WHITLEY STRIEBER BILLY (Billy, 1990) Per quei bambini PARTE PRIMA A causa dell'oscurità 1 Apparve all'improvviso, straor...
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WHITLEY STRIEBER BILLY (Billy, 1990) Per quei bambini PARTE PRIMA A causa dell'oscurità 1 Apparve all'improvviso, straordinario nella sua perfezione. Un attimo dopo era scomparso tra la folla. Barton lo seguì con lo sguardo, ma non per molto. La gente si accorgeva, quando fissavi i bambini. Continuò a camminare. Non appena si sentì al sicuro, si voltò e raggiunse il ragazzo. Non aveva nessuna intenzione di lasciarsi trascinare ancora una volta dal suo entusiasmo. Un altro errore sarebbe stato troppo da sopportare. Quel giorno stava perlustrando il centro commerciale Crossland per la quarta volta. Era a Stevensville da una settimana, ma la sua ricerca si era rivelata deludente; aveva pensato di rinunziare allo Iowa. Si fermò davanti a una libreria e ritornò sui suoi passi. Così avrebbe potuto osservare attentamente il ragazzo di fronte, senza pericolo. E vide un viso straordinario. Insieme a quella naturale dolcezza propria dei ragazzi, nei suoi occhi c'era come un fuoco. Il viso era di quel genere che si poteva continuare a guardare per ore: una simile bellezza era una specie di nutrimento. Le sue guance dalla carnagione chiara erano leggermente abbronzate, i suoi lineamenti, insieme delicati ed eleganti, erano pieni di dignità. Il naso era grazioso, anche se forse un po' piccolo. Le labbra rosse, come se fossero state dipinte. Aveva i capelli biondo rame, la pelle come burro. Gli occhi erano toccati, come i capelli, da una fiamma sottile. L'espressione era affabile, con una punta di malizia attorno agli occhi, eppure in essi c'era anche qualche cosa d'altro, quasi un senso di imperiosità. Molto interessante. Il bambino teneva la testa alta, con orgoglio. Un lieve sorriso gli sfiorò le labbra quando incontrò un altro ragazzo, ovviamente un amico. Paragonato a lui, pareva uno sgorbio. Barton li seguì attentamente mentre entravano in una sala giochi. Quello
che aveva suscitato il suo interesse si piazzò davanti a una delle macchinette. In un certo senso era una delusione. Forse quel bambino non era poi la straordinaria creatura che sembrava. Ma, dio com'era bello! Barton doveva essere estremamente prudente, con quel bambino. Per il ragazzo giusto avrebbe potuto fare pazzie, di quello era assolutamente convinto. L'ultima volta era stata una cosa così tremenda che aveva deciso di cambiare sistema. Aveva suggellato la decisione mescolando il proprio sangue con quello di un innocente. Per molte ore il loro rapporto poteva essere meravigliosamente buono. Il suo cuore si apriva, quello del ragazzo pure, ed erano davvero come padre e figlio. In quei momenti avrebbe dato la vita, per il suo ragazzo. Ma poi, inevitabilmente, il rapporto mutava. Il ragazzo lo derideva, lo insultava o lo trattava con disprezzo. Poi saltava fuori la verità: quel dispettoso teppistello non l'aveva potuto soffrire sin dall'inizio. Metter fine a una vita era un lavoro da artista. Si doveva farlo con la dedizione di un amante, l'attenzione di un professionista, il ritmo lento di un libertino. Non necessariamente bisognava volerlo. Ma una volta che il rapporto si era guastato... Ovviamente il ragazzo in questione non poteva essere liberato. Quei pensieri, per quanto fuggevoli, lo condussero ad altre idee, ancora più oscure, tentatrici, nascoste in un angolo diabolico dell'anima. Si ritrovò a immaginare quel bel viso bagnato di lacrime, gli occhi supplichevoli, la voce acuta, e le proprie mani che si muovevano come guidate dal tremendo strumento che reggevano. L'immagine fu tanto vivida e orrenda che gli fece scuotere il capo e gli tolse il respiro. Il marciapiede ondeggiò. Si portò una mano alla bocca per ricacciare indietro la nausea. Barton sapeva cose che pochi altri sapevano. Per esempio, che quando la pelle brucia emana del fumo, o che un polmone perforato risucchia l'aria. Ora dovette fare uno sforzo per calmarsi, lasciare che i cattivi pensieri svanissero. Okay, vacci piano, si disse. È solo che quel bambino ti eccita molto. È un tesoro, e non succederà niente di brutto. No, con il ragazzo giusto non farai nessuna parte cattiva. Barton era equilibrato. Quella volta avrebbe fatto tutto proprio come si deve. In passato li aveva raccolti per la strada. «Tua madre mi ha detto di ve-
nirti a prendere e di portarti a casa.» «Sono della polizia, figliolo.» «È successo un incidente, dobbiamo portarti subito a casa.» Dipendeva dalla loro età e da quanto sembravano trascurati. «Vuoi fare un giro in macchina, andare da McDonald's, mangiare un dolce?» E ai più tristi, ai più trasandati: «Vuoi diventare mio amico?» Timmy c'era cascato così. Jack, invece, aveva creduto alla storia della polizia. Barton aveva usato lo stratagemma di indossare una giacca blu con alcuni distintivi, che aveva comperato in un negozio di rimanenze dell'esercito. Ma in questo caso la scelta del momento sarebbe stata molto più impegnativa. Quel ragazzo sembrava felice e intelligente, e avrebbe potuto non abboccare all'amo di una semplice lusinga; ciò significava che non poteva arrischiarne nessuna. Se voleva un ragazzo particolare aveva solo un'unica possibilità. Aveva messo alla prova quaranta ragazzi prima di prendere Timmy, che ovviamente aveva qualche difetto. Quando aveva deciso di rischiare si era sempre ritrovato con dei problemi. Alla fine aveva accettato il fatto che per avere un ragazzo perfetto doveva compiere una scelta accurata. Per essere certo che il bambino fosse quello giusto, doveva avvicinarglisi di più, rischiare un breve scambio di battute con lui. Di fronte alla sala giochi c'erano delle panchine per i genitori. Si sedette facendo finta di allacciarsi una scarpa e ispezionò il locale. Era assolutamente normale: una lunga sala con una cinquantina di macchinette e un sacco di rumore. A trafficare svogliatamente con i videogiochi c'era una decina di ragazzi. Solo uno di loro sembrava illuminato da un fascio di luce. Barton moriva dalla voglia di tentare uno dei suoi stratagemmi da strada, ma questa volta non era prudente. Avrebbe proceduto con lentezza e attenzione. Per prima cosa sarebbe uscito e sarebbe rimasto nel furgone per dieci o quindici minuti, poi sarebbe rientrato nel centro commerciale con gli occhiali scuri e una camicia diversa. Se fosse stato fortunato, avrebbe scambiato qualche parola con il ragazzo. Il tono di voce, il vocabolario, l'espressione... sarebbero stati estremamente rivelatori. Non voleva un ragazzo volgare, amareggiato o delinquente. Quello non doveva avere nessuna pecca. Doveva essere intelligente, senza problemi di adattamento, di buon cuore. Allora avrebbe funzionato. Ritornò all'Aerostar, che aveva parcheggiato non molto lontano dall'in-
gresso principale del centro commerciale. Per passare il tempo si abbandonò a uno dei suoi piaceri segreti: scrisse del ragazzo in un bloc-notes giallo. Solitamente buttava giù soltanto una descrizione, che gli dava la gioia di richiamare alla mente, in modo molto vivido, l'immagine del bambino. Altre volte poteva scrivergli una lettera, o semplicemente tracciarne più volte il nome, come aveva fatto con TIMOTHY WEATHERS, ripetuto finché non gli era sembrato una specie di dolce penso scolastico. Ma di quel ragazzo non sapeva ancora il nome. Carissimo Bambino, mi piacerebbe chiederti se posso diventare il tuo nuovo padre. So che è assurdo e che vuoi bene al tuo papà, ma per favore, ascoltami solo un istante. Io non ho figli, e non posso averne, e ti darei tutto quello che potresti desiderare. Non ti punirei mai. Saresti tu a prendere tutte le decisioni. Io lavoro, guadagnerò i soldi per entrambi. Smise di scrivere. Sarebbe stato così bello! In te c'è qualcosa di meraviglioso. Pensando a te riesco a sentire l'odore dell'erba sul retro, a vedere perfino quel magnifico vecchio olmo che d'estate diventava quasi la mia seconda casa. Mi fai sentire tanto bene, così profondamente felice. So che sei un essere umano straordinario. Io posso aiutarti a realizzare le tue potenzialità. Posso portarti fuori da questo orribile deserto culturale, aiutarti a crescere e a diventare quella grande anima che Dio vuole che tu sia. Lascia che ti ami, ti serva, diventi te. Fissò le ultime due parole. Non intendeva affatto quello. «Diventi te...» Che cosa voleva dire? Barton non era pazzo. Le cancellò, e al loro posto scrisse: «Entri nella tua vita». Così era proprio giusto. «Oh, mio dio», esclamò. «È così incredibilmente speciale.» Si era già innamorato di quel ragazzo. Oh, sarebbe stato un padre così buono! Poteva riuscirci, sarebbe stato proprio meraviglioso. Stracciò il foglio in minuscoli frammenti. Li mise in un sacchetto di plastica che avrebbe poi lasciato in un bidone dell'immondizia, da qualche parte, dietro una stazione di servizio. Anche se non gli risultava che stesse-
ro indagando su di lui, la possibilità esisteva sempre. Era per quella ragione che aveva smesso di effettuare le sue ricerche in California e, in parte, perché batteva le zone rurali. Le piccole città erano così aperte, e di solito le loro stazioni di polizia avevano risorse molto limitate. E poi, la sua esperienza gli diceva che l'America delle piccole città produceva bambini più belli di aspetto, più dolci, d'intelligenza più brillante. Un'altra considerazione importante era l'ubicazione. Stava sempre attento a scegliere città vicine a una strada interstatale, non solo per la necessità di uscirne in fretta, ma anche perché gli abitanti di quelle città erano abituati a vedere degli estranei di passaggio. Uno in più non suscitava sospetti a nessuno. L'orologio gli disse che era ora di tornare indietro. In se stessa la cattura era sempre snervante, ma quei nuovi preliminari rendevano molto rigido tutto il procedimento. Non sei costretto a farlo, si disse Barton. Gemette tanto forte che un passante gli lanciò un'occhiata. Okay, stai di nuovo perdendo la calma. Fa' un profondo respiro e immagina che ogni muscolo del tuo corpo si stia sciogliendo. Così va meglio, continuò per tranquillizzarsi. Il pensiero di perdere quel ragazzo era del tutto insopportabile. Barton si disse che doveva essere forte. Doveva rispettare il piano. E se il ragazzo fosse stato marcio dentro, sboccato o tarato di mente? Sicuramente non voleva saperne di un tipo simile, non più. Il bambino doveva essere a posto. Il passo seguente era tornare al centro commerciale e prendere la decisione finale. Se fosse stata affermativa avrebbe localizzato la casa del ragazzo, avrebbe scoperto il suo nome e si sarebbe fatto un'idea della sua situazione famigliare. Fino a un certo punto, più povero era meglio era, e se la famiglia fosse stata nuova in città, sarebbe stata una buona cosa. Prendere dei bambini che vivevano in famiglie infelici era più facile, ma spesso si era rivelato un errore. Potevano sembrare freschi e belli, ma a volte si rivelavano tristi, ottusi e avidi, quelle carognette depravate! Guardandosi intorno per assicurarsi che accanto al furgone non ci fosse nessuno, si tolse la camicia di maglia marrone rossiccio, poi estrasse dalla valigetta quella azzurra con il colletto abbottonato, e si mise gli occhiali scuri. Dopo essersi cambiato scese dal veicolo e si avviò veloce verso l'ingres-
so del centro commerciale. Si stava avvicinando mezzogiorno e dalle auto parcheggiate uscivano ondate di calore. A Barton, il caldo dava molto fastidio. Gli altri ragazzi l'avevano soprannominato «Fontana», perché sudava tanto. Così, e anche «Royal il ciccione». Era stato molto tempo prima, più di quanto gli sembrasse. Ma con la mente Barton non era mai troppo lontano dall'infanzia. Continuava a rimuginare le cose. Le persone che ricordavano volentieri la propria infanzia erano fortunate: avevano eliminato il dolore. Nell'attraversare il marciapiedi, chinò la testa per proteggersi dal sole e fu contento di entrare nel centro, che aveva l'aria condizionata. Anche ai suoi tempi i grandi magazzini avevano l'odore dei centri commerciali di adesso. Era il profumo delle merci. Quell'odore lo riportava sempre a quando era giovane e la sua banda - beh, non realmente la sua, quella di cui faceva parte - andava in bicicletta fino al Woolworth, all'angolo della Main Street con la Mariposa, dove avevano degli scaffali di fumetti, pistole a capsule, soldatini e un banco di ristoro dove si potevano comperare un hamburger e una Cherry Coke grande per settantacinque centesimi. Naturalmente non faceva davvero parte di quella banda di ragazzi, ma andava in bici con loro. O piuttosto, prendeva la stessa strada. I ragazzi si sedevano tutti al banco, lui in un tavolino lì vicino. Ricordando quei giorni fece un lieve sorriso. La mamma gli aveva dato una solenne battuta quella volta che si era fatto sorprendere a sgraffignare dei fumetti di Paperino. Se solo fosse riuscito a farla franca e a prenderne uno per ogni membro della banda, forse l'avrebbero accettato. La mamma gliele aveva date proprio in mezzo al soggiorno. Poi avevano guardato Have Gun Will Travel e lui era rimasto disteso sul pavimento dove lei l'aveva lasciato. Passò davanti alla Midplains Savings e alla gioielleria Wilton, con la vetrina principale letteralmente stipata di spille di ceramica a forma di fiori, di cappellini e di coccinelle. In un'altra vetrina dovevano esserci almeno tre chilometri di catene d'oro. Il centro commerciale era abbastanza affollato. Quando si trovava fra la gente, Barton non poteva fare a meno di guardare le facce delle persone. Era anche sensibile al tipo di pelle. Una pelle liscia e chiara lo ispirava. Gli piaceva sfiorare un soffice braccio o una bella mano. Gustare la sua dolcezza salata, aspirare la sua miracolosa varietà di aromi... cose simili osava soltanto sognarle.
Passò di nuovo davanti alla sala giochi e di nuovo vide il ragazzo, ancora intento al suo gioco da deficienti. Barton fece un profondo respiro, smise di camminare e chiuse gli occhi per un istante. Adesso veniva la parte più pericolosa: entrare nella sala giochi. All'inizio c'era uno skeeball game, un tiro al bersaglio che si gioca con palle di gomma dura su una pista inclinata di legno. Vicino, era disposta una vetrinetta chiusa a chiave piena di cianfrusaglie e di dolci da quattro soldi, contrassegnati da un numero ridicolo: cinquanta tagliandi per avere un libriccino con una scelta delle poesie di Whitman, mille per degli occhiali da sole da quattro soldi. I giochi elettronici rappresentavano tutti lotte e morti violente, omicidi. Fomentavano il maschilismo e rafforzavano il razzismo ancora inconscio dei ragazzi. Non richiedevano di riflettere. Occorreva piuttosto quello che esigeva la strada: destrezza e astuzia animale. Barton si avvicinò al ragazzo. Il cuore cominciò a battergli forte e le ascelle a bagnarsi nonostante il potente antitraspirante. Vedeva la schiena del ragazzo muoversi in sintonia con il respiro. Non era più una fantasia; era un essere umano in carne e ossa, con una maglietta a strisce bianche e blu e un paio di calzoncini neri. La vulnerabilità dei bambini riusciva a intimidirlo in modo straordinario. Barton era romantico e non gli piaceva considerarsi come un predone. Avvicinarsi a quei bambini significava anche vederne le imperfezioni, che potevano rovinare tutto... o rivelarsi deliziose. Sul lato della mano sinistra del ragazzo, perfettamente bianca, c'era un piccolo neo marrone. Un altro, più in alto, sul braccio. Quelle non erano imperfezioni determinanti, come si erano dimostrate la dannata bocca di Jack o la voglia nera su una coscia di Timmy. Accrescevano piuttosto in modo quasi doloroso la bellezza del bambino. Osservare quel ragazzino sensibile giocare a Space Harrier era come vedere un angelo far fuori una bottiglia di gin. Barton si avvicinò ancora. La pelle del ragazzo risplendeva nella livida fluorescenza della sala giochi. A Barton costò uno sforzo tremendo non toccare la pelle calda e liscia della sua mano, non sfiorare il neo con un dito. Quando il bambino terminò il gioco, Barton mise una moneta da un quarto di dollaro in una macchinetta lì vicino. Era un gioco per due persone. Con voce tremante chiese: «Accetti una sfida?» «Certo.»
Una voce stupenda! Sommessa, eppure molto melodiosa. E una vera sorpresa: era una voce educata! Il ragazzo si accostò e infilò una moneta dalla sua parte. Arrivava appena alla spalla di Barton. Anche se cercò di fare del suo meglio, Barton fu sconfitto tre volte di fila, e lo trovò simpatico. Non parlarono sino alla fine, quando il ragazzo lo guardò e con una scintilla negli occhi gli chiese: «Vuol giocare a soldi?» Barton sorrise: «Mi è già costato abbastanza». Il ragazzo rise e si avvicinò al suo amico dai capelli scuri. Un istante dopo gli giunse la voce canzonatoria dell'altro ragazzo: «È solo un frocione». Il bambino lanciò a Barton una rapida occhiata. Nei suoi occhi dolci c'era un accenno di scuse. L'amico del bambino aveva, oltre ai foruncoli e ai capelli neri come il carbone, un lungo viso cavallino. All'improvviso, Barton si rese conto che poteva essere un potenziale testimone! Doveva andarsene, anche se avesse significato perdere il ragazzo. Era un pensiero orribile! Nei pochi minuti trascorsi a giocare con lui c'era proprio cascato: non riusciva a sopportare l'idea di non vederlo più. Ma la prudenza esigeva che se ne andasse immediatamente. Il furgone-camper era un forno. Accese il motore e mise al massimo l'aria condizionata. Gli abitanti del posto continuavano a ripetere quanto fosse calda e secca quell'estate. Il granturco era striminzito e gli agricoltori avevano bisogno di pioggia. Anche Barton aveva imparato a parlare di quell'argomento. Ogni mattina leggeva lo Iowan di Stevensville e quando la cameriera gli serviva la colazione era in grado di dire qualche parola sul tempo. In quel modo, se le avessero fatto delle domande la donna avrebbe potuto riandare con il pensiero a quegli ultimi giorni e dire: «No, agente, non ricordo affatto un tipo insolito». Non avrebbe detto: «Ma sì, adesso che ne parla c'è stato un tipo che ha mangiato qui qualche volta. Molto tranquillo. Non diceva mai una parola. Teneva la testa bassa». Ma, a parte le cameriere, c'era un testimone diretto, oculare: «Sì, agente, al centro commerciale c'è stato un tizio che ha parlato con lui». Poi sarebbero seguiti la descrizione, l'identikit, il poster. Buona idea, quegli occhiali scuri. Lasciò il parcheggio e si diresse in fretta verso l'uscita più vicina. Una volta sulla Lincoln Avenue si avviò verso il Burger King. Mangiare l'avrebbe aiutato a passare il tempo.
