò, con prudenza, e scoprì che erano piante, non animali; quelle che gli erano parse zampe erano steli. Ne colse uno, e l'occhio emise un raggio che illuminava tutto ciò che toccava. «Che cos'è, in realtà?» chiese Bink. «Un fiortorcia», rispose Grundy. «Stai attento a non dar fuoco alla foresta». La pioggia era cessata, ma il fogliame sgocciolava ancora. «Non c'è un gran pericolo, per il momento», disse Bink.
Armati delle luci, si mossero nella direzione che Crombie aveva indicato per il legno, procedendo tortuosamente per evitare i rischi segnalati dal golem. Era evidente che non sarebbero riusciti a superare le trappole naturali della giungla senza la guida di Grundy. Sarebbe stato problematico in circostanze normali; la follia lo rendeva impossibile. All'improvviso arrivarono a destinazione. Un troncone mostruoso si ergeva dal suolo. Alla base era così largo che un uomo non avrebbe potuto abbracciarlo, ma era spezzato e devastato all'altezza di meno di due braccia. «Che albero doveva essere!» esclamò Bink. «Vorrei sapere com'è morto». Circondarono il tronco... e di colpo recuperarono la lucidità. Gli occhi brillanti che tenevano in mano si rivelarono per altrettanti fiortorcia, come aveva detto il golem, e la giungla fitta mostrò la sua magia vera, anziché quella demenziale. Bink si sentì la mente limpida come non gli era mai accaduto in tutta la vita. «L'incantesimo della follia... si è invertito e ci ha resi assolutamente razionali!» esclamò. «Come il golem!». «Guarda il percorso che abbiamo seguito», disse Chester. «Abbiamo sfiorato spine velenose, erba carnivora, alberi del petrolio... le nostre torce avrebbero potuto fare esplodere l'intera zona!». «Non lo sapevo, forse?» ribatté Grundy. «Perché credi che continuassi a urlare con voi? Se avessi i nervi, a quest'ora li avrei a pezzi. Ogni volta che vi allontanavate dal percorso che avevo scelto...». Altre cose stavano diventando chiare, per Bink. «Grundy, perché ti sei dato la pena di aiutarci, anziché andartene a cavallo del tuo pesce? Hai corso tanti rischi...». «Il pesce!» esclamò Grundy. «Devo compensarlo!». Staccò una scheggia di legno dal tronco massiccio e la fissò alla pinna dorsale del pesce con un pezzetto del suo spago. «Vai, occhi tondi», disse in un tono che sembrava addirittura affettuoso. «Finché lo porterai, vedrai ogni cosa com'è veramente, nella regione della follia. E così potrai riconoscere la tua pesciolina. Quando ci sarai riuscito, butta via il legno: mi risulta che non è opportuno vedere una femmina in modo troppo realistico». Crombie gettò un enfatico strillo di approvazione che non aveva bisogno d'essere tradotto. Il pesce decollò, saettando nel cielo con un possente lancio di bollicine, e virò di precisione intorno ai rami. Liberato dal peso del golem e spronato dalla speranza di realizzare il suo sogno d'amore, andava come il vento.
«Perché l'hai fatto?» chiese Bink a Grundy. «Hai la memoria corta. Sei stato tu a dirmelo, scemo!». «Voglio dire, perché l'hai fatto con tanto garbo? Hai dimostrato un sentimento autentico verso il pesce». «Non è possibile», scattò Grundy. «E perché ci hai guidati, aiutandoci ad aggirare tutti i pericoli? Se fossimo periti, il tuo impegno di servire il Buon Mago avrebbe avuto termine». «A che cosa mi sarebbe servito?» ribatté il golem, prendendo irosamente a calci un ciuffo d'erba. «Ti avrebbe liberato», disse Bink. «E invece ti sei dato parecchio da fare per trascinarci giù da quella scala e portarci al sicuro. Non eri obbligato a farlo: il tuo compito è tradurre, non fare da guida». «Stai a sentire, straccio... non sono tenuto ad ascoltare questi tuoi discorsi!». «Pensaci», insistette Bink. «Perché hai aiutato uno straccio?». Grundy ci pensò. «Allora, dopotutto, dovevo essere matto anch'io», ammise. «Come potevi essere matto... se non eri affatto influenzato dalla follia?». «Dove vuoi arrivare?» chiese Chester. «Perché assilli così il golem? Ha fatto un ottimo lavoro». «Perché il golem è un ipocrita», rispose Bink. «Ci ha aiutati per un'unica ragione». «Perché mi curavo di voi, cretino!» gridò Grundy. «Perché devo giustificarmi di avervi salvato la vita?». Bink tacque. Crombie, Chester e il Buon Mago si girarono in silenzio verso il golem. «Che cos'ho detto?» chiese quello, in tono rabbioso. «Perché mi state guardando così, scrocconi?». Crombie strillò. «Cervello di Gallina dice...». Il golem s'interruppe. «Dice... non riesco a capire quello che dice! Che cosa mi sta succedendo?». «Il legno di questo albero inverte gli incantesimi», disse Humfrey. «Ha annullato il tuo talento». «Non sto toccando il legno!». «Neppure noi», disse Bink. «Ma in questo momento siamo tutti sani di mente, perché l'influenza del tronco è più forte di quella di un pezzetto di legno. Per questo ora possiamo percepirti come sei. Ti rendi conto di quello che hai detto?». «E allora? Il legno rovina il mio talento come rovina i vostri. Lo sape-
vamo già!». «Perché cambia la nostra magia senza cambiare noi», continuò Bink. «Perché ciò che è noi è reale». «Ma questo vorrebbe dire che io sono reale per metà!». «E ti sei curato per metà di noi», disse Chester. «Era soltanto un modo di esprimermi! Io non ho sentimenti!». «Allontanati dall'albero», disse Bink. «Portati al di fuori dell'influsso del tronco. E dicci che cosa vedi». Grundy si allontanò e si guardò intorno. «La giungla!» urlò. «È cambiata! È pazzesca!». «Ecco», disse Bink. «La Risposta del Buon Mago. Nel tentativo di salvarci, ti sei avvicinato alla tua destinazione. Hai incominciato ad assumerti i rischi che comporta l'essere reale. Provi compassione, provi collera, piacere, frustrazione e incertezza. Hai fatto quello che hai fatto perché la coscienza trascende la logica. Ne vale la pena?». Grundy guardò le immagini distorte intorno al tronco. «È pazzesco!» esclamò, e tutti risero. CAPITOLO NONO I DIAVOLI DEL VORTICE All'alba uscirono dalla regione della follia. Ognuno di loro stringeva un pezzo di legno inverti-incantesimi. Avevano viaggiato in modo molto noioso, separando ogni tanto Crombie dal suo pezzo di legno per farsi dare la lui le indicazioni sul percorso, e poi restituendoglielo perché potesse percepire esattamente le minacce fino all'orientamento successivo. Finalmente trovarono un riparo abbastanza sicuro in un albero zampadicicogna e misero i loro pezzi di legno in cerchio intorno ai tronchi esilissimi in modo che nessuna magia ostile potesse avvicinarli senza venir rovesciata. Non era una difesa perfetta; ma erano così stanchi che se ne accontentarono. Molte ore dopo Bink si svegliò, si stirò e scese. Il centauro restò sistemato su un largo ramo, con i quattro zoccoli penzoloni; sembrava che la scalata dell'albero durante la follia avesse aggiunto un talento non magico al suo repertorio. Il Mago era raggomitolato in un grosso nido che aveva evocato da una delle sue boccette. Crombie, da buon soldato, era già in piedi e stava facendo una ricognizione. Il golem era con lui. «C'è una cosa che vorrei sapere...» attaccò Bink, masticando un pezzo di
pagnotta all'uva che Crombie aveva colto da un albero locale. Era forse un tantino troppo matura, ma eccellente. Crombie strillò. «... chi ha distrutto l'albero inverti-incantesimi», tradusse Grundy. «Hai ripreso a tradurre!». «In questo momento non sto toccando legno». Il golem si agitò un po'. «Ma non credo d'essere reale come lo ero la scorsa notte, durante la follia». «Comunque, un po' di sentimento dev'essere rimasto», disse Bink. «Può succedere così, quando ci si avvicina alla meta. Due passi avanti, uno indietro... ma non devi mai desistere». Grundy si rianimò un poco. «Sai? È un modo positivo di vedere le cose, testa di rapa!». Bink era lieto di aver incoraggiato il golem, anche se quello continuava a usare un linguaggio sgarbato. «Come sapevi che stavo per chiedere chi aveva distrutto...». «Non fai altro che far domande, Bink», disse Grundy. «Perciò abbiamo individuato l'ubicazione del soggetto della prossima domanda, e corrispondeva al tronco dell'albero. Così abbiamo fatto una ricerca. Era una specie di sfida». Ed era anche un'interessante ramificazione del talento di Crombie! Anticipare le risposte alle future domande! La magia continuava a riservare sorprese. «Solo un essere reale ama le sfide», disse Bink. «Credo di sì. È piuttosto divertente, diventare reale. Ma ho ancora questo corpo raffazzonato; e nessun sentimento può cambiarlo. Vuol dire soltanto che adesso temo la morte che verrà sicuramente». Grundy scrollò le spalle. «Comunque, l'albero è stato devastato da una maledizione proveniente da quella parte». E indicò. Bink guardò. «Io vedo soltanto un lago». Poi, ricordando: «Ma l'orco non aveva parlato di...». «Diavoli del lago, che hanno lanciato una maledizione uccidendo l'intera foresta», disse Grundy. «Abbiamo controllato. Il lago è proprio questo». Humfrey scese dall'albero. «Sarà meglio che metta in bottiglia un po' di questo legno, se è possibile che la mia magia agisca su di esso», disse. «Non si può sapere quando tornerà utile». «Lancia un incantesimo che lo scagli lontano dalla boccetta», suggerì Chester dall'albero. Si lasciò cadere a terra dopo una manovra complicata che mise in pericolo il suo bellissimo posteriore. I centauri non erano fatti
per arrampicarsi sugli alberi. Il Mago sistemò la bottiglia e il legno, e pronunciò un incantesimo. Vi fu un lampo, uno sbuffo di fumo, poi l'aria si rischiarò lentamente. La boccetta era tappata. Il legno era sempre lì. Il Buon Mago era scomparso. «Dov'è andato a finire!» chiese Bink. Crombie roteò su se stesso e puntò l'ala. Direttamente verso la boccetta. «Oh, no!» gridò Bink, inorridito. «L'incantesimo si è veramente invertito e ha chiuso lui nella bottiglia.». Si affrettò a prenderla e a stapparla. Ne uscì un vapore che si espanse, turbinò, si condensò e formò il Buon Mago. Aveva sulla testa un uovo fritto. «Avevo dimenticato che ci tenevo la colazione», disse malinconicamente. Grundy non riuscì a tenere a freno le emozioni appena acquisite. Scoppiò a ridere. Si buttò a terra e si rotolò sghignazzando. «Oh, questa sì che è bella!» ansimò, e rise ancora più forte. «Il senso del comico fa parte dell'essere reale», disse Chester in tono solenne. «Infatti», riconobbe Humfrey piuttosto bruscamente. «Per fortuna che un nemico non si è impadronito della boccetta. Chi ce l'ha, ha potere sul contenuto». Il Mago tentò e ritentò. Alla fine scoprì l'aspetto giusto dell'inversione e riuscì a far entrare il legno nella boccetta. Bink si augurò che ne fosse valsa la pena. Ora, almeno, sapeva come aveva fatto il Buon Mago a mettere insieme la sua collezione. Imbottigliava tutto ciò che pensava potesse tornargli utile. Poi Bink trovò un altro mucchietto di terra. «Ehi, Mago!» gridò. «È ora di dargli un'occhiata. Che cosa produce questi monticelli? Ce ne sono in tutto Xanth, oppure solo dove ci troviamo noi?». Humfrey venne a osservare il mucchietto. «Sì, è il caso di esaminarlo», borbottò. «Ce n'era uno sull'isola della sirena, e un altro nel nostro accampamento tra le ossa». Tirò fuori lo specchio magico. «Che cos'è quello?» chiese bruscamente. Lo specchio si appannò, pensoso, poi si schiarì. Mostrò l'immagine di una specie di verme. «Un guizzante!» esclamò Bink inorridito. «I guizzanti stanno per sciamare di nuovo?». «Non è un guizzante», disse Chester. «Guarda le dimensioni. È dieci volte più grosso». Nello specchio apparve un misuratore lineare: l'essere era davvero dieci volte più lungo di un guizzante. «Non conosci la tasso-
nomia? Quello è uno sgorbio». «Uno sgorbio?» chiese Bink. Non voleva ammettere che non ne aveva mai sentito parlare. «A me sembra un guizzante troppo cresciuto». «Sono cugini», spiegò Chester. «Gli sgorbi sono più grossi, più lenti, e non sciamano. Sono esseri solitari, e si spostano sottoterra. Sono innocui». «Ma i mucchi di terriccio...». «L'avevo dimenticato», disse Chester. «Avrei dovuto riconoscerli prima. Gli sgorbi buttano il terriccio dietro di loro, e dove le loro gallerie toccano la superficie si formano quei mucchietti. Via via che scavano, il terriccio che si buttano dietro tappa il buco, quindi non resta altro che il monticello». «Ma che cosa fanno?». «Vanno in giro e fanno mucchietti di terra. Tutto lì». «Perché mi seguono? Io non ho niente a che fare con gli sgorbi». «Potrebbe essere una coincidenza», disse Humfrey. Si rivolse allo specchio. «È così?». Nello specchio apparve la faccia piangente del bimbetto «Allora qualcuno o qualcosa manda gli sgorbi a spiarci,» disse Humfrey, e lo specchio sorrise. «Chi?» Lo specchio si oscurò. «La fonte della magia?» chiese Humfrey. Lo specchio negò. «Il nemico di Bink, allora?». Ritornò il bimbo sorridente. «Non saranno i Diavoli del lago?» chiese Bink. Il bimbo sorrise. «Vuoi dire che sono loro?». «Non confondere lo specchio con la tua illogicità» scattò il Mago. «Ha detto che non sono loro!». «Uh, sì», disse Bink. «Comunque, se il nostro percorso passa vicino ai Diavoli, abbiamo un problema. Il nemico ci spia lungo la strada e ci frappone ostacoli, ed è inevitabile che induca i Diavoli a combinare qualcosa di brutto». «Credo che tu abbia ragione», disse Humfrey. «Forse per me è venuto il momento di spendere ancora un po' della mia magia». «Magnifico!» esclamò ironicamente Chester. «Zitto, somaro!» ribatté Humfrey. «Ora lasciatemi vedere. Dobbiamo passare vicini ai Diavoli del lago per arrivare a destinazione?». Lo specchio sorrise. «E i Diavoli hanno una magia maledicente abbastanza forte per distruggere una foresta?».
Lo specchio confermò. «Qual è il modo più conveniente per passare senza avere fastidi?». Lo specchio mostrò un'immagine di Bink che assisteva a una rappresentazione. Humfrey alzò la testa. «C'è qualcuno di voi che riesce a capirci qualcosa?». Crombie strillò. «Io dove sono?» tradusse il golem. «Aspettate, rifaccio la domanda», disse in fretta Humfrey. «Dov'è Crombie mentre Bink assiste alla rappresentazione?». Lo specchio mostrò una delle boccette del Mago. Il grifone proruppe in una serie di strilli furibondi. «Oh, piantala, Cervello di Gallina!» disse Grundy. «Sai che non posso ripetere queste parole in pubblico, se voglio diventare reale». «La preoccupazione di Cervello di Gallina è comprensibile», disse Chester. «Perché dovrebbe venir rinchiuso in una bottiglia? Potrebbe non uscirne più». «Sono io, quello che deve tradurre!» protestò Grundy, dimenticando la precedente riluttanza. Humfrey mise via lo specchio. «Se non vuoi dare ascolto al mio consiglio», disse a Crombie, «fai a modo tuo». «Ecco che ricominciate, tutti quanti. Vi lasciate dominare dalla suscettibilità», disse il golem. «La cosa più razionale è ascoltare il consiglio, considerare le alternative, discuterle e poi decidere all'unanimità». «La carognetta dice bene», commentò Chester. «Quale carognetta?» chiese Grundy. «Sospetto», disse il Mago, minacciosamente, «che sarebbe meglio mettere il golem in una bottiglia». «Stiamo litigando di nuovo», disse Bink. «Se lo specchio dice che possiamo superare più facilmente i Diavoli viaggiando nelle boccette, preferirei fare così anziché vivere qualche altra avventura come quelle che ci sono già capitate». «Tu non devi finire in una boccetta», osservò Grundy. «Devi andare ad assistere a una commedia». «Io ho fiducia nello specchio», disse Humfrey, e lo specchio arrossì così intensamente da irradiare luce attraverso la giacca del Mago. «Per dimostrarlo, mi imbottiglierò io stesso. Mi pare che quella dove soggiornava Beauregard sia comoda, ben imbottita e abbastanza grande per due. Se io, Crombie e Grundy entriamo nella boccetta e la facciamo portare a Bink,
allora lui può salire in groppa a Chester e andare ad assistere alla rappresentazione». «Ci sto», rispose Bink. Si chiese se il Buon Mago avrebbe portato con sé nella bottiglia anche tutti gli altri recipienti. Sembrava un po' paradossale, ma senza dubbio era possibile. «Tuttavia non so esattamente dove siano i Diavoli, e preferirei non incontrarli alla sprovvista. Se ci avviciniamo con prudenza e circospezione, può darsi che siano meno diabolici». Crombie indicò il lago. «Sì, lo so. Ma dove? Sulla riva? Su un'isola? Voglio dire, prima di incappare in una maledizione che devasta una foresta...». Crombie strillò e spiegò le ali. In un lampeggiare di colori, s'involò verso il lago. «Aspetta, Cervello di Gallina!» gridò Chester. «Ti vedranno! Segnalerai la nostra presenza!». Ma il grifone non gli diede ascolto. Guardarono Crombie che volava sopra l'acqua. Le sue piume brillavano rosse, azzurre e bianche. «Devo ammettere che quello zotico testardo è un bell'animale», mormorò Chester. Poi il grifone piegò le ali e piombò verso la superficie del lago, roteando nell'aria. «Una maledizione!» gridò Bink. «Lo hanno abbattuto con una maledizione!». Ma poi il grifone riprese quota e tornò indietro. Sembrava illeso. «Che cos'è successo?» gli chiese Bink non appena atterrò. «Una maledizione?». «Squawk!» rispose Crombie. Grundy tradusse: «Quale maledizione? Ho solo girato su me stesso per individuare i Diavoli. Risiedono sott'acqua». «Sott'acqua?» esclamò Bink. «E come possiamo andarci?». Humfrey tirò fuori un'altra boccetta e gliela porse. «Con queste pillole. Prendine una ogni due ore, quando sarai in immersione. Serviranno a...». «Si sta formando un mucchietto di terriccio!» gridò Chester. «Una spia!». Humfrey tirò fuori fulmineamente un'altra fiala, la stappò, e la puntò verso la montagnola di terra. Un getto di vapore schizzò fuori, investì il mucchietto e lo coprì di cristalli di ghiacciaio. «Vapore antincendio», spiegò il Mago. «È freddissimo. Lo sgorbio è congelato nella galleria». «Lascia che l'ammazzi, finché posso beccarlo!» si offrì premurosamente il centauro. «Aspetta!» disse Bink. «Quanto durano gli effetti del congelamento?».
«Solo un paio di minuti», disse Humfrey. «Poi lo sgorbio riprenderà la sua attività senza menomazioni». «E senza ricordare i minuti mancanti?» chiese Bink. «Non dovrebbe accorgersi del divario. Gli sgorbi non sono molto intelligenti». «Allora non ucciderlo! Allontaniamoci dalla sua portata. Si convincerà che è stato un falso allarme, che non eravamo qui. Lo riferirà al suo padrone, e lo metterà fuori strada». Il Mago inarcò un sopracciglio. «Molto intelligente, Bink. Ora stai pensando come un vero capo. Noi ci nasconderemo nella bottiglia, e tu e Chester la porterete con voi, Presto, prima che l'effetto congelante finisca». Il grifone era ancora incerto, ma si rassegnò. Il Mago stappò la boccetta, recitò l'incantesimo: uomo, grifone e golem sparirono». «Prendi la boccetta, saltami in groppa e tienti forte!» gridò Chester. «Il tempo è quasi scaduto!». Bink afferrò la boccetta, balzò sul dorso di Chester e si aggrappò. Il centauro partì. Dopo pochi istanti i suoi zoccoli sguazzavano nell'acqua del lago. «Dammi una pillola!» gridò. Bink tirò fuori due pillole dal flaconcino, augurandosi di non rovesciarle tutte mentre sobbalzava sulla groppa dell'amico. Se ne buttò una in bocca e porse l'altra a Chester. «Spero che funzionino!» gridò. «Ci mancherebbe... un'altra boccetta sbagliata!» esclamò Chester. «Se inghiottiamo una pillola di schiuma isolante...». Bink avrebbe preferito che il centauro non ci avesse pensato. L'isolante, oppure l'antincendio... Ugh! Si voltò a guardare. Era uno scherzo dell'immaginazione, oppure il monticello di terriccio aveva ripreso a crescere? Se ne era andato in tempo? E se lo sgorbio avesse visto le loro impronte? Poi Chester superò un gradino sommerso, e piombarono sott'acqua. Bink si sentì soffocare quando il liquido gli coprì la bocca... ma l'acqua era come l'aria, respirabile. Anzi, era come l'aria per tutto il suo corpo, a parte il dolore. Potevano respirare! Quell'esperienza gli ricordò qualcosa. La festa dell'Anniversario! Quella era stata una scena sottomarina illusoria, mentre questa era autentica. Purtroppo, la versione della Regina era stata molto più bella. Qui il panorama era torbido e scuro. Chester continuò a procedere, muovendosi con cautela nell'ambiente acquatico sconosciuto. Nubi di sedimento si sollevavano intorno alle sue
zampe. Strani pesci venivano a curiosare. Il centauro teneva in mano l'arco, nell'eventualità che incontrassero un mostro marino. Ma a parte quel timore, la marcia divenne ben presto addirittura monotona e noiosa. Bink tirò fuori la boccetta che conteneva il Mago e l'accostò all'occhio. Scorse vagamente le sagome di un minuscolo grifone e di un uomo ancora più piccolo. Erano in una stanza principesca, e stavano osservando le figure in movimento nello specchio magico. Sembrava che stessero molto comodi. Senza dubbio era più piacevole che procedere nell'acqua torbida per andare incontro ai Diavoli. Un altro pensiero sgradevole gli affiorò nella mente. E se lui avesse preso la boccetta sbagliata, e si fosse messo in bocca il Mago, anziché la pillola per respirare l'acqua? Era un'idea veramente spaventosa, in quel momento. Bink rimise in tasca il recipiente, rassicurato sulla sorte dei suoi amici. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse scrollato con violenza la boccetta, ma resistette all'impulso di fare l'esperimento. «Andiamo a trovare i Diavoli», disse, in tono di falsa allegria. Poco dopo si avvicinarono a uno splendido castello. Era formato di conchiglie marine... e questo significava che probabilmente era magico, dato che nei laghi le conchiglie marine non si formavano senza l'aiuto della magia. Piccoli gorghi ascendevano dalle torrette: evidentemente portavano l'aria agli abitanti. Al posto del fossato, il castello era cinto da una fitta muraglia d'alghe, pattugliata da vigili pescispada. «Speriamo che i Diavoli siano gentili con i viaggiatori», disse Bink. Quando parlò non si formarono bollicine; la pillola l'aveva acclimatato completamente. «Speriamo che lo specchio del Mago sapesse quel che diceva», rispose cupamente il centauro. «E che i diavoli non colleghino a noi quello stupido grifone, se l'hanno visto». Si accostarono alla porta principale. Dalla fanghiglia salì un behemoth. Era quasi tutto bocca. «Altoooolà!» mugghiò il behemoth. «Chi siete e cooooosa voooolete?». Era bravissimo a pronunciare le O: il suono riverberava dalle fauci cavernose. «Chester e Bink, viaggiatori», disse Bink con una certa trepidazione. «Vorremmo ospitalità per la notte». «È coooosì?» chiese il mostro. «Alloooora andate!». Spalancò la bocca ancora più orrendamente.
«Andare?» ripeté il centauro in tono aggressivo. «Ma siamo appena arrivati. «Alloooora andate!» tuonò il behemoth. La bocca era così immensa che il centauro avrebbe potuto entrarvi senza neppure abbassare la testa. Chester portò la mano alla spada. «Uh, fermoooo... voglio dire, fermo», mormorò Bink. «Mi ricordo... il gargoyle... Credo voglia dire che dobbiamo entrare. Nella bocca». Il centauro sbirciò la gola enorme del mostro. «Ch'io sia dannato se andrò spontaneamente a farmi divorare!». «Ma è l'entrata del castello!» spiegò Bink. «Il behemoth». Chester sgranò gli occhi. «Beh, ch'io possa finire castrato!». E senza esitare entrò al galoppo. Infatti, la gola proseguiva fino al castello. In fondo alla galleria apparve una luce, e poco dopo entrarono in una sala principesca. Le pareti erano coperte di arazzi, e il pavimento era di legni intarsiati. Un giovane molto bello, quasi aggraziato, venne loro incontro. Aveva i capelli ricci e un paio di baffetti vivaci, e un paio di babbucce a punta. «Benvenuti al Castello della Soglia», disse. «Posso chiedervi chi siete e qual è lo scopo della vostra visita?». «Sì», rispose Chester. Vi fu un breve silenzio. «Ebbene?» chiese il giovane, un po' irritato. «Ebbene, perché non lo chiedi?» disse Chester. «Ti ho dato il permesso di farlo». La bocca dell'uomo si contrasse leggermente, rendendolo un po' meno aggraziato. «Lo chiedo». «Io sono Chester il centauro, e questo è il mio compagno Bink. Lui è umano». «L'ho notato. E lo scopo della visita?». «Cerchiamo la fonte della magia», disse Bink. «Avete sbagliato strada. È nel villaggio delle amazzoni, più a nord. Ma il percorso è pericoloso per la vostra ragione». «Ci siamo già stati», disse Bink. «Il villaggio non è la fonte suprema, ma solo il punto dove sgorga la polvere magica. Secondo le nostre informazioni, il percorso migliore passa attraverso questo castello». L'uomo sorrise, o quasi. «Oh, è un percorso che non vi piacerebbe!». «Mettici alla prova e vedrai». «Questo esorbita dalla mia competenza. Dovrete parlare con il Signore del castello».
«Sta bene», disse Bink. Si chiese che razza di diavolo era il castellano, che aveva un servitore umano tanto docile. «Se volete avere la bontà di venire da questa parte...». «Ne abbiamo la bontà», disse Chester. «Ma prima dobbiamo sistemare i tuoi zoccoli. Il pavimento è di teak; non vogliamo che lo graffi o lo ammacchi». «E allora perché avete usato il teak per il pavimento?» chiese Chester. «Non lo usiamo per il pavimento delle scuderie», disse l'uomo. Tirò fuori alcuni dischi di stoffa pelosa. «Applicali agli zoccoli: aderiranno e attutiranno l'impatto». «Ti andrebbe di portarne uno sulla bocca?» ribatté il centauro. «È una piccola concessione», mormorò Bink. Gli zoccoli di Chester erano indenni, dato che l'elisir risanatore aveva riparato a tutti i danni subiti dai quarti posteriori del centauro, ma erano durissimi e avrebbero lasciato il segno. «Accontenta quel pover'uomo. I diavoli probabilmente tengono molto a queste cose, e puniscono i servitori che non fanno rispettare i loro ordini». Di malagrazia, Chester premette uno alla volta gli zoccoli sui dischi di feltro. La stoffa aderì, e quando il centauro riprese a muoversi, i suoi passi non fecero più rumore. Attraversarono un'elegante galleria, scesero una scala coperta da una passatoia, ed entrarono in una stanzetta. Chester riusciva a starci a malapena. «Se questa è la vostra sala principale...» cominciò a protestare. L'uomo toccò un bottone. La porta si chiuse. Poi, all'improvviso, la stanzetta si mosse. Bink alzò le mani, sbalordito, e Chester sferrò un calcio alla parete di fondo. «Calmatevi, visitatori», disse l'uomo aggrottando la fronte. «Non siete mai stati in un ascensore? È magia inanimata, una camera che sale o scende quando è occupata. Risparmia il logorio delle scale». «Oh», disse Bink, sconcertato. Lui preferiva tipi di magia più convenzionali. L'ascensore magico si fermò. La porta si aprì. Uscirono in una galleria, e finalmente arrivarono nell'appartamento del Signore del castello. Con grande sorpresa di Bink era un uomo, riccamente abbigliato di stoffa d'argento tempestata di diamanti, ma portava le stesse ridicole babbucce del servitore. «Dunque offrite i vostri servigi in cambio di una notte d'ospitalità», disse in tono vivace.
«È la nostra usanza», rispose Bink. «E anche la nostra!» rispose cordialmente il castellano. «Avete qualche talento speciale?». Bink non poteva rivelare il suo, e non conosceva quello di Chester. «Uh, non proprio. Ma siamo robusti, e possiamo lavorare». «Lavorare? Oh, cielo, no!» esclamò il castellano. «Qui la gente non lavora!». Oh? «E allora come vivete?» chiese Bink. «Organizziamo, dirigiamo... e diamo spettacoli», rispose il castellano. «Voi sapete recitare o cose del genere?». Bink allargò le braccia. «No, purtroppo». «Magnifico! Sarete un pubblico ideale». «Un pubblico?». Bink sapeva che Chester era sconcertato quanto lui. Lo specchio l'aveva mostrato mentre assisteva a una rappresentazione... ma quello non poteva essere un servigio! «Noi mandiamo le nostre compagnie a divertire le masse, accettando come pagamento materiali e servizi. È una professione soddisfacente, dal punto di vista estetico e pratico. Ma è necessario procurarci in anticipo gli indici di gradimento del pubblico, per valutare con esattezza come saranno accolti i nostri spettacoli». Quell'attività innocua non corrispondeva affatto alla nomea sinistra dei diavoli! «Fare da pubblico... assistere ai vostri spettacoli... non chiedete altro? Non mi sembra equo! Temo che non saremmo in grado di fare una critica competente...». «Non è necessario! I nostri monitor magici osserveranno le vostre reazioni e indicheranno le nostre imperfezioni. Non dovrete far altro che reagire, davvero». «Credo che potremmo farlo», disse Bink in tono dubbioso. «Se vi accontentate». «Qui c'è qualcosa che non quadra», disse Chester. «Come mai avete fama d'essere diavoli?». «Uh, non è una domanda diplomatica», mormorò Bink, imbarazzato. «Diavoli? Chi ci ha chiamati diavoli?» volle sapere il castellano. «L'orco», rispose Chester. «Ha detto che avete devastato un'intera foresta con una maledizione». Il castellano si accarezzò la barbetta. «L'orco è sopravvissuto?». «Chester, stai zitto!» sibilò Bink. Ma il carattere impetuoso del centauro aveva preso il sopravvento. «Lui
non aveva fatto altro che salvare la sua orchessa, e voi non sopportavate l'idea che fosse felice e...». «Ah, sì, quell'orco. Immagino che per la mentalità di un orco noi siamo diavoli. Per noi, è diabolico sgranocchiare le ossa umane. È tutta questione di punti di vista». Evidentemente il centauro non aveva irritato il castellano, anche se Bink pensava che fosse un puro caso. A meno che il Signore, come i suoi collaboratori, fosse un attore... e in quel caso potevano esserci parecchi guai. «Questo è diventato vegetariano», disse Bink. «Ma sono curioso: avete davvero maledizioni così devastanti, e perché vi curate di quello che fa un orco? Non avete motivo di preoccuparvi degli orchi, qui sotto il lago. Loro non sanno nuotare». «Abbiamo veramente quelle maledizioni», disse il castellano. «Rappresentano uno sforzo di gruppo, la somma di tutta la nostra magia. Non abbiamo talenti individuali, ma possiamo dare contributi al risultato complessivo». Bink era sbalordito. Quella era un'intera società con talenti identici. La magia si ripeteva! «Tuttavia, non usiamo a casaccio le nostre maledizioni. Ce la siamo presa con l'orco per ragioni professionali. Stava rovinando il nostro monopolio». Bink e Chester lo guardarono senza capire. «Il vostro cosa?». «Noi ci occupiamo di tutti gli ostacoli nella parte meridionale di Xanth. Quel pessimo attore è capitato per caso su un nostro palcoscenico e ha rapito la nostra prima attrice. Non tolleriamo simili interferenze». «Avevate l'orchessa come prima attrice?» chiese Bink. «Ci servivamo di una ninfa trasformata... un'attrice consumata. Tutti i nostri attori sono bravissimi, come vedrete. In quella parte, sembrava un'orchessa più orchessa che si potesse immaginare, assolutamente orribile». Il castellano s'interruppe, riflettendo. «Anzi, con il suo temperamento artistico stava diventando piuttosto orchessa anche nella vita. Una vera primadonna.,.». «Allora l'errore dell'orco era comprensibile». «Può darsi. Ma non tollerabile. Non aveva diritto di metter piede sul palcoscenico. Siamo stati costretti ad annullare l'intera produzione. Ci ha rovinato la stagione». Bink si chiese quale accoglienza avrebbe incontrato l'orco mentre salvava la sua femmina ideale. Un'attrice nella parte di orchessa, e proveniente
dal castello dei diavoli! «E l'albero che inverte gli incantesimi?» chiese Chester. «La gente coglieva i suoi frutti e si divertiva a osservarne gli effetti. Noi non amiamo la concorrenza. Perciò l'abbiamo tolto di mezzo». Chester lanciò un'occhiata a Bink, ma non disse nulla. Forse quelli erano veramente diabolici. Eliminare tutte le forme rivali di divertimento...». «E dove avete detto che siete diretti?» chiese il castellano. «Alla fonte della magia», disse Bink. «Sappiamo che è sotterranea e che il percorso migliore passa attraverso questo castello». «Non mi piace che ci si diverta a mie spese», disse il Signore, aggrottando la fronte. «Se non volete rivelarmi la vostra missione, siete padronissimi di non farlo. Ma non prendetemi in giro raccontandomi una fandonia». Bink ebbe l'impressione che per quell'individuo l'ovvietà fosse un insulto peggiore delle fandonie. «Stai a sentire, diavolo!» disse Chester, irritatissimo. «I centauri non mentono!». «Uh, lascia fare a me», disse prontamente Bink. «Sicuramente c'è stato un malinteso. Stiamo cercando la fonte della magia... ma forse siamo stati informati male per quanto riguarda la via d'accesso». Il castellano si raddolcì. «Dev'essere così. Sotto il castello c'è soltanto il Vortice. Ciò che passa di lì non ritorna mai più. Noi siamo la Soglia: stiamo sopra al Vortice e proteggiamo gli esseri innocenti dal rischio di venire involontariamente trascinati verso quel destino orrendo. Chi vi ha detto che l'obiettivo della vostra cerca si trova in quella direzione?». «Ecco, un Mago...». «Mai fidarsi dei Maghi! Pensano solo a combinare pasticci e dispetti!». «Uhm, può darsi», disse Bink, imbarazzato, e Chester annuì, pensoso. «Era molto convincente». «Lo sono spesso», disse oscuramente il castellano. Poi cambiò argomento. «Vi mostrerò il Vortice. Da questa parte, prego». Si avviò verso un pannello che si aprì al suo tocco. C'era una parete di vetro scintillante. No, non era vetro: si muoveva, e si scorgevano minuscole irregolarità che scorrevano orizzontalmente. Ora Bink riusciva a vedere qualcosa, a scorgere la forma tridimensionale. Era una colonna, con un diametro doppio rispetto alla sua apertura delle braccia, e la cavità era vuota. Era acqua, e girava in tondo a velocità altissima. O a spirale. E scendeva... «Un gorgo!» esclamò Chester. «Stiamo vedendo un gorgo!». «Esatto», disse in tono d'orgoglio il castellano. «Abbiamo costruito il ca-
stello intorno ad esso, frenandolo con la magia. Le sostanze possono entrarvi, ma non uscirne. I criminali e altre persone sgradite vengono gettati nelle sue fauci e scompaiono per sempre. È il deterrente più salutare». Non c'era dubbio! La massa di liquido in movimento era terribile, spaventosa nella sua potenza. Eppure, a suo modo era anche affascinante come il canto della sirena, o la follia. Bink distolse lo sguardo. «Ma dove va a finire?». «Chi può saperlo?» chiese di rimando il castellano, inarcando un sopracciglio. Fece richiudere il pannello, nascondendo il Vortice. «Ora non parliamone più», continuò. «Vi offriremo un pasto adeguato, e poi farete da spettatori al nostro spettacolo». Il pasto era eccellente, servito da donne giovani e belle succintamente vestite di verde, che dedicavano ai viaggiatori un'attenzione lusinghiera. Soprattutto a Chester. Sembrava che ammirassero egualmente la muscolosa parte umana e la magnifica porzione equina. Bink si chiese, come aveva fatto altre volte, che cosa ci trovassero le ragazze nei cavalli. La sirena aveva insistito tanto per farsi portare in groppa! Finalmente, sazi da scoppiare, Bink e Chester furono accompagnati nel teatro. Il palcoscenico era molto più grande della platea. Evidentemente costoro si divertivano più a recitare che ad assistere agli spettacoli. Il sipario si alzò. Incominciò la recita. I costumi erano sgargianti, la trama presentava ardimentosi spadaccini, donne procaci e buffoni. I duelli erano impressionanti, ma Bink 'si chiese se quegli uomini avrebbero saputo destreggiarsi in una battaglia vera. C'era una differenza considerevole tra l'abilità tecnica e il coraggio in combattimento! Le donne erano meravigliosamente seducenti... ma sarebbero state altrettanto belle senza i costumi e altrettanto spiritose senza l'aiuto delle battute imparate a memoria?». «Non trovi divertente il nostro spettacolo?» chiese il castellano. «Preferisco la vita», rispose Bink. Il castellano annotò sul taccuino: MAGGIORE REALISMO. Poi, nel corso della commedia, venne una scena musicale. La protagonista cantò una bellissima canzone di rimpianto e di nostalgia, pensando all'innamorato infedele, ed era difficile immaginare quale mascalzone potesse tradire una creatura tanto desiderabile. Bink pensò di nuovo a Chameleon e fu riassalito dal rammarico. Chester ascoltava rapito, e probabilmente pensava a Cherie, che era veramente una giumenta adorabile. Poi il canto venne sottolineato da un accompagnamento ossessivo e bellissimo. Era un flauto che suonava: le sue note erano così pure e perfette
che al confronto il canto della donna sfigurava. Bink guardò in direzione del suono... e vide un lucente flauto d'argento sospeso nell'aria accanto alla protagonista. Un flauto magico che suonava da solo! L'attrice smise di cantare, sorpresa, ma il flauto continuò. Anzi, liberato dalle limitazioni della voce, trillò un'aria di bellezza fenomenale. Tutti gli attori s'erano fermati ad ascoltare: sembrava che anche per loro fosse una novità, come per Bink. Il castellano balzò in piedi. «Chi sta facendo questa magia?» chiese imperiosamente. Nessuno rispose. Erano tutti assorti nella musica. «Sgombrate il palcoscenico!» gridò il castellano, rosso in viso. «Fuori tutti! Fuori, fuori!». Gli attori si dispersero lentamente tra le quinte, voltandosi a guardare lo strumento. Il palcoscenico era vuoto... ma il flauto suonava ancora, eseguendo una fantasia di motivi, uno più incantevole dell'altro. Il castellano afferrò Bink per le spalle. «Io non ho una magia come questa!» esclamò Bink, distogliendo l'attenzione dal flauto. Il castellano strinse il braccio muscoloso di Chester. «Tu... allora devi essere tu!». Chester girò la testa verso di lui. «Cosa?» chiese, come se si strappasse a una fantasticheria. In quell'istante il flauto e la musica sparirono. «Chester!» esclamò Bink. «Il tuo talento! Tutta la bellezza della tua natura, repressa perché era legata alla tua magia, e come centauro non potevi...». «Il mio talento!» ripeté Chester, sbalordito. «Devo essere io! Non avevo mai osato... chi avrebbe mai creduto...?». «Suona ancora!» insistette Bink. «Crea altra musica bellissima! Prova che possiedi la magia, come il tuo eroico zio Herman l'Eremita!». «Sì», disse Chester. Si concentrò. Il flauto riapparve. Prese a suonare, dapprima incerto, poi con maggiore convinzione e più splendidamente. E la brutta faccia del centauro incominciò a sembrare meno brutta. Non era strano, pensò Bink: in gran parte, l'espressione brutale del centauro era dovuta alla sua aria ringhiante e sarcastica. Adesso era sparita. «Ora non devi nessun servizio al Mago!» disse Bink. «Hai scoperto da solo il tuo talento». «Che abominevole scortesia!» esclamò il castellano. «Hai accettato la nostra ospitalità con l'intesa che ci avresti reso un servigio come spettatore! Ma non sei uno spettatore... sei un musicista! Hai rinnegato l'impegno
preso con noi!». Chester ritrovò almeno in parte la consueta arroganza. Il flauto suonò una nota stonata. «Idiota!» scattò il centauro. «Stavo solo accompagnando il canto della tua protagonista. Fai continuare la commedia: assisterò e l'accompagnerò». «No certo», rispose immediatamente il castellano. «Non tolleriamo tra noi quelli che non fanno parte del sindacato. Abbiamo il monopolio». «E che cosa hai intenzione di fare?» chiese Chester. «Una scenata? Una maledizione?». «Uh, sarebbe meglio non...» disse Bink all'amico. «Non tollero una simile arroganza da parte di un mezzo uomo!» esclamò il castellano. «Ah, sì?» ribatté Chester. Lo afferrò per la camicia con una mano e lo sollevò dal pavimento. «Chester, siamo loro ospiti!» protestò Bink. «Non più!» ansimò il castellano. «Andatevene prima che vi annientiamo per la vostra insolenza!». «La mia insolenza... perché ho suonato un flauto magico?» chiese incredulo Chester. «Ti andrebbe se ti cacciassi il flauto nel...». «Chester!» gridò Bink, sebbene provasse una considerevole solidarietà per l'atteggiamento del centauro. Invocò l'unico nome che aveva il potere di frenare la collera di Chester. «A Cherie non piacerebbe che tu...». «Oh, a lei non lo farei!» disse Chester. Poi ci ripensò. «Almeno, non con un flauto...». Il centauro aveva continuato a tenere sospeso in aria il castellano. All'improvviso la camicia si strappò e l'uomo cadde ignominiosamente sul pavimento. Peggio che ignominiosamente, perché cadde su un mucchietto di terriccio. Per la verità, attutì l'urto ed evitò che si facesse male. Ma questo ingigantì la sua rabbia. «Terra!» gridò il castellano. «Questo animale mi ha buttato sulla terra!». «Beh, è il tuo posto», disse Chester. «Non volevo sporcare il mio bel flauto d'argento». Guardò Bink. «Sono lieto che sia d'argento e non di metallo scadente. È un flauto di qualità». «Sì», dichiarò precipitosamente Bink. «Ora, se potessimo andarcene...». «Cosa ci fa quel terriccio sul mio pavimento di teak?» urlò il castellano. Adesso aveva intorno una folla di attori e di servi che lo aiutavano a rialzarsi e a ripulirsi, ossequiosamente.
