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IRIS JOHANSEN DOPPIO VOLTO (The Face Of Deception, 1998) Ringraziamenti I miei più sentiti e sinceri ringraziamenti vanno a N. Eileen Barrow, ricercatore associato e scultore forense presso il laboratorio FACES della Louisiana State University. La sua generosità nell'offrirmi tempo, aiuto e consigli è stata determinante per questo libro. Grazie a Mark Stolorow, direttore operativo della Cellmark Diagnostics Inc, per il paziente ausilio che mi ha fornito nel chiarirmi gli aspetti tecnici del DNA e le complesse procedure della chemioluminescenza. Prologo Penitenziario, Jackson, Georgia 27 gennaio, 23.55 Stava per accadere. Dio, no. Persa. L'avrebbe persa. Li avrebbero persi tutti. «Vieni via, Eve. Non è posto per te.» Joe Quinn era accanto a lei, il volto squadrato e giovanile appariva pallido e tirato sotto l'ombrello nero. «Non puoi farci niente. L'esecuzione è già stata rinviata due volte, il governatore non lo farà di nuovo. L'ultima volta ci sono state troppe proteste.» «Ma deve farlo!» Il cuore le batteva tanto da farle male. Tutto ciò che aveva intorno le faceva male, in quel momento. «Voglio parlare con la guardia carceraria.» «Non te lo permetteranno.» «Mi ha già visto una volta, e ha chiamato il governatore. Devo vederlo. Lui aveva capito...» «Ti porto alla macchina. Qui fuori si gela e sei tutta bagnata.» Eve fissò disperata la porta della prigione. «Parlagli tu! Sei dell'FBI, forse ti ascolterà.» «È troppo tardi, Eve.» Cercò di attirarla sotto l'ombrello, ma lei si allon-
tanò. «Cristo, non saresti dovuta venire qui.» «Tu sei venuto.» Indicò l'orda di giornalisti e fotografi accalcati ai cancelli. «Loro sono venuti. Chi più di me aveva diritto a venire qui?» singhiozzò. «Devo fermarli. Devono capire che non possono...» «Tu sei pazza!» Qualcuno la afferrò per le spalle, e si trovò davanti un uomo di circa quarant'anni, il volto contratto dal dolore, rigato di lacrime. Ci volle qualche attimo perché lo riconoscesse: Bill Verner. Suo figlio era uno dei bambini scomparsi. «Non ti impicciare. Lascia che lo uccidano», aggiunse. «Ci hai già causato abbastanza dolore e cerchi ancora di salvarlo. Lascia che venga giustiziato, quel bastardo, maledizione!» «Non posso. Non capisci? Così li perderemo. Devo...» «Ti ripeto, non t'impicciare, altrimenti, se Dio vuole, te ne farò pentire...» «Lasciala in pace.» Quinn si fece avanti e spintonò Verner. «Non vedi che soffre più di te?» «Non è vero! Lui ha ucciso mio figlio, non permetterò che venga risparmiato un'altra volta.» «Credi che io non voglia vederlo morto?» sbottò lei. «È un mostro. Lo ucciderei con le mie mani, ma non posso lasciare che...» Non c'era tempo per discutere, pensò freneticamente. Non c'era tempo per fare niente. Ormai era quasi mezzanotte. Stavano per ucciderlo. E avrebbe perso Bonnie per sempre. Si allontanò da Verner e corse verso i cancelli. «Eve!» Batté i pugni sul cancello. «Fatemi entrare! Dovete farmi entrare! Fermatevi!» Lampi di flash. Le guardie avanzavano verso di lei. Quinn tentava di trascinarla via. Il cancello si aprì. Forse c'era una possibilità. La guardia stava uscendo. «Fermate tutto», urlò lei. «Dovete fermarvi.» «Vada a casa, signorina Duncan. È finita.» La guardia la superò e si diresse verso le telecamere.
Finita? Impossibile. La guardia fissò le telecamere con aria grave, le sue parole furono brevi e concise. «La pena non è stata rinviata. Ralph Andrew Fraser è stato giustiziato quattro minuti fa e dichiarato morto sette minuti dopo la mezzanotte.» «No!» L'urlo di Eve esprimeva angoscia e desolazione, spezzato e indifeso come il pianto di un bambino che si sia perduto. Non s'accorse nemmeno che era lei a urlare. Quinn la prese tra le braccia quando le gambe le cedettero e cadde in avanti come un corpo morto. Uno Atlanta, Georgia, 5 giugno Otto anni dopo «Hai un aspetto orribile. È quasi mezzanotte. Ma non dormi mai?» Eve distolse lo sguardo dallo schermo del computer e vide Joe Quinn appoggiato allo stipite della porta. «Certo.» Si tolse le lenti per stropicciarsi gli occhi. «Fare una notte in bianco non vuol dire che sono una fanatica del lavoro. Dovevo solo controllare queste misurazioni prima di...» «Lo so, lo so.» Joe entrò nello studio e si sedette accanto alla scrivania. «Diane dice che le hai fatto un bidone all'ora di pranzo.» Lei annuì con aria colpevole. Era la terza volta in un mese che annullava un appuntamento con la moglie di Joe. «Le ho spiegato che la polizia di Chicago voleva i risultati. I genitori di Bobby Starnes li stanno aspettando.» «E corrispondono?» «Quasi. Ne ero abbastanza certa già prima di iniziare la sovrapposizione. Nel teschio mancava qualche dente, ma l'esame della dentatura coincide.» «Allora perché hanno chiamato te?» «I genitori stentavano a crederci. Io ero la loro ultima speranza.» «Orribile...» «Sì, ma io so cosa vuol dire sperare. E quando vedranno che il volto di Bobby coincide con il teschio, sapranno che è finita. Accetteranno il fatto che il figlio è morto, e forse potranno tornare a vivere.» Guardò l'immagine sullo schermo del computer. La polizia di Chicago le aveva dato un te-
schio e la foto di un bambino di sette anni, Bobby. Lavorando con programmi di grafica, aveva sovrapposto l'immagine del volto del bambino al teschio. Come aveva detto, la corrispondenza era quasi perfetta. Nell'immagine, Bobby sembrava così vivo e adorabile da spezzare il cuore. Tutti spezzavano il cuore, pensò lei stanca. «Stai andando a casa?» «Sì.» «E sei passato solo per rimproverarmi?» «Sento che è uno dei grandi doveri della vita.» «Bugiardo.» Fissò la valigia di pelle nera che teneva in mano. «È per me?» «Abbiamo trovato uno scheletro nei boschi di North Gwinnett. Disseppellito dalla pioggia. È stato attaccato dagli animali, ne rimane ben poco, ma il teschio è intatto.» Aprì la valigetta con uno scatto. «È una bambina, Eve.» Quando era una bambina, glielo diceva sempre subito. Forse in questo modo crede di proteggermi, pensò. Prese il teschio e lo esaminò attentamente. «Non è una bambina, è una ragazza di undici o dodici anni.» Indicò una crepa slabbrata sulla mascella superiore. «È stata esposta al freddo almeno per un inverno.» Sfiorò la larga cavità nasale. «Forse era una ragazza di colore.» «Questo particolare sarà utile», disse lui con una smorfia, «ma non molto. Devi ricostruirla. Non abbiamo idea di chi sia, né foto da sovrapporre. Sai quante ragazzine scappano da casa, in questa città? Se veniva da un ghetto, la sua scomparsa potrebbe non essere mai stata denunciata. Di solito ai genitori importa di più rifornirsi di crack che badare a... Scusami, avevo dimenticato. Prendimi a calci.» «È un'abitudine, Joe!» «Solo quando sono con te. Abbasso le difese.» «Dovrei esserne lusingata?» Esaminò attentamente il teschio. «Lo sai che la mamma non tocca il crack da anni. E ci sono molte cose della mia vita delle quali mi vergogno, ma non d'essere cresciuta nel ghetto. Se non avessi avuto una vita dura, non sarei sopravvissuta.» «Invece sì.» Non ne era così sicura. Era stata troppo vicina al crollo per essere certa di avere conservato la salute mentale, insieme a quella fisica. «Vuoi una tazza di caffè? Noi del ghetto facciamo un fantastico caffè nero.» «Ehi, ti ho detto che mi dispiace.» «Pensavo solo di farmene una dose», sorrise lei. «Così impari a fare d'o-
gni erba un fascio. Caffè?» «No, devo tornare a casa da Diane», disse alzandosi. «Non c'è fretta con questo qui, è rimasto seppellito così a lungo. Come dicevo, non sappiamo neanche chi stiamo cercando.» «Farò con calma, ci lavorerò di notte.» «Certo, hai così tanto tempo», disse lui guardando la pila di libri sul tavolo. «Tua madre dice che ora studi antropologia.» «Solo per corrispondenza, non ho tempo per seguire le lezioni.» «Ma perché mai antropologia? Non ne sai già abbastanza?» «Pensavo che mi potesse essere utile. Ho provato a imparare tutto quello che potevo dagli antropologi con i quali ho lavorato, ma ignoro ancora troppe cose.» «Sei già così impegnata...» «Non è colpa mia», si schernì lei. «È stato il tuo cliente a parlare di me in TV. Non poteva tenere la bocca chiusa? Avevo già abbastanza da fare senza tutto quel lavoro piovuto da fuori città.» «Be', ricorda solo chi sono i tuoi amici.» Joe si diresse verso la porta. «Non trasferirti in qualche università snob.» «Senti chi parla di snob, tu che sei andato ad Harvard.» «È stato secoli fa, ora sono un bravo ragazzo del Sud. Segui il mio esempio e resta dove sei nata.» «Non sto andando da nessuna parte!» Si alzò e mise il teschio sul tavolo da lavoro. «Tranne che a pranzo con Diane martedì, se ancora mi vuole. Glielo chiedi?» «Chiediglielo tu, io non voglio più interferire, ho già i miei problemi. Non è facile essere la moglie di uno sbirro.» Fece una pausa. «Vai a dormire, Eve. Sono morti, sono tutti morti. Non succede nulla se dormi un po'.» «Non essere stupido, lo so! Mi tratti come se fossi una nevrotica. Ma non è da professionista tralasciare un incarico.» «Come no.» Joe esitò per un attimo. «Ti ha chiamato John Logan?» «Chi?» «Logan. Logan Computer. Quel miliardario sulle orme di Bill Gates. Di recente ha fatto parlare molto di sé con le feste organizzate a Hollywood per finanziare il Partito repubblicano.» «Lo sai che non guardo mai i telegiornali.» Eve ricordò però di avere visto una foto di Logan, forse sul giornale. Un uomo sui quarant'anni, ab-
bronzatura californiana, capelli scuri molto corti, un po' ingrigiti sulle tempie. Nella foto sorrideva a qualche attrice bionda... Sharon Stone? Non ricordava. «Be', a me non ha chiesto soldi, e se lo facesse non gliene darei.» Guardò il computer. «È un Logan. Fa dei buoni computer, ma questo è l'unico contatto che ho con il nostro grande uomo.» E aggiunse: «Ma perché?» «Sta chiedendo in giro di te.» «Cosa?» «No, niente di personale. Agisce attraverso un avvocato californiano, Ken Novak, un pezzo grosso. Quando me l'hanno detto al quartier generale, ho fatto qualche controllo, e c'è dietro Logan, ne sono quasi sicuro.» «Non credo», sorrise lei scherzando, «non fa simili calcoli!» «Ti sei già occupata di inchieste private. Un uomo della sua posizione deve aver lasciato una scia di cadaveri sulla sua strada, e forse ha dimenticato dove ne ha seppellito un paio.» «La cosa è molto divertente.» Si massaggiò il collo indolenzito. «E avete passato i miei dati all'avvocato?» «Secondo te? Sappiamo come proteggere i nostri. Fammi sapere se riesce ad avere il tuo numero privato e t'importuna. Ci vediamo!» Chiuse la porta dietro di sé. Certo, Joe l'avrebbe protetta come sempre, e nessuno sapeva farlo meglio di lui. Era molto cambiato dal loro primo incontro, alcuni anni prima: il tempo aveva cancellato in lui ogni tracciadella giovinezza. Dopo l'esecuzione di Fraser, si era licenziato dall'FBI ed era entrato nella polizia di Atlanta; ora aveva il grado di tenente. Non le aveva mai detto il perché. Eve glielo aveva chiesto, ma la sua risposta - non reggo più lo stress di quel lavoro sempre pressante all'FBI - non l'aveva mai convinta. Joe a volte era molto riservato, e perciò non aveva insistito. Le bastava sapere che era sempre lì per lei. Come quella notte, davanti alla prigione. Non si era mai sentita così sola. Voleva non pensarci più. Il dolore e la rabbia erano ancora vivissimi. Eppure doveva farlo, doveva ricordare. Aveva imparato che l'unico modo per sopravvivere al dolore era affrontarlo. Fraser era morto. Aveva perso Bonnie. Chiuse gli occhi e si lasciò sommergere dal dolore. Quando passò, s'avvicinò al computer. Il lavoro l'aiutava molto. Bonnie l'avevano perduta, e
non l'avrebbero mai più ritrovata. Ma gli altri... «Ne hai un altro?» Sandra Duncan apparve sulla porta, sopra il pigiama indossava la sua vestaglia rosa preferita. Fissava il teschio sul tavolo. «Mi sembrava di avere sentito qualcuno in strada. Certo che Joe potrebbe lasciarti in pace.» «Non voglio essere lasciata in pace.» Eve si sedette alla scrivania. «Non preoccuparti, non è un lavoro urgente. Va' a letto, mamma.» «Vacci tu, a letto!» Sandra Duncan si avvicinò al teschio. «È una bambina?» «Una ragazzina.» Sandra rimase in silenzio per un attimo. «Non la ritroverai mai, lo sai. Bonnie se ne è andata. Accettalo, Eve.» «L'ho accettato. Faccio solo il mio lavoro.» «Balle!» Eve sorrise. «Vai a dormire.» «Posso fare qualcosa? Ti preparo uno spuntino?» «Rispetto troppo il mio stomaco per lasciartelo sabotare.» «Faccio del mio meglio», disse Sandra. «Certe persone non sono nate per cucinare.» «Hai altre qualità.» Sua madre annuì. «Sono una buona giornalista e sono bravissima nel dare fastidio. Vai a dormire, o devo dartene una prova?» «Ancora un quarto d'ora.» «Te lo concedo.» Si diresse verso la porta. «Ma aspetterò di sentire la porta della tua stanza che si chiude.» Dopo una pausa, aggiunse esitante: «Domani sera non torno a casa dal lavoro, vado fuori a cena». Eve la guardò sorpresa. «Con chi?» «Ron Fitzgerald. Te ne ho parlato, l'avvocato dell'ufficio del procuratore legale. Mi piace molto...» Il suo tono era quasi di sfida. «È simpatico.» «Bene. Mi piacerebbe conoscerlo.» «Io non sono come te. Da troppo tempo non esco con un uomo, ho bisogno di compagnia. Non sono una suora. Non ho neanche cinquant'anni, Dio mio! La mia vita non può finire perché...» «Perché quell'aria così colpevole? Ti ho mai detto di restare in casa? Hai il diritto di fare tutto quello che vuoi.» «Perché mi sento colpevole. Potresti rendermi la vita più facile se non fossi così dura con te stessa. Sei tu che ti sei chiusa in clausura.» Dio, perché sua madre voleva discuterne proprio quella notte? Era trop-
po stanca per reagire. «Ho avuto qualche relazione», replicò. «Solo finché non rubavano tempo al tuo lavoro. Un paio di settimane.» «Mamma!» «Va bene, va bene. Pensavo solo che sarebbe ora tu tornassi a una vita normale.» «Ciò che è normale per una persona non sempre lo è per un'altra.» Guardò lo schermo del computer. «Ora vorrei finire, prima di andare a letto. Domani sera mi dirai tutto della tua cena.» «Così potrai divertirti per procura?» ribatté Sandra acida. «Forse, non te l'assicuro.» «Invece sì.» «Va bene», sospirò sua madre. «Buonanotte, Eve.» «Buonanotte, mamma.» Eve si gettò all'indietro sulla sedia. Avrebbe dovuto accorgersi prima che sua madre stava diventando inquieta e infelice. L'instabilità emotiva rappresentava un pericolo costante per una tossicomane in via di guarigione. Ma la mamma non si drogava da quando Bonnie aveva compiuto due anni. Un altro dei doni che la bambina aveva portato nella loro vita. Forse stava esagerando. Crescere con una tossicomane l'aveva resa troppo sospettosa. Di certo l'inquietudine di sua madre era normale e salutare, e una relazione solida e ricca d'affetto era il meglio che le potesse accadere. Sandra aveva il diritto di divertirsi, pensava, ma bisognava tenere sotto controllo la situazione. Fissava lo schermo del computer ma il suo pensiero era altrove. Per quella sera aveva fatto abbastanza. Non c'erano più dubbi, il teschio apparteneva al piccolo Bobby Starnes. Spegnendo il computer, notò che sullo schermo appariva la scritta LOGAN. Strano, come non si fa mai attenzione a queste cose. Perché mai Logan stava assumendo informazioni su di lei? Probabilmente non era vero, doveva trattarsi di un errore. Le loro vite erano diametralmente opposte. Si alzò scrollando le spalle indolenzite. Doveva impacchettare il teschio di Bobby e portarselo in casa insieme al suo rapporto, per inviarli la mattina dopo. Non le piaceva avere nel laboratorio più di un teschio alla volta. Joe lo trovava ridicolo, ma lei diceva di non potere riservare tutta la sua attenzione al lavoro in corso se un altro teschio stava lì ad aspettare in silenzio. Il teschio di Bobby e i documenti sarebbero partiti per Chicago il giorno seguente e, in ventiquattr'ore, i genitori avrebbero saputo che il figlio
era tornato: non era più uno di quei ragazzi scomparsi. «Accettalo, Eve.» Sua madre non capiva che la ricerca di Bonnie faceva ormai parte integrante della vita della figlia. Lei stessa non poteva più dire qual era Bonnie e quali erano gli altri ragazzi scomparsi. Con tristezza pensò che probabilmente questo la rendeva molto più instabile di sua madre. Attraversò la stanza per osservare meglio il teschio lì sul tavolo. «Cosa t'è successo?» mormorò mentre rimuoveva la targhetta di identificazione. «Un incidente? O t'hanno ammazzato?» Sperava che non si trattasse di omicidio, anche se era quasi sempre così. Pensò al terrore che la ragazzina doveva avere provato prima di morire. Morte di una bambina. Qualcuno l'aveva tenuta in braccio quando era piccola, l'aveva vista muovere i primi passi. Eve pregò che qualcuno le avesse voluto bene e l'avesse resa felice prima di finire sottoterra, in un bosco. Sfiorò lo zigomo della ragazza. «Non so come ti chiami. Posso chiamarti Mandy? È un nome che mi è sempre piaciuto.» Cristo, lei parlava agli scheletri, e poi stava a preoccuparsi che sua madre fosse fuori di testa? Forse era una stranezza, ma le era sempre parso poco rispettoso trattare i teschi come se non avessero una identità. Questa ragazza aveva vissuto, riso, amato. Non meritava d'essere trattata come se non fosse mai stata una persona. Eve sussurrò: «Devi solo aver pazienza, Mandy. Domani ti prenderò le misure e presto inizierò a scolpirti. Ti troverò. Ti porterò a casa». Monterey, California «Sei sicuro che sia la migliore?» John Logan guardava con attenzione un video che riprendeva la scena avvenuta fuori della prigione. «Non mi sembra una persona tanto stabile. Ho già abbastanza problemi per assumere una donna che non ha tutte le rotelle a posto.» «Dio mio, che personcina amabile che sei», mormorò Ken Novak. «Aveva delle buone ragioni per apparire un po' alterata: era la notte dell'esecuzione dell'assassino di sua figlia.» «Ma allora avrebbe dovuto fare salti di gioia e offrirsi volontaria per inserire lei la spina. Io avrei fatto così. Invece ha chiesto un rinvio al governatore.» «Fraser era stato condannato per l'assassinio di Teddy Simes. Fu quasi
preso in flagrante, e non fece in tempo a far sparire il corpo del bambino, ma confessò di averne uccisi altri dodici, tra cui Bonnie Duncan. Ha fornito particolari che non lasciano dubbi sulla sua colpevolezza, ma non ha mai voluto dire dove ha nascosto i corpi.» «Perché?» «Non lo so. Era pazzo, quel bastardo. Un ultimo atto di sfida? Lo schifoso ha persino rifiutato di andare in appello. Eve Duncan per poco non è impazzita, non voleva che lo uccidessero prima che dicesse dov'era sua figlia. Temeva di non ritrovarla mai più.» «E c'è riuscita?» «No.» Novak prese il telecomando e fermò l'immagine. «Quello è Joe Quinn. Famiglia ricca, studi ad Harvard, tutti si aspettavano che diventasse avvocato, invece è entrato nell'FBI. Ha lavorato sul caso Bonnie Duncan con la polizia di Atlanta, e ora fa il detective per loro. È diventato amico di Eve Duncan.» Nel fotogramma, Quinn dimostrava circa ventisei anni. Volto squadrato, bocca larga, fronte ampia e occhi intelligenti. «Solo amici?» Lui annuì. «Se c'è andata a letto, non lo sappiamo ancora. Però ha fatto da testimone al suo matrimonio, tre anni fa. Negli ultimi otto anni, ha avuto un paio di storie, ma niente di serio. È ossessionata dal lavoro, un'ossessione che non favorisce le relazioni.» Fissò Logan con aria inquisitoria. «Allora, ti basta?» Ignorando il commento, Logan guardò il rapporto sulla scrivania. «La madre è tossicodipendente?» «Non più, ha smesso con la roba da anni.» «Ed Eve Duncan?» «Non si è mai drogata, un miracolo. Nel suo quartiere praticamente tutti sniffavano o si bucavano, perfino mammina. Eve è figlia illegittima, nata quando la madre aveva quindici anni. Vivevano di sussidi nei peggiori luoghi della città. Eve ha avuto Bonnie a sedici anni.» «Chi era il padre?» «Non l'ha scritto sul certificato di nascita. Evidentemente non ha voluto riconoscerla.» Con il telecomando riavviò il nastro. «Ecco, una foto della bambina. La CNN ha davvero sfruttato la storia spremendola come un limone.» Bonnie Duncan. Una bambina con una maglietta di Bugs Bunny, i jeans e le scarpe da tennis, riccioli rossi e il naso coperto di lentiggini. Sorrideva all'obiettivo, un viso da monella, illuminato di gioia.
Logan era disgustato. Che mondo era il loro, se un mostro poteva uccidere una bambina così? Novak lo scrutò in volto. «Carina, eh?» «Vai avanti.» Premendo un altro tasto, Novak tornò alla scena fuori della prigione. «Quanti anni aveva la Duncan quando la bambina è stata uccisa?» «Ventitré, e la bambina sette. Fraser è stato giustiziato due anni dopo.» «E la madre ha perso la ragione, e gli scheletri hanno cominciato a ossessionarla.» «No, accidenti», disse Novak seccamente. «Perché sei così acido con lei?» Logan si girò a guardarlo. «E tu perché la difendi tanto?» «Perché ha... ha del fegato, diavolo.» «La ammiri?» «Assolutamente», rispose Novak. «Avrebbe potuto dare la bambina in adozione, o abortire, invece l'ha tenuta. Avrebbe potuto vivere di sussidi, come sua madre, e seguirne le orme. Portava la bambina in un orfanotrofio durante il giorno, mentre lavorava, e studiava per corrispondenza la sera. Aveva quasi finito l'università quando Bonnie sparì.» Guardò Eve Duncan sullo schermo. «L'incidente avrebbe potuto ucciderla o farla ripiombare nell'abisso dal quale era venuta. E invece no: è tornata a studiare e ha realizzato qualcosa nella vita. Laureata in Belle Arti all'università della Georgia, si è specializzata nell'invecchiamento computerizzato di immagini facciali presso il Centro nazionale contro i maltrattamenti ai minori di Arlington, in Virginia. Ha anche conseguito un diploma superiore per la ricostruzione facciale, dopo aver studiato con due dei migliori esperti del paese in questo settore.» «Una dura», mormorò Logan. «È una donna intelligente. Nella ricostruzione forense delle immagini facciali, pratica sia l'invecchiamento sia la sovrapposizione assistita da computer e video: non molti, nella sua professione, sono esperti in tutti questi campi. Nello spezzone del programma televisivo, hai visto come ha ricostruito il volto di quel bambino ritrovato nelle paludi in Florida.» «Incredibile.» Tornò a guardare il video. Un paio di jeans e un impermeabile coprivano il fisico alto e asciutto di Eve Duncan, che appariva una donna terribilmente fragile. I capelli castani, di media lunghezza, fradici di pioggia, scendevano a incorniciare un volto ovale pallidissimo, che esprimeva dolore e disperazione. Gli occhi castani, dietro gli occhiali, riflette-
vano lo stesso sconforto. Distolse lo sguardo dallo schermo. «Possiamo trovare qualcun altro così bravo?» «Hai chiesto il meglio, e lei è il meglio. Ma potresti avere qualche difficoltà a ingaggiarla, è molto occupata e preferisce lavorare su casi di bambini scomparsi. Non credo che qui si tratti di bambini scomparsi, no?» Logan non rispose. «In genere i soldi convincono chiunque.» «Ma a lei potrebbero non interessare. Guadagnerebbe molto di più se accettasse una docenza universitaria, invece di lavorare in proprio. Abita in una casa in affitto a Morningside, vicino al centro di Atlanta, e il suo laboratorio è in un garage nel cortile.» «Forse nessuna università le ha mai fatto un'offerta abbastanza vantaggiosa da non poter essere rifiutata.» «Sarà. Certo è che non possono competere con te.» Poi aggiunse: «Immagino che non mi dirai perché ti serve». «No.» Novak aveva fama di essere integerrimo e forse ci si poteva fidare, ma Logan non poteva assolutamente rischiare di confidarsi con lui. «Sicuro che è l'unica?» «È il meglio. Te l'ho detto... ma cosa ti preoccupa?» «Niente.» Non era vero. L'idea stessa di scegliere Eve Duncan lo preoccupava. Era già stata vittima, e non c'era proprio bisogno di precipitarla di nuovo in una situazione di pericolo. Ma perché esitava? Doveva andare avanti a ogni costo. La decisione era già stata presa. Lei stessa, accidenti, l'aveva presa, diventando la migliore nel suo campo. E lui doveva avere il meglio. Anche se Eve rischiava la vita. Ken Novak buttò la valigetta sul sedile della decappottabile e partì. Solo dopo avere superato il cancello alla fine del lungo viale d'ingresso, prese il telefono e compose un numero privato del Dipartimento del Tesoro. Aspettando che Timwick rispondesse, il suo sguardo vagava sul Pacifico. Un giorno avrebbe avuto una casa come quella di Logan, sul Seventeen Mile Drive. La sua a Carmel era sobria e moderna, ma niente in confronto a quelle ville. I proprietari erano l'élite, i re degli affari e della finanza, i potenti. Un futuro non impossibile per Novak. Logan aveva iniziato con una piccola società e ne aveva fatto un gigante: per costruire un avvenire, bastava lavorare sodo ed essere senza scrupoli. Ora aveva tutto. Novak lavorava per Logan da tre anni, e lo ammirava immensamente, a volte quasi gli piaceva. Era un uomo che sapeva come usare il suo fascino.
«Novak?» Era Timwick al telefono. «Ho appena lasciato la casa di Logan. Penso che abbia scelto Eve Duncan.» «Pensi? Non lo sai?» «Gli ho chiesto se voleva che la contattassi, ma ha detto che l'avrebbe fatto di persona. A meno che non cambi idea, è sicuro.» «Ma non vuole dirti perché ha bisogno di lei?» «Neanche per sogno.» «Non ti ha detto nemmeno se è una faccenda personale?» Novak si sentì punto nell'orgoglio. «Pensi che sia una questione personale, vero?» «Non lo sappiamo. Secondo i tuoi resoconti, finora ha voluto che tu investigassi su cose di tutti i tipi. Probabilmente alcune erano false piste per sviarti.» «Forse. Ma le reputi abbastanza interessanti da pagarmi un bel gruzzolo per scoprirlo.» «E sarai pagato ancora più generosamente se ci darai qualcosa da usare contro di lui. Negli ultimi mesi ha raccolto troppo denaro per il Partito repubblicano, e mancano solo cinque mesi alle elezioni.» «Almeno hai un Presidente democratico. Secondo i sondaggi, la popolarità di Ben Chadbourne è aumentata. Pensi che Logan voglia assicurarsi che i repubblicani abbiano di nuovo il Senato? Potrebbero farlo comunque.» «O forse no. La prossima volta potremmo avere tutto. Dobbiamo fermare Logan.» «Manda il fisco a indagare, è sempre un buon modo per gettare fango su qualcuno.» «Lui è in regola.» Novak lo sospettava: Logan era troppo astuto per cadere in quella trappola. «Allora immagino che dovrete fidarvi di me, vero?» «Non necessariamente. Abbiamo altre fonti.» «Ma nessuna è così vicina a lui.» «Ho detto che verrai pagato bene.» «Sto pensando ai soldi, ma preferirei scambiare favori... Avevo una mezza idea di candidarmi come vicegovernatore.» «Lo sai che noi sosteniamo Danford.» «Ma lui non vi aiuta quanto me.»
Silenzio. «Portami le informazioni che mi servono e ci penserò.» «Mi darò da fare.» Novak riattaccò. Con Timwick era stato più facile del previsto, doveva essere davvero preoccupato per le prossime elezioni presidenziali. Democratici o repubblicani che fossero, una volta approdate alla politica tutte queste persone si comportavano allo stesso modo. Assaporato il gusto del potere, sviluppavano dipendenza, una dipendenza che un uomo intelligente poteva usare per avanzare di qualche gradino nella scala che portava a Seventeen Mile Drive. La villa in stile spagnolo di Logan riapparve dopo la curva. Logan non stava in politica; un caso raro, uno che amava veramente il suo paese. Era repubblicano, ma Novak lo aveva perfino sentito tessere le lodi del Presidente democratico durante i negoziati con la Giordania, tre anni prima. Ma i «patrioti» spesso erano imprevedibili e potevano diventare pericolosi. Timwick voleva fermarlo e, lavorando bene, Novak poteva scambiare questo favore con un posto da governatore. Non dubitava che qualsiasi cosa Logan volesse da Eve Duncan, si trattava di una questione personale. Era apparso troppo nervoso e riservato. Serbare segreti intorno a resti umani era, in genere, un segno abbastanza chiaro di colpevolezza. Omicidio? Forse. Logan aveva avuto una vita abbastanza dura nei primi anni, quando cercava di costruire il suo impero. Evidentemente, in qualche momento del suo passato senza macchia, era inciampato in qualcosa di grosso. Nella sua ammirazione per Eve Duncan non aveva mentito. Le donne dure, decise, gli erano sempre piaciute. Novak sperava di non doverla fermare insieme a Logan. Accidenti, forse distruggendo Logan le avrebbe fatto un favore: quest'ultimo progettava di scatenare su di lei tutta la sua energia, e l'avrebbe schiacciata. Ridacchiò, aveva trasformato un tradimento in un atto di galanteria verso una donna. Era proprio un buon avvocato! Ma gli avvocati erano al servizio dell'aristocrazia che viveva lungo quel viale, non erano aristocratici. Dalla sua posizione di consigliere al trono doveva proprio avanzare. E sarebbe stato bello diventare re. Due «Stai benissimo», disse Eve. «Dove vai stasera?»
«Mi vedo con Ron da Anthony's. Gli piace cenare lì.» Sandra si chinò sullo specchio a controllare il mascara, poi s'aggiustò le spalline del vestito. «Accidenti, si spostano sempre.» «Toglile.» «Non tutte hanno spalle larghe come le tue! Mi servono!» «Ti piace cenare lì?» «No, è un po' troppo elegante per me. Io preferirei andare al Cheesecake Factory.» «Allora diglielo.» «La prossima volta. Forse mi piacerà, magari devo solo imparare a provare cose nuove.» Sorrise a Eve dallo specchio. «Ti sei abituata a farlo.» «Mi piace mangiare da Anthony's, ma preferisco comunque rimpinzarmi da McDonald's, quando ne ho voglia.» Porse la giacca a Sandra. «E se qualcuno mi dicesse che non devo farlo, protesterei.» «Ron non mi dice... Mi piace, ma viene da una buona famiglia di Charlotte. Non so se capirebbe come vivevamo prima... non lo so proprio.» «Vorrei conoscerlo.» «La prossima volta. Lo squadreresti da capo a piedi e mi faresti sentire come una ragazzina che porta a casa il primo fidanzatino.» Eve rise abbracciandola. «Sei matta! Voglio solo essere certa che lui ti meriti.» «Vedi?» Sandra si diresse verso la porta. «Chiara sindrome da primo appuntamento. Sono in ritardo! Ci vediamo dopo.» Eve guardò dalla finestra la macchina di sua madre che usciva dal cortile. Erano anni che non la vedeva così felice ed eccitata. Da quando Bonnie era ancora viva. Era inutile starsene lì a pensare. Era contenta che sua madre avesse una nuova relazione, ma non avrebbe voluto essere al suo posto: che cosa se ne sarebbe fatta di un uomo nella sua vita? Non era tipo da avventure di una notte, e qualsiasi altra cosa richiedeva un impegno che lei proprio non si sentiva di assumere. Uscì sul cortile dalla porta posteriore. Il caprifoglio era fiorito e il forte profumo la avvolse mentre si dirigeva verso il laboratorio. Quel profumo era sempre molto più intenso al tramonto e di primo mattino. Bonnie amava il caprifoglio e ne coglieva sempre qualche rametto dalla siepe infestata di api; Eve non era riuscita a convincerla che non doveva farlo, fino al giorno in cui la bambina non fu punta. Sorrise al ricordo. C'era voluto molto tempo per separare i bei ricordi da
quelli brutti. All'inizio, aveva tentato di sfuggire al dolore evitando di pensare a Bonnie, ma poi aveva capito che significava dimenticare lei e tutta la gioia che aveva portato nella sua vita e in quella di Sandra. Bonnie meritava più di... «Signorina Duncan.» Si voltò, irrigidita. «Mi dispiace, non volevo spaventarla. Sono John Logan. Potrei parlarle?» John Logan. Lo avrebbe identificato da quella foto, anche se non si fosse presentato. Come non riconoscere quell'abbronzatura californiana, pensò sardonica. Nell'abito grigio di Armani e con i mocassini firmati Gucci, in quel cortiletto sembrava proprio un pavone. «Non mi ha spaventata, mi ha sorpresa.» «Ho suonato il campanello», sorrise lui avvicinandosi. Con quel suo fisico asciutto, aveva un aspetto attraente e ispirava sicurezza. Ma a Eve non erano mai piaciuti gli uomini affascinanti. Il fascino poteva nascondere troppe cose. «Immagino che non mi abbia sentito.» «No.» Le venne improvvisamente voglia di far breccia nella sua sicurezza. «Entra spesso nelle proprietà private, signor Logan?» Lui non sembrò colpito da quelle parole sarcastiche. «Solo quando voglio davvero vedere qualcuno. Potremmo parlare da qualche parte?» Fissò la porta del laboratorio. «È lì che lavora, vero? Mi piacerebbe vederlo.» «Chi le ha detto che lavoro lì?» «Non i suoi amici della polizia di Atlanta, ho visto che tengono molto alla sua privacy.» Avanzò lentamente fino alla porta. «Posso?» sorrise. Era chiaramente abituato a farsi obbedire, ed Eve provò di nuovo un senso di fastidio. «No», fu la risposta secca. Il sorriso di Logan si fece meno amabile. «Potrei avere una proposta per lei.» «Lo so, altrimenti che ci farebbe qui? Ma sono troppo impegnata per accettare altro lavoro. Avrebbe dovuto telefonarmi prima.» «Volevo vederla di persona.» Guardò il laboratorio. «Dovremmo entrare per parlare.» «Perché?» «Vorrei capire un paio di cose di lei che mi serve sapere.» Lei lo guardò incredula. «Non ho chiesto un posto in una delle sue compagnie, signor Logan. Non devo fare un colloquio. Penso che farebbe meglio ad andarsene.»
«Mi dia dieci minuti.» «No, devo lavorare. Addio, signor Logan.» «John.» «Addio, signor Logan.» «No, non me ne vado.» «Invece sì, maledizione.» Logan s'appoggiò al muro. «Su, vada a lavorare. Io rimarrò qui fuori finché non sarà pronta a parlarmi.» «Non sia ridicolo, probabilmente ne avrò fino a mezzanotte passata.» «Allora ci vediamo dopo mezzanotte.» I suoi modi avevano perso il fascino di qualche minuto prima; era glaciale, duro e deciso. Lei aprì la porta. «Vada via.» «Dopo che avremo parlato. Sarebbe molto più facile se solo mi assecondasse.» «Non mi piacciono le cose facili.» Chiuse la porta e accese la luce. Non le piacevano le cose facili e nemmeno ricevere ordini da uomini che pensavano di essere i padroni del mondo. Va bene, stava esagerando. In genere non permetteva a nessuno di intaccare la sua calma, e il signor Logan, in fondo, aveva solo invaso il suo spazio. Ma il suo spazio era importantissimo. Poteva restare fuori tutta la notte, il bastardo. Alle ventitré e trentacinque, Eve aprì la porta di colpo. «Entri», disse seccata. «Non voglio che mia madre la veda quando torna, potrebbe spaventarsi. Dieci minuti.» «Grazie!» disse lui calmo. «Apprezzo il suo buon cuore.» Dal suo tono non trapelavano sarcasmo o ironia. Eppure Eve li sentiva, dietro le parole. «È una necessità. Speravo si arrendesse prima.» «Non mi arrendo quando mi serve qualcosa... ma mi sorprende che non abbia chiamato i suoi amici, all'ufficio di polizia, per farmi buttare fuori.» «Lei è un uomo potente, di certo ha molte amicizie. Non volevo metterli nei guai.» «Ambasciator non porta pena.» Si guardò attorno nel laboratorio. «Ha molto spazio qui, da fuori sembrava più piccolo.» «Prima d'essere usato come garage serviva come ricovero per le carrozze. Questa parte della città è piuttosto vecchia.» «Non è come lo immaginavo.» Guardò il divano a strisce marroni e beige, le piante sul davanzale, le foto incorniciate della madre e di Bonnie sul-
la libreria. «Sembra... accogliente.» «Odio i laboratori freddi e sterili. Non vedo perché non si debba godere delle comodità oltre che dell'efficienza.» Si sedette. «Dica.» «Quello cos'è?» Si diresse verso un angolo. «Due cineprese?» «Servono alla sovrapposizione.» «E questo?... Interessante!» Il teschio di Mandy aveva attirato la sua attenzione. «Sembra uscito da un film sulla magia nera, trafitto da tutti quegli aghi.» «Lo sto misurando per indicare i diversi spessori della pelle.» «E si fa così prima di...» «Allora, cosa vuole?» Lui si sedette accanto alla scrivania. «Vorrei assumerla per identificare un teschio.» «Sono brava, ma gli unici metodi sicuri sono il confronto della dentatura e il DNA.» «Entrambi, però, richiedono un soggetto da cui partire. Non posso prendere quella strada se non ne sono quasi sicuro.» «Perché no?» «Ci sarebbero delle difficoltà.» «È un bambino?» «È un uomo.» «E lei non sa chi è?» «Ho un'idea.» «Ma non me la vuole dire.» «No!» «Ci sono delle foto?» «Sì, ma non gliele mostrerò. Voglio che parta senza preconcetti, non che ricostruisca la faccia che ha visto.» «Dove sono state trovate le ossa?» «Nel Maryland, credo.» «Non lo sa?» «Ancora no», sorrise. «A dire il vero non sono ancora state localizzate.» Ed Eve, sorpresa: «E allora che ci fa qui?» «Mi serve lei sul posto, la voglio con me. Quando lo scheletro sarà ritrovato, dovrò muovermi in fretta.» «E io dovrei abbandonare il mio lavoro e andare nel Maryland sperando che lei ritrovi uno scheletro?» «Sì», rispose lui calmo.
«Non dica sciocchezze.» «Cinquecentomila dollari per due settimane di lavoro.» «Cosa?» «Come lei mi ha fatto notare, il suo tempo è prezioso. So che questa casa è in affitto: potrebbe comprarla e le rimarrebbe ancora parecchio. Deve solo darmi due settimane.» «Come sa che è in affitto?» «Ci sono altre persone meno leali dei suoi amici della polizia.» Logan studiò il suo viso. «Non le piace che si raccolgano informazioni su di lei.» «Per niente.» «Non la biasimo, non piacerebbe neanche a me.» «Però lo fa.» Lui ripeté la stessa parola che aveva usato quando lei lo aveva fatto entrare: «Necessità. La necessità di sapere con chi stavo per entrare in affari». «Allora sta sprecando tempo, perché con me non entra in affari.» «I soldi non le interessano?» «Mi crede matta? Certo che m'interessano, sono nata poverissima. Ma la mia vita non si basa sui soldi. Adesso posso scegliere quali incarichi accettare, e il suo non lo voglio.» «Perché no?» «Non m'interessa.» «Perché non è un bambino?» «Anche.» «Ma ci sono altre vittime oltre ai bambini.» «Non così indifese.» Fece una pausa. «Il suo uomo è una vittima?» «Forse.» «Omicidio?» Lui rimase in silenzio per un attimo. «Può darsi.» «E lei mi chiede di seguirla sul luogo di un delitto? Potrei chiamare la polizia e dire che John Logan è implicato in un omicidio...» Lui fece un mezzo sorriso. «Negherei. Direi che volevo farle esaminare le ossa di quel criminale nazista che è stato trovato in Bolivia.» Fece passare qualche istante. «E dopo userei tutte le mie amicizie per far apparire stupidi i suoi amici della polizia di Atlanta, o magari anche criminali.» «Ha appena detto che ambasciator non porta pena.» «Prima di rendermi conto che lei ci tiene molto; evidentemente la loro lealtà è contraccambiata. Ogni arma è lecita.»
Lo avrebbe fatto davvero, capì Eve. Mentre parlavano la teneva d'occhio, soppesando ogni domanda e risposta. «Ma non lo voglio fare», aggiunse. «Sto provando a essere il più onesto possibile con lei. Avrei potuto mentire.» «Un'omissione può anche essere una bugia, e lei non mi sta dicendo praticamente niente.» Lo guardò negli occhi. «Non mi fido di lei, signor Logan. Crede che sia la prima volta che qualcuno come lei mi chiede di studiare uno scheletro? L'anno scorso un certo signor Damaro mi chiamò per offrirmi un sacco di soldi se fossi andata in Florida a ricostruire un teschio che, guarda caso, era in suo possesso. Disse che gli era stato inviato da un amico in Nuova Guinea, e che doveva essere una scoperta archeologica. Io chiamai la polizia di Atlanta e venne fuori che il signor Damaro era in realtà Juan Camez, un trafficante di droga di Miami. Suo fratello era scomparso due anni prima, probabilmente ucciso da un'organizzazione rivale, e il teschio era stato mandato a Camez come avvertimento.» «Commovente. Anche gli spacciatori amano la famiglia.» «Non ci trovo niente di spiritoso. Lo dica ai ragazzini ai quali forniscono eroina.» «Ha ragione. Ma le assicuro che non ho legami con il crimine organizzato... Be', un paio di volte ho fatto scommesse clandestine.» «E per questo dovrei sentirmi disarmata?» «Per disarmarla dovrei mettere mano a un intero trattato.» Si alzò. «I miei dieci minuti sono finiti e non voglio approfittare oltre. Le lascio del tempo per riflettere sull'offerta. La richiamerò.» «Ci ho già pensato: la risposta è no.» «Questo è solo l'inizio delle contrattazioni. E se lei non vuole pensarci, lo farò io. Ci dev'essere pure qualcosa che posso offrirle, qualcosa per cui varrebbe la pena di lavorare...» Socchiuse gli occhi. «C'è qualcosa in me che non le piace. Cos'è?» «Niente... tranne il fatto che ha per le mani un cadavere e non vuole dirlo a nessuno.» «Solo a lei. Volevo proprio che lei lo sapesse. No, no, c'è qualcos'altro. Mi dica cosa, perché io possa spiegarmi.» «Buonanotte, signor Logan.» «Be', se non vuole chiamarmi John, almeno mi chiami solo Logan. Non vorrà apparire troppo rispettosa.» «Buonanotte, signor Logan.» «Buonanotte, Eve.» Si fermò a guardare il teschio. «Lo sa, questo tipo
sta iniziando a piacermi.» «È una bambina.» Il suo sorriso si spense. «Mi dispiace, non volevo scherzare. Tutti abbiamo un modo personale di fare i conti con quel che saremo dopo la morte.» «Infatti. Ma a volte dobbiamo farlo prima del dovuto. Mandy non aveva neanche dodici anni.» «Mandy? Sa chi era?» Se l'era lasciato sfuggire. Ma che importava? «No, non lo so, ma do sempre un nome a ciascuno. Allora, è contento che non abbia accettato? Non le farebbe certo piacere che a lavorare sul suo teschio sia un'eccentrica come me.» «Sì, invece. Apprezzo le persone come lei. La metà degli ingegneri nei miei uffici a San José ha qualche rotella fuori posto. A proposito, quel computer che usa è ormai vecchio di tre anni; abbiamo un nuovo modello, due volte più veloce. Gliene mando uno.» «No, grazie. Questo va benissimo.» «Mai rifiutare un regalino se non ci sono firme da mettere o favori da ricambiare.» Aprì la porta. «E mai lasciare le porte aperte, come ha fatto lei stasera. Non si sa mai chi potrebbe aspettarla.» «Di notte chiudo il laboratorio a chiave, ma non è comodo tenerlo sempre chiuso. Tutto ciò che vi conservo è coperto da assicurazione, e poi io so come difendermi.» «Me l'immagino», sorrise lui. «La richiamerò.» «Ma le ho detto che...» Parlava a vuoto: lui aveva già richiuso la porta. Sospirò di sollievo. Non c'era il minimo dubbio, l'avrebbe richiamata. Non aveva mai incontrato un uomo più deciso. Anche se i suoi erano stati modi cortesi, ne aveva percepito la durezza. Aveva già avuto a che fare con persone potenti. Bastava rimanere della propria opinione e John Logan, alla fine, si sarebbe scoraggiato e l'avrebbe lasciata in pace. Andò verso il piedistallo. «Non è poi così furbo, Mandy. Non ha neanche capito che eri una ragazza.» D'altra parte, in molti non l'avrebbero capito. Squillò il telefono. Era forse la mamma? Da un po' di tempo la sua macchina non andava molto bene. No, non era lei.
«Mi sono ricordato di una cosa mentre entravo in macchina», disse Logan. «Pensavo di aggiungerla all'offerta iniziale, per aiutarla a decidere.» «Non sto prendendo la mia decisione sulla base di quanto mi ha offerto.» «Cinquecentomila per lei. Cinquecentomila alla Fondazione Adam per i bambini scomparsi. Se non mi sbaglio, lei devolve a questo istituto parte dei suoi introiti.» La sua voce si fece sommessa, per essere più convincente. «Si rende conto di quanti bambini potrebbero essere riportati a casa con tutti quei soldi?» Eve lo capiva benissimo. Nessuna offerta avrebbe potuto tentarla più di quella. Machiavelli, rispetto a Logan, era un principiante. «Tutti quei bambini... non valgono due settimane del suo tempo?» Valevano dieci anni del suo tempo. «No, se significa fare qualcosa d'illegale.» «L'illegalità, spesso, appare tale agli occhi dello spettatore, che non guarda in profondità.» «Stronzate!» «E se le assicurassi che non ho niente a che fare con qualsiasi crimine sia stato commesso in relazione a quel teschio?» «Perché mai dovrei credere alle sue rassicurazioni?» «Si informi su di me. Non ho fama di bugiardo.» «La fama non significa niente. La gente diventa bugiarda se ne ha bisogno. Ho lavorato duramente per costruire la mia carriera, e non voglio che finisca in una fogna.» Silenzio. «Non posso prometterle che ne uscirà senza cicatrici, ma cercherò di proteggerla il più possibile.» «So proteggermi da sola, mi basta dirle di no.» «Ma la sto tentando, dica la verità.» Dio, se era tentata. «Settecentomila alla Fondazione.» «No.» «La chiamo domani.» Riattaccò. Maledizione! Il bastardo sapeva quali tasti usare, pensò Eve mettendo giù il telefono. Tutti quei soldi per ritrovare altri bambini perduti, quelli che magari potevano essere ancora vivi... Valeva la pena rischiare per vedere tornare almeno qualcuno di loro? Guardò il teschio sul piedistallo. Forse Mandy era scappata di casa. Se al-
meno fosse potuta tornare. «Non dovrei farlo, Mandy», sussurrò. «Potrebbe andare molto male. Nessuno è pronto a sborsare più di un milione di dollari per cose simili, se è onesto. Devo dirgli di no.» Ma Mandy non poteva rispondere, nessuno dei morti poteva rispondere. I vivi, invece, sì, loro potevano. E Logan contava sul fatto che lei avrebbe infine dato retta a quella sua telefonata. Maledetto. Logan si rilassò sul sedile della macchina, mentre guardava la casetta di legno di Eve Duncan. Poteva bastare? Probabilmente sì. Lei era stata molto tentata. Si dedicava con passione al ritrovamento di bambini scomparsi, e lui aveva sfruttato questo punto debole con tutta la sapienza possibile. Ma che tipo d'uomo sono? si chiese stancamente. Una persona che aveva bisogno di quel lavoro. E se Eve non avesse ceduto all'offerta, il giorno dopo ne avrebbe fatta una più alta. Era una donna più dura del previsto, intelligente e perspicace, ma aveva il suo tallone d'Achille. E lui l'avrebbe sfruttato. «È appena andato via», disse Fiske al cellulare. «Lo seguo?» «No, sappiamo dove trovarlo. Ha visto Eve Duncan?» «È stata in casa tutta la sera, e lui è rimasto lì per più di quattro ore.» Timwick imprecò. «Ha accettato.» «Potrei fermarla», disse Fiske. «Non ancora. Ha amici alla polizia, non vogliamo destare attenzione.» «La madre?» «Forse. Come minimo causerebbe un ritardo. Ci penserò. Resta lì, ti richiamo dopo.» Era un coniglio, pensò Fiske con disprezzo. Aveva sentito tensione nella voce di Timwick. Il quale pensava troppo, ma esitava a prendere la via più pulita e semplice. Bisognava decidere qual era l'obiettivo, e poi fare solo i passi utili a conseguirlo. Con il potere e le risorse di Timwick, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Non che volesse il lavoro di Timwick, ma gli piaceva quello che faceva. E poche persone nella vita riescono a seguire la loro vocazione.
Poggiò la testa sul sedile, fissando la casa. Era mezzanotte passata, la madre sarebbe tornata presto. Aveva già svitato la lampadina del portico. E se Timwick lo avesse chiamato subito, non ci sarebbe stato neanche bisogno di entrare in casa. Bastava che quell'idiota si decidesse a fare la cosa più semplice e intelligente: permettergli di ucciderla. Tre «Sai già che lo farai, mamma», disse Bonnie. «Non capisco perché ti preoccupi tanto.» Eve si sedette sul letto e guardò la panca sotto la finestra. Ogni volta che veniva da lei, Bonnie si sedeva sulla panca a gambe incrociate. Portava un paio di jeans. «Non lo so», le rispose. «Non sarai capace di difenderti, credimi.» «Dato che sei solo un sogno, non puoi sapere più di quanto io non sappia.» Bonnie sospirò. «Non sono il tuo sogno, sono un fantasma, mamma. Che devo fare per convincerti? Mi rendi così difficile essere un fantasma.» «Potresti dirmi dove sei.» «Non so dove mi ha seppellita. Io non c'ero più.» «Comodo!» «Neanche Mandy lo sa... ma le sei simpatica.» «Se lei è con te, come si chiama davvero?» «I nomi non importano più, mamma.» «A me importano.» Bonnie sorrìse. «Probabilmente perché hai bisogno di dare un nome all'amore. Non serve, davvero.» «Proprio intelligente, per avere solo sette anni.» «Be', diamine, sono passati dieci anni. Smettila di tenermi intrappolata con il tuo pianto! Chi l'ha detto che un fantasma non può crescere? Non posso avere sette anni a vita.» «Ma sei sempre uguale...» «Perché sono quello che tu vuoi vedere.» Si appoggiò al muro. «Stai lavorando troppo, mamma, mi preoccupo per te. Forse questo lavoro con Logan ti farebbe bene.» «Non lo farò.» Bonnie sorrise.
«No», ripeté Eve. «Come vuoi.» Bonnie guardò fuori dalla finestra. «Stasera pensavi a me e al caprifoglio, mi piace quando pensi a me e ti senti felice.» «Me l'hai già detto.» «E lo ripeto. All'inizio stavi così male che non potevo nemmeno avvicinarmi...» «Neanche ora sei vicina a me. Sei solo un sogno.» «Davvero?» Bonnie la guardò, e un gran sorriso illuminò il suo volto. «Allora non ti dispiace se il tuo sogno resta qui per un po'? Certe volte mi manchi tanto, mamma.» Bonnie. Amore. Qui... Non importava che fosse solo un sogno. «Sì, resta», sussurrò con voce rotta. «Resta, ti prego, bambina mia.» Quando Eve aprì gli occhi al mattino, il sole inondava la stanza. Guardò l'orologio e balzò a sedere sul letto: erano quasi le otto e mezzo, e si svegliava sempre alle sette. Era sorpresa che sua madre non fosse entrata a controllare. Scese dal letto e si fece una doccia, riposata e serena come lo era sempre dopo aver sognato Bonnie. Sogni simili avrebbero fatto leccare i baffi a uno psichiatra, ma a lei non importava niente. Quegli incontri con la figlia erano iniziati tre anni dopo la sua morte. I sogni erano frequenti ma non sapeva mai quando sarebbero arrivati, o che cosa li provocava. Quando aveva un problema e doveva rifletterci? In ogni caso, l'effetto era sempre positivo; quando si svegliava, si sentiva calma ed efficiente, come quel giorno, sicura di poter affrontare il mondo. E John Logan. Indossò velocemente un paio di jeans e una camicia bianca, la sua uniforme da lavoro, e scese le scale per andare in cucina. «Mamma, ho dormito troppo, perché non mi hai...» In cucina non c'era nessuno. Niente profumo di bacon, né padelle sul fuoco. La stanza era come l'aveva lasciata a mezzanotte. E Sandra non era ancora rientrata quando lei era andata a dormire. Guardò fuori dalla finestra e si sentì subito sollevata: la macchina era parcheggiata al solito posto nel cortile. Probabilmente sua madre era tornata tardi e stava dormendo. Era sabato, non doveva andare al lavoro. Avrebbe dovuto fare attenzione a non dire che era preoccupata, pensò
con tristezza. Sandra aveva notato che Eve tendeva a essere molto protettiva, e aveva tutto il diritto di protestare. Si versò un bicchiere di succo d'arancia, prese il telefono e chiamò Joe alla centrale di polizia. «Diane dice che non le hai telefonato», disse. «Dovresti chiamare lei, non me.» «Nel pomeriggio, prometto.» Si sedette al tavolo della cucina. «Dimmi di John Logan.» Ci fu un attimo di silenzio. «Ti ha contattata?» «Ieri sera.» «Un lavoro?» «Sì.» «Di che tipo?» «Non lo so, non mi ha detto molto.» «Eve, se mi hai chiamato vuole dire che ci stai pensando. Che scusa ha trovato?» «La Fondazione Adam.» «Cristo, ti ha proprio incastrata.» «È furbo. Voglio sapere quanto.» Bevve un po' di succo d'arancia. «E quanto è onesto.» «Be', non è della risma del tuo trafficante di Miami.» «Non mi consola molto. Ha mai fatto niente di illegale?» «No, per quanto ne sappia. Non in questo paese.» «Non è cittadino americano?» «Sì, ma quando ha fondato la sua compagnia, ha passato qualche anno a Singapore e a Tokyo per migliorare i suoi prodotti e studiare le strategie di marketing.» «Sembra che abbia funzionato. Stavi scherzando quando dicevi che probabilmente si è lasciato dietro qualche vittima?» «Sì. Non sappiamo molto degli anni passati all'estero. Le persone che hanno avuto contatti con lui sono gente dura, e lo rispettano. Questo che ti dice?» «Che dovrei stare attenta.» «Giusto. Ha fama di gran lavoratore, tutti i dipendenti gli sono molto leali, ma tieni conto che questo è quel che appare.» «Puoi scoprire qualcos'altro per me?» «Cosa?» «Tutto. Ha fatto qualcosa di strano di recente? Scaveresti un po' più a
fondo?» «Va bene, inizio subito. Ma ti costerà. Nel pomeriggio chiama Diane e questo fine settimana verrai con noi al lago.» «Non ho tempo per...» Sospirò. «Va bene, verrò.» «E senza teschi in valigia.» «D'accordo.» «E ti devi divertire.» «Mi diverto sempre con te e Diane, ma non so perché mi sopportate.» «Si chiama amicizia. Mai sentita?» «Sì, grazie, Joe.» «Per le indagini su Logan?» «No.» Per essere stato l'unico a tenere lontana la follia che l'aveva minacciata durante quelle notti di orrore, e per tutti gli anni di lavoro e amicizia che ne erano seguiti. Si schiarì la gola. «Grazie di essere mio amico.» «Be', come tuo amico ti consiglierei di stare molto attenta a Logan.» «Ci sono in ballo un sacco di soldi per i bambini, Joe.» «E lui sapeva come convincerti.» «Non mi ha manipolata, non ho ancora preso nessuna decisione.» Finì il succo. «Devo andare al lavoro. Mi farai sapere?» «Certamente.» Riappese e andò a lavare il bicchiere. Caffè? No, lo avrebbe fatto dopo, nel laboratorio. Nei fine settimana, in genere, la mamma entrava in laboratorio a metà mattina e lo bevevano insieme: era una pausa piacevole per entrambe. Prese le chiavi, scese gli scalini del portico e si diresse verso il laboratorio. Doveva smetterla di pensare a Logan e lavorare. Aveva la testa di Mandy da ricostruire, e poi l'aspettava quel materiale che la polizia di Los Angeles le aveva mandato la settimana prima. Logan l'avrebbe chiamata quella mattina, o sarebbe venuto a casa, non ne aveva il minimo dubbio. Be', poteva parlare quanto voleva, ma non le avrebbe strappato una risposta. Doveva scoprire di più... La porta del laboratorio era socchiusa. Si irrigidì. Sapeva di averla chiusa a chiave la sera prima, come al solito. La chiave era nel vaso blu, dove la metteva sempre. Mamma?
No, la serratura era graffiata, come se fosse stata forzata. Doveva essere stato un ladro. Aprì lentamente la porta. Sangue. Cristo, sangue dovunque. Sugli scaffali. Sulla scrivania. Le librerie buttate a terra e fatte a pezzi. Il divano rovesciato, tutti i vetri delle foto in frantumi. E il sangue... Il cuore le balzò in gola. Mamma? Era entrata nel laboratorio e aveva sorpreso il ladro? Si precipitò, con il cuore che le batteva all'impazzata. «Mio Dio, è Tom-Tom!» Eve si voltò e vide la madre sulla soglia. Si sentì finalmente sollevata. Fissava un angolo della stanza. «Chi mai farebbe una cosa del genere a un povero gatto?» Eve seguì il suo sguardo e le si rivoltò lo stomaco: il gatto persiano era in una pozza di sangue, irriconoscibile. Tom-Tom era il gatto della vicina, ma passava molto tempo nel loro cortile a cacciare gli uccelli che venivano attratti dal caprifoglio. «La signora Dobbins sarà disperata.» Sua madre entrò nella stanza. «Quel vecchio gatto era l'unica cosa che amava al mondo! Perché mai...» Guardò per terra accanto alla scrivania. «Oh, Eve, mi dispiace. Tutto il tuo lavoro...» Il computer era in pezzi, accanto c'era il teschio di Mandy, distrutto con la stessa crudeltà usata per il resto della stanza. Eve cadde in ginocchio accanto ai frammenti del teschio. Ci sarebbe voluto un miracolo per ricostruirlo. Mandy... persa. Forse per sempre. «Hanno preso qualcosa?» chiese Sandra. «Non mi sembra.» Chiuse gli occhi. Mandy... «Hanno solo distrutto tutto.» «Vandali? Ma i ragazzi in questo quartiere sono così perbene, non farebbero mai...» «No.» Aprì gli occhi. «Mamma, andresti a chiamare Joe? Digli di venire subito.» Guardò il gatto con le lacrime che le spuntavano. Aveva quasi diciannove anni, meritava una fine più serena. «E trova una scatola e un len-
zuolo. Mentre aspettiamo, porteremo Tom-Tom dalla signora Dobbins e l'aiuteremo a seppellirlo. Fingeremo che sia finito sotto una macchina, meglio non dirle che è colpa di qualche pazzo maniaco.» «Giusto.» Sandra corse fuori. Che devastazione. Ma non era né casuale né il gesto di un folle. Semmai, era stata un'opera accurata, sistematica. Chiunque lo aveva fatto, aveva avuto l'intenzione di spaventarla, di colpirla. Accarezzò un frammento del teschio di Mandy. Era stata vittima della violenza anche dopo la morte. Non sarebbe dovuto accadere, e neanche il povero gatto doveva fare quella fine. Era tutto ingiusto, così ingiusto... Raccolse accuratamente i frammenti, ma non sapeva dove metterli: il piedistallo era rotto, come tutto il resto. Mise i pezzi sulla scrivania macchiata di sangue. Ma perché il teschio - si chiese d'un tratto - era da quella parte della stanza? Il vandalo lo aveva portato lì prima di farlo a pezzi: perché? Non ci pensò più nel vedere altro sangue gocciolare dal cassetto della scrivania. Oh Dio, ancora? Non voleva aprirlo. Poi si fece forza. Balzò indietro con un urlo. Un fiume di sangue e, in mezzo a una pozza appiccicosa, un topo morto. Richiuse il cassetto con violenza. «Ecco la scatola e il lenzuolo.» Sua madre era tornata. «Vuoi che faccia io?» Sandra sembrava disgustata quanto lei. «No. Joe sta arrivando?» «Appena può.» Eve prese il lenzuolo, si fece coraggio e si avvicinò al gatto. Va tutto bene, Tom-Tom. Ti portiamo a casa. Joe la trovò sulla soglia del laboratorio, due ore dopo. La guardò ed estrasse un fazzoletto. «Hai una macchia sulla guancia.» «Abbiamo appena seppellito Tom-Tom.» Eve si asciugò le lacrime che le rigavano il viso. «La mamma è ancora con la signora Dobbins. Amava quel gatto, era come un figlio per lei.» «Se qualcuno facesse una cosa del genere al mio cane, lo ucciderei. Abbiamo cercato impronte digitali, tutto inutile, probabilmente aveva i guanti. Ce n'erano però nel sangue. Grandi, probabilmente di un uomo, che ha agi-
to da solo. Manca qualcosa?» «Non mi sembra. Solo... distruzione.» «Non mi piace.» Joe guardò quello sfacelo. «Hanno impiegato molto tempo per fare un lavoro perfetto. Sono stati davvero crudeli, e non mi sembra vandalismo casuale.» «Neanche a me, qualcuno voleva colpirmi.» «I ragazzi del quartiere?» «Non credo. Questa è una cosa fatta a freddo.» «Hai chiamato la tua assicurazione?» «Non ancora.» «Ti conviene farlo.» Lei annuì. Solo il giorno prima, aveva detto a Logan di non avere alcun timore a lasciare aperta la porta del laboratorio. Non avrebbe mai immaginato una cosa del genere. «Mi sento male, Joe.» «Lo so.» Le strinse la mano per darle coraggio. «Manderò un'auto a tenere d'occhio la casa. Oppure tu e tua madre volete venire a stare da me per qualche giorno?» «No, no.» «Va bene. Ma ora dovrei tornare in centrale, voglio controllare gli archivi per vedere se, di recente, ci sono stati crimini di questo tipo nella zona. Starai tranquilla?» «Certo. Grazie per essere venuto, Joe.» «Vorrei potere fare di più. Sentiremo i vicini per tentare di scoprire qualcos'altro.» «Ma non la signora Dobbins, non mandate nessuno da lei.» «Va bene. Se hai bisogno, chiama.» Lei lo guardò andare via e voltò le spalle al laboratorio: non voleva entrare, non voleva vedere di nuovo quella violenza e quell'orrore. Ma doveva. Doveva accertarsi che non mancasse niente, e poi chiamare l'assicurazione. Si fece forza ed entrò, e ancora una volta la colpì la vista del sangue. Era rimasta terrorizzata quando aveva pensato che potesse essere di sua madre. Gatti morti, topi macellati, sangue, sangue dappertutto. No. Corse fuori e cadde per terra sulla soglia. Freddo. Aveva freddo. Strinse le braccia attorno al corpo, nel tentativo di fermare i brividi. «C'è una macchina della polizia qui fuori. Sta bene?» Alzò gli occhi e vide Logan a pochi metri di distanza. Ora non era pro-
prio in grado di affrontarlo. «Vada via.» «Cos'è successo?» «Vada via.» Lui guardò oltre Eve, nella stanza. «È successo qualcosa?» «Sì.» «Torno subito.» La superò ed entrò nel laboratorio. Dopo pochi istanti tornò da lei. «Brutta storia.» «Hanno ucciso il gatto della vicina. Hanno distrutto Mandy.» «Ho visto le ossa sulla scrivanìa. È lì che le ha trovate?» «Sul pavimento lì accanto.» «Ma lei sta bene? E sua madre?» Dio, se solo avesse smesso di tremare. «Se ne vada, non voglio parlare con lei.» «Dov'è sua madre?» «Dalla signora Dobbins. Il gatto... Se ne vada!» «Non prima che arrivi qualcuno a prendersi cura di lei.» La fece alzare. «Su, entriamo in casa.» «Non mi serve nessuno che...» Lui la stava quasi trascinando. «Mi lasci andare! Non mi tocchi!» «Appena l'avrò portata dentro e le avrò preparato qualcosa di caldo.» Eve si divincolò. «Non ho tempo per sedermi a bere un caffè. Devo chiamare l'assicurazione.» «Lo farò io.» La spinse su per gli scalini, verso la cucina. «Penserò io a tutto.» «Non voglio che lei pensi a tutto. Voglio che vada via.» «Allora stia buona e lasci che le prepari qualcosa da bere.» La fece sedere. «È il modo più rapido per liberarsi di me.» «Non voglio sedermi...» Si arrese: non era in grado di opporre resistenza. «Si sbrighi.» «Sissignora. Dov'è il caffè?» «Nel barattolo blu.» Versò dell'acqua nella caffettiera. «Quando è successo?» «Ieri, dopo mezzanotte.» «Aveva chiuso a chiave il laboratorio?» «Ma certo!» «Non si arrabbi.» Dosò il caffè. «Non ha sentito niente?» «No.» «Mi sorprende, con tutto quel disastro.»
«Joe dice che sapeva esattamente cosa stava facendo.» Accese la macchina del caffè. «Ha idea di chi sia stato?» «Niente impronte. Forse ha usato guanti.» Prese un cardigan appeso alla porta del ripostiglio. «Guanti... Allora non erano dilettanti.» «L'ho appena detto.» Le posò il maglione sulle spalle. «Lo so.» «E questo maglione è di mia madre.» «Ne ha proprio bisogno, non credo che a sua madre dispiacerebbe.» Ne aveva bisogno davvero, continuava a tremare. Lui prese il telefono. «Cosa fa?» «Chiamo la mia assistente personale, Margaret Wilson. Qual è la sua assicurazione?» «Security America, ma lei...» «Salve Margaret, sono John», disse al telefono. «Mi serve... sì, lo so che è sabato.» Ascoltò pazientemente. «Sì, Margaret, è un affronto terribile. Sono ovviamente grato per la tua magnanimità. Adesso chiuderesti il becco per sentire cosa mi serve?» Eve lo guardò sorpresa. Si sarebbe aspettata tutto, ma non che Logan fosse rimproverato da un suo dipendente. «Allora?» ripeté al telefono. La risposta doveva essere stata affermativa, perché aggiunse: «Fai una denuncia alla Security America, a nome di Eve Duncan». Sillabò il cognome. «Scasso, vandalismo e tentativo di furto. Se ti servono dettagli o chiarimenti, chiama Joe Quinn, polizia di Atlanta. Voglio un ispettore, qui, subito, e una squadra di pulizie. Il laboratorio deve essere perfettamente pulito entro mezzanotte.» Sospirò. «No, non voglio che voli qui per farlo tu stessa, Margaret, il tuo sarcasmo non serve. Basta che te ne occupi di persona. Eve Duncan deve solo firmare i documenti dell'assicurazione. Voglio anche delle guardie giurate, per proteggere la casa ed Eve e Sandra Duncan. Chiamami se hai problemi. No, non sto dubitando della tua efficienza, ma...» Ascoltò per un istante e poi disse, in tono cortese ma deciso: «Arrivederci, Margaret». Riappese e cercò una tazza. «Margaret si occuperà di tutto.» «Però non le va.» «Vuole solo assicurarsi che io non la sottovaluti mai. Se l'avessi fatto io personalmente, mi avrebbe accusato di non fidarmi abbastanza di lei.»
Versò il caffè bollente nella tazza. «Latte o zucchero?» «Nero, grazie. Lavora con lei da molto?» «Nove anni.» Le porse la tazza. «Dobbiamo tornare lì dentro e raccogliere tutto quello che non vuole fare vedere a quelli dell'assicurazione.» «Ma che fretta c'è?» Bevve un sorso di caffè. «Non ho mai visto una compagnia d'assicurazione muoversi velocemente.» «Si fidi di Margaret: qualcuno arriverà qui molto presto.» Si versò una tazza di caffè e sedette di fronte a Eve. «Per lei è una sfida.» «Non conosco Margaret, quindi non posso fidarmi. Come non posso fidarmi di lei.» Lo guardò negli occhi. «E non mi servono guardie giurate qui fuori, Joe manderà un'auto della polizia a tenerci d'occhio.» «Bene. Ma qualche precauzione in più non ha mai fatto male a nessuno. Non le daranno fastidio.» La guardò mentre beveva il caffè. «Adesso è meno pallida. Pensavo che stesse per svenire.» Eve si sentiva meglio, i brividi erano diminuiti. «Non sia sciocco. Mi confronto con l'orrore tutti i giorni. Ero solo agitata.» «Ne aveva tutto il diritto, ma questa particolare storia mi colpisce personalmente.» È vero, la sua vita privata era stata serena e senza scosse violente, dopo quella notte davanti alla prigione. Non era pronta a quell'esplosione improvvisa di violenza. «Non è solo per questo. Quello che è accaduto mi fa sentire una vittima, e ho giurato di non esserlo mai... È una cosa che odio!» «Me ne rendo conto.» Lei finì il caffè e si alzò. «Se crede davvero che qualcuno dell'assicurazione arriverà qui presto, farei meglio a tornare a controllare il laboratorio.» «Aspetti un po'. Come ha detto lei, non c'è fretta.» «Voglio finire subito.» Si diresse verso la porta. «Mia madre tornerà a casa tra poco e non voglio che si senta in dovere di aiutarmi.» «È molto protettiva con sua madre», commentò Logan mentre la seguiva. «Siete molto legate?» «Sì, prima non lo eravamo, ma ora siamo diventate buone amiche.» «Amiche?» «Be', ha solo sedici anni più di me. Siamo cresciute insieme, in un certo senso.» Lo guardò. «Non è necessario che mi segua.» «Lo so.» Lui le aprì la porta del laboratorio. «Ma Margaret si arrabbierebbe molto se io la facessi lavorare standomene con le mani in mano.»