Si mise in fila dietro a una Camaro azzurra. C'erano sopra tre ragazze dai sedici ai diciott'anni. Desiderò poter dire loro qualcosa sul fatto che fumavano, dar loro qualche consiglio a proposito del loro vizio. Erano tutte così giovani! Le osservò mentre ordinavano panini giganti, patatine fritte, frappé e dolce. Quando parlavano, le loro teste bionde ondeggiavano, la pelle di quella che guidava scintillava al sole mentre trafficava con il pulsante del microfono. Se fosse riuscito a far breccia in tempo su un ragazzo, ne era convinto, avrebbe potuto trasformare chiunque in un essere umano istruito. Con le debite attenzioni, l'anima sarebbe fiorita. «Un Whaler con un'insalata con gorgonzola», disse allo sportello delle ordinazioni quando arrivò il suo turno. «E un bicchiere di tè freddo.» Non «tefreddo», come dicevano tutti. «Tè... Freddo.» Erano due parole, non una. Mentre la Camaro lasciava libero lo sportello di consegna, si avvicinò e ritirò quello che aveva ordinato. Con il cibo sul sedile di fianco, si immise di nuovo nel traffico, accelerando. Lottò contro il desiderio di ritornare al centro commerciale prima di quanto gli consigliasse la prudenza. Per favore non andartene, figliolo. Suo padre gli aveva detto queste parole, e a Barton piaceva far finta di essere lui un padre. Il potere è l'afrodisiaco più grande. Si costrinse ad andare sulla interstatale per ammazzare il tempo ancora un po', prima di cercare di nuovo il ragazzo e di seguirlo fino a casa sua. Potevano essere necessarie estenuanti ore di ricerca, quella volta. Proprio non lo sapeva. Era una cosa del tutto nuova, per lui. E per quanto riguardava come prendere il ragazzo, le sue, più che un piano, erano ancora solo delle fantasie. Avrebbe funzionato? Non ne aveva la più pallida idea. Continuò a guidare dando piccoli morsi nervosi al panino, pensando al ragazzo. Non aveva una voce meravigliosa? Proprio eccezionale. E quel viso straordinario. La parola «bello» non era sufficiente, e «carino» era umiliante. Quel ragazzo aveva qualcosa di miracoloso. Anche una semplice occhiata a una simile bellezza era un privilegio speciale. Barton stesso non era bello, e non lo era mai stato, ma si era trasformato, da solo, in un'anima nobile. Le spesse nuvole bianche gli ricordarono il passato. Aveva cercato di
trovarvi delle forme, e credeva di aver visto l'Olandese volante; ma sua madre gli aveva detto: «Là c'è una forca con un impiccato, e il vento gli sta strappando via la testa». Era piena estate anche allora: ondate di calore si sollevavano dai campi, sulle strade si vedevano dei miraggi e le ragazze indossavano aderenti abitini di cotone. I suoi amici sarebbero andati in campagna e lui li avrebbe seguiti, spingendo al massimo la sua vecchia bici per non rimanere indietro. Nelle ore più calde della giornata si sarebbero recati al Salado Creek portando fumetti e avrebbero letto sorseggiando le bibite fredde e parlando degli ultimi avvenimenti. Il furgone percorreva la superstrada con un mormorio sommesso. Il Whaler sapeva di plastica, come se il caldo avesse fuso nel pane un po' del contenitore. Era arrivata un'estate in cui era stato l'unico bambino a non andare da qualche parte o in campeggio, ed era troppo cresciuto per scendere al Salado Creek. Alla fine aveva dovuto affrontare la dura verità: l'infanzia non era eterna. Quando, quell'autunno, erano sbocciati i fiori sul graticcio nel cortile posteriore, era stato invaso da un'ansia leggera che lo nauseava e che non l'aveva più abbandonato. Non rimpiangeva l'infanzia perché era stata felice. Non lo era mai stata, felice. Quello che desiderava era sfuggire in qualche modo alla sofferenza. Solo, in riva al Salado, aveva avuto per la prima volta quella specie di fantasia che gli faceva ancora rivoltare lo stomaco per il disgusto anche se gli risvegliava il desiderio. In quel sogno a occhi aperti gli altri ragazzi lo trascinavano, nudo, fin sulla riva del torrente. Lo stendevano con il viso in su e la testa che pendeva sull'acqua, in modo che potesse vedere il cielo e i cipressi che ondeggiavano piano. Poi gli spingevano indietro la testa finché non si trovava sott'acqua. Disperato, lottando contro l'acqua che si faceva strada a forza su per il naso, si rendeva oscuramente conto che qualcuno lo toccava dove non avrebbe dovuto. Quella fantasia era cattiva, era un peccato. I suoi sforzi per sopprimerla erano stati tanto intensi, che più volte aveva immaginato di perforarsi il cervello con un ferro incandescente. Quello che desiderava adesso era un rapporto puro con un bambino, che fosse la prova della bontà che era in lui. Avrebbe potuto essere un buon padre e un amico molto speciale. Doveva dimostrarlo a se stesso. Dando
gioia a un bambino avrebbe potuto guarire le ferite della propria infanzia. Era quello il suo obiettivo. E così continuava a cercare il rapporto perfetto con il bambino perfetto. Sognava di potersi guardare indietro, un giorno, e di poter dire: «L'ho reso felice». Allora tutto sarebbe tornato a posto. Quanto più vicino alla perfezione era il bambino, tanto più richiamava in Barton ricordi del passato: gli alberi in fiore, le voci, le facili risate dei vecchi tempi, e «Royal il ciccione» e «Fottiamoci Fontana» e, mio dio, se solo avesse potuto rimediare al passato! I ricordi più tristi sono quelli che non riescono a essere meravigliosi. Per arrivare più vicino ai ragazzi, era diventato bravo a sembrare uno di loro. Aveva imparato a fare amicizia con loro usando una combinazione di gentilezza e di fermezza. Aveva imparato le loro piccole manie e le loro mode. Si rendeva conto dell'importanza del Nintendo e delle differenze fra Super Mario Brothers Due e Super Mario Brothers Tre. Sapeva tutto delle tartarughe mutanti Ninja. Quando le cose con Timmy stavano andando bene, il ragazzo lo aveva baciato come avrebbe potuto fare con un padre. Il padre di Barton era morto quietamente, come una falena che sale in cielo. «Ti voglio bene, papà!» Lui si era chinato sul corpo immobile del padre e aveva pronunciato quelle parole. Sulla tomba aveva letto una delle sue poesie, e sua madre aveva detto: «È stato un bel pensiero». Ogni domenica dopo la sua morte metteva sulla tomba un unico ramo di lillà. Il dolore di sua madre era stato tanto intenso ed era durato così a lungo da sembrare un tetro passatempo. Spesso Barton cercava di capire perché aveva fatto quello che aveva fatto. Era colpa di papà? Della mamma? Sua? Gli era successo qualcosa di terribile che aveva dimenticato o era stato una somma di piccole delusioni? Gli altri bambini erano stati dannatamente duri, con lui. Tutte le volte che ci pensava diventava quasi pazzo di rabbia. Ma non era pericoloso. Pregò per il nuovo ragazzino. «Dio, fa' che sopravviva.» Se solo non fosse esistita la camera nera, se solo non li avesse mai portati laggiù, se solo... Quel bambino aveva bisogno di lui. 2
Billy non si impegnava sul serio allo Space Harrier, perché aveva la mente occupata da qualcos'altro. L'American Legion aveva indetto un concorso per un racconto sullo Iowa e lui aveva l'intenzione di vincerlo. La sua principale molla era il fatto che il primo premio ammontava alla stupefacente somma di cinquecento dollari. Aveva già anche un'idea, nata da una lettura estiva consigliatagli da Jim McLean, il suo insegnante d'inglese. L'ispirazione gli era venuta leggendo La metamorfosi, di Kafka, e aveva pensato a un agricoltore tipo dello Iowa che si svegliava un giorno e scopriva non solo di essere diventato, durante la notte, un insetto gigante, ma che lo erano diventati anche gli altri agricoltori della zona, e che tutti erano affamati di granturco. Billy era entusiasta del racconto, così concentrato da non riuscire a battere il record dello Space Harrier. Per quanto riguardava i giochi elettronici, preferiva di gran lunga il Dungeonmaster sul suo computer Amiga. Era già abbastanza avanti nel livello dieci, e secondo il suo calcolo delle probabilità aveva una buona possibilità di resistere sino alla fine del gioco. Si chiese che cosa sarebbe successo se ci fosse riuscito. Quando si arrivava in fondo a Super Mario Brothers, l'omino si sdraiava e si metteva a dormire. Non era certo gran che, considerata la difficoltà dell'impresa. Giocava da solo; i livelli più alti del Dungeonmaster erano troppo difficili da superare con un gruppo di ragazzi che discutevano ogni mossa che facevi e si arrabbiavano se non gli lasciavi fare un turno. Jerry Edwards era già imbronciato per le prestazioni di Billy allo Space Harrier. Billy si annoiava con giochi come quello, adatti a chi aveva il cervello in tilt, ma per Jerry era come scalare una montagna sul sedile posteriore della station wagon dei suoi genitori. Essere un ragazzo sveglio in un posto come Stevensville era anche più scomodo di quanto non fosse stato nell'ultima città, Iowa City. Lo Iowa non era uno Stato popolato da geni, diceva suo padre, ma compensava quella deficienza con un grande cuore. Puah! Almeno era meglio del New Jersey, dove i trafficanti di droga ti stavano sempre alle costole, e qualche volta inseguivano i ragazzi e li costringevano a farsi il crack con la forza. Suo padre era stato licenziato dalla scuola del New Jersey prima di essere licenziato da quella di Iowa City. Era così che Billy metteva ordine al proprio passato: un licenziamento dopo l'altro. Suo padre era uno spirito
libero, e quindi lo licenziavano con regolarità. Poteva urlare e agitare le braccia tutto eccitato per LaFollette, per Gus Hall e per il Comitato Attività Antiamericane. Era capace di farsi beffe apertamente di tutto, dallo statuto della CIA alla Risoluzione del Golfo del Tonchino, una cialtronata dei tempi del Vietnam che lui non aveva ancora dimenticato. Le sue idee erano spesso piuttosto imbarazzanti, ma il modo in cui ti voleva bene compensava tutto il resto. «Stevensville è un posto molto tollerante, molto tipico del Midwest», diceva suo padre. «Spero di resistere almeno due semestri interi.» Billy aveva disgustato Jerry abbandonando lo Space Harrier a metà di un gioco. Tre minuti dopo che Jerry aveva afferrato i comandi comparve il segnale GAME OVER. Billy superò un livello dopo l'altro dell'Afterburner mettendo insieme mentalmente il suo racconto. Schivava e svirgolava, andava in picchiata e risaliva, e pensava quanto sarebbe stato bello essere davvero come Kafka. Voglio dire, Gregor Samsa si è semplicemente trasformato in un grande insetto. Sua madre gli ha tirato una mela, che gli si è conficcata nella schiena. Faceva perfino lo stesso rumore di un insetto, ma era troppo grande perché potessero schiacciarlo. I suoi erano molto imbarazzati. Era un racconto veramente bello. Quando, in luglio, erano andati a Des Moines, Billy aveva fatto una fotocopia molto nitida del ritratto di Kafka e si era fatto fare una maglietta con la scritta KAFKA VIVE. Il suo racconto avrebbe rivoltato lo stomaco a tutti quanti: sarebbe stato molto divertente. Sarebbe stato quello scritto meglio, certo. Ma avrebbe poi vinto? Solo se la giuria avesse avuto il coraggio di riconoscere quello effettivamente migliore. Sarebbe stato pubblicato di certo sul numero di autunno della rivista letteraria della scuola media inferiore di Stevensville, il Biblion. Quelle ragazze che si credevano esseri superiori e facevano palloncini con la gomma da masticare, l'avrebbero letto e avrebbero detto: «È davvero, beh, poco elaborato, per così dire». Avrebbero anche detto: «Quel Billy Neary è così fuori!» All'improvviso l'aereo di Billy si schiantò. Lui fissò lo schermo, osservando il fumo che si levava mentre il suo jet precipitava su una città. Ecco che cosa succedeva a ideare un racconto mentre si faceva un gioco le cui mosse si misuravano in centesimi di secondo. Per nascondere l'imbarazzo si allontanò immediatamente dallo schermo. Aveva una reputazione da proteggere. «Hai fatto fiasco, Neary, ti ho visto!»
«E l'andrai a dire al mondo intero.» «Certo!» «Una volta o l'altra ti farò uno di quei regalini...» «Hai fallito il livello dieci. Non riesco a crederci.» Jerry afferrò la testa di Billy e vi diede dei colpi. «Sì, lo pensavo.» Lo colpì ancora. «Senti? Sembra che ci sia dentro del legno.» La presa era dolorosa, ma Billy non voleva darlo a vedere. «Vuoi dire che sono una testa di legno? Mi fai morire dal ridere.» «No, ragazzo, quel rumore vuol dire che hai un tumore al cervello.» «Il mio secondo nome è Melanoma. Se mi spezzi il collo vomiterò sulle verruche che hai sul petto.» Jerry affondò ancora di più le nocche nella testa di Billy. «Ti renderò pan per focaccia», sibilò Billy. Jerry doveva sapere che le minacce di Billy non erano campate in aria. «Ricordati la faccenda del cesso, ragazzo.» Billy aveva buttato un petardo giù per lo scarico della toilette, al Cinema Tre e aveva fatto in modo che la colpa dell'esplosione ricadesse su Jerry. «Me la ricordo benissimo, figlio di puttana.» «Ehi, i bambini non parlano in quel modo.» «Col cazzo.» «Lasciami andare o metterò una bomba a orologeria nella cassetta postale di Lacy e daranno la colpa a te.» «Lacy va a letto con mio padre.» «Come con quasi tutti gli altri uomini della città. Sai che non puoi permettere che Lacy dia la colpa a te.» Jerry lo lasciò andare, non per le minacce, ma perché qualcosa aveva attirato la sua attenzione. «C'è quel frocione che hai strapazzato prima.» «Non è un frocio, è la sorella gemella di Lacy.» «Non parlare così del capo della polizia. Non è patriottico.» Gli occhi dell'uomo si girarono furtivi. Billy si sentì esaminato. «Forse puoi cavarci un paio di dollari, da quell'uomo, se lasci che ti faccia un pompino.» «Grazie, Jerry, ma posso fare a meno di quel genere di guadagni.» «Il tuo problema è che non hai il bernoccolo degli affari.» «Vuoi dire che non do il bernoccolo per affari.» «È una battuta, o sei tonto?» «Una battuta brillante.» «Una cazzata.»
Era ora di pranzo e Billy aveva fame. Le sue finanze erano tanto malandate che pranzare al Burger King o da McDonald's gli sembrava eccessivo, quindi decise di andare a casa a mangiare pane burro e marmellata o, se sua madre era disposta a cucinare, un panino caldo al formaggio. Billy uscì dal centro commerciale, tolse dalla rastrelliera la sua Schwinn dall'aspetto spettacolosamente antiquato e se ne andò pedalando. La sua bicicletta gli piaceva proprio perché era vecchia e poco sofisticata tecnicamente. L'antichic piaceva, specie in una città piena di Hard Rocks scintillanti montate da ragazzi in scintillanti British Knights e Nike Airs. E poi, andare su una bici vecchia e ordinaria e indossare vestiti vecchi e ordinari piaceva al suo vecchio e ordinario papà. Per andare a casa fece la solita strada, deviando solo un istante nel parcheggio del Burger King per vedere chi c'era, anche se era abbastanza sicuro che Amanda e le altre ragazze degne di essere guardate non avevano ancora alzato il culo dal letto, conoscendo bene la loro routine estiva. La maggior parte di loro si sarebbe sentita imbarazzata se avesse preso un Egg Beater prima delle due e mezzo del pomeriggio, al più presto. Anche se era certo che le avrebbe prese, aveva l'intenzione di dichiarare il suo amore ad Amanda alla prima occasione. Avrebbe accettato anche di prenderle da Jerry. Amanda aveva già fatto un'osservazione su Jerome probabilmente fatale per le speranze di Billy: «Gli crescono i peli su tutto il torace». «William, mio piccolo vecchio minicazzo dodicenne», aveva detto Jerry, «rinuncia. Non le piacerà mai il tuo aspetto da ragazzina.» «Sono sicuro che le piaceranno il tuo spirito, la tua vivacità e la tua intelligenza.» «Le piacerà il fatto che ho tredici anni e mezzo e che posso ottenere un'erezione che funziona.» «Accidenti, funziona molto?» «Solo quando me lo faccio succhiare dagli stronzi come te. Senti, Billy, se in un modo o nell'altro la convinci a forza a parlare con te ti strapperò le orecchie.» «Perché ti preoccupi tanto? Non ti senti sicuro?» «Mi piace far fuori i tipi come te, Billy. Sul serio. L'ultima cosa di cui lo Iowa ha bisogno sono altri cervelloni.» «I cervelli significano soldi, bambino caro.» Naturalmente tranne che nel caso di uno come papà... «Io non ho cervello. Vengo da una famiglia di tonti. Mio padre riesce a
stento a far funzionare un ascensore automatico. È per questo che viviamo in una piccola città, perché non ce ne sono. Ma possiede un pezzetto di questo centro commerciale, un pezzetto del Sears e circa seicento acri coltivati a granturco. E non dimenticare, figlio di insegnante, che fa parte del comitato per l'istruzione scolastica.» «Questo spiega perché il comitato non ha niente a che fare con i cervelli.» «E perché dovrebbe? È chiaro che la scuola non c'entra con l'apprendimento. Si occupa solo di vincere le partite di pallacanestro.» «Verrà anche a me il senso dell'umorismo, quando avrò un'erezione come le tua?» «Non l'avrai mai, junior. Non l'avrai mai.» Così stavano le cose. Probabilmente sarebbe arrivato il giorno in cui Amanda avrebbe dimenticato Jerry, ma non per Billy Neary, con il viso da bambino, la sua vecchia bicicletta, la sua vecchia automobile, i suoi vecchi vestiti e il suo Walkman da quattro soldi. Non avrebbe mai ammesso una cosa simile con Jerry o con qualsiasi altra anima viva, ma cominciava a chiedersi come sarebbe stato arrivare alla pubertà. Naturalmente sapeva tutto, grazie alle «conversazioni» sull'educazione sessuale che il padre gli impartiva con voce stentorea, incredibilmente imbarazzanti. Ma com'era, in realtà? Quando Billy entrò nel vialetto d'accesso scoccava mezzogiorno. In cucina, la tavola di formica rossa era apparecchiata per una sola persona. Sua madre aveva sì preparato un panino caldo al formaggio, ma per la sorella maggiore. Se ne infilò in bocca metà mentre Sally, senza alcun sospetto, frugava nel frigo in cerca di qualcosa da bere. «Schifoso ladruncolo!» «Un piccolo errore.» Aprì la bocca piena di formaggio. «Un cheddar eccellente», osservò. Lei fece per colpirlo con la paletta per il gelato, che stava nel lavello. Poi fissò la paletta, inorridita. «Il mio Heathbar Crunch!» esclamò, e aprì di scatto il frigo. «Papà», urlò, «hai mangiato il dolce che avevo comperato con i miei soldi!» Buttandosi la paletta dietro le spalle si precipitò fuori. «Odio gli uomini!» Suo padre stava guardando gli Orioles che sconfiggevano inesorabilmente, anche se con poca grinta, New York e non batté ciglio. «Uno a zero, e siamo nel pieno del nono inning», osservò mentre Billy attraversava il suo studio.
«Io ho mangiato il suo pranzo, tu il suo dessert. Con ogni probabilità cercherà di vendicarsi.» «Di me ha paura, sono troppo grosso e orribile. Se la farà con te.» «Me ne vado nel seminterrato a lavorare al mio racconto.» «Hai già una trama?» «Gli agricoltori dello Iowa trasformati in insetti giganti.» «Non ho letto alcun titolo del genere sul Weekly World News, alla A&P?» «Papà, è basato su Kafka.» «Gettare Kafka in pasto alla American Legion. Ti daranno di sicuro i cinquecento verdoni, per una cosa simile.» «Beh, sarebbe divertente scriverlo.» «Che ne diresti di qualcosa di impertinente? Bruciare la bandiera, per esempio?» «I fiammiferi mi fanno paura.» «Mio dio, ha colpito la palla. Oh, è un fallo. Comunque quello è un giocatore interessante.» Billy ebbe cura di chiudere a chiave la porta del seminterrato per prevenire un'incursione da parte della sorella. Seduto al suo beneamato computer, Billy decise che sarebbe stata una giornata abbastanza buona per andare avanti nel suo lavoro. Era pomeriggio, nel seminterrato faceva fresco e nascosto dietro il banco del computer lo aspettava un grande Butterfinger. C'era anche una birra, ma questo faceva parte di un'altra sceneggiatura. Portare giù Amanda, impressionarla con il suo computer da sballo, bere un po' di birra, poi, beh, tentare un approccio. Billy Neary e le sue Fantasie Galoppanti. Sospirò, poi accese il computer e caricò il ProWrite dall'hard disk. Lo schermo bianco sembrò guardarlo. Era una notte buia e tempestosa... No, l'attacco non era sufficientemente scontato per accontentare l'American Legion. Una mattina, quando Bob Hughes si svegliò dopo avere sognato il proprio granturco, si trovò trasformato in un enorme parassita del mais. Di quell'agricoltore era rimasto solo il parrucchino.
Accidenti, sarebbe una cosa estremamente divertente, pensò, ma papà ha ragione, non vincerebbe il concorso dell'American Legion. Cancellò tutto e fissò lo schermo vuoto. Il giovane Freddy Krueger amava profondamente il proprio Paese, e specialmente la sua bella bandiera. Un'idea schifosa, per un racconto, ma papà aveva chiuso lo sportello dei prestiti in luglio, e Billy era ridotto ad annusare l'alito della gente dopo che aveva mangiato un hamburger. Il suo ultimo dolce era a una cinquantina di centimetri dalle sue mani tremanti. Doveva scrivere un racconto vincente. Avrebbe difeso la sua bandiera a costo della propria vita. Per un patriota come Freddy significava tutto. E anche qualsiasi altra cosa. Forse avrebbe fatto meglio a a usare un nome diverso da Freddy Krueger. Magari non avrebbero fatto il collegamento con quei film dell'orrore, ma perché rischiare? Avrebbe chiamato il proprio personaggio Martin Bormann. Non avrebbero capito, neppure in un milione d'anni, che era uno dei più amati, dei più cari criminali di Hitler. Continuando a fissare lo schermo, Billy allungò una mano verso il Butterfinger. Il fatto era che voleva divertirsi; un racconto sulla bandiera non era divertente, era un lavoro noioso. Chiuse il ProWrite e si gingillò per un poco con il canto dell'uccello che aveva registrato la sera prima. Per tutta l'estate aveva cercato di fare in modo che quell'uccellino gli rispondesse. Spesso, quando c'era la luna, lo sentiva cantare sul filo della luce dietro la casa. Aveva cercato di imitarlo, ma fino a quel giorno l'uccellino non aveva mai risposto. Billy aveva registrato il canto con la speranza di riuscire a riprodurlo meglio. In quel momento stava confrontando l'immagine digitale del canto dell'uccello con i propri tentativi. Lentamente, ma con sicurezza, stava avvicinandosi alle note dell'uccello. Sarebbe stato eccezionale fare conversazione con un uccellino. Naturalmente sarebbero stati semplici suoni. Non conosceva nessun vocabolario. Poteva immaginarsela così: Uccello: «La luce della luna-a-a è tanto do-olce-e!» Billy: «Ho una pi-izza-a nell'o-orecchio!» Uccello: «Che stro-onzoo se-ei!» Si assorbì completamente e, come sempre quando succedeva, il mondo attorno a lui non esisteva più, spariva. Sua sorella tolse il secchio d'acqua
che aveva piazzato sopra la porta del seminterrato per vendicarsi e trascorse il resto del pomeriggio a fare un dolce di cioccolata con i pecan, con il solo scopo di nasconderlo a quei due maledetti uomini. Lentamente, con attenzione, Billy costruì la sua risposta all'uccellino. Era una musica profonda, dai suoni stupefacenti, belli e strani insieme. Le ombre avanzarono dalla parte del locale dove si trovava il forno, dalla carbonaia in disuso, dai gradini che portavano alla porta doppia con le cerniere arrugginite e il chiavistello penzoloni. Essendo un sabato sera d'estate, per la cena ognuno poteva scegliere liberamente quello che preferiva, nessuno chiamava e la tavola non veniva apparecchiata. Alle sei mangiò il Butterfinger, sperando che gli tenesse alto il tasso degli zuccheri fin verso le nove, quando sarebbe arrivato Jerry e sarebbero andati insieme al Burger King. Gli aveva promesso di pagargli un cartoccio di patatine. Alla fine, nel seminterrato non ci fu altra luce che il pallido bagliore del monitor. Erano le otto e mezza quando Billy lasciò il lavoro e si sfregò gli occhi. Notò con blando interesse che da una delle finestre del sotterraneo si vedeva un paio di gambe. Qualcuno stava in piedi là fuori. Papà? Jerry, che portava inesplicabilmente un paio di pantaloni grigi? Lascia perdere, non ha nessuna importanza, si disse. E invece ne aveva. 3 Quando aveva visto quella marea di ragazzi nella sala giochi, Barton si era sentito male. Era bastata mezz'ora per riempire il locale. Dovevano essere arrivati in massa sin dal momento in cui se n'era andato. Avrebbe dovuto restare; tra la folla non sarebbe mai riuscito a scorgere il suo ragazzo. Ma era stato visto, non aveva altra scelta. Anche in quel momento era ovvio che cercava qualcuno. Proseguì fino alla libreria. Sfogliò distrattamente un nuovo romanzo, Fuoco. Dio, che titolo sconvolgente. La gente non sapeva quanto potesse fare male il fuoco, a meno che non avesse visto qualcuno che veniva bruciato. Se una persona ha delle bruciature molto estese comincia ad avere freddo. Dopo un trattamento completo, trema come se stesse in un frigorifero... non che Barton lo sapesse per esperienza diretta. E poi esisteva quella cosa, l'urlo selvaggio. Quando una persona sapeva che le sue sofferenze sarebbero finite solo con la morte, era in quel modo
che gridava. La camera nera aveva i mattoni isolanti più costosi che esistessero in commercio, e le pareti in calcestruzzo avevano spessore doppio. Inghiottivano le grida. Se c'è anche un unico posto sulla terra in cui puoi fare ciò che vuoi, sei libero. Un ferro da stiro a vapore. Barton si sentì lo stomaco sottosopra. Depose il libro e passò di nuovo davanti alla sala giochi. Guardò con la coda dell'occhio, disinvolto. Eccolo là, l'angelo, insieme al ragazzo più grande che era con lui anche prima. Barton era furioso. Se la situazione fosse stata diversa avrebbe potuto intervenire. Poi il ragazzo più alto lo vide. Mentre si allontanava si accorse che lo indicava all'angelo. Accidenti, non doveva succedere nemmeno una volta, due poi! Se fosse rimasto nel centro commerciale si sarebbe sentito a disagio, quindi ritornò nel suo furgone. Afferrò il volante e fissò il parcheggio deserto. Stevensville poteva essere una piccola città, ma il Centro Commerciale Crossland era enorme, destinato a servire tutta quella parte dello Stato. Che cosa doveva fare? Era stato notato, e con certezza, un'altra volta. Poi accadde un miracolo. Dio l'amava: vide il suo ragazzo uscire dal centro commerciale da solo. Girò in fretta la chiave di accensione mentre il ragazzo si dirigeva verso la rastrelliera delle bici. Barton riandò con il pensiero alla prima volta in cui aveva visto Jack, un pomeriggio di ottobre. Nelle strade volteggiavano le foglie gialle e una enorme pubblicità della Pepsi si librava nel cielo azzurro. Era stato nel centro commerciale Mill Run, a Tappan, in California. Il motore si accese, e per la prima volta Barton pensò che sarebbe riuscito a prendere quel bambino. Il ragazzo tolse il lucchetto alla sua vecchia bici e si avviò verso l'uscita. Nonostante il rischio di perderlo, Barton attese trenta secondi interi prima di seguirlo. Doveva sottostare a regole ben precise durante le sue ricerche. Era importante sapere come respirare, come muoversi, come liberare la propria mente e concentrarsi con la più completa attenzione. Infine si avviò, muovendosi con quella andatura lenta adottata dalla maggior parte degli automobilisti nei parcheggi dei centri commerciali. Avrebbe voluto pigiare l'acceleratore a tavoletta. Quando lo scorse di nuovo, il ragazzo stava già voltando nell'affollata Lincoln Avenue. Accelerando gradatamente, Barton si immise nel traffico
e superò il ragazzo. Lo tenne d'occhio con lo specchietto retrovisore speciale, grandangolare, che aveva comperato proprie per quel genere di operazioni. L'aveva acquistato quando seguiva Timmy. La tecnica era andare avanti e lasciare che il ragazzo ti raggiungesse. Povero Timmy. Era stato... Non ora, Barton, si disse. Adesso era a caccia. Non era il momento dei ricordi. Si diede le istruzioni: inspirare, espirare. «Controlla il respiro e controllerai l'anima», dicevano quelli preparati spiritualmente. Il ragazzo entrò nel parcheggio del Burger King. Facendo velocemente manovra, Barton si portò fino all'estremità opposta del parcheggio. Mentre girava si aspettò di vedere la bici attraversare proprio davanti a lui, ma non c'era traccia né del ragazzo né della sua bicicletta. Barton guardò verso la strada appena in tempo per vedere la Schwinn scomparire dietro alcune auto parcheggiate. Uscì dal parcheggio più velocemente che osò. Il ragazzo era già lungo la strada e stava pedalando forte. Che cosa poteva significare? Di certo non l'aveva visto. Ne era sicuro. I ragazzi cambiano idea in un attimo. Benissimo. Avrebbe tenuto d'occhio la bicicletta. Era almeno a quattrocento metri... poi girò l'angolo. Per non perdere di vista il ragazzo, Barton dovette accelerare. Alla faccia della precauzione. Coprì la distanza fino all'incrocio in pochi secondi. Hicks Street. Percorse tutta la strada, che era fiancheggiata da alberi. Nessuna bici. Accidenti. Il ragazzo doveva abitare in una di quelle case. A meno che... Era anche possibile che fosse arrivato all'angolo seguente e avesse voltato ancora. Barton proseguì sino alla fine dell'isolato. Eccolo là che spariva in un vialetto d'accesso. Un attimo dopo Barton stava passando davanti al 630 di Oak Street. L'aveva in pugno. Il ragazzo portò in garage la bici e la lasciò cadere su una bici da ragazza, vecchia come la sua. Conosceva bene la casa. Barton fu praticamente sicuro che il ragazzo abitasse lì. Poi ispezionò la proprietà per controllare se ci fossero tracce di un cane. Quello che poté vedere del cortile posteriore gli rivelò che non era recintato. Non c'era nessuna cuccia. Non scorse nessun mucchietto rivelatore di feci, né tratti di erba morta, che indicavano la presenza di un cane vi aveva urinato sopra. Alla fine della Oak voltò nella Maple, risalì la Elm fino a Hicks e percorse una seconda volta il tratto della Oak con i numeri che lo interessavano. Se l'aspetto del cortile posteriore faceva pensare che non vi fosse nessun cane grande, dentro la casa poteva però esserci un animaletto più piccolo.