«Lo sgorbio», disse Bink, sgomento. «Ci ha trovati di nuovo». «Oh, dunque è un vostro amico!» Gridò il castellano, sempre più inferocito. «Avrei dovuto immaginarlo! Sarà il primo a venire maledetto». Puntò contro il mucchietto di terra l'indice che tremava di rabbia. «Avanti, tutti insieme. E uno, e due, e tre!».. Tutti si presero per mano e si concentrarono. Al tre, la maledizione scaturì come una folgore dall'indice del castellano. Era un fulmine globulare, splendente e grosso come un pugno: volò verso il terriccio. Al contatto esplose... o implose. Ci fu un lampo di oscurità, un odore acre: poi l'aria si schiarì. Non era rimasto più niente, in quel punto. Né terra, né sgorbio, né pavimento. Il castellano fissò soddisfatto la buca. «Ecco uno sgorbio che non ci darà più fastidio», disse. «Ora tocca a te, mezzo uomo». Puntò l'indice terribile verso Chester. «E uno, e due...». Bink si lanciò, deviandogli il braccio. La maledizione sfrecciò via e investì una colonna. Ci fu un'altra implosione di tenebra, e una parte della colonna svanì nel nulla. «Guarda cosa hai fatto!» gridò il castellano, ancora più furibondo, se pure ciò era possibile. Bink non poteva protestare: probabilmente il suo talento era responsabile di quel tiro apparentemente casuale. La maledizione, dopotutto, doveva pur distruggere qualcosa. Bink sarebbe stato immune... ma Chester no. «Andiamocene!» disse Bink. «Portami lontano dalle maledizioni!». Chester, che stava per sguainare la spada, ci ripensò. «È giusto... Io so badare a me stesso, ma tu sei soltanto un uomo. Vieni!». Bink si affrettò ad arrampicarsi sulla groppa del centauro, che schizzò via proprio quando il castellano stava per scagliare un'altra maledizione. Chester si avviò al galoppo lungo la galleria. I suoi passi erano stranamente silenziosi, a causa delle pattine. I diavoli urlarono e si buttarono all'inseguimento. «Da che parte si esce?» gridò Bink. «Come posso saperlo? Questo è competenza di Cervello di Gallina. Io sono solo un ex ospite dei diavoli». Buon vecchio Chester! Tutto suscettibilità ed efficienza. «Siamo al piano superiore», disse Bink. «Ma non ci sono scale. Potremmo sfondare una finestra e uscire a nuoto...». Si frugò in tasca, tastando la bottiglia che conteneva Crombie, Grundy e il Mago. Frugò ancora e trovò quella delle pillole che permettevano di respirare nell'acqua. Non po-
teva permettersi di sbagliare! «Prendiamo altre pillole. Sono passate più di due ore». Trangugiarono le pillole durante la corsa. Adesso erano pronti ad affrontare l'acqua... se l'avessero trovata. Per il momento avevano distanziato gli inseguitori; nessun uomo a piedi poteva eguagliare la velocità d'un centauro. Bink ebbe un ripensamento. «Ma non dobbiamo uscire... dobbiamo scendere: nella regione sotterranea, dov'è la fonte della magia». «E loro avevano cercato di spaventarci», disse Chester. Girò su se stesso con la medesima agilità con cui aveva evitato gli ananas esplosivi: piantò sul pavimento le due zampe anteriori e ruotò quelle posteriori. Poi ritornò al galoppo nella direzione da cui erano venuti. «Fermo!» urlò Bink. «È un suicidio! Non sappiamo neppure dov'è l'ingresso del Vortice!». «Il Vortice dev'essere al centro del castello, per ragioni di stabilità architettonica», disse Chester. «E poi, anch'io ho il senso dell'orientamento. So approssimativamente dove si trova. E sono pronto ad aprirmi un varco». Bink dimenticava sempre che dietro la faccia quasi bestiale c'era un'intelligenza splendida. Chester sapeva quel che faceva. Girarono l'angolo... e piombarono in mezzo ai diavoli inseguitori che ruzzolarono a destra e a sinistra... ma dal groviglio di corpi si levò una maledizione massiccia che volò verso Chester. Bink si guardò indietro, innervosito, e la vide. «Chester, corri!» urlò. «Hai una maledizione in coda!». «La mia coda!» gridò indignato Chester, e balzò avanti. Non lo preoccupavano le minacce alla brutta faccia, ma il suo bellissimo didietro era sacro. La maledizione, orientata sul bersaglio, li inseguiva ostinatamente. «Non possiamo sfuggirle», disse Bink. «È puntata su di noi, come l'altra era puntata sull'orco». «Dovremmo giurare che non scrocchieremo più ossa?». «A me le ossa umane non sono mai piaciute comunque!». «Credo che il Vortice sia davanti a noi», disse Chester. «Tieniti forte... io vado!». Spiccò un balzo... direttamente verso un pannello ligneo. Il legno si frantumò sotto l'urto degli zoccoli anteriori, e tutti e due piombarono nel Vortice. L'ultimo pensiero di Bink, mentre il gorgo spaventoso lo inghiottiva,
sbatacchiandolo brutalmente e trascinandolo sempre più giù, fu: che fine avrebbe fatto la maledizione che li inseguiva? Poi precipitò nell'oblio. CAPITOLO DECIMO LA NINFA PREZIOSA Bink si svegliò nudo e dolorante, ma non infreddolito. Giaceva sulla riva di un lago tiepido e luminoso. Si affrettò a ritirare i piedi dall'acqua per paura dei predatori. Sentì un gemito. Poco lontano giaceva il centauro, con gli arti protesi in sei direzioni diverse. La discesa era stata violentissima; se non avessero avuto la magia che permetteva loro di respirare nell'acqua, sarebbero sicuramente annegati. Bink si alzò e si avvicinò all'amico. «Chester! Stai...?». S'interruppe. Scorse, tra loro, lo scintillio di una stella o di una gemma. Stupidamente, si fermò per raccoglierla, anche se non sapeva che farsene. Ma era solo una scheggia di vetro. Chester gemette di nuovo e alzò la testa. «Ci vuole più di un Vortice per mettere fuori uso un centauro», disse. «Ma forse non molto di più». Bink si avvicinò e cercò di aiutarlo ad alzarsi. «Ehi, vuoi tagliarmi?» chiese Chester. «Oh, scusami. Ho raccolto questo frammento di...». Bink s'interruppe e lo guardò meglio. «C'è qualcosa! C'è...». Il centauro si alzò. «Fammi vedere». Tese la mano per prendere il frammento e sgranò gli occhi per la sorpresa. «È Humfrey!». «Cosa?». Bink credette di aver capito male. «È difficile vedere in questa semioscurità, ma è proprio lui. Questo deve essere un pezzo dello specchio magico, buttato per caso a riva. Che fine ha fatto il Buon Mago?». «Ho perduto la bottiglia!» esclamò Bink, inorridito. «L'avevo in tasca!». Si batté la mano e, al posto della tasca, incontrò soltanto la pelle nuda. «Lui aveva lo specchio. Com'è possibile che questo frammento sia uscito dalla boccetta? A meno che...». «A meno che la boccetta si sia rotta», finì Bink. «In questo caso...». «In questo caso sono liberi.. Ma dove... e in quali condizioni? Non avevano le pillole per respirare nell'acqua». «Se sono usciti proprio quando la maledizione ci ha raggiunti...». Chester scrutò attentamente il pezzetto di vetro. «Sembra che Humfrey stia bene... e vedo il grifone accanto a lui. Ma credo che siano ancora nella
bottiglia». Bink guardò. «È vero! Vedo le pareti curve di vetro, e l'imbottitura. Ha preso parecchi scossoni, ma la boccetta non si è rotta». Sospirò di sollievo. Se la bottiglia si fosse rotta, sarebbe stata la fine per i suoi amici. «E hanno un altro frammento di vetro!». Alzò una mano e l'agitò. «Ehi, gente!». In silenzio, Humfrey rispose al gesto. «Sembra che ci veda nel suo pezzo di vetro», esclamò Chester. «Ma è impossibile, perché lo specchio rotto è qui». «Tutto è possibile, con la magia», disse Bink. Era una verità lapalissiana, ma in quel momento aveva i suoi dubbi. «Guarda che caos, là dentro», disse il centauro. «La boccetta deve aver battuto contro un muro». «Lo specchio si è rotto, e un pezzo è volato qui», disse Bink, incerto. «Proprio dove potevamo trovarlo. È una coincidenza straordinaria, se possiamo crederci». «Che altro potremmo credere?» domandò Chester. Bink non discusse. Il suo talento operava attraverso le apparenti coincidenze; quindi doveva entrarci per qualcosa. Ma non sarebbe stato più semplice spingere lì a riva la boccetta con il Mago, anziché quel pezzetto di vetro? «Possiamo vederli, ma non sentirli. Forse, se scriviamo un messaggio...». Ma non avevano niente per scrivere. «Se troviamo la boccetta, potremo farli uscire», osservò Chester. Sembrava che fisicamente si stesse riprendendo. «Sì». Bink accostò al viso il frammento di vetro e mosse esageratamente le labbra, formando le parole: «Dove siete?». Humfrey allargò le braccia, poi indicò le pareti della boccetta. All'esterno l'acqua turbinava in striature fosforescenti. La bottiglia era in un fiume, e veniva trascinata dalla corrente... dove?». «Credo che lo specchio non serva a molto», disse Chester. «Crombie potrebbe localizzarci... ma non raggiungerci. Noi potremmo raggiungere la boccetta... ma non sappiamo dov'è». «Dobbiamo seguire il fiume», disse Bink. «Deve incominciare dal vortice, qui in questo lago, e procedere chissà dove. Comunque, se lo seguiamo...». «Ritarderemo la cerca della fonte della magia», concluse il centauro. Bink esitò. «La cerca aspetterà» decise. «Dobbiamo salvare i nostri amici». «Sì, credo di sì», ammise Chester. «Anche quell'arrogante grifone».
«Davvero Crombie ti è tanto antipatico?». «Ecco... è un tipo bellicoso, come me. Non posso biasimarlo per questo, direi. Ma mi piacerebbe mettere alla prova la sua forza, una volta, tanto per la cronaca». Lo spirito competitivo mascolino. Bene, Bink lo capiva; anche lui lo provava, a volte. Ma adesso c'erano cose più importanti cui pensare. «Ho sete», disse Bink, e tornò verso la riva del lago. «Hai notato», disse Chester, «che nel lago non c'è vita? Niente pesci, niente mostri, mente piante, e neppure animali sulla spiaggia...?». «Non c'è vita», ripeté Bink. «Ma noi siamo illesi, quindi...». «Non abbiamo ancora bevuto. Oppure abbiamo bevuto l'acqua pura del Vortice, quando eravamo sotto l'effetto delle pillole». «È vero», riconobbe Bink, a disagio. «Chissà se il tappo della boccetta di Humfrey si è allentato e lui ha preso un campione dell'acqua e si è affrettato a rimettere il tappo subito dopo che lo specchio si è rotto». «Può darsi», disse Bink. «È meglio non rischiare. E presto dovremo mangiare qualcosa. Guardiamoci un po' intorno. Non potremo salvare il Mago se non avremo cura di noi stessi». «Giusto», disse Chester. «E la prima cosa da fare è...». «Trovare i miei vestiti», concluse Bink. Erano più avanti, sulla spiaggia, e c'era anche la spada: un vero colpo di fortuna. Ma la boccetta non c'era. Chester aveva conservato le sue armi e la corda, e quindi era a posto. Proseguirono nelle caverne, lasciandosi alle spalle il fiume infido, e i loro occhi si abituarono poco a poco alla semioscurità. Bink sperava di non incontrare i nichelpiedi, ma non lo disse. Era inutile allarmare Chester. Cercarono di segnare il percorso tracciando una X per terra ogni tanto, ma Bink non sapeva se sarebbe servito a molto. Il tempo passava, e continuavano a camminare... però non sapevano dove stavano andando. All'inizio Bink non aveva avuto molta sete; ma adesso che sapeva che l'acqua non c'era, si sentiva assetato. Quanto tempo avrebbero dovuto proseguire prima che... All'improvviso scorsero una luce... una luce vera, non la luminescenza delle grotte. Si avvicinarono, guardinghi... e scoprirono una lanterna magica appesa a una sporgenza di pietra. Quel chiarore dolce era gradevole... ma non c'era nient'altro.
«Persone... o folletti?» chiese Bink, diviso tra il nervosismo e la speranza. Chester prese la lanterna e l'esaminò. «A me sembra opera di fate», disse. «I folletti non hanno bisogno di luce, e comunque questa ha una lavorazione molto delicata». «Non è detto che le fate siano sempre amichevoli», obiettò Bink. «Comunque, sempre meglio che morire di fame qui da soli». Presero la lampada e proseguirono, un po' più sollevati. Ma non trovarono altro. Evidentemente qualcuno o qualcosa aveva acceso una lampada, l'aveva messa li e se ne era andato. Strano. Stanchi, sporchi, affamati e tormentati dalla sete, alla fine si fermarono accanto a un macigno. «Dobbiamo trovare qualcosa da mangiare, o almeno l'acqua», disse Bink, cercando di assumere un tono disinvolto. «Sembra che non ce ne sia, nel corridoio principale, ma...» Tacque e rimase in ascolto. «Senti?» Chester inclinò la testa. «Sì pare di sì. Lo sgocciolio dell'acqua. Sai, non volevo dirlo, ma ho la gola secca. Se potessimo...» «È dietro questa parete, credo. Forse, se...» «Allontanati». Il centauro fece dietro front, volgendo il posteriore verso la parete. Poi scalciò. Un tratto della parete crollò. Adesso il suono era più forte: acqua che scorreva sulla pietra. «Lascia, vado io», disse Bink. «Se riesco a prenderne un po'...» «Aspetta». Chester prese il rotolo di corda e glielo legò intorno alla cintola. «Non possiamo sapere cosa c'è in quelle camere buie. Se cadi in una buca, ti tirerò su». «Grazie», disse Bink. «Dammi la lanterna magica». Si insinuò nella breccia. Si trovò in una caverna più grande e irregolare che scendeva digradando verso la tenebra. Dalla tenebra giungeva il suono dell'acqua. Avanzò con circospezione, trascinandosi dietro la corda. Il suono dell'acqua divenne più forte: proveniva da un crepaccio nel suolo. Accostò la lanterna, e finalmente scorse il luccichio di un ruscelletto. Si chinò, infilando il braccio, e le sue dita toccarono l'acqua nell'attimo in cui la spalla urtò contro la pietra. Come poteva attingerla? Dopo un momento di riflessione, strappò un brandello di stoffa dalla manica già lacera e l'immerse nell'acqua. Lasciò che s'intridesse di liquido e la tirò su.
In quell'istante sentì un canto lontano. S'irrigidì, allarmato. I diavoli del lago stavano arrivando? No, sembrava molto improbabile: quelli abitavano nell'acqua, non nelle rocce, e secondo l'ammissione del castellano non sapevano nulla della regione sotterranea. Doveva essere un abitatore delle caverne. Forse il proprietario della lanterna magica. Quando si portò alla bocca lo straccio sgocciolante, il canto era ormai vicino. Sentì un olezzo di fiori freschi. Bink si mise in bocca l'estremità dello straccio e strizzò. L'acqua limpida e fresca gli colò nella gola. Era l'acqua più buona che avesse mai bevuto. Poi successe una cosa strana. Bink fu colto da una vertigine... non nauseante, ma meravigliosamente piacevole. Si sentiva vivo, vibrante, traboccante del calore dello spirito umano. Era davvero un'acqua meravigliosa! Immerse di nuovo lo straccio, intridendolo per Chester. Era un modo poco efficiente di bere, ma meglio di niente. Mentre stava sdraiato, sentì di nuovo cantare. Era una ninfa: la voce era imperfetta, ma sembrava giovane, dolce e gioiosa. Fu scosso da un brivido di piacere. Bink tirò fuori lo straccio e lo posò sul fondo della caverna. Prese la lanterna e si mosse verso la voce. Proveniva da più lontano, e ben presto Bink arrivò all'estremità della corda. La slegò, la lasciò cadere, e proseguì. Poi scorse un fascio di luce che filtrava da un altro crepaccio. Chi cantava era nell'altra grotta. Bink s'inginocchiò e accostò l'occhio alla fenditura, senza far rumore. Lei era seduta su uno sgabello d'argento e frugava in un barile pieno di pietre preziose. Era una tipica ninfa, con le lunghe gambe nude e un gonnellino che le copriva appena i graziosi fianchi, la vita snella, il seno colmo, il viso innocente e i grandi occhi. I capelli splendevano quanto il barile di gemme. Bink aveva visto molte volte ninfe come lei: ognuna era associata a un albero, una roccia, un ruscello, un lago o una montagna, eppure tutte avevano lineamenti così uniformi che la loro bellezza diventava un luogo comune. Si sarebbe detto che un Mago avesse individuato l'ideale della bellezza femminile e l'avesse sparsa nella Terra di Xanth a scopo decorativo, assegnando una ninfa ad ogni particolare ubicazione perché la distribuzione fosse regolare. Perciò non era niente di speciale. Ma le pietre preziose erano un tesoro fenomenale. Tuttavia, Bink diede appena un'occhiata alle gemme. Il suo sguardo si fissò sulla ninfa. Era... era... Quella che provava per lei era un'adorazione estatica. Che cosa sto facendo? si chiese. Chester aspettava l'acqua, e lui non a-
veva motivo di star lì. Ma per tutta risposta sospirò di desiderio. La ninfa lo sentì. Alzò gli occhi, allarmata, interrompendo il canto. Ma non poteva vederlo. Perplessa, scrollò la chioma e riprese il suo lavoro; evidentemente era convinta d'aver immaginato quel suono. «No, sono qui!» gridò involontariamente Bink, «Dietro la parete!» Lei gettò un gridolino, balzò in piedi e fuggì. Il barile si rovesciò, sparpagliando le gemme sul pavimento. «Aspetta! Non scappare!» gridò Bink. Sferrò un pugno alla parete con tanta forza che la roccia s'incrinò. Strappò altri frammenti, allargando la breccia, poi balzò nella camera. Rischiò di scivolare su un mucchietto di perle, ma agitò le braccia e ritrovò l'equilibrio. Poi si fermò e rimase in ascolto. C'era un odore strano, che ricordava un po' l'alito di un drago all'attacco. Bink si voltò, guardò nervosamente, ma non vide nessun drago. C'era un gran silenzio. Perché non sentiva i passi della ninfa in fuga? Dopo un attimo comprese. Forse lei sarebbe scappata, ma non poteva lasciare incustodito il suo tesoro. Evidentemente si era rifugiata dietro un angolo e adesso lo stava spiando dal nascondiglio. «Per favore, damigella», chiamò Bink. «Non voglio farti alcun male. Voglio solo...» Abbracciarti, baciarti e... Bink bloccò i propri pensieri, scandalizzato. Era sposato! Perché stava inseguendo una ninfa sconosciuta! Doveva tornare da Chester, portargli lo straccio inzuppato d'acqua... Ancora una volta bloccò i suoi pensieri. Oh, no! Eppure non potevano esserci dubbi. Aveva bevuto da una fonte, e si era innamorato della prima fanciulla che aveva visto subito dopo. Doveva essere una sorgente dell'amore! Ma perché il suo talento gli aveva permesso di bere? La risposta era fin troppo ovvia. Bink avrebbe preferito non aver formulato la domanda. Il talento gli aveva permesso di bere? Il talento non aveva riguardo per i suoi sentimenti, né per quelli degli altri. Proteggeva esclusivamente il suo benessere fisico. Doveva aver deciso che sua moglie Chameleon rappresentava una specie di minaccia, e perciò gli aveva trovato un altro amore. Non gli era bastato allontanarlo temporaneamente da Chameleon: adesso intendeva rendere definitiva la separazione. «Non voglio!» gridò. «Io amo Chameleon!»
Ed era vero. I filtri d'amore non annullavano i sentimenti che esistevano già. Ma adesso lui amava anche la ninfa... e lei era molto più accessibile. Era in guerra con il proprio talento? Bink aveva principi morali che il talento evidentemente non aveva; lui era civile, mentre quello era primitivo. Chi avrebbe vinto, allora? Bink lottò, ma non poteva annullare l'effetto della sorgente dell'amore. Se avesse previsto in quale situazione stava per cacciarlo il suo talento, forse non avrebbe bevuto, ma ormai era fatta. Bene, avrebbe regolato i conti con il suo talento alla prima occasione. In magia tutto era lecito. «Ninfa, vieni qui e dimmi il tuo nome, o ruberò tutto il tuo tesoro!» gridò. Lei non rispose, e Bink raddrizzò il barile e cominciò a raccogliere le gemme. Era un assortimento sbalorditivo: perle, opali, diamanti, smeraldi, zaffiri e tante, tante altre che era impossibile classificare. Come aveva fatto, la ninfa, ad ammassare una simile fortuna? La ninfa comparve, sbirciando dietro un angolo della galleria. Nello stesso istante, Bink aspirò il profumo dei fiori di bosco. «Ma io ho bisogno del tesoro!» protestò lei. Bink continuò a raccogliere le pietre preziose. «Come ti chiami?» chiese. «E tu?» Adesso c'era un odore come quello di una esitante gazzella alata ai margini d'una radura. «L'ho chiesto prima io». Bink voleva soltanto tenerla impegnata fino al momento in cui fosse riuscito ad agguantarla. «Ma lo straniero sei tu», osservò la ninfa, con tipica logica femminile. Ah, bene. Quella logica gli piaceva. Sapeva che era l'effetto del filtro magico, ma era incantato. «Mi chiamo Bink». «Io sono Gemma», disse lei. «La Ninfa delle Gemme, se insisti sulla definizione completa. Adesso restituiscimi le mie pietre». «Con piacere, Gemma. Se mi dai un bacio». «Che specie di ninfa credi che io sia?» protestò lei, al modo tipico delle ninfe. Adesso nell'aria c'era l'odore d'un disinfettante all'olio di pino. «Spero di scoprirlo. Parlami di te». Lei si allontanò, diffidente. «Sono una semplice ninfa delle rocce. Mi assicuro che tutte le pietre preziose siano piantate nel terreno come si deve, in modo che folletti, gnomi, draghi, uomini e altri esseri avidi possano estrarle». Bink sentì l'odore del sudore di uomini e gnomi affaticati. «È molto importante, perché altrimenti quegli esseri sarebbero ancora più pazzi di
quanto lo siano. Scavando, almeno, restano occupati». Dunque era così che venivano piantate le gemme. Bink se lo era sempre chiesto... o se lo sarebbe chiesto, se ci avesse pensato. «Ma dove le prendi?» «Oh, appaiono per magia, naturalmente. Il barile non si svuota mai». «No?» «Vedi, sta già traboccando a causa delle gemme che hai cercato di rimettere dentro. Non dovevi farlo». Bink guardò, sorpreso. Era vero. Aveva pensato che il barile fosse vuoto, senza controllare, perché era troppo impegnato a tenere d'occhio la ninfa. «Come riuscirò a sistemare tutte le pietre in più?» chiese Gemma con graziosa petulanza. «Di solito ci vuole un'ora per piazzarne una, e tu ne hai sparpagliate centinaia». Batté il piedino. Non sapeva come esprimere in modo adeguato l'irritazione. Le ninfe erano caratterizzate dalla bellezza, non dall'emotività. «Io? Sei stata tu a rovesciarle quando sei scappata!» ribatté Bink. «Io sto solo cercando di raccoglierle». «È colpa tua perché mi hai spaventata. Cosa facevi dietro la parete? Non ci deve andare nessuno. Per questo è bloccata. L'acqua...» S'interruppe, allarmata. «Non avrai...?» «Sì», disse Bink. «Avevo sete, e così...» Gemma strillò di nuovo e fuggì via. Le ninfe erano piuttosto portate alla fuga. Bink continuò il suo lavoro, ammucchiando le pietre in più accanto al barile. Sapeva che lui avrebbe dovuto lasciarla in pace, ma non riusciva a trattenersi. E aveva il dovere di ripulire meglio che poteva, anche se il mucchio stava diventando troppo grosso. Gemma si riaffacciò all'angolo. «Se te ne andassi e mi lasciassi proseguire...» «Prima devo terminare», disse Bink. «Come mi hai fatto notare, è stata colpa mia». Mise un enorme opale a forma di uovo in cima al mucchio... e causò una valanga di diamanti e altre pietre. Non riusciva a combinare molto. Lei si avvicinò un po' di più. «No, hai ragione. Io ho rovesciato il barile. In un modo o nell'altro rimedierò. Basta... basta che te ne vai. Per favore...» Un odore pungente di polvere solleticò le narici di Bink, come se un'orda di centauri fosse passata al galoppo lungo una strada asciutta nel cuore dell'estate.
«Il tuo talento magico!» esclamò Bink. «Gli odori!» «Ecco...» disse lei. Adesso l'odore di polvere era frammisto a quello del petrolio bruciato. «Puoi... puoi produrre odori in conformità con i tuoi sentimenti». «Oh, sì». L'odore del petrolio si trasformò in profumo. «Sì. E il tuo talento qual è?» «Non posso dirtelo». «Ma ti ho appena detto il mio. Sarebbe giusto...» Gemma si avvicinò un po' di più. Bink l'abbrancò. Lei strillò di nuovo con molta grazia, e si dibatté senza troppo impegno. Tutte le ninfe erano così: facevano le difficili, deliziosamente. L'attirò a sé per baciarla sulle labbra. Era molto piacevole tenerla tra le braccia, e la sua bocca sapeva di miele. O almeno ne aveva il profumo. «Non è stata una bella azione», lo rimproverò Gemma al termine del bacio. Ma non sembrava molto offesa. Aveva un odore fresco, di terra appena arata. «Ti amo», disse Bink. «Vieni con me...» «Non posso venire con te», rispose lei, che adesso odorava d'erba tagliata da poco. «Devo fare il mio lavoro». «E io il mio», disse Bink. «Quale?» «Sono in cerca della fonte della magia». «Ma è giù, giù, al centro del mondo, o da qualche parte», disse lei. «Non puoi andare da quella parte. Ci sono draghi e folletti e ratti...» «Ci siamo abituati», disse Bink. «Ma io no! Ho paura del buio. Non potrei mai andarci, neppure se...» Neppure se avesse voluto. Perché, naturalmente, lei non l'amava. Non aveva bevuto alla sorgente dell'amore. Bink ebbe un'idea maliziosa. «Vieni a bere con me! Allora potremo...» Gemma si dibatté per liberarsi, e lui la lasciò. L'ultima cosa che voleva era farle del male! «No, non posso permettermi di amare. Devo piantare tutte queste pietre preziose». «Ma io che cosa devo fare? Dal momento che ti ho vista...» «Devi prendere l'antidoto», disse lei, che adesso aveva l'odore d'una candela appena accesa. Bink riconobbe il nesso: la candela simboleggiava un'idea luminosa. «C'è un antidoto?» Lui non ci aveva pensato. «Deve esserci. Per ogni incantesimo c'è un controincantesimo eguale e
contrario. Da qualche parte. Non dovrai fare altro che trovarlo». «Io so chi può trovarlo», disse Bink. «Il mio amico Crombie». «Hai un amico?» chiese lei, sorpresa, esalando un odore di uccellini spaventati. «Certo! Ne ho molti!» «Quaggiù, volevo dire. Credevo che fossi solo». «No. Stavo cercando l'acqua per me e Chester. Noi...» «Chester? Mi pareva che il tuo amico si chiamasse Crombie». «Chester il centauro. Crombie è un grifone. E poi c'è il Mago Humfrey e...» «Un Mago!» esclamò Gemma, colpita. «E andate tutti in cerca della fonte della magia?» «Sì. Il Re vuole conoscerla». «C'è con voi anche un Re?» «No», rispose Bink, esasperato. «Il Re mi ha incaricato di compiere la cerca. Ma abbiamo incontrato qualche difficoltà e ci siamo separati e...» «Allora farò meglio a mostrarti dov'è l'acqua», disse lei. «E qualcosa da mangiare... avrai anche fame». «Sì», disse Bink, tendendo le braccia per agguantarla di nuovo. «In cambio, saremo lieti di renderti qualche servigio...» «Oh, no!» gridò Gemma, allontanandosi con grazia e con l'odore del fumo di legno di noce. «No, se prima non berrai l'antidoto!» Proprio così. «Devo tornare da Chester», disse Bink. «Starà in pensiero». Gemma rifletté un momento. «Bink, mi dispiace per quel che è successo. Vai a chiamare i tuoi amici, e procurerò da mangiare per tutti. Poi dovrai andartene, davvero». «Sì». Bink si avviò lentamente verso la breccia nella parete. «Non di là!» gridò lei. «Fai il giro dei corridoi!» «Ma non conosco la strada! Non ho una lampada. Devo ritrovare la corda e seguirla». «Assolutamente no!» Gemma prese la sua lanterna magica, gemella di quella che Bink aveva trovato poco prima, e lo afferrò per il braccio. «Io conosco tutte le gallerie. Ci penserò io a trovarlo». Bink si lasciò guidare. A parte il filtro magico, si accorgeva che Gemma aveva molti pregi. Non era una delle solite ninfe dalla testa vuota, come quelle associate alla spuma dell'oceano o all'avena selvatica; era decisa, razionale e onesta. Senza dubbio era stato il compito impegnativo di sistema-
re le pietre preziose a farla maturare. Comunque, filtro o no, lui non doveva perdere tempo con quella creatura! Dopo che i suoi amici avessero mangiato, avrebbe dovuto lasciarla. Si chiese quanto tempo avrebbero impiegato a dileguarsi gli effetti della pozione. Certi incantesimi erano temporanei, ma altri duravano per tutta la vita. Fecero un giro lungo vari corridoi, e raggiunsero quasi subito Chester, ancora in attesa davanti alla breccia. «Eccoci!» gridò Bink. Chester sobbalzò, sollevando i quattro zoccoli dal pavimento. «Bink!» esclamò. «Cos'è successo? Chi è questa ninfa?» «Chester, questa è Gemma. Gemma... Chester», disse Bink. «Io...» Esitò. «Ha bevuto un filtro d'amore», disse allegramente Gemma. Il centauro fece il gesto di strapparsi la criniera. «Il nemico segreto ha colpito ancora!» Bink non ci aveva pensato. Certo, era la spiegazione più ragionevole! Il suo talento non l'aveva tradito, ma non l'aveva neppure protetto da quella minaccia non fisica. Quindi il nemico aveva segnato un punto a suo favore. Come poteva cercare la fonte della magia, quando il suo cuore era lì? Ma il suo cuore era anche a casa con Chameleon. Era anche per quello che partecipava alla cerca. Quindi... doveva continuare. «Se possiamo ritrovare Crombie e il Mago, forse Crombie potrà indicare l'ubicazione dell'antidoto», disse Bink. «Dove sono i vostri amici?» chiese Gemma. «Dentro una bottiglia», spiegò Bink. «Ma possiamo comunicare con loro tramite un frammento di specchio magico. Ecco, te li presento». Si frugò in tasca per cercare il pezzetto di vetro. E non lo trovò. «Oh, no... l'ho perso!» Rivoltò la tasca. C'era un buco. «Bene, in un modo o nell'altro li troveremo», disse Bink, stordito. «Non desisteremo». «È giusto», dichiarò Chester con aria solenne. «Comunque, dovremo condurre con noi la ninfa». «Perché?» chiese Bink, scosso da sentimenti contrastanti. «L'oggetto del controincantesimo dev'essere presente. È così che funzionano queste cose. Ti sei innamorato della prima femmina che hai incontrato dopo aver bevuto il filtro; adesso devi disamorarti nello stesso modo». «Non posso venire con voi!» protestò Gemma, sebbene guardasse Chester come se l'idea di viaggiare sulla sua groppa l'allettasse. «Ho troppo lavoro da fare!»
«E quanto ne farai, se Bink resterà qui?» chiese Chester. Lei alzò le mani in un gesto d'esasperazione femminea. «Venite nel mio appartamento, tutti e due. Ne discuteremo più tardi». L'appartamento di Gemma era grazioso quanto lei. Era un gruppo di grotte con il muschio-tappeto che ricopriva il pavimento, le pareti e il soffitto e lasciava libero solo lo spazio delle porte rotonde. Era molto intimo. Non c'erano sedie, tavoli o letti: evidentemente lei poteva sdraiarsi o sedersi dove voleva, in perfetta comodità. «Dovremo far qualcosa per i tuoi vestiti», disse a Bink. Bink si guardò. Gli abiti gli si erano asciugati addosso, dopo il bagno nel vortice e nel lago, e adesso splendevano, a chiazze. «Ma non ne ho altri», disse, con rammarico. «Puoi pulirli a secco», disse Gemma. «Vai in bagno e mettili nel pulitore. Basterà un momento». Bink entrò nella stanza indicata e chiuse la tenda. Vide il pulitore: era una rientranza simile a un forno, dove passava una corrente d'aria calda. Vi mise i suoi indumenti, poi andò alla vasca, dove scorreva un rivolo d'acqua. Sopra c'era una superficie di roccia lucida: uno specchio. La vanità del bel sesso richiedeva sempre uno specchio! Vedere la propria immagine fu un trauma; era più malconcio dei suoi abiti. I capelli erano aggrovigliati e incollati alla fronte, e incominciava a spuntargli la barba. Si era macchiato di terra un po' dappertutto, quando era passato attraverso la parete. Sembrava un orco adolescente. Non era affatto strano che in un primo momento la ninfa avesse avuto paura di lui! Usò la lama affilata della spada per radersi, dato che non aveva neppure un pennello da barba magico. Poi si lavò e si pettinò. Trovò i suoi indumenti asciutti, puliti e stirati: evidentemente la magia non si limitava all'aria calda. La manica strappata era stata accorciata con cura. Si chiese se un po' di polvere magica circolava in quelle grotte, potenziando la funzione di cose come i pulitori a secco. Sembrava che la ninfa disponesse di molte comodità. Non sarebbe stato difficile abituarsi a quel modo di vivere... Scrollò la testa. Era il filtro d'amore che parlava, non il buon senso! Doveva stare in guardia contro la razionalizzazione. Quello non era il suo posto, e avrebbe dovuto andarsene dopo aver completato la missione, anche se avrebbe lasciato lì una parte del suo cuore. Comunque si rivestì, dopo aver messo nel pulitore anche gli stivali. Peccato che non fosse stata buttata a riva la boccetta con il Mago, anziché le sue calzature!