Quattro «Un bel po' di sangue», disse Logan tranquillo. «Ma se ne occuperà l'impresa di pulizie.» Indicò la pila di articoli per terra, accanto alla libreria in pezzi. «Perché non controlla se qualcosa può essere salvato? Vedo un paio di foto.» Lei annuì e si inginocchiò accanto alla libreria. Era più facile stare lì con Logan, pensò con sorpresa. I suoi modi di fare erano una luce nel buio di quei momenti. C'era sangue: doveva essere lavato via. C'era dappertutto distruzione: bisognava salvare il possibile. Sì, le foto di Bonnie e di sua madre erano solo strappate in un angolo, notò con sollievo. «Sono salve.» «Bene. Allora chiunque sia stato, non era furbo come credevamo. Non ha capito che rovinare le foto avrebbe potuto ferirla.» Logan era davanti alla scrivania. «Controllo i cassetti per vedere se...» «Aspetti! C'è un...» Troppo tardi. Aveva già aperto il cassetto. Ma il topo morto non c'era più, la polizia doveva averlo portato via. Il cassetto era ancora pieno di sangue. «Meno male che l'ho aperto prima di quelli delle pulizie, avremmo avuto qualche problema a farli rimanere.» Logan estrasse il cassetto e uscì dal laboratorio. «Me ne occupo io.» Non appariva neanche sorpreso. «Sembra tutto normale, per lei.» «Poi mi ricordi di raccontarle cosa è successo nel mio ufficio, la prima volta che ho rilevato una società. Almeno qui non ha defecato nessuno. Continui a cercare, io torno subito.» Non c'era altro da cercare. I libri erano strappati. La clessidra che sua madre le aveva comprato era rotta, la base del piedistallo era spezzata in due e... Il piedistallo. Mandy. Perché avevano portato Mandy dall'altra parte della stanza prima di romperla? Quella stranezza l'aveva già notata prima, ma era stata troppo sconvolta per rifletterci. Tutto lo scempio sembrava frutto di un freddo calcolo, ma perché il teschio... Si alzò e andò dall'altra parte della scrivania. L'unico oggetto che era stato frantumato in quel punto era il computer. E il teschio era stato rimosso dal piedistallo per essere distrutto insieme al computer. Lo fissò e improvvisamente capì. «Mio Dio!» «Sapevo che avrebbe colto il messaggio, riflettendoci su.» Logan era
sulla porta e la guardava. «Lei lo sapeva.» Lui annuì. «Non appena mi ha detto dove aveva trovato il teschio. Molto esplicito, vero? Il computer LOGAN. Il teschio. Un avvertimento.» «Chi?» «Non lo so. Evidentemente qualcuno non vuole che io faccia uso delle sue prestazioni.» Lei si guardò intorno nella stanza. «E per questo?...» «Sì.» Eve lo guardò. «E non voleva dirmelo?» «No, se non lo avesse capito da sola», rispose seccamente. «Temevo che la cosa mi avrebbe danneggiato. Tutto è stato fatto per spaventarla, e ci sono riusciti.» Sì, era spaventata. Spaventata, disgustata e triste. Non solo le sue cose erano state distrutte, ma Tom-Tom era stato ucciso e l'identità di Mandy era stata rubata per sempre. E tutto per sviarla. Si sentì bruciare di rabbia nel ricordare l'espressione della signora Dobbins quella mattina. «Maledetto.» La sua voce tremava. «Che vada all'inferno.» «Sono con lei.» Logan la fissava. «Spero che significhi qualcosa il fatto che stia maledicendo lui, e non me.» «Maniaco bastardo!» Corse fuori dal laboratorio. Non ricordava di essere stata così furiosa dal giorno in cui avevano arrestato Fraser. Aveva voglia di uccidere. «Non gli importava. Alla gente, invece, dovrebbe importare. Come ha potuto...» Ma lei lo sapeva: era probabilmente un pazzo, come Fraser. Freddo, crudele e spietato. «Gliela farò pagare.» «Allora scoprirò chi è», disse Logan. «Come pensa di riuscirci? O forse mentiva quando ha detto che non sa chi è stato?» «Non so chi possa essere, ma molto probabilmente so chi lo ha mandato.» «Chi?» «Non posso dirglielo, ma scoprirò chi ha compiuto questo disastro.» Fece una pausa. «Se verrà con me.» «Mi dica chi c'è dietro.» «Se verrà a fare quel lavoro, lo scoprirà da sola. Perché no? Ci vorrà del tempo per ricostruire il laboratorio, resterebbe con le mani in mano. Aggiungerò altri duecentomila dollari per la Fondazione Adam, e in più le
consegnerò il figlio di puttana che le ha fatto tutto questo.» Un pensiero le attraversò la mente. «Forse è stato lei, per spingermi a seguirla.» «Troppo rischioso, e lei avrebbe potuto reagire nel modo opposto. E poi, io non uccido animali indifesi.» «Ma è pronto ad approfittare di quanto è successo.» «Ci può scommettere. Affare fatto?» Lei guardò la stanza imbrattata di sangue, e di nuovo la rabbia la invase. «Ci penserò.» «E se alzassi il...» «La smetta di insistere, ho detto che ci penserò.» Raccolse una scatola che prima conteneva la carta della stampante, e iniziò a raccogliere i frammenti del teschio di Mandy. Si accorse che le mani le tremavano ancora. Doveva stare calma. «Se ne vada, ora. La chiamerò quando avrò deciso.» «Devo muovermi in fretta...» «La chiamerò.» Si sentiva addosso il suo sguardo, e immaginò che volesse provare ancora a convincerla. «Sono al Ritz-Carlton Buckhead. Non dovrei dirglielo, mi rende debole nelle mie trattative con lei. Ma sono proprio disperato, Eve. Deve offrirmi il suo aiuto. Farei qualsiasi cosa per averlo. Mi chiami e mi dica qual è il suo prezzo, sono pronto a pagarlo.» Quando alzò gli occhi, lui era sparito. Che cosa poteva mai rendere disperato un uomo come Logan? La sua disperazione, fino a quel momento, l'aveva tenuta ben nascosta. Forse, confessare la sua debolezza era uno stratagemma per convincerla. Ci avrebbe pensato dopo. Ora doveva tornare in casa, perché sua madre non venisse a cercarla. Raccolse le foto e la scatola di Mandy e si avviò verso la porta. Poteva ancora ricostruire il teschio: anche se non avesse ottenuto una struttura dettagliata, sarebbe stato sufficiente per il confronto al computer. Fu di nuovo sopraffatta dalla rabbia e da un senso d'impotenza quando si rese conto che era impossibile. Joe le aveva detto che non avevano idea di chi fosse Mandy, quindi come trovare una sua foto? La sua sola speranza era stata di scolpire il volto e portarlo a qualcuno, a chiunque fosse in grado di identificarla. Quell'illusione era stata distrutta dal bastardo che aveva fatto a pezzi il teschio come avvertimento.
«Eve?» Sua madre arrivava dal cortile. «Era l'assicurazione, al telefono. Hanno appena mandato una persona.» «Davvero?» Margaret aveva fatto un buon lavoro. «Come sta la signora Dobbins?» «Meglio. Credi che dovremmo regalarle un gattino?» «Non per qualche mese, lasciamo che si riprenda dallo choc.» Sandra guardò nel laboratorio. «Mi dispiace, Eve. Tutti i tuoi archivi e gli strumenti.» «Li sostituirò.» «Questo quartiere è così carino e tranquillo, queste cose qui non succedono mai. Fa un po' paura. Credi che dovremmo fare installare qualche sistema d'allarme?» «Vedremo.» Aprì la porta della cucina. «C'è del caffè, ne vuoi un po'?» «No, l'ho appena bevuto con la signora Dobbins.» Poi, dopo una pausa: «Ho chiamato Ron. Mi ha invitato a pranzo fuori, per distrarmi. Naturalmente gli ho detto di no». Ma era ovvio che aveva voglia di andarci, pensò Eve. E perché no? Aveva avuto una mattinata infernale e voleva essere consolata. «Non vedo perché non dovresti. Qui non puoi fare nulla.» «Sicura?» «Certo. Telefonagli.» Eve posò la scatola di Mandy sul tavolo. «Puoi stare via tutto il tempo che vuoi.» «Due ore, non di più», rispose Sandra con fermezza. Eve aspettò che la madre chiudesse la porta dietro di sé prima di cancellare il finto sorriso dal suo volto. Era stupido ed egoista sentirsi così abbandonata. Sandra aveva fatto tutto il possibile per aiutarla. Semplicemente, non si rendeva conto di quanto Eve si sentisse sola. Doveva smetterla di piangersi addosso. Era ormai una donna sola, e aveva imparato ad accettarlo. Anche Sandra, a volte, era più una responsabilità che una compagnia, ma non ne avrebbe fatto un problema. Doveva commiserarsi solo perché qualche maniaco aveva provato a spaventarla? Fraser. Perché continuava a invadere i suoi pensieri? Perché si sentiva indifesa e spaventata, come in quei giorni in cui era entrato con violenza nella sua vita. Aveva ucciso sua figlia, e lei era stata costretta a chiedere alle autorità di non giustiziarlo. Era perfino andata a trovarlo in prigione per supplicarlo di dirle di Bonnie.
Fraser, con quel sorriso affascinante che aveva intrappolato dodici bambini, aveva scosso la testa e si era rifiutato. Il bastardo non era neanche ricorso in appello, quindi il caso era chiuso e i bambini non sarebbero stati più trovati. Avrebbe voluto ucciderlo, ma era rimasta intrappolata, prigioniera delle parole che lui non aveva voluto dirle. Ma ora non era indifesa né impotente. E non doveva più sentirsi una vittima. Poteva agire. L'idea la riempì di feroce soddisfazione. Logan era in grado di scoprire chi aveva distrutto il laboratorio. A un prezzo. Ma era disposta a pagarlo? Fino a quel momento non ne era stata sicura. Aveva voluto pensarci in modo razionale e non istintivo, prima di dargli una risposta. Logan probabilmente contava sul fatto che Eve, in quel momento, era molto confusa. Avrebbe approfittato di ogni sua debolezza. Allora niente cedimenti, pensò. Doveva prendere quel che le serviva ed evitare trappole. Poteva farlo. Era sveglia quanto Logan e, come gli aveva detto, sapeva come difendersi. Non era una vittima. «Va bene», disse Eve quando Logan rispose al telefono. «Ma alle mie condizioni. Metà del mio compenso in anticipo, e l'intera somma per la Fondazione Adam, depositata sul loro conto prima ancora che io parta.» «Bene. Lo farò oggi stesso.» «Voglio una prova che è stato fatto. Tra quattro ore chiamerò gli uffici della Fondazione per assicurarmi che lo abbiano ricevuto.» «Mi sembra giusto.» «E voglio che mia madre e la mia casa vengano protette mentre non ci sono.» «Le ho detto che avrebbero avuto una sorveglianza.» «Mi ha anche promesso di scoprire chi ha distrutto il laboratorio.» «Ho già incaricato qualcuno.» «E se dovessi rendermi conto che quello che sto facendo mi rende complice di qualche crimine, mollo tutto.» «Va bene.» «Lei è molto accondiscendente.» «Le ho detto di dirmi il suo prezzo.» Aveva accettato! Diamine, le avrebbe promesso il mondo intero. «Faccia le valigie, vengo a prenderla stasera.»
«Se ho conferma dalla Fondazione Adam.» «Ricevuto.» «E devo dire a mia madre dove andiamo.» «Le dica che sarà spesso in giro e che la chiamerà la sera, ogni due giorni.» «Sarò spesso in giro?» «Probabilmente. Arrivo alle dieci.» Riappese. Sì! L'aveva in pugno! Dopo l'incontro con Eve, la durezza di quella donna gli aveva fatto temere che ci sarebbe voluto molto più tempo. Se la distruzione del laboratorio non l'avesse fatta tanto infuriare, le trattative sarebbero continuate. Forse doveva ringraziare quel bastardo di Timwick. Autorizzare una tale stupidaggine era stata proprio la cosa più sbagliata da fare. La violenza aveva irritato Eve, ma certo non l'aveva spaventata del tutto. E l'incidente aveva reso consapevole Logan che Timwick aveva dei sospetti e, forse, un informatore. Interessante. Timwick era furbo, raramente commetteva errori. Se avesse realizzato che Eve non era spaventata, avrebbe corretto il tiro e alzato la posta. E in futuro, di certo, non sarebbe morto solo un gatto. A un isolato di distanza dalla casa di Eve, Fiske si tolse l'auricolare e lo posò sul sedile, abbozzando un.sorriso. Gli erano sempre piaciute le diavolerie tecnologiche, e ammirava in particolare quel nuovo potente amplificatore. L'idea di ascoltare attraverso i muri era così eccitante. A dire il vero, in questo caso erano solo vetri, ma la sensazione di potere e di controllo era la stessa. Lo lusingava il fatto che Eve Duncan volesse la sua testa come parte del prezzo che era disposta a pagare per seguire Logan: come dire che aveva fatto bene il suo lavoro. Il gatto morto era stato un colpo da maestro: gli animali morti colpiscono sempre nel vivo. Lo aveva imparato in quinta elementare, quando aveva ucciso il cane dell'insegnante. La puttana era venuta a scuola con gli occhi gonfi per una settimana. Aveva fatto il suo lavoro; non era colpa sua se gli ordini di Timwick avevano sortito l'effetto contrario. Gli aveva detto che serviva una mano più pesante, ma lui aveva replicato che era presto, che non ce n'era bisogno. Coniglio bastardo. «La lampada del portico è spenta», disse Logan quando Eve aprì la porta. «Ha una lampadina? Gliela cambio.»
«Dovrebbe essercene una in cucina.» Si incamminò per il corridoio. «Strano, l'avevo cambiata la settimana scorsa.» Quando tornò dopo pochi istanti, la lampada era accesa. «L'ha aggiustata?» «Era solo avvitata male. C'è sua madre?» «È in cucina. Ha preso molto bene il fatto che io me ne vada, sta già progettando di ridipingere il laboratorio.» «Potrei conoscerla?» «Certo. Vado a prendere...» «Signor Logan? Sono Sandra Duncan. Sono davvero contenta che porti via Eve durante questo periodo difficile. Le serve una breve vacanza.» «Temo che non sarà una vacanza, ma di certo sarà un cambiamento. Proverò a non farla lavorare troppo.» Logan sorrise. «È fortunata ad avere qualcuno come lei.» Logan aveva sfoderato il suo fascino e la mamma si stava squagliando, notò Eve. «Ognuna si prende cura dell'altra», disse Sandra. «Eve mi dice che lei pensa di ridipingere il laboratorio. È stata una cosa veramente terribile.» Sandra annuì. «Ma l'impresa di pulizie l'ha risistemato quasi alla perfezione. Quando tornerà, Eve stenterà a credere che sia mai successo niente lì dentro.» «Be', mi sento un po' in colpa a portarla via prima che abbiano arrestato il responsabile. Sua figlia le ha detto che manderò della sorveglianza?» «Sì, ma Joe...» «Mi sento meglio se aggiungo qualcosa io. Se non le dispiace, farò passare qualcuno a controllare ogni sera.» «Non mi dispiace, ma non serve.» Abbracciò Eve. «Non lavorare troppo, riposati un po'.» «Starai bene?» «Benissimo. Sono contenta di liberarmi di te. Ora forse potrò invitare a cena Ron senza preoccuparmi che tu gli faccia il terzo grado.» «Non gli farei...» Sorrise. «Be', forse gli avrei fatto qualche domandina...» «Lo vedi?» Eve prese la valigia. «Fai la brava. Ti chiamerò il più spesso possibile.» «È stato un piacere, signora Duncan.» Logan le strinse la mano, poi prese la valigia di Eve. «Avrò cura di lei e gliela riporterò appena possibile.»
Di nuovo quel suo fascino, che avvolgeva Sandra. «Ne sono certa. Arrivederci, signor Logan.» Lui sorrise. «John.» Sorrise anche lei. «John.» Rimase a guardarli sull'ingresso mentre si allontanavano. Salutò con la mano e chiuse la porta. «A che serviva quella pantomima?» chiese Eve. Logan le aprì lo sportello della macchina. «Pantomima?» «Tutte quelle dolcezze, mia madre non capiva più niente.» «Volevo solo essere gentile.» «Voleva affascinarla.» «Ho imparato che rende le cose più facili. Qualcosa in contrario?» «Sono tutte bugie. Le detesto.» «Perché...» Si interruppe. «Fraser. Mi hanno detto che era un tipo affabile, come Ted Bundy. Dannazione, non sono Fraser, Eve.» Lei sapeva che era vero, nessuno era come Fraser, tranne forse il diavolo in persona. «Non posso farci niente... Mi ricorda solo... Mi dà fastidio.» «Dato che lavoreremo insieme, è l'ultima cosa che desidero. Le prometto che sarò il più rude e sgarbato possibile.» «Bene.» «Mica tanto... Sono famoso per essere piuttosto sgradevole, se necessario.» Avviò la macchina. «Chieda a Margaret.» «Da come la descrive, dubito che Margaret lo tollererebbe.» «È vero, sa essere peggio di me. Ma io ci provo.» «Dove stiamo andando?» «Dove ha detto a sua madre che andavamo?» «Non gliel'ho detto. Ho detto che vive sulla costa occidentale, e la mamma crede che stiamo andando lì. Lei e Joe Quinn hanno il numero del mio cellulare in caso di emergenza. Ma dove stiamo andando?» «Ora? All'aeroporto. Voliamo a casa mia in Virginia.» «Mi serve l'attrezzatura. La mia è andata distrutta, solo pochi strumenti si sono salvati.» «Non c'è problema. Abbiamo già preparato un laboratorio.» «Cosa?» «Sapevo che le serviva un posto per lavorare.» «E se avessi detto di no?» «Avrei adottato un'altra soluzione.» Sorrise e aggiunse, con tono melodrammatico: «O l'avrei rapita e tenuta nel laboratorio finché non avesse
accettato». Stava scherzando... vero? si chiese lei d'un tratto. «Mi dispiace. Non gradisce questo mio tono scherzoso? Volevo mettere alla prova il suo senso dell'umorismo. Ma vedo che le manca. Sono stato sgarbato?» «Invece ce l'ho il senso dell'umorismo.» «Non l'ho ancora visto.» L'auto imboccò l'autostrada. «Ma non si preoccupi, non è richiesto per il lavoro.» «Non mi preoccupavo. Non m'importa cosa pensa di me, voglio solo finire questo lavoro. E sono stanca di non sapere niente. Quando...» «Ne parleremo quando arriviamo in Virginia.» «Ne voglio parlare adesso.» «Dopo.» Guardò nello specchietto. «Questa è una macchina a noleggio, non è sicura.» All'inizio lei non capì. «Vuole dire che ci sono microfoni?» «Non lo so. Ma non voglio rischiare.» Lei rimase in silenzio per un attimo. «Le sue macchine in genere sono... sicure?» «Sì, dato che, a volte, gestisco i miei affari mentre mi muovo da un posto all'altro. La fuga di notizie può costare molto.» «Lo immagino, specie se gioca con cose come uno scheletro...» «Non sto giocando.» Guardò di nuovo nello specchietto. «Mi creda, Eve.» Era la seconda volta nel giro di un minuto che controllava nello specchietto, eppure non c'era traffico. Lei guardò dietro di sé. «Ci stanno seguendo?» «Forse. Ma sembra di no.» «Se ci seguissero, me lo direbbe?» «Dipende. Non se questo la spaventasse.» Le lanciò un'occhiata. «Ha paura?» «No. Le ho comunicato le mie condizioni e ho preso un impegno. Adesso l'unica cosa che mi farebbe rinunciare sarebbe l'idea che mi sta mentendo. Non lo sopporterei, Logan.» «Lo terrò presente.» «Dico sul serio. Lei ha a che fare con tutti quei politici dalla lingua biforcuta. Io non sono così.» «Accidenti, che predica.» «Pensi quello che vuole, io sono sincera. Voglio solo che non si sbagli
sul mio conto.» «Capisco. Le assicuro che nessuno potrebbe scambiarla né per un politico né per un diplomatico», replicò seccamente. «Lo considero un complimento.» «E immagino che lei non ami i politici.» «Ma chi li ama? Di questi tempi sembra che sì debba solo scegliere il male minore.» «Ci sono persone che vogliono solo fare un buon lavoro.» «Sta cercando di convertirmi? Lasci perdere. I repubblicani non mi piacciono molto più dei democratici.» «Per chi ha votato alle ultime elezioni?» «Chadbourne, ma non perché era democratico. Mi ha convinto che poteva essere un buon Presidente.» «E crede che lo sia?» «Ha fatto passare la legge per i bambini tossicodipendenti, anche se il Congresso voleva bloccarla.» «Un blocco è come un muro, a volte bisogna buttarci dentro qualcosa di esplosivo per aprirlo.» «Quelle manifestazioni che lei organizza per raccogliere fondi non mi sembrano molto esplosive.» «Dipende dai punti di vista. Io faccio il possibile, ho sempre creduto che una persona debba scegliere da che parte stare. Se vuoi cambiare le cose, devi lavorare all'interno del sistema.» «Io, invece, no. E poi, non ho niente a che fare, tranne il giorno delle elezioni.» «No, si seppellisce nel laboratorio insieme alle sue ossa.» «Perché no? Sono una compagnia migliore di molti politici.» Con sua sorpresa, lui non si mostrò seccato. «Mio Dio, forse ha un senso dell'umorismo!» Rise. «Mettiamoci almeno d'accordo sul fatto che siamo in disaccordo. Mio padre mi diceva sempre di non parlare di religione o di politica con una donna.» «Che maschilista.» «Era una persona splendida, ma viveva in un altro mondo. Non avrebbe saputo affrontare donne come lei o Margaret.» «È ancora vivo?» «No, morì quando ero all'università.» «Conoscerò Margaret?» Lui annuì. «L'ho chiamata nel pomeriggio per dirle di raggiungerci a ca-
sa mia.» «Non è un po' troppo? Deve venire dalla California, vero?» «Avevo bisogno di lei.» Quella semplice frase diceva tutto, pensò Eve. Lui poteva fingere di farsi fare una ramanzina da Margaret, ma poi si aspettava che lei scattasse in piedi ai suoi ordini. «Gliel'ho chiesto gentilmente, non ho neanche tirato fuori la frusta.» «A volte non c'è bisogno che la frusta si veda, perché faccia effetto.» «Prometto che con lei non userò questi metodi, visibili o invisibili.» Lei rispose al suo sguardo con un'occhiata glaciale. «No, infatti, non ci provi neanche, Logan.» «Stanno arrivando», disse Fiske. «Cosa vuole che faccia? Scopro dove vanno e li seguo?» «No, la segretaria ha detto a suo padre che stava andando in Virginia. Quel posto è più controllato di Fort Knox. Abbiamo un apparato di sorveglianza fuori dei cancelli della sua tenuta, ma non potremo toccarlo una volta che vi entra.» «Allora dovrei agire prima che lui arrivi.» «Te l'ho detto, la cosa è troppo scoperta. Non voglio fare niente che non sia assolutamente necessario.» «Allora torno alla casa. La madre è ancora...» «No, la madre non andrà da nessuna parte. Possiamo ripensarci dopo, se decidiamo che ci serve una nuova pista. Adesso abbiamo una cosa più urgente da farti fare. Torna qui.» Cinque Il jet atterrò in un piccolo aeroporto privato vicino ad Arlington, in Virginia, e i bagagli furono immediatamente trasferiti in una limousine parcheggiata accanto all'edificio. Tutte le comodità che il denaro può comprare, pensò Eve. Sicuramente l'autista sarebbe stato formale e ossequioso come un personaggio di Wodehouse. Era di bell'aspetto, i capelli rossi e le lentiggini. Non aveva più di trent'anni, indossava jeans e una camicia a scacchi dello stesso blu degli occhi. Scese prontamente dalla macchina appena li vide. «Ciao John, fatto buon viaggio?»
«Abbastanza. Gil Price, Eve Duncan.» Gil le strinse la mano. «La signora delle ossa. L'ho vista in TV, è più carina di persona. Avrebbero dovuto mettere a fuoco il suo viso, invece di quel teschio.» «Grazie, ma non ho scelto io di apparire in TV. Ho già visto abbastanza telecamere in vita mia.» «Anche John le odia. L'anno scorso a Parigi ho dovuto romperne una. Poi ha dovuto pagare un indennizzo al bastardo che affermava che gli avevo rotto il muso, non la camera. Detesto i paparazzi.» «Be', in genere non mi segue nessun paparazzo, quindi non dovrei avere problemi.» «La seguiranno, se va in giro con John.» Aprì lo sportello posteriore. «Salti su, la porto a Barrett House.» «Barrett House? Sembra uscita da un romanzo di Dickens.» «No, era una locanda durante la Guerra Civile. John l'ha comprata l'anno scorso e l'ha fatta rimodernare completamente.» «È arrivata Margaret?» chiese Logan entrando in macchina con Eve. «Due ore fa, ed è acida da morire. Dovrai pagarmi tariffa doppia, per essere andato a prenderla.» Gil balzò al volante. «Non capisco, perché non le piaccio? Io piaccio a tutti.» «Dev'essere un difetto del suo carattere», disse Logan. «Di certo non è colpa tua.» «Proprio quello che pensavo.» Gil mise in moto la macchina e accese il lettore CD. La limousine si riempì delle malinconiche note di una canzone country. «Il vetro, Gil», disse Logan. «Ah, scusa.» Si voltò e sorrise a Eve. «John aveva una jeep, ma odia questa musica, così si è comprato questa carrozza per avere un vetro divisorio.» «Mi piace la musica country, ma non sopporto queste canzoni tristi che ami tanto. Vestiti da sposa macchiati di sangue, cani sulle tombe...» «È perché sei un romantico ma non vuoi dimostrarlo. Credi che non abbia visto quando ti venivano le lacrime agli occhi?» «Certo, certo. Il vetro!» «D'accordo.» Il vetro si alzò silenziosamente e la musica si interruppe. «Spero che non le dispiaccia», disse Logan. «No, odio le canzoni tristi. Ma non riesco a immaginarmi lei che piange ascoltando una canzone.»
«Ho anch'io un cuore. E quei cantanti country sanno esattamente come colpire.» Lei guardò Gil. «È simpatico. Non ciò che mi aspettavo da uno dei suoi dipendenti.» «Gil è imprevedibile, ma è un bravo autista.» «E anche una guardia del corpo?» «Anche. Era nella polizia militare dell'aviazione, ma non ama la disciplina.» «E lei?» «Neanch'io. Quando posso, ne faccio a meno, prima di cacciare via la gente.» Additò qualcosa fuori dal finestrino. «Tra pochi minuti entreremo nella mia tenuta. La campagna qui è bellissima, con tanti boschi e prati.» «Immagino.» Era troppo buio per vedere altro che le ombre degli alberi. Eve stava ancora pensando al paragone che Logan aveva fatto tra se stesso e Price. «E cosa fa quando non può evitare le persone che tentano di imporle la loro disciplina?» «Be', le caccio via.» Sorrise. «È per questo che Gil e io andiamo così d'accordo, siamo anime gemelle.» Dopo una curva, un cancello di ferro battuto alto tre metri si stagliò davanti a loro. Lei guardò Gil premere un tasto sul cruscotto, e il cancello si aprì lentamente. «Anche il cancello è elettrico?» Lui annuì. «E ho un guardiano che controlla la tenuta tramite un sistema di videocamere.» Eve improvvisamente rabbrividì. «Che lusso. Anch'io voglio il mio piccolo telecomando per aprire quel cancello.» Lui la guardò. «I cancelli che tengono fuori le persone possono anche chiuderle dentro. Non mi piace l'idea di essere intrappolata.» «Non sto tentando di ingabbiarla, Eve.» «No, non se riesce ad avere quello che voleva con altri modi. Ma se non ci riesce?» «Non posso costringerla a lavorare.» «No? Lei è molto intelligente, Logan. Voglio il mio telecomando per quel cancello.» «Domani. Devo farlo programmare.» Sorrise. «Stia calma, non proverò a farle nulla nelle prossime ventiquattr'ore.» «Domani.» Eve si rilassò sul sedile mentre la casa si stagliava davanti a
loro. La luna era spuntata dietro le nuvole a illuminare il posto. Barrett House era uno strano palazzo di pietra a due piani, che sembrava ancora la locanda ottocentesca che Gil aveva descritto. Non era appariscente, e l'edera sui muri rendeva la pietra meno severa. Mentre Gil parcheggiava la macchina davanti all'entrata, Eve chiese: «Perché comprare un albergo e restaurarlo? Perché non costruire una casa nuova?» Logan scese dalla macchina e le porse la mano per aiutarla. «Aveva delle caratteristiche uniche che mi interessavano.» «Non me lo dica: ha un cimitero privato.» Lui sorrise. «Il cimitero della famiglia Barrett è proprio oltre la collina, ma non è per questo che l'ho comprata.» Aprì il pesante portone di mogano. «Non ci sono domestici fissi, li faccio venire dalla città due volte la settimana. In cucina dovremo arrangiarci da soli.» «Non importa. Non sono abituata ad avere domestici, e mangiare non m'importa molto.» Lui la guardò. «Si vede. È magra come un levriero.» «Adoro i levrieri», disse Gil portando le valigie nell'ingresso. «Eleganti, con quei grandi occhi tristi. Una volta ne avevo uno, e quando è morto sono quasi morto anch'io. Dove metto le valigie?» «La prima porta in cima alle scale», disse Logan. «Va bene. Che noia. Io dormo nel vecchio deposito delle carrozze, Eve. Dovrebbe chiedergli di farla stare lì, c'è più privacy.» «Qui è più comodo per il laboratorio», disse Logan. E per tenermi d'occhio, pensò Eve. «Margaret dev'essere andata a dormire. La conoscerà domattina. Penso che nella sua stanza troverà tutto quello che le serve.» «Voglio vedere il laboratorio.» «Ora?» «Sì. Potrebbe non averlo attrezzato bene, forse mi serviranno altre cose.» «Allora venga con me. È in una delle stanze della parte posteriore della casa. Io stesso non l'ho ancora visto. Margaret le ha procurato tutto quello che pensava le servisse.» «Di nuovo l'efficiente Margaret.» «Non solo efficiente, eccezionale.» Seguì Logan attraverso un enorme salotto: c'era un camino tanto grande da poterci camminare dentro, pavimenti di legno coperti da tappeti di canapa, ed enormi divani in pelle. Sembrava una residenza di caccia, pensò. Lui la condusse per un breve corridoio e aprì la porta. «Eccoci.»
L'atmosfera era fredda, sterile. Tutto acciaio inossidabile e vetro. «Dev'essere l'idea che Margaret ha del paradiso della scienza. Proverò a renderlo più accogliente.» «Non importa, non resterò qui a lungo.» Si avvicinò al piedistallo: era robusto e regolabile. Le tre videocamere accanto erano apparecchiature tra le più sofisticate, così come il computer, il mixer e il videoregistratore. Esaminò il tavolo da lavoro: gli strumenti di misurazione erano precisissimi, ma lei preferiva quelli che si era portata con sé. Prese una scatola di legno da uno scaffale, e sedici paia di occhi incominciarono a fissarla. C'erano tutte le varianti del nocciola, grigio, verde, blu, marrone. «Sarebbero bastati blu e marrone», disse. «Il marrone è il colore più diffuso.» «Avevo detto a Margaret di procurarle tutto quello che le sarebbe potuto servire.» «Be', lo ha fatto.» Si voltò a guardarlo. «Quando posso iniziare a lavorare?» «Tra un paio di giorni. Sto aspettando certe conferme.» «E io che faccio, siedo qui a girarmi i pollici?» «Vuole che le dissotterri un Barrett per esercitarsi?» «No, voglio fare il lavoro e tornare a casa.» «Mi ha dato due settimane. Ma ora è stanca. Le mostro la sua stanza.» Era davvero stanca. Le sembrava che fossero passati mille anni da quando era entrata nel suo laboratorio quella mattina. Improvvisamente sentì nostalgia di casa. Cosa ci faceva in quel luogo? Non era a suo agio in quella strana dimora con un uomo di cui non si fidava. La Fondazione Adam. Non importava se quello era il suo posto o no: aveva un lavoro e una missione. Seguì Logan. «Dicevo sul serio: non voglio fare niente di illegale.» «Lo so che diceva sul serio.» Il che non voleva dire che fosse d'accordo. Lei spense la luce e lo seguì nel salotto. «Quando mi dirà perché sono qui e perché dovrei fare quello che lei vuole?» Lui sorrise. «È il suo dovere di brava patriota.» «Stupidaggini.» Lo guardò attentamente. «Politica?» «Cosa glielo fa pensare?» «La conoscono per le sue attività, quelle note e quelle occulte.» «Mi illudevo che, finalmente, non mi considerasse più come un assassino.» «Non è detto. Sto facendo i miei controlli. Allora, si tratta di questioni
politiche?» «Forse.» «Mio Dio, sta tentando di screditare qualcuno?» «Non credo alle campagne per screditare le persone. Diciamo che le cose non sono sempre come appaiono, e penso che si possa far emergere la verità.» «Se va a suo vantaggio.» Lui annuì con sarcasmo. «Certamente.» «Non voglio esserne coinvolta.» «Non ne sarà coinvolta... a meno che io non abbia ragione. Se ho torto, andrà a casa e dimenticherà di essere stata qui.» La guidò su per le scale. «Potrei essere più giusto di così?» Forse non si trattava di politica. Forse era un suo problema personale. «Vedremo.» «Infatti.» Aprì la porta della stanza dell'ospite e si fece da parte. «Buonanotte, Eve.» «Buonanotte.» Lei entrò e chiuse la porta. L'ambiente era accogliente, arredato con semplici mobili di pino e, sul letto a baldacchino, una trapunta beige e rossiccia. L'unica cosa che la interessava era il telefono sul comodino. Fece il numero di Joe Quinn. «Pronto», rispose lui con voce impastata. «Joe, sono Eve.» Lui si scosse dal sonno. «Tutto bene?» «Sì. Mi dispiace svegliarti, ma volevo solo dirti dove sono e darti il numero dove rintracciarmi.» E dopo averlo dettato: «Fatto?» «Sì. Dove diavolo sei?» «Barrett House, la casa di Logan in Virginia.» «E non potevi aspettare fino a domattina?» «Forse. Ma volevo che lo sapessi. Mi sentivo... lontana.» «Sembri proprio a disagio. Hai accettato il lavoro?» «Altrimenti perché sarei qui?» «E cosa ti spaventa?» «Non sono spaventata.» «Altro che. Non mi chiamavi di notte da quando Bonnie...» «Non ho paura. Volevo solo farti sapere.» Le venne in mente una cosa. «Logan ha un autista, Gil Price, era nella polizia militare dell'aviazione.» «Vuoi che lo controlli?» «Penso... penso di sì.»
«Non c'è problema.» «E terrai d'occhio mia madre mentre sono via?» «Certo, lo sai. Chiederò a Diane di andare da lei per un caffè domani pomeriggio.» «Grazie, Joe. Torna a dormire.» «Certo. Come no.» Fece una pausa. «Non mi piace questa storia. Stai attenta, Eve.» «Non c'è niente di cui preoccuparsi. Ciao.» Lei riattaccò e si alzò dal letto. Voleva fare una doccia, lavarsi i capelli e andare a dormire. Non avrebbe dovuto svegliare Joe, ma sentire una voce familiare la faceva sentire meglio. Tutto, in quel posto, era piacevole e accogliente, perfino il simpatico Gil Price, ma lei era ancora tesa. Non sapeva quanto di tutto ciò fosse autentico e quanto fosse stato preparato per tranquillizzarla, e non le piaceva restare isolata. Ma adesso aveva un contatto con il mondo esterno. Joe sarebbe stato la rete di sicurezza in quel suo pencolare nel vuoto. «Eve?» Diane Quinn si voltò nel letto e alzò la testa. «Va tutto bene?» Joe annuì. «Penso di sì, non lo so. Ha accettato un lavoro che potrebbe... ah, lascia perdere. Andrà tutto bene.» Ma Joe si preoccupava, pensò Diane. Si preoccupava sempre di Eve. Lui si infilò tra le lenzuola e si tirò le coperte sul viso. «Ti dispiace se vai a trovare sua madre domani?» «Lo farò.» Spense la luce e lo abbracciò. «Farò tutto quello che vuoi. Ora dormi.» «Va bene.» Ma non sarebbe tornato a dormire, sarebbe rimasto lì nel buio a pensare a Eve e a preoccuparsi. Non doveva più pensarci. Il suo era stato un buon matrimonio. Aveva ereditato dai genitori abbastanza denaro per offrirle una vita agiata, anche senza il suo stipendio. Era attento, generoso, e bravissimo a letto. Quando Diane l'aveva sposato, sapeva che lui ed Eve erano inseparabili; non c'era voluto molto per capire che il legame tra i due era troppo forte per spezzarlo. Erano così simili che a volte si leggevano l'un l'altro nel pensiero. Non era un legame sessuale. Non ancora, forse non lo sarebbe stato mai. Quella parte di lui le apparteneva ancora. Basta con il rancore e l'invidia, pensò. Doveva essere l'amica di Eve, la moglie di Joe.
Capiva, con amarezza, che non poteva essere una cosa senza essere l'altra. «Ha chiamato Joe Quinn mezz'ora fa.» Gil posò un foglio sulla scrivania, di fronte a Logan. «Mark ha trascritto la conversazione.» Logan fece un mezzo sorriso guardando il foglio. «Non credo che si fidi di noi, Gil.» «Che donna intelligente.» Gil si buttò sulla chaise-longue dall'altra parte della stanza e posò una gamba sul bracciolo. «Non mi sorprende che non si fidi di te, sei piuttosto trasparente, ma ci vuole qualcuno molto perspicace per sospettare di me.» «Non è che tu abbia talento d'attore, sono le tue dannate lentiggini... Sto tentando di contattare Scott Maren in Giordania. Ha telefonato?» «Nessuna telefonata.» Poi schioccò le dita. «Tranne il tuo avvocato, Novak.» «Può aspettare.» «Vuoi che Mark disturbi la linea se lei prova di nuovo a telefonare?» «Userebbe il cellulare. Potrebbe farlo comunque se sapesse che il telefono nella sua stanza è sotto controllo.» «Come vuoi.» Fece una pausa. «Quando iniziamo?» «Presto.» «Non mi stai tenendo nascosto qualcosa, vero?» «Devo assicurarmi che sia tutto a posto. Timwick mi sta troppo alle calcagna.» «Puoi fidarti di me, John.» «Ho detto che sto aspettando.» «Va bene, friggiti nel tuo silenzio.» Gil si alzò e andò lentamente verso la porta. «Ma non mi piace muovermi alla cieca.» «Non succederà.» «Spero sia una promessa. Vai a dormire.» «Certo.» Dopo che Gil ebbe chiuso la porta, Logan guardò il foglio con la trascrizione e lo mise da parte. Joe Quinn. Non poteva permettersi di sottovalutare quel detective. Eve aveva ispirato un grande senso di lealtà in Quinn. Lealtà, amicizia e che altro? si chiese. Quinn era sposato, ma non importava. Non sarebbero stati neanche affari suoi, se non avessero interferito con l'incarico che voleva affidare a Eve. Inoltre, aveva già abbastanza proble-
mi. Scott Maren era in giro per la Giordania e l'avrebbero potuto rintracciare in qualsiasi momento. Ma Timwick avrebbe potuto capire le mosse di Logan e trarre le sue conclusioni. Conclusioni che lo avrebbero spaventato abbastanza da indurlo a rendere più sicura la sua posizione. Logan non vedeva l'ora di trovare Maren. Prese la sua agenda personale e l'aprì all'ultima pagina. C'erano solo tre nomi e tre numeri di telefono. Dora Bentz. James Cadro. Scott Maren. I telefoni dei primi due potevano essere sotto controllo, ma avrebbe dovuto comunque chiamare e verificare se era tutto a posto, e poi mandare qualcuno a prenderli. Prese il telefono e compose il primo numero. Dora Bentz. Il telefono squillava. Fiske finì di legare le gambe della donna ai piedi del letto e le sollevò la camicia da notte oltre la vita. Aveva cinquant'anni, ma diavolo, delle belle gambe. Peccato per la pancia. Avrebbe dovuto fare ginnastica, pensò. Un po' di esercizi avrebbero eliminato il grasso. Lui faceva duecento addominali al giorno, e il suo stomaco era duro come la pietra. Prese una scopa dalla cucina e tornò verso il letto. Il telefono continuava a squillare. Conficcò il manico della scopa nella donna. Il delitto doveva sembrare un crimine sessuale, ma non aveva voluto rischiare di eiaculare. Lo sperma era pur sempre una prova. In ogni caso, molti maniaci avevano problemi di eiaculazione, e la scopa era una bella trovata: significava odio per il sesso femminile e profanazione della casa. Ma non bastava. Le inferse sei ferite profonde e selvagge sul petto, nastro adesivo sulla bocca, la finestra aperta... No, era un lavoro pulito. Gli sarebbe piaciuto restare lì per un po' ad ammirare la sua opera, ma il telefono continuava a squillare e, chiunque fosse, avrebbe potuto iniziare a preoccuparsi e chiamare la polizia.
Un ultimo controllo. Si avvicinò alla testata del letto e la guardò. Lei lo fissava, gli occhi spalancati, la stessa espressione terrorizzata di quando l'aveva pugnalata al cuore. Prese la busta con le fotografie e la lista scritta a macchina che gli aveva dato Timwick all'aeroporto. Gli piacevano le liste: tenevano ordinato il mondo. Tre fotografie. Tre nomi. Tre indirizzi. Cancellò il nome di Dora Bentz dalla lista. Quando uscì dall'appartamento, il telefono squillava ancora. Nessuna risposta. Erano le tre e mezzo del mattino, avrebbe dovuto rispondere. Logan riappese lentamente. Forse non significava nulla. Dora Bentz aveva figli sposati che vivevano a Buffalo, nello Stato di New York. Forse era andata a trovarli. Forse era in vacanza. O forse era morta. Era probabile che Timwick si stesse muovendo velocemente per finire il suo lavoro. Merda! Logan s'era illuso di avere del tempo a disposizione. Forse le sue erano delle conclusioni affrettate. Diavolo, e allora? Si era sempre fidato del suo istinto, e ora gli stava dicendo qualcosa... Ma mandare Gil a controllare Dora Bentz sarebbe stato un errore: Timwick avrebbe capito ciò che ora solo sospettava. Logan avrebbe potuto provare a salvare Dora Bentz, o restare al sicuro per qualche altro giorno. Merda! Prese il telefono e fece il numero di Gil, nella casa che un tempo era il deposito delle carrozze. Luci. Luci in movimento. Eve smise di asciugarsi i capelli, si alzò lentamente e andò alla finestra. La limousine nera che li aveva aspettati all aeroporto scivolava silenziosamente lungo il viale che portava al cancello. Logan? Gil Price? Erano quasi le quattro del mattino, dove andavano a quell'ora? Bastava chiederlo la mattina seguente, ma dubitava che le avrebbero ri-
sposto... Eppure doveva capire. Sei Eve non chiuse gli occhi fino alle cinque, e il suo breve sonno fu agitato. Alle nove era già sveglia, ma si costrinse a restare a letto fino quasi alle dieci, quando qualcuno bussò violentemente alla porta. Prima che lei potesse rispondere, una donna piccola e grassoccia entrò nella stanza. «Salve, sono Margaret Wilson. Ecco il telecomando che voleva.» Lo posò sul comodino. «Mi dispiace svegliarla, ma John dice che ho fatto un pasticcio con il laboratorio. Come diavolo facevo a sapere che lo voleva carino? Cosa le serve? Cuscini? Tappeti?» «Niente.» Eve si sedette nel letto e guardò Margaret Wilson con curiosità. Doveva avere poco più di quarant'anni; il completo di gabardine grigio le snelliva la figura rotonda e valorizzava i capelli scuri e lisci e gli occhi nocciola. «Gli ho detto che non rimarrò tanto a lungo, quindi non importa.» «Invece importa, John ama fare bene le cose, e anche a me non dispiace. Qual è il suo colore preferito?» «Il verde, credo.» «Avrei dovuto saperlo! Le rosse sono molto prevedibili.» «Non sono rossa.» «Be', quasi.» Si guardò intorno nella stanza. «Questa qui va bene?» Eve annuì e scese dal letto. «Bene, allora vado a ordinare qualcosa al telefono. Dovrebbe essere... oh mio Dio, ma quanto è alta?» «Come?» Margaret la fissò. «Quanto è alta?» «Un metro e settantadue.» «Un gigante! Mi fa sentire una nana. Odio le donne alte e magre, mi urtano, mi fanno diventare iperaggressiva.» «Non è così bassa.» «Non mi tratti da idiota. Così mi mette sulla difensiva... be', dovrò rassegnarmi. Continuerò a dirmi che sono molto più intelligente di lei. Si vesta e venga giù in cucina, faremo colazione e dopo la porterò a fare una passeggiata.» «Non è necessario.»
«Invece sì. John vuole che la faccia distrarre, e dice che oggi non deve lavorare. E se lei è come me, diventerebbe matta.» Si diresse verso la porta. «Ma ci penseremo dopo. Un quarto d'ora?» «Va bene.» Si chiese che cosa sarebbe successo se avesse detto di no: anche un rullo compressore sembrava più leggero di Margaret. Eppure era difficile non ammirarla. Non aveva mai sorriso, ma mostrava cortesia e un'energia vibrante. Era diretta, sfacciata, ed Eve non aveva mai conosciuto nessuno come lei. Una folata d'aria fresca dopo l'oscura tensione che aveva sentito in Logan. «Il cimitero della famiglia Barrett.» Margaret indicò il piccolo cimitero circondato da una cancellata di ferro battuto. «L'ultima tomba risale al 1922. Vuole entrare?» «No!» «Meno male. I cimiteri mi deprimono, ma pensavo che potesse interessarle.» «Perché?» «Non lo so... tutte quelle ossa con cui lavora...» «Non vado in giro nei cimiteri come uno spettro, ma non mi danno nemmeno fastidio.» Specie i cimiteri di famiglia. Qui nessuno era scomparso, e il posto era molto curato. Tutte le tombe erano perfino coperte di mazzi di garofani freschi. «Da dove vengono i fiori? Ci sono ancora dei Barrett nella zona?» «No, la linea diretta della famiglia si è estinta circa vent'anni fa.» Indicò una lapide. «Randolph Barrett. Con il tempo la famiglia si è dispersa, e Barrett è stato l'ultimo a essere seppellito qui, nel 1922. Il cimitero era uno sfacelo quando John ha comprato questa terra. Ha dato ordine di farlo ripulire e di portare fiori freschi ogni settimana.» «Mi sorprende! Non pensavo che Logan avesse tali sentimenti.» «Non si sa mai quali siano le intenzioni di John. Ma sono contenta che abbia assunto un giardiniere per questo lavoro. Come le dicevo, i cimiteri mi deprimono.» Eve iniziò a scendere giù per la collina. «A me no. Forse mi rattristano, specie le tombe dei bambini. Un tempo tantissimi bambini non arrivavano all'età adulta. Lei ha figli?» «Sono stata sposata, ma entrambi avevamo una carriera, e neanche un attimo per pensare ai bambini.» «Il suo lavoro dev'essere molto impegnativo.»
«Sì.» «E vario. Come il mio. Non può certo dire che la caccia agli scheletri sia un lavoro comune.» «Io non vado a caccia di niente, faccio solo quello che mi dicono.» «Potrebbe essere pericoloso.» «John mi terrà lontano dai guai, come ha sempre fatto.» «Lo ha già fatto?» «Con le ossa? No, ma ha già rischiato parecchie volte.» «Ma lei si fida di Logan?» «Accidenti, certo!» «Anche se non sa cosa sta cercando? O lo sa?» «La smetta di fare allusioni! Non so niente di niente, e anche se lo sapessi non glielo direi.» «Non mi direbbe neanche se era Logan quello che è andato via in piena notte?» «Questo sì. John è ancora qui, l'ho visto prima che sparisse nel suo studio questa mattina. È Gil che è partito.» «Perché?» «Lo chieda a John», disse irritata. «Senta, lei è venuta qui perché le è convenuto! Ho fatto io il trasferimento alla Fondazione Adam. Lui le dirà tutto al momento opportuno. Si fidi.» «Mi fido più di lei.» Guardò l'ex deposito delle carrozze. «È da lì che vengono controllati i cancelli?» Margaret annuì. «È un sistema piuttosto complicato, con telecamere dovunque. Se ne occupa Mark Slater.» «Non l'ho ancora conosciuto.» «Non viene spesso in casa.» «La casa di Logan sulla West Coast ha lo stesso sistema di sorveglianza?» «Certo, laggiù è pieno di squilibrati, e gli uomini che hanno la posizione di John sono bersagli perfetti.» Affrettò il passo. «Io ho del lavoro da fare, le dispiace se la lascio da sola nel pomeriggio?» «No, non deve farmi da babysitter, Margaret.» «A dire il vero, mi è piaciuta. Lei non è quello che mi aspettavo, la signora delle ossa.» La «signora delle ossa», come l'aveva chiamata Gil. «Il termine esatto è 'esperta in ricostruzioni forensi'.» «Come vuole. Dicevo, mi aspettavo una persona fredda e professionale,
perciò ho fatto quell'errore con il laboratorio. Certo, non ammetterei davanti a John di avere sbagliato. Gli ho detto che era tutta colpa sua perché non mi aveva fatto sapere con chi avevo a che fare. Non deve sapere che posso sbagliare, lo farebbe sentire insicuro.» Eve sorrise. «Non me l'immaginavo!» «Tutti hanno momenti di insicurezza, perfino io. Ma solo quando sono accanto a giganti come lei», aggiunse con aria seria. «Il problema è che sono cresciuta in mezzo a quattro fratelli da uno e novanta. Sua madre è alta?» «No, normale.» «Va bene, allora lei è uno scherzo della natura e io generosamente la perdonerò. Non ne parlerò più.» «Grazie. Apprezzo...» «Dove eravate?» Logan le aveva raggiunte. «Ha dormito bene?» chiese a Eve. «No.» «Io devo finire quei rapporti...» disse velocemente Margaret. «Ci vediamo dopo, Eve.» Eve annuì, guardando Logan. In jeans neri e maglione, sembrava molto diverso dall'uomo che aveva incontrato il giorno prima. Non dipendeva solo dagli abiti, sembrava che avesse dimesso l'aspetto formale. «Non era abituata al letto?» «Anche. Perché Gil Price se n'è andato dopo che siamo arrivati qui ieri notte?» «Doveva fare una commissione per me.» «Alle quattro del mattino?» «Era abbastanza urgente. Dovrebbe tornare stasera. Speravo che lei potesse avere un paio di giorni per ambientarsi, ma forse dovremo affrettare i tempi.» «Bene, non ho bisogno di ambientarmi. Mi porti le ossa e mi faccia lavorare.» «Forse dovremo andare da loro.» Eve si irrigidì. «Come?» «Forse dovrà fare un rapido esame non appena scaveremo, per decidere se vale la pena portare qui lo scheletro. La mia fonte potrebbe aver mentito, o il teschio potrebbe essere troppo danneggiato per ricostruire il volto.» «Vuole che io sia lì quando lo dissotterrate?» «Forse.»
«Non se ne parla nemmeno! Non sono una profanatrice di tombe.» «Potrebbe essere necessario che ci sia anche lei. Potrebbe essere la sola...» «Se lo scordi.» «Ne parleremo dopo, forse non sarà necessario. Le è piaciuto il cimitero?» «Perché tutti si aspettano che io adori i cimi... Come sa che ho visto il cimitero?» Poi rivolse lo sguardo verso il deposito delle carrozze. «Certo, le telecamere. Non mi piace essere spiata, Logan.» «Le telecamere controllano la zona continuamente. Per caso, hanno ripreso lei e Margaret nel cimitero.» Era quella la verità? Eve dubitava che qualcosa, nella vita di Logan, potesse accadere «per caso». «Mi sono piaciuti i fiori freschi.» «Be', vivo nella casa dei Barrett, ho pensato che fosse il minimo che potessi fare.» «Ora è casa sua.» «I Barrett hanno costruito la locanda, ci hanno vissuto e lavorato per più di centosessant'anni e hanno visto passare tanta storia. Lo sapeva che Abramo Lincoln ha soggiornato qui poco prima della fine della guerra civile?» «Un altro repubblicano. Ora capisco perché ha comprato questo posto.» «Alcuni dei luoghi in cui Lincoln è passato non li avrei toccati neanche con un dito. Ci tengo troppo alle comodità.» Aprì il portone d'ingresso. «Ha chiamato sua madre?» «No, lo farò stasera quando tornerà a casa dal lavoro.» Sorrise. «Se non è fuori città. Adesso esce con un avvocato dell'ufficio del procuratore.» «Che uomo fortunato. Mi è sembrata molto simpatica.» «Sì, ed è anche intelligente. Dopo la nascita di Bonnie, ha finito gli studi interrotti e poi ha frequentato una scuola professionale per imparare a scrivere di cronache giudiziarie.» «Ha finito gli studi dopo che sua figlia...» Si interruppe. «Mi dispiace, sono certo che non vuole parlare di sua figlia.» «No, non mi dispiace parlare di Bonnie. Sono orgogliosa di lei, è entrata nella nostra vita e ha cambiato tutto. L'amore può fare questo, sa...» aggiunse semplicemente. «Certo, lo so bene.» «È vero. Io ho provato a fare smettere mia madre di drogarsi, ma non ci sono riuscita. Forse ero troppo dura e risentita con lei, certe volte credevo
di odiarla. Poi arrivò Bonnie e io cambiai, tutta l'amarezza svanì. E anche mia madre cambiò. Non so, forse era il momento giusto nella sua vita, o forse capiva di dovere smettere con il crack per aiutarmi a crescere Bonnie. Mio Dio, quanto le voleva bene. Nessuno poteva fare a meno di amare la mia bambina.» «Posso capirlo. Ho visto una sua foto.» «Non era bellissima?» Eve s'illuminò di un sorriso. «Così felice, era sempre così felice. Amava ogni ora che...» Improvvisamente sentì un nodo in gola. «Mi dispiace, devo smettere di parlarne. Mi riesce di andare avanti per un po', poi inizia a fare male... ma sto migliorando.» «Cristo, la smetta di scusarsi!» disse lui bruscamente. «Mi dispiace di averla fatta parlare.» «Non mi ha costretta. È importante che io la tenga con me, che non la dimentichi mai. È esistita. È diventata parte di me, forse la parte migliore. Ora penso che andrò al laboratorio a vedere se posso lavorare su Mandy.» Lui la guardò sorpreso. «Ha portato con sé quei frammenti?» «Certo! Forse non posso farci granché, ma non mi arrendo senza provarci.» «No, immagino di no...» sorrise Logan. Lei si sentì addosso i suoi occhi mentre si allontanava. Forse non avrebbe dovuto mostrargli la sua vulnerabilità, ma la conversazione era scivolata da un argomento all'altro. Logan aveva ascoltato in modo attento e comprensivo e aveva dato addirittura l'impressione di essere commosso. E forse lo era veramente. E se non fosse stato quel manipolatore di anime che credeva? Ma, in fondo, che cosa cambiava? Non si vergognava di ciò che sentiva per Bonnie, e certo lui non poteva usare ciò che aveva detto contro di lei. L'unico vantaggio era che ora si sentiva un po' più vicina a lui. Il semplice fatto di parlare di Bonnie aveva creato un primo, esile legame. Ma era facile da spezzare, e non l'avrebbe influenzata in nessun modo. Aprì la porta del laboratorio e si diresse verso la valigetta che aveva lasciato sulla scrivania. La aprì e iniziò a estrarne i frammenti di ossa. Rimetterli insieme sarebbe stato come lavorare su un puzzle con tessere grandi come minuscole schegge. Ma che cosa stava facendo? si chiese con disperazione. Era una follia. Sarebbe stato davvero impossibile con il suo stato d'animo, pensò con impazienza. Ricostruire il volto di Mandy era il suo lavoro, e ci sarebbe riuscita. Quel legame le dava fiducia.
«Ciao, Mandy.» Si sedette e prese un osso del setto nasale, il pezzo più grande tra quelli rimasti intatti. «Immagino che inizieremo da qui. Non preoccuparti, forse ci vorrà del tempo, ma ci arriveremo.» «Dora Bentz è morta», disse semplicemente Gil quando Logan rispose al telefono. «Merda.» «Pugnalata a morte, apparentemente violentata. La sorella l'ha trovata nell'appartamento stamattina verso le dieci, dovevano andare insieme a lezione di aerobica. Aveva una chiave e, dopo aver bussato senza ricevere nessuna risposta, è entrata. La finestra era aperta. La polizia pensa che sia un semplice caso di violenza e omicidio.» «Semplice un corno.» «Se non lo è, il delitto è stato compiuto molto bene, estremamente bene.» Come il vandalismo nel laboratorio di Eve ad Atlanta. «Ti hanno seguito?» «Senza dubbio, sapevi che lo avrebbero fatto.» «Puoi scoprire tramite uno dei tuoi vecchi amici chi è che Timwick sta usando?» «Forse. Proverò. Vuoi che torni lì?» «No, è tutta la mattina che provo a contattare James Cadro. Al suo ufficio dicono che è in vacanza con la moglie, in campeggio, nei boschi degli Adirondacks.» Fece una pausa. «Sbrigati. Non ero il primo a chiedere di lui.» «Sai dove negli Adirondacks?» «Da qualche parte vicino a Jonesburg.» «Bene, ecco cosa mi piace, avere istruzioni precise. Vado.» Logan riappese. Dora Bentz era morta. Avrebbe potuto salvarla, se solo avesse agito il giorno prima. Ma aveva creduto che tutti e tre sarebbero stati più al sicuro se non si fosse interessato a loro, se li avesse ignorati completamente. Si era sbagliato. Era troppo tardi per Dora, ma forse non per gli altri. Un diversivo avrebbe forse potuto salvare delle vite e dargli i testimoni che tanto gli servivano. Ma non poteva muoversi velocemente senza Eve Duncan. Lei era la chiave. Doveva avere pazienza e lasciare che iniziasse a fidarsi di lui.
Costruire un rapporto di fiducia sarebbe stato un processo molto lento con una persona diffidente come Eve. Era una donna sveglia, e prima o poi avrebbe capito che, per lei e la sua famiglia, il pericolo non consisteva semplicemente in quell'atto di vandalismo. Doveva conquistarla, pensò, trovare un modo per superare la resistenza e trascinarla dalla sua parte. Iniziò a pensare alle possibilità. «Ciao.» Margaret apparve sulla porta del laboratorio. «Sono venuti ad arredare il laboratorio. Puoi sparire per un'ora e lasciarli lavorare?» Ed Eve, infastidita: «Ti avevo detto che non era necessario». «Il laboratorio non è in condizioni perfette, quindi è necessario. Io non faccio mai le cose a metà.» «Solo un'ora?» «Ho detto loro che non vuoi essere disturbata, e che se saranno troppo lenti non saranno pagati. E poi, devi mangiare.» Guardò l'orologio. «Sono quasi le sette. Ti va una minestra e un panino con me mentre aspettiamo?» «Solo un attimo.» Mise con gran cautela il vassoio con le ossa di Mandy nell'ultimo cassetto della scrivania. «Digli di non toccare nulla, o perderanno molto più che i soldi. Li ammazzo.» «Va bene», concluse Margaret andando via. Eve si tolse gli occhiali. Una pausa le avrebbe fatto bene, pensò mentre si stropicciava gli occhi. Pochi erano stati i progressi in molte ore, e la sua frustrazione cresceva. Ma era meglio di niente, e sarebbe tornata al lavoro dopo mangiato. Nel corridoio, sei uomini e due donne trasportavano cuscini, sedie e tappeti, e dovette appoggiarsi al muro per evitare di essere travolta. «Da questa parte!» Margaret le prese un braccio, la fece passare tra due uomini che portavano un tappeto arrotolato, e la portò in cucina. «Non è poi un compito così immane come sembra. Un'ora, prometto.» «Non sto misurando il tempo, qualche minuto in più non importa.» «Non sta andando bene?» chiese Margaret comprensiva. «Peccato.» Entrarono in cucina e le indicò una sedia. «Ho preparato zuppa di pomodoro e panini al formaggio.» «Benissimo.» Eve si sedette, prese il tovagliolo e se lo mise in grembo. «Non ho tanta fame.» «Io tantissima, ma sono a dieta e sto provando a fare la brava.» Si sedette di fronte a Eve e la guardò con aria accusatoria. «Tu ovviamente non hai
mai fatto una dieta in vita tua.» Eve sorrise. «Mi dispiace...» «Ci credo!» Prese il telecomando. «Posso accendere la TV? C'è una conferenza stampa del Presidente. La devo registrare, ascoltare, e dire a John se c'è qualcosa di interessante.» «Fai pure.» Iniziò a mangiare. «Ma non la seguirò, la politica non fa per me.» «Neanche per me, ma per John è davvero un'ossessione.» «Ho sentito delle raccolte di fondi, pensi che voglia entrare in politica lui stesso?» «Non sopporterebbe tutte quelle stronzate.» Guardò il programma per qualche minuto. «Chadbourne è proprio bravo, sa entusiasmare la gente come pochi. Sapevi che lo considerano il Presidente più carismatico dopo Reagan?» «No. È un lavoro enorme, e con il carisma non si risolve niente.» «Ma può farti eleggere.» Indicò la TV: «Guardalo. Tutti dicono che stavolta potrebbe finalmente battere l'opposizione nel Congresso». Ben Chadbourne era un uomo imponente, aveva meno di cinquant'anni, un volto regolare e occhi grigi scintillanti di vita ed energia. Rispose con una battuta a una delle domande dei giornalisti, e le risate echeggiarono nella stanza. «Bravo», disse Margaret. «E anche Lisa Chadbourne non scherza, hai visto il vestito? Scommetto che è di Valentino.» «Non saprei proprio.» «Né te ne importerebbe, ma a me sì. Va sempre a tutte le conferenze stampa, e l'unico divertimento è vedere com'è vestita. Un giorno sarò abbastanza magra da portare vestiti come quelli.» «È molto attraente», ammise Eve. «E sta facendo un buon lavoro con la raccolta di fondi a favore dei bambini maltrattati.» «Davvero?» Margaret aveva l'aria assente. «Quel vestito dev'essere proprio di Valentino.» Eve sorrise divertita: non si sarebbe mai sognata che un uragano come Margaret fosse tanto interessata alla moda. L'abito in questione era tagliato con maestria per valorizzare il fisico magro e atletico di Lisa Chadbourne. Il colore beige chiaro le faceva risplendere, per contrasto, la pelle olivastra e i capelli lisci e scuri. Sorrideva al Presidente da un angolo del palco, con aria orgogliosa e innamorata. «Molto interessante.»
«Pensi che si sia fatta un lifting? Dovrebbe avere quarantacinque anni, ma non gliene daresti più di trenta.» «Forse.» Eve finì la minestra. «O forse sta invecchiando bene.» «Magari capitasse a me! Questa settimana ho scoperto due nuove rughe sulla fronte. Evito sempre il sole, uso creme, faccio tutto il possibile, eppure sto crollando.» Margaret spense la TV. «Guardarli mi deprime, Chadbourne dice sempre le solite cose: meno tasse, più lavoro, aiutiamo i bambini...» «Non c'è niente di male.» «Dillo a John. Quello che Chadbourne dice e fa è tutto giusto, e sua moglie sorride in modo adorabile, fa beneficenza come una Evita Perón e, come se non bastasse, dà l'immagine di una perfetta casalinga. Non sarà facile per il partito di John sfidare un Governo che, secondo tutti, ha portato prosperità.» A meno che non avesse trovato un modo per screditare i suoi avversari. Più Eve ci pensava, più le sembrava una spiegazione probabile, e la cosa non le piaceva per niente. «Dov'è Logan?» «Ha passato tutto il pomeriggio nel suo studio a fare telefonate.» Margaret si alzò. «Caffè?» «No, l'ho già bevuto nel laboratorio un'ora fa.» «Almeno una cosa l'ho azzeccata, portando con me la macchinetta per farlo.» «Hai fatto un lavoro eccellente, ho tutto quello che mi serve.» «Sei proprio fortunata. Non molti possono dire lo stesso. La maggior parte di noi non se lo può permettere. Dobbiamo fare compromessi e... Dio, mi dispiace. Non volevo dire che tu...» «Lascia stare.» Si alzò. «Credo di avere circa venti minuti prima che i tuoi arredatori finiscano nel mio laboratorio. Andrò anch'io nella mia stanza a fare qualche telefonata.» «È stata colpa mia?» «Non essere ridicola, non sono così suscettibile.» Margaret la scrutò. «Secondo me lo sei, ma lo nascondi molto bene.» Dopo un attimo aggiunse, esitante: «Ti ammiro. Al posto tuo, non credo che potrei... Comunque, non volevo ferirti». «Non mi hai ferita!» disse Eve gentilmente. «Davvero! Devo fare delle telefonate.» «Allora vai a farle, io intanto finisco il caffè. Sollecito gli arredatori e poi li caccio via.»
«Grazie.» Eve uscì dalla cucina e andò nella sua stanza. Ciò che aveva detto a Margaret era in parte vero; il tempo aveva lenito le ferite, e per molti aspetti era davvero fortunata: aveva un buon lavoro, una madre che amava e buoni amici. E adesso avrebbe fatto meglio a chiamarne qualcuno, per capire se Joe aveva scoperto altro su Logan. Non le piaceva il modo in cui la situazione si stava evolvendo, pensò rabbuiandosi. No, avrebbe chiamato prima la mamma. Sandra rispose solo dopo sei squilli, ridendo. «Pronto?» «Quindi non devo chiederti se va tutto bene! Che c'è da ridere?» «Ron si è appena rovesciato la vernice sul...» Non riusciva a smettere di ridacchiare. «Dovresti vederlo.» «State dipingendo?» «Ti ho detto che volevo dipingere il laboratorio, e Ron si è offerto di aiutarmi.» «Di che colore?» chiese cautamente Eve. «Bianco e azzurro, come un cielo pieno di nuvole. Stiamo provando a realizzare una di quelle decorazioni che si fanno con le buste della spazzatura.» «Le buste della spazzatura?» «L'ho visto fare in TV.» Posò il ricevitore. «Non così, Ron, stai rovinando le nuvole! Gli angoli si fanno in un altro modo.» Tornò a parlarle: «Tu come stai?» «Bene. Sto lavorando su...» «Così va bene.» Stava di nuovo ridendo. «Niente cherubini, Ron, a Eve verrebbe un colpo!» «Cherubini?» «Solo nuvole, promesso.» Dio mio, cherubini, nuvole... «Sei indaffarata, ti richiamo tra qualche giorno.» «Sono contenta che ti diverti. Cambiare aria ti ha fatto bene.» Evidentemente faceva bene anche a sua madre. «Niente problemi?» «Problemi? Ah, vuoi dire lo scasso. Niente. Joe è passato dopo il lavoro portando del cibo cinese, ma è andato via appena è arrivato Ron. Hanno scoperto che si conoscevano, immagino che non sia strano, dato che Ron è nell'ufficio del procuratore e Joe... Ehi, ci vuole più bianco in quella vernice azzurra! Eve, devo andare, mi sta rovinando le nuvole!» «Che Dio ce ne scampi. Ciao, mamma, divertiti.»
«Anche tu.» Eve riappese sorridendo. Sandra sembrava ringiovanita, ed era tutto merito di Ron. Non c'era niente di male a essere giovane; nei quartieri poveri, i ragazzi crescevano troppo presto, e forse Sandra avrebbe riconquistato un po' della magia dell'adolescenza. Perché quel pensiero la fece sentire come se avesse avuto mille anni? Perché era stupida ed egoista, e forse anche invidiosa. Joe. Prese il telefono ma poi si bloccò. Ricordò come Logan avesse saputo che aveva visitato il cimitero. Non le piaceva l'idea dell'alveare elettronico nel deposito delle carrozze. Stava diventando paranoica! Le telecamere significavano anche telefoni sotto controllo. Ma era possibile... Da quando era arrivata aveva avuto la vaga sensazione di essere caduta in una rete. Va bene, era tutta paranoia. Si alzò, prese il cellulare dalla borsa e fece il numero di Joe. «Stavo per chiamarti. Come vanno le cose?» «Non vanno. Sto rimanendo sulle mie, lui vuole coinvolgermi molto più di quanto io non voglia. Devo sapere cosa mi aspetta. Hai scoperto niente?» «Forse, ma è molto strano.» «C'è per caso qualcosa di normale in questa storia?» «Sembra che Logan recentemente abbia un'ossessione per John F. Kennedy.» «Kennedy...» ripeté lei sorpresa. «Sì. E Logan è repubblicano, il che è già in sé piuttosto strano. È andato all'Archivio Kennedy e ha ordinato copie del rapporto della Commissione Warren sull'assassinio. Si è recato sul luogo dell'omicidio a Dallas, e poi a Bethesda.» Joe fece una pausa. «Ha perfino parlato con Oliver Stone in merito alle ricerche fatte per il film JFK. Tutto in modo molto tranquillo e casuale, senza nessuna fretta. Non vedresti neanche il nesso tra queste cose se non provassi a cercarlo, come ho fatto io.» «Kennedy.» Davvero strano. «E che c'entra con la ragione per cui sono qui? C'è altro?» «Per ora no. Del resto, non è semplice quello che mi chiedi.» «Be', mi hai già dato delle risposte.» «Continuerò a cercare.» Cambiò argomento. «Ho incontrato la nuova
fiamma di tua madre, stasera. Ron è simpatico.» «Lo pensa anche lei. Grazie per l'occhiata che le dai ogni tanto.» «Non credo che dovrò farlo ancora molte volte, Ron sembra già abbastanza protettivo.» «Io non l'ho ancora conosciuto, la mamma teme che lo spaventi.» «Potresti.» «Che vuoi dire? Lo sai che voglio il meglio, per la mamma.» «Sì, e prenderai tutti a calci nel sedere finché non glielo troverai.» «Sono così cattiva?» La voce di Joe si addolcì. «No, sei così buona. Ehi, devo lasciarti, Diane vuole andare a cinema alle nove. Ti chiamo quando avrò scoperto altro.» «Grazie, Joe.» «Di niente. Probabilmente non ti sono stato di grande aiuto.» Forse no, pensò Eve riattaccando. L'interesse di Logan per John F. Kennedy, chissà, era solo una coincidenza. Quale legame poteva mai esserci tra l'ex Presidente e la situazione in cui lei si trovava? Una coincidenza? Dubitava che ci fosse qualcosa di casuale nelle azioni di Logan. Era un uomo troppo sveglio, aveva tutto sotto controllo. La sua ricerca di informazioni su Kennedy era troppo recente per non destare sospetti. E se tentava di tenere nascosto il suo interesse, doveva pur esserci una ragione. Ma quale? Ovviamente non che... Si irrigidì per lo choc. «Oh mio Dio!» Sette Pochi minuti dopo, Eve entrò nella biblioteca vuota. Chiuse la porta, accese la luce e si diresse verso la scrivania. Aprì il cassetto di destra: solo carte ed elenchi del telefono. Aprì allora il cassetto di sinistra. Libri. Li prese e li mise sulla scrivania. Il primo era il rapporto della Commissione Warren. Sotto, c'erano il libro di Cranshaw sull'autopsia di Kennedy e un volume ormai usurato, intitolato Il complotto Kennedy: domande e risposte. «Posso aiutarla?» Logan era sulla porta. «È pazzo?» Lo guardò furiosa. «Kennedy? Dev'essere matto.» Lui attraversò la stanza e si sedette alla scrivania. «Mi sembra un po'
agitata.» «E perché dovrei essere agitata? Solo perché mi ha portato qui per la più grande frottola mai concepita dall'uomo? Kennedy? Ma lei è proprio matto.» «Perché non si siede e tira un bel respiro? Mi spaventa quando incombe su di me in quel modo.» «Stronzate. Non è divertente, Logan.» Il suo sorriso svanì. «No, non è proprio divertente. Speravo di non dover arrivare a questo punto, ho provato a stare attento. Immagino che non abbia deciso di perquisire il mio ufficio solo per curiosità. Joe Quinn?» «Sì.» «Mi avevano detto che era un tipo sveglio. Ma è lei che ha voluto investigare, perché non si è fidata di me?» «Vuole che mi muova nel buio?» Logan rimase in silenzio per un attimo. «No, non me lo sarei aspettato da lei. Ma in fondo speravo che indagasse. Che sgombrasse il campo da ogni pregiudizio.» «Un sospetto non è un pregiudizio. Quando si fa un lavoro come il mio, bisogna pensarla così. Ma non posso credere che voglia il mio aiuto per dissotterrare Kennedy.» «Non deve farlo di persona. Ho solo bisogno di lei per verificare...» «E farmi uccidere, già che ci sono. Kennedy è sepolto al cimitero di Arlington, perdio!» «Ah, sì?» Lei ammutolì. «Che diavolo intende dire?» «Si sieda.» «Non voglio sedermi, voglio che me ne parli.» «Va bene.» Rimase in silenzio per un attimo. «E se Kennedy non fosse sepolto ad Arlington?» «Che Dio mi aiuti... un'altra teoria su di un complotto?» «Complotto? Già, immagino che sarebbe una buona copertura... ma con una piccola variante. E se a Dallas fosse stato ucciso uno dei sosia di Kennedy? E se il Presidente fosse morto prima del viaggio a Dallas?» Lei lo fissò incredula. «I sosia di Kennedy?» «Quasi tutti i personaggi importanti hanno dei sosia, per proteggere le loro vite e la loro privacy. Pare che Saddam Hussein ne abbia almeno sei.» «Ma è un dittatore di un paese del Terzo mondo, qui nessuno potrebbe farla franca con cose del genere.»