Quando avrebbe fatto irruzione doveva portare con sé un martello, della carne cruda e un sacchetto di plastica per il corpo dell'animale. Quelli come lui li prendevano solo perché erano persone che non si curavano dei dettagli. Non si poteva dare niente per scontato, non ci si poteva fidare di nessuno. Non aveva mai conosciuto persone simili a lui, ma aveva seguito le loro vicende su giornali e riviste e studiato i motivi del loro fallimento. Aveva perfino fatto del volontariato per Missing America, un gruppo di sostegno per i genitori dei bambini scomparsi molto famoso e diffuso. Doveva entrare nella mente dei genitori e della polizia come in quella dei bambini. Conosceva la legge. Sapeva esattamente che cosa avrebbe fatto scattare l'intervento dell'FBI. Conosceva anche la polizia, e sapeva quali indizi l'avrebbero indotta a sospettare che si trattava di una fuga. Se pensavano che un ragazzo se n'era andato di casa di propria volontà avrebbero dato meno importanza al caso. Il rapimento da parte di un estraneo era raro. Nella maggior parte dei posti era un crimine che faceva sensazione, che la comunità non dimenticava per anni e anni. Etan Patz, rapito a SoHo, a New York, nel '76, lo cercavano ancora. Jack era stato considerato un fuggiasco e si erano dimenticati di lui. Ma Timmy era su quei maledetti manifesti diffusi dappertutto. Di fronte a questa eventualità, Barton aveva reazioni contrastanti. La prospettiva che indagassero su di lui lo faceva svegliare di notte in un bagno di sudore, eppure quell'idea gli procurava anche un profondo fremito di piacere. La maggior parte dei tipi come lui prendevano i ragazzi direttamente dalla strada. Barton l'aveva fatto, in passato, ma il suo nuovo metodo era molto più ingegnoso e richiedeva maggiore abilità che non attirare semplicemente un ragazzo nella parte posteriore di un camper. Oltrepassò lentamente la casa che era al centro dei suoi pensieri. All'improvviso si rese conto che i suoi pantaloni erano sporchi. C'era una macchia sulla coscia. Da quanto tempo li aveva indosso? Non riusciva a ricordarlo. Avrebbe potuto essere dalla settimana scorsa, al tempo di Timmy. Disgustato, Barton cercò di scostare la stoffa dalla pelle. Inavvertitamente girò il volante e il furgone sbandò. Ecco, un altro momento di disattenzione. Qualcuno avrebbe potuto notare un furgone bianco che aveva fatto una sbandata il giorno prima della scomparsa di quel tal Johnny. E sotto ipnosi il testimone avrebbe potuto ri-
cordare il numero di targa. Era tanto facile fallire. Si diresse verso l'interstatale, guidando piano, per calmarsi. Avrebbe dovuto rassegnarsi a quella macchia. Comunque, forse era solo unto. Imboccò uno svincolo a circa venticinque chilometri da Stevensville e scese sotto un ponte dove aveva già individuato un buon posto per parcheggiare il camper. Ripensò a ciò che aveva visto. La famiglia viveva in un buon quartiere, ma la loro casa era visibilmente trascurata. Inoltre entrambe le bici dei figli erano vecchie e la station wagon in garage aveva visto giorni migliori. Erano buoni segni. Un bambino povero era più facile da abbindolare. Così erano in quattro, in famiglia, o anche più. Se non aveva un fratello di cui Barton non aveva visto la bici, era probabile che avesse una camera da letto tutta per sé, in quella vecchia e grande casa vittoriana. Barton guardò l'orologio. L'una e quaranta. Sarebbe ritornato in Oak Street solo dopo il buio, tra le otto e le otto e mezzo. Sarebbe stata la prima possibilità di controllare la casa a piedi. Se avevano il nome sulla cassetta della posta l'avrebbe saputo allora. Poiché era probabile che potesse agire quella notte stessa, doveva lasciare subito il motel. Secondo i suoi piani, si sarebbe diretto verso ovest direttamente dopo la cattura. Avrebbe dormito nel Colorado e nello Utah, vivendo nel furgone fino a quando non sarebbe arrivato a Los Angeles, e cioè il quarto giorno. Era una viaggio lungo, ma l'aveva già compiuto prima, impiegandoci esattamente quel tempo, e senza mai superare il limite di velocità. L'idea di essere fermato per eccesso di velocità con un ragazzo sul camper era troppo orribile da considerare. Forse stava esagerando. Avrebbe dovuto passare una settimana a Maui prima di andare lì. Stando così le cose, gli sarebbe stato difficile convincere Gina che la sua prolungata assenza era in qualche modo legittima, per non dire giustificabile. Eppure doveva cedere. Sarebbe stato un suicidio licenziare un impiegato così popolare. Nel suo piccolo era una stella. Aveva bisogno di un altro ragazzo e non poteva aspettare neppure un fottuto momento. 4
Una mano scese sulla spalla di Billy. «Papà!» «Lo sai che sono le undici?» «No, pensavo che Jerry sarebbe arrivato alle nove.» Suo padre rise. «È venuto. Gli hai detto di lasciarti in pace.» «Dovevo proprio mettere in ordine questa sequenza, papà. Ho sistemato tutti i miei dati, si tratta solo di collegare...» «Il giorno è finito, ornitologo.» «Non sono stanco.» «Non sei mai stanco.» «Allora lasciami finire. Voglio parlare a quell'uccellino.» «La formula di una lunga vita, come dice il saggio cinese, è letto, sonno e dolci sogni.» Salirono di sopra tenendosi per mano. Barton era disteso in cortile, sotto un vecchio albero contorto. Al chiaro di luna, l'ombra dei suoi rami disegnava dita rattrappite sull'erba. Quando infine la luce del seminterrato si spense, si alzò. Ma c'erano ancora delle luci accese al piano di sopra. Quella gente non dormiva mai? Era una notte splendida, e lui, ogni tanto, alzava gli occhi per guardare la luna attraverso i rami dell'albero. «Io vedo la luna e la luna vede me, in alto sulla vecchia quercia...» Nelle sue notti di ragazzo il vento veniva dal mare, a ottanta chilometri, portando con sé il magico sentore dell'oceano, mescolato ai profumi dei fiori che sbocciano di notte. Barton sognava malvagie onde verdi e il gigante che la Bibbia chiamava Leviatano. Silenzioso come un sussurro, Leviatano sarebbe sorto dalle profondità dei suoi sogni... Finalmente l'ultima luce si spense. Prima Barton aveva visto il ragazzo mentre giocava con il computer. Sullo schermo erano immagini estremamente complesse e poi c'era stato il suono di quella musica, bella e selvaggia. Aveva osservato il suo viso così grazioso concentrarsi, aveva visto la morbida curva del collo, la delicatezza delle sue mani di ragazzo e gli occhi ridenti e gentili. Era il ragazzo più perfetto che Barton avesse mai visto. Assolutamente perfetto. Si chiese come punissero quel ragazzo. Probabilmente lo rimproveravano soltanto, quella piccola carogna fortunata! Barton, invece, le prendeva sulle ginocchia della madre. Lo scopo del ri-
to era correggerlo e insegnargli. In ogni colpo c'era tanto amore, Barton lo sapeva. Suo padre non interveniva mai in suo favore. Non le diceva mai di smettere, non le diceva mai che gli faceva troppo male. Suo padre era così debole, in fin dei conti. Barton gli aveva messo la mano sul naso e sulla bocca. Aveva dovuto farlo, per vedere se era ancora vivo. Aveva chiamato la madre, che stava facendo la doccia. «Mamma, papà è morto.» Suo padre non si era mai avvicinato al suo letto, di notte. E lui non lo aveva soffocato. Si alzò, fece tre profondi respiri e si avviò verso la casa. I suoi passi sfiorarono l'erba bagnata di rugiada. Billy appese i vestiti. Come sempre discussero per la doccia. Primo, sulla durata. Secondo, sulla temperatura. Naturalmente la condizione ottimale era che fosse molto lunga e molto calda. Ma Billy sapeva che, così, rischiava di privare la mamma della sua acqua calda. Anche lei faceva la doccia di notte, e se succedeva una cosa simile poteva essere pericoloso. «Dato che vuoi fare una doccia tanto lunga, prendi anche la mia acqua calda.» «Ma è già fredda, mamma.» «Lo so.» Voleva che lei non rinunciasse ai suoi piccoli piaceri. Era lei che provvedeva a tanti bisogni. Suo padre era del tutto privo di abilità tecniche. Era lei che metteva insieme i regali di Natale, era stata lei che aveva collegato l'Amiga e gli aveva insegnato i primi rudimenti. Cose essenziali come il cibo e i vestiti venivano da lei, ed era sempre lei che capiva come la sua mente stesse compiendo grandi progressi. Gli aveva fatto conoscere Il giovane Holden, quando sua padre pubblicizzava ancora Tom Swift e il suo meraviglioso tostapane sottomarino. Billy si insaponò bene. Si lavò con particolare cura sotto le ascelle, perché aveva notato di nuovo un odore selvatico che gli aleggiava attorno nelle ore più calde della giornata. Lavandosi si toccò le parti intime. Amanda... Fu sul punto di svenire. Pensare a lei anche per un istante glielo faceva drizzare. Lo osservò sotto il getto dell'acqua, controllando che la porta fosse chiusa a chiave. Che cosa avrebbe fatto sua sorella se l'avesse visto? Probabilmente avrebbe chiamato la polizia. Che... cosa... avrebbe... fatto...
Amanda? Finirai con una bicicletta attorcigliata intorno al collo, ragazzo, pensò. Accidenti, se non funziona ancora, di certo sta per cominciare. Amanda... passeggiare con lei, mano nella mano, fino al gazebo al centro del McIntyre Park, mio dio, e là appoggiare le mie labbra sulle sue e compiere quei gesti piacevoli... In preda al desiderio, nell'intimità della doccia, affrontò il fatto che non aveva speranze. Amanda Bartlett non gli avrebbe mai prestata la benché minima attenzione. «Ach du lieber Augustine...» Com'era il resto? Due mesi lontano da scuola e aveva già dimenticato il tedesco. «Du lieber Amanda...» Non si fa colpo su una ragazza come Amanda facendo il segretario del Club Germanico. È ovvio. Jerry aveva dei forti muscoli e si muoveva con agilità sul campo di football sotto i suoi occhi che lo seguivano con ammirazione. Se William Neary dal viso di bambino le si fosse avvicinato e le avesse detto «Ich bin lieben... o lieber, ah...» non avrebbe potuto aspettarsi altro che il proverbiale umido Spaetzle. Quando l'acqua diventò tiepida la sua erezione cessò e lui uscì. Si asciugò e indossò il pigiama di cotone giallo. Camera da letto, letto. Dormire, forse... Le finestre del seminterrato erano isolate dal resto della casa, quindi Barton avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per entrare. Con la lampada a stilo esaminò un telaio, passando in rassegna i diversi punti deboli. Non voleva che rimanesse nessun segno, né di entrata né di uscita. Dal lavoro di volontariato con i gruppi che si occupavano dei bambini scomparsi aveva imparato che la polizia raramente aveva personale preparato a scandagliare i segreti delle famiglie e a leggere nel cuore dei bambini; i figli più amati potevano decidere di scappare di casa, e per ragioni sconosciute. Una ragazzina che era un bocciolo di rosa poteva finire a fare marchette sul Sunset Boulevard o in Lexington Avenue, e nessuno avrebbe mai saputo il perché. Barton voleva far credere che quel ragazzo avesse fatto i bagagli e se ne fosse andato di sua volontà. Ma prima doveva affrontare la parte più difficile; in realtà, era lo stratagemma migliore che avesse mai ideato. In tasca aveva dei fili di vario diametro, tessere di plastica di diverso spessore, qualche antiquato passe-partout comperato a una vendita all'aperto. A vol-
te, nelle piccole città le serrature erano abbastanza vecchie da rivelare i propri segreti a quegli attrezzi. Poiché la finestra era ben chiusa, provò con la porta. Fu lieto di riscontrare che entrare da lì non poteva essere più facile: il lucchetto era stato fissato a un gancio rotto. La linguetta della cerniera di chiusura pendeva aperta. Prese l'olio e unse i cardini, molto, molto leggermente. Poi avvolse un po' di feltro attorno alle varie parti del lucchetto. Controllò le altre attrezzature: i pacchi di tela, l'etere, il nastro da tubazioni, il martello, i sacchetti. Sarebbe stato un padre meraviglioso, per quel ragazzo. Avrebbero trascorso una vita stupenda, insieme. Billy rimase in ascolto ad aspettare il silenzio. Tutti avevano spento la luce. Solo lui era ancora sveglio, come al solito. In pratica non dormiva quanto gli altri, per lo meno non quanto gli altri membri della sua famiglia. Scostò il lenzuolo e depose i piedi sul pallido raggio di luna che illuminava lo scendiletto. Andò alla finestra. Il vento portava il profumo delle barbe di granturco. La notte gli piaceva, e si rendeva benissimo conto che quella notte segnava la fine della sua ultima estate da bambino. In ottobre avrebbe compiuto tredici anni, sarebbe entrato nell'adolescenza. Una sera aveva sentito il padre e la madre che parlavano, e la mamma aveva detto: «Sta cambiando. Proprio sotto i nostri occhi, si sta trasformando». La luna era alta nel cielo e quell'uccellino cantava nel silenzio. Alle sue orecchie non esisteva in tutto il mondo un suono così puro come la voce di un uccello. Con precauzione mise il microfono del suo registratore a nastro fuori della finestra. Trattenne il respiro, si mise la lingua contro il palato ed emise tre note. L'uccellino continuò a cantare per proprio conto, solo, appoggiato sul filo. Il mondo che sembrava nuotare nella luce della luna, il vento che sussurrava, il canto chiaro e acuto dell'uccellino: nessuno era in grado di ricreare una bellezza simile. Ma poteva provarci. Chiuse gli occhi. Lasciò che le orecchie diventassero l'unico suo organo di senso. Si riempì i polmoni e fece finta di essere anche lui un uccello, morbido, veloce e illuminato dalla luce della luna. Fischiò. L'uccellino rispose. Fischiò di nuovo. E l'uccellino rispose al canto. Lui rilanciò il canto.
L'uccellino tacque. Billy aprì gli occhi. Aveva la pelle d'oca e il sangue gli scorreva veloce per la meraviglia. Il suo primo impulso fu di svegliare la mamma e il papà per raccontar loro quel che era successo, ma poteva essere uno sbaglio. Era quasi sicuro che gli avrebbero ordinato tassativamente di ritornare a letto. Non c'era tempo per dormire, adesso. Doveva scendere nel seminterrato e riversare la registrazione nel computer, esaminare l'esatta sequenza delle note che avevano ottenuto risposta. Aveva effettivamente riprodotto la voce dell'uccellino, o aveva solo ingannato quella creaturina? Mentre scivolava lungo il corridoio udì di nuovo l'uccello. In cima alle scale si fermò un istante: oltre al suo canto, l'unico suono era il ticchettio del grande orologio del soggiorno. Scese in fretta dabbasso. 5 Barton aprì la doppia porta, scese qualche gradino e se la chiuse alle spalle. Il tutto nel più completo silenzio. Rimase immobile, trattenendo il respiro. E quando si concesse di respirare di nuovo fu per annusare gli odori della stanza e capire quali informazioni trasmettevano. L'aria sapeva di calcestruzzo freddo, con un leggero sottofondo di muffa. I soliti odori dei seminterrati, niente di cui doversi preoccupare. Era sorpreso dall'intensità dei propri sentimenti. Era un momento di piacere, ma metteva anche una tremenda paura. Qualche volta pensava di potersi capire meglio se si fosse considerato come una parte oscura di Dio, mandata a portare la sofferenza nel mondo. Si portò al centro del seminterrato. Stava cercando le scale con la lampada a stilo quando, sopra la testa, udì distintamente un rumore di passi. Era debole, ma non ci si poteva sbagliare. Rimase in ascolto, ma il rumore non si ripeté. Un attimo dopo, terrorizzato, fu investito da un fiotto di luce. Billy accese la luce nel seminterrato dalla dispensa. Scese la scala, con gli occhi fissi sull'Amiga. Nel silenzio, il locale faceva venire i brividi. Era una sensazione familiare e l'avrebbe ignorata, ma gli ricordò le gambe viste in precedenza fuori della finestra. Papà aveva dei pantaloni color cachi. Nessuno degli amici di Billy por-
tava dei pantaloni grigi nel pieno delle vacanze estive. Era forse stato uno stratagemma particolarmente astuto della sorella, per vendicarsi del fatto che le aveva mangiato il panino? No, non era tanto furba, almeno non di solito. Naturalmente c'era stata quella volta, lo scorso febbraio, in cui aveva fissato dentro la sua chitarra, con del nastro adesivo, una scatola di fiammiferi piena di larve di farfalla prese dal laboratorio di biologia. Aveva notato il cambiamento di tono, aveva aperto la scatola, liberando senza volere i minuscoli insetti. Non aveva nemmeno notato le uova... fino a dieci giorni dopo, quando la loro velocità di riproduzione aveva fatto diventare all'improvviso la sua stanza simile a una giungla infernale. Poiché i suoi genitori non credevano negli insetticidi, liberarsi di quegli insetti era stata una bella seccatura. Beh, di certo non c'era nessuno, là fuori, a quell'ora, a meno che non si trattasse di qualche ragazzo. Alle dieci e mezzo si potevano sentire gli scatti degli interruttori da un'estremità all'altra della Lincoln. I ragazzi dei party notturni sgattaiolavano fuori a mezzanotte, tutti nudi, e nessuno li avrebbe visti. Una volta, secondo Jerry, lui, Dick-the-Prick Davis e Fo-Fo Garr si erano incontrati con Cynthia Stales, Rebecca McClure e Sue Wolf in Endower Lane, ed entrambi i gruppi erano nudi. Quel bugiardo di un bastardo. Si sedette davanti al computer e l'accese. Comparve lo schermo chiaro, seguito dalle icone dell'hard disk. Si introdusse nel file del canto dell'uccello. Inserì gli auricolari nel piccolo amplificatore che usava con il computer e staccò gli altoparlanti. Immediatamente si perse nella musica malinconica e perfetta dell'uccello. Barton respirava con precauzione, attento a non emettere alcun rumore. Era steso sotto il tavolo da lavoro, con i gomiti che strisciavano sul ruvido pavimento di calcestruzzo. I piedi nudi del ragazzo erano a meno di mezzo metro dal suo viso. Sarebbe stato facile allungare una mano e afferrare una di quelle snelle caviglie. Ma il ragazzo avrebbe fatto crollare la casa con le sue urla. In principio, Barton era stato così stordito dalla luce che gli si era svuotata la mente. Per fortuna l'istinto aveva avuto il sopravvento e si era precipitato sotto il tavolo appena in tempo. Gradatamente aveva riacquistato la calma. Il respiro era tornato normale, il sudore sul viso si era asciugato. Adesso si costrinse a pensare con calma e con chiarezza. La faccenda non era affatto fuori controllo. C'era ancora un mucchio di possibilità di suc-
cesso. Se fosse riuscito a pensare come uscire da sotto quel maledetto tavolo e arrivare alle spalle del ragazzo, l'avrebbe messo a dormire in pochi attimi. Barton era un uomo robusto; il ragazzo non aveva nessuna probabilità di scappare prima di essere sopraffatto dall'etere. Billy lavorò felicemente, ma non per molto. Dovette ammettere di essere un po' stanco, e digitalizzare un nastro era un procedimento complicato. Lavorare con il suono su un computer era una cosa lenta, impegnativa e molto tecnica, se si era interessati a farlo bene. Uscì dal programma e contemplò lo schermo. A pensarci bene, non era poi tanto stanco da non poter giocare per un po' a Dungeonmaster. Perché no? La vita non doveva essere tutto lavoro. Caricò il disco del videogioco e premette il pulsante rosso RESUME a fianco della grande porta nera che era apparsa sullo schermo. Un istante dopo era profondamente immerso nel livello dieci. Barton uscì adagio da sotto il tavolo, dalla parte opposta a quella a cui era seduto il bambino. Tra le ombre davanti a sé c'era un grosso forno a carbone, con una grata dall'aspetto minaccioso. Strisciò come un grande verme, finché il forno non fu tra lui e il ragazzo. Si alzò in piedi e sbirciò fra l'intrico di tubi. Il ragazzo stava ancora giocando con il computer. Perché funzionasse, Barton doveva muoversi come un lampo. Aprì la boccetta dell'etere e si accoccolò. Tendendo i muscoli, reggendosi, si preparò a saltare. L'ultima cosa che fece fu imbevere il pezzo di feltro nella sostanza chimica. Il suo puzzo di medicinale gli riempì le narici, la sua temperatura fredda gli fece dolere la mano. Che cos'era quell'odore? Era fresco e penetrante. Mentre giocava, Billy batteva ritmicamente un piede e inclinava la sedia. Aveva forse schiacciato un tubetto di colla caduto per terra? Guardò sotto il tavolo da lavoro. C'era un sacco di roba, là sotto, compreso un dischetto dell'Amiga che non trovava più. Lo raccolse e lo mise nella scatola con gli altri. Niente colla, eppure tutto lo scantinato puzzava di quella roba. C'era anche un altro odore, un odore umano. Billy si annusò sotto le ascelle. Non era lui. Poteva essere suo padre o sua sorella? No, nessuno dei due puzzava. E l'odore di colla... era assurdo.