Quando uscì dal bagno, Gemma lo squadrò con aria di sorpresa ammirazione. «Sei un bell'uomo!» Chester sorrise ironicamente. «Immagino che prima fosse difficile capirlo. Vorrei potermi trasformare anch'io così, lavandomi la faccia!» Risero tutti, un po' a disagio. «Dobbiamo ripagarti per la tua ospitalità... e per il tuo aiuto», disse Chester, quando smisero di ridere. «La mia ospitalità è gratuita: un pagamento la sminuirebbe», disse Gemma. «E sembra che sia costretta ad aiutarvi. Non c'è paga per il lavoro degli schiavi». «No,, Gemma!» gridò Bink, profondamente colpito. «Non vorrei mai costringerti a fare qualcosa, o causarti un dispiacere!» Lei si raddolcì. «Lo so, Bink. Hai bevuto alla sorgente dell'amore: non mi faresti mai del male. Eppure, dato che devo aiutarti a trovare i tuoi amici, perché scoprano il controincantesimo, e questo mi allontana dal lavoro...» «Allora dobbiamo aiutarti a fare il tuo lavoro!» disse Bink. «Non potete. Non sapete selezionare le pietre preziose, e non sapete dove vanno sistemate. E se anche lo sapeste, il perforatore non lavorerebbe per voi». «Il perforatore?» «L'animale al mio servizio. Si trasferisce attraverso la roccia per arrivare al punto dove devo mettere le gemme. Io sola posso controllarlo... e solo cantando. Lavora per una canzone, non per altro». Bink lanciò un'occhiata a Chester. «Dopo che avremo mangiato, ti faremo ascoltare la nostra musica», disse il centauro. Il pasto offerto da Gemma era strano ma squisito. C'era un assortimento di funghi... crescevano magicamente, spiegò lei, senza bisogno di luce. Alcuni sapevano di bistecca di drago, altri di patatine appena colte dall'albero delle patate fritte, e il dessert sapeva di torta alla cioccolata, delicata e morbida. Inoltre, Gemma aveva una specie di polvere color gesso che, mescolata all'acqua, dava un ottimo latte. «Sai», mormorò Chester a Bink, «dopo aver bevuto la pozione avresti potuto incontrare una ninfa molto peggiore». Bink non rispose. Dopo il filtro magico, avrebbe amato anche un'arpia, per quanto fosse ripugnante. La pozione d'amore non si preoccupava affatto delle conseguenze. Era una magia senza coscienza. Anzi, come aveva scoperto con orrore, la storia di Xanth era stata influenzata da quelle fonti
dell'amore. Le specie mundane originarie si erano incrociate producendo ibridi come le chimere, le arpie, i grifoni... e i centauri. Chi poteva affermare che fosse sbagliato? Dove sarebbe finita la Terra di Xanth senza i nobili centauri? Eppure il fatto che Bink avesse bevuto quell'acqua era un inconveniente supremo, dal punto di vista personale. Razionalmente doveva restare con sua moglie Chameleon. Ma emotivamente... Chester finì di mangiare. Si concentrò; apparve il flauto d'argento, e suonò in modo meraviglioso. Gemma ascoltava rapita. Poi incominciò a cantare: la sua voce non si avvicinava alla purezza del suono del flauto, ma l'accompagnava con garbo. Bink era affascinato... Lo sarebbe stato anche senza la pozione, si disse. Un essere grottesco entrò nella stanza. Il flauto s'interruppe a metà di una nota, e Chester sguainò la spada. «Fermo, centauro!» gridò Gemma. «È il mio perforatore!» Chester non attaccò, ma non rinfoderò l'arma. «Sembra un verme gigante». «Sì», ammise la ninfa. «È imparentato con i guizzanti e gli sgorbi, ma è molto più grosso e più lento. Non è molto intelligente, ma è prezioso per il mio lavoro». Il centauro decise che non c'era pericolo. «Credevo di aver visto di tutto, ma questo... Vediamo se possiamo aiutarti nel tuo lavoro. Se gli piace la mia musica, e se tu devi collocare qualche pietra vicino al fiume...» «Stai scherzando?» ribatté Gemma. «Dopo che il barile si è rovesciato, ho dozzine di pietre per il fiume. Tanto vale che incominciamo da lì». Montarono sul perforatore. Gemma salì a cavalcioni del mostruoso verme presso l'estremità anteriore, reggendo un cesto di pietre preziose. Bink sedette dietro di lei, e Chester si sistemò per . ultimo, un po' impacciato dalle quattro zampe. Era abituato a farsi cavalcare, più che a cavalcare gli altri esseri, sebbene l'avesse già fatto con il drago. «Ora suoniamo e cantiamo», disse Gemma. «Lui lavorerà finché la musica gli piace, e non richiede molte variazioni. Dopo qualche ora mi stanco e devo smettere, ma se il flauto del centauro...» Il flauto apparve. E suonò. L'enorme verme avanzò, portandoli come se fossero mosche. Non si fletteva, come aveva fatto il drago; si allungava e si contraeva per stadi, e le sezioni su cui i tre viaggiavano cambiavano continuamente il diametro. Era un modo stranissimo di muoversi, ma efficiente. Il verme era molto grosso, e andava svelto. Dal segmento anteriore si estendeva una flangia: e via via che scavava
nella roccia, la flangia ampliava il diametro del tunnel per far posto anche ai passeggeri. Bink pensò che quella era una variante del tipo di magia rappresentato dalle pillole per respirare l'acqua. La roccia, come l'acqua, veniva modificata temporaneamente, in modo che loro potessero passare senza aprire un buco. Chester era costretto ad abbassare la testa per restare entro la fase, e non c'era molto posto per il flauto, ma continuava a suonare melodie amabilissime. Bink era sicuro che il centauro fosse lieto di avere quel pretesto per esercitare il suo talento appena scoperto, dopo tutta una vita di repressione. «Devo ammettere che questo servigio è molto utile», disse la ninfa. «Avevo sempre pensato che i centauri non avessero magia». «Lo pensavano anche i centauri», disse Bink, ammirandola da tergo. Al diavolo il filtro d'amore! Sarebbero bastate le sue forme per incantare chiunque. Poi il verme sussultò, attaccando un tipo di roccia diversa, e Bink venne scagliato addosso e Gemma. «Uh, scusami», disse, raddrizzandosi «Io... ehm...» «Sì, lo so», disse Gemma. «Forse faresti meglio a cingermi con le braccia per tenerti saldo. Qualche volta sobbalza un po'». «Io... meglio di no», disse Bink. «È un bel gesto da parte tua, in un certo senso», osservò lei. «Una ragazza potrebbe finire per trovarti simpatico». «Sono sposato», disse Bink, depresso. «Ho... ho bisogno dell'antidoto». «Sì, certo». All'improvviso, il perforatore passò attraverso una parete ed entrò in una grotta immensa. «Il fiume», osservò Chester. Quando parlò, il flauto smise di suonare. Il verme girò la testa come per chiedere dov'era finita la musica. «Continua!» esclamò Gemma. «Lui pianta di lavorare quando...» Il flauto riprese a suonare. «Dobbiamo seguire il corso del fiume», disse Bink. «Se vediamo una boccetta che galleggia...» «Prima devo sistemare qualche pietra», disse lei, in tono deciso. Guidò il verme verso una formazione sporgente, lo fece fermare e tirò fuori un grosso diamante. «Lì», disse. «Passerà un milione di anni prima che l'acqua lo stacchi». Il perforatore prese la pietra e la portò nella roccia. Aveva la testa affusolata e la bocca più piccola di quella di un uomo, quindi non aveva problemi a reggere il diamante. Quando il muso riemerse, il diamante era spa-
rito e la formazione era intatta. Bink era sbalordito, poi si rese conto che non avrebbe dovuto esserlo; non si erano lasciati neppure un tunnel alle spalle. «Meno uno», disse allegramente Gemma. «Ne restano solo novecentonovantanove». Ma Bink fissava il fiume luminescente, cercando, la boccetta. Il potere del filtro era tanto forte che quasi sperava di non trovarla. Quando avessero rintracciato il Mago e localizzato l'antidoto, lui si sarebbe disamorato di Gemma... ed era difficile pensare a una simile eventualità. Sapeva che era giusto, ma non ne era soddisfatto. Il tempo passò. Gemma sistemò diamanti, opali, smeraldi, zaffiri, ametiste, giade e molti granati nelle rocce lungo il fiume, e sparse nell'acqua le perle perché le trovassero le ostriche. «Le ostriche adorano le perle», spiegò. «Le trangugiano tutte». Lavorava cantando, alternandosi al flauto di Chester, mentre l'attenzione di Bink si divideva tra lei e l'acqua. In fondo, avrebbe potuto incontrare un obiettivo peggiore per l'effetto della pozione! Poi il fiume sfociò in un altro lago. «È la dimora dei demoni, che possono bere e usare l'acqua contaminata», annunciò Gemma. «I demoni mi conoscono, ma voi due dovrete ottenere un permesso per attraversare il loro territorio. Non amano gli intrusi». Bink sentì Chester muoversi dietro di lui, come se toccasse la spada e l'arco. Avevano avuto già guai con i diavoli: non avevano bisogno di averne altri con i demoni! Adesso le pareti della caverna erano intagliate, e formavano edifici di pietra, con gli angoli squadrati e vicoli in mezzo, come una città. Bink non aveva mai visto una città, se non nelle illustrazioni. I primi coloni di Xanth avevano costruito città, ma con il declino della popolazione erano sparite. Bink e Chester smontarono e procedettero affiancati al verme. Poco dopo arrivò un veicolo magico. Sembrava un cocchio trainato da un mostro, ma il mostro non c'era. Le ruote erano grosse ciambelle di gomma, e la carrozzeria sembrava metallica. Dall'interno proveniva un ronzio. Probabilmente c'era dentro un piccolo mostro che pedalava per far girare le ruote. «Dov'è il fuoco?» chiese il demone che stava a bordo della carrozza. Era blu, e la sommità della testa era rotonda e piatta. «Proprio qui, Acciaio Blu», disse Gemma, battendosi una mano sul seno. «Vuoi fare un biglietto ai miei amici? Stanno cercando la fonte della magia!».
«La fonte della magia!» esclamò un'altra voce. Bink vide che i demoni a bordo del veicolo erano due: il secondo era di colore cupreo. «Questa è una faccenda che riguarda il Capo!» «Giusto, Rame!» disse Gemma. Evidentemente conosceva bene quei demoni. Bink provò una fitta di rabbiosa gelosia. Gemma li guidò a un edificio con la targa Stazione distrettuale e parcheggiò il verme. «Devo restare con lo scavatore e cantargli una canzone», disse. «Voi entrate a parlare con il Capo. Vi aspetterò». Bink aveva paura che non aspettasse, che approfittasse dell'occasione per abbandonarli nelle mani dei demoni. Così si sarebbe salvata da ogni persecuzione, vendicativa o romantica che fosse. Ma doveva fidarsi di lei. Dopotutto l'amava. Nell'ufficio c'era un demone seduto a una grande scrivania e intento a leggere un libro. Quando entrarono alzò la testa. «Ah, sì... eravamo destinati a incontrarci di nuovo», disse. «Beauregard!» esclamò sbalordito Bink. «Vi darò i permessi, naturalmente», disse il demone. «Siete stati gli strumenti della mia liberazione, secondo le regole del gioco, e provo un senso di gratitudine poco demoniaco. Ma permettetemi di ospitarvi degnamente, come avete fatto con me nel domicilio dell'orco. Ci sonò parecchie cose che dovete sapere prima di proseguire la cerca». «Uh... c'è una ninfa che ci aspetta fuori...» disse Bink. Beauregard scrollò la testa. «Mi sembri iellato, Bink. Prima perdi la boccetta, poi il cuore. Ma non temere, inviteremo anche la ninfa. Sistemeremo il perforatore nella vasca dei motori; si divertirà a nuotare. Conosciamo molto bene Gemma: anzi, difficilmente avresti potuto essere più fortunato nella tua sfortuna». A tempo debito Gemma li raggiunse per cena. Era difficile credere che all'alba si erano trovati su un albero al limitare della Regione della Follia, a colazione nel castello lacustre dei diavoli, a pranzo con la ninfa, e a cena li... tutto nello stesso giorno. Sottoterra il giorno aveva minor significato: comunque, era stato un periodo ricco di avvenimenti. Il pasto offerto dal demone fu simile a quello della ninfa, ma era formato da minuscole creature magiche che si chiamavano lieviti e batteri. C'era qualcosa di simile al melopopone tritato, e qualcosa d'altro che somigliava a un cosciotto di maiale arrosto. Per dessert c'era l'occhio gelato di un uccello urlatore. L'occhio dell'uccello urlatore era una leccornia rara e squisita, e lo era anche quell'imitazione sintetica.
«Una volta ho assaggiato un occhio di smilco», disse Chester. «Ma non era buono come questo». «Tu hai un notevole buon gusto», disse Beauregard. «Oh, no, il sapore degli occhi dei centauri è molto inferiore», disse in fretta Chester. «Sei troppo modesto». Ma il demone sorrise con fare rassicurante. «Gli uccelli urlatori hanno più grasso degli smilchi, quindi i loro occhi sono più saporiti, come hai subito notato». Dopo la cena andarono nello studio di Beauregard, dove un drago lanciafiamme addomesticato forniva un bellissimo fuoco. «Ora vi sistemeremo per la notte», disse il demone. «Non ostacoleremo la vostra cerca. Tuttavia...» «Sai qualcosa che noi non sappiamo?» chiese ansiosamente Bink. «Conosco la natura dei demoni», rispose Beauregard. «Oh, non intendiamo darvi alcun fastidio! Proseguiremo per...» «Abbi pazienza un momento, Bink». Beauregard tirò fuori un'elegante boccettina, pronunciò una parola incomprensibile e fece un gesto mistico. Il tappo schizzò via, e ne uscì un vapore che assunse la forma... del Buon Mago Humfrey. Sbalordito, Bink riuscì soltanto a domandare: «Dov'è Crombie?» «Nella boccetta», rispose seccamente Humfrey. «Sarebbe bene se la recuperassi al più presto». «Ma se Beauregard può salvarti...» «Non l'ho salvato», disse il demone. «L'ho evocato. Adesso deve fare ciò che io comando». «Come tu, una volta, facevi quello che comandava lui!» disse Bink. «Appunto. Tutto dipende se chi è rinchiuso possiede la magia del controllo. Il Mago si è dilettato di demonologia; ora è soggetto alla nostra umanologia». «Ma questo significa...» «No, non abuserò della situazione. A me interessa la ricerca, non l'ironia. Ti ho dato questa dimostrazione per convincerti che la magia è più di quel che pensavi, e che le possibili conseguenze della tua cerca potrebbero essere diverse da quelle che vorresti». «So già che qualcosa sta cercando di fermarmi», disse Bink. «Sì. È un demone... e questo è il problema. Quasi tutti i demoni non hanno più magia della maggioranza degli umani, ma i demoni del profondo sono diversi. Stanno ai demoni ordinari come noi, più o meno come i
Maghi stanno alla gente normale come te. È un'imprudenza avventurarsi nei loro domini». «Tu sei un demone», disse Chester, insospettito. «Perché ci stai dicendo queste cose?». «Perché è un buon demone», disse Gemma. «Lui aiuta la gente». «Perché mi sta a cuore il benessere di Xanth», disse Beauregard. «Se fossi convinto che Xanth si troverebbe meglio senza gli uomini, lavorerei a questo scopo. Ma anche se a volte ho avuto i miei dubbi, finora credo che la specie umana sia un beneficio». Guardò il Mago. «Persino gli gnomi come lui». Humfrey restò impassibile. «Allora perché non lo liberi?» chiese Bink, che non si fidava completamente del demone. «Non posso liberarlo. Può farlo soltanto chi tiene in mano la bottiglia». «Ma è qui! L'hai evocato tu, dalla tua boccetta!». «La mia magia mi accorda un prestito temporaneo dei suoi servigi. Posso soltanto evocarlo per breve tempo, ma non posso trattenerlo. Se avessi la sua boccetta, allora potrei controllarlo, dato che è stato tanto sciocco da rinchiudervisi. Ecco perché devi recuperare la bottiglia prima che...». «Prima che si rompa!» esclamò Bink. «Non si romperà mai. È una boccetta incantata; lo so, perché ci ho vissuto e me ne sono accertato. No, il pericolo è che la recuperi prima il tuo nemico». Bink inorridì. «Il nemico!». «Perché allora il nemico controllerebbe il Mago, e potrebbe disporre di tutti i poteri di Humfrey. In tal caso, Humfrey avrebbe poche possibilità di sopravvivere... come te». «Devo recuperare la boccetta!» gridò Bink. «Se sapessi dov'è!». «Questo è il servizio che richiedo», disse Beauregard. «Mago, informa Bink della tua ubicazione esatta, in modo che possa salvarti». «Latitudine ventotto gradi a nord-ovest, longitudine cento e...». «Non così, sempliciotto!» l'interruppe Beauregard. «Diglielo in un modo più utile!». «Ehm, sì», disse Humfrey. «Forse faremmo meglio a incaricare Crombie». «E allora sbrigati», scattò il demone. Il grifone apparve a fianco del Mago. «Oh, sì», disse Bink, impaziente. «Se gli facciamo indicare la tua direzione da qui, voglio dire la nostra direzione da lì, possiamo invertirla per raggiungerti».
«Non funzionerebbe», disse Beauregard. Ma Crombie stava già roteando su se stesso. L'ala si fermò, puntando su Bink. «Benissimo», disse Bink. «Andremo da quella parte». «Prova a camminare un po'», disse Beauregard. «Grifone, resta fermo dove sei». Perplesso, Bink si mosse. Crombie invece non si mosse, ma la sua ala rimase puntata verso Bink. «È solo un'immagine!» Esclamò Bink. «Comunque la guardi, continua a fissarti». «Appunto», disse il demone. «Questa evocazione, sotto certi aspetti, è un'immagine. E resta immutata indipendentemente dall'orientamento del riguardante. È inutile orientarci sull'evocazione: abbiamo bisogno dell'originale». «La soluzione è facile, demone», ribatté Humfrey. «Crombie, indica la direzione della nostra bottiglia, vista dal punto in cui avviene l'evocazione». Com'era semplice! L'evocazione era lì, quindi così si sarebbe ottenuta la direzione giusta per arrivare là. Ma avrebbe funzionato? Il grifone girò di nuovo su se stesso. Questa volta l'ala puntò lontano da Bink, e verso il basso. «È là che dovrai andare», disse Beauregard, con aria seria. «Ora, prima che bandisca le immagini, hai qualche altra domanda?». «Ce l'ho io», disse Chester. «A proposito del mio talento...». Beauregard sorrise. «Molto ingegnoso, centauro. Credo che tu abbia un'intelligenza degna d'un demone! È possibile, in questa situazione, che tu ottenga l'informazione desiderata senza incorrere nel normale pagamento richiesto dal Mago, se la tua morale permette uno sfruttamento simile». «No», disse Chester. «Non sto cercando di barare! Mago, adesso conosco il mio talento. Ma ho già pagato in parte l'onorario, e sono obbligato a pagarlo fino in fondo». Humfrey sorrise. «Non ho mai specificato la Domanda alla quale avrei dato Risposta. Scegli un'altra Domanda: faceva parte del nostro accordo». «Benone», disse Chester, come un puledro che all'improvviso trova libero accesso a un pascolo verdissimo. Rifletté per un istante. «Cherie... mi piacerebbe conoscere il suo talento, se ce l'ha. Un talento magico, voglio dire. Lei e il suo disprezzo per la magia...». «Ha un talento», disse Humfrey. «Vuoi avere ora la Risposta?». «No. Potrei scoprire da solo anche quella». Il Mago allargò le braccia. «Come preferisci. Comunque, non siamo as-
sicurati contro gli incidenti del destino. Se non lo scoprirai, e se Bink non ritrova la mia boccetta prima del nemico, potrei essere costretto a non mantenere l'impegno. Sei disposto a correre questo rischio?». «Come, prima che la trovi il nemico?» chiese Bink. «È molto vicino a...». «È quel che stavamo dicendo prima», disse Beauregard. «Sembra che il Mago non possa essere protetto contro il suo talento per l'informazione. Ha ragione lui: la boccetta è stata trasportata molto vicino alla regione abitata dal tuo nemico, ed è molto probabile che il nemico se ne sia accorto. Quindi, non si tratta di una comune ricerca della bottiglia, ma di una gara contro un'opposizione attivai». «Ma qual è la natura del nemico?» chiese Bink. «Vattene, Mago», disse Beauregard. Humfrey e Crombie si trasformarono in fumo e rientrarono nella boccetta. «Non posso rispondere direttamente alla domanda, se non ricordandoti che il nemico deve essere una specie di demone. Perciò ho voluto risparmiarmi l'imbarazzo di confessare la mia ignoranza alla presenza del mio collega ricercatore umano. Rivalità professionale, si potrebbe dire». «Non m'interessa la rivalità professionale!» ribatté Bink. «Il Buon Mago e Crombie sono miei amici. Devo salvarli!». «Come sei leale!» esclamò Gemma in tono d'ammirazione. «Quel che devi capire», continuò Beauregard, «è che quando ti avvicini alla fonte, la magia dell'ambiente immediato si rafforza, secondo una funzione paragonabile a una progressione logaritmica. Perciò...». «Non ci capisco niente», disse Bink. «Che cosa c'entrano i ritmi? Il nemico è un musicista?». «Vuol dire che la magia si rafforza più in fretta via via che ti avvicini», spiegò Chester. I centauri capivano molto bene la matematica. «Appunto», confermò Beauregard. «Quindi noi demoni, essendo più prossimi alla fonte, tendiamo ad essere più magici di voi che vi trovate alla periferia. Ma nelle vicinanze immediate della sorgente, la magia è assai più forte di quanto possiamo immaginare. Quindi non posso identificare il tuo nemico o descrivere i suoi poteri... ma è probabile che si tratti della magia più grande che tu abbia mai avuto occasione d'incontrare». «Ho incontrato magie piuttosto forti», disse Bink, in tono dubbioso. «Sì, lo so. E anche tu hai una magia fortissima. Ma questo... ecco, anche se non sono mai riuscito a scoprire l'esatta natura del tuo talento e quindi poco fa ho detto che sei un individuo normale, i dati empirici indicano che
è relata al tuo interesse personale. Ma alla fonte...». «Adesso capisco», disse Bink. «Nel posto dove sto andando, la magia è più forte della mia». «Appunto. Quindi sarai vulnerabile come non lo sei mai stato. Anche la tua magia si potenzia via via che procedi, ma solo in proporzione geometrica. Quindi non può...». «Vuol dire che la magia del nemico si rafforza più in fretta della tua», spiegò Chester. «Quindi andiamo perdendo potenza in misura proporzionale». «Precisamente», confermò il demone. «La natura delle curve suggerisce che il differenziale non diventerà schiacciante fino a quando non sarai molto vicino alla fonte, quindi forse non incontrerai molti fastidi. Tuttavia...». «Dunque, se continuo», disse lentamente Bink, «mi troverò alle prese con un nemico più forte di me». «È esatto. Dato che la forza del campo magico di Xanth varia in misura inversamente proporzionale alla distanza, sia su base individuale sia su base ambientale...». «E la polvere magica?» chiese Chester. «Effettivamente potenzia la magia nelle sue vicinanze», disse Beauregard. «Ma non è il canale principale della distruzione della magia. La polvere è fondamentalmente convettiva, mentre quasi tutta la magia è conduttiva. Se il villaggio interrompesse l'attività, la magia di Xanth continuerebbe: si attenuerebbe soltanto un po'». «Quindi loro potrebbero prendersela calma», disse Bink. «Cosa stavo dicendo? Data la proporzione inversa, il nemico non ha potuto farti del male in superficie, anche se ha tentato con astuzia e perseveranza demoniche... e devo distinguere tra i termini "demonico" e "demoniaco", dato che quest'ultimo ha una connotazione peggiorativa ingiustificata. Ecco perché sono convinto che tu abbia a che fare con un demone. Ma qui, nelle regioni infere, il nemico può usare una magia strapotente, e lo farà. Quindi è pazzesco continuare ancora la cerca». «Sono umano», disse Bink. «Sì, purtroppo. Un demone sarebbe stato più razionale. Dato che sei uno sciocco umano del tipo descritto nella mia tesi di laurea, continuerai inevitabilmente fino alla catastrofe... in nome dei tuoi ideali e dell'amicizia». «Io devo essere più umana che demoniaca», disse Gemma. «Per me lui ha uno spirito molto nobile». «Non adularmi», l'avvertì Bink. «Serve solo ad accentuare l'effetto del
filtro». Gemma lo guardò sorpresa, poi assunse un'aria graziosamente decisa. «Mi dispiace che il filtro debba... voglio dire, sei un uomo così simpatico, bello, coraggioso e onesto, che... che non posso dire che mi dispiaccia quanto è successo. Quando torneremo indietro, forse anch'io berrò un sorso di quell'acqua». «Ma una delle ragioni per cui devo salvare il Mago è trovare l'antidoto», ribatté Bink. «A parte la mia amicizia per lui, voglio dire. Anzi, avremmo dovuto chiedere a Crombie d'indicare l'ubicazione dell'antidoto in modo che...». «Potrei evocarli di nuovo», disse Beauregard. «Ma non te lo consiglio». «Perché?». «Perché se il nemico non conosce ancora la posizione esatta della boccetta, non dobbiamo attirare su di essa la sua attenzione. Non sappiamo di quali meccanismi disponga il nemico per osservarti, ora che lo sgorbio non c'è più. Ma non possiamo illuderci che siano trascurabili. Sarebbe meglio salvare prima i tuoi amici, e poi risolvere i tuoi problemi più personali». «Sì, è vero», riconobbe Bink. Si rivolse alla ninfa. «Gemma, mi dispiace darti altri fastidi, ma la lealtà verso i miei amici viene al primo posto. Ti prometto che appena li avremo salvati...». «Ve bene così», disse lei. Non sembrava affatto addolorata. «Gemma potrebbe attendere qui», disse Chester. «Oppure continuare il suo solito lavoro. Non appena avremo l'antidoto, potremo portarlo qui e...». «No, soltanto lo scavatore può portarvi sul posto abbastanza in fretta», disse Gemma. «E soltanto io posso guidarlo. C'è parecchia magia malefica lungo il fiume, mentre ce n'è poca nella roccia. Vengo con voi». «Speravo che dicessi così», commentò Bink. «Naturalmente i miei sentimenti non contano, dato che...». Gemma si alzò in punta di piedi e lo baciò sulla bocca. «Mi piace anche la tua sincerità», disse. «Andiamo». Bink, momentaneamente stordito dalla potenza di quel primo bacio volontario, dovette fare uno sforzo per concentrare i suoi pensieri sulla missione. «Sì... dobbiamo affrettarci». «I folletti sono molto cattivi, a grande profondità», disse Beauregard. «In questi ultimi anni, alla superficie hanno perduto gli istinti selvaggi, ma sottoterra li conservano. Non hai mai incontrato folletti come quelli». «Abbiamo poca scelta», disse Bink. «Siamo costretti a proseguire».
«Allora restate su percorsi ben illuminati, quando non attraversate la roccia. Come i nichelpiedi, non sopportano la luce. Se è necessario l'affrontano, ma preferiscono evitarla». Bink si rivolse alla ninfa. «È per questo che hai paura del buio? Puoi mantenerci nella luce?». Lei annuì. «Sì... sì», rispose. Bink ebbe l'impressione che avrebbe potuto farle qualche domanda di carattere più personale ottenendo la stessa risposta. Oppure era una fantasia romantica prodotta dal filtro incantato? «Fermatevi almeno per dormire», insistette Beauregard. «Noi demoni non ne abbiamo bisogno, ma voi umani diventate molto irritabili se...». «No, è meglio che proseguiamo subito», disse Bink. «Una differenza di poche ore potrebbe essere decisiva». «Ma potrebbe esserlo anche la stanchezza», osservò Beauregard. «Avrete bisogno di tutte le vostre facoltà, quando affronterete la grande magia». «Mi sembra che il demone stia cercando di farci perdere tempo», disse Chester. Beauregard allargò le braccia. «Può darsi, centauro. C'è una cosa che non vi ho detto». «Se hai intenzione di dirla, fallo subito», disse Bink. «Perché adesso ce ne andremo». «Ecco», disse il demone, in tono riluttante. «Non sono del tutto sicuro che questa cerca sia opportuna». «Non è opportuna!» sbottò Bink. «Salvare i miei amici?». «Cercare la fonte della magia di Xanth». «Io voglio soltanto informazioni! E proprio tu, tra tutti i demoni, dovresti capirmi!». «Anche troppo», disse Beauregard. «L'informazione può essere la cosa più pericolosa che esista. Considera il potere del tuo Mago, che è specializzato nel campo delle informazioni. Supponiamo che fosse armato della conoscenza completa della natura della magia. Quali limiti avrebbe il suo potere?». «Humfrey non danneggerebbe mai Xanth», protestò Bink. «È un Buon Mago!». «Ma quando fosse nota la conoscenza della fonte della magia, che cosa impedirebbe a un Mago Malefico di impadronirsene? Con la magia più forte di tutte, potrebbe dominare Xanth... o annientarlo». Bink rifletté. Ricordava in che modo un Mago Malefico aveva ottenuto la corona di Xanth... ed era risultato che non era affatto malvagio. Ma
quella era stata una situazione speciale. Se un uomo veramente malefico o una donna - avesse acquisito un potere immenso? «Capisco il tuo punto di vista. Ci penserò. Forse non arriverò fino alla fonte. Ma devo salvare comunque il Mago». «Sì, certamente», riconobbe Beauregard che sembrava molto a disagio, per un demone. Montarono sullo scavatore e si avviarono, seguendo la direzione che Crombie aveva indicato. «Non conosco molto bene le grandi profondità», disse Gemma. «Ma qui c'è parecchia roccia massiccia, dato che non costeggiamo il fiume da vicino. Dirò al perforatore di restare dentro la roccia fino a quando arriveremo, e di uscire solo dove c'è luce. Credo che potreste dormire un po' mentre viaggiamo. Intanto, io canterò per tenere in movimento il verme». «Sei bellissima», disse Bink, riconoscente. Le appoggiò la testa contro la schiena e si lasciò cullare dal suo canto e da quel contatto. Il verme proseguì la marcia. CAPITOLO UNDICESIMO IL CORALLO-CERVELLO Bink si svegliò con un sussulto quando lo scavatore si fermò. «Credo che siamo arrivati», mormorò Gemma. Aveva la voce roca, dopo aver cantato per ore. «Dovevi svegliarmi prima!» disse Bink. «Ti avrei dato il cambio, per cantare. Ti sei sfiancata». «Era così piacevole sentire la tua testa sulla spalla. Non volevo disturbarti», bisbigliò lei. «E poi, avrai bisogno di tutte le tue forze. Sento che la magia si intensifica via via che procediamo». Anche Bink lo sentiva: era un formicolio sulla pelle, come quello causato dalla polvere magica. A quanto ne sapeva, la roccia che stavano attraversando poteva essere quella che produceva la polvere, prima che sgorgasse alla superficie. Ma restava il mistero: che cosa l'aveva permeata di magia? «Uh, grazie», disse, goffamente. «Sei una gran cara ninfa». «Ecco...». Lei girò la testa. Aveva un delizioso profumo di rose, e anche quella magia era potenziata dall'ambiente. Bink si tese in avanti, aspirando quella fragranza e accostando le labbra alle... Furono interrotti dalla vista della bottiglia. Galleggiava sulla superficie di un altro lago. C'era attaccato qualcosa, un pezzetto di spago incatrama-
to... «Grundy!» gridò Bink. Il golem alzò la testa. «Era ora che arrivassi! Prendi la bottiglia prima che...». «Non è pericoloso nuotare in questo lago?» chiese Bink, preoccupato della fosforescenza. Poteva servire a tener lontani i folletti, ma questo non la rendeva innocua per gli umani. «Sì», disse Gemma. «L'acqua è un lento veleno per quasi tutti gli esseri viventi. Un sorso non causerebbe gravi danni, se ne uscissi in fretta, alle sorgenti dove è diluita dall'afflusso di acqua pura proveniente dalla superficie. Ma quaggiù, dove ha assorbito tanta magia orribile...». «Giusto. Niente nuotate», disse Bink. «Chester, puoi catturare la boccetta con il lasso?». «È fuori tiro», disse il centauro. «Se la corrente la porta più vicina alla riva, potrei prenderla facilmente. «Affrettatevi», gridò Grundy. «C'è qualcosa nel profondo del lago e...». «I diavoli vivevano in fondo a un lago», disse Chester. «Credi che il nemico...?». Bink incominciò a spogliarsi. «Credo che farei bene a tuffarmi per recuperare subito la bottiglia. Se il lago mi danneggerà, Humfrey potrà darmi una goccia d'elisir risanatore. Anche quello dovrebbe essere più potente, qui». «Non farlo!» gridò Gemma. «Il lago... non credo che raggiungeresti la bottiglia. Ecco, dirò allo scavatore di mettersi in fase per passare nell'acqua. Quando è in fase, nulla può fargli male». Obbedendo al suo ordine e al suo canto rauco, il verme scivolò nell'acqua, ergendo la flangia circolare per aprire nel liquido una galleria temporanea. Si mosse molto lentamente, fino a quando il flauto di Chester apparve e cominciò a suonare un vivace, bellissimo ritmo di marcia. Il flauto sembrava più grande e luminoso di prima, e il suono era più forte: anche quello era un effetto del potenziamento magico. Lo scavatore accelerò, espandendosi e contraendosi a tempo con la musica. Avanzò deciso verso la bottiglia. «Oh, grazie, centauro», mormorò Gemma. «Presto, presto!» gridò il golena. «Il corallo si è accorto di... sta cercando di... sta... AIUTO! STA SALENDO PER CATTURARMI!». Poi Grundy lanciò un urlo tremendo, degno di un umano sofferente. «Non sono ancora abbastanza reale», ansimò poi. «Sono ancora soltanto un golem di spago e di catrame. Posso essere controllato. Io...».
S'interruppe, poi urlò di nuovo, quindi riprese, a voce più bassa: «Sono andato». Bink non ci capiva niente, tuttavia provava la spiacevole sensazione che avrebbe dovuto aiutare il golem a lottare contro... che cosa? Un incoraggiamento, un ricordo dei sentimenti che Grundy evidentemente possedeva. Forse il golem avrebbe potuto combattere il suo orrore personale, se... Il verme aveva quasi raggiunto la bottiglia. Grundy strinse fulmineamente le braccia di spago intorno al tappo, puntellò i piedi contro il collo della boccetta e tirò. «Per il potere del corallo-cervello, emergi!» ansimò. Il tappo volò via. Il fumo uscì dalla bottiglia, si gonfiò, e si condensò nelle figure del Buon Mago e del grifone. «Grundy li ha salvati!» Esclamò Chester, mentre il suo flauto smetteva di suonare. «Vola a riva!» gridò Bink. «Non toccare l'acqua!». Humfrey si afferrò a Crombie, che spiegò le ali e s'innalzò in volo. Per un momento s'inclinò, poi si raddrizzò e proseguì verso la sponda del lago. Bink accorse. «Eravamo così preoccupati per voi! Temevamo che il nemico vi raggiungesse per primo». «Ed è stato così», disse Humfrey, smontando dal grifone e prendendo una boccetta. «Torna indietro, Bink. Desisti dalla cerca, e non ti accadrà nulla di male». «Desistere dalla cerca?» gridò Bink, sbalordito. «Proprio quando sto per completarla? Sai benissimo che non lo farò!». «Servo un nuovo padrone, ma i miei scrupoli rimangono», disse Humfrey. Adesso aveva qualcosa di sinistro; era ancora un ometto simile a uno gnomo ma non era più una caratterizzazione simpatica. Lo sguardo era più simile a quello d'un basilisco che a quello di un uomo. Era freddo, mortale. «È necessario che tu comprenda. La bottiglia è stata aperta dall'entità che vive in fondo a questo lago, un essere dall'intelligenza e dalla magia enormi, ma privo della capacità di muoversi. È il corallo-cervello, costretto ad operare tramite altri per realizzare il suo nobile scopo». «Il... nemico?» balbettò Bink, sgomento. «Quello che ha mandato la spada magica, e il drago, e lo sgorbio...». «E innumerevoli altri ostacoli, quasi tutti sconfitti dalla tua magia prima ancora che si manifestassero. Il corallo non può controllare un'entità viva, conscia e intelligente; deve operare mediante suggerimenti telepatici che sembrano le nozioni dell'essere stesso. Ecco perché il drago ti ha inseguito, e lo sgorbio ti spiava, e perché si sono prodotte tutte quelle complicazioni che sembravano coincidenze. Ma il tuo talento ti ha permesso di superare
tutto. La sirena ti ha attirato, ma la gorgone non ti ha trasformato in pietra; la mosca mida è stata deviata verso un altro bersaglio, la maledizione dei diavoli ti ha mancato. Ora, nel cuore della magia del corallo, sei finalmente bloccato. Devi tornare indietro, perché...». «Ma non può controllare te!» protestò Bink. «Sei un uomo, un uomo intelligente, un Mago!». «Ha assunto il controllo del golem, solo perché Grundy non era completamente reale e in questa regione la magia del corallo è fortissima. Ha indotto il golem ad aprire la bottiglia. Non ha importanza il fatto che ora la boccetta galleggi sulla superficie del lago; l'evocazione è stata compiuta in nome del corallo, ed è vincolante». «Ma...» gridò Bink, e non riuscì a continuare perché non era in grado di riordinare i suoi pensieri. «È stata la lotta più terribile dell'intera missione», continuò Humfrey. «La lotta per il possesso della boccetta. Il corallo è riuscito a smuoverla dai tuoi abiti, ma la tua magia ha staccato il tappo, e noi ci siamo accinti a uscire. È stato l'impatto della maledizione dei diavoli, che ti ha aiutato con una coincidenza apparentemente incredibile. Ha gettato la boccetta nel vortice. Però il corallo ha usato una corrente per rimettere a posto il tappo, bloccando Grundy all'esterno. Ma la tua magia ha fatto in modo che lo specchio restasse perché potessimo stabilire una comunicazione. Allora la magia del corallo ti ha fatto perdere il tuo frammento di vetro. Il tuo talento ti ha guidato da Beauregard, che ha ristabilito le comunicazioni. Avevi quasi raggiunto la bottiglia in tempo, trasformando in un utile strumento la debolezza della tua infatuazione per la ninfa... in questo il tuo talento ha battuto il corallo... ma la magia del corallo qui è più forte della tua, e perciò è arrivato per primo alla boccetta. Di pochissimo. Anzi, i vostri due talenti si sono neutralizzati a vicenda. Ma ora il corallo, tramite il potere della bottiglia, controlla Crombie e me. Tutte le nostre forze sono al suo servizio, e tu hai perduto». Chester si fermò accanto a Bink. «Dunque siete passati al nemico», commentò. «Non proprio. Ora che abbiamo accesso alla mente del corallo, sappiamo che è dalla parte della ragione. Bink, la tua cerca è pericolosa, non soltanto per te, ma per tutta la Terra di Xanth. Quindi devi desistere, credimi». «Non ti credo», ribatté ostinatamente Bink. «Non posso più crederti, adesso che hai cambiato bandiera». «Lo stésso vale per me», disse Chester. «Rientra nella bottiglia, lascia
che noi la recuperiamo e ti facciamo uscire in nostro potere. Allora, se potrai ripetere la stessa affermazione, ti ascolterò». «No». «Come pensavo», disse Chester. «Ho intrapreso la missione al tuo servizio, Mago, ma non ho mai avuto la Risposta da te. Posso abbandonare il tuo servizio quando voglio. Ma non rinuncerò alla cerca solo perché un mostro nascosto ti ha spaventato tanto da farti cambiare idea». «La tua presa di posizione è comprensibile», disse Humfrey in tono sorprendentemente mite. «Al momento, come hai osservato, non ho nessun diritto ai tuoi servigi. Ma sono obbligato ad avvertirvi entrambi che se non riusciremo a convincervi con la ragione, dovremo ricorrere alla forza». «Vuoi dire che vi battereste con noi?» domandò incredulo Bink. «Non vorremmo usare le maniere forti», disse Humfrey. «Ma è indispensabile che desistiate. Andatevene, rinunciate alla cerca, e tutto andrà per il meglio». «E se non lo facessimo?» chiese Chester in tono bellicoso, adocchiando Crombie. Evidentemente al centauro non sarebbe dispiaciuto misurarsi con il grifone. Fin dall'inizio c'era stata tra loro una certa rivalità. «In tal caso dovremo neutralizzarvi», disse Humfrey, solennemente. Era piccoletto, ma era pur sempre un Mago, e la sua affermazione fece scorrere uno spiacevole brivido di freddo lungo la schiena di Bink. Nessuno poteva permettersi di prendere alla leggera la minaccia di un Mago. Bink era diviso tra alternative spiacevoli. Come poteva combattere i suoi amici, gli stessi che era venuto a salvare? Eppure, se quelli erano sotto l'incantesimo del nemico, come poteva cedere alle loro imposizioni? Se almeno avesse potuto raggiungere il corallo-cervello, il nemico, e distruggerlo! Allora i suoi amici sarebbero stati liberati dall'influenza malefica. Ma il corallo era sotto quell'acqua avvelenata, irraggiungibile. A meno che... «Gemma!» gridò. «Manda giù il perforatore a sforacchiare il corallo!». «Non posso, Bink», rispose tristemente la ninfa. «Il perforatore non è tornato, dopo che l'abbiamo mandato a prendere la boccetta. Sono bloccata qui con il mio cesto di pietre preziose». Con un gesto di collera, gettò in acqua un diamante. «Adesso non posso neppure piantarle come si deve». «Il verme è stato allontanato», disse Humfrey. «Solo il compimento della cerca può distruggere il corallo... e tutta la Terra di Xanth. Andatevene subito, o ne subirete le conseguenze». Bink sbirciò Chester. «Non voglio fargli male. Forse potrò metterlo fuori combattimento, trascinano lontano dall'influenza del corallo...».