«Almeno, non senza l'aiuto di qualcuno.» «Di chi?» chiese lei sarcastica. «Il piccolo John-John? Forse il fratellino Bobby? Lei è pazzo, è la cosa più folle che abbia mai sentito. Chi diavolo sta accusando?» «Non sto accusando nessuno, sto solo esaminando delle possibilità. Non ho idea di come sia morto, aveva tanti problemi di salute che non erano stati rivelati al pubblico. Forse è morto per cause naturali.» «Forse? Mio Dio, vuole dire che è morto per altri motivi?» «Non mi sta ascoltando! Non lo so, maledizione. So solo che un inganno di tale portata avrebbe coinvolto più di una persona.» «Un complotto alla Casa Bianca, una copertura!» Eve sorrise di scherno. «E a lei non conviene che Kennedy fosse dei democratici? Può far apparire l'opposizione come un mucchio di criminali senza scrupoli che non meritano di vincere le elezioni quest'anno. Che coincidenza. Una cosa simile potrebbe significare la vittoria del suo partito.» «Potrebbe.» «Bastardo! Odio queste cose. E odio essere usata, Logan.» «La capisco. Ora, se ha finito di manifestare la sua indignazione, mi ascolta per un attimo? Otto mesi fa, mi ha telefonato un certo Bernard Donnelli, proprietario di una piccola impresa di pompe funebri vicino Baltimora, e mi ha chiesto di incontrarci. Mi ha detto giusto quel poco che serviva per incuriosirmi. E infatti, il giorno dopo, sono andato nella sua città. Aveva paura, mi ha dato appuntamento in un parcheggio alle cinque del mattino. Che mancanza di immaginazione, forse pensava che fossi una Gola Profonda. Comunque, era più avido che spaventato, voleva solo vendermi delle informazioni. E un oggetto che pensava avrei trovato prezioso: un teschio.» «Solo il teschio?» «Il resto del corpo era stato cremato dal padre di Donnelli. A quanto pare, le Pompe Funebri Donnelli sono state usate per decenni dalla mafia e da Cosa Nostra per far sparire i cadaveri. Questa famiglia era famosa per la sua discrezione e affidabilità. Comunque, un particolare incarico aveva messo papà Donnelli molto a disagio: una notte, due uomini erano apparsi alla sua porta con un cadavere. L'episodio non lo lasciò tranquillo, per quanto fosse alta la cifra offertagli. Non erano suoi clienti abituali, e non volevano seguire le regole. Continuarono a impedirgli di vedere il volto del cadavere, ma lui riuscì a sbirciare un attimo, abbastanza da spaventarsi a morte. Temeva che sarebbero tornati a tagliargli la gola per eliminare la
sua testimonianza, quindi nascose il teschio per usarlo come arma e polizza di assicurazione.» «Lo salvò?» «Non tutti sanno che ci vogliono almeno diciotto ore, a una temperatura di più di mille gradi, per distruggere del tutto uno scheletro. Donnelli dispose il corpo in modo che il cranio fosse parzialmente lontano dalle fiamme. Dopo quarantacinque minuti, quando i due uomini se ne andarono, prese il cranio e bruciò il resto. Poi usò quel teschio come arma di ricatto e, prima di morire, confessò al figlio Bernard dove lo aveva sotterrato. Un'eredità piuttosto macabra, ma redditizia, molto redditizia.» «Donnelli è morto?» «Oh, non è stato ucciso... Era vecchio, aveva problemi di cuore.» «E chi stava ricattando?» «Non lo so, Donnelli Junior non me lo ha voluto dire. La sua proposta riguardava solo il teschio.» «E perché non lo convince a parlare?» «Perché mai dovrei? Certo, ci ho provato, ma mi ha dato solo le notizie che le ho appena raccontato. Non ha il coraggio di suo padre, e non ama vivere nel pericolo. Mi ha rivelato il luogo dov'è sepolto il teschio, e la storia, in cambio del denaro sufficiente a trasferirsi in Italia con un nuovo volto e nuovi documenti.» «E lei ha accettato?» «Sì. Ho pagato anche di più per progetti di minore portata.» «E ora vuole che io metta a frutto questo investimento.» «Se quello che mi ha detto Donnelli è vero.» «Non lo è, tutta questa storia è una follia.» «Allora perché non viene con me? Che male c'è? Se non è vero, lei ne uscirà con le tasche piene di denaro e io con una figuraccia.» Sorrise. «Entrambe le prospettive dovrebbero farle piacere.» «Sto solo perdendo il mio tempo.» «Viene pagata molto bene per questo.» «E anche se ci fosse un minimo di verità nella storia, non sarebbe compito mio andare in giro a scavare...» «Ma se ha appena detto che non è assolutamente vero.» «Non posso pensare che sia Kennedy, ma potrebbe essere Jimmy Hoffa o qualche pezzo grosso della mafia.» «Sempre che non abbia speso una fortuna per una favoletta.» «Può essere.»
«Allora venga con me e lo scopriremo.» Fece una pausa. «Ma è sicura di mettere da parte i suoi pregiudizi? Non voglio che dia a quel teschio il volto di Jimmy Hoffa.» «Sa bene che non farei mai una cosa del genere. Non cerchi di influenzarmi, Logan.» «Perché no? Ci so fare. Tutti facciamo quello in cui riusciamo meglio. Non è neanche un po' curiosa di sapere se Donnelli dice la verità?» «No, è solo un altro folle gioco.» «Non così folle, se hanno provato a spaventarla. O forse preferisce dimenticare e perdonare ciò che è successo nel suo laboratorio?» Faceva sempre così: colpire dove fa più male. «Non dimentico niente, ma non credo che...» «Raddoppierò il contributo per la Fondazione Adam.» Si girò lentamente verso di lui. «Maledizione, sta pagando troppo per troppo poco! Anche se fosse vero, è successo molto tempo fa. E se non importasse a nessuno che i democratici abbiano coperto tutto?» «E se invece a qualcuno importasse ancora? C'è il clima giusto, la gente è stufa da morire di essere manipolata dai politici.» «Logan, cos'ha in mente?» «Pensavo che lo avesse già capito. Sono solo un altro povero miliardario che vuole avere tutto.» Lei non aveva ancora capito Logan, e sicuramente non aveva creduto nemmeno a una parola di quello che le aveva detto. «Ci penserà?» «No.» «Invece sì, non può farne a meno. Domattina mi dirà cos'ha deciso.» «E se dico di no?» «Perché crede che abbia comprato un terreno con un cimitero?» Lei si irrigidì. «Scherzavo.» Sorrise. «La manderò a casa, ovviamente.» Eve si avviò verso la porta. «E non chiederò di riavere i soldi della Fondazione Adam, anche se lei non completa il suo lavoro. Cosa che mi fa apparire molto più corretto di lei, giusto?» «Le ho detto che non avrei mai fatto niente di illegale.» «Non sto cercando di coinvolgerla in nulla di tutto ciò. Non entreremo di notte ad Arlington né profaneremo tombe. Solo una visitina in un campo di grano del Maryland.»
«Che è ugualmente illegale.» «Ma se ho ragione, usciremo dalla nostra piccola trasgressione del tutto puliti. Ci pensi, ci dorma su. È una donna assennata, si renderà conto che non le sto chiedendo di tradire i suoi principi morali.» «Se mi sta dicendo la verità.» «Ma certo. Non voglio provare a convincerla che è tutto vero, so che sarebbe inutile. Deve decidere da sola.» Aprì un cassetto della scrivania e prese un'agenda rilegata in pelle. «Buonanotte. Mi faccia sapere non appena avrà deciso.» Lei si rese conto che quella era la fine della conversazione. Nessun tentativo di convincerla, nessuna protesta. Lei aveva il coltello dalla parte del manico. O no? «Buonanotte.» Eve uscì dalla biblioteca e corse verso la sua stanza. Kennedy! Impossibile. Kennedy riposava ad Arlington, non in qualche buco in un campo di grano del Maryland. Logan era stato truffato e aveva pagato per niente. Ma lui non era tipo da farsi imbrogliare. Se pensava che ci fosse del vero nella storia di Donnelli, era una ragione sufficiente per indagare. E per rendere plausibile qualsiasi suo piano per una campagna diffamatoria. Forse stava mentendo, cercando disperatamente un modo per ottenere quello che voleva. Ma aveva preso un accordo con lui, e lui lo aveva rispettato. Oh, al diavolo, adesso era troppo stanca per decidere. Sarebbe andata a dormire, sperando di vedere le cose con più chiarezza il mattino seguente. Era la cosa più ragionevole da... La finestra. Si bloccò e le mancò il fiato. Che cosa faceva l'immaginazione! Non si sarebbe lasciata ingannare dalla sua mente. Era stanca, scoraggiata e preda dei suoi pensieri. La finestra. Si avvicinò lentamente alla finestra e guardò fuori nel buio. Buio. Zanzare. Insetti. Serpenti. Le foglie marce gli stavano rovinando i mocassini italiani, pensò Fiske con fastidio. Non gli erano mai piaciuti i boschi. Una volta, da bambino, era stato mandato in un dannato campeggio nel Maine, e costretto a starci per due
settimane. I suoi genitori lo spedivano sempre da qualche parte, per liberarsi di lui. Bastardi. Ma li aveva fregati: aveva fatto in modo che il campeggio non lo accettasse mai più dopo quell'estate. Non erano stati in grado di provare niente, ma il direttore del campeggio sapeva. Oh sì, sapeva. Lo aveva capito dal volto spaventato di quello stronzo, dal modo in cui evitava di guardarlo negli occhi. Quell'estate gli aveva insegnato un paio di cose utili alla sua professione: i fanatici del campeggio in genere hanno bisogno di prenotare il posto in un parco nazionale, e ogni prenotazione è accuratamente registrata dalle guardie forestali. Vide levarsi il bagliore di un piccolo fuoco. Ecco il bersaglio. Avvicinarsi direttamente o aspettare che andassero a dormire? L'adrenalina iniziò a scorrergli nelle vene. Decise per l'approccio diretto. Farsi vedere, mostrargli che cosa stava per succedere. Si spettinò i capelli e si passò sul volto la mano sporca di terra. Il vecchio dai capelli grigi sedeva davanti al fuoco. La moglie uscì dalla tenda e gli disse qualcosa ridendo. Avevano un'aria di affettuosa intimità che Fiske trovava vagamente irritante. D'altronde, tutto di questo delitto era irritante: non gli piaceva dover utilizzare le proprie capacità in mezzo ai boschi, e avrebbe fatto in modo che i due vecchi lo capissero. Una pausa, un respiro profondo, poi di corsa verso di loro. «Oh, grazie a Dio. Potreste aiutarmi? Mia moglie si è fatta male! Stavamo montando la tenda da quella parte, è caduta e si è rotta...» «So dove sono accampati», disse Gil. «Sto andando lì, ma sono in ritardo di due ore: la guardia forestale ha detto che, prima di me, qualcun altro s'è informato su di loro.» «Stai attento.» «Credi che sia stupido? Certo che sto attento. Specie se è Fiske.» «Fiske?» «Ho chiamato il mio informatore al Dipartimento del Tesoro, e pare che Timwick a volte si serva di Albert Fiske. Fiske faceva il killer per la CIA, ed era bravo. Si faceva assegnare sempre gli incarichi più difficili, i colpi più prestigiosi. È estremamente orgoglioso della sua efficienza, della sua
capacità di fare lavori in cui nessuno riuscirebbe. Negli ultimi cinque anni ha troncato ogni rapporto con la CIA e si è messo in proprio, con grande successo. Si muove in fretta, e conosce il sistema abbastanza bene da sfruttarlo a suo favore.» Fece una pausa. «E gli piace, Logan. Gli piace davvero.» «Merda!» «Ti richiamo appena li trovo.» Logan riappese lentamente. «Si muove in fretta.» Quanto? E in che direzione? Il telefono interno squillò. «La signorina Duncan è uscita dalla casa tre minuti fa.» «Sta andando verso il cancello?» «No, su per la collina.» «Arrivo.» Pochi minuti dopo Logan era nel deposito delle carrozze. «È nel cimitero», disse Mark. Logan andò verso la parete dei monitor. «Cosa sta facendo?» «È buio, è coperta da quell'albero... Ma a quanto pare non sta facendo niente, è lì ferma.» Ferma fuori da un cimitero nel mezzo della notte. «Più vicino.» Mark mise a fuoco e il volto di Eve apparve sullo schermo. Quello spettacolo non gli diceva niente. Eve guardava le tombe coperte di fiori, senza espressione. Che cosa si aspettava? Dolore? Tormento? «Strano, eh?» chiese Mark. «Che matta.» «Maledizione, non è...» Si fermò, sorpreso almeno quanto Mark del suo improvviso scoppio di rabbia. «Scusami, ma non è matta... si porta dietro sofferenze molto pesanti.» «Pensavo a una sua stravaganza», disse Mark. «Di certo io non andrei in giro per i cimiteri di notte. Immagino che...» Improvvisamente iniziò a ridere. «Merda! Hai ragione, è normalissima!» Eve stava guardando in alto verso gli alberi mentre alzava il dito medio della mano destra. «Ci sta mandando all'inferno!» Mark ridacchiava ancora. «Mi piace, John.» Logan sorrise. Piaceva anche a lui, diavolo. Gli piacevano la sua forza,
l'intelligenza e la resistenza. Anche la sua testardaggine e imprevedibilità lo incuriosivano. In altre circostanze, gli sarebbe piaciuta come amica... o perfino come amante. Amante. Fino a quel momento non l'aveva mai considerata dal punto di vista sessuale. Era attraente, ma lui aveva guardato più la sua intelligenza e il suo carattere che il corpo alto e aggraziato. Sì, certo, ma chi ci credeva? Il sesso era sempre importante e, a voler essere onesto con se stesso, la fragilità di Eve lo eccitava. Insomma, si comportava da vero schifoso. Invece di concentrarsi sulle cose importanti per cui l'aveva portata fin là. Ma perché mai era ancora in quel dannato cimitero? Il vento caldo accarezzava i garofani sulle tombe e ne portava il profumo fino a Eve, all'entrata del cimitero. Aveva detto a Margaret di non essere uno spettro che frequentava i cimiteri. Che cosa stava facendo in quel luogo? Perché non era andata a dormire come voleva, invece di obbedire al folle impulso che l'aveva portata lì? Ed era davvero un impulso. Credere che qualcosa l'avesse attirata lì era una pazzia, e lei non era pazza. Aveva già combattuto quella battaglia dopo che Fraser era stato giustiziato, e aveva dovuto stare molto attenta a non imboccare il tunnel che portava alla follia. Sarebbe stato così facile. Sognare Bonnie di notte era permesso, ma non certo immaginare che la piccola fosse con lei anche quando era sveglia. E poi, Bonnie non poteva essere lì, non era mai stata da quelle parti. Logan aveva parlato di morte e cimiteri, e la sua mente aveva fatto il resto. Nessuno l'aveva chiamata. Era solo un impulso. Non si sorprese di vedere Logan andarle incontro quando rientrò in casa, un'ora dopo. «Sono stanca, non mi va di parlare, Logan.» Gli passò davanti e si avviò per le scale. Lui sorrise. «Lo supponevo dal suo gesto estremamente volgare.» «Non avrebbe dovuto spiarmi, le ho già detto che non mi va.» «Un cimitero non è il posto più adatto per una passeggiata. Perché ci è andata?» «Che cosa le importa?»
«Sono curioso.» «La smetta di cercare significati in tutto quello che dico e faccio. Ci sono andata perché era notte, e conoscevo la strada. Non volevo perdermi.» «Tutto qui?» «Cosa si aspettava, una seduta spiritica?» «Non mi aggredisca, era solo curiosità. A dire il vero, speravo che la passeggiata le avesse chiarito le idee e che avesse deciso...» «Non ho deciso niente.» Continuò a salire le scale. «Ne parleremo domattina.» «Io resterò sveglio a lavorare quasi tutta la notte, in caso che...» «Lasci stare, Logan.» «Come vuole. Poiché sa che la tengo d'occhio, pensavo fosse giusto informarla su dove mi trovo io.» «Certo.» Sbatté la porta dietro di sé ed entrò in bagno: una doccia bollente avrebbe alleviato la tensione. Dopo, forse, sarebbe tornata nel laboratorio a lavorare su Mandy. Sapeva che quella notte non avrebbe comunque dormito bene, e che sarebbe stato meglio fare qualcosa di produttivo. Non è che avesse paura di addormentarsi e sognare Bonnie. La bimba non era mai stata una minaccia. Come potrebbe esserlo un sogno d'amore? Ed era stato un impulso, e non il richiamo della figlia, ad averla attirata verso il cimitero. I due corpi giacevano in un sacco a pelo, in un ultimo abbraccio. Erano nudi, gli occhi spalancati, e si guardavano con terrore. Entrambi erano stati infilzati con un lungo paletto da tenda. «Figlio di puttana!» Ucciderli era già stato orribile, ma Gil vedeva qualcosa di osceno nel modo in cui l'anziana coppia era stata trovata. Toglieva ogni dignità alla loro morte. Si guardò intorno nella radura: niente impronte, nessuna prova visibile; Fiske aveva ripulito tutto con calma. Gil prese il telefono e chiamò Logan: «Troppo tardi». «Tutti e due?» «Sì, brutta storia.» Più che brutta: marcia. «Cosa vuoi che faccia?» «Torna qui. Non sono riuscito a contattare Maren, è da qualche parte nel deserto. Ma forse è meglio: se noi non riusciamo a raggiungerlo, credo che neppure Fiske possa farcela. Potremmo trarne un vantaggio.» «Non ci contare.» Guardò i due cadaveri. «Fiske non rimarrà con le mani in mano.»
«Non conto su niente, ma non voglio assolutamente che tu vada in Giordania. Potresti servirmi qui.» Gil si fece silenzioso. «Il teschio?» «Non posso più aspettare, tutto si muove troppo velocemente. Torna qui.» «Arrivo.» Veramente perfetto. Tutto ben pulito, e aveva potuto anche dargli il tocco finale. Fiske entrò in macchina canticchiando. Chiamò Timwick. «Cadro è sistemato. Parto per la Giordania con il primo aereo. Altro?» «Lascia stare Maren, per adesso. Devi raggiungere la squadra che sorveglia Barrett House.» «Non mi piace fare sorveglianza.» «Stavolta la farai. Se Logan o quella Duncan tossiscono, voglio saperlo e voglio che tu sia sul posto.» «Non mi piace saltare da una cosa all'altra finché non ho finito un lavoro. C'è ancora Maren da...» «Abbiamo seguito Gil Price quando ha lasciato Barrett House ieri mattina, è andato dritto a casa di Dora Bentz.» «E con questo? Io non ho lasciato tracce.» «Non capisci! Sapeva di Dora Bentz, e ciò significa che Logan ormai ha capito tutto. Non possiamo...» E dopo un attimo: «Dobbiamo uccidere Logan, Price e quella Duncan». «Avevi detto che era troppo rischioso.» «Prima di essere sicuro che Logan fosse sulla pista giusta. Ma ora non c'è più dubbio: non possiamo lasciarli vivi.» Finalmente Timwick mostrava un po' di fegato. «Quando?» «Ti farò sapere.» Fiske spense il telefono. Le cose andavano sempre meglio. La sfida e il guadagno aumentavano. Ricominciò a canticchiare, aprì il cassetto del cruscotto e prese la lista di Timwick. Cancellò il secondo nome, e sotto quello di Maren scrisse attentamente: JOHN LOGAN, GIL PRICE, EVE DUNCAN. Tanto valeva fare le cose con ordine. Otto
«Sveglia!» disse Margaret. «Cristo, ma devi anche dormirci con queste ossa?» Eve alzò la testa, confusa. «Eh? Che ore sono?» Margaret era di fronte alla scrivania. «Quasi le nove. Pensavo che ieri notte non avresti più lavorato.» «Ho cambiato idea.» Guardò Mandy di fronte a lei. «Ho unito qualche tassello del puzzle.» «E ti ci sei addormentata sopra.» «Volevo riposare gli occhi solo per un minuto.» Aveva un gusto amaro in bocca. «Si vede che ero stanca. Ho bisogno di lavarmi i denti e fare una doccia.» «Solo dopo che mi avrai detto che ho fatto un buon lavoro con questo laboratorio.» Lei sorrise. «Scusa, è bellissimo.» «Ma guarda che entusiasmo», sospirò Margaret. «Avrei fatto meglio a dire di lasciarlo com'era.» «Ti avevo detto che non ce n'era bisogno!» Si alzò e andò verso la porta. «Ma apprezzo il tuo sforzo.» «John vuole vederti, mi ha mandato a chiamarti.» «Dopo una doccia e un cambio di vestiti.» «Potresti sbrigarti? È piuttosto nervoso da quando è tornato Gil.» «È tornato?» «Circa un'ora e mezzo fa. Ti stanno aspettando nell'ufficio.» Aspettando la sua decisione, aspettando di sapere se avrebbe seguito Logan nella sua folle crociata. Kennedy. Mio Dio, alla luce del giorno l'idea era ancora più bizzarra di quanto non lo fosse stata la sera prima. «E John mi ha autorizzato ad accreditare alla Fondazione Adam l'altro denaro su cui eravate d'accordo», disse Margaret. «Ho chiamato la banca, e dovresti poter verificare l'avvenuto trasferimento già tra un'ora.» Non si erano messi d'accordo su nessun'altra somma! Logan stava esercitando delle pressioni, la corrompeva senza chiederle nulla in cambio. Ma che sganci pure quel denaro! Non avrebbe influenzato la sua decisione, e tutto sarebbe andato a vantaggio dei bambini. «Mi fido», concluse. «Verifica. John insiste.» Logan poteva insistere, quanto voleva, lei non si sarebbe fatta influenzare. Lavorare su Mandy tutta la notte le aveva fatto bene: ora si sentiva mol-
to più padrona della situazione. «A dopo, Margaret.» «Se l'è presa con calma», la rimproverò Logan quando entrò nell'ufficio. «La aspettavamo.» «Mi stavo asciugando i capelli.» «E le stanno molto bene», disse Gil da un angolo della stanza. «Valgono ogni minuto di ritardo.» Lei sorrise. «Non credo che Logan la pensi come lei.» «No. È scortese fare aspettare la gente.» «Dipende se è un appuntamento o un ordine.» Gil ridacchiò. «Non dovevi mandarle Margaret, Logan!» «Maledizione, non volevo sembrare insistente!» «Oh, davvero?» «Be', non troppo insistente. Si sieda, Eve.» «Non resterò a lungo.» Logan sembrava teso. «Guardi, non voglio...» «La smetta, Logan. Andrò nel suo dannato campo di grano a vedere questo teschio. Lo portiamo qui e faccio il lavoro che mi ha chiesto. Ma subito, voglio farla finita con questa storia.» «Stasera.» «Bene.» Si alzò per andarsene. «Perché?» chiese improvvisamente Logan. «Perché ha deciso di farlo?» «Perché lei si sbaglia, e l'unico modo per provarlo è fare il lavoro. Voglio finire in fretta e tornare alle cose che per me sono importanti. Ah, certo, vorrei vederla fare una figuraccia», aggiunse freddamente. «Tanto che potrei perfino fare la campagna per la rielezione di Chadbourne.» «Tutto qui?» Eve si sforzò di restare inespressiva. Non doveva fare trapelare il panico che l'aveva assalita durante la notte. Non voleva dargli un'arma da usare contro di lei. «Tutto qui. Quando partiamo?» «Dopo mezzanotte.» Fece un mezzo sorriso. «Com'è d'obbligo per un'impresa tanto macabra. Prenderemo la limousine, è solo un'ora di strada da qui.» Eve guardò Gil. «Viene anche lei?» «E come potrei perdermelo? Da tempo non dissotterro un teschio, specie uno così interessante.» Fece l'occhiolino. «Ahimè, povero Yorick, l'ho conosciuto, Orazio, un tipo estroso e pieno di squisite trovate.»
Lei andò verso la porta. «A dire il vero, la citazione è più azzeccata di tutto quello che mi ha detto Logan. Quel teschio è più probabile che appartenga a Yorick che a Kennedy.» «Sono partiti, Timwick», disse Fiske al telefono. «Price, Logan e la Duncan. Sono appena usciti dal cancello.» «Stai attento. Se capiscono che li stai seguendo, rovini tutto.» «Non c'è problema, non ci avvicineremo fino a quando non sarà necessario. Kenner ha messo una microspia nella limousine quando Price era a casa della Bentz. Aspetteremo che siano su una strada deserta, li supereremo e...» «No, lasciali arrivare a destinazione prima di agire.» «Potrebbe non essere la situazione ideale. Dovrei...» «Chi se ne frega della situazione ideale! Falli arrivare dove vogliono, hai capito, Fiske? Lascia fare a Kenner. Gli ho dato istruzioni precise, e tu farai solo quello che dice lui.» Timwick riattaccò. Figlio di puttana! Non solo doveva obbedirgli, ma anche prendere ordini da Kenner! Ne aveva abbastanza di quell'idiota, dopo le ultime ventiquattr'ore. «Te l'avevo detto che qui comando io», disse Kenner, tenendo il volante. «E seguirai alla lettera i miei ordini.» Indicò con la testa i due uomini sul sedile posteriore. «Proprio come loro.» Fiske guardò le luci della limousine, lontane davanti a lui. Provò a rilassarsi. Sarebbe andato tutto bene: avrebbe fatto il suo lavoro, nonostante le interferenze di Kenner. Avrebbe ucciso i tre nella limousine e cancellato i loro nomi dalla lista... E poi avrebbe finalmente inaugurato la sua lista personale, con il nome di Kenner in testa. Il campo di grano avrebbe dovuto ricordare a Eve qualcosa di tipicamente americano, come una festa di campagna, e invece la faceva pensare solo a un film dell'orrore che raccontava di un gruppo di bambini assatanati che vivevano in un podere. Ma lì non c'erano bambini. Solo morte. E un teschio sepolto sotto il ricco terreno scuro. In attesa. Scese lentamente dalla macchina. «È qui?»
Logan annuì. «Il campo sembra molto curato. Dov'è la fattoria?» «Circa otto chilometri più a nord.» «È molto grande, spero che Donnelli le abbia dato delle indicazioni.» «Infatti. Le ho memorizzate.» Uscì dalla macchina. «So esattamente dove si trova.» «Mi auguro che le indicazioni siano giuste.» Gil aveva aperto il cofano e stava tirando fuori due pale e una grande torcia. «Scavare non è il mio hobby preferito. Quando ero all'università, per pagarmi gli studi ho passato un'estate asfaltando le strade, e ho giurato che non l'avrei fatto mai più.» «Così impari.» Logan prese la torcia e una delle pale. «Mai dire mai!» Entrò nel campo. «Viene con noi?» chiese Gil a Eve mentre cominciava a seguire Logan. Lei non si mosse. Sentiva l'odore della terra, dove la morte era in attesa. Ascoltava la brezza che frusciava in mezzo al grano. Le mancò il respiro al pensiero di affondare, annegare in quel mare di spighe. «Eve?» Gil si era fermato ad aspettarla sul limite del campo. «John la vuole con noi.» «Perché?» «Glielo chieda lei.» «Già è assurdo che io sia qui. Non sarò in grado di analizzare il teschio finché non sarò tornata al laboratorio.» «Mi dispiace, vuole che lei sia con noi quando lo dissotterrerà.» Doveva smetterla di discutere, pensò Eve. Era necessario muoversi in fretta. Seguì Gil nel campo. Buio. Seguiva il fruscio dell'uomo che si faceva strada tra le spighe, ma non riusciva a scorgerlo. Non vedeva niente, solo il grano alto intorno a lei. Come essere sepolti. Perfino con una mappa e alcune indicazioni, come avrebbe fatto Logan a trovare il posto? La voce di Gil la raggiunse. «Vedo una luce lì davanti.» Lei non la distingueva ancora, ma affrettò il passo. Vide la luce: Logan aveva posato a terra la torcia e stava già scavando, dopo aver estirpato con la pala le radici delle piante di grano. «Qui?» chiese Gil.
Logan li guardò e annuì. «Presto! Il teschio è sepolto in profondità, per non farlo trovare dai contadini mentre lavoravano. Non prestare molta attenzione, dovrebbe essere in una scatola di piombo.» Gil iniziò a scavare. Dopo cinque minuti, lei pensò che sarebbe stato meglio avere una pala piuttosto che stare a guardarli. La tensione cresceva ogni attimo. Che stupidaggine! Probabilmente lì non era sepolto proprio niente, e loro stavano recitando una scena degna di Stephen King. «Ho colpito qualcosa!» disse Gil. Logan lo guardò. «Evviva.» Iniziò a scavare più in fretta. Eve si avvicinò alla buca e vide del metallo arrugginito in mezzo al terreno. «Cristo...» Perché era così turbata? Il fatto che Donnelli non avesse mentito sul luogo, non voleva dire che il resto della storia fosse vero. Forse non c'era nemmeno un teschio, nella scatola, e le probabilità poi che fosse di Kennedy erano praticamente nulle. Logan aprì la serratura. Ma non era una scatola, capì lei all'improvviso. Era una bara. Una bara da bambini. «Fermo!» Logan la guardò. «Che diavolo?...» «È una bara! Un bambino...» «Lo so. Donnelli era un becchino, che altro tipo di cassa pensava che avrebbe usato?» «E se non è un teschio?» Il volto di Logan si irrigidì. «È il teschio. Stiamo perdendo tempo!» Lei sperava che avesse ragione: l'idea di un bambino sepolto lì era quasi insopportabile. Logan aprì la bara. Non era un bambino. Anche attraverso i molti strati di plastica, si intravedeva chiaramente un teschio. «Bel colpo!» disse Logan avvicinando la torcia. «Lo sapevo che...» «Ho sentito qualcosa.» Gil alzò la testa. Anche Eve l'aveva sentito. Il vento? No, non era il vento.
Era qualcosa di più definito. Lo stesso suono che avevano fatto loro camminando nel grano. E quel fruscio si avvicinava. «Merda...» mormorò Logan. Chiuse la bara di scatto, la afferrò e balzò in piedi. «Andiamo via da qui!» Eve si guardò attorno. Niente. Solo quel fruscio minaccioso. «Potrebbe essere un contadino, vero?» «No, sono in molti.» Logan stava già correndo. «Non perderla, Gil! Gireremo in tondo nel grano per tornare alla macchina.» Gil la afferrò per un braccio. «Presto!» Non avrebbero dovuto parlare, così sarebbero stati localizzati. Ma era una follia, che differenza faceva? Correndo nel grano, facevano rumore proprio come i loro inseguitori. Logan correva a zigzag nel campo, e loro lo seguivano. Buio opprimente. Fruscii. Le faceva male respirare. Si stavano avvicinando? Non se n'accorgeva: loro stessi facevano troppo rumore per capirlo. «A sinistra!» gridò qualcuno dietro di loro. Logan svoltò nel grano a destra. Un'altra voce. «Mi sembra di vedere qualcosa!» Oh Dio, sembrava che fossero proprio accanto a loro. Logan si girò di scatto e corse indietro sui suoi passi. Gil ed Eve lo seguirono. Più veloce. Eve aveva perso l'orientamento. Come faceva Logan a sapere dove andare? Forse non lo sapeva. Avrebbero potuto imbattersi nei loro inseguitori in qualsiasi momento. Forse era meglio... Logan girò di nuovo a sinistra. Si trovarono fuori dal campo, e corsero verso la strada. La limousine. Lontana più di cinquanta metri. E accanto c'era una Mercedes. Non capiva se ci fosse qualcuno dentro. Si guardò indietro nel campo. Nessuno. Erano quasi arrivati alla macchina. La portiera della Mercedes si spalancò.
Gil le lasciò il braccio. «Metti la bara in macchina, John.» Si voltò, estrasse la pistola e corse verso l'uomo che scendeva dalla Mercedes. Troppo tardi. Uno sparo. Vide con orrore Gil cadere a terra, rialzarsi faticosamente in ginocchio e tentare di riprendere la pistola. Mio Dio, l'uomo stava per fare nuovamente fuoco. Non si rese neanche conto di che cosa stava facendo, ma gli afferrò la pistola e la scagliò via. L'uomo si girò verso di lei, ma lei lo colpì di taglio sulla carotide. Rantolò, gli occhi gli si chiusero, e poi cadde a terra. «Guido io. Vada dietro con Gil!» Logan trascinò Gil verso la limousine. «Provi a fermare l'emorragia. Dobbiamo scappare, avranno certamente sentito lo sparo.» Eve tenne aperto lo sportello e poi si sedette accanto a Gil. Era pallidissimo. Gli aprì la camicia: sanguinava sulla spalla. E se... «Arrivano!» gridò Logan mentre metteva in moto. Vide tre uomini uscire di corsa dal campo di grano. La macchina schizzò via. Logan guardò nello specchietto. «Come sta?» «È ferito alla spalla. Ma non ha perso troppo sangue, è ancora cosciente.» Eve guardò di nuovo fuori. «Sono arrivati alla strada. Vada più veloce!» «Ci sto provando! Mi sembra di guidare uno yacht!» Avevano raggiunto la strada asfaltata che portava all'autostrada, ma la Mercedes era troppo veloce, i suoi fari erano ormai solo a pochi metri di distanza. La Mercedes speronò la limousine. Tentavano di spingerla fuori strada, nel fossato che la costeggiava. Li speronarono di nuovo. Questa volta Logan riuscì solo per miracolo a non sbandare. «Più veloce! Se finiamo nel fossato...» «Cosa crede che stia facendo?» Per fortuna l'autostrada era vicina. La Mercedes tamponò ancora la limousine, che sbandò. Logan sterzò, nel tentativo disperato di non fare cadere la macchina nel fossato. «Stavolta hanno sbandato anche loro, dall'altra parte. È la nostra unica possibilità!» disse Eve. «Presto!»
Logan premette sull'acceleratore. «Sono troppo vicini.» Guardò nello specchietto. «Ci prenderanno prima dell'autostrada.» «La... bara...» mormorò Gil. «Dagli...» «No!» disse Logan. Eve guardò la cassa ai suoi piedi. «Dagli la...» Eve afferrò la maniglia dello sportello. «Cosa fa?» chiese Logan. «Zitto!» gli ordinò Eve. «Gil ha ragione. Vogliono questa maledetta bara, e l'avranno. Non vale le nostre vite.» «E se vogliono anche noi? Si sarà arresa per niente.» «Non m'importa. Gil è già stato ferito a causa di questo teschio, non voglio che nessun altro di noi si faccia male. Rallenti, tenga la macchina su questa corsia, qualunque cosa succeda.» La macchina rallentò, ma Eve dovette lottare parecchio per aprire lo sportello controvento. «Si stanno avvicinando.» «Vada dritto.» Spinse la bara verso lo sportello. «Più dritto possibile.» «Non credo di....» «Ci provi!» Il vento spalancò lo sportello. Eve spinse fuori la bara, che rimbalzò due volte e finì sull'altra corsia. «Vediamo...» Eve guardò la Mercedes che si avvicinava. «Speriamo che... Sì!» La Mercedes superò la bara. Sembrò ignorarla e continuare l'inseguimento, ma poi rallentò, invertì la marcia e tornò indietro. «Ecco l'autostrada!» disse Logan. La limousine sfrecciò sulla rampa d'ingresso. Macchine. Camion. Gente. Eve tirò un sospiro di sollievo, mentre Logan entrava nel traffico. «Ora siamo al sicuro?» «No.» Logan accostò e fermò la macchina. «Chiuda lo sportello.» Si voltò verso Gil. «Come va?» «Solo un graffio, non c'è neanche più sangue.» «Non so quanto sia sicuro fermarsi. Chiamerò Margaret per avere un dottore. Sicuro che non perdi sangue? Puoi resistere finché non arriviamo a Barrett House?» «Certo!» disse Gil con voce debole. «Se sono sopravvissuto alla tua gui-
da...» Grazie a Dio stava abbastanza bene da poter scherzare, pensò Eve sollevata. «Tu non avresti potuto fare di meglio», disse Logan. «Dovrei buttarti fuori e farti andare a piedi per la tua sfacciataggine.» «Me ne starò zitto.» Chiuse gli occhi. «Ma dato che per me non è facile, farò un pisolino.» «Cattiva idea», disse Logan rientrando nel traffico. «Resta sveglio, devo sapere se perdi conoscenza.» «Va bene, farei qualsiasi cosa per te. Volevo solo riposarmi gli occhi.» Logan guardò Eve nel retrovisore. Lei annuì, e Logan ripartì sgommando. «Che diavolo fai?» urlò Fiske. «Li stiamo perdendo!» «Zitto», disse Kenner. «So cosa sto facendo, la cassa è più importante.» «Niente è più importante, idiota! Tutto questo lavoro e ora li lasci...» «Timwick ha detto che, se avessimo dovuto scegliere tra prendere quello che cercavano o acciuffarli, bisognava lasciarli andare.» «Possiamo tornare dopo a prenderla! Stanno solo tentando di seminarci!» «Credi che non ci abbia pensato? Non posso rischiare. La cassa è in mezzo alla strada, chiunque potrebbe trovarla o danneggiarla.» «In piena notte?» «Timwick vuole quella scatola.» Fiske fu travolto dalla rabbia. Ormai era impossibile raggiungere Logan. Tutto a causa della fissazione di Timwick per quella cassa. E Kenner era proprio come Timwick, così attento ai dettagli da non capire che cosa era davvero importante. Bisognava scegliere un bersaglio alla volta, e non farsi distrarre da nulla. Meno che mai da una dannata scatola! Due uomini in camice bianco uscirono da Barrett House appena Logan fermò la macchina, misero Gil su una barella e lo portarono all'interno. Eve scese dalla limousine. Le tremavano tanto le gambe che dovette appoggiarsi alla portiera. «Tutto bene?» chiese Logan. «Sì.» «Dirò a Margaret di farle un caffè», concluse entrando in casa. «Devo
assicurarmi che Gil stia bene.» Lei lo guardò sparire, in preda alle vertìgini. Erano successe troppe cose in così poco tempo che non riusciva a convincersi che fosse tutto finito... o che fosse davvero accaduto. Ma la fiancata ammaccata della limousine testimoniava di quello spaventoso inseguimento. E la ferita di Gil Price non era immaginaria, aveva davvero rischiato di morire. Tutti avrebbero rischiato, se lei non avesse gettato la bara fuori dell'auto. «Caffè.» Margaret le diede una tazza. «Entra in casa e siediti.» «Solo un momento... non sento più le gambe. Come sta Gil?» «È cosciente e brillante come sempre... Il dottore dice che ci vorrebbe una museruola.» Il caffè era forte, iniziava a farle effetto. «Come hai fatto a trovare un dottore qui e a quest'ora?» «Il denaro smuove anche le montagne...» Margaret si appoggiò all'auto. «Hai avuto paura?» «Certo, maledizione! Non avrei dovuto? Forse loro sono abituati a spararsi l'un l'altro, ma io no.» «Anch'io ho paura. Non pensavo che... Certo non mi aspettavo una cosa del genere.» «E ti fidi ancora di Logan?» «Sì. Ma di certo gli chiederò un aumento e una copertura per gli infortuni. Vuoi entrare in casa?» Eve annuì. Copertura per gli infortuni... Adesso si spiegava la generosità di Logan: non era più una questione di gatti morti e vandalismo, si trattava di omicidio. Avevano tentato di uccidere Gil. Avrebbero potuto uccidere tutti loro, se la macchina fosse finita nel fossato. «Sta meglio?» Logan scese le scale. «Ha riacquistato colore.» «Davvero? Come sta Gil?» «È una ferita superficiale, il dottore dice che non è niente di grave.» Si voltò verso Margaret. «Non vogliamo ancora parlarne alla polizia, convinci il dottor Braden a tacere.» «Come no, così poi mi accuserà di.... Ci penso io.» Quando Margaret sparì su per le scale, Logan si rivolse a Eve. «Dobbiamo parlare.» «Come minimo.» Lei si diresse verso la cucina. «Ma ho finito il caffè e ne voglio ancora.»
Lui la seguì e si sedette. «Mi dispiace che abbia avuto paura.» «Adesso dovrei sentirmi rassicurata e consolata? No. Adesso ho solo paura, ma quando tutto questo finirà, diventerò una furia.» «Lo so, non mi aspetto altro... È stata fantastica stasera, probabilmente ha salvato la vita di Gil. Dove ha imparato il karate?» «Joe. Dopo che Bonnie... Le avevo detto che non volevo più essere una vittima. Joe mi ha insegnato a difendermi.» «E a difendere chiunque, a quanto pare.» «Qualcuno doveva aiutarlo, e lei evidentemente teneva più alla dannata bara che al suo amico. Mio Dio, è un'ossessione. Mi sorprende che abbia accettato di rallentare per farmi gettare fuori quella cosa.» «Gil è addestrato a pensare a se stesso, quello è il suo lavoro, io ne ho un altro.» «E io ne ho un altro ancora. Ma non mi sarei mai aspettata che qualcuno mi sparasse addosso.» «Le avevo detto che avrebbero tentato di fermarci.» «Ma non che avrebbero tentato di ucciderci.» «Temo proprio di no.» «Certo che non me l'ha detto, maledizione!» gridò. «È tutto un disastro. Rischia la vita per una follia e mi trascina con sé. Mi ha quasi fatto uccidere, figlio di puttana!» «Sì.» «E senza ragione! Non c'era bisogno che io fossi lì.» «Invece sì.» «E per fare cosa? Lavorare sul teschio in un dannato campo di grano?» «No.» «E allora perché...» «Il dottor Braden sta andando via», disse Margaret sulla soglia. «Penso che le cose fileranno più lisce se gli dai una pacca sulla spalla e lo accompagni alla porta, John.» «Giusto.» Logan si alzò. «Viene con me, Eve? Non abbiamo finito.» «Lo immaginavo.» Lo seguì nell'ingresso e l'osservò mentre parlava con il dottore. Dolce come il miele. Convincente come il diavolo. Gli bastarono pochi minuti perché Braden se ne andasse soddisfatto. Lei lo guardò accompagnare il dottore alla macchina. «È bravo, eh?» mormorò Margaret. «Troppo.» La rabbia era svanita, subentrava la stanchezza. Ma che cosa le importava più? Doveva lasciarlo tessere la sua tela.
Logan salutò il dottore e si voltò verso di lei, guardandola attentamente. «Non è più arrabbiata. Forse è un buon segno.» «Nessun segno. Perché dovrei arrabbiarmi? È acqua passata. Vado a fare le valigie, è finita, e io me ne vado.» «Non è finita.» «Invece sì!» «Vado a controllare Gil», disse in fretta Margaret, e li lasciò soli. Logan continuò a fissarla. «Non è finita, Eve.» «Ero d'accordo con lei per fare un solo lavoro. E anche se in questo momento non la odiassi per quello che mi ha fatto passare stanotte, il mio compito sarebbe terminato. Finito quando ho buttato il teschio fuori dalla macchina. Se pensa che voglia restare qui mentre cerca di riprenderlo, si sbaglia di grosso.» «Non devo cercare di riaverlo.» «Che diavolo intende dire?» chiese Eve meravigliata. «Venga con me.» «Come?» «Mi ha sentito.» Logan si voltò e iniziò a camminare. Nove Il cimitero. Eve riuscì a raggiungerlo solo quando lui era già al cancello di ferro battuto. Camminava veloce tra le file di lapidi. Lei non lo seguì. «Cosa fa?» «Prendo il teschio.» Si fermò davanti alla tomba di Randolph Barrett, spostò il mazzo di garofani, prese la pala lì nascosta e iniziò a scavare. La terra era fresca, smossa da poco, e lavorò velocemente. «Dato che vuole conoscere la mia prossima mossa, devo fornirle un teschio.» «È matto? Cosa fa, riesuma un cadavere qualsiasi solo per....» Le mancò il fiato quando capì. «Oh mio Dio!» Lo sguardo di Logan la fulminò. «Sì, ho preso il teschio da quel campo due mesi fa.» «E lo ha nascosto qui. Ecco perché tutti quei fiori sulle tombe, voleva solo coprire i segni di terra smossa.» Lui continuò a scavare. «Dicono che il migliore nascondiglio sia il posto più visibile, ma ammetto di essere troppo perfezionista per limitarmi a
questo. Ho fatto installare da Mark un sistema d'allarme collegato alla bara, e l'ho appena fatto disattivare.» «E ha messo un altro teschio nella bara in quel campo.» Guardò il nome sulla lapide. «Era di Randolph Barrett?» «No, non ho disturbato Barrett. È morto a sessantaquattro anni, mi serviva il teschio di una persona più giovane, così ne ho comprato uno da una clinica universitaria in Germania.» Le girava la testa. «Un momento. Perché? Perché tutto questo lavoro?» «Sapevo che alla fine avrebbero capito cosa stavo facendo, e che mi sarebbe servito un diversivo. Speravo di non doverlo usare, ho tentato in tutti i modi di non dovermi ridurre a questo, ma qualcosa è andata storta già prima che lei iniziasse il lavoro. I fatti incalzavano e ho dovuto sviarli.» «Che vuol dire? Non capisco di cosa stia parlando.» «Non lo deve sapere, è meglio per lei.» Si chinò a estrarre la scatola di piombo. «Deve solo fare il lavoro per il quale l'ho pagata.» «Non lo devo sapere?» Fu uno choc per Eve rendersi conto dell'inganno in cui era caduta. «Perché tutto questo, figlio di puttana?» «Forse lo sono, ma non cambia molto.» Mise da parte la scatola e iniziò a riempire la fossa. «Cambia moltissimo, invece!» La voce le tremava per la rabbia. «Mi ha portata in quel dannato campo sapendo che era inutile!» «Non era inutile. Sapevano quale fosse il suo lavoro, e mi serviva la sua presenza per rendere più realistica la scena.» «E per poco non mi uccidevano.» «Mi dispiace, sono stato un po' imprudente.» «Le dispiace? Non ha altro da dire? E Gil Price? Gli hanno sparato! Stava tentando di salvare il teschio per lei, e non era neanche quello giusto!» «Non vorrei deluderla, so che mi attribuisce tutte le colpe possibili, ma Gil sapeva cosa stava facendo. È lui che ha comprato l'altro teschio per me.» «Lo sapeva? Allora ero io l'unica all'oscuro di tutto?» «Sì.» Posò la pala e rimise il mazzo di garofani sulla tomba. «Non avrei trascinato Gil in una cosa del genere senza avvisarlo.» «Ma ha trascinato me!» «Doveva essere solo una spettatrice, lui, invece, doveva partecipare. Non sapevo che sarebbe stata costretta a...» «Una spettatrice!» La sua rabbia cresceva. «Mi ha ingannata! Mi chiedevo perché mi voleva lì, ma non pensavo di essere un'esca.»
«Non lei, il teschio. Come dicevo, lei era lì per rendere tutto più credibile. Avevo bisogno di convincerli che valeva la pena seguirci.» «Ha voluto farsi inseguire! E restare abbastanza vicino a loro per gettare fuori la cassa.» «Dovevano credere che lo facessi per disperazione. Speravo di dover gettare io la cassa, ma Gil era ferito e io dovevo guidare.» «E Gil ha detto a me di farlo. E lei non voleva nemmeno, Cristo!» «Immaginavo che sarebbe stato il modo più rapido per convincerla... era tanto furiosa con me che avrebbe fatto qualsiasi cosa per contraddirmi.» «E avrebbe rischiato la mia vita e quella di Gil per ingannarli!» «C'ero anch'io, in macchina.» «Non sono affari miei se vuole suicidarsi, ma non ha il diritto di mettere in pericolo la vita degli altri.» «Pensavo fosse l'unica soluzione.» «Soluzione? Mio Dio, è così ossessionato dalla sua dannata politica da inscenare un inganno che avrebbe potuto farci uccidere tutti!» «Dovevo prendere tempo.» «Be', allora ha fatto tutto per niente.» Lo guardò con occhi pieni di rabbia. «Se pensa che io adesso faccia questo lavoro, è pazzo. Preferirei strangolarla e seppellirla qui accanto a Randolph Barrett.» E poi, voltandogli le spalle: «Anzi, da qualche parte dove nessuno la possa mai trovare. Se lo merita, sporco bastardo». «Eve...» Lei iniziò a scendere dalla collina, ignorandolo. «Ha tutto il diritto di indignarsi, ma deve pensare ad altre cose. Mi lasci spiegare la situazione, così...» Eve affrettò il passo senza ascoltarlo. Figlio di puttana, mistificatore, pazzo bastardo. Incontrò Margaret sulle scale. «Gil dorme, penso che...» «Trova una macchina e prenota un aereo! Me ne vado.» «John non dev'essere stato molto convincente... Non posso darti torto, ma puoi fidarti di lui...» «Scordatelo. Voglio un posto sul primo volo.» «Devo chiedere a John.» «Fammi andare via da qui o tornerò ad Atlanta a piedi!» Sbatté la porta, accese la luce, prese la valigia dall'armadio, la buttò sul letto e andò alla scrivania. «Deve ascoltarmi», disse calmo Logan dalla soglia. «So che le è difficile
vedere chiaro nello stato in cui si trova, ma non posso lasciarla andare finché non saprà a cosa può andare incontro.» «Non m'interessa quello che dice.» Buttò i vestiti alla rinfusa nella valigia. «Perché dovrebbe? Tanto saranno bugie. Non mi fido più di lei, mi ha ingannata e mi ha fatto quasi uccidere.» «Ma non è stata uccisa. Sarebbe l'ultima cosa che vorrei.» Lei tornò alla scrivania e aprì un altro cassetto. «Va bene, esaminiamo la situazione. Secondo lei, quello che dovevo fare non sarebbe stato pericoloso per nessuno. E invece si sbaglia: sono così interessati al teschio da essere pronti a uccidere. Quindi, anche per loro è molto importante.» Rovesciò il contenuto del cassetto nella valigia. «Non è Kennedy.» «Allora lo dimostri, sia a me sia a loro.» «All'inferno! Non devo dimostrare niente a nessuno!» «Temo di sì.» «Neanche per sogno!» «Sì, se vuole rimanere viva.» Fece una pausa a effetto. «E se vuole proteggere sua madre.» Lei si irrigidì. «Mi sta minacciando?» «Io? Assolutamente no, le sto solo chiarendo come stanno le cose. La situazione è degenerata al punto che le rimangono solo due opzioni: dimostri che ho ragione e mi dia una prova per acciuffare quei bastardi. Dimostri che ho torto e può dire tutto ai giornali, così non sarà più in pericolo. Perché l'alternativa è farsi braccare e uccidere. A loro non importa se la storia di Donnelli è vera, non vogliono rischiare.» «Posso farmi proteggere dalla polizia.» «Servirebbe solo per un po', ma non è una soluzione definitiva.» «Potrei farla arrestare e interrogare da Joe. Potrei dire tutto.» «E io troverei un modo di uscirne indenne: altrimenti a cosa servono gli avvocati? Non voglio litigare con lei, Eve», aggiunse con calma. «Voglio salvarle la vita.» «Stupidaggini, vuole solo ciò che ha voluto sin dall'inizio.» «Sì, ma una cosa non esclude l'altra. L'assalto al suo laboratorio era un avvertimento, ma stanotte hanno dato prova di volere fare sul serio.» «Forse.» «Ci pensi, Eve.» Studiò la sua espressione e scosse la testa desolato. «Non mi crede, vero? Va bene, non volevo dirglielo, ma altri testimoni sono già stati eliminati. Tre persone sono morte in questi ultimi giorni.»
«Testimoni?» «Mio Dio, il caso Kennedy è sempre stato pieno di morti inspiegate, non legge mai i giornali? E adesso si ricomincia. È per questo che stasera li volevo sviare: speravo che, con un nuovo obiettivo, avrebbero smesso di uccidere.» «Perché dovrei crederle?» «Posso darle i nomi e indirizzi delle vittime, può controllare alla polizia locale. Le sto dicendo la verità, Dio mi fulmini.» Gli credeva. Ma non avrebbe voluto, perché le sue parole erano terrificanti. «Perché mai qualcuno dovrebbe fare del male a mia madre?» «Non lo faranno se possono avere lei... altrimenti potrebbero decidere di usare sua madre per minacciarla e lanciarle un avvertimento, proprio come il gatto nel laboratorio.» Sangue. L'orrore di quello spettacolo le tornò alla mente. Lui gliel'aveva ricordato apposta, ma non era necessario: quelle immagini erano vive e dolorose, incancellabili. «Continua a dire 'loro'. Sono stanca di brancolare nel buio, voglio sapere chi ci seguiva stanotte. Chi sta facendo tutto questo?» Per un attimo, Logan tacque. «Chi muove le fila in questo momento è James Timwick. Mai sentito?» «No.» «È un pezzo grosso del Dipartimento del Tesoro.» «Ed era lì stanotte?» «No, non so chi fossero quegli uomini, probabilmente non è gente del Dipartimento. Timwick non vorrebbe certo rendere palese un collegamento con loro. In un complotto come questo, meno persone sanno, più si è al sicuro. Certo, per lui sarebbe molto più facile usare il potere del Governo, ma immagino che siano solo dei killer.» Killer. Sembrava un brutto western. «E chi è entrato nel mio laboratorio?» «Gil dice che potrebbe essere stato Albert Fiske, ha già lavorato per Timwick.» Fiske. Il sangue e l'orrore ora avevano un nome. «Devo dirlo a Joe, lui può catturare quel bastardo.» «Vuole davvero coinvolgere Quinn prima di avere delle prove? Timwick è molto potente, gli basterebbe una telefonata per rovinare la vita del suo amico. Cerchi le prove, Eve», disse con tono suadente. «Faccia il suo lavoro. Renderà le cose più facili per lui e più sicure per se stessa.» «E per lei.»
«C'è sempre un rovescio della medaglia... ma non si impunti solo per farmi dispetto. Pensa che io abbia torto: provarlo non sarebbe una punizione per tutti i problemi che le ho causato?» «Un tentato omicidio? Non lo chiamerei un 'problema'.» «Io le ho spiegato tutto, e l'ho avvertita. Ora deve decidere lei.» «Come sempre.» «Allora decida bene.» Fece per andarsene. «Ci vorrà un po' di tempo per reclutare una scorta che la porti a casa. Dirò a Margaret di prenotare un volo per lei da Washington, nel pomeriggio.» «E se volessi andare via adesso?» «Ho fatto di lei un bersaglio, e adesso devo proteggerla nel modo migliore. Raddoppierò anche la sorveglianza sulla sua casa ad Atlanta.» Si voltò di nuovo a guardarla. «Cambi idea, la prego. Dimentichi la rabbia e faccia ciò che è meglio per sé e per sua madre.» Chiuse la porta prima che Eve potesse rispondere. Aveva solo voglia di colpire quel bastardo e di fuggire. «Protegga sua madre», le aveva detto. Tentò di soffocare il panico crescente: lui aveva scelto ad arte le parole che l'avrebbero colpita di più. Era meglio ignorare tutto ciò che aveva sentito e scappare. Non sarebbe mai arrivata fino a quel punto se avesse saputo che cosa stava per succederle. Lui l'aveva ingannata, invischiata in una situazione che... Ma doveva mettere da parte la sua rabbia e mostrarsi realista. «Dimostri che ho torto», aveva aggiunto. Un'esca invitante. Lavorando sodo, poteva averne la prova in un paio giorni. E arrendersi a Logan dopo tutto ciò che era successo? No. Non se c'era un'altra strada da percorrere. «Faccia ciò che è meglio per lei e per sua madre», aveva concluso Logan. Si avvicinò lentamente alla finestra. Iniziava ad albeggiare. Poteva essere a casa già nel pomeriggio. Dio, quanto desiderava tornare dove tutto era sicuro e familiare. Ma forse non sarebbe più stato sicuro: la semplice decisione di accettare il lavoro di Logan avrebbe potuto distruggere la pace e la sicurezza costruite con tanta attenzione dopo l'esecuzione di Fraser. Rischiava di rituffarsi nell'incubo che quasi l'aveva ingoiata dopo la morte di Bonnie. Non voleva annegare! Se era sopravvissuta alla morte di sua figlia, pote-
va sopravvivere a qualsiasi cosa. Barrett House Martedì pomeriggio Quando scese le scale, verso l'una, Logan era nell'ingresso. Sorrise. «Non ha la valigia.» «Però è pronta. Andrò via da qui un attimo dopo avere finito. Ma ho deciso che fare il lavoro è il modo migliore per liberarmi di questo pasticcio.» Si diresse verso il laboratorio. «Dov'è il teschio?» «La scatola è sulla scrivania.» La seguì. «Ma non farebbe meglio a dormire un po', prima?» «Ho già dormito. Ho fatto una doccia e un sonnellino dopo avere deciso di continuare.» «Avrebbe potuto dirmelo, mi sarei sentito meglio.» «Non ho nessuna intenzione di farla sentire meglio.» «Immagino. Ma sta facendo la cosa più giusta.» «Se non lo pensassi anch'io, adesso sarei fuori della porta invece che nel laboratorio.» Aggiunse freddamente: «E che sia chiaro: appena dimostro che non si tratta della testa di Kennedy, chiamo i giornali e dico che lei è un idiota». «Mi sembra giusto.» «E non voglio più essere isolata, chiamerò mia madre e Joe ogni giorno.» «Ho mai provato a impedirglielo? Non è mia prigioniera. Spero che potremo lavorare insieme.» «Non credo.» Spalancò la porta del laboratorio. La cassa di piombo era al centro della scrivania. «Lavoro da sola.» «Posso chiederle quanto ci vorrà?» «Dipende dalle condizioni del teschio. Se è integro, due o tre giorni.» «A me sembra in buono stato. Ci provi in due giorni, Eve.» «Non mi faccia fretta, Logan.» «Devo. Non so più quanto tempo abbiamo. Timwick non crederà che il teschio sia quello giusto, e lo farà esaminare da un altro professionista come lei. Alla fine capirà.» «Mi aveva detto che Timwick non avrebbe corso il rischio di farlo identificare.» «Deve. Non rischierebbe di farsi scoprire mentre controlla il DNA o la
dentatura, ma il teschio sì. C'è sempre un modo per disfarsi della gente che sa troppo, quindi se lo scultore forense è bravo... due giorni?» «Dipende: se lavora sul teschio o su un suo modello, e se vuole fare in fretta.» «Timwick gli metterà fretta. Chi è abbastanza bravo?» «Nel paese ci sono solo quattro o cinque bravi scultori forensi.» «L'ho accertato anch'io, quando ne cercavo uno. Per il mio avvocato è stato facile raccogliere quei pochi nomi.» Eve aprì la cassa di piombo. «Vorrei che avesse scelto un altro...» «Ma lei è la migliore, e a me serviva il meglio. Chi è il secondo?» «Simon Doprel. Lui ha davvero la mano.» «La mano?» «Facciamo misure ed esami, ma al momento di scolpire è tutta una questione di istinto, come se sentissimo cosa va bene e cosa no. E solo alcuni sono capaci di farlo.» «Interessante», disse lui con una smorfia. «E anche un po' macabro.» «Non sia stupido. È un talento, non una dote paranormale o chissà cos'altro.» «E Doprel ce l'ha?» «Sì.» Osservò con cura il teschio annerito. Maschio. Razza bianca. Le ossa erano quasi intatte, ma mancava una parte sul retro del cranio. «Non è carino, vero?» disse Logan. «Neanche il suo sarebbe gradevole a vedersi dopo avere passato una cosa del genere. Donnelli è stato fortunato: il cervello avrebbe potuto esplodere, schizzare fuori, e allora niente ricatto... niente ricostruzione.» «Il fuoco fa esplodere il cervello?» «Capita quasi sempre con le vittime di incendi.» Lui cambiò discorso. «Quindi Doprel sarebbe la probabile prima scelta?» «Se Timwick riesce a contattarlo. Lavora quasi sempre per la polizia di New York.» «Timwick può farlo. Due giorni, Eve, la prego.» «Sarà pronto quando sarà pronto. Non si preoccupi, non ho intenzione di perdere tempo. Voglio farla finita al più presto.» Posò il teschio sul piedistallo. «Ora se ne vada. Devo fare delle misurazioni, devo concentrarmi.» «Sissignora.» La porta si chiuse. Lei non aveva staccato gli occhi dal teschio. Era necessario non farsi influenzare. Ogni misurazione doveva essere precisa.
Ma non bastava. Prima doveva creare un legame, come al solito. Sarebbe stato un po' più difficile perché si trattava di un adulto, non di un bambino. Però anche lui era stato perduto. Misurò diversi punti del teschio e trascrisse i risultati su un taccuino. «Non sei quello che dicono, ma non fa niente: sei importante lo stesso, Jimmy.» Jimmy? Come le era venuto in mente? «Potrebbe essere Jimmy Hoffa, o qualche pezzo grosso della mafia», aveva detto a Logan. Sorrise ricordando le ragioni per le quali gli aveva detto che non avrebbe accettato. Eppure aveva accettato. E Jimmy era un buon nome. «Ti farò molte cose sgradevoli, ma è per una buona causa, Jimmy», mormorò. «Un po' di pazienza.» Chevy Chase, Maryland Martedì sera «Non ho tempo, Timwick!» disse Simon Doprel. «Mi ha fatto interrompere un esame importante per un processo del mese prossimo. Trovi qualcun altro.» «Solo pochi giorni, mi aveva detto di sì.» «Ma non di volere lasciare New York e venire in campagna. I suoi uomini mi hanno praticamente rapito. Non poteva portarmi il teschio?» «Doveva rimanere un segreto. Non mi tradisca adesso. Scoprire se questo è il terrorista che cercavamo è più importante del suo caso di omicidio.» «Come mai il Dipartimento del Tesoro va a caccia di terroristi?» chiese Simon acido. «Se c'è una minaccia contro la Casa Bianca, entriamo sempre in gioco noi. Se le serve qualcosa, chieda a Fiske, sarà la sua ombra fino a che non avrà finito.» Timwick sorrise. «Vogliamo renderle il soggiorno con noi il più confortevole possibile.» Uscì dalla stanza. Era una fortuna che Doprel fosse riluttante, pensò cupamente: avrebbe lavorato in fretta, e a loro serviva proprio la velocità. Quando gli avevano raccontato che il teschio era stato gettato dalla limousine, aveva sospettato subito: sembrava tutto un po' troppo facile. Forse Logan aveva sacrificato il teschio per salvarsi la vita, ma poteva anche essere un diversivo. Perché non lo aveva preso e buttato fuori solo la bara?
Per il panico? Logan non era tipo da farsi impaurire, però stava guidando. Kenner aveva detto che era stata la donna a disfarsi della bara. Comunque, lo avrebbero saputo presto. E avrebbero continuato a spiare Barrett House. «Sei sveglio?» Logan entrò nella stanza e si sedette accanto al letto di Gil. «Come ti senti?» «Starei molto meglio se non mi avessero imbottito di sedativi. La spalla va bene, ma ho un mal di testa spaventoso.» «Dovevi riposare.» «Non per dodici ore!» Si sforzò di mettersi a sedere sul letto. «Cosa succede?» Logan gli aggiustò i cuscini dietro la schiena. «Eve sta lavorando sul teschio.» «Mi sorprende. Pensavo che la tua idea di portarla con noi fosse stato un errore, potevi terrorizzarla.» «O farla infuriare a tal punto da accettare. Avevo due possibilità. Ma non c'era scelta, dovevano pensare che fosse una cosa importante. Non credevo che si sarebbero avvicinati tanto.» «Vuoi dire che speravi che non si sarebbero avvicinati tanto.» Sorrise ironicamente. «Non trattarmi come un cretino, lo avresti fatto lo stesso.» «Forse. Però mi dispiace che tu ne abbia sofferto le conseguenze.» «Ero lì per quello, ti dovevo coprire mentre ti occupavi dell'esca... ma non sono stato un granché», disse con aria triste. «Sarei stato spacciato senza la signora delle ossa. Lei sì che è stata brava.» «Sì, bravissima. A quanto pare, Quinn le ha insegnato a difendersi da tutti i Fraser del mondo.» «Ancora Quinn?» Logan annuì. «C'è sempre lui di mezzo, vero?» Si alzò. «Vado a portare un panino a Eve, non è mai uscita dal laboratorio.» «Ti sarà grata se le permetti di mangiare...» «Meno ironia!» «No, dicevo sul serio. Ora che sei riuscito a farla lavorare, immagino che la comanderai a bacchetta fino a ottenere il tuo scopo.» «Non me lo permetterebbe mai. Devo portarti qualcosa?» «I miei CD», ghignò Gil. «Sono molto spessi, questi muri? Pensavo di tormentarti con la musica country di Loretta Lynn.»
«E io dirò a Margaret di venire a farti da crocerossina.» «No, ti prego, soffro già abbastanza!» Si fece serio. «Quanto tempo pensi che abbiamo?» «Non più di tre giorni. Una volta scoperto che hanno il teschio sbagliato, inizierà la guerra, e dovremo fuggire.» Si diresse verso la porta. «Quindi guarisci presto.» «Domani. Sarò in piedi e al lavoro nel deposito delle carrozze. Sarei tentato di restare a letto in compagnia di Loretta Lynn e Garth Brooks, ma non vorrei rischiare di beccarmi Margaret come infermiera.» Logan chiuse la porta e scese in cucina. Un quarto d'ora dopo bussò alla porta del laboratorio, portando un vassoio con un sandwich e una zuppa di verdure. Nessuna risposta. «Posso entrare?» «Vada via. Ho da fare.» «Le ho portato da mangiare, deve fare una pausa ogni tanto.» «Lo metta lì, lo prenderò dopo.» Logan esitò, ma infine posò il vassoio sul tavolino accanto alla porta. «Si sbrighi, la minestra si raffredda.» Cristo, gli sembrava di essere una casalinga! Meno male che non c'era Margaret a osservare la scena. Sarebbe morta dal ridere. Dieci «Non hai mangiato! Non puoi lavorare senza mangiare, mamma.» Eve sollevò lentamente la testa dalla scrivania. Bonnie sedeva accanto alla porta, i gomiti sulle ginocchia. «Ed è un po' stupido addormentarsi alla scrivania, quando si ha un letto a disposizione.» «Mi stavo solo riposando gli occhi per un attimo», disse in tono di scusa. «Ho del lavoro da fare.» «Lo so.» Bonnie guardò il teschio sul piedistallo. «Bel lavoro.» «Bello?» «Penso di sì. Credo che sia importante. Per questo ti ho chiamata al cimitero.» «Non mi hai chiamata tu, è stato un impulso.» Bonnie sorrise. «Davvero?» «O forse tutti quei fiori sulle tombe mi hanno mandato un messaggio inconscio. Sapevo che Logan nascondeva qualcosa, e forse sospettavo che
fosse... E smettila di rìdere!» «Scusa. In realtà sono orgogliosa di te, è bello avere una mamma tanto geniale. Che si sbaglia, ma è geniale lo stesso.» Guardò di nuovo il teschio. «Hai fatto amicizia con Jimmy, vero?» «Sì, ma ci sono problemi.» «Li risolverai, ti aiuterò io.» «Come?» «Cerco sempre di aiutarti in quello che fai.» «Oh, adesso sei il mio angelo custode? E scommetto che mi proteggevi anche ieri notte, in macchina.» «No, non potevo fare niente, avevo troppa paura. Voglio rivederti, ma non così presto! Non è ancora arrivato il tuo tempo, mamma. Rovinerebbe l'armonia delle cose.» «Stupidaggini. Se ci fosse un'armonia nell'universo, nessuno ti avrebbe mai portato vìa da me.» «Non so come funziona... A volte le cose vanno storte. Ma non voglio che vadano male anche a te, mamma. Per questo devi stare molto attenta.» «Mi muovo con cautela, e sto facendo di tutto per venire fuori da questo maledetto intrigo. Ecco la ragione per cui sto lavorando su Jimmy.» «Sì, Jimmy è importante», sospirò Bonnie. «Speravo che non lo fosse, tutto sarebbe stato più facile.» Si appoggiò al muro. «Vedo già che ti stancherai da morire nei prossimi giorni. Se non vuoi andare a letto, almeno torna a dormire sulla scrivania.» «Ma sto già dormendo!» «Ah, è vero... A volte mi scordo di essere solo un sogno. Be', fammi il piacere di appoggiare di nuovo la testa sulla scrivania. È un po' strano dormire dritta sulla sedia.» «Sei tu quella strana.» Eve posò la testa sulle braccia. Dopo un attimo chiese con voce bassa: «Stai andando via?» «No, resterò ancora un po'. Mi piace guardarti dormire, tutti i problemi e le preoccupazioni scorrono via. È bello vederti così.» Eve sentì che le lacrime le rigavano il volto, anche se aveva gli occhi chiusi. «Che strana bambina...» Barrett House Mercoledì mattina «Non ha mangiato niente, ieri sera.» Logan entrò nel laboratorio con il
vassoio della colazione. «Odio vedere sprecato il mio lavoro. Stavolta resto qui a guardarla finché non mangia fino all'ultima briciola.» «Che solerzia commovente.» Eve si lavò le mani nel piccolo lavandino. «Peccato che sia solo perché non vuole vedermi cascare per terra e così perdere tempo.» «Infatti. Quindi, mi faccia l'onore.» «Nemmeno per sogno! Mangerò solo perché ho fame. Punto.» «Vuole darmi una lezione? A me non importa, basta che si nutra. Sembra riposata, eppure il suo letto è intatto.» «Ho fatto un sonnellino qui alla scrivania.» Bevve il succo d'arancia. «E non entri nella mia stanza, Logan, ha già invaso abbastanza la mia vita.» «Mi sento responsabile, voglio aiutarla.» «Per fare più in fretta?» «Anche. Ma non mi giudichi male.» Eve assaggiò l'omelette. Lui ridacchiò. «Che silenzio! Be', almeno questa mattina non mi sta aggredendo. La dormita le ha fatto bene, mi sembra un po' meno dura.» «Si sbaglia, è solo che mi manca il tempo per analizzare gli aspetti del suo carattere. Ho da fare.» «Anche questa è una concessione.» Guardò il piedistallo. «Vedo che adesso assomiglia a una di quelle bamboline che usano per i riti satanici. Gli ha dato un nome?» «Jimmy.» «Perché...» Rise di nuovo nel capire. «Non è Hoffa, Eve!» «Vedremo.» Lei si sorprese a sorridere. Dopo la tensione delle ore di lavoro, poteva rilassarsi per un attimo... anche se con Logan. «Non credo che farebbe tanti sforzi per un sindacalista.» «Be', diciamo che farlo rinascere non mi sembrerebbe una questione di capitale importanza.» Tornò con lo sguardo al teschio. «Interessante. Sembra impossibile che possa ricostruire un volto dal nulla. Come fa?» «Cosa le importa? Basta che lo faccia!» «Sono curioso, è la mia croce. È così difficile?» «Oh, penso di no.» «Cosa sono quei bastoncini?» «Indicatori del tessuto. Sono fatti semplicemente con gomme da cancellare. Taglio ogni indicatore secondo le misure adatte e lo incollo in un punto specifico. Su un volto ci sono circa venti punti che presentano uno spessore del tessuto fisso; e tale spessore è quasi sempre uguale in individui
della stessa età, razza, sesso e peso. Esistono tabelle antropologiche che danno le misure medie di ogni punto. Per esempio, in un maschio bianco di peso medio, lo spessore del tessuto corrispondente al solco sottonasale è...» «Cosa?» «Mi scusi. Volevo dire che lo spazio tra la base del naso e il labbro superiore è di dieci millimetri. La conformazione dell'osso sotto i tessuti determina se una persona ha il mento aguzzo, occhi sporgenti, o altro.» «E poi cosa fa?» «Stendo uno strato di plastilina tra gli indicatori, ricoprendoli tutti.» «Sembra quasi un gioco... unisce i puntini.» «Sì, però si lavora in tre dimensioni e il gioco si fa molto più difficile. Devo concentrarmi sugli elementi scientifici della costruzione del volto, per esempio restare fedele alle misure dello spessore del tessuto mentre modello le strisce di plastilina, e individuare dove sono i muscoli facciali, e come influenzano i lineamenti.» «E per il naso? Il vecchio Jimmy non ce l'ha.» «È più difficile. Larghezza e lunghezza sono ancora una volta determinate dalle misurazioni. Per un individuo di razza bianca come Jimmy, misuro il punto più largo dell'apertura nasale, aggiungo cinque millimetri per lato alle narici e ottengo la larghezza totale. La lunghezza, o proiezione, dipende dalla misura dell'osso alla base dell'apertura nasale. È molto semplice: moltiplico le misure per tre e aggiungo la misura della profondità del solco sottonasale.» «Ah, di nuovo il famoso solco sottonasale.» «Vuole che le spieghi o no?» «Sì, io scherzo sempre quando mi trovo di fronte a cose che ignoro del tutto. Mi scusi, non volevo. Continui.» «L'osso alla base dell'apertura nasale determina anche l'ampiezza dell'angolo del naso; mostra se era all'insù, all'ingiù o dritto. Una volta completato il naso, le orecchie sono più facili, perché in genere sono lunghe quanto il naso.» «Sembra tutto molto preciso.» «Magari. Perfino con l'aiuto di tutte le formule, misure e dati scientifici sulla costruzione di un naso, non ho alcuna certezza di ricostruire quello giusto. Posso solo fare del mio meglio e sperare di azzeccare.» «E la bocca?» «Altre misurazioni. L'altezza delle labbra è determinata dalla distanza tra
la linea inferiore e superiore delle gengive; la larghezza è in genere pari alla distanza tra i canini, che spesso è anche uguale alla distanza tra le pupille. Lo spessore delle labbra è indicato nelle tabelle antropologiche sui tessuti. Come per il naso, non posso essere certa della forma esatta, quindi mi servono l'istinto e la riflessione per...» Spinse via il vassoio e si alzò. «Ma ora non ho tempo di parlare, devo tornare al lavoro.» «Mi sta congedando?» Poi aggiunse: «Potrei venire a guardarla ogni tanto, o si sentirebbe a disagio?» «Teme davvero che ricostruirò la faccia di Jimmy Hoffa?» «No. Ma... potrebbe succedere?» «Non mi ha ascoltata? È la struttura delle ossa a decidere.» «E il rimodellamento, il processo di riempimento, le misurazioni empiriche di naso e bocca...» «Certo, se avessi un'idea preconcetta dell'identità, potrei influenzare il risultato. Per questo non guardo mai le foto prima di avere finito. Ma durante il lavoro non mi permetto nessuna creatività; solo la scienza pura deve guidare la ricostruzione del volto. E solo quando la parte tecnica è finita posso considerare il volto nel suo insieme e aggiungere un tocco artistico per completarlo. Se non facessi così, il prodotto finale sarebbe una scultura, non una ricostruzione. Stia tranquillo che non succederà: Jimmy non avrà il volto di Hoffa, a meno che non sia Hoffa. Quindi non è necessario sorvegliarmi, Logan.» «Non ne avevo la minima intenzione. Ma se le confesso di essere nervoso e forse un po' preoccupato, mi farà entrare?» «Dubbi? La facevo così sicuro di Kennedy.» «Voglio vedere quel teschio mentre torna in vita, Eve. So che non merito alcun favore, ma me lo permetterà?» Lei esitò. Era ancora piena di rabbia e risentimento: dopo tutto quello che le aveva fatto, voleva solo mandarlo all'inferno; d'altra parte una tregua poteva essere necessaria per uscire sana e salva da quella storia. «Non m'importa, basta che non mi parli. Probabilmente non mi accorgerò neppure che è qui. Ma se apre bocca, la sbatterò fuori.» «Nemmeno una parola.» Si diresse verso la porta. «Non si accorgerà neanche di me. Le porterò cibo e caffè e mi acquatterò in un angolo come un gattino docile.» «Non ho mai visto gatti docili.» Si diresse al piedistallo, già determinata a ignorarlo. «Basta che stia zitto...»