All'improvviso il piano di sopra gli sembrò molto lontano. Decise che per quella notte ne aveva avuto abbastanza. Spense il computer, spinse indietro la sedia e uscì dal seminterrato. Anche se di solito non lo faceva, chiuse a chiave la porta. Lasciò anche accesa la luce. Agli scassinatori, pensò, la luce non piace. Ma che cosa ci faceva, uno scassinatore, con la colla? Barton si era reso conto dell'errore troppo tardi. Il ragazzo aveva annusato l'aria e si era guardato intorno. Ovviamente aveva sentito l'odore dell'etere. E sul suo viso era comparsa la paura. Era uscito in fretta e aveva chiuso a chiave la porta. Dopo non c'erano stati altri rumori, dal piano di sopra. Barton era rimasto solo, con la luce accesa. Poteva significare che il ragazzo stava aspettando e ascoltava. Prese in considerazione l'idea di infrangere una delle regole principali e di lasciare una traccia della sua presenza: pensò di individuare i cavi del telefono e di tagliarli. Mentre cercava la scatola del telefono scorse il proprio riflesso in una delle finestre del seminterrato. Lo spaventò, e fece un salto indietro. Al di là di quelle finestre scure non riusciva a vedere niente. Un brivido l'invase quando si rese conto che il ragazzo avrebbe potuto uscire fuori per esaminare il locale da una posizione sicura. Altro che preoccuparsi dei fili del telefono, doveva uscire di lì, e alla svelta. Billy si era infilato di nuovo sotto le lenzuola, nel suo letto, con il suo amato Garfie imbottito stretto contro il petto. Ma non funzionò. Non riuscire a vedere niente aveva aumentato la sua sensazione di vulnerabilità. Scostò le lenzuola e si guardò attorno. La stanza aveva il solito aspetto. Annusò attentamente. Lì non c'era nessun odore insolito. Rimase in ascolto. Nessun rumore strano. Comunque sapeva che cos'era l'altro odore che aveva sentito nel seminterrato. Era quasi sicuro che con lui ci fosse un altro essere umano, che sudava e che, chissà per quale strana ragione, usava della colla. Chiunque fosse, non aveva fatto il benché minimo rumore. Billy decise che forse aveva avuto un incubo mentre era sveglio. Poteva succedere? Non ne era sicuro, ma pensava di sì. Decise di controllare il resto della famiglia. Forse avrebbe trovato la spiegazione in una delle altre camere da letto.
Barton era uscito dalla casa con mille precauzioni. Gli ci erano voluti cinque minuti buoni per convincersi che il ragazzo era rimasto dentro. Tranne che il seminterrato, immerso nella luce, la casa era buia. Guardò l'orologio: l'una e un quarto. Se non altro gli rimaneva un sacco di tempo. Decise di ritornare sotto l'albero e aspettare. Il canto dell'uccellino aveva attirato di nuovo Billy alla finestra, e da lì aveva visto una massiccia ombra nera attraversare il prato. Non riusciva a crederci. Quando si rese conto che non sognava, che era perfettamente sveglio, un brivido freddo lo attraversò. Qualcuno l'aveva osservato davvero mentre si trovava nel seminterrato. Quello doveva essere l'origine degli odori. E prima... era lui, quello dai pantaloni grigi? Il pensiero dello strano tipo che aveva fatto una partita con lui nella sala giochi gli attraversò la mente, ma era troppo assurdo anche per Billy Neary. Avrebbe dovuto seguirlo fino a casa, santo cielo. Il malintenzionato si era mosso con una strana corsetta rotolante, quasi come un grosso granchio, ed era scomparso in fretta sotto i rami contorti della quercia. Billy aspettò che uscisse dall'altra parte e scendesse sul marciapiede, ma non ricomparve. Era una faccenda seria, e doveva dirlo a suo padre. Entrò nella stanza dei genitori. Erano tanto avvinghiati l'una all'altro, nel letto matrimoniale, che sembravano un unico corpo con due teste scure. «Papà?» Nessuna risposta. Li guardò. Che cosa si provava a dormire tanto stretto a una donna? Non era sicuro di poter passare la notte senza Garfie. «Papà.» «Eh? Ah...» «In giardino c'è un uomo.» «Che cosa?» «Guardavo fuori della finestra e ho visto un uomo che correva sotto la quercia.» «Sicuro?» «Sì.» I suoi genitori si separarono l'una dall'altro e si misero a sedere. Suo padre sembrava arrabbiato. Scese dal letto e andò alla finestra. «Dove?» «Adesso non si vede. È sotto la quercia.» «Forse dovresti chiamare la polizia, Mark.» «Fammi dare un'occhiata.» Si avvicinò al comò e prese la torcia dall'ul-
timo cassetto. Sentendosi molto più sicuro, Billy seguì il padre giù per le scale. Barton vide un lampo di luce sfiorare il vetro colorato sopra la porta d'ingresso. Era stato solo un lievissimo bagliore, ma lo fece drizzare in piedi e ritrarsi ancora di più nell'ombra. Poi la porta si aprì e il raggio di luce penetrò come un ago nel cortile buio. Con un unico rapido passo Barton mise il tronco dell'albero tra sé e la luce. Ovviamente il ragazzo aveva svegliato il padre e adesso lo stavano cercando. Appena fosse riuscito a uscire di lì sarebbe tornato nel camper. Non avrebbe mai dovuto tentare di entrare nella casa, era troppo rischioso. Ma doveva avere quel ragazzo! Rimase completamente immobile, senza quasi guardare l'uomo e il ragazzo per timore che percepissero il suo sguardo. Come se i suoi pensieri potessero in qualche modo dirigere le loro azioni, li costrinse con la forza di volontà a restare sulla veranda. La loro voce attraversò il cortile silenzioso. «Adesso non c'è nessuno, Billy.» Billy, si chiamava Billy. «L'ho visto, papà. Era proprio là.» Indicò l'albero. «Era grasso.» «Non vedo un'anima viva.» «Mi ha fatto molta paura, papà.» Quindi Billy non solo aveva notato la sua presenza nel seminterrato, ma l'aveva visto mentre attraversava il prato. Lui non si era nemmeno sognato di essere osservato, in quel momento. Quel ragazzino era sveglio. Era anche gentile, intelligente e bello. Non importava quanto fosse pericoloso, Barton non poteva lasciarlo perdere. Billy... 6 L'orologio di Barton cominciò a suonare alle tre e tre quarti esatte. Non aveva dormito veramente, solo un leggero sonnellino. Aprì gli occhi alla calda oscurità del furgone. L'aria era viziata e i finestrini appannati. Si trascinò al posto di guida, mise la chiave nell'accensione e azionò la batteria. Quando abbassò i finestrini l'aria della notte, fredda e intensa, lo svegliò completamente. Il problema era se doveva tornare là o no? Sapeva che il padre di Billy non aveva chiamato la polizia; avrebbe intercettato la telefonata con il suo
scanner. Non c'era stato nient'altro, tranne che l'unico poliziotto di ronda aveva fatto un controllo di routine con l'agente di servizio nella stazione di polizia. Il padre doveva avere deciso che chiunque il figlio avesse visto era innocuo. Anche così, ritornare là quella stessa notte era comunque molto pericoloso. Ma Barton non poteva rischiare di aspettare un altro giorno. C'erano troppi elementi imponderabili. Mentre stava disteso nel camper, al buio, Barton aveva deciso che aveva aspettato un bambino come Billy per tutta la sua vita di adulto. Solo che non l'aveva saputo fino a quel momento. Barton Royal avrebbe dato a quel bambino una vita meravigliosa. C'era tanto amore in lui, tanta generosità. Forse in principio Billy non ci avrebbe creduto, ma alla fine avrebbe voluto bene al suo nuovo padre, tanto che il passato sarebbe stato dimenticato del tutto. Si afferrò al volante come se fosse davanti a un precipizio. Si disse di respirare profondamente e regolarmente. Era calmo, vigile. Di nuovo fece l'inventario delle sue attrezzature: etere, feltro, nastro adesivo da tubazioni, tessere di plastica, filo. Il martello, la carne e il sacchetto di plastica poteva lasciarli nel furgone. Se ci fosse stato un cane sarebbe uscito sulla veranda insieme al padrone. Billy, il padroncino. Sarai la guida della mia anima, Billy. Ti dono me stesso. Ti prego, caro Billy, aprimi gli occhi, guidami fino alla luce, pensò nel profondo del suo cuore. Si avviò. Dieci minuti dopo passava davanti al Burger King. Poi imboccò la Hicks, poi la Oak. Ed ecco la casa. Per fortuna la luce nel seminterrato era stata spenta. Il caro vecchio papà doveva averla notata. Barton immaginò la conversazione fra padre e figlio. Papà: «So che cosa ti è successo. Hai avuto fifa, laggiù al buio». Billy: «Ho visto un uomo, papà». Oh, Billy, ti prego di salvarmi. Sii tu quello più forte! Spense il motore e le luci ed entrò nel vialetto. Era di calcestruzzo, e le ruote non fecero quasi nessun rumore. Poi fermò il furgone. Un'occhiata all'orologio: le quattro e sei minuti. Nella casa non sarebbe rimasto più di dieci minuti. Entrò di nuovo dalla porta doppia, lavorando in fretta e con efficacia. Quella volta il seminterrato rimase buio.
Mentre passava davanti al tavolo di lavoro coperto di dischetti e attrezzature diverse notò l'involucro di Butterfinger. Così a Billy piacevano quei dolci. Debitamente registrato. La porta in cima alle scale era chiusa da una semplice levetta, ma tuttavia lo rallentò. Trafficò con le tessere di plastica che si dovevano infilare tra la porta e lo stipite. Fece un piccolo rumore e dovette fermarsi. Chiuse gli occhi e si appoggiò alla porta. Con estrema precauzione, inserì più delicatamente il bordo della tessera. Infine trovò la levetta della serratura. Ruotò la tessera da un lato all'altro. La porta si spalancò all'improvviso. Ora, ogni movimento, ogni respiro aveva la sua importanza. Poteva immaginare il padre sdraiato, immobile e silenzioso, con gli occhi che si aprivano come due punti luminosi nel buio. Ogni scricchiolio, anche il minimo rumore di una goccia che cadeva, echeggiava di un significato nascosto. Udì il ticchettio degli orologi, il vento che agitava le tende della cucina, la fuga di uno scarafaggio sul pavimento. Dallo zaino estrasse l'etere e se lo mise in tasca assieme al feltro. La casa silenziosa davanti a lui lo inquietava. Sentì profumo di mele e, molto debole, una traccia di deodorante. C'era un lieve odore di torta al cioccolato con i pecan. Quella fragranza lo riportò indietro nel tempo. Nel suo quartiere le sorelle più grandi dei suoi amici facevano quella torta. Si radunavano in una tribù vociante e inavvicinabile e la mangiavano nel cortile sul retro della casa di qualche vicino. Se Barton si avvicinava gridavano: «Pussa via, Royal ciccione», e gli tiravano qualche sasso. Quando entrò nella cucina vera e propria sentì profumo di pane. Quello era uno dei più buoni odori del mondo. Quando lo cuocevano al panificio Wonder Bread si sentiva la sua fragranza lungo tutta la Mariposa. In centro alla tavola di cucina c'era un grande apparecchio bianco. Barton lo riconobbe, era un forno automatico per il pane. L'aveva desiderato, ma non era sicuro che avrebbe funzionato. Adesso l'avrebbe comperato. Era una cucina molto carina. Aveva un buon odore, tende vaporose e graziose, ed era pulita, tranne che per quell'unico scarafaggio. La vita famigliare poteva essere molto piacevole, ma a lui non era concessa. Sfiorò la sommità del forno, attento come sempre a non lasciare impronte. Era calda. Poi prese i guanti di gomma e se li infilò. Erano del tipo con
le punte rinforzate. Aveva letto che con le nuove tecniche si potevano rilevare le impronte anche con i guanti chirurgici. Anche se non aveva molto tempo fece un rapido esame del contenuto della dispensa e del frigorifero. Era importante sapere ciò che piaceva a Billy. Aveva già trovato quell'involucro di Butterfinger e una birra Bud Dry dietro il tavolo da lavoro nel seminterrato. Da quel momento in avanti, nella vita di Billy ci sarebbero stati Butterfinger in abbondanza. Per quanto riguardava la birra, Barton gli avrebbe fatto conoscere l'Anchor Steam, la Dixie e la Cold Spring Export. Nella dispensa c'erano riserve di Carnation Instant Breakfast e Tang. C'erano anche pranzi cinesi LaChoy e spaghetti Chef Boyardee, con polpette. A quanti ragazzi piaceva, quella roba. Era sorprendente. Gli adulti soffrono la fame in silenzio; i bambini urlano, camminano avanti e indietro, supplicano. Nel freezer trovò enchilada Old El Paso, cheeseburger e frappé MicroMagic, frittelle per forno a microonde Aunt Jemima. C'erano delle barrette Dove alla vaniglia ricoperte di cioccolato al latte, minestre vegetali Tabatchnick, succo di arancia congelato Birds Eye (avrebbe stupito Billy con quello spremuto al momento). Nel frigo trovò Coke Classic e Dr Pepper, succhi di frutta, una confezione di hot-dog Oscar Mayer, sottaceti dolci e senape. Ignorò le patate, la lattuga e le spremute fresche nello scomparto della frutta e verdura. Il ragazzo li avrebbe considerati una penitenza. Nel contenitore del pane c'era del pane bianco da toast della Pepperidge Farm, e nel vaso dei biscotti notò dei Double Stuf Oreos. Il burro di arachidi era Jif Super Chunky, e nel frigo c'era della marmellata di pesche e di lamponi Smucker. Anche un piccolo particolare, come il tipo giusto di burro di arachidi in un panino, poteva servire benissimo a rompere il ghiaccio. Lasciando aperta la porta che portava nel seminterrato, attraversò la sala da pranzo, arrivò all'ingresso della vecchia casa e cominciò a salire le scale. Per ridurre la possibilità che il legno scricchiolasse fece i gradini tre alla volta e provò ogni passo spingendo lentamente in avanti il proprio peso. Poi si trovò nel corridoio del primo piano. Non sapeva chi occupasse le varie camere da letto: era una cosa esasperante. Due camere da letto avevano la porta chiusa, una l'aveva aperta. Era ragionevole guardare prima in quella con la porta aperta, semplicemente perché era la meno rischiosa. Sbirciò nella stanza. Sulla parete opposta c'era una finestra che risplendeva illuminata dall'ultima fioca luce della luna. La notte era attraversata
dal canto limpido e solitario di un uccello. Sotto la finestra c'era un letto, e sul letto una sagoma. Gli si fermò quasi il cuore, alla vista di Billy disteso là, addormentato. Avanzando con la precauzione di un topo attraversò la stanza, immaginando di ballare. Era un bravo ballerino. Scuola di danza di Mel Powell, fox-trot, rumba, swing, jitterbug,1955. Si avvicinò al letto. Aprì la boccetta dell'etere, imbevve il feltro, lo mise sul viso del ragazzo. Per un istante Billy rimase immobile, poi cercò di voltare la testa. Barton premette con forza. Il corpo del ragazzo fu percorso da un leggero movimento. Si udì un rumore soffocato, un grido di sorpresa. Billy aprì la bocca, cercò di mordere il tessuto. Si contorse, tirò fuori le braccia e le agitò. Tentò di afferrare con le mani, di colpire. Continuava a emettere dei suoni soffocati. «Buono, buono», sussurrò Barton. Il ragazzo scosse e batté i piedi. Il letto scricchiolò paurosamente. Solo molto lentamente il suo respiro si fece più pesante, i suoi movimenti più lenti. Barton gli cantò, gli cantò nell'orecchio delicato. «Dove andrai, Billy, ragazzo mio, dove andrai, incantevole Billy...» Finalmente il bambino perse i sensi. Barton impregnò di nuovo il feltro e lo mise nel contenitore, pronto per l'uso in caso di bisogno. Poi perlustrò la stanza in cerca degli oggetti preferiti del ragazzo. Trovò una chitarra, ma era troppo grande per portarla via. Il giocattolo imbottito con cui il bambino dormiva non volle prenderlo. Sarebbe stato difficile disabituare Billy, ma era necessario, se doveva lasciarsi alle spalle la sua vita attuale. Naturalmente prese degli indumenti. Il guardaroba del ragazzo non era fornito di marche alla moda come Gotcha, Ocean Pacific e Mexx. Aveva solo semplici jeans, pantaloncini corti e magliette. Se quel bambino doveva vivere a Hollywood Hills con Barton Royal avrebbe dovuto vestirsi meglio. Una volta domato, doveva portarlo in una delle boutique sulla Melrose. Ma nel frattempo sarebbero bastati i suoi vecchi indumenti. Barton riempì lo zaino fino all'orlo, poi diede a Billy un'altra dose di etere e scostò il lenzuolo. Che magnificenza. Barton premette il viso contro il collo di Billy e annusò la fragranza naturale della sua pelle. Perché i ragazzi dovevano diventare uomini? Che tremenda maledizione! Prese in braccio Billy e lo portò in corridoio.
«Addio», sussurrò per conto del ragazzo, «addio, mia vecchia, cara casa.» Mentre scendeva le scale, con precauzione ancora maggiore a causa del suo fardello, si sentì quasi come quando era morto suo padre, triste eppure pieno di gioia, con l'anima piena di dolore nello stesso istante in cui esultava, finalmente libera. Si rendeva perfettamente conto che quello era il delitto più diabolico, più crudele che avrebbe potuto commettere. Ma lui? Anche lui aveva bisogno di qualcuno. Attraversò il seminterrato come un grande uccello nero che trascina la sua preda, un uomo grasso, di mezza età, che sudava sotto il fardello rubato. Portò Billy nel camper, attraversando il cortile sul davanti. Aveva lasciato aperto lo sportello laterale e depose Billy all'interno, sulla cuccetta. Poi gli legò al telaio polsi e caviglie e gli sigillò la bocca con il nastro adesivo. Per l'ultima volta si allontanò dal furgone. Ritornò nella casa e sollevò la porta del garage più silenziosamente che poté. Fece un rumore del diavolo, e non gli restò che pregare che nessuno avesse sentito. In fretta prese la bici del ragazzo e la caricò sul veicolo. Sapeva già che l'avrebbe buttata nel fiume Piatte, appena fuori Lincoln. Era troppo vecchia per tenerla e occupava troppo posto. Ovviamente non voleva che Billy avesse una bici, ma la sua sparizione avrebbe fatto pensare alla polizia che si trattava di una fuga. Si sedette al posto di guida e si fermò a pensare. Passò in rassegna tutto. Lampada a stilo, feltro, tessere di plastica... non aveva dimenticato niente. Si tolse i guanti di gomma e li mise nel portaoggetti tra i sedili. Per un lungo istante guardò Billy, steso immobile sulla cuccetta alle sue spalle. Improvvisamente ansioso, si chinò sul ragazzo. Era tutto a posto: respirava regolarmente. Le sua dita esitarono sulla chiave. Poi la strinse e la girò. Il silenzio del primo mattino fu infranto dal rumore dell'avviamento. Si allontanò lungo la strada buia. PARTE SECONDA Incantevole Billy 7 Nel silenzio che seguì il trillo della sveglia, Mark Neary si rese conto che la casa era pervasa da un profumo delizioso. «Mio dio, ha funzionato.»