«Mentre io sistemo Cervello di Gallina», disse Chester, senza eccessivo rammarico. «Non voglio spargimenti di sangue!» gridò Bink. «Sono i nostri amici e dobbiamo salvarli». «Sì, credo di sì», ammise il centauro con riluttanza. «Cercherò d'immobilizzare il grifone senza fargli troppo male. Mi limiterò a spennacchiarlo un po'». Bink si rese conto che quella era la massima concessione che Chester era disposto a fare. «Sta bene. Ma fermati nell'istante in cui si arrende». Si rivolse di nuovo a Humfrey. «Intendo proseguire la cerca. Ti chiedo di andartene e di astenerti dall'interferire. Mi addolora il pensiero di una lotta tra noi, ma...». Humfrey frugò tra le boccette che portava nella cintura e ne estrasse una. «Uh-uh!» esclamò Bink, avvicinandosi a grandi passi. Tuttavia l'orrore all'idea di usare la violenza contro i suoi amici lo trattenne, e arrivò troppo tardi. Il tappo saltò, e ne uscì il vapore. Si condensò... e formò un poncho verde, che svolazzò nell'aria prima di posarsi al suolo. «Ho sbagliato bottiglia», borbottò il Mago, e ne stappò un'altra. Agghiacciato, Bink si rese conto che non avrebbe potuto avere la meglio se prima non avesse separato Humfrey dal suo arsenale di boccette. Forse il talento di Bink aveva aiutato il Mago a confonderle, ma era un errore sul quale non poteva contare più di una volta. Bink sguainò la spada per tranciare la cintura del Buon Mago... ma comprese che sarebbe sembrato un attacco omicida. Esitò di nuovo... e si fermò nel vedere il vapore che si condensava. Improvvisamente si trovò di fronte a tredici gatti neri che soffiavano rabbiosi. Bink non aveva mai visto un vero gatto in carne e ossa. Credeva che la specie fosse estinta. Restò immobile a fissare quelle apparizioni, senza sapere cosa pensare. Se avesse ucciso gli animali, avrebbe estinto una seconda volta la specie? Intanto, il centauro aveva incominciato il duello con il grifone. Fin dall'inizio fu uno scontro feroce, nonostante le promesse di Chester. Aveva impugnato l'arco, e una freccia sibilò nell'aria. Ma Crombie, che era un soldato esperto, non aspettò che arrivasse a segno. Spiccò un balzo e spiegò le ali, poi le richiuse causando un forte spostamento d'aria. Saettò verso l'alto diagonalmente e la freccia gli passò sotto le penne della coda. Poi volteggiò sfiorando il soffitto della caverna e scese urlando in picchiata verso il centauro, con gli artigli sfoderati.
Chester lasciò immediatamente l'arco e prese la corda. Lanciò un lasso che si chiuse intorno al dorso del grifone, chiudendo le ali. Tirò, e Crombie roteò per un quarto di cerchio. Il centauro era tre volte più massiccio dell'avversario, e quindi era in grado di controllarlo in quel modo. Un gatto nero si avventò alla faccia di Bink, costringendolo a pensare ai fatti suoi. D'istinto, sferrò un colpo con la spada... e tranciò in due l'animale. Ancora una volta Bink si sentì agghiacciare per l'orrore. Non aveva voluto uccidere il gatto. Un animale tanto raro... forse quei gatti erano gli unici rimasti in tutto Xanth, conservati esclusivamente dalla magia di Humfrey. Poi due cose gli fecero cambiare idea. Innanzi tutto, le due metà del gatto non morirono: si trasformarono in gatti più piccoli. Non era un gatto vero, bensì uno pseudo-gatto, plasmato con l'argilla-viva e animato da un imperativo felino. Ogni parte del suo corpo poteva diventare un altro gatto. Se un cane fosse stato plasmato con la stessa sostanza, si sarebbe suddiviso in tanti cani. Quindi Bink non doveva preoccuparsi per la conservazione della specie. E in secondo luogo, un altro gatto gli stava azzannando la caviglia. Con uno scatto di sollievo e di furore, Bink cominciò a sferrare colpi di spada. Tagliò i gatti in due, in quattro, in otto... e ogni segmento diventava un felino più piccolo che l'attaccava con rinnovata ferocia. Era come combattere l'idra... ma questa volta non aveva il legno che invertiva gli incantesimi. Ben presto, si trovò assalito da cento minuscoli gatti piccoli come topi, e poi da mille che l'attaccavano come nichelpiedi. Più li combatteva e più la situazione peggiorava. Era una magia affine a quella dell'idra? Il mostro era stato caratterizzato da sette teste, mentre i gatti erano tredici,' ma il risultato era sempre il raddoppiamento. Se c'era una chiave, un controincantesimo che potesse annullare la magia dupplicatrice... «Fatti furbo, Bink!» gridò Chester, calpestando numerosi gatti che avevano sconfinato nel suo territorio. «Buttali tutti a mollo». Ma certo! Bink si chinò e sferrò una piattonata, obliquamente, spazzando nel lago dozzine di gatti grandi come unghie. Quando piovvero nell'acqua sfrigolarono come sassolini roventi, e poi colarono a picco. Era impossibile capire se erano annegati o avvelenati; ma nessuno riemerse. Mentre continuava a spazzare via i gatti, Bink teneva d'occhio lo scontro fra il centauro e il grifone. Non poteva osservare tutto, ma cercava di se-
guire l'andamento del duello. Doveva farlo, perché se fosse accaduto qualcosa a Chester, lui avrebbe avuto un altro nemico da affrontare. Crombie, inizialmente bloccato dalla corda, abbassò la testa e la tranciò con un colpo di becco. Spiegò fulmineamente le ali, lanciò uno strillo di sfida e si avventò verso la testa di Chester per colpirlo con il rostro e gli artigli. Il centauro, sbilanciato dall'improvviso allentarsi della corda, barcollò. Aveva maggiore stabilità di un uomo, ma non servì a molto. La spalla equina urtò contro una stalagmite e la spezzò nell'istante in cui il grifone entrava in contatto. Bink rabbrividì... ma la stalagmite era un problema per Crombie più che per Chester. La punta aguzza cadde sull'ala sinistra del grifone, appesantendola, e lo costrinse a sbattere vigorosamente l'altra ala per raddrizzarsi. Chester si rialzò, con un graffio sulla faccia: l'artiglio del grifone aveva mancato di pochissimo l'occhio. Ma le sue mani poderose afferrarono le zampe anteriori di Crombie. «Ti ho preso, passerotto!» gridò. Il quella posizione, però, non poteva usare la spada: cercò di sbattere il grifone contro la base spezzata della stalagmite. Crombie strillò e alzò le zampe posteriori in uno scatto che avrebbe sventrato la parte umana del centauro, se fosse andato a segno. Chester si affrettò a scagliarlo lontano. Poi riprese l'arco e una freccia. Il grifone spiegò le ali per frenarsi, tornò indietro e si avventò di nuovo prima che Chester lo prendesse di mira con la freccia. Bink aveva sbarazzato la sua area dai microgatti... ma il Buon Mago aveva avuto il tempo di organizzare le sue boccette e di aprirne un'altra. Si formò un mucchio di lucide ciliegie-bombe. Oh, no! Bink aveva già fatto esperienza con quei piccoli frutti violenti, dato che c'era un albero nel frutteto della reggia. Anzi, probabilmente quelle venivano dalla stessa pianta. Se una l'avesse colpito... Si buttò su Humfrey e gli afferrò il braccio prima che potesse lanciare. Humfrey si dibatté disperatamente, ma Bink era troppo forte. Bink si tratteneva ancora; detestava usare la violenza anche se non c'era altro da fare. Caddero. La cintura del Mago si strappò, e una quantità di boccette rotolò a terra. Alcuni tappi schizzarono via. Le ciliegie-bombe, investite da quella grandinata, rotolarono e piovvero nel lago, dove esplosero tra botti inoffensivi e nubi di vapore. Una cadde nel secchio di Gemma. L'esplosione fece volare tutto intorno le pietre preziose. I diamanti fischiarono accanto agli orecchi di Bink; un'enorme perla andò a sbattere
contro il petto del Mago; parecchi opali finirono sotto gli zoccoli di Chester. «Oh, no!» gridò Gemma, inorridita. «Non è così che si deve fare! Ognuna deve essere piantata esattamente nel posto giusto!». A Bink dispiaceva per le pietre, ma aveva problemi più urgenti. Le boccette aperte stavano eruttando un assortimento incredibile. Dalla prima uscì un paio di scarpe alate. «Ecco dove le avevo lasciate!» esclamò Humfrey. Ma le scarpe volarono via prima che potesse afferrarle. La seconda bottiglia liberò una gigantesca clessidra... innocua anche quella. Dalla terza uscì una collezione di strani semi, alcuni simili a enormi occhi di pesce, altri a sale e pepe, altri a mosche con un'ala sola. Si dispersero e coprirono un ampio tratto. Scricchiolavano sotto i piedi, rotolavano come bilie, aderivano come lappe, ma non sembravano rappresentare una minaccia diretta. Purtroppo anche le altre boccette eruttavano vapori. I vapori produssero un secchio d'immondizia (dunque era così che il Mago puliva il castello... spazzava tutto in una bottiglia!), un sacco di fertilizzante ultrarapido, un temporale in miniatura e una minuscola stella nova. Adesso i semi avevano a disposizione nutrimento, acqua e luce. Germogliarono prontamente. Misero le radichette, si gonfiarono, fecero spuntare le foglioline. Le radici si abbrancarono alla roccia e alle immondizie; gli steli crebbero, formando un tappeto fitto e variegato. Varie specie si batterono per il possesso del territorio meglio concimato. In pochi attimi Bink e il Mago furono circondati da una piccola giungla in espansione. Le liane si avviticchiavano ai piedi, i rami premevano il petto e la schiena, il fogliame oscurava la visuale. Quasi subito, le piante fiorirono. Adesso le varie specie erano identificabili. Le scarpette della Madonna produssero calzature delicate e graziosissime, e Gemma, con un'esclamazione di gioia, corse a coglierne un paio. Le erbenodi formarono i nodi specializzati più complicati: farfalla, gassa d'amante, nodo d'amore, nodo scorsoio, nodo parlato, bocca di lupo e nodo margherita. Bink dovette spostarsi in fretta per non ritrovarsi legato. Gli sarebbe costato la vittoria! Il Mago, intanto, stava cercando di evitare le fauci rabbiose delle violette dente-di-cane e delle bocche-di-leone, mentre una pianta d'erbasega cercava di colpirgli la testa. Bink avrebbe riso, se non avesse avuto anche troppi problemi. Una cannadoro stava cercando di trafiggerlo e un girasole lo accecava con il suo splendore. La stella nova non era più necessaria: la grotta era illuminata a giorno, e lo sarebbe rimasta fino a quando il girasole non
fosse sfiorito. Bink schivò appena in tempo per evitare una torma di luccicanti fiordifreccia... ma mise il piede su un fiordiburro e scivolò - ahi! - sulla testa viscida d'un cavolo-puzzola. Si ritrovò avvolto nel fetore nauseante. Bene, che cosa si aspettava? Ormai il suo talento non poteva più dargli una grande protezione; il corallo nemico aveva annullato la sua magia. Bink doveva arrangiarsi da solo. Almeno, Humfrey non era in condizioni migliori, al momento, perché parecchie erbefiamma gli stavano scottando i piedi: strappò un giglio d'acqua e versò l'acqua per spegnere il fuoco. Intanto, parecchie erbe-spazzola lo stavano dipingendo a strisce rosse, verdi e azzurre. Vari diamanti sperduti della collezione di Gemma gli si erano attaccati agli abiti. Così non si risolveva nulla! Bink si liberò dalla giungla in miniatura, trattenendo il fiato e chiudendo gli occhi mentre un gruppo di papaveri scoppiava rumorosamente intorno alla sua testa. Sentì qualcosa che gli bloccava le mani e dovette guardare: era una mezza dozzina di digitali. Una campanula gli squillò all'orecchio. E poi, finalmente, uscì. Si trovò davanti alla cintura del Mago, con le boccette rimaste. Se se ne fosse impossessato, Humfrey non avrebbe più potuto far nulla: tutta la sua magia era racchiusa nelle boccette! Bink si mosse per prenderle... ma in quel momento il Mago uscì dal fogliame, tutto coperto di zampedicorvo. Se le scrollò di dosso, e le zampe corsero via. Una mimosa pudica si distolse da quella goffaggine. Humfrey si buttò sulla cintura magica, e arrivò contemporaneamente a Bink. Bink vi mise sopra le mani. Ci fu una specie di tiro alla fune, e altre boccette schizzarono fuori. Una eruttò una pentola di zuppa d'orzo che dilagò per terra e venne avidamente assorbita dalle radici della giungla. Un'altra produsse un assortimento di dadi e bulloni. Poi Bink trovò un fumante budino di riso e lo scagliò contro il Mago... ma Humfrey era stato più rapido e gli aveva tirato un grosso pasticcio di carne, che lo colpì con violenza in faccia. I pezzettini di carne gli si incollarono ai capelli e al viso, oscurando la visuale. Bink mulinò la spada, cercando di tener lontano il Mago mentre si districava. E quando si liberò gli occhi, poté vedere anche come stava andando il duello tra il centauro e il grifone. Il torso umano di Chester era ormai striato di sangue. Ma una delle zampe anteriori di Crombie era spezzata, e una delle ali quasi completamente spennata. Il combattimento corpo a corpo era stato veramente terribile! Il centauro, adesso, inseguiva l'avversario con la spada in pugno, e il gri-
fone volava in cerchi irregolari, appena fuori tiro, cercando un varco per attaccare. Nonostante le raccomandazioni di Bink, quei due facevano sul serio: erano decisi a uccidersi l'un l'altro. Ma come poteva impedirlo? Il Mago trovò una boccetta e l'aprì, Bink avanzò guardingo... ma era stato un altro errore. Si materializzò un'enorme ciotola di yogurt. A sentirne l'odore, era rimasto imbottigliato troppo a lungo ed era andato a male. Fluttuò lievemente verso il lago... bene, che il corallo provasse un po' ad assaggiarlo! Ma Humfrey aveva già preso un'altra bottiglia. Gli errori non erano conseguenza del talento di Bink, ma del puro caso; sembrava che Humfrey avesse nelle boccette cento cose diverse (dopotutto, si diceva che disponesse di cento incantesimi), e poche erano utilizzabili in un duello. Per giunta, ormai erano tutte mescolate. Era molto difficile che da un recipiente pescato a caso uscisse qualcosa di pericoloso. Eppure... La boccetta eruttò una liana fremente di krakan, che ondulò minacciosamente verso Bink. Bink la fece a pezzi con la spada e avanzò di nuovo verso il Mago. Sapeva che adesso poteva controllare la situazione: nelle boccette di Humfrey non c'era niente che potesse eguagliare la potenza devastante d'una buona spada. Disperatamente, Humfrey aprì una boccetta dopo l'altra, cercando qualcosa di utile per continuare la battaglia. Si materializzarono tre fatine dalle ali trasparenti a colori pastello, ma erano innocue: raggiunsero subito Gemma, che le incaricò di raccattare le pietre preziose sparpagliate. Una confezione di pastiglie per la tosse si formò ed esplose... troppo vicino al Mago, che fu colto da un accesso di tosse violentissimo. Ma poi apparve una viverna. Le viverne erano draghi molto piccoli... ma anche il drago più minuscolo era pericoloso. Bink si avventò, mirando alla gola del mostro. Colpì... ma le squame durissime della viverna deviarono la lama. Spalancò la bocca e lanciò in faccia a Bink un getto di vapore caldissimo. Bink indietreggiò... e poi puntò con tutte le sue forze la lama nella nube di vapore. La spada affondò nelle fauci aperte del drago, attraversò il palato e uscì dalla sommità della testa. La viverna proruppe in un urlo di dolore e spirò nell'istante in cui Bink ritirava la spada con uno strattone. Sapeva d'aver avuto fortuna... e quella era fortuna autentica, non l'opera del suo talento. Ma il problema stava nel fatto che la fortuna non faceva favoritismi: il prossimo colpo poteva essergli contrario. Doveva farla finita prima che questo accadesse. Ma il Mago aveva avuto il tempo di rovistare tra altre boccette. Stava
cercando qualcosa e faticava a trovarlo in quel caos. Ma ad ogni insuccesso restavano sempre meno boccette tra cui scegliere e aumentavano le probabilità di pescare ciò che voleva. Quando Bink si girò di nuovo verso di lui, si formò un mucchio di biancheria invernale, parecchi albi a fumetti sbrindellati, una scala a pioli di legno, una bombetta puzzolente e una grossa di penne d'oca magiche. Bink scoppiò a ridere. «Bink... attento!» gridò Chester. «È solo un abito da sera per signora», disse Bink, lanciando un'occhiata al nuovo oggetto che si era materializzato. «Non è pericoloso!». «C'è dietro un malocchio!» gridò Chester. Guai! Era quello che Humfrey aveva cercato! Bink afferrò l'abito, usandolo come uno scudo. Un raggio di luce scaturì, gli passò accanto... e colpì il centauro. Semistordito, Chester barcollò... e il grifone si avventò in picchiata per finirlo. Il becco piombò verso gli occhi abbagliati, costringendo il centauro a indietreggiare. «No!» urlò Bink. Ancora una volta troppo tardi. Bink si rendeva conto che per troppo tempo s'era affidato al suo talento, e le sue reazioni agli avvenimenti casuali s'erano rallentate. Gli zoccoli posteriori di Chester scivolarono dall'orlo della roccia. Il centauro lanciò un gran nitrito di sgomento e piombò riverso nell'acqua malefica del lago. L'acqua torbida si chiuse sulla testa di Chester. Il centauro scomparve. L'amico e alleato di Bink non c'era più. Non c'era tempo per i rimorsi. Humfrey aveva trovato un'altra boccetta. «Ti ho in pugno, Bink! Questa contiene una pozione sonnifera!» gridò mostrandola. Bink non lo caricò perché il malocchio stava ancora librato in mezzo a loro, frenato soltanto dall'abito da sera che Bink usava come un fragile scudo. Poteva scorgere vagamente i contorni dell'occhio attraverso la stoffa leggera, e doveva manovrare di continuo per evitare un contatto visuale diretto. Ma il sonnifero non sarebbe stato arrestato dalla stoffa! «Arrenditi, Bink!» gridò Humfrey. «Hai perduto il tuo alleato, il mio ti sta alle spalle, l'occhio ti tiene bloccato, e il sonnifero può raggiungerti dove sei. Arrenditi, e il corallo ti farà la grazia della vita!». Bink esitò... e sentì lo spostamento d'aria mentre il grifone gli si avvicinava in volo da tergo. Si voltò di scatto, vide accanto a sé la ninfa impietrita dal terrore, e capì che mentre il corallo offriva clemenza a parole, tradi-
va l'offerta con i fatti. Fino a quel momento Bink aveva combattuto una battaglia necessaria e indesiderata. Ma adesso s'infuriò. Il suo amico era morto, lui era stato tradito... che motivo aveva di frenarsi? «Allora guarda il malocchio!» gridò Bink a Crombie, strappando via l'abito da sera e distogliendo il viso dal pericolo. Immediatamente, anche Crombie girò la testa per non guardare. Bink, ancora animato dal furore, lo caricò con la spada. Adesso la lotta era... rostro e artigli contro la lama. E nessuno dei due avversari osava lanciare uno sguardo verso il Mago. Bink agitò l'abito scintillante per distrarre il grifone mentre gli sferrava un fendente alla testa, poi si avvolse la stoffa intorno al braccio sinistro per proteggersi dagli unghioni. Crombie poteva attaccare solo con la zampa anteriore sinistra; l'ala spennacchiata non lo sosteneva abbastanza per permettergli di manovrare, ed era costretto a reggersi sulle zampe posteriori. Ma aveva pur sempre la potenza d'un grifone e la mente di un soldato, ed era il nemico più feroce e astuto che Bink avesse mai fronteggiato. Crombie conosceva Bink e le sue abitudini, ed era uno schermitore molto più abile. Anzi, era stato il suo istruttore. Sebbene il grifone non avesse la spada, Bink non poteva eseguire manovre che l'altro non conoscesse e non fosse in grado di parare. Per Bink, insomma, l'avversario era troppo forte. Ma la rabbia lo sosteneva. Attaccò deciso il grifone, sferrando fendenti alla testa e alle zampe e affondi al corpo, per costringerlo a volgersi verso il malocchio. Sventolò l'abito da sera per impigliare l'ala illesa di Crombie, poi lanciò un urlo terribile e si avventò con una spallata contro il petto colorato del grifone. Era più massiccio di lui, e il suo peso scaraventò Crombie all'indietro verso l'acqua letale. Ma fu inutile; proprio quando pensava d'essere passato in vantaggio, Crombie schivò e Bink si ritrovò ad avanzare barcollando verso il lago. Bink tentò di frenare, e quasi ci riuscì. Vacillò sull'orlo. E vide... il golem Grundy ancora a cavalcioni della bottiglia, ormai vicinissima alla riva. «Tirami fuori, Bink!» gridò il golem. «Il veleno non può farmi male, ma sto incominciando a dissolvermi. Attento!». A quell'avvertimento, Bink si lasciò cadere lungo disteso e finì con la faccia vicinissima all'acqua. Crombie passò sopra di lui e spiegò le ali per proseguire in volo. Grundy immerse una mano minuscola nell'acqua, spruzzò qualche goccia verso la coda del grifone... e immediatamente la coda si afflosciò. L'acqua era veramente esiziale! Crombie fece del suo meglio, sbattendo le ali con tanto vigore da allon-
tanarsi dagli spruzzi. Poi planò sulla riva opposta del lago e atterrò di schianto, incapace di controllare il volo a causa dell'ala spennata e della coda fuori uso. Bink approfittò della pausa per tendere la spada verso il golem, che afferrò la punta e si lasciò tirare a riva. Poi Bink ricordò: Grundy aveva liberato Humfrey e Crombie... in nome del nemico. Anche il golem era una creatura del corallo. Perché adesso si schierava dalla sua parte? C'erano due possibilità. Il corallo poteva essersi servito del golem temporaneamente, e adesso Grundy era di nuovo dalla parte di Bink. Ma in questo caso, il corallo avrebbe potuto impadronirsi nuovamente di lui in qualunque momento, e non era il caso di fidarsi. Durante la battaglia il corallo poteva aver dimenticato Grundy, ma ora che la battaglia s'era semplificata, sarebbe cambiato tutto. Oppure, Grundy era ancora un agente del nemico. In tal caso... Ma perché il corallo avrebbe cercato di ingannare Bink in quel modo? Perché non l'aveva finito senza dargli tregua? Bink non lo sapeva, ma pensò che la cosa migliore fosse stare al gioco, fingere d'essersi lasciato imbrogliare. Il nemico poteva avere qualche debolezza che lui non conosceva, e se l'avesse scoperta, servendosi del golem... Il soldato non si era arreso. Incapace di virare in aria a causa dei danni subiti, Crombie si orientò al suolo, prese la rincorsa, e decollò di nuovo attraverso il lago. «Non toccarmi... sono intriso di veleno!» gridò Grundy. «Seguirò io il malocchio per te, Bink! Tu pensa al...». Lieto di avere quel piccolo alleato nonostante tutti i suoi dubbi, Bink obbedì. Quando il grifone si avvicinò, spiccò un salto, brandendo a due mani la spada sopra la testa. Crombie, incapace di virare, fu colpito all'ala sana. La lama affondò nelle penne, nei muscoli, nei tendini e nelle ossa, tranciando per metà l'ala. Crombie cadde a terra... ma non cedette. Strillò e balzò in piedi, roteò su se stesso e si avventò verso Bink, protendendo la zampa anteriore. Sorpreso dalla tenacia del soldato, Bink arretrò, inciampò nella roccia e cadde lungo disteso. Quando il grifone gli piombò addosso cercando di colpirgli la faccia con il becco, Bink spinse violentemente la spada dal basso in alto. Questa volta non colpì l'ala ma il collo. Il sangue bruciante fiottò, inondandolo. Era un ferita mortale... ma il grifone combatteva ancora, graffiando con tre zampe per sventrare Bink. Bink rotolò via, senza lasciare la spada. Ma la lama era incastrata in un
osso e gli sfuggì dalla mano. Si buttò da tergo sul collo di Crombie, cingendolo con entrambe le braccia e cercando di spezzarlo. Fino a quel momento, Bink non avrebbe mai pensato di uccidere il suo amico... ma la visione della fine di Chester gli bruciava nella mente, ed era fuori di sé. Crombie si scrollò con forza tremenda e lo scagliò lontano. Bink si avventò di nuovo, e abbrancò una zampa posteriore. Quella tattica non avrebbe potuto funzionare se il soldato avesse avuto la sua forma umana, perché era esperto nei combattimenti corpo a corpo; ma era in forma animale, e non poteva usare molto bene la sua esperienza umana specializzata. Per impedire che il grifone si girasse di nuovo, strattonò la gamba, abbassando la testa e trascinandolo sulla roccia. «Non guardare!» strillò Grundy. «L'occhio è davanti a te!». Poteva fidarsi del golem? No, sicuramente... ma sarebbe stata una sciocchezza guardare dove poteva trovarsi il malocchio. Bink chiuse le palpebre, strinse più forte e di scatto sollevò il grifone sopra la propria testa e lo scagliò in avanti. Crombie volò in aria... e non atterrò. Stava volando di nuovo... o tentava di farlo! Bink l'aveva aiutato a lanciarsi. Non era strano che il grifone non avesse opposto resistenza? «L'occhio sta girando, viene verso la tua faccia!» gridò il golem. Credere o non credere? La prima affermazione falsa di Grundy avrebbe rivelato da che parte stava. Quindi, probabilmente si sarebbe attenuto alla verità il più a lungo possibile. Bink poteva fidarsi di lui perché era un agente nemico, per quanto sembrasse assurdo. Tenne gli occhi chiusi e scrollò l'abito da sera. «Dove?». «Alla distanza d'un braccio, davanti a te!». Bink spiegò l'abito, lo tenne con entrambe le mani, e balzò. «L'hai preso!» gridò il golem. «Avvolgilo, buttalo nel lago!». Bink obbedì. Sentiva la massa minuscola dell'occhio prigioniero che si dibatteva entro la stoffa: il golem aveva detto la verità. Sentì lo scroscio, e aprì cautamente un occhio. L'abito da sera galleggiava, ma era già intriso d'acqua: qualunque cosa vi fosse rimasta impigliata era praticamente spacciata. Finalmente poté guardarsi intorno. Crombie era volato poco lontano ed era caduto in un piccolo crepaccio. Adesso era incastrato sul fondo, e le ferite e la debolezza gli impedivano di uscirne. Ma il Mago non era fuori combattimento. «Un solo passo, e libero il sonnifero!» minacciò. Bink ne aveva avuto abbastanza. «Se lo liberi, sarai il primo a subirne gli effetti!» gridò, avanzando a grandi passi verso Humfrey. «Io posso trattenere il respiro a lungo quanto te!». La spada era a terra, dove era caduta.
Si fermò per raccoglierla, asciugando il sangue sui suoi abiti, e la brandì. «Comunque, dubito che abbia effetto prima che io ti raggiunga. E anche se avesse effetto su di me, non l'avrà sul golem. Da che parte starà, allora? È un po' reale, lo sai: il corallo non può controllarlo con certezza assoluta». Il Mago stappò la boccetta senza lasciarsi intimidire. Il vapore emerse, e Bink si avventò, mulinando la spada mentre la sostanza si condensava... e colpì una boccetta. Una boccetta che si materializzava da una boccetta? «Oh, no!» gridò Humfrey. «Era la mia scorta di pillole dell'astuzia, che avevo perso da un decennio!». Che ironia! Distrattamente, il Mago aveva infilato le pillole dell'astuzia in un'altra boccetta, e poiché non le aveva non poteva ricordare dove le aveva messe. Adesso, in seguito a una permutazione della guerra dei talenti, erano ricomparse... nel momento sbagliato. Bink puntò la spada al petto del Mago. «Non hai bisogno delle pillole dell'astuzia per capire quello che succederà se non ti arrendi». Humfrey sospirò. «A quanto sembra ti avevo sottovalutato, Bink. Non avrei mai creduto che potessi battere il grifone». E Bink si augurava di non dovercisi riprovare più! Se Crombie non fosse stato già stanco e ferito... ma era inutile pensarci. «Sei agli ordini di un nemico. Non posso fidarmi di te. Arrenditi, e ti chiederò un solo servigio; poi ti costringerò a rientrare nella boccetta fino al compimento della cerca. Altrimenti dovrò ucciderti, per neutralizzare il corallo». Era un bluff? Non voleva uccidere il Mago, ma se la battaglia fosse ripresa... «Scegli!». Humfrey esitò. Era chiaro che stava comunicando con un'altra mente. «I folletti non possono venire: c'è troppa luce, e per giunta odiano il corallo. Non ci sono altre risorse nei dintorni. Non posso reagire al tuo scacco». Tacque di nuovo. Bink ricordò che il termine «scacco» si riferiva a un gioco mundano che giocava a volte il Re Trent; uno scacco era una minaccia personale diretta. Il termine era appropriato. «Il corallo non ha senso dell'onore», continuò Humfrey. «Ma io sì. Pensavo che la mia precedente offerta fosse valida. Non sapevo che il grifone ti avrebbe attaccato». «Vorrei crederti», disse Bink. La collera l'aveva abbandonato, ma non la prudenza. «Non oso farlo. Posso solo darti la mia parola per quanto riguarda la mie intenzioni». «La tua parola vale più della mia, in queste circostanze. Accetto le condizioni».
Bink abbassò la spada, ma non la rinfoderò. «E il golem?» chiese. «Da che parte sta?». «È... dei nostri, come avevi intuito. Mi hai costretto a riconoscerlo con la mia reazione di un momento fa. Sei molto abile, Bink». «Non adularmi! Perché Grundy mi ha aiutato?». «Me l'aveva detto il corallo», rispose il golem. «Non ha senso che il corallo combatta contro se stesso! Se tu ti fossi battuto dalla parte di Crombie, avrebbe potuto sconfiggermi!». «E avrebbe potuto perdere», disse Humfrey. «Anche il corallo ti aveva sottovalutato, Bink. Pensava che, quando avesse annullato il tuo talento che rimane terribilmente forte e sfuggente e richiede un'attenzione continua - saresti stato sopraffatto facilmente da mezzi fisici. Invece ti sei battuto con furia e abilità crescenti via via che la pressione aumentava. Quella che sembrava una quasi-certezza è diventata dubbio. Quindi la possibilità che il corallo prevalesse con la forza è diminuita, mentre aumentava quella che prevalesse con la ragione». «Con la ragione!» esclamò Bink, incredulo. «Perciò il corallo ha ordinato al golem di esserti amico... l'agente del corallo nel tuo campo. Allora, se avessi vinto la battaglia fisica e io fossi morto, saresti stato disposto ad ascoltare l'amico». «Beh, non sono disposto a farlo», disse Bink. «Non mi sono mai fidato del voltafaccia di Grundy. Al momento ho cose più importanti cui pensare. Trova la boccetta dell'elisir risanatore. So che non è stata ancora aperta». Il Mago si chinò, frugando tra le bottigliette rimaste. «Eccola». «Gemma!» gridò Bink. La ninfa si avvicinò, intimidita. «Quando sei così mi fai paura, Bink». Come aveva avuto paura durante la battaglia. Gli avrebbe fatto comodo il suo aiuto contro il malocchio, invece di dover contare su quello molto dubbio del golem. Sotto quel punto di vista era una tipica ninfa, incapace di agire in una crisi. Chameleon era ben diversa, anche nella fase più stupida; aveva agito per salvarlo, a costo di sacrificarsi. Le amava entrambe... ma sarebbe rimasto con Chameleon. «Prendi questa boccetta e spruzza una goccia sul grifone», le disse. Lei lo guardò sbalordita. «Ma...». «Crombie è controllato dal corallo, e perciò ha fatto una cosa orribile, ma è mio amico. Lo guarirò, e ordinerò al Mago di rimetterlo nella bottiglia, fino a che tutto non sarà finito». «Oh». Gemma prese la boccetta e si avviò verso il grifone. Bink spinse
avanti il Mago con la punta della spada; seguirono Gemma, più lentamente. Humfrey aveva detto che Bink aveva vinto, ma Bink sapeva che non era ancora finita. Non sarebbe finita prima che Mago, grifone e golem fossero rientrati nella bottiglia, e che lui ne avesse avuto il controllo. E il corallo avrebbe fatto di tutto per impedirlo. Gemma si fermò sull'orlo del crepaccio. Si portò una mano alla bocca in un gesto molto femmineo che Bink trovò stranamente toccante. No, non stranamente: lui l'amava, perciò reagiva in modo speciale anche ai suoi piccoli manierismi. Ma intellettualmente... «È tutto insanguinato!» protestò lei. «Non posso distogliere l'attenzione dal Mago», disse Bink. E dal golem, soggiunse con il pensiero. «Se la boccetta non contiene l'elisir risanatore, l'ucciderò immediatamente». Erano parole baldanzose, per sostenere uno slancio che vacillava. «Devi darglielo tu. Abbiamo bisogno che il grifone ci indichi dove si trova l'antidoto per il filtro d'amore». «Io... sì, certo», disse Gemma con un filo di voce. Cercò di togliere il tappo. «È... c'è tanto sangue... dove debbo...?». Crombie si scosse. La testa d'aquila girò debolmente sul collo squarciato, e uscì un altro fiotto di sangue. «Squawk!». «Dice di non farlo», tradusse Grundy. «Dovrà ucciderti». Bink girò la spada in modo che la lama riflettesse il bagliore della nova sugli occhi vitrei del grifone. Il girasole aveva emanato più luce, ma ormai stava sfiorendo. «Non mi aspetto che una creatura del nemico abbia il senso dell'onore, o gratitudine per un favore reso», disse, in tono truce. «Ho concluso una specie di tregua con il corallo, e la mantengo grazie a questa spada. Crombie mi obbedirà implicitamente... altrimenti il Mago morirà. Potete dubitarne, se volete». Come potevano non dubitarne, quando ne dubitava lui stesso? Eppure, se la violenza fosse ricominciata, non avrebbe lasciato che il corallo avesse la meglio. Crombie girò verso Humfrey lo sguardo sofferente. «Bink dice la verità», disse il Mago. «Ci ha sconfitti, e ora richiede un servigio in cambio delle nostre vite. Il corallo acconsente. Fai ciò che ti chiede e finirai rinchiuso nella bottiglia... altrimenti io morirò e tu dovrai batterti di nuovo con lui». Il grifone strillò ancora una volta, debolmente. «Qual è il servigio?» tradusse Grundy. «Sai benissimo qual è!» esclamò Bink. «Indicare la magia più vicina e
più sicura per invertire l'effetto del filtro d'amore». Stavano cercando di guadagnare tempo, in attesa che il girasole appassisse completamente, in modo che potessero venire i folletti? Un altro strillo. Poi la testa fierissima ricadde. «È d'accordo, ma è troppo debole per indicare», disse il golem. «Ma noi abbiamo bisogno dell'antidoto...» disse Gemma. «Avanti», sibilò Bink. Gli artigli del grifone gli avevano aperto ferite in tutto il corpo, e si sentiva esausto. Doveva sistemare tutto prima di crollare. «Spruzzalo!». Finalmente Gemma aprì la boccetta. Il liquido prezioso sprizzò fuori, aspergendo lei, le rocce e il grifone. Una goccia cadde sul golem, che guarì di colpo dallo stato di dissoluzione parziale. Ma neppure una stilla piovve su Bink... e solo il corallo sapeva perché. Crombie uscì dal crepaccio. Era di nuovo colorato e bellissimo. Spiegò le ali e si girò verso Bink. Bink si tese spasmodicamente; teneva in ostaggio il Mago, ma se il grifone avesse attaccato in quel momento... Gemma si buttò tra Bink e Crombie. «Non osare!» Gridò al grifone. Nell'aria c'era un odore di carta bruciata.. Per un lungo istante Crombie la fissò, con le ali parzialmente spiegate che battevano lente. Lei era soltanto una ragazza armata d'una boccetta d'elisir, e non avrebbe avuto possibilità di bloccare lo splendido mostro. Anzi, tremava per il nervosismo: sarebbe bastato uno «squawk!» per farla scoppiare in pianto. Eppure, pensò Bink, aveva compiuto quel gesto eroico. Era un atto eccezionale per una ninfa. Aveva cercato di difendere ciò in cui credeva. Poteva condannarla perché il suo coraggio non era più grande della sua forza? Poi Crombie roteò su se stesso, tese del tutto un'ala, e indicò. Verso il lago. Bink sospirò. «Trasferiscilo nella boccetta», disse al Mago. «E non sbagliare. Se cerchi di trasferire me, sei morto». Vi fu un istante d'indugio mentre Gemma recuperava la boccetta dal margine del lago dove galleggiava ancora. Dovette raccoglierla con cura per evitare che l'acqua, sgocciolando, le toccasse la pelle, poi l'asciugò e la mise a portata del Mago. Humfrey eseguì l'incantesimo. Il grifone si dissolse in vapore e finì nella boccetta. Un po' in ritardo, Bink pensò che il Mago avrebbe potuto fare lo stesso con lui in qualunque istante della battaglia, se ci avesse pensato. La perdita delle pillole dell'astuzia doveva averlo danneggiato davvero! Eppu-
re era difficile pensare alla soluzione più ovvia, quando si era incalzati da una spada. E... la bottiglia migliore, la residenza del demone, in quei momenti non era disponibile. «Ora tocca a te», disse Bink al Mago. «Entrate nella boccetta... tu e il golem». «Il corallo ci ha ripensato», disse Humfrey. «È convinto che se tu conoscessi tutta la storia, saresti d'accordo con il suo punto di vista. Non vuoi ascoltare?». «Molto probabilmente il corallo cerca di prendere tempo in attesa dell'arrivo d'altri suoi scagnozzi», disse Bink, ripensando ai folletti. Magari non andavano d'accordo con il corallo-cervello, ma se avessero concluso un patto... «Ma conosce l'ubicazione e la natura della fonte della magia!» ribatté Humfrey. «Ascoltalo, e lui ti guiderà!». «Prima mi guidi, e poi ascolterò». «Sta bene». «Sta bene?». «Ci fidiamo di te, Bink». «E io non mi fido di voi. Ma... sì, accetto il patto. Spero di non commettere un errore fatale. Mostrami la fonte della magia - e non con qualche parola enigmatica che non riesco a capire - e poi spiegami perché il corallo si è dato tanto da fare per impedirmi di raggiungerla». «Per prima cosa, ti consiglio di usare anche tu una goccia d'elisir risanatore», disse il Mago. Gemma si voltò, trasalendo. «Oh, Bink... avresti dovuto prenderlo per primo!». «No», disse Bink. «Poteva essere il sonnifero». Humfrey annuì. «Se avessi cercato d'imbrogliarti, si sarebbe visto l'esito sul grifone», disse. «Ti sei difeso con molta efficienza dal tradimento, devo dire che, anche con il tuo talento neutralizzato, ti sei destreggiato molto bene. Sei molto diverso dal ragazzino che eri una volta». «Così è per tutti», ringhiò Bink, con la mano sull'impugnatura della spada. Gemma lo spruzzò con una goccia d'elisir. Immediatamente le ferite guarirono, e tornarono le forze. Ma i sospetti sul conto del Buon Mago non si placarono. CAPITOLO DODICESIMO
IL DEMONE XANTH «Da questa parte», disse Humfrey. Bink teneva la spada sguainata, mentre seguiva il Mago. Gemma camminava in silenzio dietro di lui, portando il golem. «Sia detto per inciso», mormorò Humfrey, «Crombie non ti ha imbrogliato. L'antidoto che cerchi si trova nella direzione del lago... ma più oltre. Il corallo potrebbe aiutarti a procurartelo... se andrà tutto bene». «Non intendo lasciarmi comprare dal nemico», disse Bink in tono secco. «No?» chiese Gemma. «Non vuoi l'antidoto?». «Scusami... non volevo rimangiarmi l'impegno», le disse Bink. «È una questione di principio. Non posso lasciarmi corrompere dal nemico, anche se non ti voglio affliggere con il mio amore più a lungo di quanto...». «Non è un'afflizione, Bink», disse lei. «Non ho mai conosciuto nessuno tanto coraggioso e...». «Ma dato che l'antidoto è evidentemente fuori portata, è inutile trattenerti. Mi dispiace di averti causato tanti fastidi per niente. Sei libera di andartene». Gemma gli prese il braccio. Automaticamente Bink scostò la spada. «Bink, io...». Bink si arrese finalmente al desiderio e la baciò. Con sua sorpresa, la ninfa ricambiò il bacio entusiasticamente. Un profumo di rose tee li circondò. Poi la respinse dolcemente. «Abbi cura di te, Gemma. Queste avventure non sono il tuo genere. Voglio poterti pensare al sicuro, felice con le tue pietre preziose e il tuo lavoro, per sempre». «Bink, non posso andare». «Devi farlo! Qui ci sono soltanto orrori e pericoli, e non ho il diritto di importeli. Devi andartene senza scoprire la fonte della magia, e così non avrai nemici». Lei, adesso, aveva l'odore di una pineta in una giornata calda, un odore fresco, pungente e un po' inebriante. L'elisir le aveva guarito la raucedine e aveva cancellato dai suoi occhi le ombre della stanchezza. Era incantevole come nel primo momento in cui l'aveva vista. «Ma non hai neppure il diritto di mandarmi via», disse. Humfrey si mosse. Bink alzò minacciosamente la spada. Gemma indietreggiò spaventata. «Non preoccuparti», disse il Mago. «Ci stiamo avvicinando alla fonte della magia».