Chevy Chase Mercoledì pomeriggio «Non mi sembra che proceda molto velocemente, Doprel», disse Fiske. «E non sta neanche lavorando sul teschio.» «Non lavoro mai sul teschio. Sto facendo un modello di gesso, lavorerò su quello.» «Fanno tutti così? Sembra una perdita di tempo.» «Non tutti, ma io preferisco così», rispose Doprel irritato. «È più sicuro. Con il teschio devo fare troppa attenzione.» «Timwick vuole un lavoro rapido, e questo modello è...» «Io lavoro così», disse Doprel freddamente. «Vado perfino più veloce se non devo stare attento.» «A Timwick non importa se il teschio viene danneggiato, non c'è tempo per fare un modello. Pensavo che volesse solo finire presto e tornare a casa.» «Non è così che...» Esitò un attimo. «Oh, al diavolo. E chi se ne frega se il dannato coso si rompe? Lavorerò sul teschio. Ora mi lasci in pace, Fiske. È qui per farmi da mangiare e portarmi quello che mi serve, non per criticare i miei metodi.» Stronzo arrogante. Lo trattava come uno sguattero! Ma lui ne aveva già visti di scienziati simili: pensavano di essere migliori e più intelligenti di tutti. Doprel, con tutta la sua preparazione e intelligenza, non avrebbe mai potuto fare ciò che lui riusciva a fare. Non ne avrebbe avuto né l'astuzia né il coraggio. Ma forse Doprel, prima ancora di finire il suo lavoro, avrebbe capito che si sbagliava a trattarlo in quel modo. Timwick aveva detto che dipendeva dai risultati. Fiske sorrise. «Non volevo offenderla. Vado a farle un po' di caffè.» Barrett House Mercoledì sera, 22.50 Finito. Eve fece un passo indietro, si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi stanchi. Il lavoro meticoloso della ricostruzione con le strisce di plastilina era finito, e le aveva messo a dura prova la vista. Adesso doveva fermarsi, non poteva rischiare di sbagliare. Voleva sedersi, riposare per un'oretta e
poi ricominciare. Si buttò sulla sedia della scrivania e chiuse gli occhi. «Sta bene?» chiese Logan. Lei sobbalzò e guardò nell'angolo. Cristo, aveva dimenticato che c'era anche lui! Nelle ultime ventiquattr'ore era entrato e uscito dal laboratorio come un fantasma, e non le aveva mai parlato. Sì, stava bene. Ma era stata così occupata con Jimmy che non ricordava molto di quelle ore. Solo di aver telefonato a sua madre, ma non le parole che le aveva detto. «Tutto bene?» ripeté Logan. «Certo, mi sto solo riposando. Non ho la vista più acuta del mondo, e mi si stancano gli occhi.» «Ci credo, non ho mai visto nessuno lavorare tanto alacremente. Come sta venendo?» «Non lo so. Non lo so mai finché non è terminato. Ora ho finito la parte tecnica, e viene il difficile.» «Un po' di riposo l'aiuterà.» Sedeva apparentemente a suo agio, ma Eve si rese conto d'un tratto della tensione che lo dominava. «Stavo infatti provando a riposare!» disse con asprezza. «Mi scusi... Pensavo di aiutarla. Temevo che sarebbe crollata da un momento all'altro...» disse con un mezzo sorriso. «Però non mi ha fermata.» «Non posso. I minuti passano. Quanto ancora?» «Dodici ore, forse di più. Non lo so. Tutto il tempo che ci vuole. Lei mi mette fretta, maledizione!» «Ha ragione.» Si alzò. «La lascerò sola a riposare. Perché non si stende sul divano? A che ora vuole che la svegli?» «Non voglio dormire, voglio solo riposare gli occhi.» «Allora tornerò più tardi. Se non le dispiace...» aggiunse uscendo. «Non importa.» Lei chiuse di nuovo gli occhi. «Mi dica, Logan, tutta questa cortesia, questa sua docilità non le vanno di traverso?» «Un po', ma posso conviverci. Ho imparato molto tempo fa che se non sei il motore di una macchina, è meglio oliare gli ingranaggi e non intralciare la strada.» «Mai sentito un peggiore miscuglio di metafore.» «Come fa a saperlo? Forse ha la mente troppo confusa per pensare.» «Non devo pensare. Da questo momento in poi si tratta solo di istinto: devo solo potere vedere.»
«Io posso darle da mangiare, ma non posso aiutarla.» «Nessuno può aiutarmi, adesso.» La porta si chiuse dietro di lui. «Nessuno», mormorò lei. «È solo tra me e te, vero, Jimmy?» Chevy Chase Mercoledì sera, 23.45 «Ha quasi finito, Timwick», disse Fiske. «Ha detto che è stato più facile del previsto, ci vorranno altre dodici ore.» «Hai visto il teschio?» «Non ci capisco niente, non ha neanche il naso o gli occhi. Secondo me, sta perdendo tempo.» «Questo sarò io a deciderlo. Chiamami quando ha finito e arriverò subito.» Fiske riattaccò. Ancora dodici ore, e avrebbe saputo chi era il bersaglio, Doprel, o Logan e la Duncan. Sperava quasi che fosse Doprel: Logan e la Duncan costituivano una sfida maggiore, ma Doprel iniziava a infastidirlo oltre ogni limite. Barrett House Giovedì mattina, 6.45 Eve modella la cera. Con delicatezza. Con sensibilità. Le punte delle dita si muovono da sole. Non pensa. «Aiutami, Jimmy.» La cera è fredda, ma le dita sembrano calde, quasi bruciano, mentre modellano e lisciano. Orecchie generiche. Devono essere sporgenti, o avere i lobi più lunghi? Un naso più lungo e sottile. E la bocca? Ancora generica. Ne conosce bene la larghezza, ma non la forma. Modella allora le labbra chiuse, senza espressione. Gli occhi. Così importanti. Così difficili. Niente misurazioni, pochissime indica-
zioni scientifiche. A che serve affrettarsi? Meglio studiare la forma e l'angolo delle orbite. La dimensione dei bulbi oculari è più o meno la stessa per tutti, e cambia di poco dall'infanzia all'età adulta. Deve dare a Jimmy occhi sporgenti, infossati, o normali? L'angolo delle orbite e l'osso sopra di esse potrebbero aiutarla a decidere. Ma non ancora. Gli occhi sono sempre un problema. La maggior parte degli scultori forensi lavora a partire dalla cima della testa in giù, inserendo gli occhi già dall'inizio. Ma Eve non lo faceva mai: aveva notato che tendeva a fare troppo in fretta se gli occhi la fissavano. «Portami a casa», sembra dire Jimmy. Eve modella ancora lo zigomo, per non renderlo troppo affilato. Non guarda l'intero volto. Considera separatamente ogni sezione e struttura. Leviga. Riempie. Rallenta. Non può ancora lasciarsi andare. La mente non deve ancora guidare del tutto le mani. Non può visualizzare. Deve ricostruire. Le misure sono importantissime, vanno controllate di nuovo. Larghezza del naso, 32 millimetri. Bene. Proiezione del naso, 19 millimetri. Bene. Altezza delle labbra, 14 millimetri. No, dovrebbe essere di 12. Deve ridurre il labbro superiore, in genere è più sottile di quello inferiore. Riempie di più intorno alla bocca, lì sotto c'è un muscolo importante. Dà più forma alle narici. Una ruga sottile ai lati del naso. Quanto profonda? Che cosa importa? Nessuno identifica un soggetto dalle rughe. Più profondità al labbro inferiore. Perché? Non importa, deve farlo. Leviga. Modella. Riempie. Zampe di gallina agli angoli degli occhi, rughette intorno alla bocca. Lavora febbrilmente, le dita scorrono sul volto di Jimmy. Ci siamo quasi. «Chi sei, Jimmy? Aiutami. Faremo una foto, la diffonderemo e qualcuno ti porterà a casa.» Leviga. Modella.
Basta, ora. Fece un passo indietro e tirò un sospiro. Aveva fatto tutto il possibile. Tranne gli occhi. Che colore? Logan avrebbe preferito di sicuro il blu. Gli occhi azzurri di Kennedy erano famosi come il suo sorriso. Al diavolo Logan, quel volto non poteva appartenere a Kennedy. Indietreggiò ancora e per la prima volta si permise di guardare quel viso nel suo insieme, Avrebbe usato il colore castano che in genere... «Oh mio Dio!» Rimase immobile, fissando il volto che aveva creato. Come se le avessero dato un pugno nello stomaco. No. Non era possibile. Lentamente, con fatica, andò verso il tavolo dove la scatola dei bulbi oculari era già aperta. Gli occhi scintillavano... azzurri, nocciola, castani, marroni, verdi. Prese la scatola e la portò vicino al piedistallo. Era stanchissima, forse la mente le stava giocando qualche brutto scherzo. Gli occhi avrebbero fatto la differenza. Scelse quelli scuri. Le tremavano le mani mentre prendeva il primo bulbo oculare e lo inseriva nell'orbita sinistra. Poi prese il secondo e lo inserì in quella destra. «Ha messo gli occhi sbagliati», disse Logan dall'angolo. «Lo sa, Eve.» Eve fissò gli occhi scuri, e sentì la schiena irrigidirsi. «Non lo so.» «Metta quelli giusti.» «Ho sbagliato. Devo aver fatto un errore da qualche parte.» «Lei non si permette mai di sbagliare. Metta gli occhi che sa che appartengono a quel volto.» Rimosse gli occhi scuri e li mise di nuovo nella scatola. Intontita, fissava gli altri occhi. «Sa quali usare, Eve.» «E va bene!» Prese altri due bulbi e li conficcò nelle orbite. «Ora faccia un passo indietro e lo guardi.» Si allontanò dal piedistallo. Incredibile, non poteva essere vero. Eppure non c'era dubbio... «Bastardo!» La voce le tremò mentre fissava nel teschio gli occhi grigi. Tremava tutta, sembrava che il mondo intero sprofondasse sotto i suoi piedi. «È Ben Chadbourne. È il Presidente!» Chevy Chase
«Allora?» chiese bruscamente Doprel. «È il vostro terrorista?» Timwick guardò la testa. «È sicuro che questa sia la ricostruzione giusta?» «Sono sicuro. Posso tornare a casa, adesso?» «Sì, e grazie per il suo prezioso aiuto. La farò riaccompagnare immediatamente a New York. È ovvio, non dovrà parlarne in giro.» «Non ne ho alcuna intenzione, non è stato uno dei migliori lavori della mia carriera. Vado a fare le valigie.» Doprel uscì in fretta. «Lo devo accompagnare io?» chiese Fiske a Timwick. «No. Il teschio era una trappola. Doprel non serve più, lo farò portare a casa da qualcun altro. Ho un nuovo lavoro per te, ma devi sbrigarti.» Prese il telefono. «Lasciami solo, devo fare alcune telefonate.» Aspettò che Fiske uscisse, poi fece il numero della linea di massima sicurezza alla Casa Bianca. «Non è lui. Stessa età, stessa struttura, ma non è lui.» Barrett House «Mi ha mentito...» sussurrò Eve. Si voltò verso Logan. «Ha mentito!» «Sì. Ma è l'ultima bugia che le dirò.» «E pensa che io ci caschi di nuovo? Ogni volta scopro che mi ha mentito ancora. Non ha mai pensato che fosse Kennedy! Ha perfino messo nella scrivania tutti quei libri e documenti su di lui per farmelo credere! Tutto fumo negli occhi!» «Ho lavorato sodo per creare una bugia plausibile. Dovevo avere una copertura per nascondere la mia ricerca sulle rivelazioni di Donnelli. È per questo che ho creato la falsa pista di Kennedy: così non avrebbero capito se sospettavo veramente qualcosa o se ero solo un eccentrico. Allo stesso tempo ho iniziato a cercare uno scultore forense, l'unica persona che poteva dirmi se la storia di Donnelli conteneva almeno un fondo di verità.» «Io.» «Sì, lei era il personaggio chiave che mi serviva.» Eve guardò di nuovo Jimmy. No, non era più Jimmy. Era Ben Chadbourne, presidente degli Stati Uniti d'America. «È una follia. Quando mi ha raccontato cosa era successo alle pompe funebri di Donnelli, pensavo che fosse accaduto almeno vent'anni fa. Voleva che pensassi così.» «Sì. Invece i fatti risalivano a solo due anni fa.»
«Bugie.» «Non doveva in alcun modo farsi influenzare o nutrire idee preconcette. Era l'unico modo per garantire che avrebbe ricostruito il volto giusto per quel teschio.» Guardò anche lui il viso di Chadbourne. «È stato come un miracolo vederla lavorare, riportarlo in vita. Ero quasi sicuro che fosse lui, ma a ogni tocco sembrava che...» «Com'è morto? Omicidio?» «Forse. Sarebbe una spiegazione logica.» «E l'uomo alla Casa Bianca sarebbe uno dei suoi sosia?» Lui annuì. «No, è pazzesco. Non potrebbero farla franca con personaggi come Chadbourne, o Kennedy. Ricoprono posizioni troppo importanti.» «Eppure l'hanno fatto.» «Timwick?» «Lui è il primo esecutore.» «Per conto di chi?» «La moglie di Chadbourne. È lei che muove tutto. L'unica in grado di proteggere qualsiasi sosia, e di addestrarlo.» Lisa Chadbourne. Eve la ricordava durante la conferenza stampa, in un angolo del palco, mentre guardava amorevolmente il marito. «E lei sarebbe l'assassina?» «Forse. Non possiamo saperlo finché non scopriamo cosa è successo a Ben Chadbourne.» «Perché l'avrebbe fatto?» «Non lo so. Per ambizione, probabilmente. È intelligente, ha esperienza, sa come gestire una situazione. Ha lavorato sodo per pagarsi la facoltà di legge ed è diventata avvocato in un prestigioso studio legale. Dopo aver sposato Chadbourne, lo ha spinto fino alla Casa Bianca e, una volta arrivata lì, non ha sbagliato un colpo. È una perfetta First Lady...» sorrise sardonico. «Non posso credere che sia stata lei.» «Me lo immaginavo, io stesso ho stentato a crederci. L'avevo incontrata un paio di volte, e mi piaceva: quella combinazione di fascino e intelligenza era molto disarmante.» Eve non credeva alle sue parole. «La sto frastornando. Vorrei tanto che lei potesse assimilare tutto con calma, ma abbiamo quasi esaurito il tempo a nostra disposizione.» Si alzò. «Va bene, può non credere che sia stata Lisa Chadbourne, immagini pure
che c'è qualcun altro dietro. Ma ammetterà che la Chadbourne debba come minimo fare parte del complotto, perché riesca?» «È... ragionevole.» Guardò il teschio. «E se non fosse Chadbourne? Se fosse un sosia?» «È Chadbourne.» «Solo perché lo dice lei?» «Perché è lui. È l'unica cosa sensata. E anche perché è stato James Timwick a portare il corpo a Donnelli.» «Come fa a esserne sicuro? Il padre di Donnelli potrebbe aver mentito.» «Sì, potrebbe. Infatti, a quanto pare, era un gran delinquente... ma non certo un delinquente stupido. Aveva a che fare con personaggi pericolosi, e doveva difendersi. Nel crematorio aveva nascosto un registratore, che incise la voce di Timwick. Era parte dell'eredità lasciata al figlio, e l'esca alla quale io ho abboccato. Proprio a causa di quel nastro, ho chiesto a Gil di verificare l'intera storia.» «Se fosse in possesso di una prova così decisiva, non gliene servirebbero altre. Potrebbe portare il nastro alle autorità o ai media e loro...» «Non era sufficiente, non conteneva dettagli. Non diceva 'Salve, sono James Timwick e sto cremando il presidente degli Stati Uniti d'America'. Riportava solo una generica conversazione: Timwick che ordina a uno dei suoi uomini di aiutarlo con il corpo, e poi chiede una sedia. Evidentemente il poverino aveva avuto una serataccia ed era stanco. Cose del genere.» «Allora come sa che era Timwick?» «Lo conosco. È il direttore dei Servizi Segreti, assisteva Chadbourne in molte funzioni, e...» «Servizi Segreti? Aveva detto che era al Dipartimento del Tesoro! Ah, già, i Servizi Segreti fanno parte del Dipartimento del Tesoro. Solo un'altra piccola omissione.» «Mi dispiace.» Continuò: «Timwick aveva avuto un'eccellente carriera ed era uno dei personaggi chiave per la rielezione di Chadbourne. Ha una voce inconfondibile, viene dal Massachusetts e l'accento è evidentissimo. Sospettavo che fosse lui, e, quando Donnelli Junior mi ha mandato il nastro, ho guardato alcune delle videocassette che avevo della campagna per la rielezione di Chadbourne, e ho fatto dei confronti. Non è stato difficile. A Timwick non piace stare in secondo piano: secondo me, era deluso perché Chadbourne non gli aveva dato un posto nel Governo». «Non posso credere che abbiano lasciato vivo Donnelli solo per farsi ricattare. Non potevano semplicemente costringerlo a dargli la cassetta e il
teschio?» «Donnelli gli fece sapere di avere consegnato una copia della cassetta, con una spiegazione, a un avvocato, che l'avrebbe immediatamente passata ai giornali se lui fosse morto o sparito.» «Però è sparito lo stesso.» «Ma non per colpa loro, quindi pensarono solo che avesse stipulato un accordo migliore. Immagino che la caccia sia stata spietata. Ho preso tutte le precauzioni, ma forse qualcosa li ha portati a credere che Donnelli mi avesse contattato.» Poi aggiunse: «O forse no: magari stavano cercando chiunque fosse sospetto, e io ho fatto suonare il campanello d'allarme». «È incredibile. Perché si sarebbero liberati di Chadbourne?» «Non ho idea, posso solo tirare a indovinare. Lisa Chadbourne è una donna unica, molti dicono che sarebbe stata un presidente migliore del marito; ma, a quanto pare, il paese non è ancora pronto per una donna alla Casa Bianca, quindi lei deve lavorare dietro le quinte. Dev'essere stato davvero tremendo per lei rimanere in secondo piano. E Ben Chadbourne era un uomo forte, forse voleva controllarla di più. Controllare di più il paese.» «Ci sono troppi forse in questa storia.» «Non ho altri elementi. Posso dire solo che credo sia andata così. Mi fa un favore? Vada nella biblioteca, prenda le videocassette in alto a destra sulla scrivania. Ce ne sono tre con discorsi e conferenze stampa recenti di Ben Chadbourne. Ho fatto un montaggio, per agevolare i confronti. Le sarei grato se provasse a guardarle senza pregiudizi.» «E cosa dovrei capire?» «Le guardi.» «Che follia. Come una specie di...» «Che male le può fare?» Dopo un attimo di silenzio, lei annuì. «Va bene. Vado a guardarle.» Non appena Eve fu uscita, Logan chiamò Gil. «Ha finito. È la testa di Chadbourne.» Gil bestemmiò. «Non capisco perché mi sorprendo, sapevamo che probabilmente era lui.» «Ehi, io l'ho guardata lavorare, e ciononostante mi sono sorpreso quando ho visto il suo volto.» «Come l'ha presa?» «Moltiplica la tua reazione all'infinito, e potrai fartene un'idea. Non sa se credermi, e non la biasimo: neanch'io lo farei dopo tutte le volte che l'ho
ingannata. Per fortuna ha accettato di guardare le videocassette, e dopo che avrà finito le farò un altro discorsetto.» «Abbiamo tempo?» «Dio solo lo sa. Ma l'identità del teschio è solo il primo passo. Abbiamo ancora bisogno di lei, e deve assolutamente credere che sia Chadbourne. Poi tutto andrà per il verso giusto. Pronto a partire?» «Sì.» «Di' a Mark e Margaret di fare i bagagli e mandali via il prima possibile.» «Subito.» Logan riappese e si avvicinò alla testa di Chadbourne. Povero bastardo, non meritava quella fine. Non aveva mai ammirato la sua politica, ma l'uomo gli era piaciuto: a nessuno poteva non piacere Ben Chadbourne. Aveva nutrito dei sogni, aveva provato a realizzarli. Gli mancava il senso pratico, e forse avrebbe fatto raggiungere cifre astronomiche al debito pubblico, ma di sognatori non ce n'erano più molti in giro. E quei pochi finivano spesso come quell'uomo che lo fissava con occhi di vetro. Undici Impossibile. Chadbourne... Eve fissò lo schermo. L'ultima videocassetta era quasi terminata. Il volto era lo stesso, così come i gesti. Perfino la voce e l'intonazione sembravano identiche. Lisa Chadbourne era presente in quasi tutte le apparizioni pubbliche di suo marito, a partire dal novembre di due anni prima. Eve aveva iniziato a concentrarsi su di lei guardando l'ultimo nastro. Sempre affascinante, con il suo sorriso affettuoso, gli occhi puntati su Chadbourne. E lui che la guardava spesso, con affetto e rispetto, perfino durante... Eve balzò sulla sedia. Guardò ancora qualche minuto quel nastro, poi si precipitò a riavvolgere la cassetta. «Gli lancia dei segnali», disse Eve tornando nel laboratorio, dieci minuti dopo. «C'è tutto un sistema di segnali: quando lei si aggiusta la gonna, lui
fa una battuta. Quando posa le mani in grembo, lui risponde negativamente. Quando si aggiusta il colletto della giacca, è un sì. Non so ancora cosa vogliano dire gli altri, ma questi sono evidenti. Ogni volta che è incerto, lei gli suggerisce la risposta.» «Sì.» «Lo sapeva! Perché non mi ha detto di farci caso?» «Speravo che lo avrebbe notato da sola.» «Lo controlla come una marionetta...» disse lentamente. Logan la guardò con attenzione «E crede davvero che il Ben Chadbourne eletto Presidente acconsentirebbe a fare la marionetta nelle mani della moglie?» Lei rimase in silenzio per un attimo. «No.» «Quindi è ragionevole pensare che quell'uomo non sia Ben Chadbourne?» «Non è ragionevole, è pazzesco... ma potrebbe anche essere vero.» «Grazie a Dio.» Fece un profondo sospiro di sollievo e si avviò verso la porta. «Metta via il teschio, c'è una valigia di pelle nell'armadio. Dobbiamo andarcene.» «Non finché non avremo parlato. Non mi ha ancora detto tutto, vero?» «No, ma parleremo dopo. Non so quanto tempo abbiamo. Dovevo conquistarmi la sua collaborazione. Questa è l'unica ragione per cui ho rischiato di rimanere così a lungo in questo luogo.» «Certo che abbiamo tempo, accidenti, teme che qualcuno superi le recinzioni?» «Forse», rispose con aria cupa. «Potrebbe succedere, a questo punto tutto può accadere. Pensi al potere del Presidente. Non c'è niente che non possa rimanere segreto, se disponi della faccia giusta. Se pensano di essere in possesso del teschio di Chadbourne, andranno con calma, ci elimineranno uno a uno tranquillamente. Ma appena scopriranno di avere il teschio sbagliato, capiranno che noi abbiamo quello del Presidente, e faranno di tutto per riprenderselo e cancellare ogni possibile testimone dalla faccia della terra.» Eve sentì montare il panico. Se quello sul piedistallo era, come credeva, il volto di Ben Chadbourne, allora Logan aveva ragione: la minaccia era reale. Dopo tutte le bugie che le aveva raccontato, non poteva fidarsi, ma era stata lei stessa a ricostruire quel volto. Se si fidava della propria bravura, allora non doveva avere dubbi: il teschio era di Ben Chadbourne.
Si avvicinò rapidamente al piedistallo. «Muoviamoci! Io prendo la testa.» Chevy Chase «Kenner e sei dei suoi uomini saranno qui in elicottero tra dieci minuti», disse Timwick a Fiske uscendo dal laboratorio. «Andrete a Barrett House.» «Non ho intenzione di strisciare di nuovo davanti a quello stronzo di Kenner.» «Non dovrai strisciare davanti a nessuno, ora è il tuo turno. Ho dato istruzioni a Kenner di assisterti ed eliminare ogni traccia del tuo passaggio.» Era ora. «Logan e la Duncan?» «E tutti gli altri lì dentro. Margaret Wilson e il tecnico sono già andati all'aeroporto, li rintracceremo dopo; non sono molto importanti, altrimenti Logan non avrebbe permesso loro di andarsene. Ma Price, la Duncan e Logan sono ancora a Barrett House. Sono loro i tuoi bersagli. Devi agire in qualsiasi modo: non possiamo lasciare vivo nessuno che sappia cosa è accaduto in quella casa.» Così andava ancora meglio, pensò Fiske. Un lavoro semplice e pulito. Chiunque Timwick avesse contattato al telefono, era chiaramente più intelligente di lui. «Nessun testimone?» «Nessun testimone.» «Cosa diavolo fa?» chiese Logan tornando nel laboratorio con una valigia. «Dovremmo mettere al sicuro il teschio!» Eve riposizionò le macchine fotografiche. «Faccio qualche altra foto, potrebbe servirmi.» «Le farà dopo.» «Mi garantisce che andremo in un posto dotato di attrezzature tecniche?» «No.» «Allora stia zitto.» Scattò ancora due volte. «Sto facendo più in fretta che posso.» «Dobbiamo andarcene, Eve.» Scattò tre foto del profilo sinistro. «Dovrebbe bastare. Dove sono le foto di Ben Chadbourne che mi ha detto di avere?» Lui prese una busta marrone dalla valigia.
«Sono recenti?» «Tutte degli ultimi quattro anni. Ora possiamo andare?» Lei infilò la busta nella sua borsa, mise il teschio nella valigia di pelle e lo fissò bene con delle cinghie interne. Indicò l'apparecchio vicino alle macchine fotografiche. «Lo metta in valigia, potrebbe servirmi.» «Cos'è?» «È il mixer. Potrei arrangiarmi con macchine fotografiche, videoregistratori e monitor, ma con un mixer riesco a fare un lavoro migliore. Potrei non...» «Lasciamo perdere, faccia finta che non gliel'ho chiesto.» Prese il mixer e lo sistemò in valigia. «Altro?» «Prenda la scatola di Ben, io prendo Mandy.» «Mandy?» «Lei ha le sua priorità, io le mie. Mandy per me è importante quanto Ben Chadbourne per lei.» «Prenda quello che vuole, basta che ce ne andiamo.» Gil li raggiunse all'entrata. «Mi dispiace, posso solo portare una borsa per lei, Eve... Con questa spalla, non posso fare altro.» «Non importa. Andiamo.» «Un attimo. C'è un altro... Merda!» Anche lei lo aveva sentito: un rumore sordo, che cresceva ogni attimo. Un elicottero. Logan andò alla finestra. «Atterreranno in pochi minuti.» Corse in cucina. Eve lo seguì. «Dov'è Margaret? Devo...» «Lei e Mark sono partiti da più di un'ora», disse Gil. «Ormai dovrebbero già essere all'aeroporto. Fra tre ore saranno in una casa sicura a Sanibel, in Florida.» «E noi dove andiamo? Non dovremmo tentare di raggiungere la limousine?» «Non c'è tempo... e di sicuro qualcuno ci aspetta fuori del cancello.» Logan aprì la porta del ripostiglio. «Andiamo!» Toccò qualcosa sotto uno scaffale, sollevò una botola e lanciò la valigia nel vuoto. «Non faccia domande, scenda.» Eve scese lentamente in una specie di cantina con il pavimento in terra battuta. Logan la seguì. «Chiudi la porta del ripostiglio, Gil.» «Fatto. Sono entrati in casa, John, li ho sentiti all'ingresso.» «Allora sbrigati e chiudi la botola!» ordinò Logan.
«Attenzione! Butto giù la valigia!» Un attimo dopo tutto fu buio: Gil aveva chiuso la botola con un lucchetto. Passi sul pavimento di legno sopra di loro. Grida. «Dove siamo?» sussurrò lei. «Una cantina?» «Sì, con un tunnel.» Mentre lo imboccavano, la voce di Logan era quasi impercettibile. «Mi ha chiesto perché ho comprato proprio questa casa: la usavano per nascondere gli schiavi scappati dal Sud prima della Guerra Civile. Ho fatto rinforzare le travi del soffitto. Il tunnel sbocca circa mezzo chilometro più avanti, oltre le recinzioni, nel bosco. Stia attenta! Non posso rischiare di accendere la torcia prima della prossima curva.» Camminava così in fretta che Eve e Gil erano quasi costretti a correre per stargli dietro. Dovevano essere usciti dalla casa, pensò lei con sollievo, non sentiva più i passi sopra di loro. La torcia di Logan illuminò il buio. «Correte! Staranno cercando in tutta la casa, e non ci vorrà molto prima che trovino la botola.» Lei stava correndo, dannazione! Respirava con grande difficoltà. Sentì Gil bestemmiare sottovoce dietro di lei. Era ferito, per quanto tempo poteva reggere quel passo? Davanti a lei, Logan aprì una porta. Grazie a Dio. Su per la scala. Luce. Un folto strato di rami copriva la porta, ma la luce filtrava lo stesso. Aria fresca. Fuori. «Presto! Solo un altro po'...» Seguirono Logan che si districava tra la vegetazione. Dietro un cespuglio era nascosta una macchina, una vecchia Ford blu arrugginita. «Sedetevi dietro!» Logan si mise al volante, poggiando la testa di Chadboume sul sedile accanto a sé. Eve affondò sul sedile posteriore prima di Gil e sistemò davanti a sé la scatola di Mandy. Logan mise in moto e iniziò a percorrere il terreno sconnesso. Cristo, e se avessero bucato una gomma? «Dove stiamo andando?» «C'è una strada di campagna fra tre chilometri, da lì attraverseremo il bosco e ci ritroveremo sull'autostrada.» La macchina sobbalzò su un'altra
cunetta. «Così dovremmo guadagnare tempo. Probabilmente cercheranno di trovarci con l'elicottero, ma dalla targa di quest'auto non possono risalire a me.» Sempre se arriveremo alla strada, pensò Eve mentre avanzavano tra gli arbusti. «Stia tranquilla, va tutto bene.» Gil la guardò. «Ho fatto mettere gomme rinforzate e un nuovo motore, la carretta non è decrepita come sembra.» «Come va la spalla?» «Meglio.» Sorrise timidamente. «Ma mi sentirei più tranquillo se non fosse di nuovo John a guidare.» «Non c'è nessuno nel tunnel.» Kenner risalì la scaletta della cantina. «Finisce nel bosco. Ho mandato due uomini a controllare.» «Se Logan ha pensato a una botola, ha previsto anche un mezzo di trasporto.» Fiske uscì dal ripostiglio. «Controllerò la zona dall'elicottero. Resta qui e brucia tutto, niente pulisce meglio del fuoco.» «Va bene, farò saltare in aria la casa.» Idiota! Meno male che ora era Fiske a comandare. «Non un'esplosione. Un incendio. Niente benzina, deve sembrare un vero corto circuito.» «Ci vorrà del tempo.» «Ne vale la pena per fare un lavoro pulito.» Si avviò verso l'elicottero. «Occupatene tu.» Dopo dieci minuti di volo, con il cellulare chiamò Timwick. «In casa non c'era nessuno, stiamo controllando la zona, ma senza risultati, finora.» «Figlio di puttana...» «Possiamo ancora trovarlo. Altrimenti mi servirà una lista di posti dove Logan potrebbe rifugiarsi.» «L'avrai.» «E ho dato ordine di bruciare la casa per distruggere le prove.» «Bene. A dire il vero ti avrei detto di farlo comunque, era parte del piano d'emergenza che mi era stato trasmesso. Ah, un'altra cosa: mi serve un corpo tra le macerie.» «Come?» «Un cadavere carbonizzato, irriconoscibile.» «Chi?» «Chiunque, basta che sia alto quanto Logan. Richiamami quando hai finito.» Fiske spense il telefono. Era la prima volta che Timwick ammetteva di
avere ricevuto degli ordini, invece di consultarsi semplicemente con i suoi pari. Interessante, volevano che Logan sembrasse morto. Chissà cosa... Sorrise improvvisamente e si rivolse al pilota. «Torna subito alla casa!» Un senso di piacere lo pervase nel ripensare alle parole di Timwick: «Chiunque, basta che sia alto quanto Logan». Kenner! «Andiamo a sud...» disse Eve. «È troppo sperare che mi riporti ad Atlanta?» «Infatti. Andiamo in North Carolina, ho una casa sulla spiaggia. Ci pensi bene, non vorrà certo causare problemi a sua madre tornando a casa.» No, non voleva, pensò rassegnata. Era stata risucchiata in un vortice di inganni e morte, e la mamma doveva restarne fuori. «E che faremo in North Carolina?» «Dobbiamo avere una base», disse Gil. «La casa è sulla spiaggia, in una zona di vacanze molto frequentata. I vicini sono tutti turisti, non faranno caso ai nuovi arrivati.» «Tutto previsto. Era così sicuro che fosse Chadbourne?» «Quasi sicuro. Come vede, ho dovuto predisporre dei piani basandomi su questa ipotesi.» «Al momento non capisco molto, tranne che mi ha usato senza il minimo scrupolo. Mi ha fatto cadere in una trappola, in modo che l'unica scelta possibile mi avrebbe portato a scoprire la morte di Chadbourne.» «Sì.» Logan la guardò dallo specchietto. «Deliberatamente.» «Bastardo.» «Proprio così.» «Potresti trovarmi una stazione country alla radio, John?» piagnucolò Gil. «Devo rilassarmi un po', sono malato e tutta questa tensione non mi fa per niente bene.» «Scordatelo.» Eve si rivolse a Gil. «E tu non sei realmente il bravo ragazzo di campagna che fa l'autista, vero?» «Certo che lo sono... Ma ho anche lavorato per i Servizi Segreti con la penultima amministrazione, e sei mesi con Chadbourne. Ero davvero stufo di avere a che fare con quel despota di Timwick e volevo andare il più lontano possibile da Washington. Pensavo che un lavoretto tranquillo sul Seventeen Mile Drive fosse proprio quello che ci voleva. Non è andata come credevo, ma potrei dire che i miei contatti con quelli che contano mi hanno
reso più prezioso per John.» «E Margaret?» «Lei è solo quello che appare: un'energica donna del mondo degli affari.» «Non sa niente di Chadbourne?» «No, ho cercato di tenerla più all'oscuro possibile», rispose Logan. «Non sa nemmeno della casa sulla spiaggia, ho fatto tutto io.» «Che carino.» «Non sono quel criminale che pensa! Voglio che nessuno corra rischi inutili.» «Invece io ero un rischio utile. Quando è diventato Dio, Logan?» «Ho fatto quello che dovevo fare.» «Per la sua dannata politica.» «No, c'è dell'altro. Il sosia di Ben Chadbourne alla Casa Bianca si comporta come il Presidente, ma non ne ha né i principi morali né la preparazione. Non voglio che quell'uomo, spingendo un bottone, scateni la terza guerra mondiale.» «Allora lei non è un opportunista politico, Logan, è un patriota?» «Patriota un corno, voglio solo salvarmi il culo.» «Questo lo credo.» «Non è necessario che mi creda, ma che capisca che siamo dalla stessa parte.» «Oh, certo, dalla stessa parte. Me l'ha dimostrato. Mi ha gettato proprio in mezzo a questo pasticcio.» Chiuse gli occhi. «E sa chi è l'uomo alla Casa Bianca?» «Crediamo che sia Kevin Detwil, uno dei tre sosia usati durante i primi quattro anni di governo di Chadbourne», disse Gil. «Detwil è stato impegnato solo due volte per brevi apparizioni pubbliche, e poi si è licenziato. Diceva di volere tornare a casa nell'Indiana per ragioni personali, ma in realtà è andato in Sud America per un'altra chirurgia plastica.» «Un'altra chirurgia plastica?» «Aveva subìto degli interventi a Washington prima di essere assunto. Una volta invischiato nel complotto, doveva sembrare esattamente Chadbourne, perfino avere le stesse cicatrici sulla schiena. L'hanno dovuto addestrare nei minimi dettagli anche sui gesti, sulla voce, e così via. E ha imparato la politica, il modo di agire, la vita quotidiana alla Casa Bianca. Lisa Chadbourne lo avrebbe aiutato, ma non poteva recitare la sua parte senza preparazione.»
«Immagino che queste siano tutte ipotesi.» «Gli altri due sosia sono vivi e vegeti, e appaiono in pubblico ogni tanto. Detwil non è mai arrivato nell'Indiana. Però sono riuscito a scoprire che trafficava con una clinica privata vicino Brasilia e con un certo dottor Hernandez, noto per regalare nuovi volti a delinquenti, assassini e terroristi. Detwil entrò in clinica col nome di Herbert Schwartz. Poco dopo che Schwartz fu dimesso, lo sfortunato dottor Hernandez precipitò dal suo attico.» «Kevin Detwil...» ripeté lentamente Eve. «Per fare una cosa del genere non dev'essere uno proprio a posto. Eppure il Governo doveva sapere tutto su di lui, dev'essere stato fatto un controllo di sicurezza.» «Certo, ma non ci sono molte persone al mondo che potrebbero passare per il Presidente, quindi la scelta è limitata. Il controllo di sicurezza, in questi casi, serve solo a determinare se il soggetto è abbastanza discreto da tenere la bocca chiusa, e che non sparerà a nessuno e non farà fare figuracce al Governo. Frugando nel passato di Detwil troviamo un bambino stabile, moderatamente intelligente, che è diventato un uomo normale, anche un po' noioso. Non è sposato, è cresciuto con sua madre, e ha vissuto con lei finché non è morta cinque anni fa.» «E il padre?» «Se l'è svignata quando lui era bambino. Evidentemente era succube della madre.» «Il che lo ha preparato perfettamente per finire nelle grinfie di Lisa Chadbourne», disse Logan. «È facile che un uomo con un passato del genere si lasci plasmare da un'altra donna che lo domini.» «Ma perché rischiare tanto? Ha detto che Detwil è normale e noioso.» «Eppure ha visto le registrazioni: gli piace. È brillante. Immagini di avere passato una vita intera a fare lo zerbino, e improvvisamente si ritrova a essere l'uomo più importante del mondo. Tutti si inchinano, tutti ti ascoltano. È un Cenerentolo, e Lisa Chadbourne gli ha dato la scarpetta di cristallo.» «Con i lacci!» fece notare Eve. «Probabilmente lui non desiderava altro. È abituato ai lacci, possono rendere più sicure alcune persone.» «Quindi immagino che le sia attaccato.» «A volte può sembrare nervoso, ma mai quando in giro c'è lei, che non lo perde mai di vista. Lisa Chadbourne è diventata la cosa più importante della sua vita.» «Abbastanza importante da uccidere il Presidente per lei?»
«Certamente lei non avrà rischiato di coinvolgerlo nel delitto vero e proprio, lui non ne avrebbe avuto il fegato.» «Sempre che lo abbiano ucciso. Non ha le prove dell'assassinio.» «Speravo che lei potesse aiutarmi a capirlo.» Eve sapeva che l'obiettivo di Logan era quello, ma non voleva impegnarsi ancora di più. Le serviva del tempo per assimilare tutto quello di cui era venuta a conoscenza e decidere, in cuor suo, se poteva essere vero. «Immagino.» «Non ha molte scelte.» «Stronzate!» «Be', nessuna scelta che sia decente.» «Non mi parli di decenza, proprio lei.» «Forse è il caso di accendere la radio», mormorò Logan. «Perché non prova a riposare un po'? La sveglierò quando saremo arrivati nel North Carolina.» Accese la radio, e le note del Peer Gynt di Grieg inondarono l'auto. «Oddio...» Gil si raggomitolò nell'angolo. «Eve, mi salvi, gli dica di spegnerla. Penso di avere una ricaduta...» «Si salvi da solo.» La musica iniziava a calmarla. «Non mi sembra che lei si sia mai preoccupato molto delle mie necessità. Almeno non quando intralciavano i progetti di Logan.» «Ahi, lasci perdere, posso abituarmi alla musica classica. Anzi, quando arriveremo a casa, probabilmente preferirò il vecchio Grieg al country.» Dodici «Sicuro che ci siano riusciti, James?» chiese Lisa Chadbourne a Timwick. «Abbiamo speso già abbastanza tempo, non possiamo fare altri errori!» «Barrett House sta bruciando. L'unico ritardo è dovuto alla messinscena perché sembrasse un corto circuito.» «State andando a recuperare il corpo? Non vorrei che lo trovassero prima i pompieri.» «Non sono stupido, Lisa. Lo prenderanno subito e lo porteranno a Bethesda.» Sembrava infastidito, lei mostrava quei suoi modi troppo autoritari. Con tutti gli alto era facile, ma con Timwick era sempre difficile trovare un buon equilibrio. In pubblico era sempre stato rispettoso, ma in privato non
le faceva mai dimenticare che erano complici. Addolcì il tono. «Scusami, lo so che stai facendo tutto il possibile... Sono solo un po' spaventata, mi sento indifesa.» «Come un cobra reale.» Lisa ne fu scioccata: era la prima volta che Timwick usava il sarcasmo con lei. Non era un buon segno. Aveva notato che di recente era nervoso e teso, e ora se la stava prendendo con lei. «Me lo merito, James? Avevamo deciso che bisognava farlo, e sono sempre stata onesta con te.» Silenzio. «Non mi aspettavo questo. Mi avevi detto che tutto sarebbe filato liscio.» No, non doveva arrabbiarsi, pensò Lisa, ma considerare la situazione nel suo complesso. Timwick le serviva, e faceva solo il suo lavoro, come lei d'altronde. Tentò di nascondere l'irritazione. «Faccio del mio meglio. Sei tu che non hai aspettato abbastanza nel crematorio...» gli ricordò con tono gentile. «Non avremmo avuto problemi se ti fossi assicurato che Donnelli aveva fatto bene il suo lavoro.» «Ero lì da un po' a guardarlo bruciare, pensavo di poter andare via. Come facevo a sapere che ci vuole tanto per bruciare un corpo?» Lei lo avrebbe capito, pensò Lisa, e avrebbe assunto le informazioni necessarie. Che stupida era stata a credere che Timwick avrebbe fatto lo stesso. «Lo so, non è colpa tua. Ma ora dobbiamo affrontare la situazione... e Logan. Non hai trovato traccia del teschio?» «C'erano prove che la Duncan aveva lavorato, ma nessuna testa. Se è brava come dicono, dobbiamo pensare che abbia finito il lavoro.» Lisa sentì una stretta allo stomaco. «Non fa niente, di per sé il suo lavoro non prova nulla. Ma dobbiamo fare in modo che vengano screditati dai media prima che ottengano altre prove. Oggi abbiamo fatto un primo passo. Il tuo lavoro è trovarli e assicurarsi che non facciano altri danni.» «Conosco il mio lavoro. Tu tieni a bada Detwil. Era un po' troppo sicuro di sé all'ultima conferenza stampa...» Si stava occupando di Kevin Detwil alla perfezione. Timwick glielo aveva ricordato solo per ripicca dopo il suo commento sull'affare con Donnelli. «Credi? Starò attenta, James. Sai che mi fido dei tuoi giudizi. E quella Duncan? Finora abbiamo diretto i nostri sforzi verso Logan, ma lei potrebbe rivelarsi un osso duro.» «La sto tenendo d'occhio, ma è Logan che guida il gioco. È lui che decide le mosse.» «Se lo dici tu. Ma potresti fornirmi un rapporto più completo su di lei?»
«È già completo, che altro vorresti sapere?» «Qualcosa in più sul suo background professionale. Proveranno a fare un test del DNA, e di sicuro lei conosce qualcuno.» «Dopo i fatti di oggi, capiranno che è pericoloso uscire allo scoperto. Con un po' di fortuna li prenderemo prima che agiscano di nuovo.» «Sarebbe un po' stupido fidarsi solo della fortuna, vero?» «Cristo, quanto DNA può rimanere dopo un incendio?» «Non lo so, ma non possiamo rischiare.» «È Logan a decidere, ti ripeto. Non possono andare in un laboratorio di genetica con quel teschio, come se niente fosse. Sappiamo dove potrebbero cercare aiuto, ho già mandato qualcuno da Ralph Crawford alla Duke University. Se non li prendiamo subito, cadranno dritti nella nostra...» «Per favore, James...» disse lei con calma. «Va bene.» L'impazienza gli si leggeva nella voce. «Non preoccuparti.» «Fammi sapere quando il corpo arriva a Bethesda.» Riappese, si alzò e camminò nervosamente per la stanza. Timwick aveva detto che era Logan a decidere le mosse. Ma non ne era tanto sicura. Le sue informazioni su Eve Duncan descrivevano una donna forte e intelligente, di certo poco disposta a seguire passivamente un uomo come Logan. E chi meglio di lei sapeva che una donna forte può plasmare le situazioni a suo piacimento? Timwick, come al solito, stava sottovalutando l'avversario. Adesso toccava a lei tenere d'occhio Eve Duncan. «Lisa?» Kevin Detwil si affacciò sulla porta del bagno, indossando l'accappatoio rosso di Ben. Era uno dei pochi indumenti del Presidente che piacevano a Kevin: aveva una vera passione per i colori brillanti, che Lisa tentava di ostacolare. Ben non indossava mai altro che blu scuro e nero. Era preoccupato. «Qualcosa non va?» Lei si sforzò di sorridere. «Un problemino con Timwick.» «Posso aiutarti?» «Non stavolta. Lascia fare a me.» Gli si avvicinò e gli buttò le braccia al collo. Profumava dell'acqua di colonia che Ben si faceva fabbricare personalmente. I profumi sono importanti, fanno ricordare le persone che li usano. A volte, quando la notte si svegliava all'improvviso, le sembrava che ci fosse Ben accanto a lei. Sussurrò all'orecchio di Kevin: «Sei stato grande, stasera, alla conferenza sulla terza età. Li avevi in pugno». «Davvero?» chiese lui orgoglioso. «Pensavo di essere stato solo bravo.» «E invece sei stato fantastico, meglio di come avrebbe fatto Ben.» Lo
baciò dolcemente. «Stai conducendo un ottimo lavoro. Se non fosse per te, oggi potremmo essere nel mezzo di una guerra.» «Era così instabile?» Lisa gli aveva raccontato mille volte della presunta instabilità mentale di Ben, ma ripeterlo una volta in più non avrebbe fatto male. A lui piaceva l'idea di salvare il mondo. Anche se, a un uomo intelligente, Kevin poteva apparire incredibilmente vanitoso e ingenuo. «Credi che starei facendo tutto questo», rispose Lisa, «se non avessi avuto paura di quello che lui poteva fare? Sei stato magnifico. Credo proprio che quest'anno approveranno il disegno di legge sulla sanità. Sono fiera di te.» «Non potrei vivere senza di te.» «Forse all'inizio ti ho aiutato io, ma ora stai superando ogni...» Gli sorrise con aria maliziosa. «Mio Dio, sei duro come una roccia! Dimenticavo che i complimenti hanno un certo effetto su di te... e fanno di me una donna felice!» Si tolse la vestaglia. «Ora, vieni a letto e raccontami di come te la sei cavata con l'ambasciatore giapponese.» Lui le si avvicinò con il sorriso di un bambino, felice all'idea di che cosa lo aspetta. Lei lo attendeva con aria provocante. Lisa e Ben avevano separato i loro letti, e portare Kevin nel suo era stata per Lisa una parte necessaria del piano. All'inizio, lui era stato timido ed esitante, costringendola a usare tutte le sue arti per attirarlo senza sembrare aggressiva. Controllare Kevin era il suo lavoro. Avrebbe potuto trovare altri modi per farlo, ma il sesso era il migliore. Puttana arrogante! Timwick si lasciò andare sulla poltrona e chiuse gli occhi. Era comodo per Lisa dargli ordini e poi andare a letto lasciando a lui il compito di eseguirli. Se ne stava alla Casa Bianca come una regina, e lui, invece, in uno squallido ufficio, a lavorare come un matto. Lei esigeva dei risultati, ma non voleva sporcarsi le mani. E intanto ignorava quello che preferiva non vedere, mentre era lui che mandava avanti tutto e li proteggeva da una possibile catastrofe. Dove sarebbe finita se non fosse arrivato lui? Eve Duncan: uno strumento di Logan, nient'altro. Era stupido farne una priorità. Se Lisa non fosse stata tanto femminista, avrebbe ammesso che la vera minaccia era Logan. Sembrava che i pericoli avanzassero da ogni lato. Strinse i braccioli della poltrona. Doveva conservare la calma. Stava facendo tutto il possibile per salvare la situazione. E ci sarebbe riuscito.
Troppe cose erano in gioco per potere fuggire. Con un po' di pazienza avrebbe ottenuto tutto ciò che desiderava. Prese il telefono. Era necessario, per il momento, obbedire a Lisa. Lei gli serviva per evitare che la sostituzione venisse scoperta, e per spingere Detwil a farsi rieleggere alla Casa Bianca. Dopodiché avrebbe trovato il modo per ottenerne il controllo. Ma, fino a quel giorno, Lisa doveva continuare a illudersi di essere lei a comandare. Pensò così di inondarla di informazioni su Eve Duncan. «Sveglia, siamo arrivati.» Eve aprì gli occhi e vide Logan scendere dalla macchina. Sbadigliò. «Che ore sono?» «Mezzanotte passata.» Gil aprì lo sportello. «Ha dormito quasi tutto il tempo.» Sembrava impossibile che si fosse davvero addormentata, dopo aver avuto i nervi tesi per tanto tempo. «Abbiamo avuto un paio di giornatacce...» rispose Gil alla sua domanda inespressa. «Anch'io ho dormito un po'. Ma confesso che sono felice di potermi stiracchiare.» Eve era così ammaccata che dovette reggersi alla portiera mentre scendeva dalla macchina. Guardò Logan salire gli scalini e aprire la porta, con in mano la valigia di pelle contenente la testa di Chadbourne. Era sempre Logan a indicarle le priorità, pensò contrariata. «Pronta?» chiese Gil prendendole la valigia. «La prendo io.» «Posso cavarmela, lei prenda la scatola di Mandy.» Stava già seguendo Logan su per gli scalini. Eve non voleva entrare. Sentiva l'aria fresca e umida, e il rumore delle onde giungeva come una benedizione. Era da tanto che non andava al mare. Una volta Joe l'aveva portata Cumberland Island dopo che era uscita da quell'inferno della storia di Bonnie, ma aveva dimenticato l'isola. Ricordava solo Joe che l'abbracciava, Joe che parlava, Joe che teneva lontana la notte. Joe. Doveva chiamare Joe. Non lo sentiva da prima della notte nel campo di grano. Aveva evitato di chiamarlo e di coinvolgerlo ancor più in quell'intrigo. Ma se non lo avesse chiamato presto, c'era il rischio che facesse un raid a Barrett House con una squadra di teste di cuoio... Si alzò il vento, e le onde spumeggianti avanzarono sulla battigia.
A Bonnie era piaciuto l'oceano. Qualche volta Eve e Sandra l'avevano portata a Pensacola, e lei aveva corso su e giù per la spiaggia, ridendo, chiacchierando e cercando conchiglie. Chiuse la portiera e andò sul pontile di legno. «Eve!» Non si girò alla voce di Logan. Non voleva entrare in casa, non voleva affrontare né lui né altri. Le serviva tempo. Si tolse i sandali e sedette sul basso pontile con i piedi nell'acqua. Fresca e setosa, lambiva la sua pelle. Appoggiò la testa a un pilone, ascoltando il rumore del mare. E ricordando Bonnie... «Vai a vedere?» chiese Gil. «È lì fuori da quasi un'ora, John.» «Tra un po'.» Eve sembrava una donna sola. «Non credo che voglia compagnia.» «È meglio che non pensi troppo, può essere pericoloso. È già piena di risentimento.» «Ma sono stanco di impartirle ordini, accidenti! Lasciamola un po' in pace.» «Non credo che si lascerebbe trascinare in una direzione che non le piace.» «Ma possiamo sbarrarle ogni altra strada, per costringerla a prendere l'unica che vogliamo.» Era ciò che Logan aveva fatto dal primo momento. E lo faceva ancora. Allora doveva darle tregua solo perché sentiva i primi rimorsi di coscienza? Difficile. Pensò che era invece necessario riconquistare la sua fiducia, per sfruttarla ancora. «Vado a prenderla», concluse. Attraversò la spiaggia fino al pontile. «Se ne vada, Logan», fu la risposta di Eve, senza neanche guardarlo. «È ora di entrare. Fa freddo.» «Entrerò quando sarò pronta.» Lui esitò, poi si sedette accanto a lei. «La aspetto.» Si tolse le scarpe e i calzini e mise i piedi nell'acqua. «Non la voglio qui.» «Sa, non lo facevo da quando ero in Giappone.» Guardò l'oceano davanti a sé. «Sembra che non ci sia mai abbastanza tempo per rilassarsi.»
«Sta cercando di entrare in confidenza con me, Logan?» «Forse.» «Be', non ci riuscirà.» «No? Peccato. Allora tanto vale che rimanga qui seduto a rilassarmi.» Silenzio. «A cosa sta pensando?» chiese lui. «Non a Chadbourne.» «Sua figlia?» «Non usi Bonnie per tentare di avvicinarsi a me, Logan. Non funziona.» «Sono solo curioso. Non capisco la sua ossessione per gli scheletri. Certo, so che sua figlia non è mai stata ritrovata, ma non può aspettarsi che...» «Non ho voglia di parlarne.» «L'ho vista con Mandy e poi con Ben Chadbourne. C'è quasi... della tenerezza nei suoi gesti.» «Va bene, sono un po' pazza. Tutti hanno le proprie fissazioni! Ma le assicuro che non penso che le loro anime aleggino ancora su quelle ossa.» «Crede in un'anima immortale?» «A volte.» «Solo a volte?» «E va bene, quasi sempre.» Lui rimase zitto, in attesa. «Quando nacque Bonnie, non era come me, o la mamma, non somigliava a nessun altro. Era solo... lei. Una creatura meravigliosa. Come sarebbe possibile se non fosse nata con un'anima?» «E quest'anima è eterna?» «Come faccio a saperlo? Penso... penso di sì. Lo spero, almeno.» «Allora perché ci tiene tanto a riportare quelle ossa alle famiglie? Non dovrebbe cambiare niente.» «Cambia per me.» «Perché?» «La vita è importante. La vita dovrebbe essere trattata con rispetto, non gettata via come spazzatura. Dovrebbe esserci una... una casa per tutti. Non ho mai avuto una vera casa, da bambina... abitavamo tra una stanza in affitto e l'altra, giravamo da un motel all'altro. La mamma era... non era colpa sua. Ma tutti dovrebbero avere un posto, un posto fisso nell'ordine delle cose. Ho provato a dare una casa a Bonnie, la migliore casa possibile, dove potevo amarla e prendermi cura di lei. Quando Fraser l'ha uccisa, ho avuto degli incubi, in cui lei giaceva nella foresta, e gli animali...» Restò in
silenzio per un attimo, e tornò a parlare con voce rotta. «La volevo a casa, dove potevo prendermi cura di lei come sempre. Lui le aveva rubato la vita, non volevo che si prendesse anche quegli ultimi resti.» «Capisco.» Capiva anche più di quanto non volesse. «Ha ancora incubi?» «No, non più.» Rimise i piedi sul pontile e si alzò. «Torno dentro.» Raccolse i sandali. «Ho soddisfatto la sua curiosità, Logan?» «Non del tutto, ma di certo non si confiderà più di così con me.» «Indovinato.» Lo guardò. «E non creda di avere ottenuto niente con questa bella chiacchierata... Non le ho detto niente che non abbia già raccontato ad altri. Joe e io abbiamo deciso che era più salutare continuare a parlare di Bonnie.» «Dobbiamo parlare di Chadbourne.» «No. Non stanotte.» Eve si allontanò. Una donna dura, eccezionale. La guardò salire gli scalini dell'ingresso. La luce delle finestre le illuminò i capelli rossi e il corpo magro e forte. Forte ma vulnerabile. Un corpo che poteva essere ferito, spezzato, distrutto. E proprio lui poteva esserne il responsabile. Tentare di avvicinarsi a lei non era stata una grande idea. Se n'era andata forte e indipendente come sempre, e adesso era lui a sentirsi insicuro. E, sì, forse perfino un po' vulnerabile. «Sto pensando, Lisa», le mormorò Kevin all'orecchio. «Forse dovremmo... Che ne diresti di... un bambino?» Oh mio Dio. «Un bambino?» Lui si alzò su un gomito e la guardò. «Un bambino sarebbe molto popolare, tutti amano i bambini. Se iniziassimo adesso, potrebbe nascere giusto dopo la mia rielezione.» Esitò. «E poi... lo vorrei tanto.» «E credi che io non lo voglia?» gli chiese dolcemente. «Niente mi farebbe più felice, ho sempre voluto un figlio. Ma ora non è possibile.» «Perché? Hai detto che Chadbourne non poteva avere figli, ma adesso possiamo pensarci noi.» «Kevin, ho quarantacinque anni.» «Ma adesso ci sono tutte quelle cure per la fertilità...» Per un attimo fu quasi tentata. Aveva detto la verità: aveva sempre volu-
to un bambino. Lei e Ben avevano provato disperatamente. Kevin aveva scherzato dicendo che i bambini erano un vantaggio per qualsiasi politico, ma stavolta lei non stava pensando alla politica. Voleva un figlio, una creatura che le appartenesse. Impossibile, confessò a se stessa. E le lacrime che le salirono agli occhi non erano solo una scena per Kevin. «Non ne voglio parlare, sto male all'idea che non possiamo.» «Perché no?» «Sarebbe troppo difficile. Potrebbero esserci problemi di tutti i tipi per una donna della mia età. E se il dottore decidesse che devo stare a riposo assoluto durante la gravidanza? A volte succede, e non potrei viaggiare con te durante la campagna elettorale... Potrebbe essere pericoloso per noi.» «Ma sei forte e sana, Lisa.» Avrebbe dovuto pensarci già da tanto tempo, vista la sua insistenza. E concluse: «È un rischio che non possiamo correre». E poi l'unico appiglio che sapeva lo avrebbe fatto subito desistere. «Certo, potremmo rinunciare alla rielezione. Ma sei un Presidente fantastico, tutti ti ammirano e ti rispettano, vorresti rinunciare?» «Sei sicura che sarebbe tanto pericoloso?» Ci stava già ripensando, come Lisa aveva previsto. Non sarebbe mai tornato all'anonimato, dopo essersi abituato al potere e all'obbedienza. «Adesso non è il momento, ma potremmo ripensarci in futuro.» Gli accarezzò le labbra con la punta dell'indice. «Non sai quanto sono felice del tuo amore... Niente sarebbe più bello di...» Il telefono squillò e lei allungò una mano verso il comodino per rispondere. «Il corpo è arrivato a Bethesda», disse Timwick. Il corpo. Freddo. Impersonale. È così che doveva vederlo. Era costretta. «Eccellente.» «Hai contattato Maren?» «È da qualche parte nel deserto, riproverò.» «Non abbiamo molto tempo.» «Ti ho detto che ci penserò io.» «I media stanno già assediando l'ospedale. Dovremmo metterci al lavoro?» «No, lasciali nel dubbio e poi raccontagli la storia domattina. Devono essere così affamati da buttarsi sulla minima informazione.» Riattaccò.
«Timwick?» chiese Kevin. Lei annuì distratta, pensando ancora a Bethesda. «Non mi piace quel bastardo. Ci serve ancora?» «Sii un po' più riconoscente!» scherzò lei. «È lui che ti ha scoperto.» «Mi tratta sempre come un idiota.» «Ma non in pubblico...» «No.» «Be', forse non lo vedrai più tanto spesso. Pensavo che potresti nominarlo ambasciatore... magari nello Zaire. Dopo tutto sei tu il Presidente!» Lui rise deliziato da quelle parole. «Nello Zaire!» Lisa si alzò e indossò la vestaglia. «O a Mosca. Dicono che laggiù non si stia affatto bene.» «Ma gli hai promesso che l'avremmo nominato mio candidato per la vicepresidenza... non ci rinuncerà mai.» No, la vicepresidenza era l'unico interesse che aveva attirato Timwick nel complotto. Era rimasto molto deluso quando Ben non gli aveva dato un posto di consigliere, e Lisa non aveva mai conosciuto uomo più ambizioso. Una tale avidità le avrebbe creato problemi in futuro, ma in quel momento non poteva preoccuparsi di lui. «Forse c'è un modo per aggirare l'ostacolo.» «Sarebbe molto meglio mantenere Chet Mobry alla vicepresidenza. Non ci ha mai dato problemi.» «E invece avrebbe potuto, se non l'avessimo tenuto lontano con quei continui viaggi di beneficenza. Non è mai stato d'accordo con la nostra politica. Potremmo fare lo stesso con Timwick.» «Forse sì, ma è stato... dove vai?» «Ho del lavoro da finire. Dormi.» «È per questo che Timwick ti ha chiamato? Non mi dici mai cosa stai facendo.» «Perché sono piccoli dettagli senza importanza. Tu occupati delle cose importanti, io mi occupo delle altre.» «Torni qui dopo avere finito?» «Certo. Vado solo di là a leggere un dossier. Devo essere preparata, per il tuo incontro con Tony Blair.» «Sarà una passeggiata, dopo il giapponese.» Stava diventando sfrontato... ma era meglio dell'uomo timido appena arrivato per sostituire Ben. «Vedremo.» Gli mandò un bacio sulla punta delle dita. «Dormi, ti sveglierò quando torno.»
Chiuse la porta e andò alla scrivania. Ci mise dieci minuti a rintracciare Scott Maren, e cinque a spiegare la situazione e l'urgenza. «Cristo, Lisa, non è così facile. Con che scusa posso andarmene da qui?» «Sei furbo, te ne inventerai una. Mi servi qui, Scott.» Silenzio. «Andrà tutto bene. Tieni duro, Lisa. Io chiamo l'ospedale e dico di non fare ancora l'autopsia. Sarò lì appena possibile.» Riattaccò. Che fortuna avere Scott, sarebbe stato determinante per limitare i danni. Accese il computer, inserì la sua password e aprì il dossier su Eve Duncan. Tutto sembrava procedere verso una soluzione, eppure non era tranquilla. Sullo schermo, l'immagine di Eve Duncan la fissava. Riccioli scomposti, pochissimo trucco, grandi occhi scuri dietro occhialini tondi. C'era moltissimo carattere in quel volto, abbastanza da renderla affascinante e non solo attraente. Ma ignorava le regole base del potere, non sapeva usare ciò che le veniva dato. Rivide se stessa durante i primi anni all'università, quando pensava che l'intelligenza e la determinazione avrebbero risolto ogni problema. Dio, quanto tempo! Probabilmente aveva avuto la stessa espressione intensa che ora vedeva in Eve. Aveva presto imparato che l'intensità spaventa la gente: era meglio nascondere le passioni dietro un dolce sorriso. Eppure il dossier su Eve la descriveva come una persona che lottava, e lei aveva rispetto per chi lotta. Lei stessa aveva dovuto lottare, altrimenti non avrebbe mai potuto resistere. Sorrise tristemente e toccò la foto di Eve sullo schermo. Sorelle. Facce della stessa medaglia. Superstiti. Peccato. Iniziò a leggere il rapporto cercando una debolezza, un modo per sconfiggerla. Lo trovò dopo averne letto un po' più della metà. La mattina dopo, quando Eve scese in salotto, Gil e Logan stavano guardando la TV. «Merda», mormorò Gil. «L'hanno proprio conciata male. Mi piaceva quella casa.» «Cosa è successo? Barrett House?» «Sì. A quanto pare, John ha voluto risparmiare sull'impianto elettrico.»
Sullo schermo apparivano delle macerie fumanti, con solo due comignoli ancora in piedi. «Ma sarà lieta di sapere che è stato punito per la sua taccagneria. John è morto nell'incendio.» «Come?» «Irriconoscibile. Ma stanno esaminando il DNA e la dentatura. Era una persona così splendida! Derwil ha appena dichiarato alla stampa che John era amato e rispettato da tutti, e da entrambi i partiti. Ha detto perfino che lo aveva invitato a Barrett House per discutere i loro programmi politici.» «Perché ha detto una cosa del genere?» «E che ne so? Anche secondo me ha esagerato. È intollerabile. John e io eravamo così vicini, praticamente fratelli.» Si diresse verso l'angolo cucina. «Colazione?» Eve si voltò verso Logan. «È una follia! Lei non è uno sconosciuto, credono davvero di farla franca?» «Per un po'. S'accorgeranno che il DNA e la dentatura non coincidono. Hanno portato il corpo a Bethesda.» «E che significa?» «Che a Bethesda possono controllare le cose; hanno lì uno dei loro uomini, che sicuramente manipolerà i risultati. Guadagneranno tempo.» «Cosa faremo?» «Be', di certo non mi presenterò a dire che hanno torto: finirei in una cella di massima sicurezza come impostore, e poi mi toccherebbe uno sfortunato incidente.» Si alzò. «Inoltre, ho delle cose da fare.» «Chi crede che... chi è l'uomo che è morto?» Eve rabbrividiva. Una vita era stata già falciata. «Caffè?» chiese Gil. «C'è del formaggio.» «No, grazie.» «Adesso potremmo parlare di Chadbourne?» chiese Logan cortesemente. «Credo che la situazione stia peggiorando.» «Accidenti, se ne parleremo. Voglio che mia madre sia al sicuro. Non voglio vedere la mia casa in fiamme con lei dentro.» «Chiamerò Margaret, le dirò che appartengo ancora a questo mondo e che deve trovare un nascondiglio per sua madre.» «Subito.» «È sotto buona sorveglianza, posso finire prima il caffè?» La guardò. «Mi aiuterà, Eve?» «Forse. Se non avrò l'impressione che mi sta facendo andare a tentoni
nel buio.» Si rivolse a Gil. «Voglio sapere di questo Timwick che, secondo voi, tiene le redini del gioco. Ha lavorato per lui?» «Sì, indirettamente. Come umile agente dei Servizi Segreti, non avevo l'onore di conoscere personalmente il grand'uomo.» «Che tipo è? Sicuramente se n'è fatto un'opinione.» «È intelligente, ambizioso, e sa come manipolare la gente per ottenere quello che vuole. Personalmente, non lo vorrei con me in una situazione di tensione: l'ho visto esplodere troppe volte. Messo sotto pressione, non credo che reagisca molto bene. Se è pericoloso? Dannazione, sì. La sua impulsività spesso si trasforma in violenza irrazionale.» «E Fiske?» «È solo un mercenario. Calcolatore, efficiente, ama ciò che fa. Chi altro?» «Me lo dica lei. Potrebbero esserci tante figure di secondo piano, delle quali non mi ha parlato.» «Come le dicevo, hanno bisogno di coinvolgere il minor numero di persone», intervenne Logan. «E sarebbe un'imprudenza tenerla all'oscuro di tutto anche adesso. Lei sa ormai quello che sappiamo noi. Ci aiuterà?» «Solo se mia madre sarà al sicuro. E aiuterò me stessa, non lei. Non sono un'idiota, capisco che ha fatto di me un bersaglio, e l'unico modo per salvarmi è provare che Ben Chadbourne è davvero morto. Il DNA e il confronto della dentatura sono le uniche prove legalmente valide, quindi dobbiamo procurarcele.» «Suggerimenti?» «Non sono esperta di DNA, né antropologa legale, e mi mancano i titoli necessari per eseguire l'esame. Quindi porteremo il teschio a uno dei più illustri antropologi. Dobbiamo capire se riesce a trarne abbastanza DNA per fare un confronto.» «Il teschio è passato tra le fiamme.» «C'è ancora qualche possibilità. Lei sa bene che io costituisco solo la prima arma del suo arsenale», aggiunse risoluta. «Scommetto che ha anche già scelto l'antropologo per questo incarico.» «Il dottor Ralph Crawford, Duke University. Ha le competenze che ci servono.» «No, scelga Gary Kessler, a Emory.» «È meglio?» «È ugualmente bravo, e poi lo conosco.» «Un altro Quincy?» chiese Gil.
«Già, il medico protagonista di tanti telefilm. Fanno impazzire Gary. Oltre al fatto che contengono inesattezze, la gente finisce per confondere i patologi con gli antropologi legali.» «Be', qual è la differenza?» «I patologi hanno una laurea in medicina e una specializzazione in patologia. Gli antropologi non sono laureati in medicina, bensì in antropologia, e alcuni di essi, come Gary Kessler, si specializzano nello studio dello scheletro umano e dei suoi cambiamenti legati all'età. Ha lavorato con molti patologi di Atlanta ed è molto rispettato. Inoltre, dato che lei si è informato su Crawford, penseranno che andremo proprio da lui.» «Probabilmente hanno esaminato anche i suoi collaboratori con la lente d'ingrandimento.» «E avranno scoperto che ho lavorato con una dozzina di antropologi a Los Angeles, New York e New Orleans, e che sono stata sommersa di richieste dopo quel programma in TV. Avranno bisogno di tempo per controllare le competenze e le qualifiche di tutti, e Gary apparirebbe la scelta meno probabile, visto che non lavoro con lui da almeno due anni.» «Ha ragione. E viste le circostanze, potrebbe essere più facile convincere qualcuno che conosce ad aiutarla.» Eve se ne rendeva conto, dal momento che le circostanze significavano qualche problema con la legge. «E la dentatura?» «La cosa potrebbe apparire più difficile. Il dentista di Chadbourne era una donna, la dottoressa Dora Bentz.» Fece una pausa. «È una delle persone uccise da Fiske dopo che lei è arrivata a Barrett House. Può scommettere che qualsiasi documentazione avesse su Chadbourne, ora non esiste più.» «Aveva detto che avevano ucciso testimoni...» Logan fece per parlare, ma venne interrotto. «Lasciamo perdere. Perché dovrei aspettarmi la verità?» «Non volevo difendermi, era una situazione diversa.» «Allora rimane il DNA. E se non ce ne fosse abbastanza per un test? Potremmo trovare un modo per costringere Detwil a fare un test che provi la sua identità?» «Impossibile. Ora è il Presidente, mentre noi abbiamo l'onere della prova. Inoltre, la sua cartella sanitaria potrebbe essere stata cancellata, come la mia.» «Non potremmo trovare delle prove? Deve pur avere dei parenti.» «Oltre a sua madre, morta sette anni fa, aveva un fratellastro.»
«Aveva?» «John Cadro. Lui e sua moglie sono stati uccisi il giorno dopo Dora Bentz.» Cristo... «Non è necessario che sia un parente stretto. Hanno dimostrato che la granduchessa Anastasia era una truffatrice confrontando il suo DNA con quello del principe Filippo. Non c'è nessun altro?» «Nessuno che possiamo rintracciare facilmente. Hanno scelto Detwil con molta cura.» «E la madre? Potremmo fare riesumare...» «Non vorrei fare una battuta macabra, ma non abbiamo tempo per scavare più a fondo. Una volta resa pubblica la storia, dobbiamo avere prove inoppugnabili.» «Perché non abbiamo tempo?» «Perché moriremmo nemmeno dodici ore dopo avere diffuso la notizia», disse Gil bruscamente. «Secondo i media, John è già morto. Restiamo solo io e lei, mentre i nostri nemici hanno dalla loro parte il potere della presidenza. Sono certo che hanno già preparato tutto. Un piano veloce, logico e accurato. Timwick era sempre accurato.» Eve rabbrividì. «Ci dev'essere un'altra pista... qualcun altro.» «Sì, c'è. È Scott Maren.» «Un altro parente? È morto anche lui?» «No. Era il medico personale di Chadbourne, ed è all'estero, cosa che probabilmente gli ha salvato la vita. Ma non sono sicuro che potremo contare su di lui, credo che sia coinvolto nel delitto.» «Perché?» «Opportunità. La mattina del 2 novembre di due anni fa, Ben Chadbourne entrò nella clinica di Bethesda per il suo check-up annuale. Il corpo arrivò al crematorio di Donnelli dopo la mezzanotte del tre novembre.» «Crede sia stato quello il momento dello scambio?» «Il tutto doveva essere organizzato alla perfezione, con un Ben Chadbourne che entrava e uno che veniva dimesso. È probabile che Maren abbia fatto un'iniezione letale a Chadbourne, dicendo che era vitamina B o qualcosa del genere.» «Allora è lui il loro uomo a Bethesda.» Possibile e diabolicamente ingegnoso, pensò. Un medico è una persona di cui fidarsi, eppure gioca con le vite altrui ogni giorno. «Queste sono solo ipotesi. Maren dev'essere stato controllato in ogni modo prima di diventare il medico di Chadbourne.»