Mary si alzò a sedere. «Credo che tu abbia ragione.» Avevano investito duecento dollari in un apparecchio automatico che prometteva di sfornare una pagnotta fresca quando ci si alzava. Sally e Billy aveva discusso a lungo a proposito delle istruzioni piuttosto enigmatiche, ma a quanto pareva le avevano capite. Sally si affacciò sulla soglia della loro camera. «La più recente incarnazione di Torquemada non è in camera sua.» Radendosi, Mark suppose che Billy fosse sceso presto per supervisionare il funzionamento del forno. Mary si strofinò le lunghe gambe con la lozione Jergen. Faceva un fruscio delicato che le piaceva. Gli orologi delle varie stanze continuarono a ticchettare, superando le otto e otto, le otto e nove, poi le otto e dieci. Nelle viscere del computer di Billy un microchip segnava i secondi, e quello del soggiorno ricaricò lentamente la molla dopo avere battuto otto colpi. Le otto e un quarto. Nella camera da letto di Billy l'orologio digitale squillò. La sorella lo udì ed entrò nella stanza. Lo raccolse dal pavimento accanto al letto e lo mise sul tavolo. Poi gettò il suo ridicolo Garfie, che era in mezzo alla stanza, sul letto disfatto. Una leggera brezza entrava dalla finestra aperta e muoveva le tende. In vestaglia e pantofole, Mark Neary scese in fretta le scale. «Dal profumo sembra il pane celeste», gridò entrando in cucina. Sollevò il coperchio dell'apparecchio e contemplò una pagnotta stupenda. Un attimo dopo era sul bancone della cucina, fumante e magnifica. Aprì la porta che portava nel seminterrato e chiamò Billy. «Vieni su a mangiare una pagnotta di farina d'avena integrale, assolutamente fresca, assolutamente calda e completa di crosta croccante.» Se ne tagliò una grossa fetta e vi spalmò sopra della marmellata di fragole. «È divina», gridò. Entrò Mary, il viso che splendeva nella luce del mattino. Mark sapeva che sua moglie non era di una bellezza speciale, ma il suo cuore no e si mise a battere più forte guardando la luminosità della sua pelle; il suo sesso si sollevò un poco quando lei gli si avvicinò e lo baciò. «Sai di fragola», osservò. Sentì che rideva dentro di lei e si rese conto di averla sognata di nuovo. Erano in Nuova Zelanda, avevano fatto vela in una baia assolata. Ricordò l'acqua che batteva contro i fianchi della barca, lo scafo verde, le vele bianche. Nel sogno il corpo di lei era liscio e fresco, e la sua pelle sapeva di mare. Mary si allontanò da lui tirandosi distrattamente i capelli, con gli occhi che scintillavano. Oggi, pensò lui, saremo felici. «Questo pane è dinami-
te», osservò mentre le tagliava una fetta. «Lascia che ci pensi io. Quelle cose sono tronchi, non fette.» «Abbiamo bisogno di un coltello da pane.» «È tutta questione di polso.» «Pane fresco! William! Vieni!» «Dovresti imporre delle regole, Mark. È diventato parte del suo computer.» «Non si pongono limiti ai ragazzi intelligenti, a meno che non sia strettamente necessario.» «Tutti hanno bisogno di limiti.» Andò sulla soglia della porta dello scantinato. «William Neary, il computer è spento. Hai trenta secondi per salire.» Quando nessuna giovane voce rispose: «Ancora un momento!» guardò giù. «Billy?» Scese qualche gradino. Era buio. Era perplessa, forse anche un po' preoccupata. «Billy?» Accese la luce e discese in fretta. La colazione della domenica dovevano farla tutti insieme: era la regola. Suo padre era troppo indulgente. Billy doveva imparare che sono le regole a fare una famiglia. Sono il fondamento dei rapporti, e quindi dell'affetto. Si fermò in mezzo al locale, colpita all'improvviso dal modo in cui quel silenzio insolito era in contrasto con quello che vedeva. Era pieno delle normali cose di un ragazzo: il modellino non finito di un aeroplano, il computer e i suoi accessori, complicati e penosamente costosi, registratori a nastro, una tastiera Casio, i resti di vecchie attrezzature, cose trovate nei bidoni della spazzatura, cappellini dei Mets e del Lions Club, del tempo del New Jersey, automobiline. Raccolse una Rolls-Royce senza uno sportello. Gli era stata cara pochissimo tempo prima e ora era stata abbandonata per cose migliori. Abbandonata, perduta, come l'infanzia stessa. Ed era proprio questa la poesia della cosa: la dodicesima era l'ultima estate dell'infanzia del figlio. Da quel momento in avanti con l'adolescenza ci sarebbe stato un pizzico di autunno. In tutta la sua semplicità, nella sua perfezione, quel momento di tranquillità tra gli oggetti e le cianfrusaglie tanto amate dal figlio le prese il cuore. Come sono ricca, pensò. Poi rivolse il pensiero al suo caro Mark, che come insegnante di storia delle superiori poteva considerarsi un fallimento. Avevano condiviso grandi progetti: doveva diventare il prossimo Walter Lippmann, un ottimo autore della sinistra, pieno di sacro fuoco. Ma le sue frasi erano in genere troppo lunghe, i suoi pensieri troppo complicati, le sue parole troppo a-
stratte. Era un po' ingrassato in vita ed era stato licenziato un sacco di volte per la sua passione per gli ideali sociali, ma molte scintille degli ardori della sua gioventù non si erano del tutto spente. Lei amava il suo corpo sul proprio, lo amava quando si muoveva quando facevano l'amore, adorava il solletico delle sue labbra sui propri seni, adorava sudare abbracciata a lui, di notte. «È che non riesco a tagliarle abbastanza sottili per il tostapane», gridò. «Aiuto!» La parola «aiuto» fu lunga e piena di afflizione. Mary tornò in cucina ridendo. La tavola era apparecchiata solo a metà, e Sally era sparita. Non era proprio la mattina adatta per una colazione formale. Il giornale della domenica stava sul bancone. Sulla prima pagina della sezione fumetti c'erano grandi storie di Blondie e Prince Valiant, enormi e piene di colori. A Billy piacevano, i fumetti. «Stanno sfuggendo dalle maglie del setaccio», osservò lei. «Aiutami a tagliare questo maledetto pane. È magnifico da vedere, ma ha qualcosa di appiccicoso.» «'Appiccicoso' non può essere la parola adatta.» «Ragazzaccia!» Le diede un colpetto sul didietro. Sally apparve sulla porta che dava in garage. «La bici è sparita.» «È strano, Mark.» «Gli hai fatto qualcosa, Sally? Qualcosa che l'abbia spinto a decidere di fuggire la tua collera?» «Mamma, ha dodici anni. Non scappa più. Reagisce meglio che può con le sue braccine e i suoi minuscoli pugni.» Continuarono a preparare la colazione, come una nave potrebbe continuare a navigare anche dopo che il suo scafo è stato squarciato. Mary mise il pane nel tostapane e l'acqua nell'antiquata macchinetta da caffè. Sally finì di apparecchiare la tavola. Mark tenne d'occhio il bacon, con in mano i fumetti della domenica. Mary non gli disse di stare attento. Se voleva appiccare fuoco al giornale mentre cucinava erano affari suoi. L'aveva deciso dieci anni prima. Quella volta il bacon fu cotto e il giornale no. Sedettero al tavolo di cucina a mangiare bacon, pane tostato e uova, e a bere succo d'arancia scongelato perché non potevano permettersi quello in cartoni. Al centro del tavolo, accanto alla pila dei giornali, fumava un bricco di caffè. Le uova di Billy si raggrinzirono. Alla fine sua sorella gli rubò il bacon e sua madre mise il suo piatto nel forno con un po' di stagnola sopra. Durante la colazione parlarono poco; la radio suonò una serie di melodie dimen-
ticabili, passarono delle auto, uno o l'altro dei genitori alzava lo sguardo quando un bambino gridava nella strada. «Non è da lui», osservò sua madre. Guardava fuori della finestra nel cortile inondato dal sole. Decisero di telefonare ai genitori dei suoi amici. Da tutti, uno dopo l'altro, ricevettero la stessa risposta. Alle dieci, nelle loro voci c'era un tremito, ma nessuno si chiese il perché. Alle undici tutta la famiglia andò in macchina al centro commerciale, ma era chiuso. Al Burger King c'era un paio di persone, ma nessun bambino. Sapendo che la sua bici era scomparsa, percorsero le strade di Stevensville. Fu inutile, e a mezzogiorno la famiglia ritornò a casa. Sally si ritirò nella propria camera, profondamente sconvolta. Fuori le cavallette stridevano, i tagliaerba ronzavano, le girandole per spruzzare il prato frusciavano. Dalla casa degli Harper giungevano le note di qualcuno che si esercitava al piano, e un motore andava su di giri e si spegneva in continuazione, mentre il giovane John O'Hara cercava di mettere in moto l'auto da cinquanta dollari che aveva comperato da un robivecchi. Mark andò in camera della figlia. Sdraiata sul fianco, leggeva e ascoltava la radio. Mark non capiva niente di rock and roll: aveva perso ogni interesse quando, a quattordici anni, si era reso conto che nessuna ragazza l'avrebbe mai considerato alla moda, nonostante la camicia rosa, i calzoni neri e i capelli impomatati. Mozart, Telemann, Bach: quella era la sua musica, la musica di quelli che ai suoi tempi i ragazzi chiamavano «secchioni». I suoi amici erano ragazzi dalla montatura di corno e dalle camicie con un odore aspro, e ragazze pallide e brufolose, in vestiti multicolori e troppo poche sottogonne, che proclamavano di essere «mandate al settimo cielo» dalla Sesta di Beethoven, «così appassionata, Markie!» Adesso, quando le compagne in fiore di Sally si prendevano una cotta per il loro insegnante di storia, pensava che erano in ritardo di circa trent'anni, e dentro di sé rideva per l'ironia del tutto. Era straordinariamente toccante vedere una ragazza diventare donna. Si sedette sul letto accanto a lei. «Era arrabbiato?» le chiese Mark. «Avete litigato?» «No, papà. Assolutamente no. Era tutto a posto.» «Non ti ha detto niente... non ha parlato di una passeggiata, di voler andare da qualche parte...» Mark si interruppe: le aveva già fatto almeno cinque versioni della stessa domanda. Non parlò più. Fu Sally a dirlo: «Ho paura, papà».
Entrò Mary. «Voleva qualcosa? Un nuovo programma per il computer? Qualcosa che potrebbe avere deciso di andare a prendere a Des Moines?» «Billy non è mai andato da solo a Des Moines senza avvertire. E probabilmente di domenica il negozio di computer è chiuso.» Mary chinò la testa in segno di assenso. Suo figlio non era incurante della disciplina fino a quel punto. Mark si rese conto che c'era qualcosa che doveva dire. Che Sally sentisse pure la paura di suo padre, che Mary sentisse che poteva essere vittima delle proprie emozioni. Doveva tirarlo fuori, e doveva farlo subito. «Ieri notte mi ha svegliato.» Fece un profondo respiro. «Ha detto di avere visto un uomo nel cortile davanti. Ho guardato, ma non c'era nessuno. Mi dispiace dirlo, ho solo...» Arrivò allora, il dolore, e sgorgò in lui come una palla di fuoco incandescente che lo colpiva. «Oh, Cristo... certo, io...» Non fu l'orgoglio a fermarlo, quella volta, o la reticenza di chi è introverso, fu il puro e semplice orrore per il suo sbaglio. «Dev'essere rimasto là a guardare per tutto il tempo... in attesa del momento giusto.» Mary rimase in silenzio e del tutto immobile. Quando parlò fu con voce molto bassa. «Se è successo qualcosa, e resta un grande 'se', di certo non è colpa nostra. Non possiamo nemmeno pensarlo.» Guardò il marito. «Non possiamo, Mark.» «Dobbiamo chiamare la polizia.» «Sono d'accordo», assentì Mary. All'improvviso, quella che era stata una decisione lenta divenne disperatamente urgente. Entrambi si diressero verso il telefono della loro camera da letto, seguiti dalla figlia. Vi fu una breve attesa mentre Mary consultava l'elenco per cercare il numero. Quella era una piccola città, non si poteva di certo mettersi in contatto con la polizia facendo il 911. Fuori, i tagliaerba si erano fermati, e nelle altre case dell'isolato tutti stavano pranzando. Poco dopo avrebbero cominciato a trasmettere gli incontri di baseball e gli uomini si sarebbero ritirati nel soggiorno o nel loro studio con l'aria condizionata. Mary lesse il numero ad alta voce. Nella quiete del mezzogiorno la sua voce risuonò forte, le cifre pronunciate con cura eccessiva. Mentre componeva il numero, Mark udì una voce di ragazzo cantare forte e allegra: per un attimo pensò... ma no, era un altro bambino. Ascoltando il telefono che squillava lo invase un'urgenza frenetica, e quando una
voce annunciò: «Polizia di Stevensville», rispose a fatica. «Mi chiamo Mark Neary. Chiamo per denunciare la scomparsa di mio figlio William.» Alla chiamata aveva risposto l'agente Charles Napier, che era di servizio fino alle quattro del pomeriggio, quella domenica. Non ne fu sorpreso. Ne ricevevano tre o quattro al mese. Se i bambini erano piccoli il caso si risolveva quasi sempre in un paio d'ore. Quelli più grandi potevano essere scappati, e qualche volta occorreva un po' più di tempo. Ma alla fine tornavano a casa, tutti quanti. Spesso dei ragazzi venivano rapiti, perfino uccisi, ma non in quella piccola città sonnacchiosa. Naturalmente i genitori erano sempre terrorizzati, e Charlie era sempre gentile, con loro. «Quando ha scoperto che William è scomparso?» «Quando ci siamo alzati questa mattina. Questa notte mi ha svegliato. Ha detto che c'era un uomo nel cortile davanti a casa. Ho guardato, ma ho trovato tutto a posto. Poi stamattina lui non c'era.» Charles Napier estrasse un modulo per la denuncia delle persone scomparse. Si fece dare solo l'età e una descrizione sommaria. In quel caso le indagini sarebbero cominciate immediatamente, perché si trattava di un minorenne. Con gli adulti la polizia aspettava ventiquattr'ore, prima di iniziare le ricerche. «Un agente sarà da voi tra dieci minuti circa.» Mark riappese il ricevitore. «Arriveranno subito», disse. La sua voce gli sembrò un'eco. Era diventato il pubblico di se stesso, che osservava la tragedia che si svolgeva intorno a lui. In lontananza, dal televisore di un vicino si levò l'inno nazionale. La partita di baseball stava iniziando, tutti gli altri erano tranquilli nelle loro case, nessun altro aveva il figlio in pericolo. Mary gli mise una mano nella sua. «Credi davvero che quell'uomo...» «Non lo so.» Voleva appoggiargli la testa su una spalla, ma si trattenne. Dovevano essere forti. Gli strinse la mano. «Lo troveranno.» «Credo che dipenda dal passo che abbiamo appena fatto. Ti fa capire quanta paura hai, maledizione.» Anche Mary si sentiva un po' stordita. Chiese a Sally di scendere a fare del caffè. Mentre gettava i fondi e misurava l'acqua, Sally cercò di capire. Papà aveva detto che Billy aveva visto un uomo. Che cosa significava? Qualche volta lei e Billy si svegliavano nel cuore della notte e facevano cose un po' pazze, come giocare a Monopoli sul pavimento del corridoio. Guardavano
Chiller Theatre, che trasmettevano sul canale sei alle due di notte, il sabato. O parlavano facendo sogni a occhi aperti, la notte. Lei voleva andarsene da Stevensville, come aveva voluto farlo da tutte le altre piccole città in cui suo padre aveva insegnato. Billy era un ragazzo proprio intelligente. Di certo non avrebbe accettato di andarsene con uno arrivato in casa nel cuore della notte. Suo fratello era ancora molto ingenuo riguardo certe cose. Gli si poteva dare un biscotto inzuppato nel tabasco e lui se lo sarebbe ficcato in bocca. Ma non si sarebbe fatto rapire. L'arrivo della polizia avvertì il vicinato che forse i Neary avevano un problema. Qualcuno notò l'auto verde e bianca passare lenta, la guardò fermarsi davanti al cortile anteriore maltenuto dell'insegnante. Poiché erano arrivati da poco, la maggior parte dei vicini non li conosceva; qualcuno non sapeva nemmeno come si chiamassero. Mark capì che l'arrivo della polizia avrebbe provocato domande imbarazzate. Osservando l'agente risalire il sentiero si sentì venire la nausea. Si impose uno strano distacco. Il poliziotto si avvicinò come un fantasma che percorresse un sentiero irreale, sotto un sole che splendeva come i suoi ricordi. Strano che Billy non fosse lì, desideroso di vedere la sua rivoltella. Mentre attraversava in fretta la veranda ed entrava dalla porta principale la macchinetta del caffè cominciò a borbottare. Sally tornò in cucina. Si avvicinò alla macchinetta, si piegò sul vapore e inalò. «Il caffè è pronto», annunciò entrando nel soggiorno. Il giovane poliziotto sorrise. Fece delle domande su Billy. La sua età, il suo aspetto, se avevano una videocassetta da proiettare in televisione. Mark inorridì. Una videocassetta! La televisione! Billy era sparito, sparito sul serio. Non era nel seminterrato, non era andato a trovare qualcuno, non era al centro commerciale. A Mark venne l'impulso di andare da qualche parte a cercarlo, di gridare il suo nome, di fare altre telefonate. «Non abbiamo una videocamera», rispose Mark. «Ma abbiamo delle foto», soggiunse Mary. Sentiva male al cuore. Il fatto che non avessero una videocamera non significava che Billy fosse perduto per sempre, ma era questa la sensazione che provava. «Se vengono quelli della televisione sarebbe meglio una videocassetta.» Ascoltando quell'uomo, rendendosi conto che Billy era scomparso davvero, Mary avrebbe voluto gridare fino a vomitare le budella. Ma non faceva cose del genere, non era nel suo stile.
Accavallò le gambe e si piegò in avanti. Non capiva quella marea scura che si agitava in lei. Fino ad allora la vita non le aveva mai causato un dolore come quello. Nemmeno la morte di sua madre, a pensarci. Si sentì vicina a quei genitori i cui bambini erano stati strappati dalle loro braccia ad Auschwitz, con quelli che avevano visto i loro ragazzi impiccati a Tyburn per il furto di un bottone, con quelli i cui bambini erano stati violentati dagli unni, dai teutoni o dai romani, con tutti quelli che erano rimasti impotenti mentre i loro innocenti venivano travolti dalla follia del mondo. Ma rimase seduta in silenzio. Il poliziotto notò quanto fosse composta la famiglia. Durante il suo addestramento aveva appena sfiorato l'argomento della scomparsa di bambini. Ma esistevano delle statistiche ben precise e lui se ne rendeva conto: la maggior parte dei bambini scomparsi si trovava in ventiquattr'ore; i più erano fuggiti. Se avevano subito violenza, molto spesso era per mano di un genitore o di un altro membro della famiglia. Quando venivano rapiti da estranei, di solito li trovavano morti o non ne se sentiva parlare mai più. In quel caso c'erano degli indizi che facevano pensare che quel bambino fosse fuggito di casa. Prima di tutto la sua bicicletta era sparita. Poi, secondo la madre mancavano degli indumenti. «Nei casi di bambini scomparsi chiamiamo un investigatore da Wilton. Ha molta esperienza, proprio di situazioni simili. Devo solo prendere alcune informazioni, per fare un comunicato e passare la foto alla KKNX. Sono sicuro che la vorranno per il notiziario delle dieci.» «Billy è stato rapito.» La voce di Mary era calma per il terrore. «Beh, signora, pensiamo al peggio, speriamo nel meglio. È così che facciamo in questi casi. Ma con la bici sparita e i vestiti che non ci sono più, è probabile che si tratti di una fuga. Molto probabile.» «Ha lasciato qui l'orologio», osservò Sally. «Non lo lascia mai.» «Non voglio illudervi, ma qui a Stevensville non abbiamo mai perduto un fuggiasco.» In principio pensò che fosse una sirena in lontananza. Gli ci volle un po' per capire che il suono proveniva da Mary Neary. Lentamente divenne più forte. Lanciò un'occhiata al marito, che sembrava perplesso, poi impallidì. Come la figura di un sogno, la figlia si portò lentamente i pugni alle guance. Gli occhi della madre si chiusero strettamente, le braccia si strinsero sopra i seni e il suo corpo sembrò fare uno scatto. Il suono della sua angoscia era reso più straziante dai suoi tentativi di
reprimerlo serrando la bocca, gettando indietro la testa, con quel rumore doloroso che le usciva dal naso. Seguì un silenzio sbalordito. Sally corse in cucina. Si voltò, con un atteggiamento simile a quello di un soldato sul bordo di un campo di battaglia. «Il caffè si sta raffreddando», annunciò con una voce stridula. Chiuse gli occhi. In quel momento si sentì ferita, come se qualcuno l'avesse colpita con una frusta. Per il resto della sua vita sarebbe stata estremamente sensibile a quei silenzi improvvisi che possono fermare per sempre un istante. E avrebbe pensato, ogni volta che si fossero verificati, che qualcuno a cui voleva bene era appena stato perduto. 8 Alle cinque del mattino, Barton aveva attraversato Des Moines. Aveva scorto solo un altro veicolo, sull'interstatale 235, un camioncino dal pianale basso che si dirigeva verso nord, con i fari che tagliavano l'ultima oscurità prima dell'alba. Aveva lasciato l'interstatale e aveva cercato un posto in cui prendere una tazza di caffè e una ciambella. Attorno a lui la città stava preparandosi lentamente verso il mattino. Era l'ora degli ultimi sogni e il silenzio era reso ancora più intenso dal monotono ronzio del condizionatore d'aria e dal rumore di qualche auto. Di solito le strade deserte di una città addormentata lo deliziavano, ma in quel momento aumentarono il suo disagio. Si era aspettato di essere euforico per il successo, ma sentiva un'emozione completamente diversa. Sembrava che non potesse scrollarsi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente e terribilmente sbagliato, di avere commesso qualche errore così macroscopico da non riuscire a vederlo. Senza avere trovato un posto in cui mangiare qualcosa tornò sulla superstrada. Mentre il furgone procedeva veloce verso est, sorse il sole. Dapprima proiettò in avanti l'ombra dell'Aerostar, poi la rimpicciolì. Pensò allo straordinario carico che aveva. All'incantevole Billy. Che cosa ho fatto di sbagliato? Dalla cuccetta, Billy gemette, come se stesse per riprendere conoscenza. Barton pensò di fermarsi nella prima area di sosta e di praticare al ragazzo una puntura molto forte, che l'avrebbe messo fuori combattimento per di-
ciotto ore. Di nuovo ci fu un barlume di coscienza, una parola soffocata che probabilmente era «papà». «Papà sarà qui tra un minuto.» La risposta fu un altro gemito. Barton non voleva fermarsi ai bordi della strada perché temeva che qualche agente di polizia venisse a offrire il suo aiuto. Dal retro del camper provenivano sordi tonfi. Billy era sveglio e stava lottando con le cinghie. Nello specchietto retrovisore Barton vide la coperta che si sollevava. «È solo un incubo, Billy!» «Mmm...» Dormi, ragazzino, dormi e riposa. Papà verrà presto da te. «Mmmmfff!» «È un incubo!» «Hh-mmmff!» Accidenti, lo Iowa non crede nelle piazzole di sosta! La strada si estendeva diritta e vuota. Dietro di lui, Billy si agitava e gemeva. Barton strinse il volante e premette l'acceleratore. Passarono cinque minuti, poi dieci. Il ragazzo continuò ad agitarsi. Finalmente, venti minuti dopo, vide un'area di sosta. Grazie, oh mio Dio, che vuoi bene a Barton, si disse. Si diresse verso i tavoli da picnic e i servizi esterni, poi oltrepassò una lunga fila di autocarri con rimorchio e si fermò vicino a un boschetto all'estremità più lontana. Aprì in fretta lo scompartimento portaoggetti e prese l'astuccio nero che conteneva siringhe, alcol e una boccetta di diazepam in fiale. Aveva scelto quella medicina dopo avere letto dei manuali medici. Era più sicura dei barbiturici e, oltre a provocare il sonno, in dosi adeguate aveva la proprietà di ridurre l'ansia. Mise un po' d'alcol su un batuffolo di cotone e aspirò due centimetri cubici del liquido in una delle siringhe, poi scavalcò i sedili, la bicicletta e la sacca con gli indumenti e si accostò al lettino su cui il ragazzo era steso, legato e gemente. Il gemito divenne un acuto lamento quando l'uomo inserì una mano sotto la coperta e trovò il braccio di Billy. Il ragazzo agitò la testa da una parte all'altra, cercando di togliersi la coperta dagli occhi. Quando Barton lo toccò, il suo braccio tremò, ma l'uomo era forte e agì velocemente. Sfregò la pelle e praticò l'iniezione. Ma l'effetto non sarebbe stato immediato, e la parola che proveniva da sotto il bavaglio fu distinta: «Papà! Papà!» «Sei in un'ambulanza, figliolo!»