Bink, insospettito, non osava crederlo. «Io non vedo niente di speciale». «Vedi quella roccia?» chiese Humfrey, indicando. «È la roccia magica, che sale lentamente e s'infiltra fino alla superficie dopo centinaia di anni, insinuandosi attraverso una faglia negli strati geologici regolari. Lassù diventa polvere magica. Parte della conversione naturale o magica della crosta terrestre». Poi indicò in basso. «Laggiù... è là che viene trasformata. La fonte della magia». «Sì... ma come si carica di magia? chiese Bink. «Perché il corallo si è opposto a me con tanta decisione?». «Presto lo saprai». Il Mago additò una rampa naturale e curvilinea che scendeva nelle viscere del suolo. «Senti che la magia si intensifica? Anche il talento più trascurabile qui è potente come quello d'un Mago... ma tutti i talenti sono in gran parte neutralizzati dall'ambiente. È come se la magia non esistesse, paradossalmente, perché non può differenziarsi come dovrebbe». Bink non ci capiva molto. Continuò a scendere e a stare in guardia, consapevole della pressione della magia che lo circondava. Se lì una lucciola avesse irradiato una scintilla, ci sarebbe stata un'esplosione tanto forte da sventrare una montagna. Senza dubbio si stavano avvicinando alla fonte... Ma anche quella era una trappola? La rampa sboccò in un'immensa caverna. La parete di fondo era scolpita nelle sembianze d'una gigantesca faccia demoniaca. «Il Demone Xanth, fonte della magia», disse semplicemente Humfrey. «Quella statua? Quella maschera?» chiese Bink, incredulo. «Che scherzo è?». «Non è uno scherzo, Bink. Senza quel Demone, la nostra terra sarebbe come Mundania. Una terra senza magia». «È tutto qui, quello che hai da mostrarmi? Come puoi pretendere che lo creda?». «Non lo pretendo affatto. Devi ascoltare la spiegazione. Solo allora potrai afferrare il significato immane di ciò che vedi... e capire il pericolo incalcolabile che la tua presenza qui rappresenta per la nostra società». Bink scosse la testa, rassegnato. «Ho detto che avrei ascoltato. Ma non ho promesso di crederti». «Non potrai fare a meno di credere», disse Humfrey. «Tutto sta a vedere se lo accetterai. L'informazione avviene così: gireremo intorno alla grotta, intercettando alcuni dei vortici magici dei pensieri del Demone. Allora comprenderemo».
«Non voglio altre esperienze magiche!» protestò Bink. «Voglio solo conoscere la natura della fonte». «La conoscerai, la conoscerai!» disse Humfrey. «Vieni con me, ecco tutto. Non c'è altro sistema». E si avviò. Ancora insospettito, Bink lo seguì, perché non voleva lasciare che il Mago si allontanasse dalla portata della spada. All'improvviso fu colto da una vertigine e provò la sensazione di cadere. Ma i suoi piedi erano piantati saldamente. Sì fermò, preparandosi a... che cosa? Un altro attacco di follia? Se quella era una trappola... Vide le stelle... Non i minuscoli puntolini del cielo notturno normale, ma sfere mostruose e mostruosamente strane d'una sostanza che ardeva e tuttavia non bruciava, di gas più denso della roccia, e di maree senz'acqua. Erano così lontane che un drago non sarebbe riuscito ad andare in volo da una all'altra neppure in tutta la vita, e così numerose che un uomo non sarebbe riuscito a contarle nel corso di un'intera esistenza: eppure erano tutte visibili contemporaneamente. Tra quelle certezze incredibili, enormipiccole, vicine-lontane, volavano i Demoni onnipotenti, toccando qui una piccola (enorme) stella per farla palpitare, là una grande (minuscola) per renderla rovente, gonfiandone una ogni tanto nel lampo abbagliante d'una nova. Il regno delle stelle era il campo giochi dei demoni. La visione svanì. Bink si guardò intorno, intontito, guardò la grotta e l'immane faccia immobile del Demone. «Sei uscito da quel particolare vortice-pensiero», spiegò Humfrey. «Ognuno è molto stretto, sebbene sia profondo». «Uh, sì», ammise Bink. Fece un altro passo... e si trovò di fronte a un'incantevole Demonessa, con gli occhi profondi come il vortice dei diavoli e i capelli che sembravano la chioma d'una cometa. Non era esattamente femmina, perché i Demoni non si riproducevano e quindi non avevano sesso, tranne quando volevano averlo per spassarsela; erano eterni. Erano sempre esistiti, e sarebbero esistiti sempre finché l'esistenza avesse avuto un senso. Ma per amore della varietà, qualche volta giocavano con le variazioni sessuali e assumevano l'aspetto di maschio, femmina, neutro, maschio-maschio, maschio-femmina, maschio-neutro e maschio-anonimo. In quel momento lei era abbastanza vicina a una categoria che non era mascolina. «-------» disse la Demonessa, formulando un concetto così immenso da sfuggire alla coscienza di Bink. Tuttavia era tanto significativo da scuoterlo profondamente. Provò un improvviso, irresistibile impulso di... ma una
cosa simile sarebbe stata inesprimibilmente oscena in termini umani, anche se fosse stata possibile o concepibile. Dopotutto, la Demonessa non era tanto vicina alla categoria femminile. Bink uscì dal vortice-pensiero e vide Gemma immobile, presa da un'altra corrente. Aveva le labbra socchiuse e ansimava. Che cosa stava provando? Bink subì una reazione su quattro livelli: orrore, perché lei era assoggettata a un pensiero rozzamente e raffinatamente ossessivo come quello che lui aveva appena provato, poiché era una ninfa innocente; gelosia, perché reagiva in modo così estatico a qualcosa che non era lui, soprattutto se si trattava di una nozione suggestiva come quella che aveva appena assimilato; rimorso, perché pensava in quel modo a una ninfa che non poteva avere, anche se non avrebbe desiderato applicare il concetto a quella che aveva; e curiosità intensa. Se un maschio-neutro avesse fatto una proposta... oh, orribile! Ma così allettante... Humfrey si muoveva, e Bink doveva seguirlo. Entrò in una memoria eterna, così lunga da sembrare una strada magica estesa nell'infinito in entrambe le direzioni. Verso il passato la visuale spariva in un bagliore lontanissimo. L'universo dei Demoni aveva avuto inizio in un'esplosione e terminava in un'altra, e tutto il tempo e la materia erano soltanto lo iato tra quei due bang... che in realtà erano a loro volta aspetti della stessa deflagrazione. Era senza dubbio un universo del tutto estraneo a quello di Bink! Eppure, in quel flusso di assurdità, diventava credibile. Una struttura supermagica per i supermagici Demoni! Bink emerse dal Pensiero. «Ma che cosa hanno a che fare i Demoni con la fonte della magia di Xanth?» chiese lamentosamente. Poi entrò in un flusso nuovo, complesso. Se collaboriamo, possiamo ingrandire la nostra A, comunicò la Demonessa con fare seducente. Almeno, questo era ciò che Bink riuscì a comprendere di ciò che lei intendeva, e che aveva livelli e risonanze e simbolismi a miriadi, come le stelle. La mia formula è TE(R/R)a, la tua X(A/N)th. Abbiamo la A in comune. Ah, sì, era un'ottima offerta, considerando la situazione, dato che gli altri elementi differivano e li rendevano non competitivi. Mai! protestò un altro. Ingrandisci la nostra E, non la A. Era MO(R/T)e, che rischiava di venire rimpicciolita dall'ingrandirsi della A. Ingrandisci M ed E, suggerì un altro ancora. Era IMME(N/S)°. Mo(R/T)e accettò dubito, e anche TE(R/R)a, perché avrebbe tratto anche lei un certo beneficio. Ma in questo modo X(A/N)th restava escluso. Riduci le nostre N, raccomandò ETE(R/N)°, e questo garbava a
X(A/N)th. Ma ETE(R/N)° stava trattando anche con i cancellatoli delle E, e questo gli dava un vantaggio proporzionale per il contratto. Tutte le proposte caddero senza risultato. Bink emerse, senza capire nulla. I nomi erano formule? Le lettere erano valori? Che cosa stava succedendo? «Ah, l'hai visto», disse Humfrey. «I Demoni non hanno nomi, ma solo punteggi. La sostituzione delle variabili influisce sui valori numerici... anche se in realtà non sono numeri, bensì gradi di concetto, ricchi di gravità, fascino, luminosità e altre dimensioni che non possiamo afferrare. Il punteggio è supremo». Questa spiegazione servì esclusivamente a rendere più fitto il mistero. «Il Demone Xanth è solo un punteggio d'un gioco?». «Il Demone la cui formula-punteggio è X(A/N)th... tre variabili e un esponente di classe, a quanto possiamo capire», rispose il Mago. «Le regole del gioco trascendono la nostra comprensione, ma vediamo cambiare i punteggi». «Non m'interessano i punteggi!» gridò Bink. «Che scopo ha?». «Che scopo ha la vita?» chiese di rimando il Mago. «È... crescere, migliorare, fare qualcosa di utile», disse Bink. «Non giocare con i concetti». «Tu la vedi così perché sei un uomo, non un Demone. Queste entità non possono crescere né migliorarsi». «Ma tutti i loro numeri, gli aumenti di velocità, di viscosità...». «Oh, credevo che avessi capito», disse il Mago. «Non sono espansioni dell'intelletto o del potere dei Demoni, ma della loro posizione sociale. I Demoni non crescono: sono già onnipotenti. Non c'è niente che uno di loro possa concepire e che non possa avere. Non c'è nulla che ognuno di loro non possa realizzare. Quindi non possono migliorare, né fare qualcosa di utile secondo la nostra definizione, perché sono già assoluti. Quindi non vi sono negazioni insite, né sfide». «Non ci sono sfide? E non diventa noioso?». «In un miliardo di anni diventa un miliardo di volte più tedioso», ammise il Mago. «Perciò i Demoni giocano?» domandò Bink, sempre più incredulo. «C'è un modo migliore per passare il tempo e recuperare l'interesse per l'esistenza? Dato che non hanno limitazioni vere, ne accettano di volontarie. L'emozione della sfida artificiale si sostituisce al tedio della realtà». «Sì, può darsi», disse Bink, dubbioso. «Ma questo cosa c'entra con
noi?». «Il Demone X(A/N)th sta facendo penitenza per non aver completato un'applicazione di formule entro un giro», spiegò Humfrey. «Deve restare isolato, nell'inerzia, fino a quando verrà liberato». Bink rimase immobile, per non intercettare altri Pensieri. «Non vedo catene che lo trattengano. In quanto al fatto di essere solo... qui siamo parecchi». «Nessuna catena potrebbe trattenerlo, dato che è onnipotente. Gioca secondo le regole. E naturalmente noi non contiamo, come compagnia. Niente conta, in tutta la Terra di Xanth. Noi siamo parassiti, non Demoni». «Ma... ma...» Bink cercò di afferrare il significato, e non ci riuscì. «Hai detto che questo Demone è la fonte della magia!». «Appunto. Il Demone X(A/N)th è confinato qui da più di mille anni. Dal suo corpo trasuda una minima quantità di magia, che infonde la materia circostante. È troppo poca perché lui se ne accorga... è solo un'emanazione naturale della sua presenza, come i nostri corpi irradiano calore». Per Bink, questo era fantastico quanto i vortici-Pensieri del Demone. «Mille anni? Esalazione di magia?». «In un tempo così lungo anche una perdita minima può diventare notevole... o almeno può sembrarlo ai parassiti», disse il Mago. «Tutta la Magia della Terra di Xanth deriva da questo effetto... e sommata insieme non basterebbe a comporre una sola lettera della formula del Demone». «Ma anche così... perché il corallo ha cercato d'impedirmi di scoprirlo?». «Il corallo non ha nulla contro di te personalmente, Bink. Credo che rispetti la tua decisione, anzi. È contrario all'idea che qualcuno apprenda la verità. Perché chi incontra il Demone X(A/N)th potrebbe essere tentato di liberarlo». «E come può un semplice parassita... voglio dire, come può una persona liberare un'entità simile? Hai detto che il Demone rimane di sua scelta». Humfrey scrollò la testa. «Che cos'è la scelta, per un essere onnipotente? Resta qui per le regole del gioco. È tutta un'altra faccenda». «Ma lui gioca soltanto per divertirsi! Può smettere quando vuole!». «Il gioco è valido solo finché le regole vengono rispettate. Dopo aver investito più di mille anni in questo aspetto ed essere arrivato tanto vicino al successo secondo le regole, perché dovrebbe ritirarsi adesso?». Questa volta fu Bink a scuotere il capo. «Per me non ha molto senso. Io non mi torturerei così!» Eppure un lieve dubbio si insinuava nella sua mente. Lui si torturava per la ninfa Gemma, onorando la convenzione u-
mana del matrimonio con Chameleon. E questo, a un Demone, sarebbe parso assurdo. Humfrey si limitò a guardarlo: capiva in parte ciò che gli passava per la mente. «Sta bene», disse Bink, ritornando all'argomento fondamentale. «Il corallo non voleva che venissi a conoscenza del Demone perché potrei liberarlo. Come potrei liberare un essere onnipotente che non vuole essere liberato?». «Oh, X(A/N)th vuole essere liberato, ne sono sicuro. Ma è necessario seguire il protocollo. Potresti farlo semplicemente rivolgendoti al Demone e dicendogli: "Xanth, io ti libero!" Chiunque può farlo, tranne il Demone stesso». «Ma noi non contiamo, dal suo punto di vista! Non siamo niente! Siamo parassiti!». «Non ho creato io le regole: mi limito a interpretarle, grazie alla comprensione acquisita nel corso dei secoli dal corallo-cervello», disse il Mago allargando le braccia. «Ovviamente la nostra interpretazione è inadeguata. Ma ritengo che come noi potremmo scommettere se un dato granello di polvere si poserà più vicino a me o a te, i Demoni scommettono se i parassiti dicono certe parole in certe occasioni. Conferisce una certa casualità divertente al gioco». «Con tutto quel potere, allora, perché Xanth non induce uno di noi a farlo?». «Sarebbe come se lo facesse lui stesso, e verrebbe considerato un imbroglio. Secondo le regole del gioco, è tenuto a non influenzare in proprio favore nessun altro essere, come ognuno di noi non permetterebbe che l'altro soffiasse sul granello di polvere. Non è questione di potere, ma di convenzioni. Il Demone sa tutto ciò che avviene qui, inclusa questa nostra conversazione: ma se interferisce, perde il punto. Perciò osserva e attende, senza far nulla». «Si limita a pensare», disse Bink, innervosito dall'idea di essere osservato dal Demone. Se Xanth leggeva i pensieri di Bink mentre Bink leggeva i suoi, soprattutto nel caso del ricordo della Demonessa... oh! «Pensare è permesso. È un'altra funzione inerente, come la sua magia colossale. Non ha cercato di influenzarci con i Pensieri; li abbiamo intercettati di nostra iniziativa. Il corallo, essendo più vicino a X(A/N)th per l'intero millennio, ha intercettato più magia e Pensieri del Demone di qualunque altro essere indigeno, quindi lo comprende meno imperfettamente di
tutti gli altri parassiti. Perciò il corallo-cervello è diventato il custode del Demone». «E per invidia impedisce a tutti gli altri di acquisire la stessa magia e le stesse informazioni!» esclamò Bink. «No. Si tratta di un compito necessario e tedioso al quale il corallo avrebbe volentieri rinunciato da secoli. Il suo desiderio più grande è abitare un corpo mortale, vivere, amare, odiare, riprodursi e morire, come noi. Ma non può, altrimenti il Demone verrebbe liberato. Il corallo ha la longevità del Demone senza averne il potere. È una situazione poco invidiabile». «Vuoi dire che il Demone Xanth sarebbe stato liberato secoli fa, se non ci fosse stata l'interferenza del corallo?». «Appunto», disse il Mago. «È incredibile! E il Demone lo tollera?». «Lo tollera, altrimenti perderebbe il punto». «Bene, io la considero una grave violazione dei diritti civili del Demone, e rimedierò subito!» esclamò Bink in tono di virtuosa indignazione. «Che cosa ci guadagna il corallo, tenendo incatenato il Demone?». «Non lo so con certezza, ma posso fare una congettura», rispose Humfrey. «Non lo fa per se stesso, bensì per mantenere lo status quo. Rifletti, Bink: quale sarebbe la conseguenza della liberazione del Demone X(A/N)th?». Bink rifletté. «Immagino che riprenderebbe a giocare». «E noi?». «Ecco, il corallo potrebbe trovarsi nei guai. So che mi arrabbierei se qualcuno mi avesse bloccato per secoli. Ma il corallo doveva conoscere il rischio anche prima d'intromettersi». «Lo conosceva. Il Demone non ha emozioni umane. Accetta l'interferenza del corallo come parte dei rischi naturali del gioco. Non cercherà di vendicarsi. Comunque, potrebbe esserci una conseguenza». «Se Xanth non ha emozioni umane», disse lentamente Bink, «che cosa gli impedirebbe di distruggere tutti? Sarebbe un modo spassionato e addirittura ragionevole di evitare il rischio di restare di nuovo intrappolato qui». «Adesso incominci a capire la preoccupazione del corallo», disse Humfrey. «Sono in gioco le nostre vite. Anche se il Demone ci ignora e si limita ad andarsene per la sua strada, ci sarà senza dubbio una conseguenza». «Direi», ammise Bink. «Se Xanth è la fonte di tutta la magia della nostra terra...» S'interruppe, sgomento. «Potrebbe segnare la fine della magia!
Diventeremo...». «Esattamente. Come Mundania», concluse Humfrey. «Forse non accadrebbe immediatamente: la magia accumulatasi in mille anni impiegherebbe diverso tempo per svanire. Oppure, la perdita potrebbe essere istantanea e assoluta. Non lo sappiamo. Ma senza dubbio ci sarebbe un disastro più o meno colossale. Ora finalmente capisci quale peso ha dovuto addossarsi il corallo. Ha salvato la nostra terra da un destino peggiore dell'annientamento». «Ma forse il Demone non se ne andrebbe», disse Bink. «Forse gli piace star qui...». «Saresti pronto a scommettere il tuo modo di vivere su questa possibilità?». «No!». «Condanni ancora il corallo perché si è opposto a te?». «No, penso che al suo posto avrei fatto la stessa cosa». «Allora te ne andrai senza liberare il Demone?» «Non ne sono sicuro», disse Bink. «Ho acconsentito ad ascoltare la spiegazione del corallo, e l'ho fatto. Ma ora devo decidere da solo che cos'è giusto fare». «Hai qualche dubbio, quando è in causa il bene della nostra Terra?». «Sì. È in causa anche il bene del Demone». «Ma per X(A/N)th si tratta soltanto di un gioco. Per noi si tratta della vita». «Sì», ammise Bink, senza sbilanciarsi. Il Mago si rese conto che quell'argomentazione era inutile. «È il grande rischio che non volevamo assumerci... il rischio dell'esito d'una crisi di coscienza individuale. Il futuro della nostra società dipende da te». Bink sapeva che era vero. Qualunque cosa avessero tentato Humfrey o il corallo non poteva influire su di lui prima che pronunciasse le parole destinate a liberare il Demone. Poteva riflettere un secondo, un'ora o un anno, se voleva, senza che nessuno gli desse fastidio. Non voleva commettere uno sbaglio. «Grundy», disse, e il golem accorse. Non era influenzato dai vorticipensieri. «Tu desideri liberare il Demone Xanth?». «Non posso prendere simili decisioni», protestò Grundy. «Sono soltanto argilla e spago, sono una creatura della magia». «Come il Demone», disse Bink. «Sei non-umano, non esattamente vivo. Si potrebbe affermare che sei un Demone in miniatura. Pensavo che avessi
un'ispirazione utile». Grundy prese a camminare avanti e indietro, molto serio. «Il mio compito è tradurre. Forse non provo le emozioni che provi tu, ma ho una nozione chiarissima del Demone. Lui sta a me come un drago sta a un nichelpiedi. Posso dirti questo: non ha coscienza né compassione. Gioca rigorosamente il suo gioco secondo le regole, ma se lo liberi non avrai da lui ringraziamenti o ricompense. Anzi, sarebbe come barare, da parte sua, se ti offrisse un vantaggio in cambio del servizio resogli, perché questo potrebbe influenzarti. Ma anche se la ricompensa fosse lecita, non te la darebbe. Più probabilmente ti calpesterebbe appena sentisse il tuo odore». «È come te», ripeté Bink. «Com'eri prima che incominciassi a cambiare. Ora sei reale per metà. Tu provi... qualche sentimento». «Ora sono un golem imperfetto. Xanth è un perfetto Demone. Per me, l'umanizzazione è un passo avanti; per lui sarebbe un disonore. Non è della tua specie». «Eppure a me non interessa la gratitudine, ma soltanto la giustizia», disse Bink. «È giusto che il Demone venga liberato?». «Secondo la sua logica, se lo liberassi saresti uno stupido». Il Buon Mago, che stava ascoltando, annuì vigorosamente. «Gemma?» disse Bink. La ninfa alzò la testa: odorava di ossa vecchie. «Il Demone mi fa paura più di qualunque altra cosa», disse. «La sua magia... con un batter d'occhio potrebbe annientarci tutti». «Allora tu non lo libereresti?». «Oh, Bink... non lo farei mai». Gemma esitò graziosamente. «So che hai bevuto il filtro e quindi non è giusto... ma ho tanta paura di ciò che potrebbe fare il Demone, che farei qualunque cosa per te, purché non lo liberassi». Il Buon Mago annuì di nuovo. Le ninfe erano creature semplici e franche, non impacciate dalle complessità della coscienza e delle strategie sociali. Una donna vera avrebbe potuto pensarla come Gemma, ma si sarebbe espressa con maggiore sottigliezza, esponendo una giustificazione razionale in apparenza più convincente. La ninfa aveva annunciato apertamente il suo prezzo. Quindi tutti i consiglieri, logici o emotivi che fossero, suggerivano di non liberare il Demone X(A/N)th. Eppure Bink era ancora incerto. C'era qualcosa in quell'immensa entità supermagica e ludica... Ecco! L'onore. Entro la propria struttura, il Demone aveva il senso
dell'onore. Non aveva violato il codice del gioco... neppure nel minimo dettaglio, sebbene non fosse presente un osservatore della sua specie, ormai da mille anni. Un'integrità che trascendeva la capacità umana. Doveva essere penalizzato per questo? «Ti rispetto», disse finalmente Bink a Humfrey. «E rispetto la motivazione del corallo». Si rivolse al golem. «Penso che tu dovresti avere la possibilità di diventare del tutto reale». E alla ninfa: «Ti amo, Gemma». Tacque per un istante. «Ma non avrei rispetto per nulla, né amore per nulla, se non rispettassi e non amassi la giustizia. Se lasciassi prevalere gli attaccamenti e i desideri personali, perderei il diritto di considerarmi una creatura morale. Devo fare ciò che ritengo giusto». Gli altri non risposero. Si limitarono a guardarlo. «Il problema è», disse Bink dopo un momento, «che non sono certo di ciò che è giusto. La motivazione razionale del Demone Xanth è così complessa, e le conseguenze della perdita della magia per il nostro mondo sono così gravi... che cos'è giusto e che cos'è ingiusto?». Tacque di nuovo. «Vorrei che ci fosse qui Chester, a dividere con me le sue emozioni e la sua razionalità». «Puoi recuperare il centauro», disse Humfrey. «Le acque del lago del corallo non uccidono: conservano. È sospeso nell'acqua salmastra, incapace di fuggire, ma vivo. Il corallo non può liberarlo: l'acqua salmastra lo conserva nello stesso modo. Ma tu, se salverai la magia della nostra terra, potrai attingere al fenomenale potere di questa regione per ripescarlo». «Tu mi offri un'altra tentazione rappresentata da un attaccamento personale», disse Bink. «Non posso permettere che mi influenzi!». Ora si rendeva conto che non aveva ancora vinto completamente la battaglia contro il corallo. Aveva prevalso fisicamente, ma intellettualmente l'esito era ancora in dubbio. Come avrebbe potuto essere certo che la decisione che avrebbe preso sarebbe stata veramente sua? Poi ebbe un'idea luminosa. «Sostieni il contrario, Mago! Dimmi perché dovrei liberare il Demone». Sorpreso, Humfrey esitò. «Non devi liberare il Demone!». «Così pensi tu. Così pensa il corallo. Non so se questa convinzione è veramente tua, o se è solo una funzione della volontà del tuo padrone. Ora tu sosterrai la tesi contraria, e io sosterrò le buone ragioni per lasciarlo incatenato. Forse così affiorerà la verità». «Anche tu hai qualcosa di un demone», borbottò Humfrey. «Ora, io sostengo che questi miei amici sono più importanti di un De-
mone impersonale», disse Bink, «ma so che i miei amici meritano il meglio. Come posso tradirli liberando il Demone?». Humfrey fece una smorfia come se avesse inghiottito il malocchio, ma si riprese abbastanza prontamente. «Non è questione di tradimento, Bink. Nessuno di questi esseri avrebbe mai conosciuto la magia, se non fosse stato per la presenza del Demone. Ora il periodo di prigionia di X(A/N)th si è compiuto e deve essere liberato. Fare altrimenti sarebbe tradire il tuo ruolo nel gioco del Demone». «Io non ho nessun dovere nei confronti del gioco del Demone!» ribatté Bink. «È stato il caso a condurmi qui». «Questo è il tuo ruolo. Il fatto che tu, come essere senziente, non influenzato dalla volontà del Demone, sia venuto qui di tua iniziativa o per caso, a liberarlo. Tu hai lottato contro noi tutti per pervenire al punto decisivo, e hai vinto: ora hai intenzione di buttare via tutto?». «Sì... se è meglio così». «Come puoi presumere di sapere che cosa è meglio per un'entità come X(A/N)th? Liberarlo e lasciarlo arbitro del proprio destino». «A spese dei miei amici, della mia terra e del mio amore?». «La giustizia è assoluta: non puoi contrapporle fattori personali». «La giustizia non è assoluta! Dipende dalla situazione. Quando il torto e la ragione sono su entrambi i piatti della bilancia, la preponderanza...». «Non puoi pesare il torto e la ragione sui piatti di una bilancia, Bink», disse Humfrey, accalorandosi nel ruolo di avvocato del Demone. Adesso Bink era sicuro che era il Buon Mago a parlare, e non il corallo. Il nemico era stato costretto a lasciar libero Humfrey, almeno in quella misura, per permettergli di partecipare al gioco. La mente e i sentimenti del Mago non erano stati cancellati, e ciò faceva parte delle cose che Bink aveva bisogno di sapere. «Il torto e la ragione non si trovano nelle cose o nei libri di storia, e non possono essere definiti in termini umani o demonici. Sono soltanto aspetti del punto di vista. Si tratta di stabilire se al Demone deve essere permesso continuare la sua cerca a modo suo». «La sta seguendo a modo suo», disse Bink. «Se non lo libero, anche questo rientra nelle regole del gioco. Io non ho nessun obbligo!». «L'onore del Demone lo costringe a obbedire a un'imposizione che nessun uomo sarebbe disposto a tollerare», disse Humfrey. «Non è sorprendente che il tuo onore sia inferiore a un principio tanto perfetto». Bink ebbe la sensazione di essere stato investito da una maledizione capace di devastare una foresta. Il Mago era un polemista formidabile, persi-
no a sostegno d'una causa alla quale si opponeva. Ma quella poteva essere la vera posizione del Mago, che il corallo era costretto a lasciargli difendere. «Il mio onore mi impone di seguire il codice della mia specie, per quanto sia imperfetto». Humfrey allargò le braccia. «Non posso contestarlo. L'unica vera guerra tra il bene e il male si svolge nella tua anima... chiunque tu sia. Se sei un uomo, devi agire da uomo». «Sì!» ammise Bink. «E il mio codice dice...» S'interruppe, sorpreso e mortificato. «Dice che non posso lasciare che un essere vivo e senziente soffra a causa della mia inazione. Non importa il fatto che il Demone non mi libererebbe se le nostre posizioni fossero invertite; non sono un Demone e non agirò come uno di loro. Conta soltanto che un uomo non deve restare inerte, lasciando che si perpetui un torto del quale è consapevole. Non può farlo, quando può facilmente rimediare». «Oh, Bink!» esclamò Gemma, che esalava un odore di mirra. «Non farlo!». La guardò ancora una volta: così incantevole anche nell'apprensione, eppure così fallibile. Chameleon avrebbe appoggiato la sua decisione, non per compiacerlo, ma perché era un essere umano che, come lui, credeva nella giustizia. Eppure anche se Gemma, come tutte le ninfe, non aveva una predominante coscienza sociale, era buona per quanto lo permetteva il suo stato. «Gemma, ti amo. So che questa è un'altra cosa che il corallo ha fatto per fermarmi, ma... ecco, se non avessi bevuto il filtro, e se non fossi già sposato, sarebbe stato comunque molto facile innamorarmi di te. Non credo che ti aiuterà a sentirti meglio sapere che rischio anche mia moglie, e mio figlio che deve nascere, e i miei genitori, e tutto il resto che mi è caro. Ma devo fare ciò che devo fare». «Sciocco!» esclamò Grundy. «Se io fossi reale, mi terrei la ninfa e manderei all'inferno il Demone. Non avrai nessuna ricompensa da X(A/N)th!». «Lo so», disse Bink. «Non avrò ringraziamenti da nessuno». Poi si rivolse all'immane faccia del Demone. «Io ti libero, Xanth», disse. CAPITOLO TREDICESIMO LA FINE DELLA MAGIA Immediatamente il Demone si liberò. La magia irradiata nell'ambiente intorno a X(A/N)th non era nulla in confronto a quella della sua liberazione. Vi fu un fulgore accecante, un rombo assordante, e un'esplosione che
scagliò Bink in fondo alla caverna. Andò a sbattere contro una parete. Quando riprese i sensi, vide che la caverna crollava al rallentatore. Pietre enormi piombavano sul pavimento e si sgretolavano trasformandosi in sabbia. Sembrava che tutto il mondo si precipitasse nello spazio lasciato vuoto dal Demone. Era una fine che Bink non aveva previsto: non la distruzione volontaria ad opera di X(A/N)th, o il tedio della perdita della magia, ma l'estinzione indifferente nella scia della partenza del Demone. Era vero: il Demone non si curava di nulla. Mentre la polvere si addensava soffocandolo e l'unica luce era quella proveniente dalle scintille delle pietre che cozzavano, Bink si chiese che cosa aveva fatto. Perché non aveva ascoltato il monito del corallo e non aveva lasciato stare il Demone? Perché non aveva ceduto all'amore per Gemma e... Anche in quella catastrofe, mentre si aspettava che la sua vita avesse fine da un momento all'altro, quell'interrogativo lo indusse a riflettere. Amore? No! Non era più innamorato di Gemma! Quindi la magia era veramente svanita. Il filtro d'amore era stato neutralizzato. Il suo talento non l'avrebbe più protetto. La Terra di Xanth era ormai come Mundania. Bink chiuse gli occhi e pianse. Nell'aria c'era una quantità di polvere che gli bruciava gli occhi, e aveva una paura tremenda, ma non si trattava di questo soltanto. Stava piangendo per Xanth. Aveva distrutto l'unicità del mondo che conosceva; anche se fosse sopravvissuto a quella frana, come avrebbe potuto sopportarlo? Non sapeva come avrebbe reagito la società cui apparteneva. Che sarebbe stato dei draghi e degli alberi groviglio e degli zombi? Come sarebbe vissuta la gente, senza magia? Era come se l'intera popolazione fosse stata bruscamente esiliata nel temuto reame dell'assenza dei talenti. La violenza del cataclisma si placò. Bink si ritrovò sporco di polvere e ammaccato, ma intero, con la spada intatta. Miracolosamente, era sopravvissuto. E gli altri? Sbirciò tra le macerie. Una luce fioca scendeva da uno squarcio in alto, evidentemente il percorso seguito dal Demone per andarsene. X(A/N)th doveva essere sfrecciato verso l'alto, aprendosi la strada attraverso la roccia. Che potenza! «Mago! Gemma!» gridò. Ma nessuno rispose. La frana era stata così disastrosa che solo il tratto dove si trovava era rimasto parzialmente sgombro. Il suo talento l'aveva salvato, prima di sparire. Ma adesso non poteva
più contarci: evidentemente gli incantesimi erano stati le prime magie che erano svanite. Avanzò sulle macerie. Altra polvere si sollevò turbinando: avvolgeva ogni cosa. Bink si accorse che, sebbene credesse di essere stato consapevole dell'intero processo della partenza del Demone, in realtà doveva essere rimasto privo di sensi per diverso tempo. Quanta polvere era caduta! Eppure non aveva bernoccoli sul cranio, e neppure il mal di testa. E tuttavia l'esplosione fisica e magica della liberazione del Demone poteva spiegare tutte quelle incongruenze. «Mago!» gridò di nuovo, pur sapendo che era inutile. Lui, Bink, era sopravvissuto, ma i suoi amici non avevano avuto la protezione decisiva al momento critico. Sotto quella montagna di pietre... Scorse un luccichio, un debole riflesso, un barbaglio tra due pietre polverose. Le separò, e trovò la bottiglia che conteneva Crombie. Sopra c'era un pezzetto di straccio. Bink raccolse il recipiente, lasciò cadere la stoffa... e vide che era quanto restava di Grundy il golem. La minuscola figura d'uomo doveva l'animazione alla magia: adesso era soltanto uno straccetto. Bink chiuse di nuovo gli occhi, assalito da un'altra gelida ondata di angoscia. Aveva fatto ciò che riteneva giusto... ma non aveva calcolato le conseguenze. Le sottigliezze morali erano intangibili; la vita e la morte erano tangibilissime. Con quale diritto aveva condannato a morte quegli esseri? Era morale, per lui, ucciderli in nome della morale? Mise lo straccio in tasca insieme alla bottiglia. Evidentemente l'ultima azione del golem era stata stringersi alla boccetta per proteggerla con il proprio corpo. C'era riuscito, e Grundy aveva dato la vita per la vita del grifone. Aveva dato prova di sentimento, e perciò aveva raggiunto la realtà... appena in tempo perché le circostanze l'annientassero. Cosa c'era di morale in questo? Colpito da un altro pensiero, Bink tirò di nuovo fuori la boccetta. Crombie c'era ancora? In che forma? Ora che la magia era scomparsa, poteva essere morto... a meno che un po' di magia fosse rimasta intrappolata nel recipiente. Era meglio non aprirlo! Se Crombie aveva ancora qualche possibilità, stava nella boccetta. Se fosse uscito e la magia si fosse dissipata nell'aria... sarebbe emerso come uomo o come grifone, o come una massa compressa dalla bottiglia? Bink aveva corso rischi enormi liberando il Demone; non intendeva correrne altri con la vita dell'amico. Rimise in tasca la bottiglietta.