«Ne sono certo», disse Gil. «Ma è molto apprezzato, e anche buon amico del Presidente. Maren, Ben e Lisa Chadbourne erano compagni di università. Chadbourne o sua moglie hanno certamente fatto in modo che ottenesse quella posizione a Bethesda.» «Perché l'avrebbe fatto? Perché correre il rischio?» «Non lo so, ma sono certo che l'ha fatto. È la ragione per cui sto cercando di contattarlo. Potremmo convincerlo a denunciare Timwick e Lisa Chadbourne.» «Non penso che Maren sia una pista giusta, non ammetterebbe mai il suo coinvolgimento, se fosse vero. Sarebbe stupido da parte sua.» «Forse. A meno che non lo convinciamo che, se non li fermiamo, lui è un uomo morto. Quando ho fatto una lista delle possibili vittime, Maren era tra i primi.» Eve ci pensò. «È l'unico testimone che può collegare Lisa Chadbourne e Timwick alla morte del Presidente.» «Giusto. Se non c'è nessun testimone, e la morte viene scoperta, potrebbero inventare qualcosa, dire che era un complotto terroristico o un'altra macchinazione. Ma Maren è vivo e, se ha a che fare con il delitto, non possono essere certi che non parli. Non ho dubbi: già dal momento in cui il piano è stato concepito, hanno pensato di ucciderlo.» «Ma ci crederà?» «Dobbiamo provarci, non abbiamo scelta. Adesso è la nostra unica speranza.» «Ha detto che era all'estero. Dove?» «Detwil lo ha mandato in missione umanitaria in Giordania per ispezionare gli ospedali. Era un incarico di prestigio, si dice sia stato invitato dal re di Giordania. All'apparenza, un onore che aumenta la fama di Maren.» «E dietro l'apparenza?» «Probabilmente un piano. Per Fiske sarebbe facile ucciderlo lì, e poi potrebbero dare la colpa a qualche fazione dissidente locale. Penso che la Bentz e Cadro siano stati uccisi perché sospettavano che mi stessi avvicinando troppo alla verità, ma Maren ha sempre rappresentato un bersaglio.» «Non ci aiuterà. Se ha ucciso il Presidente, è comunque un uomo morto.» «Non se gli offriamo un affare.» «Non ha l'autorità per offrirgli...» Scrutò il suo viso. «Cosa sta pensando?» «Che voglio Detwil e Lisa Chadbourne fuori dalla Casa Bianca, e non
m'importa come. Anche se fosse necessario aiutare Maren a trasferirsi da qualche parte con un bel gruzzolo in banca.» «Farebbe un affare con un assassino?» «E se non possiamo avere una prova del DNA? Ha altri suggerimenti?» Era troppo confusa per pensare a qualcosa di preciso. «Cosa impedisce a Fiske di uccidere Maren in Giordania?» «La situazione è cambiata: hanno bisogno di lui, e non lo uccideranno finché sarà utile. Si ricordi che hanno portato il mio cadavere a Bethesda; ora vorranno che Maren li copra. Sarebbe dovuto tornare fra due giorni, ma adesso si starà precipitando qui alla velocità della luce. Mentre noi andiamo a Emory a trovare il suo amico Kessler, Gil andrà a Bethesda e tenterà di coinvolgere Maren.» «E cosa impedirà che lo stesso Gil ne sia coinvolto? Di sicuro ci stanno aspettando.» «La magia del travestimento», disse Gil. «Mi camufferò da infermiera. Bionda, credo, con due grandi tette.» «Cosa?» «Scherzavo. Non si preoccupi, me la caverò.» Era, invece, già preoccupata. Non voleva che gli facessero del male: Gil era stato coinvolto nel complotto solo per ingannarla, ma era un delinquente simpatico. E c'erano state già troppe vittime. Gente che non aveva mai conosciuto stava morendo. Sembrava di essere nell'occhio di un ciclone. Per fortuna non aveva ancora toccato nessuno dei suoi cari. E non doveva toccarli. «Lei parla come se potesse andare in giro senza problemi...» obiettò Eve. «E i soldi? I documenti? Le carte di credito possono essere intercettate, e...» «Ci ha pensato Logan; mi ha fatto comprare al mercato nero qualche patente falsa. Lei ora si chiama Bridget Reilly... Pensavo che i capelli rossi la facessero sembrare di origine irlandese. La sua foto è sfuocata ad arte, e...» «La mia foto?» Si rivolse a Logan. «Ha una patente falsa per me?» «Dovevo essere preparato, ho detto a Gil di procurarsi documenti per chiunque si trovava a Barrett House. Immaginavo che saremmo arrivati a questo.» Maledetto. Non solo sapeva in che guaio la stava cacciando, aveva anche preparato tutto! «E immagino che Gil abbia false carte di credito per tutti noi...»
«Sì, ma ho portato con me abbastanza contanti da permetterci di fare fronte alle varie situazioni.» «Lei è davvero incredibile.» «Era necessario tenersi pronti.» Doveva uscire dalla stanza, pensò Eve, o avrebbe spaccato qualcosa. «Chiami Margaret.» Si diresse verso la sua stanza. «Telefono a mia madre e le dico di prepararsi a partire.» «Il telefono sarà controllato.» «Non sono stupida, lo so. Staro attenta, ma devo avvisarla. Userò il mio telefono digitale e la chiamerò sul suo.» «Anche sua madre ha un telefono digitale?» «Certo, ce li ha regalati Joe. Dice che lì fuori ci sono maniaci di tutti i tipi che ascoltano le conversazioni sui cellulari, mentre i digitali sono quasi del tutto sicuri.» «Avrei dovuto sapere che c'era dietro la mano dell'onnipresente Joe Quinn. C'è qualcosa a cui non ha pensato?» «No, è un caro amico e ci tiene al sicuro.» Lo guardò con freddezza. «Immagino che lei faccia fatica a capire questo concetto.» Tredici Sandra aveva visto il telegiornale del mattino, ed Eve dovette faticare per calmarla e frenare la valanga di domande. L'avvertì, infine, che Margaret stava arrivando. «Cosa vuol dire 'devi andare via'? Che succede, Eve?» «Niente di buono. Non ne posso parlare.» «John Logan è davvero morto?» «No. Ascolta, mamma, è davvero una brutta storia, e finché non la risolvo voglio che tu te ne vada da qualche parte al sicuro, lontano dagli occhi della gente.» «Al sicuro? Qui sono al sicuro, Joe passa ogni due giorni, e la macchina della polizia staziona qui fuori ogni notte.» «Mamma...» Doveva trovare un modo per convincerla. «Fai quello che ti dico, per favore. È pericoloso, credimi. Ho paura che possa accadere qualcosa.» «Paura? Ci credo che hai paura. Non ti vedo fare così da quando Fraser...» Si interruppe. «Devo vederti.» «Non posso venire lì, ti metterei solo in pericolo.»
«In cosa ti sei immischiata, Eve?» «Non posso dirti nemmeno questo. Lo farai per me?» «Ho un lavoro, non posso mica andarmene...» «Ti uccideranno», disse freddamente. «O ti useranno per uccidere me. È questo che vuoi? Cristo, di' in ufficio che hai un problema in famiglia, credimi, è tutto vero.» «Uccidermi...» ripeté Sandra, e per la prima volta Eve sentì la paura nella sua voce. «Telefonerò a Joe.» «Lo chiamerò io, ma forse non potrà aiutarti. Non uscire di casa e non aprire a nessuno, tranne alla persona che sto mandando da te.» «E chi è?» Mio Dio, e se stavano registrando quella conversazione? Non poteva fare di Margaret un bersaglio. «Avrà un documento di riconoscimento. Ti mando una foto via fax...» No, il fax era stato distrutto insieme al resto nel laboratorio, e inoltre poteva non essere sicuro. «In qualche modo ti farò avere la foto e le informazioni. Ma tu, mamma, non andare da nessuna parte con nessun altro, qualsiasi documento ti mostrino. Né la polizia, né l'FBI o i Servizi Segreti. Nessuno.» «Quando arriverà questa persona?» «Non lo so. Presto. Non so neanche come faranno a contattarti. Forse non potranno venire lì a casa, tu devi fare solo quello che dicono. Va bene?» «Sono una persona adulta, Eve, non vado alla cieca dove mi portano. L'ho fatto anche troppo spesso quand'ero giovane.» Sospirò. «Va bene, va bene, farò come dici. Ma quanto vorrei che tu non avessi mai sentito parlare di John Logan.» «Anch'io, mamma, anch'io.» «Eve, starai attenta?» «Sì. Ti voglio bene...» disse in un impulso. «Mio Dio, ora ho paura. Non sei affettuosa molto spesso. Anch'io ti voglio bene», rispose con imbarazzo. Riattaccò velocemente. Esprimere affetto non era mai stato facile per nessuna delle due. Avevano trascorso troppi anni senza comunicare, durante l'infanzia di Eve. Ma Sandra sapeva di volerle bene, non aveva bisogno di dirglielo. Eve si fece forza. Doveva chiamare Joe. Compose rapidamente il numero del suo telefono privato. «Joe?» Silenzio, poi sentì la sua voce bassa e dura: «Cosa diavolo stai combi-
nando?» «Puoi parlare? C'è qualcuno lì con te?» «Sto uscendo dal parcheggio. Perché non mi hai chiamato? Perché non hai risposto...» «Avevo da fare, smettila di alzare la voce.» «Non sto alzando la voce!» Era vero, ma ogni sua parola esprimeva rabbia. «Ti ucciderei.» «Oh, avanti un altro!» «Fai dello spirito?» «No. È che sono nei guai, Joe.» «Questo è evidente. Hai ucciso Logan?» «Cosa?» «L'hai ucciso?» «Sei matto?» «Rispondimi. Guarda, se l'hai fatto, so che era per legittima difesa, ma devo saperlo. Solo così potrò aiutarti.» «Perché mai pensi che... Non l'ho ucciso. Non è morto, è tutta una montatura.» «Allora direi che sei davvero in un grosso guaio. Hai visto la CNN?» «Barrett House in fiamme? Sì, lo so.» «No, l'ultimo aggiornamento, quello in cui si fa il tuo nome tra i sospettati.» «Io?» «Hanno intervistato Novak, l'avvocato di Logan, che ha detto di essere stato con lui a Barrett House.» Fece una pausa. «Ha detto che eri l'amante di Logan e che la vostra relazione lo preoccupava perché tu eri instabile.» «Figlio di puttana...» «Sanno di Lakewood, Eve.» Lei si irrigidì. «Come fanno a saperlo? Nessuno potrebbe, hai nascosto le prove. Mi avevi promesso che...» «Non so come l'abbiano scoperto, pensavo di avere coperto tutto.» «Dovresti essere stato più...» Cristo, stava dando la colpa a Joe per qualcosa di cui non era responsabile. «Hanno parlato di Lakewood?» «Sì. Ti avevo detto che non c'era motivo di nasconderlo. Non c'è niente di male in...» «Sembra che ci sia, invece.» «Dimmi dove sei, vengo a prenderti.» Provò a rimanere lucida. «Non devo vederti. Finché non sarai coinvolto,
sarai...» «Dimmelo. Sono già coinvolto. Dimmelo o ti troverò. Conosci il mio fiuto.» Sapeva meglio di chiunque altro quanto Joe fosse determinato. «Sto venendo ad Atlanta, devo vedere Kessler. Ci vediamo al parcheggio del ristorante Hardee a Dekalb, domattina alle dieci. Sono circa sei isolati da Emory.» «Va bene.» Rimase in silenzio per qualche istante. «Come ti senti, Eve?» «Malissimo.» «Potrebbe andare peggio, se non ci fossi io.» «È vero, sarebbe peggio.» Le venne in mente una cosa. «Potresti trovare una foto dell'assistente di Logan, Margaret Wilson, e farla avere a mia madre? Dille che Margaret è la persona che l'aiuterà.» «Aiuterà a fare cosa?» «A portarla in un posto sicuro.» «Mi sto occupando io di lei! Non ha bisogno di altro aiuto.» «Non farmi questo, Joe. Mi serve tutta la tua collaborazione. Le manderai la foto?» «Ma certo. Però ci saranno pure delle ragioni per cui non ti fidi di me.» «Mi fido di...» Forse avrebbe capito se lei gli avesse spiegato tutto. Pensò a un'altra soluzione. «E mi troveresti anche una foto di James Timwick e di un certo Albert Fiske, che lavora per lui? Portale con te domani.» «Timwick non è un problema, è sui giornali molto spesso, ma chi è questo Albert Fiske?» «Un nome, e voglio conoscerne il volto. Ciao, Joe.» Riattaccò. Lakewood. Mio Dio, Lakewood. Rimise il telefono nella borsa e si alzò. Sentiva la TV nella stanza accanto. Logan e Gil avevano sicuramente saputo di Lakewood. Ma Logan di certo ne era già a conoscenza. L'avvocato era la sua spia, e con i soldi di Logan aveva già scavato nel suo passato. Di nuovo Logan, dannazione. Quando entrò nella stanza, i due uomini la guardarono. «Sempre più difficile», disse Logan spegnendo l'apparecchio. «Sì, io sono pazza e lei è morto!» sbottò lei. «Vogliono renderci difficile qualsiasi mossa.» «Non difficile, impossibile», la corresse Gil. «È stata davvero a Lakewood?»
«Lo chieda a Logan.» «Non avevo questa informazione», replicò Logan. «Immagino che Novak se la sia tenuta per sé, per poi venderla a Timwick.» «Lei sapeva che Novak aveva a che fare con loro?» «Lo sospettavo, è un uomo ambizioso. Ma mi chiedo quanto preziosa sia quest'informazione. Quanto tempo ha passato a Lakewood?» «Tre settimane.» «Chi l'ha fatta ricoverare?» «Joe.» «Cristo, le autorità... non ci fa una bella figura.» «Non erano le autorità», rispose con fierezza. «Era Joe!» «A quei tempi Quinn era ancora nell'FBI» «Non lo sapevano. Non lo sapeva nessuno, neanche mia madre.» «È la sua parente più prossima, doveva per forza saperlo.» «Lakewood non è un'istituzione pubblica. È una clinica privata in Georgia. Joe mi ha fatto ricoverare sotto falso nome, Anna Quinn... disse che ero sua moglie.» «E lei ci è andata volontariamente?» «No, Joe può essere un bulldozer quando ci si mette, mi ha costretto.» «Perché?» Lei non rispose. «Perché, Eve?» Al diavolo, lo avrebbe scoperto comunque. «La notte in cui Fraser venne giustiziato, io presi una dose eccessiva di tranquillanti. Mi ero rifugiata in un motel vicino alla prigione, dove Joe mi scovò. Mi fece vomitare varie volte e camminare in quella dannata stanza finché non fui fuori pericolo. Poi mi portò a Lakewood. Rimase con me per tre settimane. All'inizio volevano somministrarmi dei sedativi, ma lui si rifiutò: non era quella la ragione per cui mi aveva portata lì. Mi fece visitare da tutti gli psichiatri possibili. Mi fece parlare di Bonnie, di Fraser, di mia madre. Persino di mio padre, accidenti, che non ho mai più visto da quando ero bambina! Ma pensava che non mi stessi aprendo abbastanza con i dottori. Così, dopo tre settimane, mi fece dimettere e mi portò a Cumberland Island per una settimana.» «Cumberland Island?» «È un'isola quasi disabitata sulla costa. C'era un albergo, ma Joe non voleva. Eravamo in tenda, e lui iniziò la sua terapia personale.» «E lei si aprì con lui?»
«Non mi diede scelta... Gliel'ho detto, può essere terribile. Non voleva che impazzissi o mi suicidassi, non lo avrebbe accettato. Quindi ho dovuto accettare io.» «Quinn è un uomo davvero notevole», disse Gil. «Oh, certo, senza dubbio. Nessuno è come lui.» Andò alla finestra per guardare la risacca. «Ho lottato come una tigre, ma non mi ha lasciato andare.» «Speravo che avesse nascosto bene i documenti di Lakewood.» «Anch'io. Nel quartiere dove sono cresciuta c'erano molti matti, ma se finivi in manicomio, allora ti consideravano davvero una fuori di testa. Joe, invece, non la pensa come noi, è molto diretto: se qualcosa si rompe, chiama un esperto per aggiustarla. Non trovava niente di male in un ospedale psichiatrico, né temeva l'idea stessa di un ricovero.» «E lei, invece, ha avuto paura?» chiese Logan. «Sì.» «Perché?» «Temevo che quello fosse davvero il posto giusto per me», rispose esitante. «Ridicolo. Lo stress accumulato avrebbe procurato un esaurimento nervoso a chiunque.» «E un esaurimento nervoso non è una condizione vicina al crollo totale? È difficile accorgersi di stare camminando sull'orlo del precipizio, l'avvertiamo solo quando cadiamo.» «Ma lei ha lottato.» «Joe mi ha come riportata in vita. E poi sono diventata una furia, ed ero disgustata di me stessa. Fraser non avrebbe potuto più rubarmi nulla, né la vita né la salute mentale. Non lo avrei fatto vincere.» Si voltò verso Logan. «E non farò vincere nemmeno Timwick e quella donna. Adesso bisogna impedirgli di fare credere a tutti che sono pazza.» «Non possiamo, non ora, almeno. Siamo sulla difensiva. Non possiamo farci niente finché non avremo un'arma a disposizione.» Eve lo capiva, ma sperava in qualche buona notizia, non nella realtà. «Ha chiamato Margaret?» «È in viaggio.» «Dove porterà mia madre?» «Si sta consultando con il servizio di sicurezza che ora la sorveglia. Dovunque decidano di nasconderla, ho detto a Margaret che voglio almeno una guardia. Ha avvisato Sandra di aspettarla?»
«Sì, e ho detto a Joe che ci vedremo domani ad Atlanta.» Notò una smorfia sul volto di Logan. «Che c'è?» «Niente. Forse non sarebbe il caso di coinvolgerlo. Meno gente sa...» «Stupidaggini.» Dimenticava che anche lei aveva nutrito gli stessi dubbi. «Mi fido più di Joe che di lei o di Gil.» «Capisco il perché.» Gil si alzò. «Non vedo l'ora di incontrare l'interessante signor Quinn. Vado a fare una passeggiata, vieni con me, John?» «Un po' d'aria mi farà bene. Torniamo presto, lei guardi i telegiornali, Eve, le dispiace?» Volevano parlare da soli. Considerare i recenti sviluppi e tentare di preparare un'offensiva. Che vadano pure, pensò lei. Avrebbero presto capito che non voleva più essere tenuta fuori dalle decisioni. D'altra parte, forse era meglio escluderli del tutto. All'indomani sarebbe stata di nuovo con Joe. Logan l'aveva usata, e l'avrebbe fatto di nuovo; ma di Joe poteva fidarsi. Erano stati una squadra affiatata per lungo tempo, e insieme avrebbero affrontato qualsiasi cosa, anche Timwick e Lisa Chadbourne. Lisa Chadbourne. Il nome le era subito tornato in mente; ammetteva finalmente che fosse a capo del complotto? I segnali che aveva usato con Detwil indicavano la sua complicità, ma non necessariamente che fosse l'artefice. Ma la donna che aveva studiato guardando le videocassette non sembrava tipo da accettare un ruolo secondario: dimostrava carisma e sicurezza. E Gil non aveva descritto Timwick come un uomo capace di ordire un inganno di tali dimensioni. Ci volevano nervi d'acciaio e prontezza di riflessi. Secondo Gil, Timwick poteva crollare. Se Lisa Chadbourne era il capo, Eve avrebbe fatto meglio a studiarla molto attentamente. Prese le videocassette che aveva conservato nella borsa prima di lasciare Barrett House. Ne mise una nel videoregistratore e si sedette sul divano. Il volto sorridente di Lisa Chadbourne apparve sullo schermo. Bella, intelligente e, certo, affascinante. Eve sentì crescere la tensione. «Cosa fa?» chiese Logan quando rientrò, due ore dopo. «Lisa Chadbourne?» Eve spense il videoregistratore. «La stavo solo studiando.» «I segnali a Detwil?» «Non solo. Più che altro il linguaggio del corpo, le espressioni; dicono
moltissimo.» «Davvero? Non pensavo che le suggerissero qualcosa. Sono sicuro che è bravissima a nascondere le emozioni.» «Sono un'artista, e fa parte del mio lavoro studiare le espressioni facciali. Quando sono diventata scultrice forense, ho anche fatto un corso sulla fisiognomica, sul linguaggio del corpo e sui loro risvolti psicologici. Le espressioni servono molto nel lavoro di identificazione di una persona; un volto inespressivo è come una tabula rasa.» «E cosa ha capito di Lisa Chadboune?» «È piuttosto arrogante, diretta, ma anche cauta. Forse un po' vanitosa.» Pensò un attimo, poi aggiunse: «No, non vanitosa, è troppo sicura di sé per esserlo. Però sa chi è, e si piace molto». «Scostante?» «No. È... molto determinata... e forse un po' sola.» «Che sfera di cristallo che ha!» disse Gil. «Un po' cerco di indovinare. In genere, la gente può controllare la maggior parte dei muscoli del volto, tranne quelli intorno agli occhi, che sono molto difficili da gestire. Ma anche la mancanza di espressione a volte rivela molto. Scommetto che Lisa ha pochi amici, e che tiene tutti gli altri a distanza.» «Quando l'ho incontrata non mi ha dato quest'impressione. Nessuno potrebbe apparire più caloroso e socievole di lei, e tratta il prossimo meglio di chiunque altro.» «Ed è stata così brava da ingannare anche lei, usando tutto il suo fascino. Gli uomini sono ancora i padroni del mondo, e conquistarli è diventata la sua missione. Del resto, è così naturale per Lisa.» «Ma non è tanto brava da ingannare lei?» «Ci sarebbe riuscita, se non mi avesse dato le cassette che mettono in evidenza ogni suo movimento ed espressione. È bravissima, non abbandona quasi mai i panni del suo personaggio. Se lo fa, è solo per un istante. Ma osservarla, fotogramma per fotogramma, può essere molto utile.» «Allora, pensa di lei che è solo una povera donna incompresa, che è stata coinvolta nel complotto?» chiese lui con tono di scherno. «No, credo che sarebbe capace di uccidere un uomo. Mostra una forte determinazione. Penso che potrebbe fare qualsiasi cosa, e non giocare mai solo la parte di una pedina. Tutto deve andare come dice lei.» Riaccese la TV. «Temo di avere trascurato i telegiornali, dovrà informarsi da solo.» «Sta facendo molte supposizioni, solo per aver guardato delle videocas-
sette.» «Non m'importa se vuole credermi.» «Oh, il linguaggio del corpo e le espressioni del viso possono rivelare moltissimo di una persona. Analizzarli attentamente fa parte del piano di studi che seguono tutti i miei dirigenti. Ma non dobbiamo azzardare ipotesi su Lisa Chadbourne.» «Dobbiamo stare attenti a ogni particolare che la riguarda» Si diresse verso la porta. «Vado sul pontile.» «Posso venire con lei?» chiese Logan. «No, non mi sembra di essere stata invitata quando lei e Gil volevate parlare.» «Ahia!» disse Gil. Corse fuori della porta. La spiaggia era deserta, solo dei bambini che giocavano a palla, a un centinaio di metri da lei. Pensò che forse doveva preoccuparsi di non farsi riconoscere; la CNN di sicuro aveva mostrato una foto della pazza piromane che aveva ucciso Logan. Pazza. Sentì un brivido pensando a quella parola. Dannata Lisa Chadbourne. Doveva proprio usare quella parte della sua vita che ancora le procurava dolore? Se l'immaginava mentre esaminava il piano d'azione per poi colpire al cuore... Ma perché era così sicura che fosse Lisa Chadbourne la responsabile? Poteva sbagliarsi, poteva essere stato Timwick. Non si sbagliava. Lisa Chadbourne non avrebbe mai sottovalutato un'altra donna, aveva troppo rispetto per se stessa. Si sedette sul pontile a guardare il mare. «Sta facendo molte supposizioni, solo per avere guardato delle videocassette», era stato il commento di Logan. È vero, stava formulando molte ipotesi; forse aveva solo immaginato le sottili sfumature che le sembrava di percepire guardando Lisa Chadbourne. Ma no! Aveva studiato come riconoscere e riprodurre le espressioni facciali. E le sue osservazioni non erano solo scientifiche: aveva sentito lo stesso istinto profondo che percepiva nella fase finale di una scultura. Conosceva Lisa Chadbourne. Fraser. Rabbrividì e guardò l'acqua sotto di sé. Lisa Chadbourne e Fraser. Non avevano niente in comune. Perché aveva pensato a loro nello stesso istante? Perché era tornata la paura. Era tornata il giorno in cui avevano distrutto
il laboratorio, e aveva pensato a Fraser. Lisa Chadbourne aveva deciso tutto, allora come in quel momento. Fraser era posseduto da una follia che non ritrovava in Lisa Chadboume, ma entrambi avevano la sicurezza che scaturisce dal potere. Il brivido del potere è un forte movente. Il potere di Fraser veniva dai delitti. Il movente di Lisa Chadbourne era ovviamente più complesso... e forse perfino più letale. La sete di potere a livello mondiale appariva molto più pericolosa di quella personale. Ma quale potere mondiale! Niente poteva essere peggio di ciò che era accaduto a Bonnie. Il mondo è fatto di storie personali, perfino di tragedie. E gli atti crudeli commessi da Fraser erano pericolosi quanto il delitto di Lisa Chadbourne. L'omicidio era omicidio: avevano preso una vita, e la vita è sacra. Non credeva che Detwil fosse così pericoloso come Logan immaginava. Lei non conosceva la politica, i complotti o le conseguenze diplomatiche, ma conosceva il delitto, aveva vissuto, dormito e mangiato accanto a esso. E odiava i delitti. «Continua a sorvegliare la madre, James.» Lisa stava scorrendo al computer il dossier Duncan. «È chiaro, la Duncan ha un debole per lei, e noi dobbiamo trovare il modo per usarla.» «La sto tenendo d'occhio», disse Timwick. «Non ho mai smesso di farlo. Pensiamo che la Duncan abbia chiamato la madre stamattina; aveva un telefono digitale, ma uno dei nostri uomini era appostato fuori della casa con un amplificatore. Abbiamo solo frammenti di conversazione, ma scommetto che sta provando ad allontanare sua madre dalla scena.» Geniale. Esattamente quello che lei stessa avrebbe fatto: cancellare ogni punto di debolezza. «Non deve succedere. Occupatene tu.» «In modo definitivo?» Cristo, per Timwick la violenza era sempre la soluzione a tutto. «No, potrebbe servirci.» «È sorvegliata dalla Madden Security, le guardie giurate di Logan, e dalla polizia di Atlanta. Potrebbe essere difficile fare un lavoro pulito.» «Fai del tuo meglio, manda Fiske. Ha risolto la faccenda a Barrett House in modo eccellente. E l'antropologo?» «Stiamo tenendo d'occhio Crawford alla Duke University.» «E le persone con le quali ha lavorato Eve Duncan?» «Stiamo controllando la lista, ci vuole tempo.»
«Non ne abbiamo! Non dovrebbe essere tanto difficile, contatterà qualcuno che abbia le competenze e l'esperienza necessarie per lavorare sul DNA.» «Ci sono più esperti di DNA di quanti tu possa immaginare.» «Dobbiamo ridurre i nomi nella lista, mandamela e ci penserò io.» Guardò l'orologio. «Devo andare, ho una riunione. Ti richiamo.» Riappese, ma prima di chiudere il file fissò la foto della Duncan. Eve si stava muovendo velocemente per evitare altri danni. Lei sospettava che avrebbe provato a salvare sua madre, anche se questa non sembrava avere fatto molto per lei nella vita. Aveva lasciato che Eve crescesse per la strada, rimanesse incinta e avesse una figlia illegittima. Eppure era chiaro, Eve l'aveva perdonata e le mostrava fedeltà. Una qualità rara, preziosa. Più studiava il dossier su Eve, più la ammirava... e la capiva. Continuava a vedere somiglianze con se stessa. I suoi genitori erano stati affettuosi e sempre pronti ad aiutarla, ma anche lei aveva lavorato duro per farsi una posizione. Ma che cosa stava pensando? si chiese con impazienza. Non poteva farsi coinvolgere solo perché iniziava a sentire una certa simpatia per Eve Duncan. Doveva seguire il suo percorso, sino in fondo. Eliminando chiunque avesse provato a ostacolarla. Quattordici «Be', ce l'avete fatta», disse acido Joe avvicinandosi alla loro macchina. «Mi sorprende. Questa carretta ha l'aria di avere macinato parecchi chilometri.» «Attira meno l'attenzione». Logan scese dall'auto e si parò davanti a Joe. «Preferirebbe che portassi in giro Eve su una Lamborghini?» «Preferirei che non la portasse proprio in giro. Che non avesse mai messo gli occhi su di lei, figlio di puttana.» Cristo, era teso, pensò Eve. Joe sembrava più minaccioso che mai, e Logan ringhiava come un cane da guardia. Scese dalla macchina. «Joe, siediti con me dietro. Logan, ci porti a Emory.» Nessuno dei due si mosse. «Cristo, state attirando troppo l'attenzione! Entra, Joe!» Finalmente Joe salì in macchina. Lei tirò un sospiro di sollievo. «Muoviamoci», disse a Logan, che tornò al volante e mise in moto.
«Hai portato a mia madre la foto di Margaret?» «Ieri sera. Ho controllato io stesso la zona e ho incontrato quelli del servizio di sicurezza. Stavo per arrestarli, se non li avessi identificati.» «Qualcun altro?» chiese Logan. «Non mi sembra, almeno a prima vista.» «Non si farebbero vedere. Sono bravi, molto bravi. Dispongono di strumenti di sorveglianza assai sofisticati.» «Perché?» Joe si rivolse a Eve. «Che diavolo succede?» «Hai portato le foto di Timwick e Fiske?» Lui prese una busta dalla tasca interna della giacca. «E un'altra cosa: ho controllato quel Fiske, ed è davvero un tipo disgustoso. Non dovresti avere a che fare con quel bastardo.» «Ci provo.» Non appariva disgustoso, sembrava il classico maggiordomo, pensò guardando la foto di Fiske. Gli occhi scuri la fissavano con aria un po' assente. Il naso era lungo e aristocratico, e i baffi grigi e curatissimi gli davano un'aria distinta. Dimostrava meno di quarant'anni, ma i capelli castani molto corti erano brizzolati sulle tempie e iniziavano a diradarsi sulla fronte. Timwick, al contrario, non aveva niente di aristocratico: un volto largo, da slavo, occhi blu. Era più giovane di quello che pensava, un po' più di quarant'anni, i capelli neri. «Ora dimmi perché hai voluto che ti portassi queste foto.» Perché voleva vedere il volto del nemico, gli uomini che avrebbero potuto ucciderla. Ma non poteva spiegare questo a Joe, che stava già per esplodere. «Pensavo fosse utile.» Mise le foto nella borsa. «Grazie, Joe.» «Non ringraziarmi, dimmi quello che devo sapere.» Doveva fare un ultimo tentativo. «Non devi sapere niente, preferirei che tu ne restassi fuori.» «Parla.» Non lo avrebbe convinto, capì con rassegnazione. «Va bene, ma te lo racconterò a modo mio. Non provare a farmi l'interrogatorio, Joe.» Arrivarono a Emory e rimasero altri dieci minuti nel parcheggio prima che Eve finisse di parlare. Lui rimase in silenzio, guardando la valigia di pelle ai suoi piedi. «È questo?» «Sì.» «È molto difficile crederci.» «Lo so», disse Eve. «Ma è Ben Chadbourne, Joe.»
«Sei sicura?» «Per questo voglio che tu ne resti fuori. Non so cosa potrà succedere.» «Io sì. E anche Logan. Sapeva fin dall'inizio in quale avventura ti stava trascinando.» «Sì, è vero», disse Logan con calma. «Ma questo ora non conta più. Dovremo restare uniti per uscirne vivi.» Joe gli lanciò uno sguardo glaciale, poi si rivolse a Eve: «Non puoi fidarti di lui, sarebbe meglio se lo eliminassi». «Eliminarlo?» «Sarebbe molto facile, tanto tutti pensano che sia già morto.» «Joe!» «Sapevo che non avresti voluto.» Aprì la portiera. «Resta qui, controllo la zona e vado a parlare con Kessler. Perché credi che vi aiuterà?» «È un uomo di sani principi. Ha delle curiosità ma anche una natura ossessiva. È la ragione per cui fa questa professione.» «Be', tu sei esperta di ossessioni.» Sbatté la portiera e s'incamminò velocemente nel parcheggio. «Piuttosto violento per essere un poliziotto», mormorò Logan. «Non è violento, è solo furioso. Non avrebbe...» «Oh, io credo di sì. Per qualche minuto ho avvertito il rischio sul mio collo. Penso che dovrei stare molto attento con lui.» «Joe crede nella legge», disse Eve fieramente. «È un buon poliziotto.» «Ne sono sicuro, ma sono anche certo che il suo addestramento nel corpo dei marines ogni tanto si faccia sentire, specie quando la legge non funziona e ci sono di mezzo i suoi amici.» «Joe non ucciderebbe.» «Adesso. Ma gli ha mai chiesto quanti uomini ha ucciso quando era nei marines?» «Certo che no! Quando prestava servizio, non c'erano guerre in corso.» «Ma i marines vanno in missione anche in tempo di pace.» «Perché mi dice questo? Vuole farmi diffidare di Joe?» «Forse è solo l'istinto di sopravvivenza. Voglio che lei lo riconosca: sarebbe bastato un suo cenno, e io sarei morto pochi minuti fa.» «Non riconosco proprio...» «Sia sincera.» Non voleva essere sincera, non voleva ammettere che non conosceva Joe così bene come pensava. Lui era uno dei pilastri della sua vita, una figura stabile e affidabile. Quando tutto il resto le era crollato intorno, Joe era ri-
masto accanto a lei. Non voleva pensare che fosse un assassino, perché voleva dire paragonarlo a Fraser. No. Mai. «Lo sa che ha ucciso tre uomini mentre era in servizio, da quando ha cominciato a lavorare ad Atlanta?» Lei lo fissò incredula. «Immaginavo. Quinn è intelligente, e la conosce bene. Sapeva come tenere lontana da lei quella parte della sua vita.» «Non è un assassino.» «Non ho detto questo. Non c'è dubbio che ha ucciso per legittima difesa, e che i farabutti a cui ha sparato meritavano di morire. Ho solo detto che Quinn è poliedrico, e molto pericoloso.» «Sta tentando di distruggere la mia fiducia in lui.» «E lui sta tentando di distruggere ogni fiducia che lei potrebbe avere in me, Eve. Mi sto solo difendendo.» «Non mi fido di lei.» «Un po' sì. Almeno sa che siamo dalla stessa parte, e non voglio che Quinn mi rubi anche questo.» Guardò Joe, che stava salendo le scale dell'edificio. «E non voglio lottare contro di lui. Ho già troppi nemici» Anche Eve lo guardò. Le sembrava di vederlo sotto una luce differente. Era sempre sicuro di sé, si muoveva con grazia ed entusiasmo, ma ora scopriva la dura efficacia dei suoi modi. Lo aveva definito un bulldozer, e sapeva che lo era davvero. Ora sentiva anche che poteva essere letale. «Maledetto!» «Tutti siamo un po' selvaggi», disse piano Logan. «Tutti uccidiamo quando ne abbiamo bisogno: cibo, vendetta, autodifesa... Ma Quinn sapeva che lei non lo avrebbe tollerato, quindi le ha nascosto quel lato della sua personalità.» «E lei ucciderebbe, Logan?» chiese Eve caustica. «Se le circostanze lo richiedessero. Anche lei, Eve.» «No. La vita è troppo preziosa, non c'è giustificazione per l'omicidio.» «Non c'è giustificazione, ma una ragione...» «Non ne voglio parlare.» Si appoggiò allo schienale e guardò fuori. «Non voglio parlare con lei, Logan, mi lasci in pace.» «Certo.» Ovviamente, anche questa volta Logan aveva acconsentito: aveva liberato un serpente, e ora voleva vedere il veleno in azione. Non glielo avrebbe permesso. Non poteva distruggere la fiducia che a-
veva in Joe. Era Logan l'estraneo, non lui. Non voleva pensarci, preoccuparsi e lasciarsi influenzare dalle sue parole. Logan disse piano: «Ma è vero, e lei lo sa». «Tutto bene.» Joe aprì lo sportello e aiutò Eve a scendere. «Via libera. Kessler è solo. C'era Bob Spencer, il suo assistente, ma gli ho detto di mandarlo via.» Eve prese la valigia con il teschio. «Cosa hai detto a Gary?» «Non gli ho detto cosa c'è nel pacco regalo, ma ho dovuto rivelargli tutto il resto. Avevi ragione, è curioso.» Prese la valigia dalle sue mani e la strinse a sé. «Facciamolo lavorare.» Logan scese dall'auto. «Inizio a sentirmi un po' il terzo incomodo. Spero che non vi dispiaccia se vi seguo...» «A me dispiace», disse Joe. «Ma la sopporterò, se non ci darà fastidio.» Alzarono il passo mentre attraversavano il parcheggio. «Quanto ci vorrà?» «Il lavoro di Kessler non durerà tanto se riesce a trovare una buona fonte di DNA. È l'esame di laboratorio che mi preoccupa: il test del DNA può durare mesi.» «Preoccupatevi di trovare un buon campione, io farò in modo di accelerare i tempi dell'esame del DNA.» Joe le aprì il portone dell'edificio. «Non c'è problema, sono bravo nel mettere fretta alle persone, è uno dei miei...» Si fermò a guardarla. «Perché mi guardi così?» Lei distolse lo sguardo. «Non capisco cosa vuoi dire.» «Lo capisci, eccome.» Lei si liberò dalla sua stretta e continuò a camminare. «Smettila di fare domande, Joe, va tutto bene.» «Forse.» Guardò Logan. «O forse no.» Lei aprì la porta del laboratorio e vide Kessler alla scrivania, intento a mangiare un panino. La guardò indignato. «Ho sentito che vuoi farmi finire in cella. Grazie mille, Duncan.» «Hai della senape sui baffi.» Prese la valigia, si avvicinò a Kessler e gli pulì i baffi grigi e folti con un tovagliolo di carta. «Dio mio, nessuno sa sporcarsi come te, Gary.» «Mangiare dovrebbe essere una funzione piacevole, quando si è da soli. Non dovrei preoccuparmi che una donna possa entrare per criticarmi. Specie una che mi sta supplicando.» Diede un morso al panino. «In cosa ti sei immischiata, Duncan?»
«Mi serve il tuo aiuto.» «Se i giornali hanno ragione, ti devi rivolgere a un avvocato, non a me.» Spostò lo sguardo da Eve. «Lei è Logan?» «Sì.» Kessler sorrise timidamente. «Ho sentito che lei ha una barca di soldi.» «Abbastanza.» «Le dispiace rinunciarne a un po'? Non è più come quando ero giovane. Oggi, purtroppo, i brillanti scienziati hanno bisogno di mecenati.» «Forse potremo raggiungere un accordo.» «Smettila, Gary.» Eve aprì il lucchetto della valigia. «Sai bene che se il caso ti interessa farai il lavoro gratis.» «Che lingua lunga, Duncan», disse Kessler. «Un po' di avidità non fa mai male. E poi, sono diventato più materialista dall'ultima volta che abbiamo lavorato insieme.» Lo disse con tono assente, fissando la valigia. Al di là delle parole, Eve sentiva la sua eccitazione; sembrava un bambino che aspetta di scoprire che cosa c'è sotto l'albero di Natale. «E mandare Quinn in avanscoperta per destare la mia curiosità è stata una mossa scontata. Credevo che saresti stata più sottile.» «Se qualcosa funziona, mai cambiarla.» «Dev'esserci sotto qualcosa di molto interessante per trascinarti in un pasticcio del genere.» Non aveva mai tolto gli occhi dalla valigia. «Non sei stupida.» «Grazie!» Lei aspettò. Infine lui chiese con impazienza: «Allora, chi è?» Eve aprì la valigia e tirò fuori lentamente il teschio. «Dimmelo tu.» «Oh, merda...» mormorò lui. «Ebbene, sì.» Kessler prese la testa e la posò sulla scrivania. «Non è uno scherzo, vero?» «Starei scappando se fosse uno scherzo?» «Mio Dio, Chadbourne. Se è lui. Sapevi su chi stavi lavorando?» «No, andavo alla cieca. L'ho scoperto solo quando ho finito.» «E cosa vuoi da me?» «Una prova.» «DNA. E io su cosa posso lavorare? Immagino che avrai ancora una volta usato il teschio originale. Ma perché non fai mai un modello? Chissà cosa hai distrutto...»
«Era già pulito: il corpo è passato nel fuoco.» «E allora cosa credi che potrei fare?» «Pensavo ai denti. Lo smalto dovrebbe avere protetto il DNA. Potresti rompere un dente ed estrarre il DNA, è possibile?» «È possibile, è stato già fatto. Ma non ne sarei tanto sicuro.» «Ci proverai lo stesso?» «Perché dovrei? Non sono affari miei, e potrei mettermi nei guai.» Intervenne Joe: «Rimarrò io qui a proteggerla mentre lavora». Guardò Logan. «E sono sicuro che il signor Logan sarà felice di ricompensarla generosamente.» «Nei limiti del possibile», disse Logan. Stavano sbagliando tutto, pensò impaziente Eve. Avevano già conquistato Gary nel momento in cui aveva visto quel volto, serviva solo una spintarella per farlo crollare. «Non vuoi sapere se è davvero Chadbourne, Gary? Non vuoi essere tu a dimostrarlo?» «Forse.» Certo che lo voleva; tentava solo di nascondere l'eccitazione. «Sarà molto difficile», disse lei. «Diavolo, potresti scrivere un libro.» «Non è così difficile... Sempre che tu non abbia rovinato anche i denti.» «Non li ho toccati più del necessario. E sai che il mio lavoro non interferisce con il tuo, è lì ad aspettarti.» «So benissimo cosa stai cercando di fare, sai.» «È ovvio. Allora, lo farai, o devo portare il teschio a Crawford, alla Duke University?» «Ricordarmi i concorrenti non ti aiuta. So di essere il migliore del ramo. Ma potrei farti un favore. Mi sei sempre piaciuta, Duncan.» «Lo faresti anche se mi odiassi a morte. Ma non voglio mentirti: il pericolo è più grave di quello che pensi.» «Lo avevo intuito. Sono vecchio, mi serve qualcosa per mantenere l'adrenalina a un buon livello. Posso usare il mio laboratorio?» «Preferiremmo di no. Pensiamo che sia sicuro, ma non vogliamo correre rischi. Potresti lavorare da qualche altra parte?» «Vieni sempre a complicarmi le cose.» Ci pensò per un attimo. «Il mio laboratorio a casa?» «No.» «Ho un amico che è professore a Kennesaw, a circa quaranta minuti da qui. Mi lascerebbe usare il suo laboratorio.» «Bene.»
«E il mio assistente?» «Digli che ti sostituisca alle lezioni, ti aiuterò io.» «Forse non mi servirà... Però potresti ripulire e togliere via tutta questa plastilina. Voglio una superficie bella pulita.» «Va bene.» Eve si fece coraggio. «Ma prima devo fare una sovrapposizione.» «E io che faccio, mi giro i pollici?» «Faremo in fretta. Ci serve, Gary. Sai che i denti sono importanti per realizzare una sovrapposizione e non sappiamo quanti ne dovrai estrarre. Non possiamo verificare la dentatura originale, quindi ci serviranno tutte le prove che riusciremo a racimolare.» «Forse», ammise con riluttanza. «Ma l'esame del DNA avrà successo.» «Lo so. Potresti usare la tua influenza per farti prestare dall'università degli strumenti video? Io ho già il mixer.» «Niente pretese, va bene?» disse acido Gary. «Prendere degli strumenti costosissimi dall'università? Mi uccideranno.» «Non dire che li porti fuori del campus.» «Faranno un putiferio.» «Usa il tuo fascino.» «Sì, come no... Allora sospetteranno davvero che mi ha dato di volta il cervello. Preferisco minacciarli e ricattarli.» «È vero, non vogliamo che tu agisca in modo sospetto.» «Ma tu muovi quel culo magro e finisci subito il tuo lavoro.» «Non preoccuparti.» «Fantastico», mormorò Kessler. «Quanto tempo ci vuole a ripulire il teschio?» «Un'ora, forse due; devo stare molto attenta.» «Allora ti trovo gli strumenti e corro dal mio assistente per dirgli che starò via un paio di giorni.» Kessler si avviò verso la porta. «Metti via il nostro amico Presidente, io tornerò al più presto.» «Grazie, Gary. Ti sono debitrice.» «Sì, lo sei, e ricordati di pagarmi.» «Lo ha proprio convinto», disse Logan quando Kessler chiuse la porta. «Ci capiamo.» Guardò Joe. «Lo seguiresti per controllare che sia al sicuro? Non voglio esagerare, ma non mi va neanche che giri per il campus tutto solo.» «L'hai detto tu stessa: non credi che capirebbero il nesso.» «Non voglio rischiare, l'ho convinto io ad aiutarci, mi sento responsabi-
le.» «E io mi sento responsabile per te.» «Per favore, Joe.» «Non voglio...» Si interruppe nel vedere la sua espressione, e si voltò di colpo. «Resti con lei, Logan. Se succede qualcosa a Eve, le spezzo il collo.» Chiuse la porta bruscamente. Di nuovo violenza. Guardò assente il teschio. «È pronta a muoversi?» chiese Logan. «Non ancora. Devo impacchettare la testa e cercare tra gli strumenti di Gary qualcosa per rimuovere la plastilina.» Aprì un cassetto. «Lei contatti Margaret e si faccia dire quando mia madre sarà al sicuro.» «Posso chiamare da qui.» «Non voglio che mi gironzoli intorno, vada a chiamare da fuori.» «Ne sarei felice, ma Quinn mi ha dato degli ordini, e preferirei davvero non essere ucciso.» «Io le do degli ordini. Qui non mi serve a niente. Si tolga di torno e si assicuri che mia madre sia al sicuro, o andrò a casa a farlo io stessa. È quello che volevo fare comunque.» Logan fece un gesto di rassegnazione. «Vado.» Uscì. Eve non voleva nessuno intorno, in quel momento. Era troppo scossa, e doveva fare il punto della situazione. Solo il lavoro l'avrebbe aiutata, ed era meglio arrivare prima possibile al laboratorio di Kennesaw. Trovò tre scalpelli di legno che sembravano abbastanza appuntiti, ma non tanto da rischiare dei danni. Li mise nella borsa e sistemò con cura la testa di Chadbourne nella valigia. «Forza, Ben, fatti coraggio perché dovrò toglierti la plastilina. Mettila, toglila... Tutto questo correre avanti e indietro non ti sembra molto giusto, vero?» Chiuse la valigia. «Ma lo devo fare.» «Signora Duncan? Apra la porta. Sono Margaret Wilson.» Sandra studiò dallo spioncino la donna grassoccia, e la confrontò con la foto che aveva in mano. «Signora Duncan?» «Ho sentito.» Sandra aprì la porta. «Entri.» «No, il furgone è parcheggiato all'angolo. Dobbiamo andare. È pronta?» «Prendo la valigia.» Andò in soggiorno e tornò subito alla porta. «Dove andiamo?»
«Qui non possiamo parlare.» Margaret le fece strada nel cortile. «Non si preoccupi, è al sicuro.» «Perché non possiamo parlare? Non sono mica...» Ma capì subito. «Spie? Crede che la mia casa sia controllata?» «Così mi hanno detto. Presto!» «Spie...» Sandra chiuse a chiave la porta. «Che diavolo succede?» «Credevo lo sapesse.» Margaret si incamminò a grandi passi. «Speravo che avremmo potuto confrontare le nostre idee e trovare delle risposte. In genere non mi importa di lavorare alla cieca per John, ma tutto ciò mi rende un po' inquieta. Entri.» Indicò l'uomo basso e tarchiato al volante. «Lui è Brad Pilton, è della Madden Security, uno degli agenti che l'hanno sorvegliata in questi giorni. Dovrebbe essere la nostra guardia del corpo.» «Sono la vostra guardia del corpo!» disse lui risentito. Fece un cenno di saluto a Sandra. «Signora...» «Be', non mi sembri poi un omaccione.» Margaret salì in macchina. «Non che sia un ostacolo, in genere; nella botte piccola... Però credo che se ti avessi visto prima, avrei scelto qualcun altro per questo lavoro. Quelli grossi e muscolosi possono essere utili. Certo, hai delle credenziali eccellenti.» «Grazie.» Mise in moto. «Dove andiamo?» ripeté Sandra. «O non possiamo parlare nemmeno qui?» «Il furgone è sicuro, appartiene al servizio di sorveglianza, ma ho insistito con Pilton perché controllasse comunque se c'erano microspie. Andiamo al centro commerciale.» «Al centro commerciale?» «Centro commerciale North Lake. Dobbiamo fare un cambio di macchina, nel caso ci seguano. Entreremo da un ingresso e usciremo dall'altro.» «E poi?» «Sul Lago Lanier, ho affittato una casetta. Sarà al sicuro.» Il Lago Lanier. Lei e Ron avevano progettato di andarci a maggio, ricordò Sandra con tristezza. Ma aveva detto che avrebbero alloggiato all'hotel su Pine Island; non amava le sistemazioni rustiche. Nemmeno lei, d'altronde. Nonostante le differenze, avevano molto in comune. «Qualcosa non va?» «No, non credo. Sembra solo un brutto sogno.» «Anche a me.» Margaret le posò una mano sulla spalla, affettuosamente. «Non si preoccupi, lo affronteremo insieme.»
«Penso che ci stiano seguendo», disse Pilton. Sandra guardò dietro di sé. «Dove?» «La Mercury blu.» «Sicuro?» «Sì. Non si preoccupi, era previsto. La semineremo al centro commerciale.» Qualcuno li seguiva. Qualcuno che forse voleva farle del male, pensò Sandra con un brivido. Per la prima volta la minaccia stava diventando reale. Fiske guardò il furgone fermarsi nel parcheggio del centro commerciale e i tre passeggeri entrare di corsa dall'ingresso a sud. Non si preoccupò di parcheggiare, preferiva girare intorno all'edificio e tentare di beccarli mentre uscivano da un altro ingresso. Difficile. Era troppo grande, con troppe uscite. Ma in fondo non importava; la sua microspia preferita aveva fatto ancora il suo lavoro. Sapeva dove stavano andando, anche se avrebbe preferito che Margaret Wilson fosse stata un po' più esplicita. Il Lago Lanier era una zona turistica molto vasta, con migliaia di villette. E lui doveva iniziare subito a cercare quella giusta. Prese l'auricolare e compose il numero di Timwick. «Stanno portando la madre della Duncan in un cottage sul Lago Lanier. Il posto è stato probabilmente affittato ieri o oggi da Margaret Wilson. Devo sapere dov'è.» «Ci penserò io.» Fiske decise che nel frattempo poteva aspettare in albergo. Le cose procedevano a meraviglia; aveva temuto di dover lasciare Atlanta prima di finire tutto con calma. Ma era tornato. «Va tutto bene», disse Margaret a Logan, al telefono. «Abbiamo cambiato macchina e stiamo andando al lago.» «Chiamami quando arrivate.» «Te l'ho detto, va tutto bene. Pilton è sicuro che non ci stiano più seguendo.» «Pilton?» «La guardia del corpo. Anche se non è tanto più grosso di me.» «Non vuole dire niente, io scommetterei su di te contro Golia.» «Anch'io, ed è per questo che non mi preoccupo di Pilton. Va bene, ti
chiamo appena arriviamo alla villetta. Altro?» «Non dare nell'occhio, tutto qui.» Riattaccò. «Va tutto bene.» Forse era vero, ma rimaneva ancora inquieto. Pensava che far uscire Sandra Duncan da quella casa sarebbe stato più difficile. A meno che non volessero anche loro che sparisse. È più facile liberarsi di qualcuno che si nasconde. Ma solo se l'avessero trovata. «Le avevo detto di restare con Eve.» Joe Quinn stava salendo le scale. «Ed Eve ha detto a lei di restare con Kessler.» «È dietro di me.» «E io sono solo a pochi metri dal laboratorio.» «Sono pochi metri di troppo.» «Dovevo fare delle telefonate, e pensavo che Eve non mi volesse tra i piedi.» «Eve ha buon gusto.» Era ora di tentare qualche approccio con Quinn. «Ha assolutamente ragione. Eve ha ragione a odiarmi, e anche lei.» Lo guardò negli occhi. «Ma non mi dia ordini, siamo nella stessa squadra, farò tutto il possibile, ma lavorerò con lei, non per lei, Quinn.» «E non contro di me? Che cosa ha raccontato a Eve?» «Ciò che ho dovuto dirle per proteggere la mia posizione. Le assicuro che non era altro che la verità.» «Secondo John Logan.» «Sì. Credo che sappia cosa le ho detto, immagino che lo abbia tenuto nascosto per anni.» «Bastardo!» «Credo di avere il diritto di proteggermi, stava diventando un po' troppo pericoloso. Immaginiamo di raggiungere un accordo. Lei accetta di lavorare volontariamente, se non amichevolmente, con me, e io smetterò di raccontare a Eve della sua doppia vita.» Quinn lo fissò per un attimo. «Vada all'inferno.» Entrò nell'edificio. Logan si accorse che stava tirando il fiato. Aveva affrontato molti uomini pericolosi nella sua vita, ma Quinn era sicuramente un caso a parte. Era pazzesco che Eve non lo avesse mai capito. Forse non tanto, in realtà: per lei Quinn era l'uomo che la proteggeva, l'uomo che l'aveva salvata e sostenuta. Ed era difficile fare coincidere l'immagine di un salvatore con quella di
un killer. Quindici Kennesaw College 1.05 «Come va?» Logan si chinò su Eve. «Ha un minuto?» «No, non ho tempo. Mi ci è voluta un'eternità per sistemare in qualche modo questi strumenti.» Regolò il monitor. «E ho appena cominciato.» «Ha chiamato Margaret, dal Lago Lanier, ora ho il numero di telefono. Pensavo che volesse parlare con sua madre.» «E perché non me l'ha detto? Certo che voglio parlarle.» Logan compose il numero passando il telefono a Eve. «Mamma, come stai?» «Stanca. Preoccupata per te. Preoccupata per me, accidenti! A parte questo, sono in gran forma. Quando finirà, Eve?» «Vorrei tanto saperlo.» Cambiò discorso. «Com'è la casa?» «Bella. È proprio sul lago, con uno splendido panorama.» Ma Sandra non sembrava apprezzare né la casa né il panorama. Chi poteva biasimarla? Eve aveva intralciato la sua vita, l'aveva trascinata via dalla nicchia piacevole e comoda che si era costruita. «Prova a goderti il posto, e rilassati. Hai qualcosa da leggere?» «Margaret ha portato qualche giallo, ma sai che non leggo molto. Però c'è un televisore.» Un attimo di silenzio. «Pensi che potrei chiamare Ron? Non gli dirò dove sono.» «No, non farlo. Cercherò di farti tornare a casa in pochi giorni, credimi.» «Va bene», disse Sandra con tono seccato. «Forse mi sento un po' sola, ma starò bene. Abbi cura di te.» «Certo. Buonanotte, mamma. Ti chiamerò ogni giorno.» Diede il telefono a Logan. «Grazie, ora mi sento un po' meglio.» «Era quello che speravo. Come sta sua madre?» «È depressa, rivuole la sua vita.» Guardò il monitor. «Si merita un'esistenza migliore, ha passato anni tremendi e ora le cose vanno decisamente meglio. Ha incontrato qualcuno che le piace. Ha bisogno di stare con la gente.» «E lei no?» «Non ci ho mai pensato, ho sempre troppo lavoro da fare.»
«Sempre?» «Non sempre, non quando Bonnie... Sta di nuovo facendo troppe domande, Logan.» «Mi dispiace, mi chiedevo solo cosa c'è in lei...» Guardò la testa sul piedistallo. «Oltre all'ossessione per i nostri cari estinti. È interessante che non si sia fatta amici dopo la morte di sua figlia.» «Avevo da fare.» «E forse non vuole avvicinarsi più a nessuno per non rischiare di soffrire.» «Vuole che le dica quanto è perspicace? So bene che sto evitando di stringere nuovi legami, e so anche il perché.» «Certo. Lei è una persona intelligente. Ma perché non si rifà una vita?» «Forse non voglio.» «Nemmeno per vivere un'esistenza più piena, più ricca?» «Lei non sa quanto sia piena e ricca la mia vita, paragonata a quella di un tempo. Mi ero persa, ora ho trovato la strada. Stavo per annegare nel dolore, e sono riuscita a tornare a riva. Mi basta, Logan.» «Non basta. È ora di andare avanti.» «Non capisce.» «Ci provo.» «Perché?» «Lei mi piace», disse semplicemente. Eve lo fissò. «Cosa sta cercando di fare, Logan?» «Nulla di premeditato. Io cerco sempre nuovi amici... anche se poi rischio di perderli. Lei mi piace, l'ammiro. Volevo solo dirglielo.» «Prima di sfruttarmi di nuovo.» «Sì.» «Lei è incredibile. Ora si aspetta che la perdoni, e che poi andremo a giocare sulla spiaggia?» «No, gliel'ho detto, non ho un piano. Abbiamo superato quella fase. Volevo solo essere onesto con lei, per una volta... Mi dispiace di averla sconcertata.» Si alzò. «Farei meglio a lasciarla lavorare.» «Infatti.» «Pensavo che facesse più in fretta.» Eve si sentì sollevata. Quel momento, fatto di rivelazioni e intimità, era finito. Logan era tornato il solito, esigente uomo di sempre. Aveva ragione: era sconcertata. «Mi ci è voluto più del previsto per ripulire Ben.» Guardò Kessler, seduto dall'altra parte del laboratorio. «Gary non è conten-
to, non vede l'ora di iniziare a lavorare, mentre io devo ancora fare delle verifiche sul teschio.» «Perché ha fatto quelle foto a Barrett House?» «Per sicurezza.» «Quanto ci vuole per la sovrapposizione? Questo posto è un po' troppo frequentato, voglio andarmene.» «Sto facendo più in fretta possibile.» Regolò la telecamera che riprendeva il teschio, poi spostò di pochi millimetri la seconda macchina, puntata invece su una foto di Ben Chadbourne che Logan le aveva dato a Barrett House. «Quanto ci vorrà?» «Dipende: la preparazione è la parte più lenta, e fino a oggi non avevo mai usato questo tipo di strumenti. Così dovrebbe andare bene.» «Come funziona?» «Ma non ha niente di meglio da fare?» «Mi interessa... La sto importunando?» «No. Come vede, una telecamera è puntata sul teschio e l'altra sulla foto. Il teschio dev'essere orientato in modo da avere lo stesso angolo della foto. Dopodiché collego entrambe le telecamere a un mixer video, collegato a sua volta a un videoregistratore. Questo mostra le immagini sullo schermo. Con il mixer posso creare una doppia schermata di entrambe le immagini, con una linea che corre verticalmente e orizzontalmente su ciascuna immagine o crea un'unica immagine unendo le due metà. La linea può essere spostata per creare una sovrapposizione, mostrando più superficie di un'immagine e meno dell'altra, o viceversa. Quello che mi serve è creare una dissolvenza.» «E cos'è?» «Ha presente, nei film, le scene di un sogno, quando un'immagine si sfuoca lentamente e si trasforma in un'altra? Sovrappongo le due immagini e poi equalizzo la dissolvenza, così da vedere contemporaneamente sia la foto sia il teschio, come se la pelle fosse trasparente.» «Può mostrarmi in che modo?» «Ecco.» Richiamò le due immagini sullo schermo e riprese il lavoro. «Perché ha scelto la...» «Silenzio! Sto lavorando!» «Scusi.» Eve notò a malapena la sua presenza durante le accurate e laboriose fasi di sovrapposizione delle due immagini.
Spostava. No, troppo. Tornava indietro. Regolava. Di nuovo. Ancora. Ancora. «Cristo!» Logan si sporse a guardare il volto spettrale. «Fa quasi paura.» «Non c'è niente di pauroso, è solo un'immagine.» «Ora posso parlare?» «Mi sembra che lo stia già facendo.» Riprese a regolare le immagini. «Perché ha scelto la foto in cui Chadbourne sorride?» «I denti. Non sono mai perfetti, hanno delle irregolarità riconoscibili. Se i denti coincidono, abbiamo fatto centro. Per questo dovevo disporre del teschio prima che Gary iniziasse a estrarli.» «E coincidono?» «Oh, sì!» disse soddisfatta. «Corrispondenza perfetta. Non vede?» «A me sembra buona, ma non sono un esperto, e quell'aria sinistra mi distrae.» «Tutto coincide. Guardi come la linea dei denti del teschio combacia con le labbra della foto.» Indicò l'apertura nasale. «E questa ha stessa forma e dimensione del naso. Le pupille sono al centro delle orbite del teschio. Ci sono altri punti da usare per il confronto, e tutti corrispondono.» «E adesso che succede?» «Stampo varie copie di questa immagine e passo a un'altra foto.» «Ma ha detto che la corrispondenza era perfetta!» «Per una persona normale, non per il presidente degli Stati Uniti. Devo verificare con esattezza ogni tratto. Mi serve una foto che mi fornisca dettagli dell'orecchio e dei tendini a lato della...» «Ha reso l'idea.» Logan fece un cenno con la mano per fermare il fiume di parole. «Posso aiutarla?» «Può andare a parlare con Gary e tenerlo tranquillo finché non ho finito. Potrebbe aggredirmi da un momento all'altro.» «Va bene. Obbedisco.» Si alzò. «Tenere tranquilla la gente sembra l'unica cosa che mi rende utile in questi giorni. È una tortura non potere agire.» «La preferisco quando se ne sta quieto», disse lei seccamente. «Ogni volta che agisce, io mi sento sprofondare sempre più.» «Come non detto!»
Eve guardò lo schermo. Sapeva che la sovrapposizione confermava semplicemente il lavoro fatto sul teschio, ma provò comunque un brivido di soddisfazione: un altro mattone nel muro di prove che doveva costruire. «Ci arriveremo, Ben», sussurrò. Avviò la stampante. 3.35 Pioveva. Non se n'era accorta mentre lavorava. Si appoggiò al portone e guardò i prati del campus. L'aria fresca e umida le faceva bene ai polmoni. Respirò profondamente. Avrebbe dovuto essere stanca, ma si sentiva ancora troppo elettrizzata dopo il lavoro. «Non dovresti stare qui fuori.» Joe era a pochi metri di distanza. «Torna dentro.» «Mi serve una boccata d'aria.» «Hai finito?» «Ho finito la sovrapposizione, Gary ha appena cominciato al estrarre il DNA.» Guardò i vestiti di Joe. «Ti bagnerai.» «No, il cornicione mi ripara. Ed è una sensazione piacevole.» Sorrise. «Si vede che ho la testa un po' calda.» «Ho visto... Ma non dovresti dare la colpa di tutto a Logan, ho deciso io di accettare il lavoro. Sapevo che era rischioso, ma l'offerta era allettante, non avrei potuto rinunciare.» «Scommetto che non ti ha prospettato i rischi, prima di coinvolgerti.» «Comunque ho deciso io.» Perché difendeva Logan? Joe aveva ragione a disapprovare i metodi di quell'uomo, e lei stessa s'era infuriata quando aveva scoperto di essere stata sfruttata. Cambiò discorso. «È tardi, non dovresti restare qui Diane sarà preoccupata.» «Le ho telefonato.» «Se le hai detto che sei con me, si preoccuperà comunque. Di sicuro ha visto la TV.» «Non gliel'ho detto.» «Le hai mentito?» «No, le ho solo detto che avrei lavorato tutta la notte.» «È quasi una bugia. Se tu non fossi sincero con me mi arrabbierei davvero.»
«Tu non sei Diane, lei preferisce essere tenuta sempre all'oscuro quando succede qualcosa di spiacevole. Non si è mai abituata ad avere un marito poliziotto, vorrebbe che io lasciassi questo lavoro per qualcosa di più prestigioso.» «Be', la situazione non è poi così grave, ma ti spaccherei il muso lo stesso. Marito e moglie dovrebbero essere buoni amici.» «Ci sono tanti tipi di matrimoni.» «Non dovrei sorprendermi, neanche a me racconti tutto.» Guardò nel vuoto. «Per esempio, non mi hai mai detto che hai ucciso mentre eri in servizio.» «Hai visto troppa violenza nella tua vita, non te ne serviva altra.» «L'hai deciso tu? Proprio come fai per proteggere Diane? Nascondi le cose sgradevoli alle povere femminucce?» «Perché volevo proteggerti?» chiese bruscamente. «Sì, maledizione. Ma volevo anche proteggere me stesso, sapevo che l'avresti presa male. Non volevo che tu mi guardassi come se fossi Fraser.» «Non lo avrei mai fatto, ti conosco. Sono sicura che hai ucciso solo perché sei stato costretto.» «Allora voltati, voglio guardarti in faccia.» Lei si fece coraggio e si voltò. «Merda», disse lui tra i denti. «Devo solo abituarmi all'idea... Mi sembra di non conoscerti.» «Mi conosci meglio di chiunque altro al mondo, proprio come io conosco te.» «Allora perché non mi hai detto...» «Va bene, te lo dico. Vuoi un bilancio delle vittime? Tre. Due erano spacciatori, al terzo piaceva molto uccidere... Mi ricordava Fraser. Mi sono chiesto spesso se è stata veramente legittima difesa, o se invece non volevo rischiare di vederlo girare indisturbato.» Abbassò la voce. «E non ho mai perso il sonno per nessuno dei tre. Adesso ti sembra di conoscermi meglio?» «Joe, io non...» «Vuoi che ti racconti del mio periodo nei marines? No, vedo che non vuoi. Tre ti bastano. Non vuoi l'ombra di un assassino intorno a te. Lo sapevo, e l'ho accettalo.» «Perché non ho mai saputo di queste storie?» «Immaginavo che non volessi saperle. Era facile: non hai più letto i giornali o guardato le notizie in TV dopo Bonnie; bastava che nessuno alla
centrale te lo dicesse. E lo rifarei. Non eri pronta a renderti conto che non ero come quei bravi poliziotti dei vecchi film in bianco e nero. Non sarai mai pronta a questo.» Guardò il laboratorio. «E non sono contento che il nostro Logan ti abbia detto tutte queste cose su di me.» «Allora non avresti dovuto minacciarlo.» «Ti pare che non me ne renda conto? Sono stato un idiota. Ero furioso, e te l'ho lasciato vedere. O forse sto mentendo, volevo farlo veramente. Magari ero stanco di... Ma per quanto tempo credi che io avrei potuto tenermi tutto dentro...» Sospirò. «Non rovinare quello che abbiamo costruito, Eve. Siamo insieme da tanti anni, lo hai detto tu, mi conosci.» «Davvero?» «Va bene, ricominciamo da zero. D'ora in poi sarò onesto con te, anche se ciò ti farà soffrire. Contenta? Perché io non sono contento. Ma in fondo ci sono abituato, è la mia vita.» «Perché...» «Stiamo parlando a vuoto. Vado a controllare la zona. Ma non preoccuparti, se li trovo, li tratterò con i guanti bianchi. Non vorrai certo che mi sporchi di nuovo le mani, vero?» Era arrabbiato con lei. Forse aveva ragione: era suo amico, era più di un fratello, e lei lo aveva messo da parte, dimenticato. Joe la conosceva troppo bene per non sapere che cosa stava provando. Lei, invece, non lo conosceva così bene. Soprattutto, non sapeva tutto ciò che le aveva nascosto. Doveva ammetterlo, non aveva mai voluto sapere. I poliziotti affrontano la violenza ogni giorno: bastava rifletterci un attimo, per capire che questo valeva anche per Joe. «Non volevo che tu mi guardassi come se fossi Fraser.» Aveva negato, ma questo era stato il primo pensiero quando Logan le aveva raccontato del passato di Joe. Non era razionale, non era giusto, ma lo aveva pensato. Un'altra stoccata di Logan per disorientarla... Ma stavolta era una tempesta. Non doveva pensarci. Erano già tante le preoccupazioni, anche se l'idea di avere fatto infuriare Joe non andava giù facilmente. E se non fosse stata solo rabbia? Se lo avesse ferito? Joe era un uomo duro, ma poteva soffrire, e lei non voleva che succedesse. Non riusciva ad abbandonare quei pensieri, eppure doveva farlo. Dopo avrebbe riflettuto sulle conseguenze. Joe era troppo importante... Se avesse
iniziato a preoccuparsi per lui, non sarebbe stata in grado di fare altro. Era necessario, in quel momento, aiutare Gary. Per chiudere quella storia e tornare a una vita normale. Rientrò nel laboratorio. Kessler la guardò. «Tutto bene?» «Certo, volevo solo prendere un po' d'aria. Come va?» «Non bene.» Guardò il molare che stava esaminando. «Il povero bastardo rimarrà sdentato prima che io racimoli abbastanza per un campione. È il terzo dente che gli tolgo.» «Hai bisogno di aiuto?» «Così te ne prenderai il merito?» Sorrise. «Prometto che non lo dirò a nessuno.» «Come no, l'ho già sentita. Sparisci.» «Come vuoi.» Ma rimase a guardare Gary che intaccava lo smalto del dente. «Stavo pensando... Dopo che avremo il campione, sarebbe una buona idea se te ne andassi in vacanza, magari nella tua casa al mare.» «Tenti di salvarmi la pellaccia, Duncan? Forse senti qualche senso di colpa?» «Sì.» «Bene, i rimorsi fanno bene allo spirito. Ma non credere che lo stia facendo per te: questo lavoro farà di me una celebrità. Ho sempre voluto sentirmi al centro dell'attenzione.» «Certo, è per questo che lavori come un ossesso e vivi da eremita.» «I simili si riconoscono. Tra cinquant'anni anche tu vivrai in un laboratorio, mangiando pizza fredda.» «E mentirò dicendo di volere diventare famosa? Ammettilo sei solo curioso.» «In parte.» Iniziò ad aprire il dente, con la massima cura. «Che altro c'è?» «Lo sapevi che ho passato l'infanzia a Monaco, negli anni Trenta?» «No, non me ne hai mai parlato.» «Noi ci interessiamo solo al lavoro, vero? Le ossa, i morti... Mia madre era ebrea, ma mio padre era di pura razza ariana, e aveva amici molto influenti al Governo. I nazisti tentarono di costringerlo a divorziare, ma lui rifiutò. Aveva un panificio, e per due mesi di seguito gli ruppero le vetrine ogni giorno. Ma tenne duro e continuò a rifiutare. Poi, una notte non tornò a casa dal lavoro, e ci dissero che era finito sotto un camion. Perse una
gamba e rimase nove mesi in ospedale. Quando fu guarito, si accorse che non c'era più niente da fare: il negozio era stato chiuso e i nazisti cominciavano a rastrellare gli ebrei. Siamo riusciti a scappare in Svizzera, e da lì in America.» «Oh mio Dio, Gary, è terribile... Mi dispiace...» «A me non dispiaceva. Ero solo furioso. Guardavo quei figli di puttana marciare nel mio quartiere, picchiare chiunque gli capitasse tra i piedi. Tiranni. Ci tolsero tutto ciò per cui valeva la pena vivere. Dio, odio i tiranni.» Indicò il teschio. «E i responsabili di questo sono come i maledetti nazisti, marciano per il mondo intero. Mi fanno schifo. Ma stavolta non la faranno franca.» Lei si sentì un nodo in gola. «Gary, sei proprio un'anima nobile.» «Certo, accidenti. Inoltre, potrebbe essere il mio canto del cigno, e voglio che sia forte e chiaro.» «Canto del cigno? Vuoi andare in pensione?» «Forse. Ho già passato l'età della pensione. Sono vecchio, Eve.» «No, Gary.» «Hai ragione, non è vero», ridacchiò. «Ogni volta che mi guardo allo specchio, vedo il giovanottone che ero a vent'anni. Forse con qualche ruga in più, ma non sempre le noto. Come quelle sovrapposizioni che fai tu: non importa cosa c'è nello strato superiore, il ragazzo si annida lì sotto, lo so. Secondo te, tutti i vecchi si illudono come me?» «Non ci illudiamo, tutti vediamo quello che vogliamo vedere, abbiamo un'immagine di noi stessi.» Tentò di sorridere. «E poi tu non sei vecchio, non andrai in pensione, accidenti. Mi servi!» «Vero. Ci vuole un uomo eccezionale e di buon cuore per una donna testarda e piena di difetti come te. Potrei essere costretto a rimanere in giro solo per tenerti... Merda!» Mise da parte il dente. «Un altro buco nell'acqua. Vattene! Mi porti sfortuna!» «Be', questa sì che è un'osservazione altamente scientifica. Chiamami se hai bisogno di me.» «Non credo.» «Progressi?» Logan era seduto dall'altra parte della stanza. «Non ancora.» «C'è una branda nell'altra stanza, Eve. Perché non prova a riposare?» «No, devo restare qui nel caso Gary cambi idea e voglia il mio aiuto.» Si sedette accanto a lui e poggiò la testa alla parete. «La responsabilità è mia, l'ho coinvolto io...»