«Papà!» «Papà e mamma stanno bene. Anche tua sorella. C'è stato un incendio. Adesso dormi, figliolo.» Ci furono altri rumori e Billy cercava di individuarli. Un attimo dopo fu abbastanza cosciente da capire che era imbavagliato. Barton decise di correre il rischio che urlasse e di togliere il nastro adesivo per cercare di calmare il bambino. Mentre lo levava, Billy schioccò le labbra e tossì. Poi parlò. «Un... incendio?» «È tutto a posto, figliolo. Adesso dormi.» «Ho delle bruciature?» «No, figliolo, solo un po' di fumo.» «Non riesco a muovermi...» «Così non cadrai dalla barella. Sei in un'ambulanza. Adesso hai molto sonno. Dormi.» Infine il respiro divenne prima affrettato e poi più lungo, regolare, e Barton chiuse gli occhi espirando lentamente. «L'etere è un soporifero di effetto relativamente breve, che veniva somministrato in forma gassosa come anestetico durante i primordi dell'anestesia.» Erano in viaggio da quasi due ore. Barton avrebbe dovuto fare a Billy l'iniezione di diazepam prima di Des Moines. Per punirsi della propria imprudenza si conficcò nella coscia l'ago della siringa vuota. Bisogna sempre punire la stupidità. Tutto doveva seguire perfettamente i piani. «L'etere è un soporifero di effetto breve», ripeté estraendo l'ago. Con sua grande sorpresa, Barton si accorse che il braccio di Billy penzolava libero. Si era agitato tanto forte che l'aveva liberato. Nessuno degli altri ragazzi l'aveva mai fatto, prima. Barton scostò la coperta e allentò la cinghia che legava il bambino alla vita. Rimise la mano lungo il fianco di Billy, toccandolo davvero per la prima volta; la sua pelle morbida gli provocò un'ondata di desiderio. Nonostante le abrasioni provocate dagli sforzi del bambino per liberarla dalla cinghia, era una bella mano, pallida e liscia come la seta. Voleva baciarla, fondersi in qualche modo con la sua bellezza. Guardò la pelle, in quel momento illuminata da un raggio di sole. Era così stupefacente, così perfetta, come irresistibile era il leggero strato di peluria che scendeva dal polso estendendosi fino al pollice e al mignolo. Sembrava impossibile credere che quella peluria dorata si sarebbe ispessita e scurita;
eppure quel perfetto essere umano sarebbe presto caduto nel baratro scuro della virilità. Barton si chinò sulla mano, dischiuse le labbra; sarebbe stato un segno di amore, di rispetto, di soggezione, perfino: il suo segreto. Nel suo animo, era molto esigente con se stesso. Non farlo! È una cosa orribile, perversa, ingiusta. Ma lo desiderava ardentemente, non poteva quasi tollerare il pensiero di non toccare almeno una volta con le labbra quella soffice pelle. E mostruoso! Non farlo! Tremò. Non è da te, Barton. Sei una persona rispettabile, sola, che cerca di ricatturare qualcosa di puro, non uno sporco libertino! Strinse forte la mano che pendeva inerte. Poi la lasciò cadere. Osservò la figura addormentata. La snellezza di Billy fece sentire Barton come una massa informe, grassa. Voleva dare a Billy il caldo bacio di un padre e sentire che lui lo ricambiava: allora il ragazzo sarebbe stato legato dall'intenso e sano affetto che fiorisce tra padre e figlio. Ridendo piano tra sé, Barton ritornò al posto di guida. Fece marcia indietro fino ai servizi e tirò la tenda nera che nascondeva la zona posteriore alla vista dei curiosi. Non aveva realmente bisogno di andare al gabinetto, ma sapeva di non dover trascurare una buona occasione. Non poteva rischiare di abbandonare il furgone quando faceva benzina, e di giorno non si sentiva al sicuro nelle aree di sosta, quando erano piene di bambini ficcanaso e di genitori vigili. Fuori, respirò profondamente l'aria del primo mattino. Si sentiva sempre meglio. Avrebbe funzionato, ne era certo. In principio sarebbe stato difficile, ma Billy avrebbe scoperto che Barton Royal poteva dargli tanto affetto, tante attenzioni. Sarebbe stato molto meglio di quello che aveva avuto prima. La loro vita insieme sarebbe stata meravigliosa. Il gabinetto era pieno di mosche e puzzava di disinfettante. Come entrò, Barton fu sorpreso di sentire le grida di un piccolo animale. Sotto il suo piede si contorceva un piccolo topo. D'istinto, Barton fece un salto indietro, ma l'animaletto era ferito tanto gravemente che non riuscì a trascinarsi via. Probabilmente era stato indebolito dal disinfettante prima che lui lo calpestasse. Il primo impulso di Barton fu di usare un altro gabinetto, poi pensò che doveva liberare l'animaletto dalle sue sofferenze. Alzò il piede con l'intenzione di schiacciarlo. Poi esitò. Abbassò il tacco con precauzione, bloccando soltanto la creaturina. Le sue urla riempirono il minuscolo locale. Erano sorprendentemente forti. A poco a poco aumen-
tò il peso sul suo dorso. Poteva sentire che si agitava. Finiscilo! Fece scivolare il piede avanti e indietro. La coda rotolò nella polvere sotto la sua scarpa. Un delizioso calore gli pervase il corpo. Mentre il topo agonizzava, lui canticchiò a bocca chiusa. Infine decise che era tempo che la creaturina morisse. Pochi millimetri alla volta aumentò il peso sulla sua schiena, finché si udì uno schianto e le strida cessarono. Finì quello che doveva fare e ritornò sul furgone. Era solo un topo, santo cielo. Abbassò il vetro dei finestrini, lasciò che il vento entrasse nel veicolo. Da sud arrivavano nuvole di ovatta. Contro il cielo sembravano color rosa e oro. Davanti a lui si stendeva la strada fino alle montagne e ai vasti deserti occidentali, e infine a casa sua, nascosta nel suo appezzamento di un quarto di acro, sulle Hollywood Hills. Era a ottanta chilometri dal confine con il Nebraska, quando un'auto della polizia di Stato gli si mise dietro all'improvviso. Era un po' che l'osservava avvicinarsi dalla sua sinistra. Era distante non più di due macchine, quando si spostò sulla sua corsia. Controllò il tachimetro: novantatré. Non abbastanza veloce per una multa, non abbastanza piano per suscitare sospetti. L'auto si avvicinò sempre di più, finché si trovò a non più di sei metri. Dentro il veicolo Barton riuscì a scorgere la forma indistinta di un giovane guidatore con il viso privo di espressione e, accanto, un uomo più anziano. Respirò a fondo e cercò di pensare. Che cosa poteva averli attirati? Davvero, che cosa? Era impegnato in un'impresa incredibilmente rischiosa. Per quello che ne sapeva, un vicino poteva aver visto il camper davanti alla casa dei Neary, e lui che attraversava in fretta il prato con il ragazzo tra le braccia e caricava la bici sul furgone. Non aveva nessuna ragione di sentirsi al sicuro. La sicurezza era un'illusione. Era la peggior sorta di criminale che si potesse immaginare, un rapitore di bambini, e stava fuggendo con un dodicenne narcotizzato steso sul suo lettino. Gli agenti stavano per arrestare un mostro, e forse era meglio così. Le autorità l'avrebbero colto in flagrante, incatenato, ficcato in prigione... o peggio ancora. Barton Royal non era matto! Avrebbe dovuto usare strade secondarie per uscire dallo Stato. Era stato stupido prendere l'interstatale. Perché gli stava alle costole, l'auto della polizia? Perché giocava con lui?
Nell'area di sosta non aveva avuto bisogno di pisciare, ma ne sentiva l'urgenza in quel momento, tutto il suo corpo era in tensione, tutti i muscoli erano irrigiditi, ogni nervo premeva contro le ossa e le cartilagini. Aveva la bocca arida e gli sembrava che gli occhi stessero per uscire dalle orbite. «Fatela finita, bastardi!» esclamò ad alta voce. Un momento, forse aveva qualche possibilità. Ricordò lo scanner. Accendilo, pazzo! Accendilo e lascialo in funzione! Con la coda dell'occhio osservò il puntino rosso correre su e giù sul quadrante, in cerca di qualche frammento di dialogo. Silenzio. L'agente non era in comunicazione radio. Certo che no, non adesso, pazzo! C'era stato prima. Sta solo aspettando, osservando, sperando in qualcosa di più di una semplice descrizione, qualcosa che gli fornisca un motivo plausibile per perquisire il veicolo. Stava cercando di fargli perdere la calma. Se accelerava l'agente l'avrebbe inseguito. Sarebbe stata una buona scusa per una perquisizione. Dio, Dio, ti prego, aiuta tuo figlio Barton. Mi hai creato, Signore, adesso aiutami! Sto passando le pene dell'inferno! Il lampeggiatore dell'auto della polizia entrò in funzione. Oh, mio Dio, ti prego, non lasciare che accada ora. Voleva passare almeno un mese con Billy, poi sarebbe morto volentieri! Sì, morire in cambio di trenta giorni felici! Si drizzò sul sedile, in atteggiamento compito. Accosta il camper, si disse, comportati come una scolaretta in chiesa. L'auto della polizia fece altrettanto. Lui cercò di calmarsi, di richiamare un po' di saliva nella bocca secca. Okay, Barton, bambino, eccolo che arriva. Accidenti, che viso ben rasato ha, questo agente. Mi chiedo se abbia davvero bisogno di farsi la barba, pensò. Poi scacciò tutti i pensieri, si stampò un sorriso sulle labbra. La sua voce era calma, preoccupata, perfetta, quando disse: «Non credo di aver superato il limite di velocità, agente». «Patente, prego.» La voce era tranquilla e chiara. «Sì, ce l'ho. Un attimo solo.» Barton cercò di non tremare mentre tirava fuori il portafoglio. «Una patente della California, signor Royal?» La voce era scesa di un'ottava. Già con un'ombra di sospetto. «Sì. Ho una casa per le vacanze nello Utah.» Un lungo silenzio. Ecco che arrivava. Avrebbero pronunciato la micidiale formula: «Vorremmo dare un'occhiata dentro». «Le sue targhe sono scadute.»
Oh, no, non un'altra stupidaggine. Pazzo, pazzo, pazzo! Ma come poteva essere? Viaggiando verso lo Iowa si era fermato all'ufficio postale di Salt Lake per rinnovarle. Aveva attaccato i contrassegni. «No, non credo.» «Non c'è il contrassegno.» Era sulla targa anteriore. Non doveva essere lì? «È davanti.» Per favore. Oh, Signore del paradiso. Farò qualsiasi cosa. Ti servirò anima e corpo per sempre... L'agente si portò davanti al camioncino e guardò la targa. Ritornò accanto al finestrino. «Signor Royal, dovrebbe avere un contrassegno su entrambe le targhe.» «Me ne hanno dato solo uno.» «Beh, le consiglio di procurarsene un altro, se non vuole che continuino a fermarla.» «Grazie, agente.» «Questa volta non emetteremo un mandato di comparizione, signor Royal, ma farebbe meglio a fermarsi a Salt Lake e procurarsi quel contrassegno.» «Certo, agente.» Billy emise tre brevi urli. L'agente infilò la testa dentro il finestrino. In quell'istante gli venne un'ispirazione. «Ho un cebo cappuccino», disse Barton. «Un cebo?» «Il rumore. Una scimmia. Una scimmietta nel retro.» L'agente irrigidì il volto. Si ritrasse un poco. «Va bene, signor Royal. Adesso può andare.» Barton inserì la marcia e si riportò sulla superstrada. Gli agenti rimasero ai bordi, con la luce che lampeggiava ancora. Aveva il viso in fiamme e le tempie gli battevano. Negli occhi gli ballavano enormi scintille. Doveva consultare un medico, a proposito di quelle intense reazioni alle tensioni? Era sovrappeso, certo, ma questo... forse era la pressione alta o qualcosa del genere. Si immaginò morto sulla strada con un bambino sul lettino del camper. Per l'amor di dio! 9 I Neary erano precipitati all'inferno. Niente li aveva preparati a una cosa
simile. Il loro inferno non aveva cancelli né orizzonte, e i suoi diavoli erano agenti di polizia con occhi tristi e sospettosi. Li ferivano e tormentavano non con i colpi, ma con le domande. E come sempre c'era quella al centro dei loro pensieri, quella a cui nessuno sapeva rispondere. Il rumore dell'inferno può essere anche il silenzio del telefono. Né Mary né Mark espressero la speranza che condividevano in privato, che quel giorno tremendo sarebbe terminato con la ricomparsa di Billy, di ritorno a casa, tardi, reduce da una scappatella infantile. Era un ragazzino così avventuroso! Nel corso del pomeriggio quella speranza morì lentamente. Aveva cominciato a scemare dopo che la polizia se n'era andata, quando avrebbero dovuto pranzare. I panini al prosciutto che Sally aveva preparato finirono con l'attirare solo le mosche. Con l'avanzare del pomeriggio i bordi del pane si arricciarono e le foglie di lattuga si afflosciarono. Arrivarono le quattro, poi le cinque. La giornata stava per finire, e lui non tornava ancora. Fu deciso di fare di nuovo un inventario di quel che mancava nella sua stanza, per stabilire se si poteva capire dov'era andato da qualche oggetto che aveva preso. Il detective Walter Toddcaster, arrivato da Wilton, insistette per partecipare all'impresa. Sulle prime pensarono che fosse spinto dalla diffidenza o da qualche altro nascosto motivo. Ma quando affrontarono la stanzetta silenziosa, tanto familiare, compresero che era compassione. Toccare i giocattoli fu difficile quanto afferrare le mattonelle incandescenti del barbecue nel cortile sul retro. Ma una volta raccolto qualcosa, deporlo di nuovo era ancora peggio, come buttare l'anello nuziale giù per un condotto di scarico o rinunciare alla propria vita o non avere più Dio che ci tiene per mano. Tanto intensi erano i ricordi, tanto grande il dolore, che solo Toddcaster fu in grado di effettuare un inventario coerente. Mary e Mark erano seduti in mezzo alla stanza con i cassetti sotto il letto aperti davanti a loro. Cercavano con la vista annebbiata dalle lacrime. Mark ricordò la voce del figlio che parlava da solo fantasticando, mentre giocava, le automobiline nelle sue mani, il suo Lego, i suoi trenini Brio, il decrepito Garfield il Gatto, un pupazzo imbottito diventato anoressico per l'età e gli abbracci. «Ha fatto esercizio con la chitarra?» chiese automaticamente Mark. Mary era chiusa nel proprio dolore. «Volevo regalare a qualcuno questo Brio», disse a bassa voce. «Non ci gioca più.»
Dalla stanza di Sally proveniva la voce dei Beatles: Give Peace a Chance. All'improvviso Mark riandò con la mente a quando frequentava l'università. Aveva cantato quella canzone prima che Billy venisse al mondo. Con gratitudine lasciò che lo trasportasse in un altro tempo. Sembrò che altre voci sorgessero attorno a lui... Let it be... Aveva passato dei bei periodi. Quando Billy era appena nato Mark l'aveva cullato, ben protetto dentro la sua vestaglia. Gli aveva dato il biberon leggendo il giornale del mattino. Era stato in una di quelle occasioni che aveva pronunciato la prima parola: «Pa». Mary stringeva al petto una locomotiva rossa. «Ricordo la prima parola che ha detto», disse a voce bassissima. «'Ma.' Te lo ricordi?» Entrò Sally. «Dobbiamo trovare Billy», affermò. L'investigatore Toddcaster osservò: «Questo inventario ci aiuterà». All'improvviso, Mark e Mary tornarono alla realtà. Mary si drizzò. «Sì, dobbiamo trovarlo.» Poi aggrottò la fronte, proprio come una ragazzina. Un'ombra entrò nella stanza. Sally comprese per prima. «Il sole è appena tramontato», osservò con voce sommessa. «Penso di aver finito, qui, se nessuno riesce a individuare qualche giocattolo mancante.» L'investigatore si alzò in piedi; un'ombra di agitazione traspariva dai movimenti. «Quindi quello che è sparito sono i suoi indumenti per l'esterno. Magliette, pantaloni, biancheria intima, calzini. E il suo zaino.» «Come se dovesse pernottare fuori.» «Tranne le scarpe», osservò Mark. L'investigatore Toddcaster si guardò intorno. «Le scarpe?» «Guardi. Le scarpe da ginnastica, i mocassini. Anche le pantofole e gli infradito. Sono tutti qui. Quando se ne è andato era scalzo.» Mary tese le mani come per parare un colpo. Prese una scarpa consumata. «Sta per passare alle misure da uomo, Mark. Te l'avevo detto?» Mark annuì. Non riusciva a parlare. Ma era assolutamente certo, nell'intimo, che Billy era stato rapito da quell'uomo nel cortile. «Non sarebbe mai uscito senza scarpe, specialmente in bicicletta.» «Neanche in agosto, signor Neary?» «Mio fratello non va mai scalzo. Non lo fa più da anni», osservò Sally. «No, penso di no.» Walter Toddcaster era tarchiato, con una grande testa rotonda dondolante. Era arrivato da Wilton in una Chevrolet verde militare, che aveva parcheggiato nel vialetto d'accesso. Guardò le scarpe di Billy
come se potessero rivelare un segreto che solo un professionista poteva interpretare. «Al mio nipotino piacciono le British Knight», disse. «Qualsiasi altra marca non la porterebbe neanche morto.» Guardando le malandate scarpe da ginnastica di Billy strinse gli occhi come se qualcuno gli avesse appena dato uno schiaffo. Vedendo l'espressione sul viso di Mary tese una mano slanciata, sorprendentemente piccola ed elegante per un uomo tanto grosso, e accarezzò l'aria vicino alla spalla di lei. «Ho fiducia, Mary. Troveremo Billy. Le dico anche dove. Su qualche strada di campagna, con la bicicletta a mano, rotta o con una gomma a terra. E lo troveremo presto, perché avrà notato che il sole sta tramontando e avrà rinunciato ad aspettare o a qualsiasi altra cosa stesse facendo, e avrà cominciato a camminare.» «Non se ne sarebbe andato senza avvisarci. Mio figlio è avventuroso, ma è anche un bravo ragazzo.» Lasciò cadere la scarpa, che fece un tonfo. «Non dice mai bugie. E neanche noi gliene diciamo.» «Mamma...» Sally aveva incrociato le braccia. Piegò la testa come se stesse sentendo una musica speciale. I suoi lineamenti si contrassero. «Quello che voglio dire è che Billy è un ragazzo intelligente, ma è anche fiducioso. Si può ingannarlo facilmente. È questo che mi preoccupa!» Mark era profondamente angustiato dalla trasformazione che vedeva nella moglie. Neanche durante il travaglio aveva avuto un aspetto tale. Dopo quindici ore in cui aveva cercato di partorire, Sally aveva afferrato Mark e aveva detto: «Arriveranno di nuovo e non riuscirò a sopportarle, Markie. Urlerò». «Urli, santo cielo», aveva esclamato il dottor Epstein. «Mi sta facendo arrabbiare con la sua scena di forza e di silenzio. Urli!» Aveva avuto di nuovo le contrazioni e i suoi occhi erano diventati vitrei, ma non aveva gridato, non aveva potuto, doveva mantenere il controllo e Mark aveva capito che per lei lasciarsi andare sarebbe stato una specie di morte. C'erano volute quindici ore. Puzzava, sudava a fiumi, poi era comparsa Sally, con la testolina che sembrava una piccola banana blu. Aveva fatto un piccolo sbuffo e poi aveva strillato a pieni polmoni, con una vocetta forte e acuta. Con Billy era stato più facile, perché era il secondo. Per giorni interi dopo la nascita aveva dormito placidamente. Fino a sei mesi circa era stato un bambino docile. Poi non si era più fermato un minuto. Toddcaster li osservava. Aveva visto quella fase molte volte, prima di
allora. Il figlio era scappato, ma loro non volevano ammetterlo. E perché avrebbero dovuto? Il loro bambino aveva disprezzato tanto la sua casa che aveva deciso di andarsene. Che l'avesse fatto in bicicletta significava che molto probabilmente l'avrebbero ritrovato presto. Il caso sarebbe stato chiuso entro ventiquattr'ore. Nel frattempo era solo necessario offrire un po' di conforto. Ma si sentiva annoiato e aveva voglia di un sigaro. Ma provava imbarazzo a chiedere se dava fastidio. La loro casa era così pulita, l'aria fresca e debolmente profumata con un miscuglio di petali essiccati che doveva aver fatto la donna. Era ora di cominciare. «Sentite, ha preso magliette, pantaloni, cose di cui avrebbe avuto bisogno per stare via qualche giorno. Ha preso la bici. Dobbiamo pensare che Billy sia scappato di casa.» Dalla porta la figlia disse: «Assolutamente no». Qualcosa nella sua voce spinse Walter Toddcaster a voltarsi di scatto per guardarla. Conosceva quel genere di convinzione. «Che cosa te lo fa dire?» Se si sbagliava, okay. Voleva scoprire la verità e soprattutto trovare il ragazzo. «Che cosa ti rende tanto sicura?» «Era felice. Siamo una famiglia felice.» La ragazza lo guardò, un volto pallido, a forma di cuore, capelli biondi, una vera rubacuori. «Qualche volta le cose si accumulano, un ragazzo può non vederla in quel modo, si parla di meno...» Mark Neary si alzò in piedi. «Santo cielo, nostro figlio è stato rapito. Ha anche visto il rapitore, la notte scorsa, nel cortile davanti! Stiamo perdendo tempo, a discuterne.» Sua moglie fissava senza espressione il pavimento. «E più facile, per voi, se lo definiscono un caso di fuga, vero?» «Vogliamo riportare a casa vostro figlio.» Mark voleva afferrarlo per il bavero, ficcargli in testa un po' di buon senso a forza di scuoterlo. «Allora fate un comunicato!» «Abbiamo diramato la sua descrizione a tutti i posti di polizia dello Stato questa mattina. Lo sa benissimo.» «E non avete avuto notizie. Neanche un poliziotto in tutto lo Stato dello Iowa lo ha visto.» Toddcaster lo guardò. Mark ricambiò l'occhiata e fu sorpreso vedendo negli occhi del detective qualche cosa che non aveva visto prima. Era inaspettato come un vento freddo nel pieno di un caldo agosto. Non gli piacque affatto, non in quegli occhi. Se la polizia si sentiva impotente, come era messo, Billy?