Com'era spaventosa, la profondità di quella buca. Solo con una boccetta, un golem defunto e la propria mortificazione, il principio etico sul quale aveva basato la decisione adesso gli era incomprensibile. Il Demone Xanth era rimasto prigioniero per mille anni e più. Avrebbe potuto restar lì senza danno ancora per un altro secolo, no? Bink scoprì che, dopotutto, non era in fondo alla buca. Le macerie si aprivano in una voragine più profonda, e laggiù c'era l'acqua scura. Il lago! Ma il livello si era abbassato parecchio: adesso rivelava vagamente le umide convoluzioni grigie di una struttura prima sommersa. Il corallo cervello! Anch'esso era morto. Non poteva esistere senza la magia del Demone. «Temo che avessi ragione tu, Corallo» disse tristemente Bink. «Mi hai lasciato passare, e ti ho annientato. Te e il tuo mondo». Sentì odore di fumo... non l'odore fresco e pulito di un allegro falò, ma quello soffocante della vegetazione che bruciava in modo incompleto. Evidentemente la partenza del Demone aveva incendiato qualche cespuglio, ammettendo che ne esistessero, lì sottoterra. Doveva essere stata opera dell'intensa magia, che aveva lasciato un vero incendio. Probabilmente non si sarebbe diffuso molto lontano, a quella profondità: ma stava ammorbando l'aria. Poi sentì un lamento sommesso. Non poteva essere il corallo! Corse verso il suono... e trovò Gemma incastrata in un crepaccio verticale, sanguinante da una ferita alla testa, ma indubbiamente viva. Si affrettò a tirarla fuori e, sorreggendola, la portò in un punto un po' più illuminato. L'appoggiò contro una roccia e le schiaffeggiò delicatamente la faccia, cercando di farle riprendere i sensi. Lei si scosse. «Non svegliarmi, Bink. Lasciami morire in pace». «Ho ucciso tutti gli altri», disse cupamente lui. «Almeno tu potrai...». «Ritornare al mio lavoro? Non posso farlo senza magia». Lei aveva qualcosa di strano, adesso. Bink si concentrò fino a che non riuscì a identificarlo. «Non hai più odore!». «Era una magia», disse Gemma. Sospirò. «Se sono viva, sono viva, credo. Ma vorrei che mi avessi lasciata morire». «Lasciarti morire! Non lo farei mai! Io...». Lei lo fissò. Era incantevole, anche con la faccia incrostata di polvere e di sangue. «La magia è svanita. Non mi ami più». «Comunque, ho il dovere di ricondurti a casa», disse Bink. Alzò la testa, cercando di scoprire il percorso più conveniente, e non vide la reazione enigmatica di Gemma.
Frugarono ancora un po' tra le macerie, ma non riuscirono a trovare il Mago. In un certo senso, Bink si sentì sollevato; adesso poteva sperare che Humfrey fosse sopravvissuto, e se ne fosse andato prima di lui. Bink scrutò lo squarcio dal quale era uscito il Demone. «Non ce la faremo mai a salire fin lassù», disse, tetro. «È quasi tutto a strapiombo». «Io conosco una strada», disse Gemma. «Sarà difficile, senza il perforatore, ma ci sono corridoi naturali... oh!» S'interruppe di colpo. C'era un mostro che sbarrava la strada. Sembrava un drago, ma non aveva né ali né fuoco. Sembrava piuttosto un serpente molto grosso munito di zampe. «È un drago delle gallerie... credo», disse Gemma. «Ma gli manca qualcosa». «La magia», disse Bink. «Si sta trasformando in un essere mundano... e non capisce». «Vuoi dire che io mi trasformerò in una donna mundana?» chiese Gemma, non troppo desolata. «Credo di sì. Per la verità, non ci sono molte differenze tra una ninfa e...». «Di solito non danno fastidio alla gente», continuò lei, a disagio. Prima che Bink potesse reagire, soggiunse: «Sono draghi molto timidi». Oh. Un'incoerenza degna d'una ninfa. Bink tenne la mano sull'impugnatura della spada. «Ma questa non è una delle solite occasioni». E infatti il serpente con le gambe caricò, spalancando le fauci. Sebbene fosse piccolo, per un drago di terra, poiché si era adattato per insinuarsi negli stretti passaggi, era pur sempre un essere formidabile. La testa era più grossa di quella di Bink, il corpo sinuoso e potente. Nello spazio limitato della caverna, Bink non poteva mulinare la spada, ed era costretto a tenerla puntata davanti a sé. Il serpente azzannò la lama... un'azione molto stupida, perché la lama incantata poteva facilmente tagliargli la mascella in due. I denti si strinsero... e la spada venne strappata dalla mano di Bink. Allora ricordò: senza la magia, l'incantesimo della spada era svanito. Doveva arrangiarsi da solo... completamente. Il serpe scagliò da parte la spada e spalancò di nuovo le fauci. Il sangue colava dal labbro inferiore; evidentemente s'era ferito. Ma adesso Bink doveva affrontare il mostro a mani nude. La testa saettò. Bink arretrò saltellando. Ma nell'attimo in cui il serpente sbagliò la mira, Bink lo colpì con un pugno alla sommità del cranio. Il mo-
stro sibilò, furibondo, quando sbatté il mento a terra. Ma Bink gli aveva già piazzato il piede sul collo, schiacciandolo. Le zampe rasparono sulla pietra, quando il serpente tentò di liberarsi. Ma Bink lo teneva inchiodato. «La mia spada!» gridò. Gemma si affrettò a raccoglierla e gliela porse, presentandogli la punta. Bink stava già per afferrarla quando se ne accorse, e quasi perse l'equilibrio e il prigioniero per interrompere il gesto. «Dall'altra parte!» gridò. «Oh!» Gemma non aveva pensato che lui aveva bisogno di afferrare l'impugnatura. Non sapeva nulla di armi. La prese per la lama, impacciata, e gliela tese. Ma quando Bink afferrò l'impugnatura, il serpente si svincolò. Bink balzò indietro, brandendo la spada. Il mostro ne aveva avuto abbastanza, Arretrò, faticosamente... e si tuffò in un pertugio. «Come sei coraggioso!» disse Gemma. «Sono stato stupido a lasciarmi disarmare», disse lui, in tono burbero. Non era molto fiero dello scontro: si era comportato con grande goffaggine. Era stata una rissa sciocca e senza risultato. «Andiamocene, prima che commetta un errore più grave. Ti ho portato lontano da casa tua, e devo ricondurti là sana e salva prima di lasciarti. È giusto così». «È giusto così», ripeté lei con un filo di voce. «C'è qualcosa che non va?». «Cosa farò senza magia?» scattò Gemma. «Non funzionerà più nulla!». Bink rifletté. «Hai ragione. Ho rovinato la tua vita. Sarà meglio che ti conduca in superficie con me». Lei s'illuminò, poi si oscurò. «No, sarebbe inutile». «Ti ho detto che il filtro ha perduto l'effetto. Non ti amo: non ti darò fastidio. Potrai sistemarti in uno dei villaggi, o magari lavorare nel palazzo del Re. Non sarà gran cosa, senza magia, ma sarà sempre meglio che questo». Indicò le caverne tenebrose. «Chissà», mormorò lei. Proseguirono. Gemma conosceva piuttosto bene il labirinto delle grotte, e quando si furono allontanati dalla regione del Demone guidò Bink verso l'alto. Al di fuori della zona rovinata dalla partenza di Xanth non c'erano stati gravi danni. Ma dovunque la magia era sparita, e gli esseri erano impazziti. I ratti cercavano di colpirlo con la magia dei roditori, non ci riuscivano e ricorrevano ai denti. Non erano abituati a usare come armi i denti più di quanto Bink fosse abituato a servirsi d'una spada non incantata, e quindi era un conflitto bilanciato. Lui li ricacciava a grandi fendenti. La
lama non era più magica, ma il filo era ancora tagliente e poteva ferire e uccidere. Comunque, ci voleva parecchia energia per brandire la spada, e lui aveva il braccio stanco. C'era stato un altro incantesimo che aveva reso l'arma più leggera e più docile, senza renderla indipendente come quella che lo aveva attaccato nei giardini di Castel Roogna. I ratti si affollavano più vicini, tenendosi appena fuori tiro, e si facevano avanti per mordergli i calcagni mentre saliva. Gemma non era in una situazione migliore; non aveva neppure un coltello e dovette farsi prestare quello di Bink, per difendersi. Era possibile uccidere un mostro, ma quegli esseri più piccoli sembravano inesauribili. Per fortuna non erano nichelpiedi, ma si comportavano quasi nello stesso modo. «Il percorso... in certi tratti sarà buio», disse Gemma. «Non ci avevo pensato... senza magia non c'è fosforescenza, non c'è luce magica. Il buio mi fa paura». C'era ancora un po' di fosforescenza residua, ma stava svanendo. Bink guardò i ratti, così vicini. «Hai ragione», disse. «Dobbiamo vedere contro che cosa ci stiamo battendo». Si sentiva nudo senza il suo talento, anche se l'aveva protetto solo contro la magia... una protezione che ora non sarebbe servita a nulla. Ai fini pratici la sua situazione era immutata, dato che nessuna magia lo minacciava. Ora o mai più. «Il fuoco... abbiamo bisogno di fuoco. Se possiamo farci qualche torcia...». «Io so dove ci sono pietre focaie!» disse Gemma. Ma subito si trattenne. «Ma non credo che possano funzionare, senza magia!». «Sai dove ci sia un po' d'erba secca... paglia, voglio dire... che potremmo attorcigliare e bruciare? E... ma io non so come i mundani accendono il fuoco, quindi...». «Io so dove c'è il fuoco magico...». La ninfa s'interruppe di nuovo: «Oh, è spaventoso! Niente magia...». Sembrava sul punto di piangere. Come Bink sapeva bene, le ninfe non avevano una grande fermezza di carattere. Sembravano create dalla magia per accontentare i sogni sbarazzini degli uomini, non quelli seri. Eppure aveva pianto anche lui, quando s'era reso conto dell'enormità di ciò che aveva fatto. Fino a che punto la sua percezione della natura delle ninfe era ispirata dallo sciovinismo maschile? «Lo so io!» esclamò Bink. «C'era qualcosa che bruciava... prima ho sentito l'odore. Se andassimo a prendere un po' della sostanza incendiata...». «Magnifico!» esclamò lei, con un guizzo d'entusiasmo ninfesco. O di en-
tusiasmo femmineo, si corresse Bink. Lo trovarono presto, a lume di naso: erano i resti di un giardino magico evidentemente appartenuto ai folletti e ormai bruciato. Il fogliame morto fumava, e il fumo saliva verso la volta della grotta. I folletti, naturalmente, erano molto lontani; avevano avuto tanta paura dell'incendio che non avevano neppure tentato di spegnerlo. Bink e Gemma raccolsero il materiale che sembrava migliore, attorcendolo per formare una corda irregolare, e accesero un'estremità. La torcia improvvisata crepitò, divampò e si spense in una nube di fumo fetido. Ma dopo parecchi tentativi riuscirono a ottenere risultati migliori; era sufficiente lasciarla bruciacchiare fino a quando avevano bisogno di una fiamma viva, e potevano averla soffiandoci sopra. La portò Gemma; le dava un senso di sicurezza di cui aveva un gran bisogno, e Bink doveva avere le mani libere per battersi. I nemici peggiori, adesso, erano i folletti, evidentemente risentiti per l'intrusione nel loro giardino. Prima non si erano fatti vedere... ma loro avevano viaggiato sul perforatore, con la magia protettiva e luce in abbondanza. Nell'assenza di luce, i folletti diventavano più ardimentosi. Sembravano un incrocio tra uomini e ratti. Ora che la magia era svanita, l'aspetto umano diminuiva e l'aspetto rattesco diventava più pronunciato. Bink si accorse che questo era evidente soprattutto nelle abitudini; fisicamente somigliavano ancora a omettini primitivi, con i grossi piedi molli e le piccole teste dure. Il guaio era che i folletti avevano l'intelligenza degli uomini e gli scrupoli dei roditori. Si tenevano fuori di vista, ma non erano vigliacchi; c'era il fatto che, anche in cinque o sei, non erano in grado di tener testa alla spada di Bink, e non c'era spazio sufficiente perché potessero avvicinarglisi in numero maggiore. Perciò stavano alla larga... senza desistere. «Credo abbiano capito che ho liberato il Demone», mormorò Bink. «Ora vogliono vendicarsi... e non hanno tutti i torti». «Tu hai fatto ciò che ritenevi giusto!» esclamò Gemma. Bink le cinse la vita con il braccio. «E tu stai facendo ciò che ritieni giusto, aiutandomi a raggiungere la superficie... anche se sappiamo entrambi che ho sbagliato. Ho distrutto la magia di Xanth». «No, non hai sbagliato», disse lei. «Avevi empatia per il Demone e...». Bink la strinse. «Grazie per queste parole. Ti dispiace se io...». S'interruppe. «Dimenticavo! Adesso non sono più innamorato di te». «Non mi dispiace comunque», disse Gemma. Ma Bink la lasciò, imba-
razzato. Un folletto sghignazzò malignamente. Bink si chinò per raccogliere un sasso e tirarglielo, ma naturalmente sbagliò la mira. Bink si armò di un gran numero di pietre, e cominciò a tirarne una ogni volta che vedeva un folletto. In poco tempo i suoi tiri divennero molto precisi, e i folletti si tennero a rispettosa distanza. Le pietre avevano una speciale magia che non aveva nulla a che vedere con la magia reale; erano dure, aguzze e abbondanti, e Bink aveva le braccia più forti di quelle dei folletti. Comunque, i folletti non desistettero. L'avvertimento di Beauregard era stato veritiero: Bink non aveva mai incontrato in vita sua folletti cosi coraggiosi e tenaci. Avrebbe voluto riposare, perché era stanchissimo, ma non osava farlo. Se si fosse fermato avrebbe rischiato di addormentarsi, e sarebbe stato il disastro. Naturalmente poteva dire a Gemma di stare di guardia mentre lui dormiva... ma dopotutto lei era solo una ninfa, anzi, una giovane donna, e temeva che i folletti la sopraffacessero senza difficoltà. E nelle mani dei folletti, la sorte di Gemma sarebbe stata probabilmente peggiore della sua. La sbirciò di sottecchio. Il cammino faticoso stava lasciando i segni su di lei. I capelli avevano perduto il brillio e pendevano opachi e scomposti. Gli ricordava un po' Chameleon... ma non nella fase della bellezza. Continuarono a camminare. Presso la superficie l'ascesa divenne più difficile. «Non ci sono molte comunicazioni con il mondo di sopra», disse Gemma, ansimando. «Questo è il percorso migliore... ma non so come sia possibile salire senza una corda o un paio d'ali». Non lo sapeva neppure Bink. Se fosse stato un percorso comodo, il talento di Crombie l'avrebbe indicato durante l'andata. Il cielo diurno era visibile attraverso una breccia nel suolo lassù... ma le pareti erano in forte pendenza, e rese sdrucciolevoli dall'umidità. Senza magia, salire era impossibile. «Non possiamo restare qui a lungo», disse preoccupata Gemma. «C'è un albero groviglio vicino all'uscita, e le sue radici possono causare guai». S'interruppe di nuovo. «Ma senza magia...». Era per quello che il talento di Crombie non aveva indicato quella direzione, pensò Bink. Un albero groviglio! Ma la magia malefica era sparita come quella benefica. «Andiamo!» esclamò. Trovò le radici dell'albero e le strappò dalla roccia, tagliandole quando erano abbarbicate troppo saldamente. Le annodò in fretta, formando una corda solida. Le radici degli alberi groviglio erano fortissime:. avevano la funzione di bloccare le prede che si dibattevano. Non c'era dubbio: la cor-
da avrebbe retto il suo peso. «Ma come possiamo farla arrivare lassù?» chiese ansiosamente Gemma. «C'è una grossa radice che attraversa la breccia nel punto più stretto», disse Bink. «Guarda! Eccola là». Gemma guardò. «Non l'avevo mai notato! Ero venuta qui almeno cinque o sei volte, a prendere in giro l'albero e a chiedermi come poteva essere il mondo di lassù, quando avrei dovuto piantare le pietre preziose...». Poi interruppe quella confessione. «Sei molto osservatore». «E tu sei molto complimentosa. Non preoccuparti. Questa volta vedrai il mondo della superficie. Non ti lascerò fino a quando non sarai al sicuro in buone mani. Forse nel villaggio della polvere magica». Gemma distolse gli occhi e non disse nulla. Bink la sbirciò attraverso il fumo della torcia d'erba, preoccupato. «Ho detto qualcosa che non dovevo?». Lei tornò a guardarlo, con un'improvvisa decisione. «Bink, ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?». Lui rise. «Come se potessi dimenticarlo! Eri così bella, e io ero così sporco... quasi quanto lo siamo tutti e due, adesso! E avevo appena bevuto il...». Scrollò le spalle. Non voleva più parlare del filtro magico. «Sai, quasi mi dispiace che sia finita. Sei una ninfa molto cara, e senza il tuo aiuto...». «Allora tu mi amavi e io non ti amavo», disse Gemma. «Tu eri subdolo e io ingenua. Mi hai attirata vicina e poi mi hai afferrata e mi hai baciata». Bink era imbarazzato. «Scusami, Gemma. Io... non succederà più». «Questo lo pensi tu», disse lei. Gli buttò le braccia al collo e lo baciò appassionatamente. Per quanto fosse sporca, fu comunque un'esperienza straordinaria; Bink ebbe quasi l'impressione di sentire di nuovo l'effetto del filtro d'amore. Prima l'aveva amata senza conoscerla; ora la conosceva, capiva i suoi limiti ninfeschi, e la rispettava per l'impegno con cui cercava di superarli; e gli piaceva più di quanto fosse lecito. Sotto l'amore artificiale era sbocciato un affetto autentico, e quell'affetto era rimasto. Che cosa avrebbe pensato Chameleon, si chiese, se avesse visto quell'abbraccio? Gemma lo lasciò. «Il voltafaccia è lecito», disse. «Io sono più complicata di quanto fossi qualche ora fa, e tu sei più semplice. Adesso avanti con quella corda». Che cosa aveva inteso dire? Perplesso, Bink legò all'estremità della fune una pietra pesante e la lanciò verso la grossa radice. Ma ricadde, a causa del peso della corda. Ritentò ancora, ma la fune pesava troppo, e trascinava
in basso la pietra. Finalmente l'avvolse in un gomitolo e la scagliò verso l'alto... questa volta arrivò fin lassù... e ricadde, senza passare al di sopra della radice. Ma stava facendo progressi, e dopo qualche altro tentativo la manovra riuscì. La pietra ricadde, trascinandosi dietro la fune, che s'impigliò prima che il sasso arrivasse a portata di mano; ma con qualche strattone, Bink la liberò. Annodò insieme le estremità, formando un anello completo perché non scivolasse. «Io posso salire per primo, e poi tu potrai sederti nel cappio, così ti tirerò su», disse a Gemma. Sapeva che lei non ce l'avrebbe fatta ad arrampicarsi: aveva le braccia troppo delicate. «Alza la fiamma della torcia, così i folletti non si avvicineranno». Gemma annuì. Bink respirò profondamente, e si sentì ritornare le energie in vista di quell'ultimo sforzo. Poi afferrò la corda e incominciò a salire. All'inizio andò meglio di quanto sperasse, ma ben presto andò peggio. Le sue braccia si stancarono, dato che erano già non molto fresche in partenza. Strinse le gambe intorno alla corda per riposare le braccia. Oh, poter avere un po' d'elisir risanatore! Comunque, Gemma stava aspettando, e stavano aspettando anche i ratti e i folletti; non poteva permettersi d'indugiare troppo. Tormentosamente, si issò avanzando con crescente lentezza. Ansimava, gli girava la testa, e le braccia sembravano pesare come tronchi intrisi d'acqua, ma continuava a muoversi. All'improvviso, quasi per un miracolo, arrivò in cima. Forse la sua mente s'era in parte assopita per escludere la sofferenza e si era rianimata all'arrivo. Si aggrappò alla grossa radice pelosa. Mai, mai, prima di quell'avventura, aveva immaginato che avrebbe abbracciato con gioia un albero groviglio! Fece per mettersi a cavalcioni, non ci riuscì, e si sentì scivolare. Era quasi un sollievo... Ma c'era la corda, e l'abbracciò ansimando. La distanza era così breve, ma era così difficile! C'era un nodo vicino alla sommità. Bink si puntellò con i piedi e usò i muscoli delle gambe per spingersi verso l'alto. Bene o male, passò oltre la radice. Vide che nella parte superiore la corteccia era ruvida, adatta per aggrapparsi. Si aggrappò, si arrampicò, e finalmente poté sdraiarsi, ansimando, troppo esausto per provare sollievo. «Bink!» gridò Gemma dal basso. «Tutto bene?». Bink si scosse. Le sue fatiche non erano finite. «Dovrei chiederlo a te! I ratti stanno lontani? Ce la fai a metterti seduta per salire?». Non sapeva
come avrebbe fatto a issarla, sfinito com'era, ma non poteva dirglielo. «No, non va bene. Non salgo». «Gemma! Sali sulla corda! I ratti non possono raggiungerti se tiri su l'estremità della fune». «Non è per i ratti, Bink. Ho vissuto quaggiù tutta la vita. Posso tener testa ai ratti e anche ai folletti, finché ho la torcia. Si tratta di te. Sei un bell'uomo». «Io? Non capisco!». Ma Bink cominciava a capire. Gemma non si riferiva al suo aspetto attuale, che era più brutto della brutta faccia di Chester. (Oh, l'eroico centauro... in che stato si trovava, adesso?) I sintomi erano apparsi evidenti: lui aveva semplicemente rifiutato di interpretarli. «Quando hai bevuto il filtro, sei rimasto onesto», gridò Gemma. «Eri forte, più forte di qualunque ninfa. Non ti sei mai servito del filtro come di un pretesto per tradire la tua cerca o i tuoi amici. Ho rispettato e invidiato questa tua qualità, e ho cercato di prenderla a modello. L'unica eccezione è stata il solo bacio che hai rubato, e così anch'io te ne ho rubato uno. Ti amo, Bink, e adesso...». «Ma tu non hai bevuto il filtro!» protestò lui. «E anche se l'avessi bevuto, adesso la magia è sparita...». «Non ho bevuto il filtro», ammise lei. «Quindi la scomparsa della magia non ha cancellato l'amore. Sono stata costretta a crescere, a perdere la mentalità innocente delle ninfe. Ora percepisco la realtà, e so che per me non può esserci altro antidoto che il tempo. Non posso venire con te». «Ma non puoi vivere laggiù!» gridò Bink, inorridito. L'amore per lei era stato una magia; ma l'amore di Gemma per lui era reale. Lo amava più di quanto lui l'avesse amata. E non era più una ninfa. «Deve esserci una soluzione...». «C'è, e la sto utilizzando. Quando ho visto come mi sacrificavi sebbene fossi sotto l'effetto dell'incantesimo, ho capito che non avrei avuto speranza, quando fosse cessato. È un'ironia che il mio amore sia sbocciato solo quando hai rinunciato a me, perché hai rinunciato a me. Perché eri fedele ai tuoi principii e ai tuoi impegni precedenti. Ora io sarò fedele ai miei. Addio, Bink!». «No!» gridò lui. «Esci di lì! Deve esserci un sistema migliore...». Ma la corda stava scivolando dalla radice. Gemma l'aveva slegata nella parte bassa e la stava liberando. Cercò d'afferrarla, troppo tardi. L'estremità serpeggiò sopra la radice e cadde nell'oscurità. «Gemma!» gridò. «Non farlo! Non ti amo, ma mi sei simpatica. Io...».
Ma era inutile. Lei aveva ragione: anche quando l'aveva amata, aveva saputo di non poterla avere. E questo non era cambiato. Dal basso non arrivò risposta. La ninfa aveva scelto la soluzione più onorevole, e se ne era andata da sola lasciandolo libero. Esattamente come avrebbe fatto lui, nelle stesse circostanze. Non poteva far altro che tornare a casa. «Addio, Gemma!» gridò, augurandosi che lei lo sentisse. «Forse non hai il mio amore, ma hai il mio rispetto. Ora sei una donna». Rimase in ascolto, ma non sentì più nulla. Finalmente smontò dalla radice e si guardò intorno. Era in un profondo burrone, e lo riconobbe; era una diramazione dell'Abisso, la grande spaccatura che fendeva in due parti la Terra di Xanth. L'albero cresceva sul fondo, ma si protendeva verso l'alto, e un ramo si estendeva oltre l'orlo. Poiché la magia non c'era più, non era pericoloso arrampicarsi. Anzi, ora avrebbe incontrato ben pochi rischi. Poteva dirigersi verso il palazzo del Re e raggiungerlo in un giorno. Scorse alcuni insetti inerti. Giacevano in un tratto assolato, con le mandibole frementi. Bink provò un senso di compassione, e li spinse gentilmente con un piede verso l'ombra. Povere bestiole! Poi le riconobbe. Erano nichelpiedi privati della loro magia. Che decadenza terribile! Ma quando si calò dall'ultimo tentacolo dell'albero groviglio e raggiunse la superficie, si accorse che era irriconoscibile. Il crepaccio tagliava da nord a sud, non da est a ovest. Forse la perdita della magia aveva fatto deviare il sole? Doveva trattarsi di un altro burrone, non dell'Abisso. Si era smarrito, dopotutto. Ora che ci pensava, gli sembrava difficile che si fosse spinto tanto a nord da raggiungere l'Abisso. Quindi si trovava probabilmente a sud, dell'Abisso e del palazzo reale. Era meglio proseguire verso nord fino a quando avesse incontrato l'Abisso o qualche altro segno di riferimento utile. Il percorso era più difficile di quanto avesse previsto. Non c'erano magie ostili, questo era vero... ma non c'erano neppure magie benefiche. La natura del paesaggio era fondamentalmente cambiata, diventando mundana. Non c'erano frutti volanti, né alberi delle scarpe, né arbusti dei jeans per sostituire i suoi abiti laceri, né meloni d'acqua per bere. Doveva trovare cibo e acqua normali, e non sapeva dove cercarli. Gli animali, storditi dalla perdita della magia, lo evitavano; non erano abbastanza furbi per capire che anche lui non aveva più poteri magici. Per fortuna. Era pomeriggio avanzato. Non sapeva quante ore o quanti giorni avesse
trascorso sottoterra, ma lì, in vista del sole, avrebbe potuto tenere di nuovo conto del tempo. Avrebbe dovuto passare la notte nella foresta. Non sembrava pericolosa; e avrebbe potuto arrampicarsi su un albero. Ne cercò uno adatto. Molti alberi sembravano morti; forse erano soltanto addormentati, in quel nuovo inverno causato dall'assenza della magia. Forse sarebbero trascorsi mesi o anni prima che apparissero evidenti le devastazioni di quell'inverno. Altri alberi prosperavano; dovevano essere le varietà mundane, liberate dalla concorrenza della magia. Per Bink sarebbe stato meglio sistemarsi su un albero mundano in buona salute, o su uno magico defunto? Bink rabbrividì. Era stanco, si sentiva solo e oppresso dal rimorso di ciò che aveva fatto. Domani avrebbe dovuto affrontare i suoi amici alla reggia e dire loro... Ma sicuramente avevano già intuito la sua colpa. Non era l'idea della confessione che lo turbava, bensì quella del castigo. Gemma aveva fatto bene ad evitarlo: per lui non c'era futuro, in patria. Quella regione gli sembrava vagamente familiare. Tra gli arbusti c'erano piste come quelle delle formiche-leoni, e rovi, e tratti di piante odorose... Ci sono!» esclamò. «È il punto dove abbiamo incontrato la strada sospesa che portava al villaggio della polvere magica!». Scrutò tra le fronde languenti... e vide una passerella di tronchi e liane, appesa agli alberi più robusti. Non descriveva cerchi nell'aria: ma adesso, naturalmente, non era più magica. Salì e si incamminò. La passerella sembrava traballante e minacciava di cedere sotto il suo peso, ma lo reggeva. A tempo debito lo portò al villaggio. Aveva temuto di trovare una scena di desolazione. Invece, l'intero villaggio era in festa. Un grande falò divampava allegramente, e uomini e donne di tutte le specie gli ballavano intorno. Uomini? E come c'erano arrivati? Quello era un villaggio di donne! Era una nuova Ondata di conquistatori venuti da Mundania, e quei bruti stavano facendo baldoria nel villaggio abitato da povere donne indifese? Ma non c'era un'atmosfera di minaccia. Gli uomini avevano l'aria felice, ovviamente... ma l'avevano anche le donne. Bink entrò nell'abitato, cercando Traila. Un uomo lo vide scendere dal sentiero pensile. «Salve, amico!» gli gridò. «Bentornato a casa! Chi è la tua vedova?». «La mia vedova?» chiese Bink, senza capire.
«La tua donna... prima che ti fregasse la gorgone. Sarà felicissima di rivederti». La gorgone! Bink comprese. «Siete gli uomini di pietra! Liberati dalla fine della magia!». «E tu no?» L'uomo rise. «Allora vieni a parlare con il capo». «Traila», disse Bink. «Se è ancora qui...». «Chi cerca Trolla?» chiese qualcuno. Era un troll enorme, bruttissimo. O meglio un troll normale; erano tutti bruttissimi e colossali. Bink portò la mano all'impugnatura della spada. «Voglio solo parlarle». «Sicuro», disse cordialmente il troll, e si fece portavoce con le mani. «Carogna, vieni qui!». Parecchie giovani donne si voltarono a guardare, sorprese, pensando che si rivolgesse a loro. Bink represse un sorriso. «Uh, ma la gorgone», disse. «Che fine ha fatto?». «Oh, volevamo farle la festa, dopo aver... sai...» disse il troll. «Era piuttosto bella, a parte la chioma di serpenti. Ma lei si è tuffata nel lago, e prima che ci rendessimo conto che nell'acqua non c'erano più mostri è arrivata troppo lontano perché potessimo acchiapparla. L'ultima volta che l'abbiamo vista era diretta a nord». A nord. Verso il castello del Mago Humfrey. Bink era lieto che si fosse salvata, ma sapeva che non avrebbe trovato Humfrey. Questo era un altro aspetto della tragedia causata da lui. Trolla stava arrivando. «Bink!» esclamò. «Ce l'hai fatta!». «Ce l'ho fatta», riconobbe lui in tono grave. «Ho eliminato la magia della terra di Xanth, l'ho trasformata in Mundania. Ora torno a casa per subire il castigo». «Il castigo?» gridò il troll. «Ci hai liberati tutti! Sei un eroe!». Quello era un aspetto della situazione che Bink non aveva considerato. «Allora non siete in collera per la fine della magia?». «In collera?» gridò Trolla. «In collera perché mio marito è tornato, così bello e sano che me lo mangerei?». Abbracciò il troll con tanta forza che avrebbe stritolato le costole a un uomo normale. Il marito non sembrò risentirne, ma pareva comunque a disagio, per qualche ragione tutta sua. Arrivò in volo una grifona. «Awk?» chiese. «Ed ecco la tua guida, liberata dall'incantesimo della mosca mida», disse Traila. «Dov'è il tuo bell'amico grifone?». Bink pensò che fosse meglio non parlare della bottiglia. «È... altrove. Per la verità era un uomo trasformato. Parlava molto bene della signora
grifona, ma... vi prega di scusarlo». La grifona se ne andò delusa. Evidentemente non aveva un maschio. Forse ne avrebbe trovato presto uno... anche se con l'alterazione della forma che stava agendo in tutte le creature magiche, Bink si domandava se quel maschio avrebbe somigliato più a un'aquila o a un leone. Oppure i grifoni attuali avrebbero mantenuto il loro aspetto, mentre i figli sarebbero stati aquile e leoni? E in tal caso, come sarebbero stati i loro figli? La perdita della magia poneva non meno problemi della sua presenza! «Vieni! Questa sera ti festeggeremo come un re, e tu ci racconterai tutta la storia!» disse Trolla. «Sono... ehm... sono molto stanco», mormorò Bink. «Preferirei non raccontare la storia. Il mio amico, il Buon Mago... è disperso, e anche il centauro, e i ricordi sarebbero troppo dolorosi...». «Sì, hai bisogno di distrazione», riconobbe Trolla. «Ci sono alcune femmine spaiate, figlie dei più vecchi abitanti del villaggio. In questo momento si sentono molto sole e...». «Uh, no, grazie», disse prontamente Bink. Aveva già spezzato troppi cuori! «Mi basta qualcosa da mangiare, e un posto dove passare la notte, se è possibile...». «Non abbiamo molto spazio: la popolazione è raddoppiata. Ma le ragazze si occuperanno di te. Così avranno qualcosa da fare, e saranno ben contente di dividere con te le loro stanze». Bink era troppo stanco per protestare ancora. Ma le «ragazze» erano un assortimento di fatine e di elfette che gli dedicarono un'attenzione lusinghiera, ma non mostrarono grande interesse per lui come uomo. Si divertirono a rimpinzarlo, imboccandolo a turno con le loro manine e cinguettando allegramente. Non gli permisero di mangiare in un piatto: gli portavano un bocconcino alla volta. Poi lo fecero sdraiare su un letto formato da trenta minuscoli cuscini colorati, mentre le fatine gli giravano intorno, sventolandolo con le ali trasparenti. Non potevano più volare, naturalmente, e presto le alucce sarebbero cadute, ma al momento erano graziosissime. Bink si addormentò contando quelle creaturine che gli saltavano allegramente addosso, giocando. Ma l'indomani mattina dovette affrontare di nuovo la realtà del doloroso viaggio di ritorno. Era contento che la sua cerca avesse fatto almeno quel po' di bene: forse era stato il suo talento a decidere così, prima di venire annullato dalla scomparsa della magia, per assicurargli un posto ospitale per quella notte. Ma il resto di Xanth... che speranze restavano?
La grifona lo accompagnò per un tratto, guidandolo, e in breve tempo Bink arrivò alla foresta morta, in un territorio ormai quasi familiare. Non era più molto diversa dal resto. Ringraziò la grifona, le fece mille auguri, e proseguì da solo, verso nord. La solitudine lo opprimeva. L'assenza della magia era onnipotente e ossessiva. Tutte le piccole cose cui era abituato erano scomparse. Non c'erano più i rospi azzurri seduti sui funghi, né calumet indiani che esalavano il loro dolce fumo. Gli alberi non scostavano più i rami al suo passaggio e non gli gettavano incantesimi perché girasse alla larga. Era tutto disperatamente mundano. Si sentiva di nuovo stanco, e non solo a causa della marcia faticosa. La vita meritava d'essere vissuta, senza la magia? Bene, Chameleon sarebbe rimasta bloccata nella fase «normale», quella che lui preferiva; né bellissima né intelligentissima, ma una gradevole via di mezzo. Sì, avrebbe potuto sopportarlo per qualche tempo prima che diventasse noioso, presumendo che gli venisse permesso di... Si fermò. Sentì uno scalpitio di zoccoli. Un nemico? Non gli importava molto: era compagnia! «Ehilà!» gridò. «Sì?». Era una voce di donna. Bink corse in quella direzione. Sul sentiero c'era una centauressa. Non era molto carina; i fianchi erano opachi, la coda carica di lappe (naturalmente una signora non avrebbe mai imprecato per staccarle) e il torso umano e il viso, sebbene fossero femminili, non erano ben proporzionati. La seguiva un centauretto, che non soltanto non era bello, ma decisamente brutto, a parte i lucidi quarti posteriori. Anzi, somigliava a... «Chester!» esclamò Bink. «È il puledro di Chester!». «Oh, ma sei Bink!» esclamò la centauressa. Bink la riconobbe: era Cherie, la compagna di Chester. Eppure non era più la bellezza di un tempo. Che cosa era successo? Tuttavia, ebbe il buon senso di esprimersi in modo obliquo. «Che cosa ci fai qui? Credevo che saresti rimasta nel villaggio dei centauri fino a...» Ma anche quello era un errore, perché Chester non sarebbe più ritornato. «Sto trottando alla reggia per scoprire chi è responsabile del miracolo», disse Cherie. «Ti rendi conto che l'oscenità è stata bandita da Xanth?». Bink ricordò: Cherie considerava oscena la magia, almeno quando si manifestava nei centauri. Negli altri la tollerava come un male necessario, poiché si considerava una giumenta dalla mentalità liberale, ma preferiva discuterne solo clinicamente.