«Sembra quasi che si stia divertendo», disse Logan fissando lo sguardo su Kessler. «In quel suo modo tutto cerebrale.» «Cerebrale? Crede di essere il generale Schwarzkopf, Eliot Ness, Lancillotto o chissà chi altro...» E aggiunse con tono deciso: «Farebbe meglio a preoccuparsi che non gli succeda niente, Logan. Avrei dovuto scegliere il vostro uomo alla Duke University. Ma ritenevo che Gary fosse il migliore per questo lavoro, non ho pensato che potesse essere pericoloso per lui». «Non appena avremo il campione del DNA e una dichiarazione giurata, lo faremo uscire di scena.» «Come ha fatto con mia madre?» «Le ho detto che è al sicuro, Eve. Le ha parlato, no?» «Non è al sicuro, non lo sarà fino alla fine di questa storia.» Nessuno era al sicuro: Joe, Gary, sua madre erano caduti nella rete, ed era colpa sua. «Va bene, non al sicuro quanto vorrei. Ma in questo momento è il meglio che posso fare. Kessler sembra averla sconvolta, cosa le ha detto?» Nazisti, un canto del cigno, un giovane allo specchio. «Non molto, niente di importante.» Mentiva: la vita di Gary era importante. Il fatto che fino a quel momento non avesse mai conosciuto il passato di Gary era importante. Era la notte delle rivelazioni, pensò. Logan, Joe, e adesso Gary. Chiuse gli occhi. «Lo tenga al sicuro, va bene?» La Casa Bianca 7.20 «Kessler», disse Lisa al telefono. «Controlla Kessler, a Emory.» «Conosco il mio lavoro, Lisa, sto già controllando Kessler. È nella lista.» «Allora mettilo al primo posto. La Duncan ha lavorato molte volte con lui, c'è scritto nel rapporto che mi hai mandato.» «Ha collaborato anche con altri.» Lo sentì sfogliare delle carte. «E non lavora più con lui da un paio d'anni.» «Ma è stato il primo antropologo con il quale abbia mai lavorato, fa parte della sua storia, per lei significa sicuramente qualcosa.» «Allora perché non ha più lavorato con lui? Logan ha cercato Crawford...» «Sono andati alla Duke University?» «No, ma è ancora presto per dirlo.»
«Presto? Avrebbero dovuto essere già nelle tue mani! Il tempo stringe! Sposta Kessler all'inizio della tua lista.» Riagganciò. Non avrebbe dovuto essere così sgarbata, non era stata una mossa intelligente. Più Timwick si sentiva disperato, più diventava risentito e prepotente. Ma come faceva un uomo intelligente a essere così privo di immaginazione? Non capiva che la chiave era la Duncan, non Logan? Per calmarsi, tirò un respiro profondo. Non doveva farsi prendere dal panico, non doveva perdere il controllo. Va bene, c'erano due problemi. Uno: bisognava recuperare la testa di Ben; qualsiasi prova era inutile senza di essa. Due: Logan e la Duncan dovevano essere eliminati, e ogni prova distrutta. E Timwick non stava facendo niente, maledizione! Sapeva che era un anello debole della catena sin dall'errore con Donnelli, e aveva un piano di riserva in caso di necessità. Più il tempo passava, più le cose si facevano pericolose. Doveva prendere in mano la situazione. Perché era arrivata fino a quel punto? Non aveva mai voluto niente di simile! Non era giusto. Be', il mondo non era giusto; in fondo puoi fare solo ciò che è tuo dovere fare. Non era possibile cancellare quello che era compiuto, quindi doveva proteggere se stessa e ciò che si era guadagnata. Aprì l'agenda e cercò il nome e il numero che Timwick le aveva dato tre settimane prima. Il telefono squillò tre volte. «Signor Fiske? Non abbiamo mai parlato prima, ma credo che sia arrivato il momento di farlo.» Sedici Kennesaw College 11.50 «Ce l'abbiamo!» Eve strinse il thermos che conteneva la fiala con il campione di DNA. «Adesso dobbiamo muoverci, non possiamo rischiare che si deteriori.» «Ce n'è abbastanza?» chiese Logan. «Appena.» Si rivolse a Kessler. «Dove suggerisci di portarlo, Gary?» «Non vorrete rischiare in un centro di ricerca troppo conosciuto?» «No, no.»
«Ma volete un posto con ottime credenziali.» «Certo.» «Duncan, sei davvero una donna piena di pretese. E sei fortunata che io sia tanto efficiente da esaudire le tue assurde richieste.» Abbassò la voce in tono drammatico. «Conosco un uomo.» «Non voglio un uomo, voglio un laboratorio.» «Dovrai accontentarti di Chris Teller.» «E chi è Chris Teller?» «Un mio studente, che ora insegna al MacArthur College. Una mente brillante. Fa ricerche sul DNA, ma deve pur sopravvivere, così l'hanno scorso ha aperto un piccolo laboratorio a Bainbridge, in Georgia. Sono solo tre persone, e vogliono continuare così: il laboratorio è classificato come centro di ricerca medica, e non di medicina legale.» «Dovrebbe andare bene.» «Ma certo, è la soluzione migliore! Sembra quasi che io mi occupi di complotti da sempre... Chris accetta di fare profili del DNA solo quando deve pagare l'affitto, ma il suo lavoro è accuratissimo. E noi non possiamo rischiare un errore, non credo che riuscirei a estrarre un altro campione.» «Bainbridge, va bene. Lo porterò io stessa e...» «No, lo porterò io. Hai detto che ti serve fare in fretta, lo convincerò da scienziato a scienziato.» «Porterò con me Joe. Di certo Teller vorrà collaborare con la polizia.» «Non se è impegnato in qualche ricerca e non vuole interromperla. Dirà a Quinn di rivolgersi a qualcun altro. Otterremo più collaborazione se me ne occupo io.» «Il tuo lavoro l'hai fatto, adesso è bene che te ne stia da qualche parte sulla spiaggia. Non posso chiederti altro per me, Gary.» «Non mi sembra che tu me l'abbia chiesto», disse Gary. «E decido io quando il mio lavoro è finito. Stai cercando di rubarmi l'esclusiva per il libro?» «Sto cercando di non farti uccidere.» Gary le prese il thermos dalle mani e si diresse verso la porta. «Devo passare a casa mia a prendere qualche vestito e una borsa.» «Gary, è una follia...» «Vuoi aiutarmi? Allora devi cercarmi dei campioni di qualche parente, così Teller potrà confrontarli. Sei libera di seguirmi a Bainbridge, ma mi occuperò io di questo campione, Eve.» «Gary, ascolta...» Era già uscito, ed Eve si affrettò a seguirlo nel corri-
doio e poi fuori dall'edificio. «Che succede?» Joe la raggiunse. «Dove va?» «In un laboratorio a Bainbridge. Ha il campione. Gli ho detto che l'avrei fatto io, ma vuole andarci di persona.» «Stupido testardo.» Joe si precipitò fuori. «Ci penso io, Eve.» «No!» Logan uscì dall'edificio. «Eve e io seguiremo Kessler a Bainbridge, lei vada dalla sorella di Chadbourne, Millicent Babcock.» «Scommetto che vuole un campione del suo DNA...» «Sì, ma anche se coincidesse, sarebbe solo un'indicazione, non una prova valida in tribunale. Ci serve il DNA proprio di Ben Chadbourne. Lui e sua sorella erano molto legati, e lui ha soggiornato molte volte a casa sua durante la campagna elettorale. Di certo le ha inviato cartoline d'auguri o buste con tracce di saliva. O se ha lasciato dei vestiti, potrebbero ancora esserci dei capelli...» «E io come dovrei procurarmi questi souvenir?» «Faccia lei.» «Dove abita la sorella di Chadbourne?» «A Richmond, in Virginia.» «Sta solo tentando di mandarmi fuori dalle scatole, non è vero?» «Non questa volta, ci servono dei campioni per il confronto; prima li avremo, prima sarà finita.» Joe esitò. «Va bene. Il DNA di Chadbourne e un campione da sua sorella. Cosa le serve di lei, sangue?» «Per ora basterà la saliva», disse Eve. «Ma il campione dev'essere congelato e spedito immediatamente.» «Lo porterò io stesso.» Guardò Logan. «Non sa se fuma?» «No, mi dispiace.» «La saliva non è un problema: anche se non fumasse, di certo beve caffè, è un po' la droga nazionale. Il problema è invece il DNA di Chadbourne. Le lettere saranno la fonte più probabile, ma come diavolo faccio a...» Scese le scale. «Troverò un modo, e sarò di nuovo qui prima che se ne renda conto. Basta che si prenda cura di Eve finché non torno, Logan.» «Mi faresti il piacere di seguire Gary a casa sua e di restare lì finché non arriviamo anche noi?» chiese Eve. «Devo mettere via la testa e i miei documenti, e non voglio che resti solo.» Guardò Gary, che stava entrando in macchina. «Prenditi cura di lui, Joe.» «Perché non prova a convincerlo a passare da un avvocato per firmare una dichiarazione giurata...» aggiunse Logan.
Eve si voltò. «Mi dispiace essere così fiscale, ma conviene avere sempre delle prove di riserva se dovesse succedere qualcosa.» Voleva dire nel caso uccidessero Gary, pensò Eve, e le venne la nausea. «Avrò la dichiarazione e i dannati campioni di DNA», disse Joe correndo a raggiungere Gary. «Porti Eve via di qui. In un posto sicuro, Logan.» «Sarà fatto.» Logan la prese per un braccio e la riportò nel laboratorio. «Ecco un ordine di Quinn che non mi pesa eseguire.» Mise la testa nella valigia, mentre Eve raccoglieva le foto e i dischetti del computer e li gettava alla rinfusa nella borsa. «Non ci sono aerei per Bainbridge, dovremo andare in macchina.» «È più sicuro che prendere un aereo, specie se dobbiamo fuggire da Atlanta. Pronta?» Non le conveniva non essere pronta, pensò lei tristemente. Logan era in azione, e doveva seguirlo, o scegliere di essere abbandonata. Ma non voleva essere abbandonata. «Perché non dorme un po'? Ha lavorato tutta la notte. Prometto che non finirò in un fosso», disse Logan. «Non ho sonno. Siamo in viaggio da tanto, è quasi buio. Non dovremmo essere già arrivati?» «Ancora un'ora, più o meno.» Un'ora era un'eternità quando si sentiva troppo inquieta. «Ha notizie da Gil?» «Ieri sera. Nessun progresso. Ci vorrà del tempo per avvicinarsi a Maren in modo confidenziale. Sono certo che è assai indaffarato a dirigere la messinscena riguardo il mio cadavere.» «Non fa ridere.» «Neanche a me, ma se ride è meglio.» «Perché?» «Ho sempre pensato che fosse così. Ti mantiene sano di mente.» «Allora proverò.» Guardò i fari della macchina di Gary davanti a loro. «Parla per esperienza? Si è mai trovato sull'orlo dell'abisso?» «Assai vicino.» «No. Non voglio stupide risposte evasive, non è giusto. Me lo dica. Lei sa tutto di me.» «Ne dubito, lei è una donna dai mille aspetti, non mi sorprenderebbe se avesse qualche segreto.»
«Mi dica.» «Cosa vuole sapere?» «A proposito dell'abisso.» «Ah, vuole vedere le mie cicatrici.» «Lei ha visto le mie.» Restò in silenzio per un attimo. «Da giovane ho vissuto in Giappone. Ero sposato con una donna per metà cinese. La donna più bella che avessi mai conosciuto. Si chiamava Chen Li.» «Avete divorziato?» «È morta di leucemia.» Fece un sorriso amaro. «Non è stata come la sua perdita di Bonnie, nessuna violenza, tranne il fatto che, quando ho scoperto di non potere fare niente per aiutarla, avrei distrutto il mondo intero. Ero un presuntuoso, convinto che non esistesse ostacolo che io non potessi superare. Ebbene, non l'ho superato. È morta dopo quasi un anno, e ho dovuto vederla spegnersi lentamente. Che ne dice, è una cicatrice abbastanza profonda?» Lei guardò nel buio. «Sì, abbastanza profonda.» «Ora pensa di conoscermi meglio?» Eve non rispose. «La amava?» «Oh sì, la amavo. Lo sa, avrebbe fatto meglio a non chiedermelo; lei ha il cuore tenero, e le sarebbe stato più facile odiarmi se non avesse scoperto che anch'io ho dei sentimenti, come tutti.» Era vero: capire gli altri attenua i contrasti. La sua stessa calma dimostrava il dolore che aveva provato in quel momento. «Non ho mai detto che lei non fosse umano.» «Quasi....» Cambiò discorso. «Il laboratorio di Teller potrebbe essere chiuso quando arriveremo a Bainbridge. Dovremo dormire in qualche motel, e aspettare domattina.» «Non possiamo telefonargli? Forse Gary potrebbe...» «Kessler desterà già parecchi sospetti per la sua insistenza con Teller, sarebbe esagerato chiedergli di restare aperto finché non arriviamo.» Logan aveva ragione, ma Dio, poteva pure muoversi più velocemente! «Non capisce. A volte ci vogliono settimane per ottenere un risultato definitivo di un test del DNA. Gary chiederà a Teller di farlo in pochi giorni. I laboratori privati possono essere più veloci perché hanno meno lavoro, ma per noi ogni minuto è decisivo.» «Crede che un po' del mio sporco denaro lo convincerà a fare gli straordinari?»
«Non credo, sembra un professionista serio.» «Deve comunque pagare le bollette. Kessler ha detto che potrebbe avere bisogno di soldi.» È vero, forse lei si sbagliava: sono i soldi a muovere il mondo. Lei stessa era stata attirata dall'esca che Logan le aveva agitato sotto gli occhi. «Lasciamo prima che Gary provi a modo suo.» «Non volevo offenderla, cercavo solo di aiutare.» «Lo so. Perché dovrei offendermi? Non c'è niente di male nei soldi.» La guardò sorpreso. «Solo che non mi piacciono quando diventano un'arma.» «E la corruzione è giustificata?» «In certi casi.» Logan sorrise. «Come quello della Fondazione Adam?» «Sì, accidenti.» «Anche quando li ho usati per ingannarla?» «No, non era giusto. Ma sono stata io a lasciarglielo fare. Non sono stupida, sapevo che c'era qualcosa che non andava, ma ho corso il rischio. Non ero come... Non avevo paura che qualcuno facesse un errore e ci uccidesse tutti. Volevo i soldi. Pensavo che sarebbero serviti, ed ero pronta a correre il rischio. Se non fossi venuta con lei, non mi sarebbe successo niente di tutto questo, io ora non mi troverei nei guai e mia madre sarebbe al sicuro. Mi piacerebbe darle sempre la colpa di tutto, ma ognuno deve accettare la responsabilità delle proprie azioni.» «Non pensavo ragionasse così. Voleva tagliarmi la gola.» «In certi momenti lo vorrei ancora. Lei aveva torto, ma avevo torto anch'io, e ora dobbiamo adattarci.» Guardò fuori dal finestrino. «Ma non voglio che qualcuno si faccia del male perché io avevo torto.» «È molto generosa.» «Non sono generosa, ma devo vedere le cose per quelle che sono. Ho imparato molto tempo fa che è facile dare la colpa agli altri quando accettarla su di sé è troppo doloroso. Ma alla fine bisogna affrontare la verità.» Lui si fece silenzioso. «Bonnie?» «Eravamo a un picnic della scuola, in un parco vicino casa. Voleva andare a comprare un gelato dal carretto, io stavo parlando con la sua maestra e l'ho lasciata fare. C'erano bambini e genitori dovunque, e il gelataio era poco lontano da noi. Pensavo che fosse sicuro... Non lo fu affatto.» «Mio Dio, come fa a dire che è colpa sua?» «Avrei dovuto accompagnarla. Fraser l'ha uccisa, ma io non l'ho control-
lata abbastanza.» «E si è tormentata per tutti questi anni?» «È difficile non pensarci, quando hai fatto un errore così grande.» «Perché me l'ha raccontato?» Già, perché? In genere non parlava mai di quel giorno, il ricordo era ancora una orribile ferita aperta. «Non lo so. L'ho fatta parlare di sua moglie e... temevo di averla ferita. Credevo fosse giusto pareggiare il conto.» «E ha una mania per la giustizia.» «Devo averla, anche se a volte non funziona... Allora mi capita di chiudere gli occhi e nascondermi nel buio.» «Come ha fatto con Quinn?» «Non mi sono nascosta...» Mentiva. Doveva ammetterlo, aveva provato a ignorare gran parte della vita di Joe. L'immagine che aveva di lui era troppo importante. «Forse l'ho fatto, ma non è sempre così... se posso evitarlo.» «Le credo.» Eve rimase in silenzio per un attimo. «E Millicent Babcock? Sarà in pericolo se scoprono che Joe ha un campione?» «Farle del male non servirebbe a molto. Chadbourne ha una zia e tre cugini viventi, sarebbe troppo sospetto se morissero tutti. Inoltre, la prova definitiva è il DNA di Ben Chadbourne. Millicent dovrebbe essere al sicuro.» Forse. Forse sua madre era al sicuro. Forse non avrebbero fatto del male a Gary. Forse Millicent Babcock non sarebbe stata uccisa. Forse non era abbastanza. Poggiò la testa all'indietro sullo schienale e chiuse gli occhi. Fa' che sia abbastanza, invocò. Niente morti, niente più morti. Washington 23.05 «Signor Fiske?» Lisa Chadbourne si chinò verso il finestrino, sorridendo. «Posso salire? Qui sono un po' troppo esposta.» Fiske si guardò intorno. «A me sembra un luogo piuttosto deserto.» «Per questo l'ho scelto: in questa zona tutti gli uffici federali chiudono alle cinque.» Entrò in macchina e chiuse la portiera. «Ma di certo capirà che non posso correre rischi, è facile riconoscermi.» Era vero. Il cappuccio di velluto del cappotto marrone le nascondeva i
lineamenti ma, una volta abbassato, Fiske la riconobbe subito. «È davvero lei! Non ero sicuro...» «Ma lo era abbastanza da prendere il primo aereo per Washington.» «Ero curioso, e mi ha detto che la sua offerta mi avrebbe allettato. M'interessa sempre migliorare.» «Ed è lusingato perché ho evitato Timwick e ho cercato direttamente lei?» «No.» La puttanella credeva che lui dovesse andare in estasi solo perché era la moglie del Presidente. «Lei per me non significa più di chiunque altro. Io non ho bisogno di lei, è lei che ha bisogno di me. Altrimenti non sarei qui.» Lei sorrise. «Ha ragione, e apprezzo la sua efficienza e il suo ingegno. Ho detto a Timwick che il modo in cui ha risolto il problema di Barrett House è stato ammirevole. Ma sfortunatamente Timwick non è efficiente come lei, e sta diventando nervoso e impulsivo. Comincia a deludermi. Avrà già capito che Timwick prende ordini da me.» «Non dal Presidente?» «No, lui non è coinvolto.» Che delusione. Sarebbe stato un onore lavorare per l'uomo più importante del mondo occidentale. «Allora dovrei chiederle di più, non crede?» «Davvero?» «Se lui non sa cosa state facendo, allora è una potenziale minaccia. Se il Presidente fosse coinvolto, potrebbe proteggermi, ma lei non può fare niente.» «Vuole essere protetto, Fiske? Non credo proprio. Ho letto il suo dossier, e non penso sia una delle sue priorità. Non si fida di nessuno tranne che di se stesso.» Era davvero astuta! «I soldi proteggono.» «Le sue tariffe sono esorbitanti. Probabilmente in qualche banca in Svizzera ha abbastanza denaro per vivere come un re.» «Valgo quel prezzo.» «Certamente, io le facevo solo notare che avrebbe potuto ritirarsi tranquillamente molto tempo fa... Perché continua a rischiare così?» «I soldi non sono mai abbastanza.» «Le piace. Le piace il rischio, il gioco. Le regala troppe soddisfazioni, e più è difficile e rischioso, più le piace. Adora l'idea di fare qualcosa che nessun altro potrebbe fare. La cosa più difficile del mondo è uccidere e farla franca, vero? È la sfida finale, il gioco più interessante.»
Cristo, anche troppo astuta. «Forse.» «Non sia diffidente, ognuno ha i suoi buoni motivi. La sua filosofia di vita mi sembra del tutto ragionevole e, guarda caso, coincide perfettamente con le mie necessità. È per questo che l'ho scelta.» «Lei mi ha scelto? È stato Timwick a farlo.» «Timwick mi ha preparato parecchi dossier, e crede ancora che abbiamo scelto insieme. Ho scelto io, Fiske. Sapevo che lei era l'uomo che mi serviva.» Sorrise. «E sapevo che lei aveva bisogno di me.» «Non ho bisogno di nessuno.» «Invece sì: io sono la persona che può offrirle una sfida che non ha mai affrontato prima. Non lo trova eccitante?» Fiske non rispose. «Sì, vero? Lo sapevo», ridacchiò lei. «Secondo me, non ne può più di lavorare per Timwick... Le piacciono le mosse decisive, le idee pulite. Con me non avrà mai problemi di incertezza.» Questo lo aveva notato. «Vuole eliminare Timwick dalla scena?» «Dico solo che lei dovrebbe tornare ad Atlanta per controllare Kessler. Farà finta di obbedire a Timwick, ma eseguirà i miei ordini e ne risponderà direttamente a me.» «Se sapessi di cosa si tratta, potrei decidere più facilmente.» «No, non è vero, non le importa. Lei pensa che tutte le nostre complicate macchinazioni siano inutili, le interessa solo il potere. Ama il potere, fa parte del gioco.» «Crede di conoscermi così bene?» «No, ma la conosco abbastanza da non farmi sottovalutare da lei.» «Davvero?» Le mise le mani alla gola. «Ha mai pensato quanto sarebbe difficile uccidere la First Lady e non essere scoperto? Pensi che soddisfazione per me mostrare a questi bastardi quanto sono stupidi.» «Ci avevo già pensato.» Lo fissò dritto negli occhi. «Ma poi dovrebbe fuggire continuamente, e il gioco sarebbe finito. Che delusione! Io posso farlo continuare molto a lungo.» Fiske strinse fino a lasciarle un segno. Voleva farle male, farla cedere. Lisa Chadbourne non si scompose. «Ho una lista per lei», disse con voce rauca. «O meglio, un'aggiunta alla lista che ha già.» Fiske non allentò la stretta. «So che le piacciono le liste, me l'ha detto Timwick. È per questo che le ha dato...» Respirò profondamente quando lui mollò la presa. «Grazie. Timwick le ha ordinato di controllare Kessler?» «Sì, ma pensava che non fosse importante, è più interessato a Sandra
Duncan.» «Anche lei è importante. Forse dovrò prendere una decisione riguardo a lei molto presto, ma non voglio perdere di vista Kessler. Se non lo raggiunge subito, farà un esame del DNA, probabilmente non nella sua università. Lo trovi. Non gli dia tempo di avere i risultati.» «DNA?» «Sul teschio, lo sa.» Lui sorrise. «No, me lo dica lei. Perché quel teschio è così importante?» «Lei sa ciò che le serve sapere. Voglio il teschio e lei deve solo portarmelo.» «Ah, sì?» «Almeno lo spero. Io non sono Timwick, non sono sicura che mi obbedirà.» «Chi ha ucciso? Un amante? Un ricattatore?» «Mi serve quel teschio.» «Lei è una dilettante, altrimenti non si troverebbe in questo pasticcio. Avrebbe dovuto lasciare fare a un esperto.» «Mi sono accorta dell'errore, e per questo ora lascio fare a un esperto.» Prese un foglietto dalla tasca. «Ecco la lista, sul retro troverà il mio numero di telefono privato. A meno che non sia un'emergenza, non mi chiami mai prima delle sette di sera.» Lui guardò quel foglietto ripiegato. «Sta rischiando, sarà pieno di impronte digitali...» Guanti. Portava guanti di pelle. «Immagino che non sia scritto a mano.» «Al computer, e adesso ci sono solo le sue impronte. Il mio telefono è registrato sotto falso nome, e i documenti sono nascosti così bene che ci vorrebbero anni per ritrovarli. Anch'io sono molto efficiente, Fiske. È per questo che lavoreremo bene insieme.» «Non ho ancora detto di avere accettato.» «Allora ci pensi.» Scese dalla macchina, «Legga la lista e ci pensi.» «Aspetti!» «Devo tornare a casa, per me è difficile sgattaiolare via senza esser vista.» «Ma c'è riuscita lo stesso, come ha fatto?» «Ho trovato delle soluzioni appena mi sono trasferita alla Casa Bianca. Non volevo diventare una prigioniera. Non è difficile.» «E non me lo dirà.» Ci pensò. «Dicono che ci sia un tunnel tra la Casa Bianca e il Dipartimento del Tesoro, e che Kennedy lo abbia usato quando
andava a trovare Marilyn Monroe. È quello...» «Dovrei dirglielo? Così poi entrerebbe alla Casa Bianca per aggiungere una tacca alla sua pistola. L'idea delle difficoltà da superare la tenterebbe: proverebbe a uccidermi, mentre io voglio che si concentri su altro.» Doveva spaventarla, pensò Fiske. «Ci sono almeno trentacinque agenti segreti e più di cento guardie in uniforme alla Casa Bianca, in ogni ora del giorno. Sarebbe interessante sapere come evitarle.» Il volto di lei non mutò espressione. «Ha fatto bene i conti.» «Come diceva lei, è uno scenario che mi intriga. E poi le sfide mi hanno sempre attirato.» «Ma si ricordi che è Timwick a organizzare per me gli uomini dei Servizi Segreti, in ore e in luoghi che io conosco. Lui non l'aiuterà.» «Neanche se gli dico che mi ha voluto incontrare stasera?» «Non lo farebbe mai, andrebbe contro i suoi stessi interessi.» Fiske restò in silenzio per un attimo. «Non ci casco, lei aveva paura come chiunque altro... Sentivo il suo cuore battere sotto le mie dita. Ancora adesso ha paura.» «È vero, ma per certe cose vale la pena provare paura. Mi chiami.» Si allontanò. Una donna dura. Intelligente e coraggiosa. Molto più coraggiosa di Timwick. Forse era anche troppo intelligente: il ritratto che aveva fatto di lui era azzeccato, e lo aveva messo a disagio. Non gli piaceva l'idea che qualcuno potesse prevedere le sue reazioni. Non gli piaceva nemmeno l'idea di lavorare per una donna. «Legga la lista.» Lisa aveva indovinato quando aveva detto che uomini del suo temperamento apprezzavano le liste. Ma perché lei aveva pensato che leggere quel foglietto lo avrebbe convinto? Lo aprì avvicinandolo alle luci del cruscotto. Scoppiò a ridere. Lisa era appena rientrata nella sua stanza quando squillò il telefono. «D'accordo», disse Fiske, e riattaccò. Un uomo deciso e di poche parole, pensò mentre rimetteva il cellulare nella borsetta. E con una pericolosa emotività, che non si aspettava. Adesso doveva nascondere i lividi a Kevin, e mettersi una sciarpa il giorno dopo.
«Lisa?» salutò Kevin dalla stanza da letto. «Dove sei stata?» «Ho fatto un giro in giardino, volevo prendere un po' d'aria.» Appese il cappotto nell'armadio e prese un accappatoio dal collo alto. «Ora voglio fare una doccia bollente. Arrivo subito, Kevin.» «Sbrigati, dobbiamo parlare.» Parlare? Dio mio, meglio solo sesso! Stare ad ascoltare i discorsi idioti di Kevin e dovere recitare complimenti e incoraggiamenti era uno stress che voleva evitare. Quando Fiske le aveva stretto la gola, per un attimo aveva creduto di morire. Continuare ad avere rapporti con lui sarebbe stato molto difficile. Ma poteva farlo, doveva. Senza pensare alla paura. Aveva fatto un buon lavoro quella sera, Fiske era suo. Entrò sotto la doccia. Dio, si sentiva sporca, sedere in macchina con quello schifoso assassino la faceva sentire quasi contaminata. Ma anche lei era un'assassina. Non come lui... non si sarebbe mai paragonata a quell'animale. Ma non doveva pensarci! Chiuse gli occhi e tentò di rilassare i muscoli. Era il suo momento, doveva goderselo. Non aveva mai molto tempo per se stessa... A volte avrebbe voluto essere libera, come Eve Duncan. Si chiese che cosa stesse facendo Eve in quel momento. Era così difficile anche per lei? Appoggiò la testa alle piastrelle e sussurrò: «Dove sei, Eve?» Fiske l'avrebbe trovata, l'avrebbe uccisa, e lei sarebbe stata al sicuro. Ma perché quel pensiero non la confortava? «Lisa?». Maledizione, Kevin non la lasciava in pace per un minuto. «Arrivo!» Uscì dalla doccia e si asciugò le lacrime. Ma che cosa aveva? Fiske l'aveva spaventata più di quanto avesse creduto. Indossò l'accappatoio, chiudendolo bene sul collo, e si spazzolò i capelli. Devi sorridere, pensò, essere affettuosa e comprensiva. Non fare capire nulla a nessuno. Aprì la porta e baciò Kevin sulla guancia. «Allora, cosa c'è di così importante che non vedi l'ora di dirmelo?» «Non mi piace questo motel. Secondo me ci sono gli scarafaggi», disse Bonnie. Eve si voltò nel letto. «Dovevamo trovare un posto anonimo. Cosa t'importa degli scarafaggi? Ricordati che sei un ectoplasma!» Bonnie sorrise. «Se importa a te, importa anche a me. Hai sempre odia-
to gli scarafaggi.» Si sedette accanto al letto. «Ti ricordi la scenata che facesti all'uomo della disinfestazione quando non li eliminò tutti dalla mia stanza?» L'estate prima che lei sparisse. Bonnie si fece seria. «Oh, scusa, non volevo ricordarti niente di triste.» «Non ti è mai venuto in mente che le tue apparizioni mi ricordano per forza qualcosa di triste?» «Sì, ma spero che un giorno capirai che sono sempre qui con te.» «Non sei con me.» «Perché vuoi farti del male? Accettami, mamma.» Cambiò argomento. «Hai fatto un buon lavoro con Ben, ma l'avevo già previsto.» «Allora sapevi chi era?» «No, te lo ripeto, non so tutto, è che certe volte ho come dei presentimenti.» «Come per gli scarafaggi in questa squallida stanza? È un po' ovvio.» Bonnie rise. «È vero!» Eve si accorse che stava sorridendo. «È la prima cosa che ho pensato quando sono entrata.» «E credi che io ne abbia approfittato? Come sei sospettosa, mamma.» «Allora dimmi qualcosa che non so. Dimmi dove sei.» Bonnie ripiegò una gamba. «Logan è simpatico... All'inizio non ne ero sicura, ma è buono.» «E poi dicono che i fantasmi sono saggi.» Bonnie sorrìse timidamente. «Stai facendo progressi! È la prima volta che ammetti che io potrei non essere solo frutto della tua immaginazione.» «Potremmo discutere anche sull'idea di immaginazione.» «Be', anche la tua è proprio bizzarra. Non dovresti essere così dura con Joe.» «Non ho condannato Joe.» «Invece sì, per colpa mia. Ma anche lui è buono, e ti vuole bene. Non mandarlo via.» «Sono molto stanca, Bonnie.» «E vuoi che vada via.» Mai. Non andare via mai più. «Voglio che tu la smetta con le tue prediche.» «Scusa, ma non voglio che tu rimanga sola. Sarebbe pericoloso restare sola, adesso. Ho paura delle brutte cose che stanno per succedere.» «Quali brutte cose? Vedrai, me la caverò.»
«Credi di potere affrontare qualsiasi cosa dopo quello che hai passato per me? Non ne sono sicura.» «Forse non le voglio affrontare», disse Eve stancamente. «Forse voglio solo lasciare che succedano. Sono così stanca di tutto...» «E io sono stanca di vederti piangere per me.» «Allora vai via e dimenticami.» «Impossibile, mamma. Il ricordo continua per sempre, proprio come l'amore. Voglio solo vederti di nuovo felice.» «Sono... soddisfatta.» Bonnie sospirò. «Dormi... Temo che sia inutile parlarti fino a quando non sarai pronta.» Eve chiuse gli occhi. «Dove sei, piccola mia? Voglio portarti a casa.» «Sono a casa, mamma... Ogni volta che sono con te, sono a casa.» «No, devi...» «Ssh, dormi, ne hai bisogno.» «Non dirmi di cosa ho bisogno! Ho bisogno di sapere dove sei, per portarti a casa. Forse così non farò più questi folli sogni con te...» «Non sono folli, e tu non sei pazza, sei solo testarda.» «E tu no?» «Certo, sono tua figlia, me lo posso permettere. Vai a dormire, io resto qui a farti compagnia.» «Così non rimarrò sola?» «Sì, così non rimarrai sola.» Diciassette Centro medico navale Bethesda, Maryland 7.45 «Sto facendo in fretta, Lisa!» Scott Maren strinse convulsamente la cornetta. «Devo stare attento, maledizione! Ci sono giornalisti dovunque! Ho sostituito le radiografie dei denti, ma non sarà facile scambiare i campioni di DNA.» «Ma ci riuscirai? Devi farlo, Scott.» «Lo farò», rispose stancamente. «Ti ho detto che mi sarei occupato di te.» «Credi che mi preoccupi solo di me stessa? Sei tu al centro dei miei pen-
sieri. Mi sento così in colpa perché devi aiutarmi. Ma nessuno deve sapere nulla.» «Non è colpa tua, sono io che ho accettato.» Aveva accettato vent'anni prima, il giorno in cui Lisa era andata a casa sua ed era cominciata la loro storia. Lei non si era ancora sposata con Ben. Durò solo un anno, ma non importava: aveva amato Lisa sin dai giorni di Stanford. Nonostante nella sua vita avesse significato un incubo, l'amava ancora; il loro legame non era mai stato spezzato. «Andra tutto bene.» «Lo so... Tu non mi hai mai delusa.» «E non lo farò mai.» «Fammi sapere quando hai finito. Ti sono molto grata, Scott, non saprei proprio come ricompensarti.» «Non ti ho chiesto una ricompensa.» Ma Lisa aveva fatto in modo che la morte di Ben gli procurasse molti vantaggi: onore, fama, denaro. Eppure non bastavano: una volta lasciata la Casa Bianca, voleva che lei tornasse da lui, come avrebbe dovuto fare da anni. E lei non riusciva a capire che adesso erano più legati che mai. «Non so come avrei fatto senza di te, Scott.» Lisa a letto. Lisa che ride alle sue battute. Lisa in lacrime, che gli dice che sposerà Ben. «Ti chiamerò quando ci saranno novità.» «A presto, Scott.» Riagganciò. «Dottor Maren?» Si voltò e vide un giovane dai capelli rossi, vestito da infermiere. «Sì? Qualcuno mi cerca?» «Che io sappia, no.» Il giovane entrò nell'ufficio e chiuse la porta. «Mi chiamo Gil Price, e vorrei parlarle.» Bainbridge 8.40 Il laboratorio di Chris Teller era in una casa alla periferia di Bainbridge. Le pareti di legno erano ricoperte di edera, tanto da farla sembrare più una casa dello studente di una vecchia università che un laboratorio scientifico. Perfino la targhetta LABORATORI TELLER era così piccola che Eve non se ne sarebbe accorta, se non avesse seguito Gary. «È questo il tempio della scienza più avanzata?» mormorò Logan. «Non sempre le cose sono come appaiono. Se Gary si fida di Teller, allora mi fido anch'io.» Parcheggiò accanto alla Volvo di Gary e aspettò.
Quando Gary scese dalla macchina, chiese: «Vuoi che veniamo con te, Gary?» «Se volete compromettere tutto. Questo è un paesino del Sud, ma hanno anche loro la TV e i giornali. Restate qui, ci metterò un po' di tempo.» Lo guardò entrare velocemente nel portone, con passo deciso, vigoroso... giovane. Ivanhoe in battaglia contro il Cavaliere Nero, pensò preoccupata. «Si calmi.» Logan le schiuse le dita, che stringevano febbrilmente il volante. «La cosa peggiore che può trovare lì dentro è un no.» «Ancora per poco. Non avremmo dovuto coinvolgerlo fino a questo punto.» «Non credo che saremmo riusciti a fermarlo. Quanto tempo ci vuole per l'esame? Ha detto che saranno necessari alcuni giorni, anche se Kessler lo convincesse a fare in fretta. Perché ci vuole tanto per identificare il DNA?» «È la sonda radioattiva.» «La sonda?» «Tenta di distrarmi, Logan?» «Sì, ma le giuro che non so come funziona. Ne ho sentito parlare in TV durante il processo di O.J. Simpson, che non ha davvero offerto una lezione definitiva e imparziale sul DNA.» «Il DNA estratto da Ben verrà dissolto in una soluzione di enzimi che attaccano punti specifici della catena e la tagliano in frammenti. Una piccola quantità di DNA viene posta su un vetrino insieme a un gel speciale, nel quale si fa passare corrente elettrica. L'elettricità muove i frammenti e li ordina secondo il peso e le dimensioni.» «E la sonda che c'entra?» «Il tecnico trasferisce i frammenti su una membrana di nylon e vi applica una sonda radioattiva. La sonda cerca e segna dei punti specifici sul DNA. Poi, una pellicola a raggi X viene sistemata sulla membrana, e lasciata a sviluppare per vari giorni. Una volta finito il processo, il DNA apparirà in forma di linee scure sulla pellicola.» «E quello è il risultato?» «Sì, è il profilo del DNA, e c'è solo una possibilità su un milione che qualcun altro possa avere un profilo simile.» «E non c'è modo di accelerare il processo?» «Di recente ho sentito parlare di un nuovo metodo, ma non è ancora utilizzato su larga scala. Si chiama chemioluminescenza. La sonda radioattiva è sostituita da una sonda chimica che interagisce con i reagenti chimici che sviluppano luce in forma di fotoni.»
«Cosa sono i fotoni?» «Particelle luminose, che colpiscono la pellicola a raggi X. Il risultato sono le stesse linee scure che si ottengono con la sonda radioattiva. I grandi laboratori hanno cominciato a usare la chemioluminescenza, ma non so se qui sono già in grado di farlo. Ce lo dirà Gary, lei intanto faccia gli scongiuri.» «Speravo...» «Le avevo già detto che un giorno non sarebbe bastato.» «Parecchi giorni...» «La smetta di ripeterlo! So meglio di lei che non abbiamo molto tempo. Ma forse Gary ci darà delle buone notizie.» «Lo spero. Si è di nuovo aggrappata al volante.» Lei lasciò la presa. «E lei non mi sta certo aiutando!» «Ci provo. Farò tutto il possibile. Vuole che entri e mandi via Kessler? Lo farò. Non vedo l'ora di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Sono stanco di farmi da parte e fare correre i rischi agli altri.» Oh Dio, un altro Ivanhoe. Da Logan non se lo aspettava... ma forse avrebbe dovuto immaginarlo, visto che aveva passato un anno di orribili frustrazioni al capezzale di sua moglie. Non era una persona che avrebbe accettato o riconosciuto la sconfitta troppo facilmente. «Allora?» Logan tentava di nascondere l'impazienza ma, sotto quella sua aria dura e composta, s'intravedeva una voglia matta di spaccare qualcosa. Gesù, che idioti gli uomini. «Non ci provi neanche. Non ho intenzione di finire in galera o in manicomio perché si annoia e vuole dare sfogo all'aggressività del cavernicolo che si nasconde in lei.» Era evidentemente deluso, ma rispose con aria rassegnata: «Gli uomini delle caverne non si annoiavano mai, il loro cervello era troppo poco sviluppato, avevano una vita troppo breve, e passavano il tempo solo a cercare di sopravvivere». «Un paragone azzeccato.» «In cosa?» Non era un cavernicolo: semmai Logan aveva un certo carisma e, a volte, idee geniali, e lei stava imparando che il codice che regolava la sua vita era inflessibile quanto il suo. «Mi ha detto la verità... Non era la politica. Lo fa perché crede davvero di salvare il mondo.» «Dannazione, no! Lo faccio perché altrimenti avrei paura. Perché il cielo
potrebbe caderci sulla testa, e non voglio essere costretto a pensare che mi sono messo da parte e ho lasciato che succedesse.» Le toccò delicatamente il mento, per farla voltare verso di lui. «Mi sentirei responsabile. Come lei, Eve.» «Autoflagellazione?» sussurrò lei. «Non ci credo molto. Facciamo quello che possiamo, e andiamo avanti.» Quel suo tocco l'aveva turbata. Le sue parole. Il modo di pensare... Lui la turbava. Guardò fuori dal finestrino. «O impariamo a vivere flagellandoci.» «Non è possibile!» disse lui fiero. «Scegliere una carriera come la sua è stata probabilmente la cosa peggiore che potesse fare. Perché nessuno l'ha fermata? Perché Quinn non l'ha tenuta su quell'isola finché non fosse guarita, fino a quando non si fosse attenuato il dolore del ricordo?» Lo guardò meravigliata: si sbagliava completamente. Come mai Logan non capiva? «Perché Joe sapeva perfettamente che solo così sarei sopravvissuta.» «E questo lo chiama sopravvivere? È schiava del lavoro, non ha una vita privata, è la donna più ossessionata che abbia mai conosciuto. Avrebbe bisogno di...» «La smetta, Logan.» «Perché mai dovrei... E va bene, la smetto. Non sono affari miei, vero?» «Giusto.» «Ma allora perché sento che sono anche affari miei?» «È abituato a controllare sempre tutto.» «Già, sarà per questo.» Prese il telefono dalla tasca. «Le mie manie di organizzare. Quando vedo dell'immondizia, mi ci tuffo dentro e la elimino.» Fece il numero picchiando sui tasti. «E in lei, Cristo, s'è accumulata una discarica!» «La mia vita non è spazzatura. Neanche per sogno! Chi sta chiamando?» «Gil.» «Proprio adesso? Perché?» «Non lo sento da un po'. E mi serve una distrazione.» Serviva anche a lei, pensò sollevata. Erano stati attimi troppo tesi e sconvolgenti, e la sua vita era già abbastanza caotica. «Che succede?» chiese Logan al telefono. «Perché diavolo non mi hai chiamato, Gil? Sì, sì, sono nervoso!» Ascoltò. «Non fare lo stupido, potrebbe essere una trappola. Maren ha già ucciso una volta.» Eve si irrigidì.
«Non farlo.» Stette a sentire Gil. «Sì, è qui. No, non te la passo, è con me che devi parlare.» Eve allungò la mano. Le diede il telefono bestemmiando. «Gil è un idiota.» «Ho sentito», disse Gil. «John è un po' irritabile, vero? Per questo volevo parlare con lei, in questo momento non ho davvero bisogno di essere rimproverato.» «Cosa succede?» «Sto rischiando di brutto. Maren è un osso duro.» «Gli ha parlato dell'affare?» «Ha negato tutto e fatto finta di non sapere di cosa stessi parlando.» «Una reazione logica, sapevo che non avrebbe funzionato.» «Eppure mi è sembrato di avere centrato il bersaglio. Maren non ha chiamato il servizio di sorveglianza dell'ospedale, ed è già un buon segno. Gli ho detto di pensarci su e di incontrarci stasera alle undici, sulla riva del canale della C&O.» «Non verrà, ne parlerà a Lisa Chadbourne e prepareranno una trappola.» «Può darsi.» «Lo farà sicuramente. Mi avete detto che lei lo ha già convinto a uccidere. Perché Maren dovrebbe credere che Lisa lo tradirà?» «È molto astuto, non è facile ingannarlo. Non credo nemmeno che si sia lasciato convincere da Lisa a uccidere Chadbourne. Probabilmente posso fargli capire che deve limitare i danni e uscirne prima di essere eliminato.» «Non andare, Gil.» «Devo vederlo. Se ho Maren, abbiamo Lisa Chadbourne. Vi farò sapere com'è andata.» Riagganciò. Eve passò il telefono a Logan. «Ci andrà.» «È un idiota!» ringhiò Logan. «Aveva detto che era un professionista e sapeva il fatto suo.» «Non ho mai detto che fosse infallibile. L'incontro con Maren è un errore.» Anche Eve lo pensava: a meno che Lisa Chadbourne non avesse allentato la presa su Maren, lui non l'avrebbe mai tradita. E non avrebbe mai permesso che il loro legame s'indebolisse. «Sarà furiosa.» «Eh?» «Lisa Chadbourne. Penso che consideri Maren come un oggetto di sua proprietà... Sarà furiosa di sapere che stiamo tentando di sottrarglielo.»
«È difficile che sia così possessiva nei confronti di un uomo che ha intenzione di eliminare!» «Chi dice che debba essere sempre razionale? Ha delle emozioni come tutti. Si sentirà nervosa e forse un po' spaventata quando scoprirà che siamo vicini a Maren. Per lei sarà una sorpresa. Forse non immagina che abbiamo già capito il legame tra loro.» «Forse Gil ha ragione. Maren potrebbe non dirglielo.» «Su, non ci crede nemmeno lei.» «No.» «Allora che facciamo?» «Lei aspetterà qui con Kessler, io partirò per Washington e andrò a quell'appuntamento con Gil.» «Potrebbero riconoscerla.» «Chi se ne frega.» «O mettere in trappola anche lei.» «Non m'importa.» Scese dalla macchina. «Mi serve per andare a Savannah. Prenderò l'aereo da lì. Lei torni al motel con Gary.» Eve si chinò a prendere la testa di Ben dal sedile posteriore. «E i risultati del test?» chiese scendendo dall'auto. «Li prenda lei. Ha detto che ci vorranno giorni.» Si sedette al volante. «Qui comunque non servo a nulla.» Ora Ivanhoe aveva una missione e un castello da espugnare. Lo avrebbe preso a schiaffi. «Mi tenga informata.» Eve aprì la portiera della Volvo di Gary. «Sempre se sarà ancora vivo.» «Sarò ancora vivo.» Mise in moto. «Tornerò domani, voi dovreste essere tutti al sicuro. No, 'dovreste' non basta. Non posso rischiare di perdervi. Chiamerò Kessler dall'aeroporto e gli dirò di convincere uno dei metronotte del laboratorio di Teller ad andare al motel e a restarci finché non torno. Verrà pagato bene.» «E che scusa potrà trovare con Teller?» «Kessler finora è stato abbastanza estroso, lasci che ci pensi lui.» «Probabilmente Timwick è ancora accampato alla Duke University, e ci vorrà tempo prima che ci cerchino qui. Questo laboratorio è davvero sconosciuto.» Ma non era più sicura che il diversivo alla Duke stesse funzionando; Lisa Chadbourne non si sarebbe concentrata su Logan, rispettava troppo l'intelligenza delle donne.
«Una guardia piazzata davanti al motel vi farà sentire più sicuri. Si chiuda bene dentro... e mi chiami se nota qualcosa di sospetto, qualsiasi cosa.» «Starò attenta.» Esitò. «Devo andare, Eve. Gil è mio amico, e sono io ad averlo trascinato in tutto questo.» Lei si sedette al volante della Volvo e mise la valigia di Ben ai suoi piedi. «Vada, allora.» Lo guardò con freddezza. «Non ho bisogno di lei, Logan, non ne ho mai avuto. Posso cavarmela da sola.» «Tenga con sé la testa di Ben.» «L'ho mai lasciata da qualche parte? So quanto è importante.» «Non è per quello, è solo che...» «Vada.» Gli fece un gesto di saluto. «Vada ad aiutare Gil, faccia il suo dovere.» «Perché diavolo... Pensavo che Gil le piacesse.» «Infatti, e desidero sapere che è al sicuro.» Ma non voleva che Logan morisse, e più pensava a Lisa Chadbourne, più provava terrore. «Non sto discutendo, so che è inutile. Arrivederci, Logan.» Lui esitava ancora. «Arrivederci, Logan.» Logan mormorò qualcosa tra i denti e uscì dal parcheggio. Ancora un attimo, ed era sparito. Sola. «Non devi stare da sola, mamma», le aveva detto Bonnie. Era abituata a stare da sola. Quando la porta è chiusa e il mondo è fuori, non siamo comunque tutti soli? Eppure, stranamente, ora si sentiva molto più sola di quanto non lo fosse mai stata prima. «Dov'è Logan?» Si voltò e vide Gary avvicinarsi. «È partito verso nord... Gil Price aveva bisogno di lui. Cos'hai scoperto?» «Be', una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che Chris è passato alla chemioluminescenza, e quindi potrebbe avere un profilo del DNA già entro oggi.» «E quella cattiva?» «Dice che non vuole farlo, che è troppo occupato.» Alzò una mano. «Lo so, lo so, è inutile dirlo, lo farà, devo solo insistere ancora un po'. Non sarà oggi, ma conto di avere il profilo iniziale già per domani. Pensavo solo di farti un resoconto.» Le gettò le chiavi della macchina. «Torna al motel, io
resterò qui fino a tardi, prenderò un taxi.» Non voleva tornare al motel. Voleva andare al laboratorio ad aiutarli, voleva fare qualcosa. Certo, e rovinare tutto quello che Gary stava facendo. Doveva lasciar perdere! L'impulso irrazionale era solo dovuto al fatto di restare lì inattiva, e l'attesa la innervosiva. Capiva Gary e Logan, che avevano preso al volo l'opportunità di entrare in azione, qualsiasi azione, anche se spericolata. Ma che cosa stava pensando? Il pericolo non doveva più insinuarsi nella sua vita; aveva bisogno di sicurezza e serenità. Non doveva rischiare ancora. E non doveva considerare Lisa Chadbourne come un'eroina dei fumetti: probabilmente Logan aveva ragione, lei e Gary per adesso non avevano niente da temere. Poteva rilassarsi. Dopo la tensione e la concitazione delle ultime ore, qualche giorno di noia a Bainbridge sarebbe sembrato quasi felice. «Ho ristretto la ricerca della casa sul Lago Lanier a quattro indirizzi», disse Timwick quando Fiske rispose al telefono. «Sono state tutte affittate due giorni fa.» «Dalla Wilson?» «E io come faccio a saperlo?» chiese Timwick acido. «Credi che abbia usato il suo vero nome?» «Ma ha dovuto pagare almeno una cauzione, e ciò ci porterebbe a una carta di credito.» «E chi dice che non ne ha una falsa? Logan se ne sarà procurata sicuramente una. Ce l'hai la penna?» Gli dettò i quattro indirizzi. «Vacci subito.» «Appena potrò.» «Che vuoi dire?» «Mi hai detto di controllare Kessler, ora sono a Emory, e pare che sia partito ieri mattina, inaspettatamente.» «Per dove?» «Non lo so. Parlerò con il suo assistente per tentare di scoprirlo.» «La madre è più importante, Kessler è un personaggio secondario. Logan andrà alla Duke University, se vuole un esperto.» «Ma già che ci sono, tanto vale controllare.» «Ti ho detto di lasciare perdere, vai al Lago Lanier.» «Che devo fare se la trovo?»
«Tienila d'occhio, e basta. Ti farò sapere.» «Lo sai che non mi piace fare il sorvegliante. Io la trovo, ma poi dovrai chiamare qualcun altro per fare i lavori stupidi, Timwick.» Silenzio gelido all'altro capo della linea. Al coniglio bastardo non piaceva ricevere ordini? Be', avrebbe fatto meglio ad abituarsi: Timwick non lo sapeva ancora, ma la partita era cambiata, e ora la regina teneva in scacco tutti. «Ti rendi conto che posso sempre sostituirti, Fiske?» «Ma sarebbe difficile, a questo punto. Perché non mi lasci fare quello che so fare meglio?» Un'altra pausa, ancora più glaciale. «Molto bene, chiamami appena troverai le due donne.» «Certo.» Fiske riattaccò e andò a cercare Bob Spencer, l'aiutante di Kessler. Gli avrebbe detto che era un suo vecchio amico, magari l'avrebbe invitato a cena per carpire qualcosa di più. Anche se non sapeva dove fosse, forse poteva dirgli quale laboratorio usava per i suoi test. Scopri dove faranno il test, aveva detto Lisa Chadbourne. Nessun problema. «Lo sapeva?» mormorò Lisa. «Mio Dio, Scott, lo sapeva?» «Non ne era certo. Secondo me Logan sta tirando a indovinare.» «E manda Price a mettere le carte in tavola? Perché?» Scott non rispose subito. «Un affare. Vuole te più di quanto non voglia me, Lisa.» «Che tipo di affare?» «Mandarmi via dal paese, via da questo pasticcio, da qualche parte con una nuova identità, se gli fornisco prove contro di te.» Si sentì prendere dal panico, e provò a controllarsi. Sapeva che Logan era furbo e che forse sospettava di lei, ma aveva sperato che nessuno potesse scoprire i suoi legami con Scott. «Stanno mentendo, non ti lascerebbero mai andare.» «Forse.» Sentì una morsa allo stomaco. «Sei tentato, Scott? Di' la verità...» «Maledizione, ti ho chiamato subito, no? Ti sembra che voglia fare un affare con loro?» «No, scusami. Ho un po' paura... Non pensavo che potessero mai arrivare a te.» Dio, stava crollando tutto. No, non era vero. Doveva solo pensare, rivedere il suo piano. «Possiamo
trovare un modo per uscirne. Siamo fortunati che abbiano pensato di proporti un affare. Avrebbero potuto raccontare tutto ai media...» «Ma gli abbiamo già bloccato quella strada.» «Hai finito di sostituire gli archivi?» «Appena Price se n'è andato.» Il panico si attenuò... andava tutto bene. Adesso capiva chiaramente cosa fare. «Grazie a Dio! Allora ne parlo subito con Kevin ed entro in azione. Andrà tutto bene, Scott.» «Davvero?» «Ma certo, te lo prometto.» «Mi hai promesso tante cose, Lisa...» «E non ti ho dato tutto ciò che ti avevo promesso? Hai vissuto nel lusso per tutti questi anni.» «Pensi che non avrei potuto farlo lo stesso anche senza di te?» «Non ho detto questo, Scott.» Rimase in silenzio per un attimo. «Scusa.» Aveva una voce strana, e lei capiva che ogni minimo cambiamento meritava la sua attenzione. Il momento era troppo delicato. «Cosa c'è?» «Price ha detto anche un'altra cosa: che tre persone sono state uccise di recente, e che questi delitti ti avevano fatto molto comodo. Mi ha chiesto se ho paura che tu uccida anche me.» «E tu, Scott? Dopo tutti questi anni, temi che ti possa fare del male?» Silenzio. «No, penso di no.» «Non basta, devi esserne certo.» Silenzio. Lisa chiuse gli occhi. Cristo, non adesso! Non doveva dubitare proprio adesso... «Ne parleremo e te lo dimostrerò. Ma ora dobbiamo occuparci di Price nel modo più pulito possibile, per salvarti.» «E salvare te.» «Va bene, per salvarci. Vai all'appuntamento, io dirò a Timwick di essere lì prima di te.» «E poi?» «Prenderemo in ostaggio Price, e chiederemo la testa in cambio. Dobbiamo riavere quel teschio.» «Credi che Logan sia disposto a trattare?» «Dobbiamo provare. Fidati di me, Scott, non permetterò che Logan abbia la meglio. Dopo tutto quello che hai fatto per me.» Riagganciò. Il cuore le batteva troppo forte.
Era solo un'altra, ennesima sfida. Ma a che cosa serviva? Se Timwick avesse fatto bene il suo lavoro con Donnelli, nessuno avrebbe mai sospettato di Scott, e lei non avrebbe dovuto prendere queste decisioni. Il panico si tramutò in rabbia: Logan e la Duncan si stavano avvicinando troppo, e lei stava perdendo il controllo. Doveva riprenderlo! Bastava chiamare Timwick, ed esporgli il problema. Ma prima doveva parlare a Kevin e guidarlo sulla strada giusta. Joe chiamò Eve alle otto di sera. «Sono riuscito a procurarmi una lettera scritta da Chadbourne a sua sorella quando la madre morì, pochi mesi prima della sua elezione. Penso che non ci sia alcun dubbio che abbia leccato lui stesso quella busta.» «Benissimo! Come hai fatto?» «È meglio che non te lo dica, così non diventi mia complice. Ma non ho ancora il campione di Millicent Babcock, e credevo che sarebbe stata la cosa più facile da ottenere. Stasera seguo lei e suo marito al Country Club, per vedere se riesco a mettere le mani su un bicchiere. Tu come stai?» «Bene. Gary avrà il test del DNA subito.» «Bene.» Silenzio. «Logan si sta prendendo cura di te?» Non rispose; sarebbe andato su tutte le furie se avesse saputo che Logan non c'era. «Mi prendo cura di me stessa, Joe.» «Dovrei essere lì con te... Avrei dovuto dire a Logan di venire qui per seguire lui quella Babcock. Ma non mi sarei mai fidato, io almeno sto facendo tutto il possibile.» «Oh, lo avrai stasera.» «Lo spero, altrimenti picchierò quella maledetta e prenderò un campione di sangue... Ehi, non ridi, sto scherzando!» «Mi dispiace, ma niente mi sembra più divertente, in un momento come questo.» «Neppure a me. Proverò a tornare già domani. Stai attenta.» «Joe...» disse prima di riattaccare. «Hai chiamato Diane?» «Prima di lasciare Atlanta.» «Sarà preoccupata, e io mi sento già abbastanza in colpa per averti coinvolto. Non voglio che anche lei impazzisca.» «La chiamerò.» «Adesso?» «Adesso, maledizione!» Riagganciò.
Per fortuna almeno Joe era al sicuro, e si era mostrato protettivo come sempre. Il giorno successivo avrebbe di nuovo provato quel senso di familiarità che sentiva quando era con lui. Ora doveva solo aspettare la telefonata di Logan, per sapere se lui e Gil stavano bene. Chiamala, pensò Joe. Hai promesso a Eve di chiamare Diane. Compose il numero di casa sua e Diane rispose immediatamente. «Ciao piccola, volevo solo farti un salutino. Come stai?» «Dove sei, Joe?» «Te l'ho detto, sto lavorando su un caso fuori città, ma dovrei finire presto.» «Quale caso?» «Oh, niente di interessante.» «Sì? Invece pensavo che potesse interessarmi.» Il suo tono era severo. «Mi credi stupida, Joe? Sono stanca di fare finta di niente. Tutte queste notizie in TV... È Eve, vero?» Non rispose. Sapeva che non era stupida. Ma sperava che Diane fingesse di non vedere il problema, come faceva sempre con le cose che la mettevano a disagio. «È lei?» «Sì.» «Stavolta hai esagerato, Joe», disse con voce tremante. «Quanto tempo pensi che sopporterò ancora questa situazione? Viviamo bene, eppure stai mettendo in gioco tutto quello che abbiamo. Significa tanto per te?» «Lo sai che non posso abbandonarla.» «Oh, lo so, nessuno lo sa meglio di me. Pensavo di poterlo sopportare, ma lei è la vera padrona della tua vita! Perché diavolo hai sposato me, Joe?» «Calmati. Ne parleremo al mio ritorno.» «Se tornerai. Se non ti farai uccidere per lei.» Diane gli chiuse il telefono in faccia. Dio, che disastro aveva combinato. Come aveva pensato che il loro matrimonio potesse funzionare? Le aveva dato tutto quello che credeva lei volesse. Aveva provato a bilanciare l'onestà e la gentilezza, ma Diane era orgogliosa, nonostante lui provasse a non farla soffrire. Era inevitabile. Lei aveva tutto il diritto di chiedersi perché l'avesse sposata. E lui sperava che non lo scoprisse mai.
Diciotto L'odore di muschio colpì Logan non appena arrivò sulla riva del canale. Gli rammentava il campo di grano nel Maryland. Quel ricordo era solo un diversivo efficace, pensò. Conservava nei suoi occhi l'espressione di Eve quando aveva scoperto di essere stata usata come esca. «Buon odore, vero?» Gil si avvicinò al fiume respirando a pieni polmoni. «Mi ricorda casa mia.» La zona sembrava deserta, ma per fortuna Gil aveva scelto un luogo d'incontro senza alberi o edifici. «Il golfo? Tu sei di Mobile, vero?» «Un paese vicino a Mobile.» «Il profondo Sud.» «Dove altro credi che abbia imparato ad amare Garth Brooks?» Logan si guardò intorno. Dovrebbe essere lì... Se solo ci fosse la luna piena! «Ma hai detto che la musica country è universale.» «Certo, però ogni universo ha un pianeta che chiamiamo casa!» Guardò Logan. «Calmati, andrà tutto bene. Non possono avvicinarsi senza farsi vedere, e se con Maren dovesse arrivare qualcun altro, possiamo sempre squagliarcela.» «E se ci impediscono di arrivare alla macchina?» «Ce la fileremo a nuoto.» «Ho avuto un'idea migliore.» Tirò un sospiro di sollievo quando la luna uscì dalle nuvole e illuminò il piccolo motoscafo. «L'ho affittato facendolo attraccare qui sotto.» Gil rise. «Lo sapevo. Sei proprio fissato, John.» «Sempre meglio che nuotare.» «Credi che non avrei fatto lo stesso se non avessi saputo che a queste cose pensi sempre tu?» «Come faccio a sapere cosa faresti? Sei tu che hai organizzato questo stupidissimo incontro. Non potevi semplicemente telefonargli?» «Potremmo avere bisogno di convincerlo ancora, al telefono è troppo facile riagganciare.» «E tu sei stanco di vivere.» «Io sono stanco della vita? Io non rischio mai quanto te. Mi sono già beccato un proiettile, questo mese, immagino che adesso sia il tuo turno. Saresti dovuto restare in Georgia e lasciare fare a me.»
Logan non rispose. «Certo, temevi che mi succedesse qualcosa. Ovviamente non vorresti mai che succedesse qualcosa a un uomo geniale e carismatico come me.» «No?» «E poi non hai tanti amici disposti a sopportare la tua indifferenza per le belle cose della vita. Avrei dovuto saperlo, sei saltato su quell'aereo solo per egoismo.» «Puro egoismo.» «Ah, lo ammetti!» «Ma certo. Non potevo restare a Bainbridge nemmeno un giorno di più. Alla radio trasmettevano solo Hank Williams e quelle orrende canzoni country.» Gil ridacchiò. «No! Davvero? Allora quello è il posto per me.» «Ne sono così sicuro che ho un biglietto aereo per te. Se sopravviveremo a questa notte.» Gil si fece serio. «Ne vale la pena, John. Sono riuscito a sconvolgere Maren, ne sono certo.» «E dov'è, allora?» «Siamo in anticipo, arriverà.» Solo quaranta minuti di anticipo... Ma non c'era segno di vita sulla riva del fiume, né sull'acqua. Se era un trappola, non avrebbero potuto capirlo. Forse Gil era davvero riuscito a convincere Maren, era possibile. Forse nel giro di un'ora sarebbe tutto finito, e il lavoro sul teschio di Ben avrebbe avuto un'importanza secondaria. Dio, lo sperava davvero. Ma dove diavolo era Maren? La guardia interruppe la sua chiacchierata con l'addetto alla reception. «Buonanotte, dottor Maren», disse sorridendo. «Fatto tardi stasera, eh?» «Burocrazia, la croce della mia vita. Buonanotte, Paul.» Uscì dalla porta a vetri e si avviò verso la sua Corvette, un vecchio modello del 1957. Era in orario, in mezz'ora sarebbe arrivato al fiume. Uscì dal parcheggio e svoltò a sinistra. Con un po' di fortuna, sarebbe tutto finito prima ancora del suo arrivo. Non c'era davvero bisogno della sua presenza perché Timwick catturasse Price. E allora perché ci stava andando? Era davvero Price che volevano intrappolare? Il veleno usato da Price stava facendo effetto. Lisa. La morte.
Ma no, non era vero. Quell'uomo gli aveva fornito ipotesi, non prove. Lisa e lui erano legati, lo sapevano bene entrambi. Un semaforo rosso lampeggiò all'incrocio. Un presagio? La prudenza non è mai troppa. Non sarebbe andato all'incontro con Price, sarebbe andato a casa ad aspettare la telefonata di Lisa che gli avrebbe detto com'era andata. Quella decisione lo calmò all'istante. Avrebbe girato a destra all'incrocio successivo, e nel giro di dieci minuti sarebbe arrivato a casa, in pace. Tentò di rallentare avvicinandosi al semaforo. Niente. Frenò con tutte le forze. La Corvette continuò a correre verso l'incrocio. Era tardi, forse il traffico... Un camion. Enorme. Veloce. Oh Dio, troppo veloce per fermarsi in tempo. Si abbatté sulla Corvette come un carrarmato, e la macchina schizzò di lato, contro il semaforo. Il palo mandò in frantumi il vetro, entrò nella carne. Lisa. L'uomo che si stava avvicinando era alto quanto Maren, ed era solo. «Te l'avevo detto!» mormorò Gil. Un rumore sordo, da sud. Il cuore di Logan si fermò per un attimo. «È una trappola!» Guardò m aria. Perché non aveva pensato che sarebbero potuti arrivare dal cielo? Le luci blu dell'elicottero li illuminavano nel buio. «Corri al motoscafo! Stai giù!» Gil stava già correndo a perdifiato. L'uomo che credevano fosse Maren li inseguiva. Un proiettile fischiò accanto all'orecchio di Logan. «Figli di puttana!» Gil era già salito sul motoscafo, e stava mollando gli ormeggi. L'elicottero era proprio sopra di loro e inondava la barca di luce. Logan saltò sul motoscafo e accese il motore. I proiettili che piovevano dal cielo facevano schizzare acqua dovunque. «Stai giù!» Logan guidava la barca a zig zag, tentando di evitare il cono
di luce. «Se arriviamo a quel canale, siamo salvi! Gli alberi sono fitti e ci sono troppe case intorno, non potranno più sparare. Abbandoneremo la barca e...» Un'altra sventagliata di proiettili, più vicini. Troppo vicini. Cristo, quella luce era potentissima, come facevano a mancarli? Forse non volevano colpirli. Forse li volevano vivi. Il teschio. Cristo, volevano il teschio. Il motoscafo entrò a tutta velocità nel canale, riparato dalle cime degli alberi. Non erano ancora al sicuro, almeno finché restavano sulla barca. Si diresse verso la riva, spense il motore, balzò fuori, pronto ad attraccare. Sentiva l'elicottero sopra di loro. «Muoviti, andiamo verso quella casa, vediamo se c'è una macchina...» Gil lo fissava con occhi vitrei. «Gil!» Perché Logan non l'aveva ancora chiamata? Eve si voltò nel letto e guardò la sveglia sul comodino: erano quasi le tre. Non poteva prendere il telefono e dirle che lui e Gil erano al sicuro? E se fosse stata una trappola? Doveva dormire. Erano a centinaia di chilometri di distanza, non li avrebbe certo aiutati rimanendo a fissare il buio. E pentendosi di essere stata così brusca con Logan prima della sua partenza. Mio Dio, che pensieri morbosi. Come se non stesse tornando da lei! Da lei? Logan stava tornando da Ben e dall'esame del DNA. Tornava al suo scopo. Non stava tornando da lei. Kessler bussò alla porta alle sette e mezzo. «C'è una cosa che devi vedere.» Entrò nella stanza e accese la TV. «L'ufficio stampa del Presidente ha appena fatto una dichiarazione, sta andando in onda ora sulla CNN.» Quando una foto di Kevin Detwil apparve sullo schermo, Kessler mormorò: «Guardalo... anche se non è Chadbourne, non posso ancora...» In quel momento la telecamera inquadrava i giornalisti che stavano tempestando di domande Jim Douglas, il portavoce di Chadbourne. «Non era John Logan la persona morta nell'incendio?» «Così mi è stato riferito. L'uomo morto nell'incendio di Barrett House
era Abdul Jamal.» «Crede che si tratti di un complotto?» «Vorrei potere dire di no. Le assicuro che al Presidente non piace l'idea di essere un potenziale bersaglio. Ma poiché l'incendio è scoppiato nel periodo in cui era stato invitato a Barrett House, il signor Timwick mi ha riferito che la possibilità esiste, e che la sorveglianza verrà aumentata.» «È stato Logan a organizzare il complotto?» «Noi speriamo sinceramente di no. Anche se sono politicamente ai poli opposti, il Presidente lo ha sempre rispettato, e si augura smceramente che Logan si presenti a spiegare i fatti. Fino a quel momento, dovremo considerare Logan una minaccia sia per il Presidente sia per l'intero paese. Jamal era un terrorista molto noto, e i Servizi Segreti credono che la visita del Presidente a Barrett House sarebbe stato un errore catastrofico.» «Ci hanno detto che il corpo era irriconoscibile, come avete fatto a scoprire che il DNA è di Jamal?» «Il signor Timwick ha deciso di sottoporre il corpo a quell'esame.» «Allora già sospettavate che Jamal fosse a Barrett House?» «Dovunque vada il Presidente, noi dobbiamo assicurarci che la situazione non comporti alcun pericolo. Tutti sapete che Logan si è impegnato fino al fanatismo per impedire la rielezione del Presidente. Quando il signor Timwick ha scoperto che Logan poteva avere contattato Jamal durante il suo ultimo soggiorno in Giappone, ha chiesto al centro medico di Bethesda di controllare il DNA di Jamal.» Fece un gesto con la mano. «Basta con le domande. Il Presidente mi ha pregato di assicurarvi che questa minaccia non interferirà in alcun modo con la sua presenza al funerale del suo caro amico e con le sue funzioni politiche.» Jim Douglas uscì dalla stanza. Seguì un filmato d'archivio che riprendeva il Presidente nel giardino, sorridente, con Lisa Chadbourne, che gli stava accanto e sorrideva con aria comprensiva. «Mio Dio...» Eve spense l'apparecchio. «Stanno dando la caccia a Logan?» «Ora non hanno più ostacoli, è il sospettato numero uno. E anche tu.» Lei incrociò le braccia per nascondere il tremore. «Ora sono anche una terrorista, oltre che un'assassina?» «Sei stata declassata, ora sei solo una complice, è Logan l'assassino. Credono che abbia litigato con Jamal riguardo ai particolari dell'omicidio, e lo abbia ucciso.» «E dato fuoco alla casa per nasconderlo.»
«Infatti.» «Ma è ridicolo! Nessuno crederebbe a una storia del genere! Logan è un famoso uomo d'affari, perché dovrebbe sporcarsi le mani con un terrorista?» «Non sono sicuro che non ci crederebbero», disse calmo Gary. «L'individuo medio seduto davanti alla TV tende ad accettare tutto quello che le autorità gli dicono, e poi la gente non ama i miliardari. Non hai mai sentito dire che l'unico modo per rendere credibile una grossa bugia è di contornarla di piccole verità? Avrai notato che Douglas ha sottolineato due cose: il 'fanatismo' politico di Logan e i suoi soggiorni all'estero. Hanno iniziato con fatti semplici e facili da confermare, e ci hanno aggiunto il DNA, la scienza e la paura dell'americano medio per i terroristi stranieri. Una storia perfetta.» Abbastanza perfetta da rendere impossibile a Logan di uscire allo scoperto senza essere sparato a vista. «Lisa aveva già pensato a tutto...» Era quasi incredibile. «Ecco perché, quando hanno trovato il corpo a Barrett House, Detwil ha fatto quella dichiarazione di ammirazione per Logan e ha detto che era stato invitato per il weekend. Pensavamo che volesse fare scambiare il DNA a Maren per provare che il corpo fosse davvero di Logan, e invece preparava questo tranello!» «L'identificazione di quel cadavere con Jamal rende tutto molto più difficile.» Difficile? Lo rendeva un incubo. «Logan diventerà il bersaglio di tutta la polizia del paese.» Forse era già morto... Perché non l'aveva chiamata? No, i media avrebbero subito parlato della sua morte o del suo arresto. Improvvisamente ricordò l'ultima frase del portavoce. «E il funerale? Di chi stava parlando?» «Scott Maren. È morto in un incidente ieri sera, e hanno detto che il funerale sarà celebrato tra due giorni.» Fu come un pugno nello stomaco. «Cosa?» «Un camion ha fracassato la sua Corvette.» «Dove? Vicino al luogo dove Gil doveva incontrarlo?» «No, poco lontano dall'ospedale. A quanto pare ha avuto un problema con i freni.» «L'hanno ucciso!» «Non secondo le versioni ufficiali», rispose Gary. «Stanno indagando, ma si pensa che sia stato un incidente. Un dottore molto in vista, stimato
da tutti... Non c'è nessun movente.» «È stato un omicidio.» Non poteva essere una coincidenza: Lisa si era liberata di Maren perché le avrebbe potuto creare problemi. Quindi Maren le aveva confessato di avere parlato con Gil. «Hanno preparato una trappola per Gil.» E Logan c'era finito dentro insieme a lui. «Può essere, ma non lo sappiamo. Ora dobbiamo solo aspettare. Nel frattempo, sarebbe meglio se te ne stessi lontana dal laboratorio. Logan preferirebbe saperti qui, con la guardia di Teller.» «No, verrò con te.» «Per proteggermi? Cosa puoi fare, seduta in macchina nel parcheggio? Apprezzo il pensiero, ma posso badare a me stesso, e comunque sono solo a dieci minuti da qui. Prometto che ti chiamerò se avrò bisogno di te.» «Devo venire, maledizione!» «E Logan? Ti ha chiamato?» «No.» Gary accarezzò i suoi occhi gonfi di lacrime. «Sei preoccupata, Eve. Non dovresti stare qui ad aspettarlo? È lui che si trova in pericolo.» «Non posso aiutarlo, non so nemmeno dov'è.» «È un giovanotto sveglio, tornerà. Io devo andare al laboratorio, Chris mi ha promesso i risultati entro oggi, ma lavorerà più in fretta se riuscirò a fare opera di sottile persuasione.» Lei tentò di sorridere. «Tu non hai proprio niente di sottile, Gary!» «Forse no, ma sono efficace.» Si fermò sulla soglia. «Resta qui. Non hai la macchina, e non voglio che tu salga sulla mia Volvo.» «Mi sentirei meglio se venissi con te.» «Dato che sono io a controllare i mezzi di trasporto, farò a modo mio. Ci vediamo a cena, vieni nella mia stanza alle otto. Ho visto un volantino del Bubba Blue Barbecue. Che nome! Per fortuna fanno consegne a domicilio. Me lo immagino: segatura sul pavimento, un serpente a sonagli in una teca di vetro e un cantante country che si lagna. Rabbrividisco all'idea del rischio che correremo.» Chiuse la porta dietro di sé. Anche lei rabbrividì, ma per un altro motivo. Chiuse gli occhi, ma vide ancora il volto di Lisa Chadbourne che sorrideva a Detwil. La moglie fedele, che proteggeva il marito nel momento del bisogno. Ma era Logan a trovarsi nel momento del bisogno, Logan e Gil in fuga. Dove diavolo erano?