«Dobbiamo arrenderci all'evidenza, e l'evidenza è che Billy se ne è andato in bicicletta, portando con sé degli indumenti. È tutto quello che ho. È la realtà.» «Tanto per stare sul sicuro, perché non presentarlo come un rapimento?» Walter Toddcaster desiderava poter fare proprio quello. Il suo istinto era sempre quello di aspettarsi il peggio, ma il fatto era che se avesse fatto un rapporto in quel senso avrebbero cominciato a muoversi un sacco di dipartimenti di polizia. Ci si preoccupava, dei bambini rapiti. I piedipiatti avevano famiglia, sapevano quanto un rapimento fosse straziante. La prima cosa che avrebbero scoperto gli investigatori venuti da fuori sarebbe stata la mancanza della bici. E quello sarebbe stato molto imbarazzante. «Datemi qualche solida prova.» «La testimonianza della sua famiglia!» La voce di Mary era rauca. Pensava che avrebbe voluto morire e non poteva, non poteva abbandonare Billy. Quand'era piccolo aveva dei riccioli biondi. Aveva pianto in silenzio, con la schiena rigida e un sorriso incollato sul viso, quando il signor Terry li aveva tagliati. Zac, zac, zac, e l'infanzia se n'era andata sul pavimento del negozio del barbiere. Lo squillo del campanello fece trasalire tutti, anche Walter Toddcaster, che era stato troppe volte in quel tipo di casa, con quel tipo di persone. Tre giovanotti trasandati stavano sulla soglia in atteggiamento imbarazzato. In mano avevano telecamere e attrezzature varie. Un camioncino blu e grigio con la scritta NOTIZIARIO KKNX - TESTIMONI OCULARI era parcheggiato accanto al marciapiede. «Siete voi quelli a cui è sparito il bambino?» Mark aprì di più la porta. Gli uomini entrarono, guardando tutt'intorno nell'ingresso, lanciando occhiate anche al soffitto. «Preparate nel soggiorno», disse uno di loro. La sua voce sembrava un sussurro a un funerale. «No», disse Sally. «Nel seminterrato.» «Nel seminterrato?» «Oh, Mark, ha ragione! C'è tutta la sua roba. Nostro figlio è un fanatico dei computer. Dovreste dirlo, in televisione.» «Sarà un ottimo scenario, signora.» Mentre la troupe seguiva Sally nel seminterrato, Toddcaster prese da parte Mark e Mary. «Sentite», disse, «vi parlo con la voce dell'esperienza. Voi avete molto autocontrollo. Vi tenete dentro i vostri sentimenti. Non ho niente contro di ciò, faccio così anch'io. Ulcera invece di lacrime, è meno
imbarazzante. Ma più emozioni mostrate in televisione, più stazioni prenderanno il pezzo e lo trasmetteranno. Credetemi. È la voce dell'esperienza.» «Che cosa dirà, Walt?» «Dirà quello che pensa, Mark. Che Billy è scappato di casa.» Walt Toddcaster fece un altro mezzo gesto verso Mary. «Voglio che Billy venga trovato. Voglio un esito favorevole. Garantito.» «Una fuga significa che siamo cattivi genitori. Che in qualche modo l'abbiamo spinto ad andarsene. E intanto qualcuno ha nostro figlio.» Uno della troupe televisiva andò loro incontro sulla scala. «C'è un altro ingresso al seminterrato? È uno sfondo magnifico, ma dobbiamo portare dei riflettori. Abbiamo bisogno di una scala diritta.» A Mark ci volle un momento per ricordare. «C'è una vecchia porta doppia, ma da quando siamo venuti qui non l'abbiamo mai usata. Non so nemmeno se si possa aprire.» Ma quando la spinse, trovò che si apriva facilmente. Toddcaster cominciò a fissare la porta come se in qualche modo l'avesse ipnotizzato. Mark pensò che fosse un po' suonato. Quanto possono essere bravi i piedipiatti in queste città lontano dal mondo? si chiese. Che Dio aiuti Billy. Mentre gli uomini della televisione portavano dentro le luci, Mark si sedette al computer e passò inutilmente in rassegna l'elenco dei suoi giochi e dei progetti che suo figlio aveva in mente. Mary andò di sopra a prendere l'album fotografico. C'erano la festa di compleanno dell'anno prima e un paio di istantanee recenti che lo ritraevano al computer. L'investigatore indugiava come un fantasma vicino alla doppia porta. Stava toccando i cardini con un fazzoletto. Il suo viso dall'espressione ora intensa ora vuota sembrava scolpito. Infine smise, girò sui tacchi e ritornò nel seminterrato. La troupe televisiva finì i suoi preparativi. Mark, Mary e Sally si sedettero davanti all'Amiga di Billy. Gli uomini accesero i riflettori. Il loro bagliore azzurrino era urtante e l'essere lì davanti agli occhi di tutti acuì il dolore di Mark. Aveva gli occhi umidi, ma le lacrime non provenivano da quella parte di lui che parlava, pensava e agiva. Erano un segnale che veniva dalla parte più profonda e oscura di sé, e Mark capì che cosa significava provare qualcosa di insopportabile. Poi la telecamera entrò in funzione e il regista fece una domanda a Walt. «Che cos'è successo a Billy Neary, tenente Toddcaster?» «In questi casi pensiamo sempre a una fuga o a un rapimento da parte di
un genitore che non vive nella stessa casa. Ma i Neary sono una famiglia felice. Tipica dello Iowa. I rapimenti da parte di estranei capitano, ma sono molto rari. Sulle prime abbiamo pensato che si trattasse di una fuga. Sembrava un caso molto chiaro. La bici del ragazzo è sparita, dalla sua stanza sono stati presi degli indumenti. In realtà, se non aveste avuto bisogno di usare quella porta doppia starei ancora perdendo tempo con la teoria della fuga. Ma questo ragazzo è stato rapito davvero. Ci scommetto il distintivo. E il rapitore è furbo, ad avere portato via la bici.» Mary e Mark cedettero insieme, come due alberi abbattuti dal vento. Lei rimase in silenzio. Lui, cercando di nascondere le lacrime, emise dei suoni soffocati. Sally prese la mano a entrambi i genitori. «Può descrivere suo figlio, signora Neary?» Lei lottò in cerca delle parole. «È alto un metro e venti. Ha i capelli biondo-rossicci. Volete far vedere la sua foto? Per favore?» Poi parlò Sally. «Per favore, chiunque lei sia, la mamma e il papà non faranno niente per farle del male. Per favore, ci ridia Billy.» La telecamera indugiò per un istante, e poi tutto finì. Senza dire una parola la troupe cominciò a rimuovere le apparecchiature. Dopo che ebbero portato via i riflettori il seminterrato assomigliò a una tomba. Intontita dal dolore e dalla sorpresa, la famiglia seguì Toddcaster al piano di sopra. Lui si diresse immediatamente verso il telefono. Lo udirono parlare con l'ufficio locale dell'FBI a Des Moines. Il suo tono era pressante. Poi si rivolse a loro. «Qualcuno ha oliato i cardini di quella porta doppia. Ed è una cosa recente, probabilmente da meno di ventiquattr'ore.» «Nessuno ha oliato nessun cardine», ribatté Mark. «Lo so, che non siete stati voi. E stato chi lo ha portato via. È così che è entrato in casa. Ha dovuto oliare i cardini, altrimenti gli scricchiolii avrebbero potuto svegliare qualcuno.» Mary gli volò tra le braccia. «Ehi», fece lui. «Lei è un genio!» Si allontanò da lei, si allontanò da tutti loro. Andò alla finestra e guardò il prato. «Sono stato cieco. Mi ci è voluto tutto il giorno per capire che avevate ragione. Adesso voglio che venga la scientifica. Che rilevi le impronte, che cerchi degli indizi.» «Che indizi? Abbiamo toccato tutto, siamo stati dappertutto. È troppo tardi, per gli indizi!»
«Spero che si sbagli, Mark. Adesso se ne occupa l'FBI. Mandano una squadra da Des Moines. Raccoglieranno le prove e coordineranno le ricerche su scala nazionale. Noi faremo il lavoro all'interno dello Stato. Saranno qui tra un'ora. Nel frattempo ho un suggerimento da dare. Dobbiamo mandare qualcuno a prendere qualcosa da mangiare. Non avete mangiato niente in tutto il giorno, e avrete bisogno di tutte le vostre forze.» «Potremmo uscire tutti», propose Sally. «No. D'ora in avanti, questa è la regola numero uno: vedete quel telefono? Non dovete mai lasciarlo incustodito. Mai. Se dovete uscire tutti chiamate un vicino, un amico. Usatelo il meno possibile. Se volete chiamare liberamente fatevi mettere un'altra linea.» «Abbiamo il servizio che mette in attesa le chiamate.» «Non va bene. E rispondete sempre al primo o secondo squillo. Un'altra cosa. Vi porteremo un registratore speciale, che si mette in azione automaticamente tutte le volte che si alza il ricevitore. E se Billy chiama, dite solo una cosa. Non 'Ti voglio bene', non 'Come stai?' Dite solo: 'Dove sei?' Ricordatevelo. 'Dove sei?' Qualsiasi informazione, anche minima, se Dio vuole, potrebbe aiutarci.» «Chiamano, di solito?» «Beh, consideratela in questo modo. Adesso vostro figlio ha in mente una cosa soltanto. Vuole tornare a casa. Vuole voi. E se vede un telefono è probabile che cerchi di usarlo. Ma potrebbe non avere molto tempo. E sarà pericoloso. Quindi, dopo che ha detto dove si trova, che vi ha detto tutto quello che può, gli dite: 'Riattacca.' Fatelo più in fretta che potete. Non ve lo ripeterò mai abbastanza, non rimanete al telefono con lui. Considerate la cosa dal punto di vista del rapitore. Vede il ragazzo al telefono. Che cosa significa per lui? Che con tutta probabilità è stato appena incastrato. Quel ragazzo è diventato un ospite sgradito. Lo fa fuori e leva le tende.» «Lui... lui ammazza Billy...» «Mary, dobbiamo guardare in faccia la realtà. Uno che commette cose simili non è certo uno stinco di santo. Non ha normali reazioni umane. Può darsi che non sia molto stabile e di certo è un essere abietto.» Il telefono squillò facendo trasalire di nuovo tutti coloro che si trovavano nella casa. Rispose Mary, con voce chiara ma soffocata dal dolore e dall'ansia. «Casa Neary.» Era la polizia locale. Avevano appena ricevuto il comunicato dell'FBI e Lacy, il comandante, stava arrivando. «Hanno perlustrato i dintorni tutto il giorno in cerca di Billy», disse
Walt. «Adesso cambieranno tattica. Cominceranno a spulciare gli archivi per trovare i possibili esecutori materiali. In una città di queste dimensioni è probabile che non troveranno nessun potenziale candidato. Ma busseremo a qualche porta a Des Moines e a Davenport, siatene certi.» Mark si accostò alla finestra sul davanti. «Stava sotto quell'albero. Ha risalito il sentiero, ha girato attorno al garage, è arrivato nel cortile posteriore. E poi è entrato.» «La porta doppia non è mai stata chiusa a chiave, suppongo.» «Non ricordo.» È colpa mia, disse Mark a se stesso. Walt gli si avvicinò. «So quello che sta pensando. Se avessi fatto questo, se avessi fatto quello. Lasci perdere. Quel tipo voleva Billy. Se lo sarebbe preso comunque.» «Perché proprio mio figlio, Walt?» Mary aveva assunto quell'espressione vuota che avvertì Walter Toddcaster di una crisi imminente. Nonostante le condizioni emotive della donna sempre peggiori, lui insistette. Aveva un lavoro da fare, e all'improvviso era diventato maledettamente urgente. «C'è qualcosa nel vostro passato... qualcuno che vi odia... uno o l'altro di voi?» Mark scosse la testa. Mary lo guardò. «Mio marito ha delle idee politiche ben precise.» «Che genere di politica?» «Sono piuttosto di sinistra», rispose Mark. «Sono stato licenziato un paio di volte, per quello.» L'unica politica di Walt Toddcaster era di essere un poliziotto: votava per chi difendeva il bilancio della polizia e odiava i criminali. Probabilmente quello lo rendeva un conservatore. Non ci aveva mai pensato molto. «Licenziato da che cosa?» «Insegno storia. L'ultima volta sono stato buttato fuori per avere bruciato la bandiera.» «Pensa che sia giusto permettersi di bruciare la bandiera?» «Fondamentalmente sì. Ma è una cosa che rende mio figlio una possibile vittima di un rapimento?» «Potrebbe darsi.» Mark chinò la testa. Walt si rese conto di quanto suonasse dura la sua affermazione, ma non gli piaceva il genere di cause che a quanto pareva questo tizio sosteneva. Neary era il genere di persona malconsigliata che voleva mettere i poliziotti dietro le sbarre e lasciare che i criminali girassero in libertà. «C'è stato uno scandalo pubblico? È forse finito sui giornali?»
«Sono solo un insegnante delle superiori. Quello che faccio non compare sulla stampa. Quando mi licenziano non se ne accorge nessuno, a parte noi.» «Beh, Mark, non è del tutto vero. L'Unione Americana per le Libertà Civili...» «Mi hanno reintegrato con gli arretrati e tutto. E quindi hanno cambiato il piano generale e hanno eliminato del tutto il posto.» «Non è trapelato niente, sui giornali?» «Nemmeno una parola.» «Non sappiamo perché un dato rapitore sceglie un particolare bambino. Sono stati eseguiti degli studi, ma la maggior parte conclude che è solo casuale. Ha scelto un ragazzo che lo attraeva. Vostro figlio.» Sally, che aveva continuato a passare da un canale all'altro della televisione, rimise l'apparecchio sulla KKNX e tolse l'audio. «Vado fuori a prendere del pollo fritto», annunciò. «Un sacchetto intero.» Un istante dopo che fu uscita dalla porta, Mary si alzò di scatto e le corse dietro. «Sally! Sally, no!» Afferrò la figlia e la strinse. «Non andare fuori!» «Dobbiamo mangiare, mamma! Non hai nemmeno toccato i panini che ho fatto.» «Ci sono ancora...» «Li ho buttati. Erano diventati secchi. Mamma, non mi succederà niente a camminare per due isolati. Non è ancora buio.» Mary attraversò la veranda. «Andrò io», disse dirigendosi verso il garage. «Walt può spostare la sua auto.» «Mamma, non è necessario!» Mary non rispose. Walt corse fuori e spostò la macchina davanti alla casa. Osservò Mary mentre percorreva il vialetto a retromarcia, si immetteva nella strada e si allontanava lentamente. Avrebbe dovuto accendere le luci. Se fosse stato di ronda l'avrebbe fermata perché non aveva acceso i fari dopo il tramonto. Quando Walt ritornò in casa, Mark e Sally erano sulla veranda, vicini. Vedere le famiglie soffrire gli era insopportabile. Alcune di loro si disgregavano, altre no. In gran parte era questione di fortuna. «Forse lo trasmetteranno nel notiziario delle sette», osservò Sally. Stavano ancora guardando la televisione quando Mary ritornò. Walt e Sally mangiarono. «William Neary, di dodici anni, figlio di un noto insegnante di storia
delle scuole superiori di Stevensville, Mark Neary, è scomparso da casa stamattina presto. La polizia afferma che è stato rapito da un estraneo entrato nell'abitazione mentre la famiglia dormiva. I particolari alle dieci.» Mark sentì che il viso gli si infiammava. Era ben poco popolare. I ragazzi lo conoscevano appena, era lì da così poco tempo. Un istante dopo squillò il telefono. Era Tom Benton, il preside della scuola. «Mark, Gesù Cristo...» Che cosa aveva detto? «È sparito, Tom.» Era tanto difficile parlare. Dire una cosa simile, dire: «È sparito», era come suscitare rimorso restituendo bene per male. «Prenditi tutto il tempo che vuoi, Mark. Lascia perdere quelle lezioni di ricupero che dovevi fare. Non voglio vederti finché non è tutto a posto.» Quando Mark depose il ricevitore il telefono squillò di nuovo. Era uno degli amici di Billy, Jerry Edwards. Jerry parlò sottovoce. La famiglia Edwards era già stata interpellata sia da Mark sia da Walt Toddcaster. «Signor Neary, l'abbiamo appena sentito alla televisione. Billy...» Il padre del ragazzo prese la comunicazione. «Se c'è qualcosa che possiamo fare, amico... Qualsiasi cosa, accidenti.» Mentre Mark deponeva il ricevitore squillò il campanello. Sally lo seguì sino alla porta di casa. Sulla soglia c'era un uomo con un giubbotto mimetico. Per un brevissimo istante, pieno di speranza, Mark pensò, tutti pensarono... «Senta, non ci siamo mai visti. Abito a due case di distanza. Voglio che sappia, se c'è qualcosa che posso fare per aiutare...» «Grazie», rispose Mark, «ma la polizia sta facendo tutto il possibile.» Walt si avvicinò all'ingresso. «Un momento. C'è un sacco di cose che i vostri vicini possono fare per aiutare.» Si fece strada tra i famigliali. «Entri, signor...» «Gerrard. Mike Gerrard. Gestisco il Walmart al centro commerciale.» «I Neary faranno stampare un manifesto con la foto di Billy. Potrebbe attaccarne qualcuno dove lavora. E hanno bisogno di gente per stare vicino al telefono quando non possono farlo loro.» Prese da parte Mike Gerrard. «Hanno bisogno di amici, signor Gerrard.» «Diavolo, sì», rispose lui. Guardò Mark come qualcuno venuto da un altro pianeta, enorme e robusto, con occhi minuscoli e mobili. E Mark pensò: e se fosse stato lui a rapire il mio ragazzo. Ma poi si costrinse a scacciare quel pensiero. Quelle preoccupazioni così concrete rendevano tutto molto reale. Mark
si sentiva fisicamente oppresso, come se qualcuno gli avesse caricato sulle spalle un peso enorme. Ma sorrise, cercando coraggiosamente di continuare ad andare avanti. Doveva farlo. Billy aveva bisogno di lui. Aveva bisogno della forza, dell'intelligenza e del coraggio di suo padre, le cose in cui aveva sempre creduto. Mark si sentiva meno di niente. Il telefono squillò di nuovo. Quella volta era una delle amiche di Mary. «Fate telefonate brevi», ammonì Walt. Mark aveva appena riappeso, quando un'auto si fermò davanti alla casa. Scesero due uomini, giovani, con abiti ordinati. La famiglia capì immediatamente che era arrivata l'FBI. Salirono fino alla veranda, passando attraverso un gruppo di vicini che si era raccolto sul marciapiedi. La veranda era quasi buia, e Mark accese la luce. I giovanotti si presentarono. Entrarono in casa. Rendendosi conto che la sua presenza non era più necessaria, Mike Gerrard uscì sul marciapiedi e cominciò a parlottare animatamente, a voce bassa, con i vicini. I due giovanotti erano pieni di fiducia, ma volevano essere condotti per la stessa strada che aveva percorso Walt, la strada penosa della breve vita di Billy. C'erano dei moduli da riempire e del lavoro da fare. Comparve un camion con una squadra del laboratorio scientifico di Des Moines. All'improvviso, la casa fu piena di gente, si scattavano foto, si prendevano impronte, si passava l'aspirapolvere sui gradini, sui divani, su ogni centimetro quadrato della stanza di Billy. Un agente dell'FBI, un giovanotto dai capelli rossi che si chiamava Franklin Young, mostrò un modulo a Sally e a Mark. «Questo è il rapporto per il Centro Nazionale di Informazioni sulle Persone Scomparse», spiegò. «Dobbiamo compilarlo insieme, poi lo invieranno a Washington via fax.» Young riempì da solo parte del modulo. «Indicherò Billy come potenzialmente in pericolo di vita. Questo non vuol dire che sappiamo qualcosa che voi ignorate. È la prassi per ogni rapimento di un minore compiuto da estranei. Inoltre, darò a questo caso la precedenza assoluta.» Di nuovo, Mary e Mark si impegnarono a ricordare i dettagli della vita del figlio. Mary sentì che le cresceva dentro una specie di furia. Ebbe una fantasia, breve ma sanguinosa, della testa del rapitore che esplodeva in mille pezzi. Sotto INFORMAZIONI VARIE scrissero una descrizione delle modalità del rapimento, il fatto che Billy aveva svegliato Mark per dirgli dell'uomo
in cortile, il particolare dei cardini della doppia porta oliati, gli indumenti e la bicicletta spariti. Gli agenti furono attenti e pazienti: non omisero niente. Quando il modulo fu completato, Franklin Young lo portò via con sé nella sua auto perché fosse inviato per fax al Centro Nazionale di Informazioni. Intanto, uno dei membri della scientifica cominciò a prendere le impronte dei Neary, in modo da poter identificare quelle eventualmente lasciate da un estraneo. Con tutta quell'agitazione, a Mary sembrò che il mondo le crollasse addosso. Non poteva più muoversi, non poteva pensare, non poteva compilare moduli, parlare, spiegare, pensare, ringraziare, sperare. Quando il telefono squillò di nuovo, prese un cuscino dal divano e se lo premette contro il viso. Allora gridò, e gridò ancora. Sentì che Mark le toccava un braccio, che lo afferrava, udì la sua voce come da una distanza enorme. «Mary! Mary, per l'amor del cielo!» Lei continuò a gridare, sempre più forte. Non cercò di smettere, non voleva nemmeno farlo. Pensò che avrebbe potuto continuare a gridare per sempre. 10 Billy capì di essere a letto, e quella era una buona cosa, ma c'era quel ronzio. Poi gli sembrò di diventare un pallone pieno di aria calda e il ronzio lo faceva vibrare. Era un pallone rosso che si librava in un cielo sereno, sempre più in alto, sempre più in alto... Che cos'erano quel ronzio e quelle scosse? Una volta o l'altra il letto si sarebbe certo ribaltato. Dietro gli occhi baluginavano delle luci. Era tutto caldo e soffice, ma non piacevole, niente affatto. Gli sembrava che gli fosse stato versato in gola qualcosa di molto vecchio e di morto. Durante la notte gli era forse venuta l'influenza? No, il dottore aveva detto... Il dottore? Casa mia è stata distrutta da un incendio e io sono in ospedale! Cercò di sollevarsi ma senza riuscirci, e si ricordò la ragione. Molto, molto tempo prima si era svegliato e aveva scoperto di essere legato con delle cinghie. Perché ti legano, in ospedale? Solo per una ragione, sei conciato tanto male che non vogliono che tu ti muova. Decise di fare una rapida esplorazione del suo corpo, usando la tecnica