Bene! Almeno c'era una persona che apprezzava il cambiamento. «Purtroppo il responsabile sono io». «Tu hai abolito la magia?» chiese Cherie, sbalordita. «È una storia lunga», disse Bink. «E dolorosa. Non credo che gli altri l'accetteranno come hai fatto tu». «Montami in groppa», disse lei. «Viaggi troppo lentamente. Ti porterò alla reggia, e tu potrai raccontarmi tutta la storia. Non vedo l'ora di sentirla!». Ma il peggio sarebbe venuto quando avesse saputo la verità sul conto di Chester. Eppure doveva dirglielo. Bink le montò in groppa, e si aggrappò quando lei si avviò al trotto. Aveva previsto di marciare per tutto il giorno, ma non sarebbe stato necessario. Cherie sarebbe arrivata alla reggia prima di sera. Le raccontò la storia. La raccontò con più dettagli di quanto fosse necessario, e si accorse che lo stava facendo perché aveva paura di arrivare alla scena decisiva... quando Chester aveva combattuto il terribile duello e aveva perduto. Certo avrebbe vinto, se il malocchio destinato a Bink non l'avesse stordito... ma per Cherie non sarebbe stato un gran conforto. Cherie era vedova... e toccava a lui dirglielo. Il suo racconto fu interrotto da un muggito. Apparve un drago... ma era un mostro molto malridotto. Le squame lucenti erano diventate grigie e opache. Quando sbuffava fuoco, uscivano soltanto fiotti di polvere. Aveva già un'aria malandata e denutrita: per andare a caccia s'era sempre servito della sua magia. Il drago comunque caricò, deciso a divorare centauressa, uomo e centauretto. Bink sguainò la spada e Cherie scalpitò, pronta a scalciare. Anche conciato male, un drago di quelle dimensioni era pericoloso. Poi Bink scorse una cicatrice sul collo del mostro. «Ehi... ma noi ci conosciamo!» Esclamò. Il drago si fermò. Poi alzò la testa in segno affermativo. «Io, Chester e Crombie lo avevamo incontrato e avevamo concluso una tregua con lui», disse Bink. «Abbiamo combattuto insieme contro i nichelpiedi». «Ormai i nichelpiedi sono innocui», disse Cherie. «Le mandibole hanno perduto la...». Sporse le labbra in una smorfia di disgusto. «La magia. Sono entrata nell'Abisso e li ho calpestati, e non hanno potuto farmi nulla». Bink lo sapeva. «Drago, la magia ha abbandonato Xanth», disse. «Dovrai imparare a cacciare e combattere senza le fiamme. A suo tempo ti tra-
sformerai nella tua componente mundana principale, o almeno lo faranno i tuoi figli. Temo che la forma sarà quella di un grosso serpente. Mi dispiace». Il drago lo fissò inorridito. Poi girò su se stesso e si allontanò in gran fretta. «Dispiace anche a me», disse Cherie. «Ora capisco che Xanth non è più Xanth, senza magia. Gli incantesimi hanno una loro funzione. Gli esseri come quello... per loro la magia è naturale». Da parte sua era una concessione considerevole. Bink riprese il racconto. Non poteva più tergiversare, perciò si fece coraggio e disse quel che doveva dire. «E così, ho Crombie qui nella boccetta», concluse. Sentiva la terribile tensione di Cherie. «Ma Chester e Humfrey...». «Sono rimasti laggiù», disse lui. «Perché io ho liberato il Demone». «Ma non sei certo che siano morti», disse lei, ancora tesa. «È possibile ritrovarli...». «Non so come», disse tristemente Bink. Quella faccenda non gli piaceva. «Humfrey si è probabilmente perduto; ecco perché non hai trovato il suo corpo. È stato stordito dal crollo. Senza la sua magia informazionale, potrebbe venire scambiato per un folletto. E Chester... è troppo duro per... per... Non è morto, è solo in salamoia. Hai detto che il lago aveva poteri conservanti...». «Sì», rispose Bink. «Io... ma si è svuotato, e ho potuto vedere le circonvoluzioni del corallo». «Non era svuotato completamente. E Chester è laggiù, lo so, come il grifone è nella boccetta. Possiamo trovarlo, farlo rivivere...». Bink scrollò la testa. «No, senza magia». Cherie lo disarcionò. Bink volò nell'aria, vide il terreno avvicinarsi a velocità spaventosa, ricordò che il suo talento non l'avrebbe salvato... e atterrò fra le braccia di Cherie. Lei aveva spiccato un balzo per afferrarlo all'ultimo momento. «Scusami, Bink. È che queste oscenità mi sconvolgono. I centauri non...». Lo rimise in piedi, senza finire la frase. Non era più bella, ma aveva ancora la forza dei centauri. La forza, non la bellezza. Era stata una creatura magnifica, al tempo della magia; adesso era ancora imponente, ma piuttosto flaccida, come quasi tutte le femmine umane o umanoidi delle stesse dimensioni. Il suo viso era stato deliziosamente piccante; adesso era scialbo. Che cosa poteva spiegare
quel cambiamento improvviso, se non la fine della magia? «Fammi capire», disse Bink. «Tu pensi che tutta la magia sia oscena...». «Non tutta la magia, Bink. Per alcuni di voi sembra naturale... ma siete soltanto umani. Per un centauro è tutta un'altra cosa. Noi siamo civili». «E se anche i centauri avessero avuto la magia?». Lei atteggiò il viso in una smorfia di ripugnanza controllata. «Sarà meglio muoverci prima che sia troppo tardi. Abbiamo ancora parecchia strada da fare». «Come Herman l'Eremita, lo zio di Chester», insistette Bink. «Lui sapeva chiamare i fuochi fatui». «Fu esiliato dalla nostra società», disse Cherie. Aveva un'aria acida che ricordava Chester. «E se altri centauri avessero avuto la magia?». «Bink, perché sei così insultante? Vuoi che ti abbandoni qui nel territorio desolato?». Cherie chiamò con un cenno il centauretto, che si affrettò a raggiungerla. «E se anche tu avessi avuto un talento magico?» chiese Bink. «Lo considereresti osceno?». «Basta!» sbuffò lei. «Non sopporto un simile comportamento, neppure da parte di un umano. Vieni, Cheti» e si avviò. «Maledizione, giumenta, ascoltami!» gridò Bink. «Sai perché Chester aveva partecipato alla mia cerca? Perché voleva scoprire il suo talento magico. Se neghi la magia nei centauri, rinneghi anche lui... perché ha una magia, una magia bellissima, che...». Cherie si voltò di scatto e alzò gli zoccoli anteriori per colpirlo. Avrebbe potuto ucciderlo. Bink arretrò. «Una magia bellissima», ripeté. «Non una cosa stupida, come rendere purpuree le foglie verdi, o negativa, come scottare i piedi alla gente. Suona un flauto magico, un flauto d'argento, ed è la musica più meravigliosa che abbia mai sentito. In fondo è molto poetico, ma reprimeva il suo talento perché...». «Ti ridurrò in poltiglia!» nitrì la centauressa, agitando gli zoccoli anteriori. «Non hai il diritto di insinuare...». Ma Bink era lucido, mentre lei era semiaccecata dalla rabbia. Evitò i colpi come avrebbe evitato quelli di un unicorno inferocito, senza mai voltarle le spalle e senza arretrare più del necessario. Avrebbe potuto trafiggerla con la spada, ma non la sguainò neppure. Ormai era una discussione accademica, perché la magia aveva abbandonato Xanth, ma era ostinata-
mente deciso a farle ammettere la verità. «E tu, Cherie... anche tu hai una magia. Riesci ad apparire come vuoi, ti abbellisci. È un tipo d'illusione, limitata a...». Cherie si avventò per colpirlo con entrambi gli zoccoli, infuriata. Bink feriva la sua sensibilità più profonda, dicendole che anche lei era oscena. Ma stava pronto ad anticipare e ad evitare le sue reazioni. Usava la voce come una spada, e intendeva servirsene per vincere. Anche lui ne aveva avuto abbastanza delle illusioni: adesso voleva fare tabula rasa. In un certo senso stava attaccando se stesso, e la vergogna per quel che aveva fatto a Xanth liberando il Demone. «Ti sfido!» gridò. «Guardati in un lago e vedrai la differenza! La tua magia è scomparsa!». Nonostante il furore, Cherie si rese conto che non stava concludendo nulla. «Sta bene, mi guarderò!» gridò. «E poi ti butterò sulla luna con un calcio». Poco prima erano passati accanto a un laghetto. Tornarono indietro in silenzio, e Bink era già un po' pentito di ciò che aveva detto. La centauressa si guardò. Sapeva ciò che avrebbe visto, ma rimase egualmente sconvolta. «Oh, no!» esclamò, inorridita. «Sono brutta, sono orrenda, più ancora di Chester!». «No, sei bellissima... con la magia», insistette Bink, desideroso di rimediare al danno della rivelazione. «Perché per te la magia è naturale come lo è per me. Non hai motivo di opporti ad essa più che a qualunque altra funzione naturale come mangiare o riprodursi o...». «Allontanati da me!» urlò Cherie. «Mostro, mostro...». Con un altro scatto di furore, batté lo zoccolo nell'acqua. Ma le increspature si spianarono e l'immagine riapparve, devastante. «Ascolta, Cherie!» gridò Bink. «Hai detto che Chester può essere salvato. Sono pronto a crederlo. Non oso aprire la boccetta di Crombie perché è un processo che richiede magia, e la magia non c'è. Chester deve restare nel lago per la stessa ragione, in uno stato di animazione sospesa. Abbiamo bisogno della magia. Non importa che ci piaccia o no. Senza la magia, Chester è spacciato. Non potrebbe concludere nulla fino a che tu...». La centauressa annuì, con estrema riluttanza. «Credevo che nulla avrebbe potuto indurmi a tollerare l'oscenità. Ma per Chester farei qualunque cosa. Persino...» Deglutì e agitò la coda. «Persino una magia. Ma...». «Dobbiamo compiere una nuova cerca!» disse Bink con un'ispirazione improvvisa, mentre si lavava nel laghetto. «Una cerca per riportare la magia nella Terra di Xanth! Forse, se lavoreremo tutti insieme, umani e cen-
tauri e altre creature di Xanth, potremo trovare un altro Demone...». Ma non finì la frase, rendendosi conto che era un'idea assurda. Come potevano scovare X(A/N)th o TE(R/R)a o qualunque altra entità supermagica? I Demoni non avevano nessun interesse per quel reame. «Sì», disse Cherie, trovando la speranza proprio mentre Bink la perdeva. «Forse il Re saprà come fare. Saltami sulla schiena; partirò al galoppo». Bink risalì, e la centauressa si avviò. Non aveva la potenza di Chester, ma Bink era costretto a cingerla con le braccia per non cadere. «E con la magia, sarò di nuovo bella...» mormorò lei, malinconicamente. Esausto, Bink si assopì mentre Cherie galoppava attraverso i territori desolati. Poi per poco non venne sbalzato a terra quando lei frenò di colpo. Erano di fronte a un paio di esseri enormi e villosi. «Scostatevi, mostri!» gridò Cherie, senza rancore. Dopotutto erano mostri. «La strada è di tutti, non potete bloccarla». «Ma centauressa, noi non la blocchiamo», disse un mostro. «Per lasciarti passare ci scostiamo». «Scrocchia, l'Orco!» esclamò Bink. «Che cosa ci fai tanto lontano da casa?». «Conosci questo mostro?» chiese Cherie. «Ma certo! E soprattutto, adesso posso capirlo anche senza un traduttore!». L'orco, che adesso sembrava più che altro un omaccione, sbirciò Bink. «Sei l'uomo che la cerca aveva incominciato? Sono in luna di fiele con la mia beneamata». «Luna di fiele?» mormorò Cherie. «Oh, dunque quella è la Bella Addormentata», disse Bink, squadrando l'orchessa. Era la creatura più brutta che si potesse immaginare. Eppure, sotto i capelli che sembravano uno straccio appena usato per asciugare il vomito, e la veste ruvida e informe, pareva avere contorni più delicati di quelli che ci si poteva aspettare in un'orchessa. Poi ricordò: non era un'orchessa autentica, ma un'attrice che aveva recitato in uno degli spettacoli dei diavoli. Probabilmente poteva sembrare bella, se avesse voluto. E allora, perché non voleva? «Uh, vorrei chiederti una cosa...». La femmina, che non era una stupida, capì al volo. «È vero, una volta avevo un'altra faccia», disse a Bink. «Però credo che questa adesso più mi piaccia. Mi son trovata un uomo dei diavoli migliore; preferisco così, perché ho tutto il suo amore». Dunque la primadonna aveva trovato un marito degno della sua atten-
zione! Dopo aver incontrato i diavoli, Bink non poteva darle tutti i torti. Adesso manteneva l'aspetto da orchessa, che era comunque solo un riflesso fisico della sua personalità normale, e nel contempo insegnava a Scrocchia a parlare in modo più intelligibile. Era una diavolessa scaltra, davvero! «Uh, congratulazioni», disse Bink. Poi spiegò sottovoce a Cherie: «Si sono sposati dietro nostro consiglio. Mio e di Humfrey, Crombie, Chester e il golem. A parte il fatto che Humfrey stava dormendo. È una storia molto romantica». «Ne sono sicura», mormorò Cherie, poco convinta. «Sì, io picchio sempre senza nessun ritegno», disse la bella orchessa. «Per dir la verità, ha la testa di legno». «Gli orchi sono molto passionali», bisbigliò Bink. Cherie, dopo la sorpresa iniziale, si era adattata benissimo alla situazione. «Come conservi il suo amore?» chiese, con una certa malizia femminile. «Non se ne va in giro in cerca d'avventure?». Bink comprese che la centauressa stava pensando a Chester, forse inconsciamente. «Ma io lascio che vada, non gli sbarro la strada», disse l'orchessa, saggiamente. «Poi quando fa ritorno alla magione, gliele do di santa ragione». Diede all'orco un tremendo manrovescio a titolo d'esempio. La faccia di Scrocchia si contrasse in un sorriso beato. Evidentemente era felice. E probabilmente, pensò Bink, si trovava meglio di quanto avrebbe potuto trovarsi con un'orchessa autentica. L'attrice poteva avere i suoi difetti, ma sapeva sicuramente come trattare il compagno. «La scomparsa della magia ha influito sul vostro modo di vivere?» chiese Bink. I due orchi lo guardarono senza capire. «Non se ne sono neppure accorti!» esclamò Cherie. «Questo sì che è vero amore!». Gli orchi se ne andarono per i fatti loro, e Cherie riprese la corsa. Ma era pensierosa. «Bink, a titolo di esempio retorico... a un maschio piace davvero sentirsi una bestia?». «Sì, qualche volta», ammise Bink, pensando a Chameleon. Quando era nella fase bella-stupida sembrava vivere solo per compiacerlo, e lui si sentiva molto uomo. Ma quando era nella fase brutta-intelligente, lo smontava con il suo spirito acuto non meno che con il suo aspetto. Sotto quel punto di vista, era più furba quando era stupida. Naturalmente, adesso era finito; sarebbe rimasta per sempre nella fase «normale», evitando i due estremi. Non l'avrebbe più smontato... né infiammato.
«E un centauro... se in casa si sente come un vero stallone...». «Sì. I maschi hanno bisogno di sentirsi desiderati e necessari e dominanti, anche quando non lo sono. Soprattutto quando non lo sono. Specialmente a casa loro. L'orchessa sa il fatto suo». «A quanto pare», disse Cherie. «È soltanto un'attrice, eppure l'orco è così beato che farebbe qualunque cosa per lei. Ma anche le centauresse sanno recitare, quando ne hanno motivo...». Poi continuò a correre in silenzio. CAPITOLO QUATTORDICESIMO IL DESIDERIO PARADOSSALE Bink, che si era assopito di nuovo, fu destato all'improvviso da uno scossone. Cherie aveva frenato così forte che lui venne scagliato contro la sua schiena umana. Le cinse la vita con le braccia, stando attento a non stringere troppo in alto. «Che cosa...». «L'avevo quasi dimenticato. Sono ore che non allatto Chet». «Chet?» ripeté stordito Bink. Oh, il puledro. Cherie chiamò con un cenno il piccolo che si avvicinò prontamente per poppare. Bink si scusò e si allontanò. I centauri non erano suscettibili per quanto riguardava le funzioni naturali; anzi, alcune le sbrigavano mentre correvano. Gli umani erano più schizzinosi, almeno in pubblico. Quella era un'altra ragione per cui Cherie non sembrava più bella; i suoi seni erano incredibilmente ingrossati per allattare il puledro. I centauretti avevano bisogno di parecchio latte, soprattutto se dovevano correre quanto correva Chet. Dopo un po', Bink ritornò. Il puledro stava ancora poppando, ma Cherie vide Bink. «Oh, non essere così maledettamente umano!» scattò. «Cosa credi che stia facendo... una magia?». Bink rise, imbarazzato. Cherie non aveva torto: non aveva motivo di mostrarsi schizzinoso. Le sue definizioni dell'osceno non avevano più senso di quelle della centauressa. Si avvicinò, diffidente. Pensò che i centauri erano ben adattati alle loro funzioni; se Cherie avesse avuto poppe da giumenta, il piccolo avrebbe incontrato difficoltà. Il suo torso umano non poteva piegarsi come il collo di un cavallo. «Stiamo andando nella direzione sbagliata», esclamò all'improvviso Cherie. «Oh, no! Ti sei allontanata dal sentiero? Abbiamo perso la strada?». «Siamo sul sentiero. Ma non dobbiamo andare a Castel Roogna. Là non
c'è nessuno che possa aiutarci». «Ma il Re...». «Adesso il Re è un uomo normale. Che cosa può fare?». Bink sospirò. Aveva pensato che il Re Trent avesse una soluzione, ma Cherie s'era resa conto della realtà. «Com'è possibile che qualcuno faccia qualcosa senza...». Cercava di non usare la parola oscena di fronte alla centauressa, sebbene sapesse che era ridicolo. «Mentre allattavo Chet ho cominciato a pensare», disse lei, dando una pacca affettuosa sulla testa del puledro. «Ecco qui il mio puledrino, figlio di Chester, rappresentante della razza dominante di Xanth. Perché mi sto allontanando da Chester? Chet ha bisogno di un vero stallone che gli insegni i fatti della vita. Non potrei mai perdonarmelo, se..». «Ma non ti stai allontanando da Chester!» protestò Bink. «Stiamo andando dal Re, per scoprire cosa possiamo fare in assenza della... come possiamo...». «Oh, avanti, dillo!» esclamò lei, irosamente. «Magia! Mi hai dimostrato che è necessaria al nostro modo di vivere, inclusa la mia vita privata, maledizione! Ora io mi limito a continuare il ragionamento. Non possiamo tornare semplicemente a casa a piagnucolare con gli ex Maghi; dobbiamo fare qualcosa. Ora, immediatamente, prima che sia troppo tardi». «È già troppo tardi», disse Bink. «Il Demone se ne è andato». «Ma forse non è andato lontano. Forse ha dimenticato qualcosa, e tornerà a prenderlo, e potremo metterlo in trappola...». «No, non sarebbe giusto. Quando l'ho liberato, l'ho fatto seriamente, anche se non mi piacciono i risultati della sua liberazione». «Qualche volta, Bink, la tua onestà è scomoda. Forse potremo richiamarlo, parlargli, convincerlo a ridarci qualche incantesimo...». Bink scrollò la testa. «No, non possiamo far nulla che abbia influenza sul Demone Xanth. Lui non si cura del nostro interesse. Se l'avessi conosciuto, capiresti». Cherie girò la testa verso di lui. «Allora, forse sarebbe bene che lo conoscessi». «Come posso fartelo entrare in quel cervello equino?» gridò Bink, esasperato. «Ti ho detto che se ne è andato!». «Comunque, voglio vedere dov'era. Potrebbe essere rimasto qualcosa. Qualcosa che a te è sfuggito. Non offenderti, Bink, ma tu sei soltanto umano. Se ci fosse un modo per...». «Non c'è!» gridò Bink. Mi hai sbattuto in faccia il fatto che ho bisogno
della magia. E adesso ti ricordo che tu devi fare qualcosa, anziché arrenderti. Tu stai pensando di andare in cerca di aiuto, ma in realtà stai scappando. La soluzione del nostro problema è nella prigione del Demone, non nel palazzo del Re. Forse falliremo... ma dobbiamo tornare là e tentare». Si avviò nella direzione da cui era venuta. «Ci sei stato. Mostrami la strada». Involontariamente, Bink le corse al fianco, come il puledro. «Alla grotta del Demone?» chiese, incredulo. «Ci sono folletti e draghi smagati e...». «Al diavolo tutte queste oscenità!» nitrì lei. «Chi sa che cosa sta succedendo a Chester in questo momento?». Ecco: la sua devozione assoluta al compagno. Adesso che Bink vedeva le cose in questo modo... Forse la sua umanità lo rendeva imperfetto. Perché non era rimasto almeno abbastanza a lungo per ritrovare il suo amico? Perché aveva avuto paura di ciò che avrebbe potuto trovare! Era davvero scappato! Forse era possibile tirare fuori Chester dalla salamoia e salvarlo senza l'aiuto della magia. Forse il Buon Mago Humfrey era sopravvissuto. Era una probabilità vaga, certo... ma finché c'era una probabilità, Bink veniva meno al dovere verso gli amici se non faceva tutto il possibile per ritrovarli. Era sicuro che fossero morti, ma anche una conferma dolorosa sarebbe stata meglio che la fuga dalla verità. Risalì in groppa a Cherie, e lei si lanciò al galoppo. Ben presto superarono il punto dove si erano incontrati, procedendo nella direzione indicata da Bink. Un centauro era veloce... ma anche così, sembrava quasi che un incantesimo facilitasse il viaggio. Era un'illusione, naturalmente. Adesso Cherie era spronata dalla smania di salvare il suo stallone, anche se era una speranza vana. Bink la diresse verso il burrone dell'albero groviglio, aggirando il villaggio della polvere magica. Mentre si avvicinavano, Bink ebbe la sensazione che l'albero fremesse. Doveva essere uno scherzo della luce, mentre senza magia il mostro era impotente. Cherie si fermò accanto al ramo che sporgeva dal ciglio del crepaccio. «Scendere da un albero groviglio... mi sembra che...». S'interruppe. «Bink, si è mosso! L'ho visto!». «Il vento!» gridò Bink, con un'illuminazione improvvisa. «Agita i tentacoli!». Bink scrutò nel crepaccio, e vide la breccia attraversata dalla grossa radice. Non aveva nessuna voglia di ridiscendere laggiù, ma non poteva ammetterlo. «Io... uhm... posso calarmi con un tentacolo, ma tu...».
«Posso calarmi anch'io», disse lei. «Ecco perché noi centauri abbiamo braccia forti e buoni muscoli pettorali: dobbiamo sostenere un peso maggiore. Vieni, Chet». Si afferrò a un grosso tentacolo e si calò dall'orlo del burrone. E infatti riuscì a calarsi, aggrappandosi con le mani e usando le zampe anteriori come freni. I suoi quarti posteriori oscillarono grandiosamente in una spirale, fino a quando arrivò in fondo. Il puledro seguì l'esempio materno, ma con tanta difficoltà che lei si affrettò ad afferrarlo. Imbarazzato, Bink scese a sua volta. Avrebbe dovuto andare per primo, anziché lasciare che lo precedessero! Alla base del tronco, mentre guardava nel buco nero che si apriva sul mondo sotterraneo, Bink fu assalito da altri spiacevoli presentimenti. «Questa discesa è anche peggio; non credo che Chet possa farcela. E poi, tu come faresti a risalire? Per poco non mi sono ammazzato per arrivare quassù, e il tuo peso... non offenderti...». «Chester ce la farebbe a salire», disse Cherie, in tono sicuro. «E dopo potrebbe issare tutti noi». Bink ripensò ai muscoli del torso umano di Chester, alla sua potenza immane. Solo un mostro come l'orco aveva braccia più poderose. Forse... forse sarebbe stato possibile, se avessero usato una corda doppia in modo che gli altri potessero tirare dall'altra parte e aiutare Chester a sollevarsi. Ma prima bisognava trovare e salvare Chester. Se non ci fossero riusciti, Cherie sarebbe stata perduta, perché Bink non ce l'avrebbe fatta a issarla. Avrebbe potuto tirar su il puledro, ma quello era il massimo. Cherie stava già controllando la robustezza dei tentacoli. Aveva una fede che bandiva ogni dubbio, e Bink la invidiava. Lui aveva sempre pensato che Chester fosse un tipo ostinato, ma adesso si rendeva conto che la vera forza della famiglia era Cherie. Chester era soltanto stucco magico nelle sue mani - oh, che concetto osceno! - e a quanto pareva lo era anche Bink. Lui non voleva ritornare tra gli orrori sotterranei, a battersi senza ragione contro i semi-folletti e i draghi-serpenti nell'oscurità. Ma sapeva che l'avrebbe fatto, perché Cherie era assolutamente decisa a salvare il suo stallone. «Questo va bene», disse la centauressa, tirando un tentacolo particolarmente robusto che pendeva dalla cima dell'albero. «Bink, arrampicati e trancialo con il coltello». «Uh, già, sicuro», disse lui, con scarso entusiasmo. Poi si vergognò. Se doveva farlo, almeno doveva metterci un po' di spirito! «Sì, certo». E in-
cominciò ad arrampicarsi sul temibile tronco. Si sentì stranamente euforico, come se si fosse scrollato di dosso un peso. In un attimo comprese: era la coscienza. Adesso che aveva preso la decisione, e sapeva che era giusta anche se suicida, era in pace con la sua coscienza, e questo era meraviglioso. Era la stessa sensazione che aveva provato Cherie, e che l'aveva fatta volare attraverso la foresta con forze centuplicate. Anche senza la magia, c'era una magia nello stato d'animo di una persona. Raggiunse il punto dove i tentacoli spuntavano come capelli grotteschi alla sommità del tronco, si puntellò stringendolo con le gambe e tagliò alla base il tentacolo prescelto. Sentì nell'albero un brivido che gli ricordò quello dell'albero groviglio quando Crombie l'aveva attaccato, tanto tempo prima. No! si disse. Non era magia. L'albero era ancora vivo, aveva semplicemente perso la sua magia ed era diventato come i suoi simili di Mundania. Forse sentiva il dolore della ferita e reagiva, ma non poteva muoversi consciamente. Tranciò il tentacolo e lo guardò cadere. Poi ne tagliò un secondo e un terzo, per prudenza. L'albero, tuttavia, stava ancora tremando quando scese, e i tentacoli penduli sembravano fremere più di quanto lo giustificasse il vento. Era possibile che l'albero groviglio rivivesse senza magia? No, doveva essere l'effetto della sua arrampicata che scuoteva il tronco e faceva vibrare le liane. Legarono il primo tentacolo alla radice, annodandolo con difficoltà a causa del diametro, e lo calarono. Sembrava che oscillasse liberamente. Lo ritirarono, e all'estremità annodarono un altro tentacolo. Questa volta sentirono il tonfo quando urtò contro la roccia sottostante. «Vado per primo», disse Bink. «Poi starò di guardia con la spada mentre tu cali Chet. Ci sono i folletti... uh, abbiamo qualcosa per farci luce? Ci serve un po' di fuoco per spaventare i...». Cherie lo fissò con fermezza. «Se fossi un folletto, daresti fastidio a un piccolo centauro?» chiese, battendo minacciosamente uno zoccolo. Bink ricordò come aveva evitato il suo attacco, quando l'aveva costretta ad affrontare il concetto osceno della magia. Ma lui era alto il doppio di un folletto, e armato di spada, e conosceva bene i centauri. E soprattutto aveva saputo che Cherie, per quanto fosse inviperita al momento, era sua amica, e non avrebbe voluto fargli veramente del male. Un folletto non aveva quella sicurezza... e una centauressa che proteggeva il suo puledrino dove-
va essere una furia. «Non darei fastidio a un piccolo centauro neppure se fossi un drago», disse Bink. «Io riesco a vedere discretamente anche al buio», continuò Cherie. «Mi oriento con gli echi dei miei zoccoli, quindi sono in grado di valutare l'ampiezza delle grotte. Arriveremo alla meta». Senza aggiungere altro, Bink si chinò, si afferrò al tentacolo e si calò nella breccia. Scese rapidamente nel profondo; si sentiva molto più forte di quando era salito. Superò il nodo e poi raggiunse il suolo con sorprendente rapidità. Alzò gli occhi verso la luce fioca. «Bene... sono arrivato!». La corda risalì serpeggiando. I centauri avevano un equilibrio formidabile, dato che potevano piantare i quattro piedi a terra e usare tutta la forza delle braccia. Poco dopo Chet scese oscillando, debitamente imbragato e tenendosi aggrappato alla fune con le mani. Non aveva cambiato con l'andar del tempo. Lo slegò, e gli diede una pacca sulla schiena. «È arrivato anche Chet!» gridò. Adesso toccava a Cherie. Ce l'aveva fatta a calarsi nel burrone, ma questa era una discesa più lunga, al buio e in uno spazio più ristretto, e la corda era meno sicura. Bink era preoccupato. «Stai lontano, nel caso che io... oscillassi», gridò la centauressa. Bink sapeva che era stata sul punto di dire «cadessi». Si rendeva conto dei rischi, ma era molto coraggiosa. Cherie scese senza intoppi, fino a quando ebbe quasi raggiunto il fondo. Poi il tentacolo si spezzò, lasciandola cadere per l'ultimo breve tratto. Ma lei atterrò indenne sulle quattro zampe. Bink si rilassò. «Bene, Bink», disse subito lei. «Montami in groppa e dimmi dove debbo andare». Bink si avvicinò... e in quel momento sentì un rumore. «C'è qualcosa che si muove!» gridò, innervosito. «Dov'è Chet?». «Qui accanto a me», rispose Cherie. Ascoltarono... Sì, c'era un suono... un fruscio, un raschiare... in alto e a lato. Non erano loro, a produrlo. Ma non sembrava neppure che fosse un folletto... Poi Bink scorse una specie di serpente che si contorceva tra loro e la breccia, profilato nella luce. «Una radice dell'albero groviglio... e si muove!» esclamò. «Dobbiamo averla staccato dal suolo», disse Cherie. «Il peso l'ha liberata, e si contorce nel cadere». «Sì». Ma Bink era incerto. Gli sembrava un movimento conscio. Possibile che l'albero groviglio fosse di nuovo animato? Se era così, non avrebbero potuto uscire da quella parte!
Si avviarono nelle grotte. Bink ricordava piuttosto bene il percorso, anche al buio... e poi, ci vedeva discretamente. Forse era rimasta un po' di luminescenza. Anzi, sembrava più intensa, via via che i suoi occhi si abituavano. «La luminescenza... sta ritornando», disse Cherie. «Credevo fosse uno scherzo della mia immaginazione», disse Bink. «Forse quaggiù c'è un residuo di magia». Proseguirono affrettando il passo. Bink era meravigliato; se l'albero groviglio riprendeva vita, e la luminescenza si intensificava... stava ritornando la magia? Le implicazioni erano... All'improvviso il corridoio sfociò... in una sala principesca, così immensa che Bink non riusciva ad abbracciarla tutta con lo sguardo. Dovunque scintillavano gemme sospese nell'aria. Una fontana d'acqua splendente zampillava capovolta, e le gocce ricadevano verso il soffitto. Nastri di carta colorata formavano ghirigori che si inclinavano e si avvolgevano a spirali. Da ogni parte c'erano nuovi prodigi, troppo numerosi per assimilarli: era una manifestazione della magia più fenomenale che Bink avesse mai visto. E prima quella grotta non era esistita! Cherie si guardò intorno, sbalordita quanto lui. «È... può essere opera del tuo demone Xanth?». Quando pronunciò il nome, il Demone X(A/N)th si materializzò. Stava assiso su un trono di diamante. I suoi occhi ardenti erano fissi su Bink che stava ancora in groppa a Cherie, con il puledrino accanto. «Sei tu, quello che cerco», esclamò X(A/N)th «Tu, stupida nullità che hai messo in pericolo te stesso e tutta la tua cultura, senza vantaggi per l'uno e per l'altra. Una simile idiozia merita la punizione che comporta». Per quanto intimorito, Bink tentò di difendersi. «Perché sei tornato, allora? Che cosa vuoi da me?». «Hanno cambiato il sistema di nomenclatura», rispose X(A/N)th. «Adesso sono passati ai differenziali. Dovrò studiare il sistema per un eone o due per non applicarlo maldestramente, perciò sono tornato in questo luogo familiare, per il momento». «Un momento-eone?» chiese Bink, incredulo. «Approssimativamente. Ti ho condotto qui per assicurarmi che la mia tranquillità rimanga inviolata. Ogni entità di questo mondo che conosce la mia esistenza dev'essere eliminata». «Eliminata?» balbettò Bink. «Niente di personale», gli assicurò il Demone. «Non mi curo della tua
esistenza in un modo o nell'altro. Ma se la mia presenza fosse nota, altri parassiti potrebbero venire a cercarmi... e io voglio starmene in pace. Perciò devo eliminare te e gli altri che sanno, per conservare il mio segreto. Molti di voi sona già stati tolti di mezzo: restate solo voi e la ninfa». «Non immischiare Gemma», supplicò Bink. «Lei è innocente. È venuta qui solo per causa mia. Non merita...». «Anche la giumenta e il puledro sono innocenti», osservò il Demone. «Questo non c'entra». Cherie si girò verso Bink, torcendosi con l'agilità elegante del passato. La sua bellezza era ritornata splendida. La magia le si addiceva, senza dubbio. «Tu hai liberato il Demone... e reagisce così? Perché non se ne va altrove, dove nessuno di noi può trovarlo?». «Ha seminato parecchia magia qui», disse Bink. «Senza di lui è quiescente, ma finché rimangono creature magiche come i draghi e i centauri, sappiamo che non è svanita interamente. Tutta la Terra di Xanth ne è intrisa, e perciò lui ci si trova meglio. Come una scarpa vecchia è più comoda di una appena colta dall'albero. Il Demone non è come noi: non ha gratitudine. Lo sapevo quando l'ho liberato». «Ci sarà una breve attesa, prima che vi elimini», disse il Demone. «Mettetevi comodi». Nonostante il pericolo immediato, Bink s'incuriosì. «Perché questa attesa?». «La ninfa si è nascosta e non voglio sprecare magia per rintracciarla». «Ma sei onnipotente. Non può esistere lo spreco, per te!». «È vero, sono onnipotente. Ma c'è una proporzione in tutte le cose. Mi secca usare più magia di quanto lo giustifichi una situazione. Perciò minimizzo il mio sforzo. Ho amplificato la tua personalità. La ninfa ti ama non pretendo di conoscere il significato di questo termine - e verrà qui da te, credendo che tu corra un pericolo dal quale può salvarti. Allora vi eliminerò tutti comodamente». Quindi il ritorno della magia nella Terra di Xanth significava la fine per Bink e i suoi amici. Tuttavia, il resto di Xanth ci guadagnava, e quindi non era una perdita totale. Però... «Non ti accontenteresti se promettessimo di non rivelare la tua presenza o bevessimo un filtro dell'oblio?». «È inutile», disse una voce dalla tasca di Bink. Era Grundy il golena, tornato in forma con la riapparizione della magia. Si arrampicò sulla spalla di Bink. «Non potreste mai mantenere una simile promessa. La magia po-
trebbe strapparvi la verità in un momento. Anche se beveste un filtro dell'oblio, sarebbe neutralizzabile, e allora l'informazione sarebbe accessibile». «Con un incantesimo della verità», mormorò Cherie. «Avrei dovuto fidarmi del mio giudizio iniziale. La magia è una maledizione». Bink rifiutò di arrendersi. «Forse c'è un altro sistema», disse al Demone. «Fai sapere a tutti gli abitanti di questa terra che tu sei quaggiù, e che annienterai gli intrusi...». «Così mille pazzi si affretterebbero a raccogliere la sfida», osservò Cherie. «Il Demone sarebbe continuamente infastidito, e dovrebbe sprecare la sua magia per eliminarli uno ad uno». Il demone la guardò con aria d'approvazione. «Hai il posteriore equino, ma la testa saggia», commentò. «Noi centauri siamo fatti così», disse lei. «E che cosa pensi di me?». «Penso che sei l'epitome assoluta dell'oscenità». Bink si sentì gelare, ma il Demone rise. La risata echeggiò assordante. Il palazzo magico andò in frantumi, riempiendo l'aria di macerie, ma neppure un frammento li toccò. «Sai una cosa?» osservò Grundy. «Lui sta cambiando... come me». «Sta cambiando... come te», ripeté Bink. «Certo! Mentre la sua magia filtrava, intridendo tutta la Terra di Xanth, un po' della nostra cultura è filtrata fin qui, rendendolo un po' simile a noi. Ecco perché qui si sente a suo agio. Ecco perché può ridere. Ha qualche sentimento rudimentale». Cherie reagì prontamente. «Quindi potrebbe reagire a una sfida sentimentale. Riesci a trovarla?». «Posso tentare», disse Bink. Poi, quando l'ilarità del Demone si placò, disse: «Demone, io conosco un sistema per proteggere la tua intimità. Noi abbiamo una Pietra dello Scudo, che in passato veniva usata per proteggere la Terra di Xanth dall'invasione... tenevamo alla nostra tranquillità quanto tu tieni alla tua. Nessuna cosa vivente può attraversare lo Scudo. Basterà che parli di te al Re Trent, e lui farà sistemare la Pietra in modo da impedire che chiunque venga quaggiù. Lo Scudo ha funzionato per noi più di un secolo; funzionerà anche per te. Allora non avrà importanza che gli altri conoscano la tua esistenza; ogni pazzo che tentasse di raggiungerti morirebbe automaticamente». Il Demone rifletté. «L'idea non mi dispiace. Ma la mentalità e le motivazioni degli umani mi sono in gran parte estranee. Come posso essere sicuro
che il tuo Re onorerà la richiesta?». «So che lo farà», disse Bink. «È buono e onesto, e un abile politico. Capirà subito la necessità di proteggere la tua quiete e agirà di conseguenza». «Come puoi esserne sicuro!» insistette il Demone. «Ci scommetterei la vita». «La tua vita è insignificante, in confronto alla mia convenienza», rispose il Demone. «Ma il mio talento è significativo in termini umani», ribatté Bink. «Agirà nel mio interesse incoraggiando il Re a...». «Per me il tuo talento non è nulla. Potrei invertirlo schioccando le dita». Il Demone le schioccò, con un suono che sembrava l'esplosione d'una ciliegia-bomba. Bink sentì uno strattone interiore orribilmente inquietante. «Comunque, la tua sfida mi incuriosisce. C'è un certo elemento casuale che non può intervenire quando io accetto una sfida. Perciò devo farlo vicariamente, in una certa misura. Dici che sei disposto a scommettere la vita sulla tua capacità di proteggere la mia pace. Non è una grande garanzia, dato che la tua vita è già condannata, ma l'accetterò. Vogliamo provare?». «Sì», rispose Bink. «Se è necessario per salvare i miei amici. Farò qualunque...». «Bink, non mi piace», disse Cherie. «Ecco il laboratorio di prova», disse il Demone, indicando un'enorme fossa apparsa a un suo gesto. Intorno c'era una mezza dozzina di porte. Le pareti erano verticali, di pietra troppo alte e lisce per arrampicarsi. «Ed ecco l'intruso». Al centro apparve un mostro, un minotauro con testa, coda e zoccoli di toro e il corpo di un uomo poderoso. «Se uscirà vivo da questa camera, mi disturberà. Devi fermarlo, se puoi». «Accetto!» gridò Bink. E balzò nell'arena, sguainando la spada. Il minotauro lo squadrò freddamente. Il ritorno della magia aveva rinvigorito Bink; lo faceva sentire di nuovo forte... e non era mai stato un tipo fragile. I muscoli delle braccia spiccavano attraverso la camicia lacera, il suo corpo era ben bilanciato e reagiva bene. La spada si muoveva con efficienza, alleggerita dalla magia, e la lama incantata scintillava. Il mostro decise di rinunciare al piacere di quello scontro. Girò su uno zoccolo e si avviò verso l'uscita più lontana da Bink. Bink l'inseguì. «Torna indietro e battiti da mostro!» gridò. Non voleva colpirlo alle spalle. Il minotauro, invece, si mise a correre. Ma lo slancio di Bink lo portò avanti più in fretta; raggiunse il mostro prima che arrivasse all'uscita. L'af-
ferrò per la coda, e quello andò a sbattere contro la parete. Bink gli puntò la spada alla gola. «Arrenditi!» gridò. Il minotauro tremò... e divenne un insetto mostruoso, con mandibole, pungiglione e chele enormi. Bink, sbigottito, indietreggiò. Stava combattendo un essere magico che poteva cambiare forma a volontà! Sarebbe stata una sfida molto più impegnativa di quanto avesse presunto nella sua ingenuità. Era stato sciocco a trattenere la spada, aspettando che l'essere si arrendesse. Sicuramente sarebbe stato spacciato come lui, se avesse perso. Doveva ucciderlo in fretta, prima che il mostro lo uccidesse... o che fuggisse. L'insetto, intanto, si stava dirigendo verso l'uscita. Bink si lanciò all'inseguimento, mulinando la spada. Ma il mostro aveva occhi peduncolati che guardavano all'indietro verso di lui... anzi, adesso era una lumaca gigantesca che strisciava lasciando una scia di bava. La spada di Bink gli passò sibilando sopra la testa, senza colpirlo. Ma lui poteva muoversi più in fretta d'una lumaca, per quanto gigantesca. La scavalcò con un balzo e raggiunse per primo l'uscita, sbarrandole la strada. Prese la mira con cura e sferrò un fendente a due mani alla testa, per tranciarla. Ma la lama rimbalzò sul guscio di una chiocciola. Il mostro s'era trasformato ancora, nella variante più simile che poteva proteggerlo. Era in difficoltà, oppure era privo d'immaginazione. Bink non gli lasciò il tempo di riflettere. Tirò un affondo nell'apertura del guscio. Questa volta colpì... la sostanza molle di una medusa gigantesca. La lama affondò ed emerse dalla parte opposta, senza far danni. Ritrasse la lama e la scrollò, disgustato. Come poteva uccidere una massa di gelatina che si risanava quando la tagliava? Fiutò l'aria. Riconobbe l'odore. Cedro. Gelatina al cedro. Era commestibile? Avrebbe potuto annientare il mostro mangiandolo? Ma mentre se lo domandava, il mostro si trasformò in un avvoltoio purpureo grosso come un uovo. Bink si avventò, cercando di ucciderlo prima che volasse via... e scivolò sul viscidume gelatinoso. Che coincidenza disastrosa! Coincidenza? No... era il suo talento che operava... a rovescio. Il Demone l'aveva invertito con noncuranza. Adesso le coincidenze apparenti avrebbero agito sempre contro Bink, anziché in suo favore. Era il peggior nemico di se stesso. Comunque, se l'era cavata bene anche quando il suo talento era stato quasi completamente annullato dalla magia del corallo. Doveva solo ridur-
re al minimo il fattore coincidenza del duello. Il suo talento non si era mai rivelato apertamente, e quindi era costretto a servirsi del caso per operare. Tutto ciò che faceva doveva essere scrupolosamente pianificato per non lasciare nulla al caso. In quel modo, le coincidenze non avrebbero potuto danneggiarlo. L'avvoltoio non volò via. Corse verso il centro dell'arena. Bink si rialzò e l'inseguì, attento a dove metteva i piedi. Lì c'era un sasso che poteva farlo inciampare; là c'era un'altra macchia di grasso. Prima era scivolato sulla gelatina per imprudenza: poteva evitarlo. Ma perché l'uccellaccio non aveva preso il volo, mentre Bink si muoveva cautamente? Probabilmente il mostro non era un Mago. Ogni forma che assumeva aveva all'incirca la stessa massa, e restava inchiodata a terra. Era un buon talento, ma non straordinario. C'erano limiti precisi. Il Re Trent poteva cambiare una mosca in un efalunfo, o un verme in un drago volante: la grandezza e le funzioni non contavano. Ma questo mostro cambiava soltanto forma, non capacità. Bene! Bink si avvicinò all'avvoltoio, pronto a tagliargli la ritirata. Per fuggire avrebbe dovuto voltargli la schiena, e allora Bink l'avrebbe abbattuto. Non c'erano fattori casuali, e quindi il suo talento invertito non poteva intromettersi. L'esistenza che Bink aveva vissuto prima di scoprire il suo talento, l'aveva preparato ad agire senza tenerne conto. Le sue avventure recenti, quando era stato neutralizzato o eliminato completamente, erano servite come utile corso di ripasso. Il mostro avrebbe dovuto fermarsi e battersi, anziché sperare in un errore di Bink. Di colpo si trasformò in un uomo... un colosso robusto, scarmigliato e lacero, armato d'una spada lucente. L'uomo aveva l'aria di sapere il fatto suo, e anzi, a Bink sembrava di conoscerlo... Infatti... era una copia di Bink! Il mostro si stava facendo furbo, per battersi con una spada contro una spada! «È giusto!» gridò Bink, e si lanciò all'attacco. Come aveva immaginato, il mostro non era uno schermitore. Poteva avere l'aspetto di Bink, ma non poteva battersi come lui. Il duello sarebbe finito presto! Bink eseguì una finta, poi impegnò la spada dell'altro e la sbalzò dalla mano del mostro. Costrinse l'avversario a indietreggiare contro la parete e si preparò a finirlo. «Bink!» gridò disperata una donna.