«Gesù...» mormorò Sandra davanti alla TV. «Cosa sta succedendo, Margaret?» «Niente. Non li hanno presi, e non li prenderanno. John è troppo furbo. Sei l'unica che si preoccupa.» Margaret spense l'apparecchio. «No, mi preoccupo anch'io.» «Perché Eve non mi ha chiamata?» «Ti ha chiamata ieri.» «Ma dovrebbe capire che guardo... Cosa possiamo fare?» «Quello che stiamo facendo adesso: restare qui finché John non risolverà tutto.» «Sì, certo...» Si mordicchiò il labbro. «Forse dovremmo fare qualcosa.» «Per esempio?» «Ho un amico che lavora per il sostituto procuratore.» «No!» disse brusca Margaret, ma subito addolcì il tono. «Non potrebbe aiutarci, anzi, li porterebbe dritto a noi.» «Non è detto, Ron starebbe attento.» «Sandra, no.» «Non posso stare qui seduta senza fare nulla!» Fissò negli occhi Margaret. «Lo so che mi consideri un peso piuma, ma anch'io me la sono vista brutta un paio di volte, nella mia vita. Lasciami fare qualcosa.» «Non penso che tu sia un peso piuma», disse Margaret gentilmente. «Sei intelligente e buona, e in condizioni normali saresti tu a prenderti cura di me, ma queste non sono condizioni normali, quindi devi stare calma, va bene?» «D'accordo.» «Be', allora prova a non pensarci. Facciamo una partita a blackjack?» «Di nuovo? Mi batti sempre! Passi il tempo libero a Las Vegas?» «In effetti ho un fratello croupier...» sorrise Margaret. «Lo sapevo.» «Va bene, niente blackjack. Farò un sacrificio estremo e ti lascerò preparare un altro dei tuoi fantastici pranzetti. Sarò una balena quando uscirò da qui.» «Non sono una brava cuoca, e lo sai. Stai solo tentando di distrarmi!» «Ti giuro che lo spezzatino di ieri sera era meglio del chili a pranzo. Forse stai migliorando.» «Non dire sciocchezze.» Tanto valeva darle retta, pensò Sandra rassegnata: Margaret era molto insistente, e poi cucinare la teneva occupata. Si
alzò. «Faccio un arrosto, ma tu devi preparare l'insalata e apparecchiare.» «Sono solo una sguattera...» si lamentò Margaret. «Va bene, mettiamoci al lavoro!» Le scoprì al terzo tentativo. Fiske guardò le donne affaccendate in cucina. Il profumo di carne e peperoni gli ricordò che quella mattina non aveva fatto colazione. Quel buon odore aveva attirato anche Pilton, che era rientrato in casa e stava parlando con Margaret Wilson in cucina. Fiske si allontanò dalla finestra, tra i cespugli, e poi sparì nel folto del bosco. Raggiunse la macchina, parcheggiata davanti a una villetta disabitata. Ora che aveva localizzato Sandra Duncan, poteva chiamare Timwick e tranquillizzarlo. Poi avrebbe contattato Lisa Chadbourne per metterla al corrente dei progressi. Certo che, a giudicare da quello che aveva visto in TV, forse Lisa aveva avuto un po' troppo da fare per preoccuparsi di Sandra Duncan. Peccato per Scott Maren... Il dottore era il secondo della lista che gli aveva dato Timwick, e si sentiva un po' deluso perché il lavoro era stato assegnato a un altro. Aprì il cassetto del cruscotto, prese la lista e cancellò il nome di Maren. Non poteva averne il merito, ma doveva comunque tenere aggiornata la lista. Aveva un altro nome da aggiungere, quello di Joe Quinn. L'assistente di Kessler gli era stato di grande aiuto, la sera prima. Prese le foto di Quinn e di Kessler che gli erano state inviate via fax da Timwick, e le studiò. Kessler era vecchio e non gli avrebbe creato nessun problema, ma Quinn era giovane e forte, e per giunta uno sbirro: un caso interessante. Guardò la cartina aperta sul sedile accanto. L'assistente di Kessler non sapeva niente delle recenti attività del suo capo, ma ne conosceva la routine, i metodi, gli amici, il modo di agire. Sapeva di un laboratorio a Bainbridge, in Georgia, e del lavoro di Chris Teller. Così ora Lisa Chadbourne aveva l'imbarazzo della scelta. «Come sono andato?» chiese Kevin. «Andava bene la dichiarazione? O avrei dovuto chiedere a Douglas di essere più severo?» «Sei stato perfetto!» rispose pazientemente Lisa. «La dichiarazione andava benissimo: tu sembravi addolorato, e Logan abbastanza pericoloso da
darci un motivo per stanarlo.» «Autodifesa... dovrebbe funzionare.» «Infatti.» Gli diede un foglio che aveva appena stampato. «Devi imparare questo a memoria, ma voglio che sembri del tutto improvvisato.» «Cos'è?» «Il discorso per il funerale di Scott Maren.» Lesse velocemente il testo. «Commovente.» «Una lacrimuccia non guasterebbe, era uno dei migliori amici di Ben.» «Oltre che tuo.» Kevin continuò a leggere il testo, ma la sua voce tremava. «Vero?» Lei si irrigidì: non le piaceva affatto quel tono. Ormai era abituata alla cieca obbedienza di Kevin. «Sì, era un mio carissimo amico, ha fatto molto per me... e per te.» «Certo.» Aveva ancora gli occhi sul foglio. «È strano... l'incidente, voglio dire.» «Si ostinava a guidare quella vecchia Corvette, tutti gli dicevano di comprarsi una macchina nuova.» «No, voglio dire, proprio adesso.» «Cosa vorresti insinuare, Kevin?» Gli strappò il foglio dalle mani. «Guardami!» Lui arrossì. «Sono un po' confuso, sta succedendo tutto così in fretta... Prima questa storia di Logan, poi la morte di Maren.» «Pensi che abbia a che fare con la morte di Scott?» Aveva le lacrime agli occhi, e non tentò di nasconderle. «Come puoi dirlo? Era nostro amico, ci stava aiutando.» «Non ho detto questo!» rispose lui. «Ma è come se l'avessi detto.» «No, non volevo dire che...» La guardò affranto. «Non piangere... tu non piangi mai...» «Ma non mi hai mai accusato di... Mi credi un mostro? Lo sai perché Ben è morto, credi che lo rifarei?» «Con Logan.» «Ma solo per salvare te! Logan non avrebbe mai dovuto interferire con quello che fai.» Lui le mise una mano sulla spalla, esitante. «Lascia perdere, non volevo...» «Non posso lasciare perdere!» Lisa si allontanò lanciandogli il foglio. «Vai nel tuo ufficio e impara questo, e già che ci sei, decidi se la donna
che ha ammazzato Scott può avere scritto queste parole su di lui.» «Lo so che... Mi chiedo solo cosa sta succedendo.» Lei gli voltò le spalle e si avvicinò alla finestra. Si sentiva ancora addosso gli occhi di Kevin. Finalmente la porta si chiuse. Grazie a Dio... Non avrebbe retto un minuto di più. La sera prima, e quel giorno, erano stati un incubo. Maledetto! Maledetto! Maledetto! Prese il telefono e chiamò Timwick, senza riuscire a smettere di piangere. «Perché?» chiese bruscamente. «Perché, maledizione?» «Maren è sempre stato una minaccia, ti avevo detto che doveva essere eliminato già da quando Logan ha iniziato a indagare.» «E io ti avevo detto di non farlo! Scott non è mai stato una minaccia, ci ha aiutato.» «Era un pericolo, Lisa, e Logan lo stava quasi convincendo. Tu eri troppo generosa con lui, quindi l'ho dovuto fare io.» Chiuse gli occhi. «Non mi avrebbe mai tradito.» «Non sei l'unica protagonista in questa storia.» Sentiva il panico nella voce di Timwick. «Non potevo rischiare.» Cambiò argomento. «La conferenza stampa è andata molto bene, ci ha dato la carica che ci serviva. Abbiamo trovato il motoscafo, ma non ancora Price o Logan... Ti terrò informata.» Non parlava più dell'omicidio di Scott, come se non importasse. Solo un'altra morte... Quante ancora? Quanto sangue? In cuor suo chiedeva perdono a Scott. «Non avrei mai pensato... Non riesco più a fermarlo, continua, continuerà sempre e devo accettarlo.» Ma c'era un modo per uscirne? Doveva impadronirsi di quel teschio. La situazione che aveva creato autorizzava Timwick a uccidere a vista Logan. Ancora morti. E poi sarebbe iniziata la lista di Fiske, e i delitti sarebbero andati avanti. Non poteva sopportarlo. E se avesse cercato un accordo? No, Logan era testardo, non si sarebbe arreso nemmeno se il buon senso e la situazione glielo avessero suggerito. Gli uomini erano sempre troppo... Ma Eve Duncan sapeva dov'era il teschio, e non aveva quell'egoismo maschile che impedisce di pensare chiaramente. La Duncan era intelligente, di certo si rendeva conto che tutte le alternative utili stavano lentamente sfumando. Si fece forza, asciugò gli occhi e accese il computer. Eve Duncan.
Diciannove Il telefono. Logan? Eve afferrò subito la cornetta. «Pronto?» «Salve, Eve. Spero che non ti dispiaccia se ti do del tu, fai pure lo stesso con me. Credo che le circostanze abbiano creato una certa confidenza tra noi.» Eve si alzò in piedi, sconvolta. «Sai chi sono?» «Lisa Chadbourne.» «Hai riconosciuto la mia voce, brava.» «Chi ti ha dato il mio numero?» «Era già sul primo dossier che ho ricevuto su di te, ma allora non mi era sembrato prudente contattarti, data la situazione.» «Visto che stai tentando di uccidermi?» «Non ho mai pensato di farti del male finché non ti sei intromessa in questa storia, credimi. Non avresti mai dovuto accettare l'offerta di Logan... E non avresti mai dovuto permettergli di tentare di convincere Scott a tradirmi.» «Io non controllo Logan, nessuno può farlo.» «Avresti dovuto provarci, sei forte e intelligente. Bastava solo un piccolo sforzo. Forse sarebbe stato tutto...» Fece una pausa per impostare la voce. «Non voglio sembrarti troppo emozionata. So che non mi comprendi, ma per me è stata una brutta giornata.» «Non capisco.» Lo choc iniziale era passato, e l'assurdità della situazione colpì Eve. «E non m'importa.» «Certo che non t'importa, ma prova a capire. Io devo andare avanti sino alla fine... È come viaggiare su un ottovolante, non puoi scendere finché non sei arrivata. Ho lottato troppo, ho sacrificato troppo, non posso perdere tutto quello che ho guadagnato.» «Uccidendo.» Silenzio. «Voglio scendere. Voglio smetterla, Eve.» «Perché mi hai telefonato?» «Logan è con te?» Eve si sentì sollevata: se Lisa non sapeva dove fosse Logan, forse lui e Gil erano al sicuro. «Adesso no.»
«Bene, sarebbe solo d'impiccio. È un uomo geniale, ma non molto ragionevole. Tu non sei come lui, puoi capire i vantaggi di un compromesso. Come quando hai supplicato di non uccidere Fraser.» Non si aspettava che Lisa riaprisse quella ferita. «Eve?» «Sono qui.» «Volevi che Fraser morisse, ma volevi anche qualcos'altro, e sei stata abbastanza ragionevole da raggiungere una mediazione.» «Non voglio parlare di Fraser.» «Capisco perché non vuoi ripensarci, io l'ho nominato solo perché adesso devi essere ragionevole.» «Cosa vuoi da me?» «Il teschio, e qualsiasi altra prova che tu e Logan abbiate raccolto.» «E cosa otterrei in cambio, se te le portassi?» «La stessa offerta che voi avete fatto a Scott: puoi sparire e poi riapparire da qualche altra parte, con il denaro sufficiente per vivere nel lusso il resto della tua vita.» «E Logan?» «Mi dispiace, ma per lui è troppo tardi. Dobbiamo agire alla luce del sole per assicurarci che non rappresenti una minaccia. Tu puoi semplicemente sparire, ma non posso interrompere la caccia a Logan. Ormai è solo.» «E mia madre?» «Puoi portarla con te. Affare fatto?» «No.» «Perché? Che altro vuoi?» «Rivoglio la mia vita! Non voglio passare i prossimi cinquant'anni a nascondermi per qualcosa che non ho commesso. Non posso prendere in considerazione la tua proposta.» «Non ho altro da offrirti. Non puoi restare, per me è troppo pericoloso.» Per la prima volta, Eve sentì un tono ferreo nella voce di Lisa Chadbourne, e qualcos'altro... Panico. «Dammi quel teschio, Eve.» «No.» «Lo troverò comunque, ma sarebbe più facile se me lo portassi tu.» «Anche se lo trovassi, avresti paura che la verità possa venire a galla comunque. È solo per questo che mi stai proponendo un affare.» «Dio, no...» Adesso nella voce non c'erano più né durezza né paura, solo stanchezza e dolore. «Non accetti?» «Te l'ho già detto.»
«Ma perché non vuoi che rimanga alla Casa Bianca? Guarda quante cose ho fatto tramite Kevin: la nuova legge per la sanità pubblica, norme più rigide contro gli abusi sui minori e per la protezione degli animali, e forse riuscirò perfino a fare approvare il bilancio sanitario prima delle elezioni... Ti rendi conto che è un miracolo, visto che non abbiamo la maggioranza al Congresso?» La voce si fece di nuovo dura. «Ma ho solo cominciato, Eve. Ho tante cose in programma per i prossimi quattro anni... lasciamele fare.» «Per passare alla storia? Non credo che l'assassinio sia un metodo per fare approvare nuove leggi.» «Ripensaci, ti prego.» «No.» Silenzio. «Mi dispiace, volevo facilitarti le cose. No, non è vero, volevo facilitarle a me, volevo che questa storia finisse presto.» La voce le tornò chiara. «Stai pregiudicando il tuo futuro, Eve: non sei al sicuro come credi, e ci sono sempre due facce della stessa medaglia. Spero di poterti dare un'altra possibilità tra qualche tempo, ma ne dubito, dovrò andare avanti comunque. Ricordati che l'hai voluto tu.» Riagganciò. Eve pensava di avere indovinato il carattere e le ragioni di Lisa, ma non era andata abbastanza a fondo. Si chiese se qualcuno potesse mai andare abbastanza a fondo con Lisa Chadbourne; l'aveva ritenuta un mostro spietato, come Fraser, ma la donna che le aveva parlato appariva molto umana. Ma non vulnerabile. Forse non era un mostro, ma aveva una forte determinazione. Eve mise giù il telefono con mano tremante. Era spaventata. Fino a quel momento aveva pensato di essere in vantaggio perché credeva di conoscere Lisa Chadbourne, di averla studiata a fondo. Il vantaggio era svanito: non solo non la conosceva, ma quella donna aveva capito tutto di lei. Anche Lisa Chadbourne conosceva Eve. «Due facce della stessa medaglia», le aveva detto. Corruzione da una parte, morte dall'altra... Il messaggio non poteva essere più chiaro. Aveva rifiutato l'offerta, e ora doveva affrontarne le conseguenze. Ma perché non riusciva a smettere di tremare? Sembrava quasi che Lisa fosse nella stanza con lei, e... Bussarono alla porta. Si guardò intorno. Non aprire la porta, aveva detto Logan. Due facce della stessa medaglia.
Ah, maledizione, Lisa Chadbourne non era certo un essere soprannaturale in grado di arrivare in volo al motel! Eve si alzò e si avvicinò alla porta. Gli assassini non bussano cortesemente. Adesso però non bussavano più cortesemente, ma con impazienza. «Chi è?» «Logan.» Guardò dallo spioncino. Grazie a Dio! Aprì la porta. Logan entrò nella stanza. «Faccia le valigie, deve andare via da qui.» «Dov'era?» «Stavo venendo qui!» Aprì l'armadio, prese la sua valigia, la giacca e l'impermeabile e li buttò sul letto. «Ho preso un taxi per l'aeroporto di Washington, poi ho noleggiato una macchina per venire qui.» «Perché non mi ha chiamato?» Non rispose. «Perché non mi ha chiamato, maledizione? Non pensava che mi sarei preoccupata?» «Non volevo parlare...» Aprì la valigia. «Allora, si sbriga? Deve andare via!» «Il profilo del DNA non è ancora pronto. Gary ha scoperto che il laboratorio può accelerare i tempi dell'esame, ma Joe non è ancora tornato con i campioni, e lui dice che...» «Non me ne importa niente! Lei è fuori!» «Sarà un po' difficile, non ha sentito di Abdul Jamal?» «Sì, alla radio, mentre tornavo.» Lo guardò prendere la sua biancheria dal cassetto e gettai la nella valigia. Notò che aveva i vestiti sgualciti, macchiati di erba, e un graffio sul polso. «Non vado da nessuna parte se non mi dice cosa sta succedendo.» «Allora la impacchetto e chiudo nel bagagliaio insieme al resto.» «La smetta di rovinare le mie cose e mi guardi, maledizione!» Si voltò lentamente a guardarla. «Gesù, cosa è successo, Logan?» «Gil è morto.» Si muoveva a scatti, in modo scoordinato, continuando a gettare altri vestiti sul letto. «Gli hanno sparato. Non credo che volessero ucciderlo, stavano solo sparando qualche colpo di avvertimento... ma è morto. L'ho lasciato in una baracca vicino al fiume. So che non è stato un gran gesto, per come la pensa... Gil non ha una casa. L'ho lasciato lì e sono fuggito.» «Gil...» ripeté lei sconvolta.
«Era nato vicino a Mobile, penso che abbia un fratello, forse possiamo...» «Basta!» Gli afferrò il braccio. «Basta, Logan!» «Stava scherzando un momento prima che gli sparassero... Diceva che non poteva succedergli niente, perché si era già preso il suo proiettile mensile... Si sbagliava. Non si è nemmeno reso conto di cosa stava succedendo, solo...» «Mi dispiace... Dio, mi dispiace tanto...» Senza pensarci, gli si avvicinò e lo abbracciò. Il corpo di lui era rigido, i muscoli tesi contro di lei. «So che era tuo amico.» «Se fosse stato mio amico, gli avrei fatto correre tutti questi rischi?» «Hai provato a convincerlo a non incontrare Maren, abbiamo provato entrambi, ma non ci ha ascoltato.» «Avrei potuto fermarlo, ma pensavo che avesse ragione su Maren. Avrei potuto dargli un pugno in testa e andare da solo, non dovevo mandare lui.» Mio Dio, stava soffrendo, ed Eve non riusciva ad avvicinarsi a lui. «Non è stata colpa tua, ha deciso Gil. Non potevi sapere che...» «Stronzate!» La spinse via. «Finisci di fare la valigia, ti porto via da qui.» «E dove dovrei andare?» «Ovunque, ma lontano da qui. Ti imbarcherò su una nave per Timbuctú.» «No. Non ora, sei troppo sconvolto per prendere una decisione. Dobbiamo parlarne.» «Sbrigati! Non c'è niente di cui parlare.» «Dobbiamo parlare. Per ora usciamo da qui.» Si diresse verso la porta. Per la tensione le sembrava di soffocare in quella stanza. Avrebbe preferito allontanare Logan dalla dannata valigia che tanto lo ossessionava. «Sono stata chiusa qui tutto il giorno, facciamo un giro.» «Non ho intenzione di...» «Invece sì.» Prese la valigia con la testa di Ben, aprì la porta e si guardò intorno. «Dov'è la macchina?» Lui non rispose. «Dov'è la macchina, Logan?» «È la Taurus beige.» Raggiunse l'auto prima di lui, e aspettò che arrivasse ad aprire la portiera. John sorrise ironico nel prendere la valigia con la testa. «E dovunque va
Eve, Ben la segue...» mormorò, mettendola sul sedile posteriore. «D'altronde ti ho detto io di non perderla mai di vista, no? Anche se ti rende automaticamente un bersaglio.» «Credi che ti avrei ascoltato se non avessi saputo che era la cosa giusta da fare?» Entrarono in macchina. «Vai», disse Eve. «Dove?» «Non importa. Basta che non sia un posto da dove prendere una nave per Timbuctú.» «Non cambierò idea.» «E io non discuterò con te, visto che probabilmente ci hai pensato per tutto il viaggio da Washington. Basta che guidi.» Partirono, e non si dissero niente per mezz'ora. «Ora possiamo tornare?» «No.» Era ancora teso. Come rompere il suo silenzio? Dargli uno choc? Non poteva dirgli della telefonata di Lisa Chadbourne, assolutamente no. Avrebbe solo rafforzato le sue convinzioni. Serviva tempo. Lisa guardò il telefono. Doveva fare quella chiamata, aveva aspettato già troppo. Nessun accordo, aveva detto Eve Duncan. Rassegnarsi? Andare avanti? Doveva fare quel che era necessario fare. Lisa alzò il telefono. Solo un'ora dopo, a pomeriggio inoltrato, Logan uscì dall'autostrada e fermò la macchina in una stradina. «Non andrò più da nessuna parte, smettiamola.» «Mi vuoi ascoltare?» chiese Eve. «Sto ascoltando.» Era testardamente intenzionato a non sentire. O forse non era testardo, aveva solo paura di ascoltarla. Era strano pensare che Logan, così sicuro e deciso, ora avesse paura. «Ricordi cosa mi hai detto? Fai quello che puoi e vai avanti? Sei un pallone gonfiato, Logan.» «Eh sì, predico bene, ma...» «Non sei responsabile della morte di Gil. Lui sapeva a cosa stava andando incontro e ha preso la sua decisione. Hai perfino tentato di dissuaderlo.»
«Ne abbiamo già parlato.» «E non sei nemmeno responsabile della mia vita. Non te lo permetterò mai. Sono io che decido, quindi non voglio sentire stupidaggini riguardo a navi per la Mongolia.» «Timbuctú.» «È lo stesso, non vado da nessuna parte. Ho sopportato troppo, ho investito troppo nella mia vita per buttarla via così. Non capisci?» «Capisco.» «Allora possiamo tornare in albergo.» Rimise in moto. «Ma non cambia niente: ti avverto, troverò un modo per spedirti su quella nave.» «Soffro il mal di mare. Quando sono tornata in traghetto da Cumberland Island sono stata malissimo.» «Mi sorprende che te ne sia accorta.» «Neanch'io lo capivo. Pensavo che la mia vita fosse finita, e non era giusto che anche il mio corpo mi punisse.» «Ma Quinn si prese cura di te.» «Certo, Joe si è preso sempre cura di me.» «Hai avuto notizie da lui?» «Ieri sera. Ha trovato una lettera che quasi certamente contiene saliva di Ben Chadbourne, ma ha dei problemi a recuperare un campione della stessa Millicent Babcock. Voleva seguirla al Country Club e tentare di rubare il bicchiere in cui lei avrebbe bevuto.» «Il tuo valoroso poliziotto che ruba?» Parlare lo aiutava a distendersi. «Non è proprio come rubare.» Eve decise di non rivelare gli stratagemmi che Joe aveva usato per impadronirsi della lettera. «Hai mai letto I miserabili?» «Sì, e m'immagino Joe che ruba il pane per darlo ai bambini affamati.» Lui fece un sorriso amaro. «Il tuo eroe.» «Il mio amico», lo corresse Eve. Logan smise di sorridere. «Mi dispiace, non ho il diritto di criticare Quinn, come amico ho fallito miseramente.» «Smettila di flagellarti! Sei confuso. Da quanto non dormi? Ti sentirai meglio dopo una notte di sonno.» «Davvero?» Lei esitò, poi disse sincera: «Non credo, ma potrai pensare meglio al da farsi».
«Ti ho mai detto quanto mi piace la tua brutale onestà?» «Consolarti non servirebbe a niente, rideresti solo di me. Hai già provato il dolore, sai che non esistono cure immediate. Devi solo riuscire a conviverci.» «Sì, è l'unico modo per affrontarlo... ma non riderei di te, Eve, mai.» Le prese la mano. «Grazie...» «Per cosa?» tentò di scherzare lei. «Perché non voglio andare a Timbuctú?» «No, questo viaggio rientra ancora nei miei piani, se riuscirò a convincerti.» Le lasciò la mano, lentamente. «Credo di invidiare Quinn.» «Perché?» «Per molte cose. Ma è molto meglio che sia l'uomo a proteggere e consolare che non il contrario. Piangere in questo modo sulla tua spalla mi ha fatto sentire debole.» «Non mi hai pianto sulla spalla.» E nessuno poteva dire che Logan non fosse forte. «Hai urlato e mi hai buttato per aria i vestiti!» «È lo stesso... Scusa, ho perso il controllo, non succederà mai più.» Lei lo sperava: la sua reazione al dolore di Logan l'aveva sorpresa, era stata quasi materna. Lo aveva abbracciato, e avrebbe voluto cullarlo fino a scacciare il dolore. Aveva desiderato confortarlo e guarirlo, abbracciarlo e accarezzarlo. La vulnerabilità di Logan aveva abbattuto le barriere innalzate dalla sua apparente rigidità. «Non c'è problema... risistemerò i vestiti, così saremo pari.» Guardò fuori dal finestrino. L'emergenza era passata. Doveva riprendere le distanze, Logan si stava avvicinando troppo. Sentiva che lui la stava guardando, ma non si voltò, tenne gli occhi rivolti al sole che tramontava dietro gli alberi. Logan non parlò più fino a quando non arrivarono al parcheggio del motel. «Devo parlare con Kessler. Quando tornerà dal laboratorio?» Lei guardò l'orologio: le sette e quarantacinque. «Dovrebbe essere già nella sua stanza, dovevamo incontrarci alle otto per ordinare qualcosa da mangiare. Da Bubba Blue Barbecue. Gary si immaginava un posto con un serpente a sonagli in una teca, la segatura per terra e un cantante country che... oh, merda.» Gli occhi le si riempirono di lacrime. Era stata così occupata a consolare Logan che non si era quasi resa conto della morte di Gil. Sarebbe mai più riuscita ad ascoltare una canzone country senza ricordarsi di lui? Logan aveva gli occhi lucidi. «Gli dicevo che gli sarebbe piaciuto molto
questo posto, alla radio trasmettono solo musica country, come...» Di scatto scese dalla macchina. «Vado nella mia stanza a farmi una doccia e a cambiarmi.» Prese la valigia dal sedile posteriore. «Mi prenderò cura di Ben per un po'. Ci vediamo tra venti minuti in camera di Kessler.» «Sì.» Gil Price, senso dell'umorismo, gentilezza e uno spumeggiante amore per la vita. Tutto perduto. Morte. La morte che si avvicina e colpisce Gil. Chi sarebbe stato il prossimo? Logan sarebbe potuto morire con lui. L'altra faccia della medaglia. Andò nella sua stanza e s'intristì nel vedere i vestiti ancora sparpagliati sul letto. Doveva mettere in ordine e provare a... Chi se ne frega! Era spaventata, preoccupata, con lucidità presentiva l'avvicinarsi del pericolo. Non sentiva sua madre dalla sera precedente, e aveva bisogno di un contatto. Prese il telefono dalla borsa. Nessuna risposta. Cosa diavolo... Rifece il numero. Nessuna risposta. L'altra faccia della medaglia. «Non sei al sicuro come credi...» Ricollegò le parole di Lisa Chadbourne a sua madre. Tremando fece il numero della stanza di Logan. «Non riesco a raggiungere mia madre, non risponde al telefono.» «Non farti prendere dal panico, potrebbe essere...» «Non mi parlare di panico! Non risponde!» «Non è nulla, chiamo Pilton per controllare.» «Che possibilità ci sono che...» «Telefono a Pilton», la interruppe lui. «Ti richiamo.» Non era nulla. Fiske non poteva averla trovata. Non era nulla. Il telefono squillò. Corse a rispondere. «Sta bene», disse Logan. «Le ho parlato, lei e Margaret stavano per sedersi a tavola. Aveva la batteria del telefono scarica.» Salva. Si sentì sollevata. «Sta bene?» «Si preoccupa per te, e ha voglia di spezzarmi l'osso del collo, ma sta
bene.» Per un attimo non riuscì a parlare. «Ricordi la nave per Timbuctú, Logan?» «Sì?» «Voglio che mia madre ci salga.» «Appena possibile. Tu la seguirai?» Sì, pensò tra sé e sé. «No, ci vediamo nella stanza di Kessler tra un quarto d'ora.» «Ho una copia dell'esame del DNA», disse Gary aprendo la porta. «Dov'è Quinn con i campioni?» «Dovrebbe tornare a momenti.» Guardò Logan, seduto dall'altra parte della stanza. «Logan ti ha detto di Gil Price?» «Sì. Brutta storia.» «Davvero brutta. Hai fatto tutto il possibile, Gary. Ci hai dato i risultati. Adesso te ne andrai, maledizione?» «Quando avrò finito, quando avremo i campioni di Quinn.» «Gary, non abbiamo più bisogno di te. Joe può andare al laboratorio e...» «No, Duncan.» Il tono di Gary era gentile ma deciso. «Finisco sempre ciò che ho incominciato.» «Che sciocchezze. Farai la fine di Gil Price.» Eve si rivolse a Logan. «Diglielo.» «Ci ho provato, non mi vuole ascoltare.» «Come Gil, neanche lui ascoltava mai. Ma tu devi farlo. Lei... le due facce della medaglia...» «Come?» «Lisa Chadbourne. Mi ha telefonato oggi pomeriggio.» Logan fece un salto sulla sedia. «Cosa?» «Voleva mettersi d'accordo con me per il teschio.» «E perché non me l'hai detto prima?» disse Logan con tono di rimprovero. «Pensaci: eri in grado di ascoltare? Saresti stato ragionevole?» «Neanche adesso mi sento ragionevole. Ti ha minacciato?» «In un certo senso.» «In che senso?» «Era... triste. Ma che importa? Voglio solo che Gary e mia madre rimangano fuori da questa storia, va bene?» «Sa di Bainbridge o di tua madre?»
«Non lo so, è troppo astuta, non me l'avrebbe mai detto.» Si rivolse a Gary. «Ma tu devi...» «L'unica cosa che devo fare è chiamare il Bubba Blue Barbecue. Vuoi bistecca o costolette?» «Voglio che tu vada via.» «O forse vuoi un panino?» «Gary...» Gary compose il numero. «Se non me lo dici, ti mangi le costolette.» Lo guardò, incapace di reagire. Maledizione. «Bistecca.» «Ottima scelta.» Joe Quinn arrivò mezz'ora dopo che il fattorino aveva portato la cena. «Eccoli!» Sollevò le due borse termiche. «Quanto ci vuole per fare il confronto?» Eve si voltò verso Gary, speranzosa. «Stanotte?» «Forse. Chiamerò Chris per convincerlo a tornare al laboratorio.» Si pulì le dita unte di carne e prese il telefono. «Fuori! Ci vorrà un po' per convincerlo, ha lavorato per me tutta la notte scorsa e non sarà certo contento di doversi ripetere.» Joe aprì la porta. «Quando sei pronto, ti porto al laboratorio, Gary.» Gary fece un gesto distratto con la mano. «Stai bene?» chiese Joe a Eve non appena uscirono. «Per quanto è possibile. Gil Price è stato ucciso.» Joe guardò Logan. «Il suo amico?» «Sì.» «Ho sentito della conferenza stampa. Siamo messi male, vero?» «Ottima descrizione.» «Cosa farete delle prove del DNA?» «Ho qualche amico a Washington che sarebbe contentissimo di avere delle prove.» «Troppo azzardato.» «Non con Andrew Bennett dalla mia parte: è il primo giudice della Corte Suprema.» «Meglio di un politico, ma è comunque rischioso.» «Ha un'idea migliore?» «La stampa.» «Lisa Chadbourne è esperta nel manipolare i media.» «Forse, ma mostrami un giornalista che non sia pronto a fare crollare
l'intero Governo pur di vendere qualche copia in più.» «La storia è troppo assurda», disse Eve. «E ci hanno teso tanti tranelli che non riusciremo nemmeno ad avvicinarci ai giornali.» «Potrei farlo io. Conosco uno che lavora per l'Atlanta Journal and Constitution, Peter Brown. Ha vinto il premio Pulitzer cinque anni fa.» «Mio Dio, ti farai arrestare per avere aiutato dei criminali, Joe.» «Peter terrà la bocca chiusa.» «Forse...» disse Logan. «Sicuramente. L'ho già chiamato, e gli interessa molto... anzi, sta già pregustando il colpo. Aspetta solo il DNA.» «Bastardo! Senza dirci niente!» «Dovevo pur fare qualcosa, mentre aspettavo a Richmond. E poi è sempre meglio che fidarsi di un politico.» Eve alzò una mano. «Perché non aspettiamo i risultati, prima di litigare sul da farsi?» «Voglio finirla con questa storia», disse Joe. «Voglio che tu ne esca, Eve.» «Mai quanto me. Sta diventando...» Kessler uscì dalla stanza. «Ci vediamo al laboratorio tra venti minuti.» «Andiamo.» Joe si avviò verso una Chevrolet nera parcheggiata poco distante. «Quanto ci vorrà, Gary?» «Sei, forse otto ore.» «Fai le valigie, Eve.» Joe salì e mise in moto. «Io torno non appena avrò i risultati. Andremo a prendere tua madre e troverò un posto sicuro per voi due finché non sarà finita.» E prima che lei potesse rispondere qualcosa, la macchina partì. «Be', su una cosa siamo d'accordo», mormorò Logan. «Entrambi ti vogliamo lontano da qui, e al sicuro.» «I media non erano una cattiva idea.» «No, anzi... potremmo seguire quella strada. Ma ci serve anche Washington.» «Allora perché avete litigato?» «Temo che stia diventando un'abitudine. Vado a fare le valigie e poi telefonerò ai miei amici a Washington. Non posso certo farmi superare da Quinn.» Il laboratorio di Teller sembrava deserto, tranne per una luce accesa al pianoterra.
Fanno gli straordinari, pensò Fiske. Il centro chiudeva alle sei, perché mai c'era ancora qualcuno all'una di notte? Due macchine nel parcheggio. Sentì che stava per guadagnarsi la paga. Uscì dal fuoristrada e guardò nel portabagagli. Prese l'auricolare dalla valigetta degli strumenti elettronici. Pochi minuti dopo era di nuovo in macchina, seduto comodamente ad aspettare che uscissero dal portone. Venti 4.05 Eve era alla finestra quando Joe e Gary entrarono nel parcheggio del motel. «Eccoli!» disse a Logan. Aprì la porta. «Fatto?» «Fatto.» Gary le diede la valigetta. «Il campione di Millicent Babcock indica chiaramente una parentela.» Un sorriso soddisfatto gli illuminò il volto. «La saliva di Ben Chadbourne coincideva perfettamente, c'era da aspettarselo.» «Certo, lo so, se non fosse così mi staresti già coprendo di insulti.» «E avrei ragione, per avermi fatto perdere il mio tempo prezioso.» «Ho prenotato per lei un appartamento in un residence a Fort Lauderdale.» Logan diede a Gary un biglietto da visita. «A nome di Ray Wallins. Resti lì finché non la chiameremo per dirle che è tutto a posto.» Kessler sorrise timidamente. «Un residence di lusso? Con le cameriere?» Logan ridacchiò. «Forse, ma non sfidi la sorte.» «Un uomo della mia intelligenza si merita il lusso. Non dovrebbero sprecarlo per ipocriti come lei.» Logan gli diede una busta. «Soldi. Dovrebbero tenerla tranquillo per un bel po'.» «Ah, così va meglio.» Kessler mise la busta nella tasca interna della giacca. «Basterà finché non ricevo i primi diritti d'autore per il mio libro.» Guardò Eve. «Forse mi servirà un'assistente, non sono molto bravo a scrivere. Potrei darti una stanza del mio appartamento se me lo chiedessi gentilmente, Duncan.» «Neanch'io sono molto brava.» «Immagino che sia un no. Be', tanto ti saresti presa tutto il merito.» Joe uscì dalla stanza con la valigia di Eve. «Andiamocene, Eve! Se partiamo adesso possiamo essere al Lago Lanier per le nove.»
«Sì. Grazie Gary, sei stato meraviglioso.» «Fantastico.» «Adesso te ne vai o no?» «Faccio i bagagli, li metto nella Volvo, e via per Fort Lauderdale! Mi ci vogliono cinque minuti.» «Aspetteremo.» «Duncan, non è... Ah, che donna testarda.» Sparì nella sua stanza e tornò dopo pochi minuti. Mise il borsone nella macchina. «Soddisfatta?» «Sì.» Si avvicinò ad abbracciarlo. «Grazie!» gli sussurrò all'orecchio. «Stai diventando noiosa, Duncan.» Gary entrò in macchina e accese il motore. «Pronta?» chiese Logan a Eve. «Immagino che tu stia andando con Quinn, ti stava quasi sequestrando... Ti seguo fino al lago.» «Stiamo partendo.» Joe si sedette al volante. «È pronto?» «Ho già tutto in macchina.» Logan si diresse verso la Taurus beige. «Eve?» disse Joe. «Sì», rispose Eve e si sedette in macchina. Il primo ostacolo, la prova, era stato superato; avevano in mano i campioni e l'analisi del DNA. Gary era al sicuro, e lo sarebbe stata anche sua madre tra poche ore, non appena l'avessero raggiunta. Grazie a Dio. 4.10 Fiske si tolse l'auricolare e chiamò Lisa Chadbourne. «Sono al Roadway Stop a Bainbridge. Ho seguito Kessler e Joe Quinn che tornavano dal laboratorio. Qui ci sono anche Logan e la Duncan... ma si stanno muovendo, Quinn ha appena messo la valigia della Duncan in macchina, e la donna ha salutato Kessler. Lui non li segue, sta uscendo dal parcheggio proprio adesso.» «E Logan?» chiese Lisa Chadbourne. «È su un'altra macchina, una Taurus beige.» «Eve ha il teschio?» «Che ne so? Non se lo porta mica sottobraccio come una borsetta. Immagino che lo abbia in valigia. O forse ce l'ha Logan.» «O forse l'hanno nascosto... Non mi interessano le sue ipotesi. Non l'ha visto?» Iniziava a dargli sui nervi, la puttana. «No.»
«Allora non li perda di vista, mi serve quel teschio.» «Me l'ha già detto. Ora Logan si sta muovendo dietro la macchina di Quinn.» «Allora li segua, maledizione!» «Non c'è problema, so già dove andranno... a prendere la madre della Duncan al Lago Lanier.» «È sicuro?» «L'ho appena sentito dire a Quinn.» Silenzio. «Non deve mai perderli di vista.» «Non li perderò.» «Allora avrei qualcos'altro da farle fare.» Il telefono digitale di Eve squillò quando erano a circa sessanta chilometri da Bainbridge. «Duncan... Non...» Capì a stento le parole. «Come?» «Dun-can...» Il cuore le balzò in gola. «Gary?» Un'altra voce. «Voleva solo salutarla.» «Chi è?» sussurrò lei. «Fiske. Lisa vuole la testa, Eve.» «Dove siete?» «Al motel. Ho fermato il suo dottor Kessler e l'ho convinto a tornare nella sua stanza per un discorsetto.» «Voglio parlare con Gary!» «Non può più risponderle. Lisa mi ha detto di riferirle che non sarà l'ultimo. Le dia il teschio, Eve.» Riagganciò. «Oh Dio!» «Cosa c'è?» Le si rivoltò lo stomaco, non riusciva a respirare. «Torna indietro! Dobbiamo tornare al motel!» «Cosa?» «Fiske... e Gary. Era Gary, ne sono sicura.» «Non puoi dire di esserne sicura... Forse non era lui, potrebbe essere una trappola.» «Lo so che era Gary, maledizione! Mi ha chiamato Duncan!» «È una trappola, Eve.»
«Non m'importa, dobbiamo tornare indietro!» Mio Dio, quel sussurro... «Torna indietro, Joe!» «Appena potrò fare inversione. Proverò ad avvertire Logan azionando le luci di emergenza.» «Presto!» Aveva la valigetta con i risultati del DNA, ma Logan aveva il teschio. Se era una trappola, doveva fare in modo di... «No, fermati! Devo dargli la valigetta.» Uscirono dall'autostrada, e Logan si fermò accanto a loro. Joe scese dalla macchina e gli diede la valigetta. «Stiamo tornando al motel, Kessler ha chiamato Eve. C'è Fiske.» «Entri in macchina con me, Quinn. Eve, aspetta qui.» «Al diavolo! Andiamo, Joe!» Joe mise in moto. «Vi seguo», disse Logan. «Non ci provare!» rispose Eve con aria feroce. «Lisa vuole il teschio. Se devo barattarlo per salvare Gary, lo farò. Ma non potrò trattare se Fiske te lo porta via.» «Fiske non...» Joe partì verso l'autostrada. «Lisa vuole la testa, Eve... Le dia il teschio...» Le parole di Fiske la facevano temere per Gary. La porta della stanza di Kessler era stata forzata, e la luce filtrava dall'apertura. «Resta qui.» Joe scese dalla macchina. «Vado a...» «Non discutere! Ci vado io!» Estrasse la pistola dalla fondina. «Andrà tutto bene.» Si acquattò contro il muro e diede un calcio alla porta. Niente spari. Nessuno a bloccare l'ingresso. Nulla. Joe aspettò un attimo, poi entrò nella stanza. No, lei non deve vedere questo spettacolo! Eve scese dalla macchina e corse nella stanza. Joe le sbarrò la strada. «No, Eve.» «Cosa... No!» Lo spinse via e corse dentro. Gary giaceva per terra in un lago di sangue, con un coltello piantato in gola. Si inginocchiò accanto al corpo. «Gary...»
«Andiamo!» Joe tentò di farla rialzare, ma lei non si mosse. «Dobbiamo portarti via di qui.» «Non possiamo lasciarlo qui!» Solo in quel momento vide gli altri due coltelli che gli inchiodavano a terra le mani. «Oh, Joe, guarda cosa gli ha fatto...» «È finita, Eve. Devo portarti via di qui.» Le lacrime le mondarono il viso. «Lo ha torturato, lo ha fatto per un motivo... Voleva farmi capire che lo aveva torturato... Lei voleva farmelo capire.» «Ora non soffre più.» Eve indietreggiò lentamente, straziata dal dolore. «Non è giusto... voleva lottare contro di loro... voleva...» «Eve, guardami.» Guardò Joe. I suoi occhi... Lui le accarezzò i capelli con tenerezza infinita. «Mi dispiace.» Il pugno la colpì al mento. Buio. «È ferita?» Logan scese dalla macchina e vide Joe che teneva in braccio Eve. «No.» Logan aprì l'auto di Joe. «Cosa è successo a Eve? Fiske?» «Sono stato io.» La stese sul sedile e chiuse la portiera. «Non voleva lasciare Kessler.» Logan guardò la porta della stanza. «Cosa?...» «Morto.» «Fiske?» «Non c'era.» Joe si sedette al volante. «Salga in macchina e se ne vada! Eve le aveva detto di non tornare.» «Ma a quanto pare Fiske non voleva fare uno scambio.» «Voleva spaventarla. Non era un bello spettacolo.» Prese un fazzoletto di carta. «Sangue...» Iniziò a pulire le mani di Eve. «Tanto sangue.» «Merda!» Logan fissò il volto pallidissimo di Eve. «Cosa le ha fatto?» «L'ho stesa con un pugno.» Joe mise in moto. «Stare lì in ginocchio nel sangue di Kessler non aveva senso, tanto valeva che Fiske le comparisse davanti con un altro coltello.» «Un coltello?»
«Le ho detto che non era un bello spettacolo.» «Eve non sarà contenta di essere stata portata via.» «Ho fatto quello che dovevo fare. Ha una pistola?» «Sì.» «Però non l'ha detto a Eve.» Joe sorrise amaramente. «Sapeva bene come avrebbe reagito... Era pronto a farmi infilzare, Logan, ma si proteggeva il culo. Be', tenga pronta quella pistola e mi segua da vicino. Se la intercettano, mi fermerò ad aiutarla.» Fece marcia indietro. «Se sarà fortunato.» Sangue. Coltelli. Inchiodato. Oh Dio, aveva crocifisso Gary... Aprì la bocca per urlare. «Sveglia!» Si sentì scuotere. «Sveglia, Eve!» Aprì gli occhi. Joe. Seduto accanto a lei. Buio tutto intorno. Un sogno. Era stato tutto un sogno. «Un sogno...» Lui la guardava. «Gary...» Iniziò a piangere. «È morto?» «Sì.» Lei si rannicchiò sul sedile, nel tentativo di sfuggire a quell'incubo, ma non ci riusciva. Sangue. Gary. La mano di Joe sui suoi capelli. Buio. «Mi hai dato un pugno...» disse con voce flebile. «Dovevo farlo.» «Pensavi che non potessi sopportarlo.» «Forse. Io di certo non potevo.» «Lei vuole il teschio. L'altra faccia della medaglia... Non ha tentato neanche di contrattare. Aveva detto che sarebbe andata avanti... Mi ha voluto dimostrare che ha il potere di uccidere chi mi sta vicino.» «Così pare.» «E Gary non era neppure veramente coinvolto... Ormai era fuori. Fort Lauderdale... Non dovevamo lasciarlo andare via da solo.» «Pensavamo che fosse al sicuro. Non potevano certo sapere che Fiske fosse a Bainbridge!» «Lisa vuole la testa, Eve.» «Dov'è Logan?»
«Qualche chilometro dietro di noi.» «Ha ancora la testa?» «Sì.» «Le dia la testa, Eve.» «Lisa mi ha detto di riferirle che non sarà l'ultimo.» Quelle parole le rimbombarono nella testa. Fu presa dal panico. «Mia madre!» «Ci stiamo andando.» «Mi ha detto che Gary non sarebbe stato l'unico. Quanto manca?» «Ancora tre ore.» «Più veloce!» «Calma.» «Non dirmi di stare calma! Lisa sa che mi preoccupo per mia madre, sarebbe logico che scegliesse lei come nuovo bersaglio.» «O che te lo facesse pensare, per attirarti da lei. Forse non sanno ancora dov'è.» «Non sapevamo che Fiske avesse scoperto il nascondiglio di Bainbridge...» Strinse i pugni così forte che le unghie le si conficcarono nella carne. «Ma l'ha fatto... l'ha fatto...» «Sì.» «E ora potrebbe essere in viaggio per il Lago Lanier, davanti a noi!» «Ma non necessariamente per uccidere tua madre; è più probabile che voglia arrivare prima di noi per tenderci una trappola. Dopo tutto, vuole il teschio.» Eve prese il telefono. «Le devo avvertire.» «Buona idea. Ma di' loro di non scappare. Potrebbero essere più al sicuro dove sono, finché non arriviamo. Di' solo a Pilton di stare in guardia.» Ma potevano essere veramente al sicuro, con Fiske in giro? Tremando compose il numero. Fiske tornò alla macchina parcheggiata davanti alla villetta disabitata. La luce del giorno spuntava a est, filtrando tra le cime dei pini e la nebbia. Calcolò di avere almeno un'ora di vantaggio. Aveva spiato il cottage della Duncan, e l'aveva vista molto indaffarata al telefono. Le luci erano rimaste accese, e Pilton aveva fatto un giro di ricognizione della zona, poi era rientrato e aveva sprangato la porta. Aspettavano il suo arrivo. Be', non era quello che voleva? Una sfida! Chiamò Lisa Chadbourne. «Eve le ha avvertite.»
«Ma sono ancora lì?» «Penso che la stiano aspettando. Pilton è uscito un quarto d'ora fa per mettere delle valigie in macchina, poi non si è più mosso nessuno.» «Non le faccia andare via... e non le tocchi, finché non avrà il teschio.» «La madre sarebbe un motivo di richiamo... meglio di Kessler.» Fece una pausa. «Anche se mi sono occupato di Kessler in modo eccellente... Vuole i dettagli?» Silenzio. «Le ho detto che ho bisogno dei risultati, non mi servono i dettagli.» Schizzinosa. «Ho tenuto Kessler in vita abbastanza a lungo perché la chiamasse. Non era facile, con i coltelli...» «Le ho detto che non m'interessa. Ora si ricordi che la sopportazione di Eve Duncan ha un limite. Non rovini tutto, Fiske.» «Inizia a parlare come Timwick.» Un altro silenzio. «Mi dispiace. Faccia come vuole, so che non mi deluderà.» Riagganciò. Ancora quel dannato teschio a ostacolarlo, a impedirgli di fare il suo onesto lavoro. Si sporse ad aprire il cassetto del cruscotto: aveva abbastanza tempo per aggiornare la lista. Compiaciuto, cancellò il nome di Gary Kessler con un tratto di penna deciso. 8.35 La macchina si fermò davanti alla villa ed Eve balzò fuori. «Aspetta!» Joe le corse dietro e poi la spinse da parte. «Entro prima io.» Era entrato prima lui al motel, e aveva trovato Gary. «No. Mamma!» Nessuna risposta. Poi la voce di Sandra. «Va tutto bene, Eve! Pilton non mi vuole fare uscire, ma stiamo bene.» Eve si sentì venire meno per il sollievo. «Stiamo entrando.» Logan parcheggiò accanto alla macchina di Joe. «Tutto a posto?» «Sembra di sì.» Joe fissava il bosco circostante. «Forse. Entri e si assicuri che siano pronte a partire, io resto qui fuori.» Logan seguì Eve. «Aspetti, Logan. Dov'è il teschio?» «Sul sedile anteriore, lo tenga d'occhio.» «Lo farò.» Lo sguardo di Joe non si era mai staccato dal bosco. «Si sbri-
ghi e faccia salire tutti nelle macchine.» Era lì fuori. Cristo, poteva quasi sentirne l'odore, pensò Joe. L'odore del sangue. La sua fame di sangue. Sentiva a pelle la presenza di Fiske. Come se l'istinto l'avesse catapultato nel suo passato di vittime e omicidi. Quel mondo Fiske lo conosceva bene. In quel momento era lì fuori, in allarme, pronto. A che cosa? Gettare una bomba sulla villa? Sparare a raffica non appena fossero usciti dalla porta? Joe sarebbe stato il primo bersaglio: la sentinella è sempre la prima da eliminare. Ma Fiske aveva uno svantaggio: non gli era stato ordinato semplicemente di uccidere. Serviva il teschio. Joe fece un sorriso amaro. Basta. Il cacciatore diventava la preda. Fiske lo stava osservando? Si tolse la giacca, si chinò nella macchina di Logan e prese la valigia di pelle con il teschio. L'esca, Fiske. Sollevò deliberatamente la valigia sopra la sua testa. La vedeva? Iniziò a correre a zig zag tra i cespugli, verso il bosco. «Vieni a prenderla, bastardo!» Fiske sgranò gli occhi per la sorpresa. Quel figlio di puttana si stava prendendo gioco di lui! E con la valigia che conteneva il teschio! Guardò Quinn che correva sul terreno sconnesso. Capiva che cosa stava facendo. Non sarebbe stato un bersaglio facile. Il piacere e l'impazienza lo invasero. Quella strega della Chadbourne aveva detto che doveva recuperare il teschio. Ma Fiske non si immaginava una sfida così interessante. Si mise all'inseguimento di Quinn. «Margaret, vai nel furgone con Pilton», disse Logan scendendo gli scalini della villa. «Sandra verrà con noi.» «Devo tornare a Sanibel?» chiese Margaret. «Quando mi richiamerai?»
«Quando saremo al sicuro. Quinn organizzerà un incontro con quel giornalista che...» «Dov'è Joe?» Eve si fermò sugli scalini. «Dev'essere qui in giro.» Eve guardò la macchina. Joe non c'era. Il cuore cominciò a batterle così forte da farle male. «Fiske...» «Non credo che Fiske riuscirebbe a coglierlo di sorpresa, Quinn è un duro.» «Ha sorpreso Gary!» «Quinn non è Gary, non è una vittima, è più probabile che...» Logan si avvicinò alla macchina. «Figlio di puttana!» «Cosa?» «La testa! Quinn ha preso la testa!» «Perché?» Gesù, che domanda stupida, lo sapeva il perché. Joe voleva farla finita e, come al solito, aveva preso in mano le redini del gioco. «Pensa che ci sia Fiske.» «E io mi fido del suo istinto.» Logan si rivolse a Pilton. «Tu resta qui, io lo seguo. Se non torno fra... Dove diavolo vai, Eve?» Eve stava correndo verso il bosco. «Non lascerò che Fiske gli faccia del male! Non deve succedere!» Sentì Logan bestemmiare mentre le correva dietro. «Cosa credi di fare? Non sei mica un marine!» «Joe è lì per colpa mia! Credi che lo lascerò solo?» «E come pensi di...» Ormai non lo ascoltava più. S'infilò nel bosco, poi si fermò, ansimando. Non poteva chiamare Joe, avrebbe messo in allerta Fiske. Cominciò ad avanzare. Lentamente. Guardando le ombre. Logan era dietro di lei. «Per Dio, torna indietro, ci penserò io.» «Silenzio! Sto ascoltando! Dev'essere...» Logan aveva una pistola. Lui vide che Eve la fissava. «Devi essere contenta che ce l'abbia.» Era contenta, si accorse con sorpresa. Se quella pistola poteva salvare Joe, l'avrebbe usata lei stessa. Gary era morto perché era indifeso. Joe non doveva morire. Le foglie dei cespugli si mossero piano. Joe si buttò a sinistra, dietro un
albero. «Sei qui?» chiese. «Vieni a prendermi, Fiske.» I cespugli sussurravano. «Vuoi la testa? È qui.» Si inoltrò nel bosco. Dio, ricordava tutto: gli inseguimenti, le ricerche, le uccisioni. L'unica differenza era la luce; in genere le operazioni avvenivano di notte. «Vieni a prenderla.» Fiske era vicino... Joe sentiva un lievissimo odore. Da dove veniva? A destra, un po' indietro. Troppo poco. Troppo vicino. Ora l'odore era più vago, Joe poteva prendere tempo. Vieni, Fiske. Vieni nella mia casetta. Dove diavolo era il bastardo? si chiese Fiske, irritato. Sembrava di inseguire un fantasma. Si fermò dietro i cespugli, ascoltando, guardando tra gli alberi. Nessun suono. Maledizione, Quinn non faceva alcun rumore da dieci minuti. «Da questa parte.» Fiske guardò a sinistra. La valigia di pelle, ai piedi di una quercia, a una ventina di metri di distanza. Una trappola. Quinn lo credeva un idiota? Se si fosse avvicinato, gli avrebbe sparato all'istante. Ma dov'era? Scrutò il terreno intorno alla valigia. Gli era sembrato che la voce di Quinn venisse da quella parte, ma non poteva esserne sicuro. Un movimento impercettibile. Da quei cespugli a sinistra. Meglio aspettare. Per essere sicuro. Avvicinarsi. Se spari, pensò, saprà dove sei. Le foglie si stavano muovendo. Vide per un attimo una camicia di jeans. Poi scomparve. Eppure i cespugli si muovevano. Quinn si stava avvicinando. Fece un altro passo. Sollevò la pistola, aspettando un altro rumore a destra. Ma il fruscio venne da sinistra, molto a sinistra. Si voltò e puntò la pistola.
Logan. E la Duncan. Tese il dito sul grilletto. «No!» L'urlo venne da sopra di lui. Guardò in alto e vide Quinn saltargli addosso da un albero. Fiske si mosse di scatto e riuscì a sparare un colpo, prima che Quinn lo inchiodasse a terra. Un altro sparo. Bastardo! Aveva aspettato lassù, preparandosi a colpire. Cristo, l'avrebbe sopraffatto, se non fosse stato per Logan e la Duncan. Ma non aveva vinto. Aveva vinto lui, come sempre. Sentiva il sangue caldo di Quinn sul suo petto. Ma quel corpo che lo bloccava a terra sembrava ormai senza vita. Un altro nome da cancellare dalla lista. Doveva però scrollarselo di dosso. Logan stava arrivando di corsa, e lui tentò di liberare la mano che teneva la pistola. Perché non riusciva a muoversi? Dolore. Il petto. Non solo il sangue di Quinn, ma il suo. Il secondo sparo. Aveva perso, aveva perso, aveva perso, aveva perso. Arriva il buio. Arriva l'orrore. Urlò. Fiske era già morto quando Logan sollevò il corpo di Joe. Madre di Dio... Eve cadde in ginocchio accanto a Joe. Il suo petto... sangue. «È vivo?» chiese Logan. Eve sentì un battito impercettibile sulla tempia. «Sì. Chiama un'ambulanza, presto!» Quasi non si accorse che Logan aveva preso il telefono dalla tasca e si era allontanato. Fissava il volto di Joe. «Non morire! Mi hai sentito, Joe? Non lo accetterò mai.» Gli sollevò la maglietta. Dov'era la camicia di jeans che aveva prima? si chiese. Doveva fare pressione sulla ferita. Joe aprì gli occhi. «Fiske?» «È morto.» Mise la mano sulla ferita e premette forte. «Non avresti dovuto farlo.» «Dovevo... ucciderlo.» «Non m'importa che tu lo abbia ucciso. Ma non avresti dovuto rischia-
re... Chi ti ha chiesto di farlo? Siete tutti uguali. Gary, Logan, e tu. Pensate di salvare... Non chiudere gli occhi! Non te ne andrai!» Lui tentò di sorridere. «Lo... spero...» «Come sta?» Logan si inginocchiò accanto a lei e le diede una camicia blu, la camicia di Joe. «Ti può servire? L'ho trovata tra i cespugli. Deve averla lasciata lì.» Eve strappò una striscia di tessuto e improvvisò una fasciatura. «Hai chiamato l'ambulanza?» «Sì, arriveranno subito. Ma noi non dovremmo restare qui: non ho detto che è stata una sparatoria, ma i medici chiameranno subito la polizia, quando vedranno Quinn e Fiske.» «Vai via...» lo interruppe Joe. «Non mi puoi aiutare, Eve.» «Non ti lascerò! Questa volta non hai la forza di tirarmi un pugno.» «Rimani... nascosta. Pilton...» Perse conoscenza. «Mio Dio...» Eve chiuse gli occhi. «È grave, Logan.» «Non è ancora morto.» Logan andò a inginocchiarsi accanto a Fiske. «Io torno alla villa e dico a Pilton di parlare con i medici. Quando sentiremo le sirene, farò venire qui Margaret a stare con Joe. Ma tu devi sparire. È la cosa migliore.» Logan frugò nelle tasche di Fiske. «Cosa fai?» «Gli tolgo i documenti. Più sarà difficile per le autorità identificarlo, più tempo avremo prima che Lisa Chadbourne trovi qualcuno che lo sostituisca.» Prese le chiavi di una macchina, insieme al portachiavi di una società di autonoleggio, e il portafogli. Guardò la patente e le carte di credito. «Anche se ha già fatto un buon lavoro. Roy Smythe...» Si mise in tasca il portafogli. «Dopo che ce ne saremo andati, Margaret e Pilton cercheranno la macchina, la ripuliranno, e poi spariranno anche loro.» Eve non riusciva a pensare alle precauzioni da prendere. «Andrò con Joe in ospedale.» «No, ma lo seguiremo.» Alzò una mano per interrompere le sue proteste. «Non discutere. Se non rimani nell'ombra, verrai arrestata e sbattuta in prigione... se non ti avranno già sparato.» Si alzò. «In entrambi i casi, non potresti sederti accanto al suo letto e offrirgli tè e cioccolatini.» «Ti ha salvato la vita, figlio di puttana!» «E chi gli ha chiesto di farlo? Sono stanco del grande Quinn che...» Afferrò la valigia con il teschio e si avviò rapidamente verso la villa. Che cosa gli aveva preso? Non aveva il diritto di essere arrabbiato con Joe. Sembrava che...
La ferita sanguinava abbondantemente. Lei premette più forte. Non provare a morire. Portarono Joe al pronto soccorso del Gwinnett General Hospital, a trenta chilometri dal lago. Logan, Sandra ed Eve seguirono l'ambulanza nella macchina di Logan. «Vado a vedere come sta.» Sandra scese dalla macchina. «Parcheggi lontano da occhi indiscreti. Tornerò non appena avrò saputo qualcosa.» «Posso...» «Zitta, Eve», disse Sandra con tono severo. «Mi sono fatta spingere, trascinare e mettere da parte per giorni. Joe è anche amico mio, e sono preoccupata per lui. Inoltre, non sarebbe contento se ti lasciassi entrare e ti riconoscessero.» Sparì dietro la porta a vetri del pronto soccorso. «Sembra che non ci sia altro da fare.» Logan si allontanò e parcheggiò tra due camion che nascosero la Taurus. «Immagino che dovremo aspettare un po'.» «Sì. Ma devo fare un'altra cosa.» Prese il telefono e fece il numero di Joe. «Diane, sono Eve. Devo dirti una cosa. Joe è...» Le parole le morirono in gola. «Joe è ferito.» «Mio Dio!» «È... grave. È al Gwinnett General Hospital. Faresti meglio a venire.» «Quanto grave?» «Non lo so, gli hanno sparato, è al pronto soccorso.» «Maledetta!» Diane sbatté giù il telefono. «Dare cattive notizie non è mai piacevole», disse calmo Logan. «Sembrava che mi odiasse... E chi può biasimarla? È colpa mia. Non avrei mai dovuto lasciare che Joe...» «Non mi sembra che ti abbia mai chiesto il permesso, non credo che saresti riuscita a fermarlo.» «Lo conosco! Ho visto la sua faccia prima che entrassimo nella villa. Avrei dovuto capire quel che aveva in mente.» «Posso farti notare che eri un po' sconvolta?» «No.» Poggiò la testa al finestrino. «Sta morendo, Logan...» sussurrò. «Non è detto.» «Io lo so. Io... lo amo, sai.» Lui guardò fuori. «Davvero?» «Sì. Per me è come il padre e il fratello che non ho mai avuto. Non so
come sarebbe la mia vita senza Joe. Strano, non ci avevo mai pensato prima. Era sempre con me, pensavo che lo sarebbe sempre stato.» «Non è ancora morto.» Se Joe morisse, raggiungerebbe Bonnie? «Smettila di piangere!» disse Logan con voce commossa, mentre l'abbracciava. «Andrà tutto bene.» La cullò. «Lascia che ti aiuti.» La stava aiutando, con il suo calore, il suo conforto. Non poteva guarire la ferita, ma le faceva sentire la sua presenza e allontanava la solitudine. Per il momento, questo le bastava. Ventuno Sandra tornò due ore dopo, cupa in volto. Eve si irrigidì. «Joe?» «Non va per niente bene, non sanno se ce la farà.» Entrò in macchina. «L'hanno operato e portato in rianimazione.» «Voglio vederlo.» «Impossibile, sono ammessi solo i parenti stretti.» «Non è giusto, lui mi vorrebbe con sé! Devo...» Non importava che cosa volesse lei, ma ciò di cui aveva bisogno Joe. «C'è Diane?» «È arrivata quando l'hanno portato fuori della sala operatoria. È stata glaciale, quasi gli avessi sparato io.» «È furiosa con me, e tu sei mia madre. Probabilmente penserà che è anche colpa tua perché mi hai messa al mondo.» «Può darsi... Pensavo di esserle simpatica, ci siamo viste per un caffè solo poche settimane fa. Pensavo che entrambe le piacessimo.» «È solo sconvolta, cambierà quando Joe starà meglio.» E se fosse morto? «Quando sapranno dire qualcosa?» «Forse domani.» Sandra esitò. «Ma non posso tornare lì dentro, Eve, è arrivato un poliziotto proprio nel momento in cui uscivo, a chiedere di Joe.» Certo. Joe era uno sbirro, e gli sbirri si aiutano tra loro; l'ospedale si sarebbe subito riempito di poliziotti. Logan accese il motore. «Allora dobbiamo filarcela subito.» «E dove andiamo?» chiese Sandra. «Ho detto a Margaret e a Pilton che ci saremmo visti in quel ristorante vicino Emory dove abbiamo incontrato Quinn.» Logan uscì dal parcheggio. «Margaret la porterà a Sanibel e proverà a farle lasciare il paese.»
«No!» disse Sandra. «È l'unica cosa sicura, mamma, devi farlo.» «Non devo fare proprio niente! E chi dice che sia la cosa più sicura? Tu? Logan? Nessuno dei due è stato troppo bravo nel tenersi al sicuro, e Joe è in ospedale. Perché dovrei credere che andrà meglio nel mio caso?» Eve si sentì prendere dal panico. «Mamma, per favore, fai come diciamo noi...» «Assurdo!» Sandra la guardò negli occhi. «Ho fatto tutto quello che mi avete detto tu e Margaret, mi avete trattato tutti come una bambina scema. Basta, Eve.» «Voglio che tu sia al sicuro.» «Anch'io lo desidero.» Si voltò verso Logan. «Mi porta al residence Peachtree Arms? Appena fuori da Piedmont.» Eve conosceva quell'indirizzo. «Vai da Ron?» «Sicuro, volevo farlo fin dall'inizio.» «Pensi davvero che ti nasconderà?» «Devo scoprirlo, no? Forse parleremo dell'accaduto e decideremo se devo presentarmi come testimone dell'aggressione a Joe, e farmi arrestare. Qualsiasi cosa faccia, deciderò io. Adesso si muova, o mi faccia scendere dalla macchina.» Logan esitò, poi premette sull'acceleratore. «Potrebbe essere un errore, Sandra.» «Non sarebbe il primo, diavolo, li ho fatti tutti nella vita. Eve, non potrò andare in ospedale, ma ti chiamerò varie volte al giorno e ti farò sapere di Joe.» «Mamma, non rischiare! Non potrei mai perdonare me stessa se ti succedesse qualcosa.» «Non parlarmi così! Sei mia figlia, non mia madre. Occupati di te stessa. Alla mia persona ci penserò io. E non c'è nulla di cui sentirsi in colpa. Non sarò un'altra Bonnie, dannazione!» Eve sgranò gli occhi. «Oh, merda, non guardarmi così!» Sandra le toccò la spalla. «Lasciami andare, Eve. Lasciala andare.» «Non stiamo parlando di Bonnie.» «Invece sì, è qui ogni momento della giornata, è dietro tutte le tue parole e azioni.» «Non è vero...» «Non devi dimenticarla per lasciarla andare, piccola. Devi solo fare en-
trare un po' di luce nella tua vita, sei immersa nel buio più profondo.» «Sto... bene, e tutto si risolverà quando questa storia sarà finita.» «Davvero?» «Mamma, non è il momento.» «Va bene, so che stai male. Ma non rovinarmi la vita, Eve. Ho già speso troppo tempo a imparare a non farlo da sola.» «Siamo a Piedmont», disse Logan. «Giri l'angolo.» «E se Ron non c'è?» chiese Eve. «Ho le chiavi», sorrise Sandra. «Dal nostro terzo appuntamento. Sì, non te l'ho mai detto. Capisci, allora, quanto mi intimidivi?» «Non ho mai provato a...» «Lo so.» Logan si fermò davanti al residence. Sandra scese dalla macchina e prese la valigia. «Chiamerò l'ospedale ogni tre ore; se non ti telefono, vuole dire che le sue condizioni rimangono stazionarie.» «Stai attenta, non mi piace pensare che stai rischiando tanto.» «Io invece mi sento sollevata se posso fare qualcosa. Mi sembrava di essere una pedina, sballottata qua e là da te e Logan e perfino da quel tizio, Fiske. È ora di riprendere il controllo della situazione.» Eve guardò attonita sua madre che entrava nel residence. «La fenice rinasce dalle fiamme?» mormorò Logan. «Sta sbagliando... sono terrorizzata.» «Forse no, Ron potrebbe essere un brav'uomo e farà tutto il possibile per proteggerla.» «Contro Lisa Chadbourne? Contro Timwick?» «Be', Fiske è fuori combattimento, la nostra cara First Lady dovrà cercare un altro killer, e ci vorrà del tempo... Specie se non scopre subito che Quinn lo ha eliminato.» «Non tanto tempo.» «Non puoi farci niente. Tua madre ha deciso, Eve, e non puoi proteggerla se non vuole.» «Non capisce. Gary e Joe... Non capisce cosa può succedere.» «Secondo me lo capisce benissimo. Ha visto portare via Joe in ambulanza, e non è stupida.» «Non ho detto che è stupida.» «Allora perché la tratti come se lo fosse?» «Voglio solo proteggerla, non voglio perderla.» «Come hai perso Bonnie?»
«Zitto, Logan.» «Non dico più niente, l'ha già fatto Sandra.» Si diresse verso lo svincolo dell'autostrada. «Ma io, al posto tuo, ripenserei alle cose che ha detto. È una donna intelligente, ma non sapevo tanto.» «Dove andiamo?» «Da Margaret, per dirle di lasciare la città. Immagino che non riuscirò a convincerti a seguirla.» La paura si tramutò improvvisamente in rabbia. «E tu andresti via? Perché non ci sali tu, su quella nave per Timbuctú? Perché non dimentichi Gil?» Le parole uscivano a raffica, cariche della rabbia che le cresceva dentro. «Perché non lasci perdere Ben Chadbourne? Scappa via, al diavolo il mondo.» «Non mordere, era solo un suggerimento, non pensavo che...» «Un suggerimento idiota. Non lascerò Joe e la mamma, sono stanca di correre, nascondermi, avere paura. Sono stanca di vedere che fanno del male alle persone che amo, sono stanca di non poter fare niente. Molto tempo fa ho giurato che non sarei stata mai più una vittima, invece sta succedendo ancora. Lei lo sta facendo accadere di nuovo.» La voce le tremava per l'impeto. «Non lo sopporto! Hai capito? Non lascerò che...» «Ho capito. Parli forte e chiaro, ma non so bene come diavolo potremmo fermarla.» Non lo sapeva nemmeno Eve. Poi ricordò le parole di sua madre, quelle parole che l'avevano toccata profondamente e avevano fatto esplodere la sua rabbia. «È ora di riprendere il controllo della situazione», le aveva detto. Era invece Lisa Chadbourne ad avere il controllo, ad attaccare. Aveva ucciso Gary, forse anche Joe. Ma sua madre era viva, Eve era viva, e anche Logan. E tali sarebbero rimasti. Niente più morti, aveva pregato. Ora non pregava più. Stava riprendendo il controllo. Margaret uscì dal furgone, mentre Pilton rimase seduto. «Come sta Quinn?» «Non lo sappiamo, prognosi riservata», rispose Logan. «Mi dispiace», disse Margaret a Eve. «Tu stai bene?» «Sì».