Bink riconobbe la voce. Era Gemmai Attirata dall'incantesimo del Demone, era arrivata nel momento meno opportuno. Doveva essere una macchinazione del talento invertito, che interveniva per salvare il nemico. Se lui non avesse agito immediatamente... «Bink!» gridò di nuovo Gemma, saltando nell'arena e gettandosi tra lui e il mostro. Esalava l'odore di un temporale estivo. «Perché non sei rimasto lontano dalle caverne, al sicuro?». Poi si fermò, sbalordita. «Siete tutti e due Bink!». «No, lui è il mostro», disse il mostro, prima che Bink potesse parlare. «Sta cercando di uccidere un uomo disarmato!». «Vergogna!» gridò Gemma, volgendosi verso Bink. Il temporale era diventato un uragano, con l'aggiunta degli odori della grandine, della polvere e dei mattoni sgretolati, portati dal vento. «Vattene, mostro!». «Andiamocene», disse il mostro alla ninfa, prendendola per il braccio e avviandosi verso l'uscita. «Che faccia tosta!» gridò Cherie, dall'alto. «Mandate via quella stupida ninfa!». Ma Gemma rimase con il mostro, scortandolo verso la salvezza... e un disastro che lei non poteva immaginare. Bink restò paralizzato, incapace di agire contro Gemma. «Bink, morirà anche lei, se lo lasci fuggire!» urlò Cherie. Bink si scosse. Si avventò sui due, abbrancandoli per la vita e sbattendoli a terra. Intendeva separarli, trafiggere il mostro, e spiegare tutto a Gemma, più tardi. Ma quando si rialzò, si accorse che stringeva... due ninfe. Adesso il mostro sembrava Gemma... e Bink non riusciva a distinguerli. Balzò in piedi, brandendo la spada. «Gemma, identificati!» gridò. Il mostro difficilmente poteva essere stato tanto furbo da arrivarci da solo; probabilmente era stato il talento di Bink a dettare quel cambiamento fortuito. Bink non gli aveva lasciato la possibilità di colpirlo per caso, quindi aveva agito sul mostro. La coincidenza assumeva molte forme. «Io!» gridarono contemporaneamente le due ninfe, alzandosi. Oh, no! Anche le voci erano identiche. «Gemma, mi sto battendo contro un mostro mutaforma», gridò a entrambe. «Se non l'uccido, ucciderà me. In un modo o nell'altro. Devo sapere qual è lui!». Presumendo che il mostro fosse maschio. Bink doveva presumerlo, perché non voleva uccidere una femmina. «Lui!» gridarono entrambe le ninfe, indicandosi a vicenda. L'odore dei
cavoli-puzzola riempì l'aria. Si allontanarono l'una dall'altra e da lui. Di male in peggio! Adesso il suo talento aveva preso il morso fra i denti ed era deciso a non dargliela vinta. Eppure doveva uccidere il mostro e risparmiare Gemma. Non poteva permettersi di scegliere a casaccio. Le ninfe erano dirette verso due uscite diverse. Era già troppo tardi per agguantarle entrambe. Dalla scelta dipendeva il suo destino e quello di tutti i suoi amici... e l'infernale talento lo avrebbe sicuramente spinto alla scelta sbagliata. Qualunque delle due scegliesse, avrebbe sbagliato. In un modo o nell'altro. Ma se non avesse scelto, sarebbe stata comunque la fine. Bink comprese che l'unico modo per essere sicuro stava nell'ucciderle entrambe. Il mostro, e la ninfa che l'amava. Una decisione spaventosa! A meno che fosse riuscito a indurre il mostro a rivelarsi, con un trucco. «Il mostro sei tu!» gridò, e si avventò verso la ninfa di destra, roteando la spada. Lei si guardò alle spalle, lo vide e urlò terrorizzata. L'odore dell'alito di drago, l'essenza del terrore, era fortissimo. Bink completò il fendente, evitandola nell'istante in cui lei si chinava, e scagliò la spada contro la seconda ninfa, che era quasi arrivata all'altra uscita. Quello, aveva deciso, era veramente il mostro. Ma la ninfa più vicina, atterrita, alzò le mani in un gesto difensivo. Una mano urtò il braccio di Bink proprio mentre lanciava la spada, facendogli sbagliare la mira. Era di nuovo il suo talento, che si serviva dell'amica per frustrare l'attacco contro il nemico! Ma non era finita. Il mostro, nel vedere la spada che volava verso di lui, balzò a lato... e si buttò letteralmente sulla lama, che gli trapassò il petto, sospinta dalla forza del tiro e dall'incantesimo dell'arma. Il mostro stramazzò. Due colpi di sfortuna si erano annullati a vicenda! Bink, intanto, era andato a sbattere contro Gemma, facendola cadere a terra. «Scusami», disse. «Dovevo farlo, per assicurarmi...». «Capisco», disse lei, cercando di rialzarsi. Bink si alzò e la prese per il gomito, aiutandola. Ma teneva gli occhi fissi sul mostro morente. Qual era la sua forma naturale? Il mostro non cambiò. Sembrava ancora Gemma, con il seno colmo, la vita snella, i fianchi torniti, le gambe perfette e i capelli splendenti... e il sangue che sgorgava dalla ferita. Strano. Se il mostro era stato colpito a morte, perché non riprendeva il suo vero aspetto? Se non era sul punto di morire, perché non si alzava per precipitarsi verso l'uscita? Gemma si scostò da lui. «Lasciami andare a ripulirmi, Bink», disse. In
quel momento non aveva nessun odore. Nessun odore? «Produci un odore!» Ordinò Bink, afferrandola di nuovo per il braccio. «Bink, lasciami!» gridò lei, cercando di avviarsi verso l'uscita. «Produci un odore!» ringhiò Bink, torcendole il braccio dietro la schiena. All'improvviso, si trovò a stringere un albero groviglio. I tentacoli si attorsero per afferrarlo, ma non avevano la forza di un albero vero, neppure d'una specie nana. Bink cinse il tronco con entrambe le braccia, premendo con forza i tentacoli contro la corteccia. L'albero divenne un tozzo serpente marino. Bink abbassò la testa e continuò a stringere. Il serpente si mutò in un lupo bicipite, e cercò di azzannargli gli orecchi. Strinse ancora più forte: era disposto a rimetterci un orecchio, pur di vincere il duello. Il lupo divenne un enorme giglio tigrato che ringhiava orribilmente, ma Bink gli stava stritolando lo stelo. Finalmente il mostro si fece furbo. Si tramutò in un cactus lancia-aghi. Gli aghi si piantarono nelle braccia e nel viso di Bink... ma lui non mollò la presa. Il dolore era terribile, ma sapeva che se avesse mollato un istante, il mostro si sarebbe cambiato in qualcosa che non poteva afferrare, oppure il suo talento si sarebbe intromesso. Inoltre, Bink era inferocito: a causa di quell'essere aveva colpito una ninfa innocente che aveva la sola colpa di amarlo. Aveva presunto che le due jatture si fossero annullate a vicenda quando la spada mal scagliata l'aveva ferita, ma non era stato così. Che forza spaventosa poteva essere il suo talento! Gli sanguinavano le mani e la faccia, e un ago minacciava di trafiggergli un occhio, ma Bink strinse il torso di cactus con una furia d'odio, fino a far sprizzare un fluido bianchiccio. Il mostro si dissolse in un liquame fetido. Bink non riuscì più a trattenerlo: non c'era nulla da stringere. Ma dilaniò quella sostanza con le mani, lanciandone grumi attraverso l'arena, e calpestò il resto della massa. Il mostro poteva sopravvivere allo smembramento, anche in quella fase? «Basta così», disse il Demone. «Lo hai battuto». Fece un gesto negligente, e di colpo Bink si ritrovò indenne... e comprese che anche il suo talento era ritornato normale. Il Demone aveva messo alla prova lui, non il suo talento. Aveva vinto... ma a che prezzo? Corse da Gemma... la vera Gemma... ripensando a quando anche Chameleon era stata ferita allo stesso modo. Ma allora era stato il Mago Malefico, mentre questa volta l'aveva fatto lo stesso Bink. «La desideri?» chiese
il Demone. «Prendila». E Gemma ritornò illesa e incantevole, profumata di gardenie, come se fosse stata immersa nell'elisir risanatore. «Oh, Bink!» disse... e fuggì dall'arena. «Lasciala andare», disse saggiamente Cherie. «Solo il tempo potrà guarire la ferita invisibile». «Ma non posso lasciarle credere che volevo...». «Lei sa che non volevi farle male, Bink. O lo capirà quando ci penserà con calma. Ma sa anche di non aver un futuro con te. È una creatura delle grotte, gli spazi aperti della superficie la spaventerebbero. Anche se non fossi sposato, non potrebbe lasciare la sua patria per te. Ora che tu sei salvo, deve andarsene». Bink girò gli occhi verso la porta dalla quale era uscita Gemma. «Vorrei tanto poter fare qualcosa». «Puoi lasciarla in pace», disse Cherie, con fermezza. «Deve rifarsi una vita». «Questo è buon senso equino», dichiarò Grundy il golem. «Ti permetterò di fare a modo tuo», disse il Demone e Bink. «Non ho nessun riguardo per te e per il tuo interesse, ma rispetto le condizioni della scommessa. Alla tua società chiedo solo che non invada i miei dominii privati. Se lo farà, potrei essere indotto a fare qualcosa che vi dispiacerebbe... per esempio, cauterizzare l'intera superficie del pianeta con una fiammata. Ho espresso la mia direttiva in una forma che il tuo minuscolo intelletto può comprendere?». Bink non considerava minuscolo il proprio intelletto, in confronto a quello del demone. X(A/N)th era onnipotente, non onnisciente. Ma non sarebbe stato diplomatico ricordarglielo in quel momento. Bink era certo che il Demone avrebbe potuto annientare tutta la vita nella Terra di Xanth, se si fosse irritato. Era suo interesse personale accontentarlo, e fare in modo che altri idioti come lui non andassero a disturbarlo. Quindi il suo talento si sarebbe adoperato a quello scopo... come X(A/N)th indubbiamente sapeva. «Sì». Poi Bink ebbe un lampo di genio. «Ma sarebbe più facile garantirti la tranquillità se non restassero in giro cose come Maghi sperduti o centauri in salamoia...». Cherie si scosse, attentissima. «Bink, sei un genio!». «Questo Mago?» chiese X(A/N)th. Infilò la mano attraverso la volta, e tirò giù uno scheletro. «Posso rianimarlo...». Bink, dopo il trauma iniziale, si accorse che lo scheletro era troppo gros-
so per essere appartenuto a Humfrey. «Uh, non quello», disse, sollevato. «Più piccolo, come uno... uno gnomo. E vivo». «Oh, quello», disse X(A/N)th. Infilò la mano nella parete e tirò fuori il Buon Mago Humfrey, scarmigliato ma illeso. «Era ora», borbottò Humfrey. «Stavo per soffocare, sotto quelle macerie». Il Demone infilò la mano nel pavimento e pescò Chester, avvolto in un involucro scintillante d'acqua del lago. Quando lo posò, l'involucro scoppio, l'acqua evaporò e Chester si guardò intorno. «Così, eri andato a farti una nuotata senza di me!» disse severamente Cherie. «Io me ne sto a casa a badare al tuo puledro mentre tu vai a zonzo...». Chester fece una smorfia. «Io vado a zonzo perché tu passi tutto il tempo con il puledro!». «Uh, non c'è bisogno di...» s'intromise Bink. «Non immischiarti», gli mormorò la centauressa, strizzando un occhio. Poi gridò a Chester: «Perché lui è proprio come te! Non posso impedire a te di rischiare la tua stupida coda in avventure pericolose, grosso idiota, ma almeno ho lui che non ricorda...». «Se badassi più a me, resterei più a casa!» ribatté Chester. «Bene, adesso baderò di più a te, somaro», disse lei baciandolo, mentre l'arena si dissolveva per lasciar posto a una comoda stanza. «Ho bisogno di te». «Davvero?» chiese lui, lusingato. «E perché?». «Per fare un altro puledro, asino! Uno che somigli tutto a me, così potrai portarlo in giro a galoppare...». «Ehi!» gridò Chester, illuminandosi. «Cosa ne diresti di cominciare subito?» Poi si guardò intorno, ricordò dov'era, e arrossì. Il golem sghignazzò. «Uh, a tempo debito». «E potrai portare in giro anche Chet», continuò Cherie. «Così lo aiuterai a scoprire il suo talento». Non lasciò capire quanto doveva costarle pronunciare quella parola. Chester la fissò ad occhi sgranati. «Il suo... vuoi dire che tu...». «Oh, andiamo, Chester», scattò lei. «Tu sbagli dieci volte al giorno, io non posso sbagliare una volta nella mia vita? Non dico che mi piaccia, ma dato che la magia sembra far parte dell'eredità dei centauri, dovrò tollerarla. La magia può essere utile. Dopotutto, ti ha restituito a me». S'interruppe, guardandolo di sottecchio. «Anzi, potrei gradire un po' di musica suo-
nata con un flauto». Sbalordito, Chester guardò prima Cherie e poi Bink, rendendosi conto che qualcuno aveva fatto la spia. «Forse potremo farlo... nell'intimità. Dopotutto, siamo centauri». «Sei una gran bestia», disse Cherie, agitando la coda. Bink nascose un sorriso. Quando quella centauressa imparava una lezione, l'imparava a dovere! «E questo sembra risolvere la situazione, che è stata molto noiosa», disse il Demone. «Ora, se siete tutti pronti ad andarvene per non tornare mai più...». Ma Bink non era del tutto soddisfatto. Non si fidava di quell'improvvisa generosità da parte del Demone. «Davvero sei contento di restare eternamente escluso dalla nostra società?». «Voi non potete escludermi», ribatté il Demone. «Sono la fonte della magia. Escluderete voi stessi. Io osserverò e parteciperò ogni volta che ne avrò voglia... probabilmente mai, dato che la vostra società m'interessa ben poco. Quando ve ne andrete, mi dimenticherò di voi». «Dovresti almeno ringraziare Bink perché ti ha liberato», disse Cherie. «Lo ringrazio risparmiandogli la vita», disse X(A/N)th. Se Bink non avesse saputo che era impossibile, avrebbe pensato che il Demone era irritato. «Se l'è guadagnata!» ribatté Cherie. «Gli devi ben di più!». Bink cercò di trattenerla. «Non farlo arrabbiare», mormorò. «Può annientarci in un batter d'occhio...». «E senza neppure batterlo», confermò il Demone. Una delle sue palpebre tremolava come se stesse per sbattere. «Ebbene, anche Bink avrebbe potuto lasciarti marcire per altri mille anni senza batter l'occhio», gridò la centauressa. «Ma non l'ha fatto. Perché possiede qualcosa che tu non capirai mai: l'umanità!». «Giumenta, mi sorprèndi», mormorò X (A/N)th. È vero che sono onnipotente non onnisciente... ma credo che potrei comprendere le motivazioni umane, se mi concentrassi». «Ti sfido a farlo!» gridò Cherie. Persino Chester s'innervosì. «Cosa stai cercando di fare, Cherie?» le chiese. «Vuoi che quello ci annienti tutti?». Il Demone guardò Grundy. «Mezza-cosa, c'è sostanza nella sua sfida?». «Che cosa ci guadagno, se rispondo?» chiese il golem. Il Demone alzò un dito. Una luce avviluppò Grundy. «Questo».
Il golem parve assorbire la luce... ed ecco, non era più una cosa di spago e d'argilla. Era vivo. Era divenuto un elfo. «Sono... sono reale!» gridò. Poi, vedendo che il Demone lo fissava, rammentò la domanda. «Sì, c'è sostanza! Fa parte dell'essere una creatura senziente. Devi ridere e piangere, conoscere la sofferenza e la gratitudine e... ed è la cosa più meravigliosa che ci sia...». «Allora ci rifletterò sopra», disse il Demone. «Fra un secolo o due, dopo aver studiato la nomenclatura riveduta e corretta». Si rivolse di nuovo a Cherie. «Un dono ti farebbe piacere, giumenta senziente?». «Non ho bisogno di nulla», disse lei. «Ho già Chester. Dovresti offrirlo a Bink». «Allora concedo a Bink la realizzazione di un desiderio». «No, così non va! Devi mostrare che comprendi dandogli qualcosa di bello al quale lui non avrebbe pensato da solo». «Ah, un'altra sfida», disse il Demone. Rifletté qualche istante, poi tese la mano e sollevò Cherie. Bink e Chester sussultarono, allarmati, ma non era una mossa ostile. «Questo basterebbe?». Il Demone si accostò la centauressa alla bocca. Bink e Chester sussultavano di nuovo, ma il Demone stava solo bisbigliando. La bocca era così enorme che il bisbiglio la scuoteva, ma le parole erano inudibili per gli altri. Cherie si raddrizzò. «Oh, sì che basterebbe! Hai compreso!» esclamò. «Semplice interpolazione derivata dall'osservazione dei gesti dei suoi simili». Il Demone la posò, poi mosse un altro dito. Nell'aria apparve un piccolo globo che volò verso Bink. Bink l'afferrò. Sembrava una bolla solidificata. «Ecco il tuo desiderio... e dovrai sceglierlo da solo», disse il Demone. «Tieni la sfera davanti a te e proferisci il desiderio. Qualunque cosa chiederai sarà tuo, se rientra nel regno della magia». Bink alzò la sfera. «Desidero che gli uomini liberati dall'assenza della magia e ritornati al villaggio della polvere magica rimangano liberi e non ridiventino pietra», disse. «E che la grifona non ridiventi d'oro. E che tutte le cose uccise dalla scomparsa della magia, come il corallo...». Il Demone fece un gesto d'impazienza. «Come vedi, la bolla non è scoppiata. Ciò significa che il tuo desiderio non è qualificato, per due ragioni. Innanzi tutto non è egoistico: tu non ci guadagni nulla. In secondo luogo, gli incantesimi dell'oro e della pietra possono essere ristabiliti solo da una nuova applicazione: una volta interrotti, sono svaniti. Nessuno di quelli che hai nominato è ridiventato d'oro o di pietra, e nessuno degli incantesimi affini ha ripreso vigore. Solo la vita magica è ritornata, come quella del
golem e del corallo. Gli altri incantesimi sono come il. fuoco: ardono di continuo quando vengono accesi, ma quando si spengono restano spenti. Non sprecare la mia attenzione su simili ridondanze: il tuo desiderio deve avere una finalità egoistica». «Oh», disse Bink, sconcertato. «Non so pensare a un desiderio del. genere». «Comunque, era un'idea generosa», gli mormorò Cherie. Il Demone agitò una mano. «Dovrai portare il desiderio con te finché l'avrai speso. Ora basta: queste banalità mi annoiano». E tutti si ritrovarono nella foresta che Bink, Cherie e il puledro avevano lasciato. Era come se il Demone non fosse mai esistito... ma c'era la sfera. E gli amici di Bink, di nuovo indenni. E la magia della foresta era risorta. Persino Cherie sembrava soddisfatta di quella magia, adesso. Bink scrollò la testa e intascò il globo del desiderio. Voleva solo tornare a casa da Chameleon, e per questo non aveva bisogno di una magia speciale. «Io porterò Bink», come al solito, disse Chester. «Cherie, tu porta il Mago...» S'interruppe. «Crombie! Abbiamo dimenticato il grifone!». Bink si tastò la tasca. «No. L'ho qui nella boccetta. Ora posso liberarlo...». «No, lascialo bollire ancora per un po'», decise Chester. Evidentemente non aveva ancora perdonato il soldato, dopo il loro ferocissimo duello. «Forse è meglio», disse Cherie. «Quando è stato rinchiuso era impegnato in una battaglia. Potrebbe uscire combattendo». «E allora fallo uscire!» esclamò Chester in tono bellicoso. «Credo che sarebbe meglio aspettare», disse Bink. «Non si sa mai». Era il crepuscolo, ma il viaggio fu rapido. I mostri della notte non facevano più orrore, dopo la loro avventura. Bink sapeva che avrebbe potuto usare il suo desiderio per evitare guai, se fosse stato necessario. Oppure avrebbe potuto liberare Crombie e lasciar fare a lui. Quasi tutte le entità pericolose dei territori desolati si stavano ancora riprendendo dal trauma della perdita temporanea della magia, e non erano aggressivi. Ma Chester aveva un problema. «Io ho pagato per una Risposta», disse al Buon Mago. «Però ho scoperto da solo il mio talento. Ora potrei chiedere qual è il talento di Cherie...». «Lo conosco già», disse Cherie, arrossendo leggermente a quella confessione quasi oscena. «Non sprecare per questo la tua Domanda!». «Conosci il tuo talento?» ripeté Chester, sbalordito. «Qual...».
«Te lo dirò un'altra volta», disse pudicamente lei. «Ma così resto senza desiderio... voglio dire, senza Risposta», obiettò il centauro. «L'ho pagato con la vita, ma non so che cosa chiedere». «Non è un problema», disse Humfrey. «Potrei dirti io che cosa devi chiedere». «Davvero?» Poi Chester si accorse della trappola. «Ma allora la sciuperei! Voglio dire, se tu mi dicessi la Domanda, consumerei la Risposta... e allora non avrei la Risposta alla Domanda!». «Sì, sembra che ci sia un problema», riconobbe Humfrey. «Potresti accettare di pagare un altro onorario...». «Neanche per il pelo della tua bella coda!» gridò Cherie. «Basta con le avventure lontano da casa!». «Ecco, ho già perso la libertà», borbottò Chester, ma non sembrava molto addolorato. Bink ascoltava, cupo. Era contento di tornare a casa, ma si sentiva ancora colpevole di ciò che era accaduto a Gemma. Aveva un desiderio a disposizione... ma sapeva che non poteva desiderare che Gemma si disamorasse di lui. Era un amore reale, non magico, e non poteva venire abolito magicamente. E poi, Chameleon come avrebbe reagito a quella faccenda? Avrebbe dovuto raccontarglielo. .. Arrivarono al galoppo alla reggia mentre si faceva notte. I giardini erano illuminati da splendide falene-luna, il cui chiarore verde conferiva al palazzo una bellezza ultraterrena. La Regina Iris stava evidentemente di guardia, perché sorsero tre lune che illuminarono il castello quando entrarono, e ci fu una fanfara di trombe invisibili. Furono prontamente accompagnati nella biblioteca, la sala preferita dal Re. Senza far cerimonie, Bink raccontò l'accaduto. Il Re Trent ascoltò senza interrompere. Quando Bink ebbe terminato, annuì. «Darò disposizioni per trasferire lo Scudo come suggerisci», disse finalmente. «Credo che non divulgheremo la presenza del Demone, ma faremo in modo che nessuno vada a disturbarlo». «Sapevo che l'avresti pensata così», disse Bink, sollevato. «Io... non sapevo che la mia cerca avrebbe avuto una simile conseguenza. Deve essere stato terribile, qui, senza magia». «Oh, io non ho avuto difficoltà», disse il Re. «Ho passato vent'anni in Mundania, ricordalo. Ho ancora molte abitudini non magiche. Ma Iris era sull'orlo dell'esaurimento nervoso, e il resto del regno non se la passava
meglio. Tuttavia, credo che l'effetto complessivo sia stato benefico; adesso i cittadini apprezzano veramente la loro magia». «Lo credo», disse Bink. «Non avevo mai capito quanto fosse importante la magia, fino a che non ho visto Xanth senza di essa. Ma il nostro gruppo ha ancora diverse cosette da concludere. Chester ha una Risposta in sovrappiù, e io ho un desiderio che non posso usare, e Crombie è rinchiuso...». «Ah, sì», disse il Re. «Sarà meglio ritrasformarlo». Bink stappò la boccetta. Il vapore si condensò e apparve il grifone. «Squawk!» proclamò. «Era ora», tradusse Grundy. Il Re Trent guardò il grifone... e il grifone divenne un uomo. «Bene», disse Crombie, tastandosi. «Non era necessario che mi tenessi imbottigliato. Sentivo tutto quello che succedeva». Si rivolse a Chester. «E tu, testa di zoccolo... ho combattuto con te solo perché ero controllato dal corallo. Non dovevi aver paura di me, dopo che quella faccenda era sistemata». Chester si gonfiò. «Paura di te? Stai a sentire, Cervello di Gallina...». «Quando vuoi riprovartici, somaro...». «Basta così», disse il Re, gentilmente, e i due tacquero, piuttosto di malagrazia. Il Re Trent sorrise e si rivolse a Bink. «Qualche volta ti sfuggono le cose più ovvie, Bink. Lascia che Chester ceda a te la sua Risposta». «A me? Ma è la sua...». «Sicuro, prendila pure», disse Chester. «Io non ne ho bisogno». «Ma ho già un desiderio che non posso utilizzare e...». «Ora puoi usare la Domanda di Chester per chiedere al Buon Mago quale deve essere il tuo desiderio», disse il Re. Bink si girò verso Humfrey, che stava russando su una poltrona. Vi fu un breve silenzio imbarazzato. Grundy andò a tirare il Mago per la caviglia. «Rispondi, nanerottolo». Humfrey si svegliò trasalendo. «Dallo a Crombie», disse prima che Bink aprisse bocca, e si riaddormentò. «Cosa?» gridò Chester. «La Risposta che ho faticato tanto a guadagnare deve servire a realizzare gratuitamente un desiderio di questo uccellaccio?». Bink era meravigliato, ma porse a Crombie la sfera del desiderio. «Posso chiedere come intendi usarla?». Crombie si agitò, impacciato. Era un comportamento insolito, per lui.
«Uh, Bink, ricordi la ninfa? Quella che...». «Gemma», disse Bink. «Ho paura di cercare di spiegare a...». «Ecco, io... uh, vedi, avevo nella bottiglia il frammento di specchio magico, e l'ho usato per controllare Sabrina, e...». «Temo che la costanza non sia mai stata il suo forte», intervenne il Re. «Non credo che voi due siate fatti l'uno per l'altra». «E allora?» chiese Bink, perplesso. «Mi tradiva», disse Crombie, con una smorfia. «Proprio quando stavo per... Ma l'altro è sposato, quindi lei voleva farmi credere che il bambino fosse mio e... Sapevo che non potevo fidarmi di una donna!». Dunque Sabrina aveva tradito Crombie, come aveva tradito lo stesso Bink prima che lui incontrasse Chameleon. Eppure aveva cercato di sposare Crombie... e il destino voleva che lui la sposasse, a meno che prima sposasse un'altra. «Mi dispiace», disse Bink. «Ma credo che sarebbe meglio se la lasciassi perdere. Non ha senso sprecare un desiderio per vendicarsi». «No, non è a questo che pensavo», rispose Crombie. «Non mi fiderei più di una donna. Ma credo che potrei amare una ninfa...». «Gemma?» chiese Bink, sorpreso. «Non pretendo che tu mi creda», disse Crombie, in tono serio. «Non ci credo neppure io. Ma sono un soldato e devo affrontare la realtà. Avevo perso la bottiglia prima ancora d'incominciare. Ero lì, in quel crepaccio, dopo che mi avevi ferito, Bink. Non ti serbo rancore: è stato un bel duello. Ma soffrivo parecchio. Poi è arrivata lei, profumata di pino e di gardenie, e ha portato l'elisir risanatore. Non avevo mai visto niente di più dolce in vita mia. Era debole ed esitante, da vera ninfa. Non era una minaccia per un uomo, tanto meno per un soldato. Niente concorrenza. Il tipo di femmina con cui potrei andare d'accordo. E come ti ha difeso...» Crombie scrollò la testa. «È per questo che sono rientrato nella boccetta, dopo aver indicato l'antidoto per te. Non avrei fatto nulla che le causasse un dispiacere, e uccidendoti l'avrei straziata. E se tu avessi avuto l'antidoto, ti saresti disamorato di lei, come volevo io. Lei è bellissima e leale. Ma dato che ti ama ancora...». «Non c'è niente da fare», disse Bink. «Non la rivedrò più, e anche se la rivedessi...» Scrollò le spalle. «Non potrà mai esserci niente tra noi». «Giusto. Quindi, se non ti dispiace, prenderò il desiderio e desidererò che lei beva quel filtro d'amore... e poi mi veda. Allora proverà per me i sentimenti che tu provavi per lei. Però io sarò disponibile, dato che comunque devo sposare qualcuna».
E Crombie era un soldato valoroso e un bell'uomo. Inevitabilmente, l'amore acceso dalla pozione sarebbe diventato reale. La sofferenza che Gemma provava per ciò che aveva fatto Bink, colpendola con la spada, avrebbe facilitato la transizione. Tuttavia... «Ma a te piace viaggiare», disse Chester, prima che Bink potesse formulare la stessa obiezione. «E lei vive sottoterra, piantando le pietre preziose. È il suo lavoro, e non vorrà abbandonarlo». «Quindi ci separeremo... e ci ritroveremo», disse Crombie. «Starò con lei, ma non sempre. A me piace così. Sono un soldato». E questo risolveva il problema di Bink. «E io?» chiese Grundy. «Senza Cervello di Gallina, sono senza lavoro. Adesso sono reale: non posso scomparire». «Ogni tanto c'è bisogno di un traduttore, a corte», disse il Re. «Ti troveremo un impiego». Si guardò intorno. «Per questa sera basta così. Ho fatto preparare gli alloggi per tutti voi alla reggia». Li accompagnò alla porta. Bink uscì per ultimo. «Mi... mi dispiace di aver causato tanti guai», disse. «Il Buon Mago aveva cercato di avvertirmi, e anche Beauregard il demone, ma non ho voluto ascoltarli. Solo perché volevo conoscere la fonte della magia...». «Non preoccuparti, Bink»', disse il Re con un sorriso rassicurante. «Sapevo che c'era un rischio, quando ti ho affidato la cerca... ma anch'io ero curioso di conoscere la fonte della magia, e sentivo che era meglio se a fare la scoperta fossi stato tu, protetto dal tuo talento. Sapevo che il tuo talento ti avrebbe tolto dai guai». «Ma ho perduto il talento quando la magia è sparita e...». «Davvero, Bink? Non ti è sembrato che il ritorno del Demone fosse una coincidenza straordinaria?». «Ecco, lui voleva un posto tranquillo per...». «E poteva trovarlo in qualunque altro luogo dell'universo. Che cosa lo ha fatto tornare, veramente? Credo che fosse il tuo talento, sollecito dei tuoi interessi a lungo termine. Il tuo matrimonio era in pericolo, e la tua magia ha usato un sistema complicatissimo per sistemare tutto». «Non... non posso credere che il mio talento abbia collaborato per influire sull'origine stessa della magia!» protestò Bink. «Io non ho difficoltà del genere. È un processo chiamato feedback, e può riflettersi profondamente sull'origine. La stessa vita può essere considerata un processo di feedback. Ma anche se non fosse così, il tuo talento potrebbe aver anticipato la concatenazione degli eventi, stabilendo un corso che
inevitabilmente avrebbe riportato la magia nella Terra di Xanth, come una freccia lanciata in aria ricade inevitabilmente...». «Uh, quando abbiamo combattuto contro le costellazioni, le frecce di Chester non...». Il Re scosse la testa. «Scusa l'analogia imprecisa. Non ti annoierò oltre con la mia prospettiva mundana. Sono soddisfatto del risultato della tua cerca, e dovresti esserne soddisfatto anche tu. Sospetto che se fosse stato un altro a liberare il Demone, X(A/N)th non sarebbe più ritornato al nostro regno. A questo punto, la questione è accademica. Dovremo trovarti un'altra occupazione, ma non c'è fretta. Vai a casa da tua moglie e da tuo figlio». «Mio figlio?». «Oh, avevo dimenticato di dirtelo? Al crepuscolo sei diventato padre di un bimbo appartenente alla classe dei Maghi, mio probabile successore al trono... a tempo debito. Ritengo che il talento del piccolo sia il dono che ti ha fatto il Demone, e forse una delle ragioni per le quali il tuo talento ti ha fatto vivere questa avventura». «Che talento ha il piccino?» chiese Bink, stordito. Suo figlio... un Mago riconoscibile fin dalla nascita! «Oh, non voglio rovinarti la sorpresa! Vai a casa e vedrai!» Il Re Trent gli batté cordialmente la mano sulla spalla. «La tua vita domestica non sarà più noiosa!». Bink s'incamminò. I talenti non si ripetevano mai, nella Terra di Xanth, se si eccettuavano forse i diavoli, quindi suo figlio non poteva essere un Trasformatore come il Re, o un Signore dei Temporali come il Re precedente, o un Adattatore Magico come il Re Roogna che aveva costruito il castello omonimo, o un Illusionista come la Regina Iris. Che cosa poteva essere, perché si vedesse così presto? Quando si avvicinò alla casetta ai margini dei giardini della reggia, e aspirò l'odore residuo di formaggio che ne emanava, i pensieri di Bink si rivolsero a Chameleon. Era trascorsa soltanto una settimana da quando l'aveva lasciata, ma gli sembrava un anno. Adesso sarebbe stata nella fase normale, media nell'aspetto e nell'intelligenza; la fase che preferiva. Le preoccupazioni di entrambi per le prospettive del piccolo erano finite; il bimbo non era variabile come lei, e non era apparentemente privo di talento come lui. L'amore per Chameleon era stato duramente messo alla prova dal filtro d'amore e dalla disponibilità di un'alternativa molto desiderabile. Che sollievo, l'idea che Crombie corresse dietro a Gemma... anche se quel-
la poteva essere un'altra trovata del suo talento. Comunque, adesso Bink sapeva quanto amava Chameleon. Forse non se ne sarebbe mai accorto, se non avesse vissuto quell'avventura. Quindi il Re aveva ragione e lui... Qualcuno uscì dalla casetta. Gettava una triplice ombra nella luce delle tre lune, ed era bella. Le corse incontro con un'esclamazione di gioia, l'abbracciò e... scoprì che non era Chameleon. «Millie!» esclamò, lasciandola immediatamente. Lei aveva un fascino sessuale straordinario, ma lui voleva Chameleon. «Millie lo spettro! che cosa fai qui?». «Assisto tua moglie», disse Millie. «E tuo figlio. Credo che mi piacerà, fare di nuovo la bambinaia. Soprattutto di un bambino tanto importante». «Importante?» chiese sbalordito Bink. «Parla alle cose!» sbottò lei, entusiasta. «Voglio dire, lui fa "goo-goo", e le cose gli rispondono. La culla gli ha cantato una ninnananna, il cuscino fa qua-qua come un'anitra, un sasso mi ha avvertita di non inciampare perché non facessi cadere il Mago...». «Comunicazione con l'inanimato!» mormorò Bink, rendendosi conto del significato. «Non si perderà mai, perché ogni roccia gli darà indicazioni. Non soffrirà mai la fame, perché un lago gli dirà qual è il posto migliore per pescare, o un albero... no, un albero no, è vivo... un sasso gli indicherà dove trovare la frutta. Potrà apprendere più informazioni del Buon Mago Humfrey, e senza ricorrere ai demoni! Anche se alcuni dei miei amici migliori sono demoni, come Beauregard... Nessuno potrà mai tradirlo, perché i muri gli riveleranno tutti i complotti. Lui...». Una sagoma lugubre uscì dall'oscurità, perdendo pezzetti di terra. Bink strinse l'impugnatura della spada. «Oh, no, fermo!» gridò Millie. «È solo Jonathan!». «Non è un uomo... è uno zombie!» protestò Bink. «È un mio vecchio amico», disse lei. «Lo conoscevo quando Castel Roogna era nuovo. Adesso che sono di nuovo viva, si sente responsabile per me». «Oh». Bink intuiva che c'era sotto qualcosa... ma al momento voleva solo rivedere sua moglie e suo figlio. «Era lo zombi che ho incontrato...». «Nel giardino», disse Millie. «Si era perso nel labirinto della Regina, la sera della festa dell'anniversario. Poi è entrato per raggiungermi, ed è finito in salamoia. C'è voluto un grosso incantesimo per liberarlo! E adesso stiamo cercando un incantesimo che faccia rivivere anche lui, così potremo...» Arrossì lievemente. Era chiaro che in vita lo zombi era stato qualcosa di
più di un amico. Millie aveva mostrato un interesse imbarazzante per Bink, durante quella festa; ma sembrava che l'apparizione dello zombi l'avesse stroncato. Un altro inconveniente risolto dal talento di Bink. «Quando mio figlio sarà più grande, gli diremo di informarsi», disse Bink. «Dev'esserci qualche pietra, da qualche parte, che sa dove si può trovare un incantesimo per riportare in vita gli zombi». «Oh, sì!» esclamò entusiasta Millie. «Oh, grazie!». Bink si rivolse allo zombi, ma non gli tese la mano. «Credo che tu sia stato un altro presagio per me, Jonathan. Quando ti ho incontrato la prima volta, annunciavi la morte con tutti i suoi orrori: la morte della magia. Ma attraverso quella morte ho trovato una specie di rinascita... e la troverai anche tu». Bink si avviò verso la porta della casetta per ricongiungersi alla sua famiglia. FINE