«Come sta Sandra? Lei gli voleva molto bene, vero?» «Sì.» Gli occhi le bruciavano. Doveva cambiare argomento, non pensare a Joe. «Non viene con voi, vuole restare qui.» «Credi che sia una buona idea?», chiese Margaret. «No, ma lo crede lei, e non mi vuole ascoltare.» «Forse potrei parlarle io...» «Non ascolta più nessuno», disse Logan. «Adesso tu e Pilton sparite.» «Pilton merita un aumento, sai», gli fece notare Margaret. «Quando ha iniziato questo lavoro non sapeva che sarebbe diventato un fuggitivo; sarà ricercato dalla polizia.» «Allora dagli un aumento.» «Un bell'aumento, è stato un bravo...» «Dov'è la macchina di Fiske?» chiese improvvisamente Eve. «L'avete trovata?» «L'ha trovata Pilton, era davanti a una villetta vuota, a un paio di chilometri dalla nostra casa.» «L'avete ripulita?» «A specchio. Abbiamo messo in sacchi della spazzatura tutto quello che c'era nell'abitacolo e nel cofano, poi ho portato la macchina al parcheggio dell'aeroporto e l'ho lasciata lì.» «Dove sono i sacchi?» «Nel furgone.» Eve si avvicinò al furgone. «Prendili, Logan.» Margaret li guardò gettare i sacchi sul sedile posteriore della loro macchina. «Credi che avesse qualcosa d'importante?» «Non lo so. Probabilmente no, era un professionista, e non abbiamo altre tracce.» «Attenta con quello più pieno, Fiske aveva abbastanza armi da sferrare una guerra», disse Margaret rientrando nel furgone. «Un fucile, due pistole, bombe a mano, strani aggeggi elettronici. Non era uno che viaggia leggero.» Sorrise con tristezza. «Buona fortuna. Cerca di restare vivo, John, perché l'aumento che ti chiederò per questo pasticcio farà impallidire quello di Pilton.» Quando il furgone si allontanò, Eve salì sul sedile posteriore della macchina. «Guardo nei sacchi, tu guida.» Aprì quello più grande. Che cosa ne sapeva, lei, di armi? Che le odiava, che le facevano paura, che rappresentavano solo violenza e orrore. Ma non avevano spaventato Fiske, che le aveva usate. Non spaventava-
no Lisa Chadbourne, che aveva ordinato di usarle. Eve toccò la canna del fucile. Il metallo era caldo, liscio, quasi piacevole sotto le dita. Strano, aveva sempre pensato che fosse freddo. «Trovato niente?» Niente che desiderasse davvero trovare. «Non ancora.» «Naturalmente, non riusciremo mai a fare risalire queste armi a Lisa Chadbourne.» «Lo so.» Lisa non avrebbe mai lasciato una traccia che potesse portare a lei. La ricerca di Eve era probabilmente inutile. Perdere la speranza significava ammettere la sconfitta, e lei non l'avrebbe mai persa. Mise da parte il primo sacco e iniziò con il secondo. Documenti dell'autonoleggio in una cartellina verde, un biglietto di prima classe per Washington, un orario dei voli, qualche scontrino di ristoranti, due ad Atlanta, uno a Bainbridge. Bainbridge. No, non doveva pensare a Bainbridge. Alla stanza in cui era morto Gary. Un foglietto ripiegato. Un altro scontrino? Aprendolo si irrigidì. Una lista di nomi, qualcuno scritto a macchina, qualcuno a mano. Eve Duncan, John Logan, Joe Quinn, Sandra Duncan... E altri due nomi che le fecero sbarrare gli occhi. Mio Dio. Si sforzò di continuare a leggere. Gary Kessler. Cancellato accuratamente. Guardò il nome di Kessler. Era solo un nome sulla lista. Gil aveva detto che Fiske era ossessionato dall'ordine e dall'efficienza: uccidi un uomo e cancellalo dalla lista. «Cos'è?» Logan la guardava dallo specchietto retrovisore. «Una lista. Il nome di Gary.» Ripiegò il foglietto e lo mise nella borsa, lo avrebbe guardato dopo, ci avrebbe pensato più tardi. Ora faceva troppo male. Sfogliò le altre carte: niente di interessante. «Trova un posto dove fermarci.» «Un motel?» «No, ci staranno cercando proprio in questa zona. Lisa si chiederà perché Fiske non la chiama, e indagherà con discrezione. Scopriranno di Joe.» Joe.
Sì, non doveva pensare a lui in ospedale. Non riusciva a concentrarsi su niente. «Lo sai che dovremmo allontanarci.» «No, Joe potrebbe avere bisogno di me.» «Non ragioni. Non puoi nemmeno andare...» «Non m'importa!» Non poteva lasciarlo, non sapeva se sarebbe sopravvissuto. «Trova un posto per fermarci, devo riflettere un po'.» «Sto già pensando, dovremmo contattare Peter Brown, quel giornalista di Atlanta.» «Forse.» Si strofinò le tempie indolenzite. «Ma è amico di Joe, e abbiamo bisogno che Joe...» Di nuovo lui. Avevano bisogno di Joe. Lei ne aveva bisogno. I ricordi l'assalirono. Joe che passava al laboratorio per rimproverarla perché lavorava troppo. Joe che scherzava con lei, Joe che parlava serenamente e... «Rilassati», disse Logan. «Non dobbiamo decidere niente proprio adesso. Andrò avanti per un po'. Per cercare un luogo dove parcheggiare.» Logan si fermò a un McDonald's a una decina di chilometri a sud di Gainesville e comprò panini e Coca-Cola. Uscì dall'autostrada e percorse circa cinque chilometri di una strada sterrata e sconnessa, fino a fermarsi accanto a un laghetto. «Dovrebbe essere abbastanza appartato.» Spense il motore. «Anche se c'è di sicuro qualche fattoria al di là della collina; non è facile trovare posti deserti, di questi tempi.» «Quanto siamo lontani dall'ospedale?» «Quaranta minuti, guidando veloce.» Logan scese dalla macchina, prese la valigia con la testa di Ben e aprì la portiera dalla parte di Eve. «Su, facciamo una passeggiata sulla riva, abbiamo entrambi bisogno di sgranchirci le gambe.» Qualsiasi cosa, per eliminare un po' di tensione. Eve prese la borsa e lo seguì. Il laghetto era torbido, e le rive scivolose; doveva avere piovuto da poco. Il sole iniziava a tramontare, creando scintillanti giochi di luce sull'acqua. Dopo mezz'ora Logan chiese: «Meglio?» «No. Sì.» Si fermò accanto a un albero e posò la guancia sul tronco. «Non lo so.» «Voglio aiutarti, maledizione, dimmi come posso farlo.»
Fa' tornare Gary, pensava Eve. Dimmi che Joe guarirà. «Quinn non è l'unico che può aiutarti, lascia che provi anch'io.» Eve si accucciò per terra. «Starò bene, Logan. Devo solo pensare alla soluzione. So che ce n'è una, dev'essere chiara nella mia testa, ma in questo momento sono confusa.» «Hai fame?» «No.» «Dovresti, non mangi da quasi ventiquattr'ore.» Bubba Blue Barbecue. Gary aveva ordinato da mangiare... «Resta qui.» Posò la valigia accanto a lei. «Vado a prenderti i panini.» Lo guardò risalire la scarpata. Doveva calmarsi, pensò con un moto di disgusto. Si stava comportando come una bambinetta, e lui era preoccupato. La sconvolgeva il freddo calcolo che aveva intravisto aprendo quella lista, e ci voleva un po' di tempo per... Squillò il telefono. Sua madre? Frugò freneticamente nella borsetta. «Eve?» Lisa Chadbourne. Eve iniziò a tremare. «Maledetta! Vai all'inferno!» «Non mi hai dato scelta, io ho provato a offrirti una via d'uscita.» «E poi hai ucciso Gary.» «Fiske ha ucciso... No, non posso negarlo, gliel'ho detto io.» «E gli hai detto anche di uccidere Joe?» «No, non era nei miei piani immediati.» Ma non aveva negato che potesse averlo in mente. «Sta morendo.» «E immagino che il cadavere trovato accanto a lui sia quello di Fiske?» «Ha cercato di uccidere Joe.» «E non c'è riuscito. Mi hanno detto che Quinn potrebbe salvarsi.» «Sarebbe meglio.» «Mi stai minacciando? Posso capire la tua amarezza, ma non hai capito che non puoi vincere? Quanti altri devono morire, Eve?» «Non hai più Fiske.» «Timwick troverà chi può sostituirlo. Quinn è molto vulnerabile, adesso, è ancora in rianimazione, vero?» La rabbia travolse Eve. «Non pensarci nemmeno!» «Non ci voglio pensare», disse stancamente Lisa. «L'idea mi disgusta, ma lo farò, Eve, esattamente come ho fatto uccidere Kessler. Esattamente
come ucciderò tutti quelli che ti sono cari. Devi darmi quella testa e i risultati del DNA.» «Va' all'inferno!» «Ascoltami, Eve, pensaci. Ne vale la pena?» «Mi stai dicendo che se ti do il teschio Joe vivrà?» «Sì.» «Bugiarda! Joe non sarebbe al sicuro. Mio Dio, hai perfino ucciso Scott Maren, era un tuo amico!» Silenzio. «Non l'ho deciso io, non ne sapevo niente. Timwick era in preda al panico, e ha colpito alla cieca. Farò in modo che Quinn sia al sicuro.» «Non ti credo.» «Che altro vorresti, Eve? Cosa posso darti?» «Voglio farti destituire.» Chiuse gli occhi e disse le parole che credeva non avrebbe mai detto a nessuno. «Ti voglio morta.» «Temo che non sia nelle tue possibilità.» «È l'unica cosa che voglio.» «Non è vero.» Lisa fece una pausa. «Temevo un fallimento di Fiske, quindi mi sono chiesta cosa potresti volere, e m'è venuto in mente. È così semplice. So che cosa desideri, ancora più di un mio crollo.» «Non c'è nulla che...» «Invece c'è, Eve.» Quando Logan tornò, Eve fissava ancora il telefono. Si fermò a un metro di distanza, scrutandola in volto. «Era tua madre? Come sta Quinn?» «Era Lisa Chadbourne.» John si irrigidì. «E allora?» «Vuole il teschio.» «Che novità, e basta questo per sconvolgerti?» «Sì.» Rimise il telefono nella borsetta. «Basta.» «Ti ha minacciata?» «Ha minacciato Joe e la mamma.» «Che simpatica!» «Ma non sono sicura che potrebbe garantire la loro incolumità, anche se accettassi. Ha detto che Timwick è in preda al panico, e che lei non è riuscita più a controllarlo da quando ha ucciso Maren. Potrebbe perdere di nuovo il controllo su di lui.» «Non avrebbe mai dovuto perderlo, lei stessa avrebbe dovuto impartirgli
gli ordini.» «Forse. Non lo so. Non riesco a pensare.» «Se accettassi...» Logan finalmente capiva quella frase di Eve. «Mio Dio, ci stai davvero pensando! Cosa diavolo ti ha detto?» Lei non rispose. Lui le si inginocchiò accanto. «Dimmi.» «Sono confusa, forse dopo.» «Forse?» Eve cambiò argomento. «Voglio che chiami l'ospedale.» «Per chiedere di Quinn? Tua madre ha detto che...» «No, voglio che chiami e dica che vuoi uccidere Joe.» «Cosa?» «Sì, devi essere osceno, violento, esplicito. Voglio che tu dica che vuoi travestirti da dottore e intrufolarti nella stanza di Joe per staccare la spina. O fargli un'iniezione dalla quale non si svegli mai più. Devi apparire un pazzo pericoloso.» «Capisco. Riferiranno ai poliziotti che girano per l'ospedale. La telefonata anonima li metterà in allarme.» «Lo farei io stessa. Ma un uomo sembra più pericoloso.» «Le apparenze possono ingannare. Telefono subito... Ma cosa stai facendo?» Eve allungò la mano per prendere la valigia con la testa di Ben. «Voglio solo tenerla in braccio.» «Perché?» «Non scapperò via con la testa, voglio solo tenerla qui.» A John non piaceva per niente quella storia, né il comportamento di Eve. «Forse dovremmo pensare ad andarcene da qui, ci serve un posto dove dormire.» «Va bene, più tardi torniamo a Gainesville.» Guardò la valigia che teneva in grembo. «Telefona.» Sandra chiamò Eve alle undici di sera. «Le funzioni vitali di Joe si sono stabilizzate, è ancora grave ma sta migliorando.» Eve sentì rinascere la speranza. «Quando potranno esserne sicuri?» «Non lo so, forse domattina. Tu come stai?» «Bene, mamma.» «Non mi sembra.» «Sto bene. Sei con Ron?»
«Sì, è qui con me, e dice che non si allontanerà neanche di un metro finché non sarà finita. È dell'opinione che dovresti venire qui e parlare con la polizia. Sì, devi risolvere questo pasticcio.» Sembrava tutto così facile, pensò Eve stanca. Affidare tutto nelle mani della polizia e lasciare che provvedano loro. «Richiamami quando saprai qualcosa di più su Joe. Abbi cura di te, mamma.» «Quinn sta meglio?» chiese Logan. «Sì, ma non è ancora fuori pericolo.» Aprì la portiera della macchina. «Vado a fare una passeggiata sul lago. Non è necessario che tu mi segua.» «In altre parole, la mia compagnia non è gradita.» Guardò la valigia. «Ma quella del tuo amico teschio lo è. È tutta la sera che non lo molli. Mi dirai perché ti porti appresso quella cosa.» Neanche Eve lo sapeva. Forse pensava che Ben le avrebbe dato una soluzione. Le serviva proprio. «Voglio solo tenerla con me.» «Strano.» «Sì, ma non te l'hanno detto? Non ho tutte le rotelle a posto.» «Stupidaggini, sei una delle persone più assennate che io conosca.» «Guarda un po' che gente strana frequenti.» Scendeva lungo la collinetta illuminata dalla luna. Sotto le dita, sentiva la pelle liscia della valigia. «Aiutami, Ben», quasi implorava. «Mi sono persa, ora ho bisogno di qualcuno che ritrovi me.» Eve sedeva sotto quell'albero da più di due ore. Stringeva la valigia come fosse un bambino. John non poteva più sopportarlo. Scese dalla macchina e si avviò giù per la collinetta. «Sono stufo di essere paziente e comprensivo, adesso mi dici cosa sta succedendo! Hai sentito? Cosa diavolo ti ha detto Lisa Chadbourne?» Eve non parlò per un attimo, poi sussurrò: «Bonnie». «Cosa?» «Mi ha offerto Bonnie. Si è offerta di ritrovare Bonnie.» «Come potrebbe?» «Ha promesso che farà riaprire il caso, che manderà un esercito di poliziotti e militari a indagare e a cercare. Ha detto che ci stava già pensando. Non dovrebbe sembrare una ricerca di Bonnie, creerebbe troppi sospetti. L'idea è quella di dire ai media che stanno cercando un altro bambino, mentre i detective seguirebbero i suoi ordini, e in realtà cercherebbero mia figlia.»
«Mio Dio...» «Ha detto che ci vorranno anni, ma mi ha promesso di portare a casa Bonnie.» «E tu dovresti darle il teschio e i risultati del DNA? È un inganno. Non lo farebbe mai.» «Solo il teschio. Ha detto che posso lasciare il paese e tenere con me i risultali del DNA fino a quando la bambina non sarà trovata.» «Una garanzia piuttosto debole.» Eve chiuse gli occhi. «Bonnie.» «Non manterrebbe la promessa.» «Forse sì.» «Non te lo permetterò.» Eve sgranò gli occhi e disse con tono aspro: «Ascoltami, Logan. Se decido di farlo, né tu né nessun altro potrà fermarmi. Passerò sul tuo cadavere. Se c'è qualcuno che ha il potere di trovare Bonnie è Lisa Chadbourne. Non capisci cosa vuol dire per me?» «Sì», disse lui bruscamente. «E lo sa anche lei. Non farti sfruttare così.» «Non capisci.» Lui capiva, e soffriva per lei. Lisa Chadbourne aveva usato l'unico richiamo cui Eve non poteva resistere. «Quando devi darle la risposta?» «Mi chiamerà domattina alle sette.» «Sarebbe un terribile sbaglio.» «Ha detto che Joe e la mamma saranno al sicuro, e che i delitti finiranno. Proverà perfino a convincere Timwick a non darti più la caccia.» «Come no. Saresti matta a crederle.» «Penso davvero che non voglia più morti. Non so se riuscirà a fermarlo, ma penso che anche lei desideri che tutto questo finisca.» «Quando ti chiama, voglio parlarle.» «No.» «Pensavo che fossimo in questo pasticcio insieme.» «Insieme? Hai già detto che proverai a impedirmelo.» «Perché so che è un errore.» «È un errore lasciare Bonnie lì fuori, da sola.» «Eve, la posta in gioco è troppo alta per...» «Zitto, Logan.» Aveva la voce strozzata. «Lasciami sola a pensare. Non mi convincerai, so come ribattere.» Ma Eve voleva farlo con tutte le sue forze, pensò Logan. Che in quel momento desiderò strangolare Lisa Chadbourne.
«Va bene, non proverò a persuaderti adesso, ma pensaci.» Si alzò. «E ricorda Kessler e Joe Quinn.» «Non riesco a pensare ad altro.» «Non è vero, non credo che tu riesca a pensare a nessuno che non sia Bonnie. Ma considera...» Lei non lo ascoltava più. Guardava la valigia, ma probabilmente non vedeva più neanche quella. Sentiva solo il canto della sirena: Lisa Chadbourne. E vedeva solo Bonnie. Ventidue Lisa Chadbourne chiamò alle sette in punto. «Allora?» «Lo farò.» «Sono contenta. Credimi, è la cosa migliore per tutti.» «Non m'importa degli altri, altrimenti non tratterei con te. Ascolta. Voglio che sistemi me e mia madre da qualche parte all'estero, come hai promesso. Voglio che i tuoi cani da caccia non inseguano più Logan, e voglio che lasci in pace Joe Quinn.» «E vuoi Bonnie.» «Oh, sì.» Le tremava la voce. «Devi trovarla e riportarmela. Su questo non transigo.» «La troverò, Eve, te lo prometto. Dirò a Timwick di venire a prendere la testa, e poi...» «No Non so quanto valga la tua promessa, sto già rischiando molto. Chi mi dice che non ti rimangerai la parola quando avrai il teschio?» «Tu avresti ancora i risultati del DNA, e sai che potrebbero causarmi molti fastidi.» «Ma forse non abbastanza, senza la testa.» «Allora cosa chiedi?» «Non te lo chiedo, è un ordine. Voglio vederti. Voglio che venga tu a prendere la testa.» «È impossibile.» «È l'unico modo perché io accetti.» «Ascolta, una donna della mia posizione non può andare in giro liberamente, mi chiedi una cosa impossibile.» «Non mentire. Una donna che può uccidere suo marito e farla franca può trovare un modo per incontrarmi. Io rischio la vita, e per sopravvivere de-
vo usare le risorse di cui dispongo. Non ho molte armi, ma sono un'artista. Ho studiato le espressioni facciali, e ti ho osservato a lungo. Penso di potere capire se intendi mantenere la parola.» Una pausa. «Porterai il teschio con te?» «Lo nasconderò nelle vicinanze, ma ti garantisco che non riuscirai a trovarlo, se mi tendi una trappola.» «E se invece la trappola me la tendi tu?» «Prendi tutte le precauzioni che vuoi, purché non siano un pericolo per me.» «E dove dovremmo incontrarci?» «Da qualche parte vicino Camp David, per te sarebbe facile andarci per il fine settimana, specie ora che si deve supporre voglia riprenderti dalla perdita del tuo amico Scott Maren. Di' solo al pilota che vuoi andare a Camp David e poi fallo atterrare prima di arrivarci.» «Sembra un piano plausibile. E Logan?» «Lui è fuori da questa storia. Ho preso la testa e i documenti e l'ho lasciato durante la notte. Mi ha detto che sono pazza, che mi tradirai.» «E tu non gli dai retta?» «Forse ha ragione, ma devo farlo comunque. Sapevi che l'avrei fatto, no?» Silenzio all'altro capo del telefono. «Questo incontro non è una buona idea, sarebbe più sicuro se tu lasciassi la testa in un posto dove Timwick possa venire a prenderla.» «Più sicuro per te.» «Più sicuro per entrambe.» «No, voglio vederti in faccia quando mi dirai che ritroverai Bonnie. Hai detto troppe bugie, e io devo fare tutto il possibile per essere sicura che non mi stai ingannando.» «Credimi, non è una buona idea.» «Prendere o lasciare.» «Dammi un attimo per pensarci.» Un altro silenzio. «Va bene, vediamoci. Ma come puoi immaginare, porterò con me Timwick.» «No.» «Timwick sa pilotare gli elicotteri, ed è nei Servizi Segreti, il che vuole dire che posso fare a meno sia della mia guardia del corpo sia del pilota senza creare sospetti. E ha strumenti con cui rilevare se tu, o la zona, siete sotto controllo. Devo proteggermi.» «E chi mi proteggerà da lui?»
«Manderò via Timwick non appena mi sarò accertata che non mi hai teso una trappola. Senza di lui non vengo, Eve.» Lei si arrese. «Va bene, ma nessun altro. Se vedo qualcun altro, non verrò all'incontro.» «Mi sembra giusto. Ora dimmi dove vuoi incontrarmi.» «Ti chiamerò quando sarai in volo per Camp David.» «La prudenza non è mai troppa. Quando devo partire?» «Domattina, alle otto precise.» «Molto bene. Ricorda che ci vuole mezz'ora per arrivare a Camp David dalla Casa Bianca... sempre che non riesca a convincerti a lasciare lì il teschio. Sarebbe davvero la soluzione migliore per entrambe.» «Ho detto di no.» «A domani, allora.» Lisa riagganciò. Eve spense il telefono. Era finita. Logan le aveva detto che era un terribile errore, ma stavolta era stata lei a sfidare la sorte. Le serviva un mezzo per arrivare a Washington prima di sera, e doveva fare un'ultima cosa prima di partire. Chiamò sua madre. «Come sta Joe?» «Ho appena parlato con l'ospedale, non è più in sala di rianimazione.» Finalmente si sentì sollevata. «Sta meglio? Vivrà?» «Ha ripreso conoscenza durante la notte. I dottori sono prudenti, ma le sue condizioni volgono al meglio.» «Voglio vederlo.» «Non fare la stupida, sai che non è possibile.» Ma la disperazione non era svanita. Chi poteva prevedere che cosa sarebbe successo a Camp David? Doveva vedere Joe. «Va bene, mi serve aiuto. Potresti noleggiare una macchina e venirmi a prendere?» «E la macchina di Logan?» «Ci siamo separati. Lo stanno cercando più di quanto non cerchino me, e probabilmente gli sparerebbero a vista.» «Sono contenta che non siate più insieme, non mi piaceva l'idea di voi due che...» «Mamma, non ho molto tempo! Sono nella toilette delle signore del parco di Gainesville! A quest'ora è deserto, ma non posso restare qui a lungo. Mi dispiace chiedertelo, ma verresti a prendermi?» «Arrivo.» La mamma stava arrivando. Avrebbe riportato Sandra al residence e poi sarebbe ripartita. Si sedette per terra, posò la borsa accanto alla testa di Ben e si appoggiò al muro di cemento. Respirava profondamente, provan-
do a rilassarsi. Stava facendo quello che doveva fare. Domani alle otto, pensò. Domani alle otto. Lisa si alzò e andò alla finestra. All'indomani avrebbe avuto la testa di Ben, e la minaccia più grave sarebbe finita. Poteva essere una trappola, ma l'istinto le diceva che aveva giocato l'unica carta alla quale Eve non poteva resistere. Quella donna era ossessionata dall'idea di ritrovare sua figlia, e lei aveva usato il suo tormento per metterla in ginocchio. Poteva sentirsi soddisfatta. Aveva trionfato. No. Se solo l'avesse convinta che non c'era bisogno di incontrarsi. Voleva davvero mantenere la parola. Davvero? si chiese. Pensava di conoscere se stessa, eppure non aveva mai immaginato di poter fare le cose che aveva fatto. Se solo Eve non le avesse chiesto di incontrarla. Il giorno seguente, 8.20 vicino al Catoctin Mountain Park L'elicottero arrivava da nord. Eve compose il numero. «Sono in una radura a un chilometro dall'autostrada 77, vicino Hunting Creek. Atterrate nella radura, vi raggiungerò.» «Dopo che avremo ispezionato l'area per accertarci che sia sicura», disse Lisa Chadbourne. «A Timwick piace la prudenza.» Era a Lisa che piaceva essere prudente, pensò Eve. Ma anche lei era stata prudente, assicurandosi che l'area tutt'intorno fosse deserta prima di chiamare. Guardò l'elicottero volare in circolo sulla radura, mentre stringeva i pugni per la tensione. «Una persona.» Timwick indicò la macchia a infrarossi sul visore a cristalli liquidi. «La prima fonte di calore più vicina è il ristorante sull'autostrada, a tre chilometri di distanza.» «Strumenti elettronici?» Timwick controllò un altro schermo. «Nessuno, nell'area intorno alla Duncan.»
«Sicuro?» «Certo, ne va anche della mia pelle!» Lisa provava una sensazione di malinconia nel guardare la macchia solitaria sullo schermo, Eve che se ne stava laggiù sola e indifesa. «Allora scendiamo e cerchiamo di salvarla, la pelle, James.» Lisa Chadbourne stava scendendo dall'elicottero. Eve aveva organizzato tutto, aveva deciso il luogo e l'ora, eppure le sembrava ancora strano che Lisa fosse davvero lì. La guardò saltare a terra. Era proprio come l'aveva vista in TV: bella, serena, luminosa. Be', che cosa si aspettava? Di cogliere i segni di una donna dissoluta e crudele? Lisa aveva ucciso suo marito eppure appariva sempre la stessa, in quei video. Perché mai la morte di qualcun altro avrebbe dovuto renderla diversa? Gary. Il sangue. I coltelli. L'orribile scena nella stanza del motel attraversò come un lampo la mente di Eve. Dovrebbe essere diverso. Dovrebbe... Ma perché perdere la calma? Si avvicinò all'elicottero. Lisa Chadbourne disse seccamente: «Ciao, Eve. James ha chiamato i servizi di sicurezza di Camp David e ha detto che siamo atterrati per controllare una luce sul pannello di controllo. Abbiamo al massimo dieci minuti. Se non decolliamo di nuovo tra dieci minuti, si allarmeranno e manderanno qualcuno». «Dieci minuti dovrebbero bastare.» «Non dire niente, Lisa!» Timwick scese dall'elicottero e si avvicinò a Eve. Eve fece un passo indietro, d'istinto. Lui aveva uno strumento simile ai metal detector manuali degli aeroporti. «Mani in alto.» «Hai detto che tutta l'area era sicura, James», disse Lisa. «Un po' di prudenza non fa mai male.» Passò lo strumento davanti al corpo di Eve. «Voltati.» «Non mi toccare!» Girò dietro di lei e le passò lo strumento dalla testa ai piedi. «Va bene, niente armi, niente fili.» «Devi scusare James, da un po' di tempo è molto nervoso. Temo che sia colpa tua e di Logan. James, ora lasciaci parlare.»
Timwick si mosse verso gli alberi. «No!» sbottò Eve. «Nessuno mi ha dato la possibilità di frugare lui con quel dannato aggeggio. Non voglio che si allontani.» Indicò un posto vicino all'elicottero. «Siediti.» «Cosa?» «Mi hai sentito. Siediti a gambe incrociate. In quella posizione ti ci vorrà più tempo per attaccarmi.» «È umiliante, Lisa.» «Fallo.» Lisa sembrava quasi sorridere. «Non sei indifesa come credevo, Eve.» Timwick si sedette e incrociò le gambe. «Contenta?» «No, prendi la pistola dalla tasca. Metti la sicura e getta via la pistola.» «Non ho una pistola!» «Getta la pistola», ripeté Eve. «Facciamola finita, James», disse Lisa. Timwick bestemmiò a mezza voce, estrasse la pistola, mise la sicura e la gettò dall'altra parte della radura. Eve si voltò verso Lisa. «Ora sono contenta.» «Hai sprecato del tempo prezioso.» Lisa guardò l'orologio. «Due minuti, per essere precisi.» «Ne valeva la pena, non mi fido di lui.» «Immagino che tu abbia il diritto di sospettare. Ora dammi la testa di Ben, Eve.» «Non ancora.» «Vuoi che ti dica che troverò la tua Bonnie?» La guardò dritto negli occhi. «Non posso esserne sicura, ma farò tutto il possibile per trovarla.» La voce era sincera. «Te lo prometto.» Oh Dio, Lisa stava dicendo la verità, pensò Eve. Bonnie sarebbe tornata a casa. «Il teschio, Eve, non ho molto tempo. Nell'elicottero ci sono soldi e documenti per te, e James ha preparato un aereo per portare te e tua madre all'estero. Dammi la testa, e noi torneremo sull'elicottero e spariremo dalla tua vita.» Avrebbe mai potuto dimenticare quei momenti e Lisa Chadbourne? «Il teschio.» «È lì, sotto gli alberi.» Eve si diresse ai margini della radura, guardando Timwick con sospetto, «Ti tengo d'occhio, Timwick.» Lisa la seguì. «James non interferirà, vuole quella testa quanto me.» «Ma dopo che te l'avrò data?»
Lisa non rispose. Una ruga profonda solcava la sua fronte. «Dov'è? L'hai sotterrata?» «No.» Si fermò e indicò la valigia di pelle, seminascosta da un cespuglio. «Eccola.» «In piena vista? Hai detto che non saremmo mai riusciti a ritrovarla.» «Un bluff. A che sarebbe servito sotterrarla o nasconderla? Avete detector di tutti i tipi.» «Credo, in questo caso, di averti sopravvalutata», disse Lisa ridendo. «Mio Dio, pensavo che avresti escogitato qualcosa di geniale...» Si fece seria. «Se è Ben. Ci hai già ingannati una volta.» «È Ben Chadbourne, guarda tu stessa.» Lisa prese la valigia. «Ho sentito che fai sculture meravigliose, potrò davvero riconoscere la somiglianza?» «Aprila.» Lisa fissò la valigia. «No, non voglio aprirla.» «Come vuoi, mi sorprende che tu corra questo rischio.» «No, non posso correrne...» Lisa si fece coraggio e aprì lentamente. «Vediamo se sei all'altezza della tua reput... Oh Dio!» Fece un passo indietro contro un albero, fissando il teschio annerito. «Cos'è...» «Mi dispiace, non è bello come ti aspettavi. A Gary Kessler piaceva sempre lavorare su un teschio ripulito della plastilina, quindi mi ha fatto distruggere ciò che avevo costruito. Ti ricordi di Gary, vero? Hai ordinato a Fiske di ucciderlo.» Lisa non poteva distogliere gli occhi dal teschio. «Ben?» sussurrò. «È così che diventa un uomo quando si brucia. La pelle si scioglie, e...» «Zitta!» Improvvisamente Lisa iniziò a piangere. «E vedi il foro slabbrato sul retro della testa? È successo quando gli è esploso il cervello. Quando il corpo viene cremato, il cervello inizia a bollire, e alla fine...» «Smettila, puttana!» «Ma la morte di Gary è stata diversa. Hai detto a Fiske di farmi capire che dovevo darti la testa di Ben. E hai aggiunto che volevi che crocifiggesse Gary.» «No! Ho detto solo di spaventarti tanto da farti arrendere. Dovevo darti una lezione. Era colpa tua, io volevo smettere. Ti avevo detto che sarebbe tutto finito se mi avessi dato la testa di Ben, ma non hai voluto.» Guardò il teschio. «Ben...» «Come l'hai ucciso?»
«Scott gli ha fatto un'iniezione... molto veloce. Per carità, non ha sofferto.» Tentò di rimanere calma. «È molto crudele farmi vedere questo teschio, Eve.» «Non parlarmi di crudeltà, hai fatto uccidere Gary e Gil, Joe è quasi morto.» «Ora sei soddisfatta? Cristo, non hai cuore. Provavo quasi dispiacere per te, invece.» «Vuoi dire perché pensavi di uccidermi? Perché non hai in programma di lasciarmi andare via da qui?» «Ti avevo detto che era meglio farci trovare la testa da qualche parte. Sapevo di non poterti lasciare in vita se mi avessi dato la possibilità di... è il mio lavoro.» Si voltò di scatto verso Timwick. «Andiamo via, James. Occupati di lei.» Timwick si alzò lentamente. «Vuoi che la uccida?» «No, non lo voglio, ma devo. Quindi fallo.» Timwick guardò Eve, poi si voltò e andò verso l'elicottero. «James!» «Vai all'inferno.» Lisa si irrigidì. «Eravamo d'accordo, era necessario farlo!» Lui aprì il portello dell'elicottero. «Ma eravamo d'accordo che Fiske avrebbe ucciso anche me? Quando lo avrebbe fatto, Lisa?» «Non capisco cosa vuoi dire.» «La lista. Ne hai data un'altra a Fiske, l'ho vista. Ha unito la tua lista e la mia. Conosco la sua scrittura.» «Come hai fatto a vedere qualcosa che non esiste? Se c'era una lista, di certo non l'ho compilata io. Lo sai che spesso agiva per conto suo.» «Non avrebbe mai ucciso chi lo pagava, a meno che non fosse pagato anche da qualcun altro. Hai pensato che non ti servivo più.» «Non puoi provare niente. Fiske è morto.» «Troveresti qualcun altro per uccidermi.» «Stai commettendo un errore.» Si avvicinò all'elicottero. «Ascoltami, James!» «No, me ne vado.» «Ti prenderanno!» «No di certo, se conservo un vantaggio. Era parte dell'accordo. Chiamerò Camp David per dire che stiamo arrivando, dovrebbe garantirmi tempo sufficiente.» Salì sull'elicottero. «Vai all'inferno, puttana!» «Timwick!» Lisa afferrò la maniglia. «È un trucco! Una bugia! Non ri-
nunciare a tutto quello per cui abbiamo lavorato! Kevin ti nominerà...» L'elicottero decollò e Lisa cadde per terra. Eve la guardò mentre si rialzava faticosamente. Lisa Chadbourne la fissò dall'altra parte della radura. «È colpa tua!» «A dire il vero la colpa è tua; tu mi hai detto che Timwick era in preda al panico. E un uomo spaventato si aggrapperebbe a qualsiasi cosa.» «Era una trappola!» Sembrava ancora incredula. «Ho escogitato io il piano, ma è stato Logan a fare avere la lista a Timwick.» «Ma quando ho detto che avrei portato Timwick con me, hai protestato!» «Sapevo che volevi portarlo, era un mossa astuta, e tu sei una donna astuta. Se tu non lo avessi suggerito, Timwick ti avrebbe convinto che era la cosa migliore da fare.» Sorrise. «Ma non ha dovuto convincerti, vero?» «Non te la caverai. Posso fare in modo che Timwick...» Si bloccò. «Oh mio Dio, hai una trasmittente, vero?» «Sì.» «E hai deciso di mostrarmi il teschio di Ben per sconvolgermi.» «Lo speravo. Gli uomini hanno paura degli scheletri, specie quando sono le loro vittime.» Lisa rimase in silenzio, ripensando alla loro conversazione. «Brutta storia, ma non significa una disfatta completa. In tribunale qualsiasi trascrizione può essere interpretata in qualsiasi modo...» «Logan ha anche chiamato tre testimoni ad ascoltare la trasmissione: Peter Brown, un giornalista dell'Atlanta Constitution, Andrew Bennett della Corte Suprema, e il senatore Dennis Lathrop. Tutti uomini in vista. Dopo che abbiamo deciso, Logan è entrato in azione, e ha speso quasi una giornata intera per convincere Timwick che sarebbe stato la tua prossima vittima.» Lisa impallidì, e improvvisamente sembrò molto più vecchia. Cadde in ginocchio. «Che... bravi. All'inizio avevo detto a Timwick che dovevamo stare attenti a te. L'aggeggio elettronico era ovviamente una finta, ma ho visto gli infrarossi, quindi immagino che abbiamo un po' di tempo prima che arrivi Logan.» «Sì.» «Bene, mi serve qualche minuto per calmarmi. Mi sembra impossibile che sia crollato tutto... Pensavo di averti, pensavo che la tua Bonnie fosse la chiave.»
«Era la chiave.» «Ma hai rinunciato alla possibilità di...» «La posta in gioco era troppo alta. Hai fatto del male alle persone che amo.» «Avrei mantenuto la mia promessa, sai? E avrei trovato Bonnie. Mantenere la parola mi avrebbe fatto sentire meglio.» «Ti credo.» Eve si irrigidì nel vedere Lisa alzarsi in piedi. «No, non ti farò niente, sono io a essere ferita. Mi hai... distrutta.» «Ti sei distrutta da sola. Dove vai?» «Ho lasciato cadere la testa di Ben quando correvo all'elicottero», rispose mentre si inginocchiava accanto al teschio. «È così... piccolo. Strano. Era un uomo così grande. Ben era grande, in tutti i sensi...» «Finché non l'hai ucciso.» Lisa finse di non averla sentita. «Era geniale, nutriva tanti sogni. E li avrebbe realizzati tutti.» Accarezzò lo zigomo destro. «Eri un uomo incredibile, Ben Chadbourne.» Lisa era quasi affettuosa, si accorse Eve sconvolta. Tutto l'orrore, tutta la paura erano svaniti. Gli occhi di Lisa brillavano di lacrime quando la guardò. «I giornali vorranno foto di lui, prediligono le foto più morbose e orribili. Non lasciare che facciano una foto a Ben in questo stato. Voglio che tutti lo ricordino com'era. Non glielo permettere, promettimelo.» «Lo prometto, niente foto, tranne quelle che serviranno come prova al processo. E dopo farò in modo che torni a casa.» «A casa...» Rimase in silenzio per un attimo, e quando parlò di nuovo, c'era meraviglia nella sua voce. «A me importa, davvero, ma non importerebbe a Ben. Diceva sempre che è ciò che ci lasciamo dietro a essere importante, non cosa diventiamo o dove andiamo dopo la morte.» Fissò il teschio annerito e gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime. «Dio, fa male, Ben! Non pensavo di doverti vedere. Mi avevi detto che non ti avrei visto.» Eve si sentì raggelare. «Cos'hai detto?» Lisa la guardò. «Lo amavo. L'ho sempre amato, e lo amerò sempre. Era gentile, buono, straordinario. Pensi davvero che avrei potuto uccidere un uomo così?» «Eppure lo hai ucciso, o hai convinto Maren a ucciderlo.» «Scott ha preparato l'iniezione. Ma Ben prese la siringa dalle sue mani e
se la iniettò da solo. Non voleva che Scott si sentisse responsabile... ecco che uomo era...» «Perché?» «Ben stava morendo di cancro. Lo ha saputo un mese dopo l'elezione.» Passò un attimo prima che Eve si riprendesse. «Suicidio?» «No, il suicidio è un atto di viltà, e Ben non era un vile, voleva solo risparmiare...» Si fermò un attimo, le tremava troppo la voce. «Ha progettato tutto. Sapeva che tutti i suoi sogni stavano per finire. Avevamo lavorato per quindici anni per farlo arrivare alla Casa Bianca. Che squadra eravamo... Ha dovuto scegliere Mobry come vicepresidente perché ci serviva il Sud, ma diceva sempre che avrei dovuto farlo io. Non m'importava, sapevo che sarei stata lì ad aiutarlo. Ma scoprire che sarebbe morto prima di poter fare quello che aveva bisogno di fare... non era giusto. Non riusciva ad accettarlo.» «Lui ha progettato tutto...» «Ha scelto Kevin Detwil, mi ha detto come trattarlo, cosa dirgli perché se la cavasse. Sapeva che avrei avuto bisogno di Timwick, mi suggerì quali argomenti usare per farlo collaborare.» «Timwick sapeva della malattia?» «No, Timwick crede che sia stato un omicidio. Ben riteneva che sarebbe stato più malleabile se avesse pensato di essere complice nell'assassinio del Presidente... e aveva ragione.» Sorrise amaramente. «Aveva sempre ragione. Andava tutto bene, tutti avevamo un lavoro da svolgere. Io dovevo controllare Kevin e operare nell'ombra per trasformare in realtà i progetti di Ben. Sono riuscita a farne approvare sette dal Congresso, in questi anni. Ti rendi conto di quanto ho lavorato?» «E qual era il compito di Timwick?» «Non certo l'assassinio. Lui era lì per proteggermi, e perché fosse più facile ingannare tutti. Ma ha avuto paura e non sono più riuscita a controllarlo.» «Allora il tuo Ben evidentemente aveva torto.» «Aveva ragione, ma le cose non sono andate come previsto. Se Donnelli avesse fatto ciò che doveva fare, se Logan non fosse mai entrato in scena...» Guardò Eve. «Se tu avessi deciso di farti gli affari tuoi.» «Come se nessun altro avesse potuto sospettare!» «Quante probabilità c'erano? Il piano di Ben era quasi perfetto. Ti rendi conto di cosa hai distrutto? Volevamo portare ordine e umanità al governo, volevamo solo aiutare la gente. Era una grande ingiustizia non sfruttare
questa opportunità.» «Hai commesso degli omicidi. Anche se non hai ucciso tuo marito, hai ordinato a Fiske di uccidere.» «Non volevo... Non pensavo... Una follia, non so come. Ma avevo promesso a Ben che me la sarei cavata, era il mio lavoro, dovevo farlo. Non capisci? Una cosa ha provocato l'altra, e in breve tempo mi sono trovata prigioniera di...» Si fermò. «Mi sto comportando molto male, dovrei mostrare più dignità. Soprattutto perché tutto ciò che dico viene registrato.» Improvvisamente, si sentì risollevata, un gran sorriso le illuminò il volto. «Sai, posso cavarmela. Posso superare qualsiasi cosa. Sorriderò, mi mostrerò sincera, e non crederanno ai nastri.» «Io credo di sì. È finita, Lisa.» Lei alzò la testa, orgogliosa. «Non fino a quando non avrò combattuto l'ultima battaglia.» «Ma Ben vorrebbe vederti combattere? Uno scandalo così grave sconvolgerà il Governo per mesi e rovinerà tutto quello che hai fatto per lui.» «Saprò riconoscere il momento in cui dovrò farmi da parte... proprio come ha fatto Ben. È davvero un'ironia della sorte che tu abbia scelto Camp David per incontrarci. Sapevi che Franklin Delano Roosevelt chiamava Camp David 'Shangri-La'?» «No.» «Shangri-La, il sogno perduto...» Guardò tra gli alberi. «Stanno arrivando, gli andrò incontro. È sempre meglio prendere l'iniziativa.» Eve la guardò attraversare con grazia la radura, fino al punto in cui si erano fermate la macchina di Logan e tre altre auto. La pistola. Lisa si era fermata vicino alla pistola gettata via da Timwick, e la guardava. «No!» «Tu hai distrutto tutto ciò per cui io e Ben abbiamo lavorato. Mi credi un'assassina, e potrei impugnare questa pistola e darti ragione. Penso che i tuoi amici laggiù non farebbero in tempo a sparare. Hai paura di morire, Eve?» «No, non credo.» «Neanch'io... penso che tu abbia paura di vivere. Avrei trovato la tua Bonnie, adesso dovrai vivere con questo assillo: potresti non ritrovarla mai più. Lo spero.» Diede un calcio alla pistola. «Vedi, non sono violenta. Rifiuto l'opportunità di vendicarmi, vado a consegnarmi alla giustizia.» Sor-
rise. «Arrivederci, Eve, chissà, ci vedremo in tribunale.» Riprese a camminare. «Che dico, forse no.» «Crede di potersela cavare...» Eve guardò Lisa salire in una macchina dell'FBI. «E potrebbe farlo.» «No di certo, se la separiamo da Kevin Detwil», disse Logan. «Cercheranno di tenerla in isolamento per ventiquattr'ore, il che sarà difficilissimo considerata la sua posizione. Il giudice Bennett sta andando dritto da Detwil per fargli ascoltare le registrazioni.» «Credi che crollerà?» «Probabilmente. Ha avuto sempre bisogno del suo supporto. Se non crolla subito, c'è sempre la lista, quella dovrebbe funzionare.» «Ma perché c'era anche il nome di Detwil sulla lista? Posso capire Timwick, che stava diventando instabile e minacciava i loro piani, ma Detwil le serviva per altri quattro anni.» «Non credo che fosse una vittima immediata, probabilmente ha scritto il nome sulla lista solo per ingraziarsi Fiske. Quale bersaglio è più difficile del Presidente?» «Ma alla fine lo avrebbe fatto.» «Oh certo, Detwil era una prova vivente delle sue colpe. E poi avrebbe fatto organizzare a Fiske un incidente in seguito al quale non avrebbero potuto recuperare il DNA, forse l'esplosione in volo dell'Air Force One.» «Ma ci sono sempre molte persone che volano sull'Air Force One insieme al Presidente.» «Credi che sarebbe stato un problema per lei?» «Dio, non lo so... forse.» Lui la prese per un braccio. «Su, andiamo via da qui.» «Dove andiamo?» «Posso scegliere io? Che sollievo! Dopo che mi hai costretto con la forza a tendere una trappola a Lisa Chadbourne, pensavo che avessi escogitato qualche altro piano.» Eve non aveva più alcun piano, ma soprattutto non aveva più energie. Si sentiva svuotata. «Voglio andare a casa.» «Non ancora. Andremo a casa del senatore Lathrop, e resteremo lì finché non si saranno calmate le acque e non saremo più sospettati. Non vogliono che qualche agente segreto con il grilletto facile ci uccida 'per errore'». «Che carini!» disse lei con sarcasmo. «Non sono carini, è che siamo preziosissimi testimoni materiali. Sotto
stretta sorveglianza finché non sarà finita.» «Tra quanto potrò andare a casa?» «Una settimana.» «Massimo tre giorni.» «Proveremo... Ma ricorda che dopotutto qui si sta giocando con la destituzione di un Presidente.» «Pensaci tu, Logan», concluse Eve entrando in macchina. «Tre giorni, poi vado a casa a rivedere Joe e la mamma.» Ventitré Washington «Che manicomio!» Eve si allontanò dalle tendine della finestra. «Ci saranno centinaia di giornalisti là fuori. Perché non vanno a importunare qualcun altro?» «Siamo una storia grossa», rispose Logan. «Più grande di quella di OJ. Simpson, più grande dello scandalo Whitewater, più dei peccatucci di Clinton. Ti ci devi abituare.» «Non voglio abituarmi!» Andava su e giù nel soggiorno del senatore come una tigre in gabbia. «Sono già cinque giorni, voglio tornare a casa, devo vedere Joe!» «Mi hai detto che secondo tua madre Joe migliora ogni giorno.» «Ma non mi ci fanno parlare.» «Perché?» «Non lo so. E poi, non ci sono!» Si fermò accanto alla poltrona dov'era seduto Logan, stringendo i pugni. «Sono bloccata qui in questo... posto. Non posso uscire senza essere aggredita dai giornalisti. Non siamo nemmeno riusciti ad andare al funerale di Gil e di Gary. E non è finita qui, vero?» «Te l'avevo detto: 'non appena Detwil crollerà e confesserà, impazziranno tutti'.» E loro erano proprio al centro di quel ciclone di follia, pensò Eve. Erano praticamente prigionieri in casa del senatore, e guardavano in TV il frenetico svolgersi degli eventi. Kevin Detwil che confessa, Chet Mobry che diventa Presidente, Lisa Chadbourne che viene arrestata. «Continuerà così... È come vivere in un acquario! Come farò a lavorare? Come vivrò? Non lo sopporto!»
«Alla fine i media si stancheranno, e finito il processo ci metteranno da parte come vecchi vestiti.» «Ma ci vorranno anni! Ti strangolerei, Logan.» «No, non è vero.» Sorrise. «Dopo non avresti nessuno con cui condividere questa tortura. La compagnia è importante in momenti simili.» «Non voglio la tua compagnia, voglio mia madre e Joe.» «Se tu tornassi a casa, scateneresti su di loro l'attenzione della stampa. Avrebbero le telecamere puntate addosso. E neppure loro potrebbero più vivere in pace. Credi che la relazione di tua madre con la sua nuova fiamma potrebbe resistere a uno stress del genere? E Joe Quinn? Come reagirà la polizia di Atlanta alla vista di un detective che non può fare un passo fuori di casa senza finire in TV? E il suo matrimonio? A sua moglie piacerà...» «Smettila, Logan!» «Sto tentando di farti capire come stanno le cose, sei tu che mi chiedi sempre di essere sincero con te.» «Tu lo sapevi che sarebbe andata così.» «Non ho pensato alle conseguenze con i media. Avrei dovuto prevederle, ma volevo solo fare arrestare Lisa; mi sembrava l'unica cosa importante.» Logan stava dicendo la verità, ma Eve desiderava quasi il contrario. Si sentiva così frustrata che aveva bisogno di dare la colpa a qualcuno, a chiunque. «E in fondo, credo che anche per te sia stata l'unica cosa che contava davvero», aggiunse Logan. «Sì.» Tornò alla finestra. «Ma non doveva finire così... L'abbiamo distrutta, e ora stiamo affondando insieme a lei.» «Non ti lascerò affondare.» D'un tratto fu dietro di lei, le posò le mani sulle spalle e aggiunse: «Lascia che ti aiuti». «Vuoi restituirmi la vita?» «Intendo farlo.» Prese a massaggiarla con dolcezza, poi si chinò e le sussurrò all'orecchio: «Sei troppo tesa, secondo me hai bisogno di una vacanza». «Devo lavorare.» «Forse possiamo combinare le due cose. Sai che ho una casa su un'isola a sud di Tahiti? Ha un servizio di sorveglianza eccellente, ed è molto appartata. Voglio farmi perdonare. Tu hai bisogno di riposo e serenità, e l'isola è una noia mortale. Devi solo ciondolare, camminare sulla spiaggia,
leggere e ascoltare musica.» Non sembrava una prospettiva noiosa, appariva come la salvezza. Si voltò lentamente a guardarlo. «Potrei lavorare?» «Dovevo immaginarlo... Ti farò costruire un laboratorio, stavolta Margaret non sbaglierà.» «Ci lasceranno andare?» «Non lo so. Credo, però, che per le autorità giudiziarie non sia mai un problema, se sanno dove siamo e che non spariremo nel nulla. L'ultima cosa che vorrebbero è che la presenza dei media compromettesse la nostra testimonianza.» «Quando possiamo partire?» «Te lo farò sapere con precisione, ma probabilmente l'inizio della prossima settimana.» «Potrei rimanere lì finché non mi chiamano?» «Tutto il tempo che vuoi.» Lei guardò dalla finestra i giornalisti che stazionavano nella strada. Apparivano avidi di notizie e non si sarebbero mai saziati. Probabilmente alcuni di loro erano brave persone, ma ricordava ancora i giorni dopo la scomparsa di Bonnie: a volte le dicevano qualcosa di doloroso per potere riprendere la sua espressione sofferente. Non l'avrebbe sopportato di nuovo. «Lo farai?» chiese Logan. «Sì.» «Bene! E non ti dispiace se vengo anch'io? Non sei l'unica che ha bisogno di sparire per un po'. È una casa enorme, prometto che non ti darò fastidio.» «Non mi dispiace.» Pace, sole, lavoro. Qualsiasi cosa andava bene, se significava fuggire da tutta quella follia. «Quando inizierò a lavorare, probabilmente non mi accorgerò nemmeno della tua presenza.» «Oh, io penso di sì; ogni tanto dovrai pure riemergere, e saremo piuttosto isolati.» Si avviò verso la porta. «Sarà difficile non vedermi.» «Dieci minuti!» La capo infermiera guardò alle spalle di Eve, vide la folla di giornalisti trattenuta a stento dal servizio di sicurezza dell'ospedale e si incupì in volto. «Non possiamo tollerare queste interruzioni, abbiamo già avuto abbastanza problemi a tenere i giornalisti lontani dal signor Quinn. È un paziente le cui condizioni destano ancora preoccupazione.» «Non lo disturberò, voglio solo vederlo.»
«Vado dai giornalisti per distrarti», disse Logan. «Fai con comodo.» «Grazie.» «E dato che andiamo su un'isola deserta insieme, magari potresti chiamarmi John?» «Non è un'isola deserta, è un'isola tropicale, e penso di non potermi più abituare a un altro nome.» «Dieci minuti!» ripeté l'infermiera. «Stanza 402.» Joe sedeva nel letto, e lei si fermò sulla soglia per guardarlo. «Non immaginavo... hai un aspetto... fantastico. Da quanto sei in grado di sederti?» «Lo avresti saputo se ti fossi disturbata a chiamare!» ringhiò lui. «Ho chiamato ogni giorno, ma c'era qualcuno di mezzo, non mi facevano parlare con te.» Un'espressione indefinibile gli attraversò il volto. «Hai chiamato?» «Ma certo, credi che ti mentirei?» «No.» Sorrise. «Allora vieni qui e abbracciami. Piano, per piacere. Solo da ieri mi permettono di stare seduto, e non voglio mettermi nei guai... le infermiere qui sono ossi duri.» «L'ho notato, mi hanno concesso solo dieci minuti.» Si avvicinò al letto e lo abbracciò. «Ma basteranno, per uno così scorbutico. E poi puzzi di disinfettante.» «Sempre a lamentarti. Io spargo il mio sangue per te, e tu non mi dimostri nemmeno un po' di gratitudine?» «No.» Si sedette sul letto. «Sei stato uno stupido e non ti avrei mai perdonato se fossi morto, Joe.» «Lo so, per questo non sono morto.» Gli prese la mano. Era calda, forte... era Joe. Grazie, mio Dio. «Avevo mandato alla mamma una copia della registrazione, dicendole di fartela ascoltare. Spero che sia passata attraverso lo sbarramento di infermiere. Per averne una copia Logan ha dovuto fare mille promesse al Dipartimento di Giustizia.» «È passata... A quanto pare sei tu l'unica che ha problemi a vedermi.» Intrecciò le dita con quelle di Eve. «E quel nastro mi ha quasi fatto venire un infarto. Perché mai Logan ti ha permesso di fare una cosa del genere?» «Non è riuscito a fermarmi.» «Io ti avrei fermato.» «Non dire sciocchezze!» «Dovevi proprio farlo? Non potevi aspettare?»
«Aveva ucciso Gary... e pensavo che potesse uccidere anche te.» «Ah, quindi è colpa mia.» «Certo, quindi smettila di sgridarmi. Non potevo aspettare che tu risorgessi dalla tomba per aiutarmi, dovevo fare da sola.» «Con l'aiuto di Logan... ma non ti ha aiutato abbastanza, maledizione.» «Lisa mi aveva dato una possibilità, ma solo per me, non per lui. Logan è stato di grande aiuto. Ha trovato il modo per coinvolgere Timwick. Tramite il tuo amico al giornale l'ha contattato per mostrargli la lista, e poi ha organizzato un incontro. Sai quanto poteva essere pericoloso? E se Timwick non fosse stato impaurito e disperato come pensavamo?» «L'hanno preso?» «No, sembra essere sparito dalla faccia della terra.» «Nessuno può sparire senza lasciare una traccia.» E dopo una pausa aggiunse: «Dev'essere catturato. Bisogna neutralizzarlo, o ti tormenterà...» «Non metterti in mezzo, Joe.» «Ho detto forse che lo voglio inseguire? Non vedi che sono un rottame? Perché ti preoccupi? Timwick è crollato, non è più un pericolo.» «Metti in trappola un topo, e ti morderà.» «Ma allora perché hai preparato quell'incontro con Lisa Chadbourne e Timwick? L'hai messa con le spalle al muro, e non potevi sapere come avrebbe reagito. Qualcuno avrebbe dovuto essere lì a proteggerti.» «Non sarebbe stato logico che Logan venisse all'appuntamento.» «Al diavolo la logica!» «E invece ho ragione. Lisa Chadbourne sapeva che Logan non avrebbe mai acconsentito a farmi consegnare il teschio per riavere Bonnie. Perché sembrasse tutto vero, ho dovuto fingere di essere fuggita con la testa.» Lui rimase in silenzio per un attimo. «E sembrava vero? Sei stata sul punto di accettare?» «Conosci già la risposta.» «E poi, perché non l'hai fatto?» «Forse non mi fidavo di lei, forse dubitavo che ci riuscisse davvero, o forse ero troppo furiosa per quello che aveva fatto a te e Gary.» «E forse è il primo passo.» «Come?» «Niente.» Le strinse la mano. «Ma basta con questa brutta storia finché non sarò di nuovo in piedi e riacquisterò le forze per tenerti in riga. Logan non sta facendo per nulla un buon lavoro.» «È abbastanza furbo da non provarci nemmeno... A dire il vero è molto
gentile; mi ha invitato su una sua isola nel Pacifico finché non sarà finito l'incubo dei media.» «Oh?» Quel tono non le piaceva. «È una buona idea, lì potrò lavorare tranquilla, sai bene che qui mi sarebbe impossibile. È quasi peggio di... È davvero una buona idea, Joe.» Silenzio. «Joe?» «Hai ragione, hai bisogno di riposo e di andare via da qui per un po'. Penso che dovresti andarci.» «Dici davvero?» «Perché sei sorpresa? Mi hai detto tu stessa che è una buona idea, io ti sto solo dando ragione.» «Bene...» disse lei con tono esitante. «Logan è qui con te?» «Sì. Partiamo per Tahiti non appena avrò salutato la mamma.» «Quando esci, puoi dirgli di venire qui per un attimo?» «Perché?» «Secondo te? Devo raccomandargli di prendersi cura di te o lo butto in un... vulcano. Non ci sono i vulcani a Tahiti?» Lei ridacchiò, sollevata. «A dire il vero la sua isola è a sud di Tahiti.» «Fa lo stesso.» Le strinse più forte la mano. «Adesso stai zitta. Immagino di avere solo altri cinque minuti, e li voglio passare a guardarti, non a sentirti cinguettare di Tahiti.» «Non sto cinguettando!» Ma nemmeno lei voleva parlare; voleva solo abbandonarsi a quel senso di pace e di benessere che provava sempre quando era con Joe. In un mondo in cui tutto andava a rotoli, lui non era cambiato: era vivo e forte, e sarebbe migliorato ogni giorno. Era bello pensare che, al suo ritorno, le cose sarebbero andate esattamente come prima. «Voleva vedermi?» chiese cauto Logan. Joe indicò la sedia accanto al letto. «Si sieda.» «Che strano, mi sembra di essere stato chiamato nell'ufficio del preside...» «Sensi di colpa?» «Non faccia questi giochetti con me, Quinn, non ci casco.»
«Mi ha accusato di ingannare Eve. Ma è quello che lei stesso sta facendo. Eve pensa che lei sia gentile.» «Sarò molto gentile.» «Lo spero bene, è quello di cui ha davvero bisogno. E se solo mi fa sapere che si è scalfita un'unghia laggiù, arriverò io!» aggiunse risoluto. «Lei non è stato invitato.» Fece un vago sorriso. «E per sua informazione, non ci sono vulcani sull'isola.» «Gliel'ha detto?» «Eve era divertita e sollevata che lei non abbia protestato. Anch'io ero un po' sollevato, ma dopo, riflettendoci su, ho capito che da parte sua sarebbe stata una mossa sbagliata. E lei non sbaglia quasi mai le sue mosse, Quinn.» «Nemmeno lei, ha manipolato Eve con maestria. Eve pensa davvero che voglia solo farsi perdonare e aiutarla a ricostruire la sua vita.» «La voglio davvero aiutare.» «La vuole anche portare a letto.» «Indubbiamente. Ma voglio anche averla nella mia vita il più a lungo possibile.» Sorrise. «L'ho sconvolta? Non le importa l'idea di una storia di sesso, ma non vuole neanche che io mi impegni. Troppo tardi, però. Sono convinto, e farò tutto il possibile perché anche lei sia convinta di me.» «Non sarà facile.» «Il tempo e la solitudine giocheranno in mio favore. È una donna straordinaria, e non ho intenzione di perderla, qualsiasi cosa voglia fare lei, Quinn.» «Ma io non voglio fare niente. Per adesso. Voglio che Eve parta con lei, che vada a letto con lei. Se ci riesce, voglio che si innamori di lei.» Logan era perplesso: «Che generosità, ma potrei chiederle il perché?» «Sarebbe la cosa migliore per Eve. Ha bisogno di tornare a vivere. Ha già fatto il primo passo quando ha rinunciato alla possibilità di riavere Bonnie, e lei può aiutarla a farne un altro.» «Quindi mi prescrive come terapia.» «La chiami come vuole.» Logan lo fissò. «Ma mi odia, vero?» Joe non rispose alla domanda. «È la cosa migliore da fare. In questo momento lei può aiutarla, io no. Ma se questa esperienza non si dimostra positiva per Eve, come spero, troverò quel dannato vulcano, mi creda.» Logan gli credeva. Quinn giaceva ferito in un letto d'ospedale, avrebbe dovuto apparire indifeso, ma non ne aveva l'aria: semmai, sembrava forte,
calmo, resistente. Lo aveva giudicato come uno degli uomini più pericolosi mai incontrati, ma ora capiva che ancora più pericolosa era quella sua aria protettiva. «Sarò molto buono con lei.» Non riuscì a resistere a una frecciatina finale. «E poi, come potrà verificarlo? In futuro potremmo avere troppo da fare per vederla spesso, Quinn.» «Non provi a mettersi tra me ed Eve, non funzionerebbe. Noi abbiamo un passato in comune.» Guardò Logan negli occhi. «E a me basterebbe dirle che ho un nuovo teschio e che ho bisogno di lei, e accorrerebbe subito.» «Non credo! Ma che razza di bastardo è lei? Vuole che guarisca, ma è disposto a farla ripiombare in quel mondo?» «Lei non ha mai capito niente», rispose Quinn con aria stanca. «Eve ne ha bisogno, e fino a quando ne avrà bisogno, io glielo darò. Le darei qualsiasi cosa al mondo. Compreso lei, Logan.» Voltò la testa. «Ora se ne vada, Eve la sta aspettando.» Logan avrebbe voluto mandarlo al diavolo, dirgli che lui poteva capire Eve, e che sarebbe stato il meglio per lei. Gli serviva solo un'opportunità e Quinn gliela stava offrendo. Quinn? Ma che cosa s'era messo in testa? Si comportava come se tutto dipendesse da Quinn. Stupidaggini. «Eve sta aspettando.» Aprì la porta. «Sta aspettando me, Quinn. Fra tre ore saremo su un aereo che ci porterà dall'altra parte del mondo. Buona giornata.» Sorrise soddisfatto e andò allegramente verso Eve. Accidenti, che soddisfazione quell'ultima stoccata. «Eve è stata qui!» disse Diane sulla soglia. «Tutte le infermiere ne stanno ancora parlando. Perché è venuta?» «Perché no? Voleva vedermi.» Joe la guardò in volto. «Era preoccupata perché non riusciva a contattarmi per telefono, l'ospedale non voleva passarmi la comunicazione.» Un'espressione indefinibile si dipinse sul volto di Diane. «Ah, davvero?» Erano i sensi di colpa, capì Quinn. Aveva sperato che non fosse vero... o forse aveva sperato che fosse stata lei, gli avrebbe dato una scusa per ciò che stava per fare. «Lo sai, vero?» disse amaramente Diane. «Non ho rispettato le regole, ho interferito. Be', maledizione, ne avevo il diritto! Sono tua moglie! Speravo di potere reggere allo spettacolo di vedervi insieme, ma lei sta ormai
invadendo la mia vita, e non lo accetto più. Ma lo sai cosa dice la gente per spiegarsi perché ti ha infilato in questo guaio? Non è giusto. È già abbastanza difficile sapere che non conto nulla. Hai mostrato a tutto il mondo quanto poco ti interessi di...» «È vero», rispose lui con dolcezza. «Tutto quello che dici è assolutamente vero, Diane. Non sono stato giusto, e tu hai avuto fin troppa pazienza. Mi dispiace di averti coinvolto in tutto questo. Speravo potesse funzionare.» Lei esitò per un attimo. «Può ancora funzionare. Devo solo... Forse ho perso la calma e ho detto cose che non penso davvero, dobbiamo solo discuterne e arrivare a un giusto compromesso.» Ma gli stava chiedendo l'unico compromesso che non avrebbe mai potuto accettare. L'aveva già delusa e ferita abbastanza, non poteva andare avanti così. «Chiudi la porta e vieni a sederti qui», disse piano. «Hai ragione, dobbiamo parlare.» «Tutto bene?» Logan era accanto a Eve, che guardava fuori dal finestrino dell'aereo. «Stai stringendo i braccioli della poltrona come se volessero decollare senza di te.» Lei allentò la stretta. «Sto bene, è che mi sembra strano lasciare il mio paese e andare così lontano. Non sono mai stata all'estero.» «Davvero? Non lo sapevo. Ma in fondo ci sono moltissime cose che non so di te. Sarà un lungo viaggio, forse potremmo parlare un po'...» «Vuoi che ti confidi tutti i sogni della mia infanzia, Logan?» «Perché no?» «Perché non ricordo di averne mai avuti, ho sempre pensato che fossero zuccherose favolette inventate a Madison Avenue.» «E da adulta?» «Nessuno.» «Dio, che donna difficile.» Guardò la scatola di metallo accanto a lei. «È quella che credo io?» «È Mandy.» «Per fortuna abbiamo un aereo privato, avresti terrorizzato i servizi di sicurezza dell'aeroporto se l'avessi fatta passare al metal detector. Mi ero dimenticato di Mandy, ma tu no.» «No, non dimentico.» «Una promessa che è una minaccia. Non avrai in mente di lavorarci su durante il volo?»
«Non sarebbe sicuro... le turbolenze.» «Meno male, già m'immaginavo ossa dappertutto, come dopo un'esplosione. Sono contento che tu voglia aspettare di essere sull'isola. Va bene, non lavori e non vuoi confidarmi i tuoi segreti più nascosti. Possiamo almeno giocare a carte?» Le sorrideva, tentava di metterla a suo agio. Il senso di solitudine e la tensione svanivano lentamente, Eve cominciava a provare affetto. John aveva ragione: sarebbe stato un volo molto lungo. E ancora più lungo sarebbe stato il tempo che avrebbero passato insieme prima di tornare al mondo reale. Quindi doveva rendere le cose più facili, come stava cercando di fare lui. «Ma sì, giochiamo», rispose. «Ah, una prima scalfittura alla corazza...» mormorò lui. «Se sono fortunato, prima di arrivare a Tahiti mi concederai persino un sorriso.» «Solo se sarai davvero fortunato, Logan.» Gli sorrise. Epilogo «Non è come la spiaggia di Pensacola», disse Bonnie. «È carina, ma mi piaceva di più l'acqua dell'altra. Questa sabbia è troppo sottile.» Eve si voltò e vide Bonnie che costruiva un castello di sabbia. «Da quanto tempo... pensavo che non ti avrei più sognata.» «Ho deciso di stare via per un po' e darti la possibilità di farmi svanire lentamente.» Bonnie infilò un dito nel castello per fare una finestra. «Era il minimo che potessi fare, dato che Joe si stava sforzando tanto.» «Joe?» «E anche Logan, tutti e due vogliono il meglio per te.» Creò un'altra finestra. «Ti stai divertendo, qui, vero? Sei molto più rilassata di quando sei arrivata.» Eve guardò il sole che brillava sull'oceano blu. «Mi piace.» «E Logan è stato molto carino con te.» «È vero.» Che eufemismo. Durante gli ultimi mesi aveva provato a tenerlo a distanza, ma lui non ne aveva voluto sapere, e le si era avvicinato sempre di più, mentalmente e fisicamente, fino a diventare parte integrante della sua vita. Quella novità le dava benessere, ma anche disagio. «Sei preoccupata per lui? Non dovresti. Tutto cambia ed evolve con il tempo, a volte le cose iniziano in un modo e diventano qualcos'altro.»
«Non essere ridìcola, non mi preoccupo per lui, Logan sa badare a se stesso.» «Allora perché sei così inquieta?» «Probabilmente perché mi sembra di perdere tempo, qui. E poi il mese prossimo dovrò tornare, per testimoniare in tribunale contro Lisa Chadbourne, e l'idea mi spaventa abbastanza. Detwil ha raggiunto un accordo per testimoniare contro di lei, ma lei sta ancora lottando.» «Non penso che dovrai testimoniare.» «Certo che dovrò.» «Penso che Lisa abbia già deciso che è giunta l'ora di arrendersi. Ha fatto tutto il possibile per Ben, e non vorrà che si venga a sapere tutto in tribunale.» «Confesserà?» «No. Ma tutto finirà comunque.» Saprò riconoscere il momento in cui dovrò farmi da parte... proprio come ha fatto Ben, aveva detto Lisa. «Non ci pensare, ti rende triste.» «Eppure non dovrei essere triste... ha fatto cose orribili.» «Ti è difficile perché lei non è come Fraser. Ti spaventa sapere che anche le buone intenzioni possono causare il male, e lei ha fatto delle cose terribili.» «Penso che ti avrebbe ritrovata, piccola, penso che avrebbe mantenuto la promessa.» «Ti avrebbe ucciso.» «Forse no, forse avrei trovato il modo... mi dispiace, Bonnie. Forse se non avessi voluto intrappolarla, avrei potuto fare qualcosa per...» «La vuoi smettere? Continuo a ripeterti che importa solo a te. Non fa niente.» «Invece importa. Quando non sei venuta... voglio dire, quando non ti ho più sognata, ho pensato che forse eri arrabbiata con me, perché non ho scelto di riportarti a casa, quando ne ho avuto la possibilità.» «Per l'amor del cielo, sono stata contenta che tu non le abbia creduto! Con tutti quei problemi che ti sei fatta dopo mi hai proprio deluso. Joe ha ragione, hai fatto il primo passo, hai scelto la vita invece di un mucchietto di ossa, ma hai ancora molta strada da percorrere.» Eve si incupì. «È da molto che non sento Joe.» «Lo sentirai presto. Credo proprio che abbia trovato Timwick.» «Un altro processo!»
«No!» «Che vuoi dire?» «Non vuole vederti soffrire, mamma. Probabilmente Timwick sparirà, tutto qui.» Chinò la testa da un lato per studiarla. «Vedo che la stai prendendo molto bene. Hai accettato questo aspetto del carattere di Joe.» «Non mi piace, ma è meglio che fare finta di non vedere.» «Accetteresti quasi tutto, pur di conservare Joe nella tua vita. Chiunque altro potrebbe sparire, ma Joe dovrà sempre esserci. Ti sei mai chiesta il perché?» «È mio amico.» Bonnie rise. «Cielo, che testarda! Be', credo che il tuo 'amico' arriverà presto.» Eve soffocò l'eccitazione. «E tu come lo sai? Te l'ha detto il vento, immagino. O forse un tuono della tempesta tropicale di ieri notte.» «Sai, Joe è un po' come una tempesta, a volte fulmina... a volte tuona, poi torna tranquillo. È interessante. Sei contenta che stia arrivando?» Contenta? Oh, Dio, rivedere Joe... «Come posso essere contenta di qualcosa che so che non è vero? Probabilmente stai solo tirando a indovinare, perché Joe non mi ha chiamato.» «È vero.» Guardò il castello con aria triste. «Vorrei tanto avere una bandierina... Ti ricordi la bandierina che facesti per il mio castello a Pensacola? Per crearla, strappasti un angolo dell'asciugamano.» «Certo che me lo ricordo.» «Be', immagino che vada bene così.» «È un castello bellissimo», disse Eve con voce rotta. «Su, non fare la lacrimosa.» «No, non la faccio, e a dire il vero al tuo castello servirebbe come minimo un'altra torre. E poi dov'è il ponte levatoio?» Bonnie rideva. «Farò meglio la prossima volta, te lo prometto, mamma.» «Rimarrai qui?» «Finché rimarrai tu... ma ti stai già annoiando.» «Non è vero, sono felice di essere qui.» «Se lo dici tu.» Saltò in piedi. «Vieni, ti accompagno fino alla villa. Logan sta preparando una splendida serata per voi due.» Le brillarono gli occhi. «La cosa dovrebbe farti molto... contenta.» «Se sto dormendo sotto questa palma, come faccio a tornare alla villa con te?»
«In un sogno puoi fare quello che vuoi. Sono sicura che troverai pure una spiegazione razionale, per esempio che sei sonnambula, o qualche altra stupidaggine. Su, alzati, mamma.» Eve si alzò, si pulì la sabbia dai pantaloncini e si incamminò lentamente lungo la spiaggia. «Sei un sogno, piccola, lo so.» «Davvero? Domani, quando tornerai, la marea avrà distrutto il mio castello di sabbia.» Sorrise a Eve. «Ma non rischierai di tornare stasera, prima che succeda, vero?» «Potrei.» «Non sei pronta... ma sei sulla strada giusta.» «E questo dovrebbe rendermi felice? Avrei davvero un problema se...» «Guarda quel gabbiano!» Bonnie alzò la testa. Un sorriso le illuminò il viso, e i capelli rossi brillarono al sole. «Hai mai notato che le loro ali sembrano muoversi come se stessero ascoltando della musica? Che musica credi stia ascoltando ora?» «Non lo so... Rachmaninoff? Count Basie?» «Non è bellissimo, mamma?» «Sì, è bellissimo.» Bonnie raccolse una conchiglia e la gettò lontano nell'acqua. «Va bene, chiedimelo, così non ne parliamo più: e potremo divertirci.» «Non capisco di cosa parli.» «Mamma!» «Non è giusto. Devo portarti a casa.» «Sai già quale sarà la mia risposta, ma un giorno non me lo chiederai più, e saprò che sei guarita.» Gettò un'altra conchiglia in mare e si voltò a sorridere ajfettuosamente a Eve. «Ma capisco che ora lo devi fare, quindi chiedimelo, mamma.» Sì, chiedilo, Eve. Chiedilo a un fantasma, chiedilo a un sogno. Chiedilo all'amore. «Dove sei, Bonnie?» FINE