di autoesame di papà per i casi in cui ci si faceva male e non c'era nessuno. «La tua attenzione è come il raggio di una torcia elettrica, Billy; puoi muoverla lungo il tuo corpo. La punti sul piede sinistro, poi sul destro. Mano sinistra, mano destra. Gambe, braccia, torace, testa.» Gli sembrò di essere intero, ma provava una strana confusione e stava decisamente male. Che cos'erano quelle parole: «Qualcosa, qualcosa, che pallidamente indugiava», una poesia di Shelley? O era Keats? Kelley e Sheets. Avrebbe dovuto vincerla lui, la gara scolastica di poesia. Invece aveva vinto Come-si-chiama Pugh, con My Last Duchess. La sua poesia era La Belle Dame Sans Merci. La bella signora senza pietà. Sì. Tutte le belle signore che conosceva erano così. Amanda voleva il football, non la poesia. La Belle Dame... Sola, pallida e oziosa. I suoi ricordi si mescolavano al ronzio che continuava incessantemente, aumentando e calando, insieme a leggere scosse. In lontananza qualcuno cantava una romanza. Il ronzio girava e ruotava, mescolandosi alla musica. «Sono ancora sull'ambulanza?» Una voce distante: «Sì, figliolo. Dormi». Ancora sull'ambulanza... pensò, ma dove stavano andando? L'Ospedale Centrale di Stevensville era sulla Route 19, no? Sì. Da casa erano pochi minuti di auto. Non era sicuro da quanto tempo si trovasse sull'ambulanza, ma di certo erano passati più di cinque o dieci minuti. Sentì sulla guancia una mano minuscola e fredda. Molto piccola, molto fredda. Rabbrividì e la sensazione lo abbandonò. Non c'era nessuna mano. Almeno, non una mano reale. Forse tutto quanto era solo un tremendo incubo. La voce di Billy era tanto melodiosa che Barton provò una fitta al cuore al solo sentirla. Non doveva svegliarsi tanto presto. Specialmente non in piena Denver. Barton era in piedi da più di venti ore. Insieme all'autostrada, le ore gli scivolavano alle spalle in una fila tremolante e ipnotica. Erano le sei e mezzo di sera e aveva guidato per quattordici ore e trenta minuti. Aveva spinto a fondo, sapendo che un confronto con il ragazzo era inevitabile e che si sarebbe verificato lungo la strada. L'aveva già progettato nei minimi particolari, quel momento tenero e penoso. «Billy», avrebbe detto, «io sarò per te più di quanto potrebbero mai essere tuo padre e tua madre. Tu hai bisogno di me, ma ancora non lo sai. Arriverai a volermi bene come io ne voglio a te, con un affetto molto speciale.» L'unica cosa in cui credeva in-
teramente era il suo amore. Niente di tanto puro, di tanto nobile, poteva essere sbagliato. Billy sarebbe stato preso dal panico, avrebbe tentato di liberarsi dalle cinghie e avrebbe pianto. Barton l'avrebbe abbracciato, forse baciato su una guancia, non c'era niente fuori luogo, in quello, e gli avrebbe parlato dolcemente: «Trascorreremo una vita stupenda, insieme, arriverai a volermi bene come io ne voglio a te...» Quelle parole, tanto incredibili, dette alla sua bellezza perfetta: «Ti voglio bene». Davanti a quello splendore, chinò la testa, resistendo all'impulso di inginocchiarsi e di adorare ciò che Dio aveva creato a immagine della sua stessa perfezione. «Ti dono il mio cuore e la mia anima, Billy.» Ascoltò il sibilo dei pneumatici sull'asfalto. Sussurrò: «Ti dono la mia anima». Lo scanner entrò in funzione: un agente stava comunicando la sua posizione da qualche parte tra le montagne. Poi, sulla frequenza della polizia di Denver, Barton udì il rapporto degli ultimi disordini. Billy sentì parlare la polizia. Poi il ronzio aumentò e mutò di tono, divenne un lamento e crebbe di intensità. Era la sirena? No, nessuna sirena. Quell'ambulanza non aveva sirena. Un incendio... c'era stato un incendio... e lui era ferito. Il forno del pane! Era stata quella la causa dell'incendio! Lo sapeva, quell'affare diventava troppo caldo! Non avrebbero mai dovuto comperarlo. Si svegliò del tutto. «Che cosa è successo a mia madre e a mio padre?» «I tuoi genitori stanno bene, figliolo! Stanno bene tutti. Tu ti sei un po' intossicato con il fumo, ecco tutto.» Che dio mi aiuti, pensò Barton. Stava guidando lungo una strada trafficata nel mezzo di una delle città più grandi degli Stati Uniti e Billy si stava svegliando. Avrebbe dovuto succedere più tardi, di nuovo tra le montagne, dove c'erano strade secondarie in abbondanza e solo il vento avrebbe udito le sue grida. Là avrebbe potuto allungare un braccio per toccarlo, avrebbe potuto parlare con lui, calmarlo e offrirsi come padre, amico e schiavo. Lì tutto quello che poté fare fu stringere il volante e sperare che il bambino continuasse a essere ragionevole. Billy provò a respirare, dentro e fuori, dentro e fuori. Non c'era niente che non andasse, nei suoi polmoni. Sentiva nausea, non dolore. E allora
perché mai aveva trascorso ore in quell'ambulanza? Che cosa stava succedendo? I suoi pensieri erano angosciosi. «Mi porti a casa! Sto bene!» Doveva andare in bagno, e subito. «Ho bisogno di andare al gabinetto. Immediatamente!» Da un momento all'altro, Billy si sarebbe reso conto di quello che stava succedendo, rifletté. Avrebbe cominciato a gridare e ad agitarsi, e, santo dio, non aveva allentato le cinghie perché Billy potesse respirare? L'aveva fatto? Sì... a Ogallala... aveva allentato la cinghia attorno al torace perché gli era sembrato che il bambino facesse fatica a respirare. Avrebbe potuto liberarsi! Barton cominciò ad accelerare in mezzo al traffico, correndo qualche rischio. Stava diventando una brutta faccenda. Ancora qualche chilometro e sarebbe stata una cosa completamente diversa. Anche dal dolore del ragazzo Barton avrebbe potuto creare amore, sapeva di poterlo fare. Ma non in quel momento, non in quelle condizioni intollerabili. Non poteva soffrire il traffico! Perché il conducente non diceva altro che «dormi, dormi»? Perché non dava spiegazioni? E quel medico? Non c'era un medico insieme a lui, che gli aveva fatto un'iniezione?... Billy si sforzava di riflettere. La notte prima, tardi, l'avevano tirato fuori del letto, se lo ricordava. Sì, gli avevano messo uno straccio sul viso, aveva pensato che fosse Sally che voleva fargliela passare brutta. Poi aveva perso i sensi... e adesso c'era quel ronzio. Cercò di nuovo di sollevarsi. Era ragionevole che il lettino di un'ambulanza avesse delle cinghie, ma non quelle piccole che gli trattenevano i polsi e le caviglie. Non avevano il solo scopo di impedirgli di cadere dalla barella, non solo quello. Era veramente legato a quell'affare. «Voglio alzarmi!» Nessuna risposta. Se avesse potuto vedere qualcosa sarebbe stato molto meglio. Fece un profondo respiro e buttò fuori l'aria, cercando di togliere la coperta dal viso. Anche prima ci aveva provato, se lo ricordava. Ma il tentativo era vago, come un incubo ricordato a stento. Non si era forse agitato, ed era quasi riuscito a scendere? Forse sì, o forse se l'era solo sognato. No, il polso gli faceva ancora male, si accorse. Dove aveva cercato di liberarlo dalla cinghia. Quindi quel particolare era reale. Perché quelle cinghie, comunque?
«Qualcuno mi dica che cosa sta succedendo!» Oh, mio Dio. È del tutto cosciente e comincia a capire, e io sto solo superando l'uscita di Arvada. Infine i grattacieli della città furono alle sue spalle e il traffico diminuì un poco. La gente avrebbe potuto sentire le grida dall'interno del furgone? Forse sì, se procedevano accostati, con i finestrini aperti. Non ci aveva pensato, e in quel momento non era sicuro di niente, tranne che era sfinito e che cominciava a cedere proprio quando aveva bisogno di tutta la sua forza interiore. Forse doveva fare qualcosa, e forse non sarebbe stata la cosa migliore per Billy. Forse avrebbe dovuto dargli una vera droga. Per i casi di emergenza aveva una soluzione al due per cento. Non moltissimo, ma abbastanza per mandare Billy nel paese dei sogni per qualche ora. La morfina non era come le altre medicine; funzionava davvero. Billy sarebbe partito sul serio. No. I padri non danno morfina ai loro figli. Ma non aveva tempo di pensarci. Billy sollevò il torace più in alto che poté, lottando contro le cinghie. Spinse fino a quando non riuscì più a respirare, e ancora più forte, finché non smise, senza più fiato, con la testa che gli martellava per la prima emicrania che avesse mai provato in tutta la vita. «Papà! Papà!» Agitò le braccia, cercò di liberare le gambe. La cinghia sul torace aveva ceduto un poco, ma le altre erano ancora molto strette. Non c'era modo di uscirne. Infine rimase immobile e cercò di pensare. Era andato a letto, la sera prima, e tutto era normale. Si era divertito, era stato al centro commerciale, aveva giocato a Space Harrier e ad Afterburner con i ragazzi. Un finocchio aveva giocato con lui alle corse, poi lui se ne era andato. Aveva lavorato con l'Amiga. Più tardi era riuscito a farsi rispondere dall'uccellino. Avevano parlato alla luce della luna. A un certo momento aveva visto un uomo nel cortile sul davanti. L'aveva detto a suo padre, ma quando avevano guardato non c'era nessuno. Ma no, non poteva essere. Quella era un'ambulanza, lui era ferito. Ma non gli sembrava di stare male, e perché quelle cinghie? Se quella non era un'ambulanza, se lui non era ferito, allora... Un'improvvisa consapevolezza lo fece spingere con forza contro le cin-
ghie. Aveva capito chi c'era nel cortile anteriore. Era quel tipo strano che l'aveva avvicinato al centro commerciale! Fu invaso dal terrore. «Aiuto, oh, aiutatemi! Che qualcuno mi aiuti!» Ma non c'era nessuno, tranne quel tale. Billy gridò. Non fu il suono tremendo che si era aspettato, ma il debole lamento di un ragazzo, acuto come quello emesso da un topo torturato da un bambino crudele. Quel rumore era come fuoco. Trasmetteva il terrore più assoluto per un essere umano. Nessuno che udisse un suono simile poteva scambiarlo per un altro rumore. Avrebbero capito di sicuro che in quel furgone c'era un bambino, e che quel bambino era disperato. I finestrini erano tutti chiusi, ma il traffico aveva rallentato e c'erano delle auto sia a destra sia a sinistra del furgone. La gente doveva udirlo. Mio Dio, sì! Se solo avesse risistemato il bavaglio quando aveva messo fuori combattimento Billy. Ma in quel momento non poteva farlo, non c'era un posto in cui potersi fermare. Poi gli venne in mente di coprire le grida con la musica. Mise in fretta un nuovo nastro nel mangiacassette e alzò il volume al massimo. Era Lily Pons, una delle sue favorite, che cantava «Un bel dì vedremo», dalla Madama Butterfly, la luna era bassa sull'orizzonte, il traffico avanzava in modo angosciantemente lento sulla strada illuminata e Billy urlava come un'anima strappata al mondo dalla morte. Agitava la testa, scricchiolava i denti, mentre mordeva la coperta che gli impediva la vista. Il pensiero di quell'uomo che guidava gli faceva risalire in gola un sapore intenso, disgustoso. La radio trasmetteva a tutto volume un'aria di un'opera e dal profondo dell'anima di Billy si affacciarono dei ricordi: l'anno prima suo padre l'aveva portato fino a Cleveland per vedere la Carmen e la gita gli era piaciuta moltissimo. Erano stati momenti tanto, tanto felici. Dopo l'opera avevano comprato un'enorme quantità di pollo fritto e l'avevano mangiato tutto nella loro camera, al motel. Billy si aggrappò a quel ricordo come a un filo in un labirinto, poi il ricordo scomparve e lui si ritrovò legato alla brandina. Rimase sdraiato scuotendo inutilmente la testa, mordendo la coperta che aveva sul viso. Sentì qualcosa di caldo spargersi lungo le cosce e le gambe. Sulle prime lo spaventò, poi si rese conto di che cosa fosse e provò un terribile piacere. Era contento di aver bagnato il letto e si rese conto di poter fare molto
peggio. In tutta la vita non aveva mai sporcato un letto. Ma lo fece allora e gli sembrò una cosa tremenda e anche magnificamente selvaggia ed efficace. Il puzzo riempì ben presto lo spazio ristretto sotto la coperta, e con piacere scoprì che riusciva anche a vomitare. La melodia diffusa dalla radio, quasi un lamento, sembrò approfondirsi e mutare, diventando qualcos'altro: una madre che cantava come se cullasse il suo bambino mentre lui stava entrando nel mondo dei sogni. Barton stava cercando di consultare la carta, di trovare qualche strada secondaria, qualche via di fuga dalle luci d'acciaio della strada. Dietro di lui il ragazzo si agitava, facendo scuotere tutto il furgone. Un puzzo orribile riempì l'aria: Billy se l'era fatta addosso. Barton si arrabbiò tremendamente: era una complicazione non necessaria e immeritata. Se Barton Royal avesse commesso un'azione simile sarebbe stato sistemato ben bene. All'improvviso udì dei conati di vomito, delle ondate liquescenti. Il ragazzo aveva vomitato. L'odore era tanto intenso da sporcargli la bocca con la sua sozzura. Lily Pons continuava a cantare. «Sempre libera», dalla Traviata, inondò la cabina. Poi la carta gli sfuggì e lui sbandò, si sentì un secco schianto e un'altra auto suonò il clacson. Era una Taurus verde, piena di gente. Gli si fermò davanti, e guarda caso, proprio adesso c'era una comoda corsia di emergenza. Doveva fermarsi; gli avrebbero preso la targa, avrebbero potuto dare una descrizione del camper. Billy udì un forte stridore, sentì il veicolo sbandare un poco. Poi cominciò a rallentare e infine si fermò. Forse si erano fermati a un distributore. Ma no, c'era stato quel colpo. Una foratura? No. Papà aveva forato tante volte, e il rumore era inconfondibile, come di qualcosa che strisciava. Quindi era un incidente, ma non grave. L'uomo gli si rivolse con voce dolce e al tempo stesso malvagia. «Per favore, Billy. So che cosa pensi, che sono un mostro. Ma non lo sono. Tutt'altro! Ho tante speranze per te. Sì, speranze! Credi di sapere quello che sta succedendo, ma non è così. Dammi solo una possibilità. Una possibilità è tutto quello che chiedo.» Billy lo udì scendere dal furgone. Come si fa a scappare se si è completamente legati? Billy pensò a Indiana Jones. Come avrebbe fatto, lui? Spezzare le cinghie, ma erano così robuste! Che cosa avrebbe fatto James
Bond? Aveva tutte quelle attrezzature di alta tecnologia. Billy non aveva niente. Diceva alla gente di essere cintura nera, ma la verità era che non riusciva nemmeno a liberarsi dalle prese di testa di Jerry. Un ragazzo non poteva sfuggire a un adulto. Tutto quello che poteva fare era gridare. L'amore nel cuore di Barton si gonfiò al punto che si mise quasi a piangere. Povero, piccolo Billy. Era naturale che fosse spaventato. Povero ometto. Ma sentiva che un istante prima aveva comunicato davvero con lui. Di certo Billy aveva percepito il calore e l'onestà della sua voce, e quello l'avrebbe calmato, li avrebbe fatti superare entrambi quella prima grossa crisi. Le persone dell'auto sembravano zombie minacciosi sotto la luce gialla ai vapori di sodio. Barton aprì lo sportello, lasciando il motore acceso. Quando lo chiuse si assicurò che non rimanesse bloccato. Il guidatore della Taurus si portò accanto alla parte posteriore della sua auto. Barton si sentì venir meno. Poteva vedere i danni: la luce posteriore era in mille pezzi, il paraurti era schiacciato, nel parafango c'era un taglio. Il suo parafango aveva solo una macchia di vernice verde. «Che cos'hai intenzione di fare, stronzo?» Il conducente era terribile: indossava una vecchia maglietta dei Doors e puzzava di sigaro e di birra. «Pagherò.» Dal furgone giunse un urlo terribile. Barton respinse l'impulso di ritornare dentro di corsa. Gli altri si voltarono lentamente, con un fare da ubriachi, rendendosi conto del rumore. «Mio figlio deve avere un incubo», sussurrò Barton. «Mi sembra strano, amico.» Barton ritornò sul camioncino. La soluzione al due per cento, la soluzione al due per cento, trovala, trovala! Tirò fuori la boccetta dal compartimento portaoggetti, aprì l'astuccio degli aghi... e udì scattare lo sportello del veicolo. Gli occhi gialli dell'altro guidatore lo guardarono in cagnesco. Allungò una mano e tolse le chiavi. Il motore si spense con un sussulto. «Te le ridò dopo che abbiamo sistemato le nostre faccende.» «Aiuto! Mi ha rapito! Aiuto!» L'uomo fece una pausa, lanciò un'occhiata alla parte posteriore del furgone. «Per favore, è cattivo, è un mostro!»
«No, no, figliolo», disse Barton, parlando in tono gentile ma insistente. Riempì la siringa con la soluzione e salì nella parte posteriore del camper, invasa da un puzzo soffocante. Perché non gli dava retta, l'altro uomo? Era lì fuori, Billy lo sapeva. Allora perché non gli dava retta? «Chiami la polizia! Aiuto! Aiuto!» «Che cosa succede?» Finalmente! «Ha un incubo!» «No! È un rapitore! Mi vuole uccidere!» Il suono della propria voce lo terrorizzò e gli sfuggì un grido. Era involontario e lo confuse; non sapeva che l'istinto aveva una voce. Si inarcò contro le cinghie come un pesce attaccato a una lenza, forte e vitale nel tentativo di liberarsi. Barton trafficò con la siringa, cercando disperatamente di eliminare le bollicine d'aria, poi di trovare un pezzettino di pelle bianca abbastanza fermo da permettergli di praticare l'iniezione. Sollevò la coperta e con la mano libera abbassò il pigiama di Billy. La pelle era come il latte... Gli fece venire un colpo al cuore. Le grida di Billy erano diverse da quelle che Barton aveva mai udito prima. Erano così acute e insieme così sorprendentemente feroci, le urla di un tigrotto. «Che cos'ha quel ragazzo, amico, perché gli devi fare un'iniezione?» «È epilettico! E ha un incubo!» Un ansito da far venire i brividi, poi un gorgogliante sussurro: «Polizia...» «Sì, figliolo. Lo farò. Chiamerò la polizia.» «No! Gli passerà tutto! Questa iniezione farà effetto, vedrà.» «No, amico, le iniezioni lasciale fare agli infermieri. Lascia stare, amico.» Barton ricacciò la nausea, cercando di mantenersi calmo. Davanti a gli occhi vedeva come dei bagliori. Devi respirare profondamente, uno, due, su, cerca la pelle bianca, ecco, qui, proprio sulla coscia scoperta, puoi tener ferma la gamba e pungere la pelle lucente. Dentro di sé, Billy cominciò a sussurrare. Solo lui poteva capire bene le parole. Il mormorio andava morendo, il sole tramontava dentro la sua mente.
No! Devi gridare! «Per favore. Mi... stanno... portando via! Chiami la polizia!» All'improvviso la coperta fu scostata e Billy poté vederci. Era nella parte posteriore di un camper e accucciato di fianco a lui c'era un uomo grasso e brutto. Era molto sudato, aveva gli occhi sporgenti e il naso pieno di pori. Nella mano bianca e grassa teneva una siringa. «Era al centro commerciale! Me lo ricordo, era nella sala giochi!» «Ehi, amico, quel ragazzo è davvero nei guai!» «No, è solo sconvolto!» «Vado a chiamare la polizia.» All'improvviso, Billy vide che l'uomo aveva una camicia azzurra, e quel particolare gli sembrò estremamente importante. «Agente, aveva una camicia azzurra. E piangeva. Sì, piangeva. Piangevo anch'io.» Barton si fece indietro, guardando la testa di Billy agitarsi da un lato all'altro sempre più lentamente, osservando le cinghie allentarsi, i pugni distendersi e gli occhi roteare all'indietro. Scese dal furgone e si drizzò davanti all'uomo della Taurus, ubriaco e scosso. «Vede, adesso starà bene.» «Cristo, sei sicuro?» «Oh, certo. Gli succede spesso. Allora gli faccio questa iniezione e gli passa.» «Senti, amico, se a te va bene credo che dovremmo chiamare un piedipiatti in ogni caso.» «No, non ho tempo. Voglio portare a casa il mio ragazzino. Sta male, come ha potuto vedere.» «Hai un dottore, amico?» «Sì! Certo! Il dottor Ledbetter. Un buon medico. È per questo che mio figlio non è ricoverato. Un dottore meraviglioso!» «Senti, l'auto ha riportato danni per cinquecento dollari. Lo so, sembra un sacco di soldi, ma i paraurti costano maledettamente cari, su queste macchine. E le riparazioni pure. Quindi credo che dovremmo chiamare la polizia. Altrimenti puoi dire addio all'assicurazione. E qualcuno dovrebbe dare un'occhiata a quel ragazzo, se capisci il discorso.» «L'ho capito benissimo...» L'uomo gridò a uno dei suoi compagni: «Mikey, chiama la stradale con il telefono dell'auto. C'è qualcosa di strano, là dietro». Si voltò verso Barton. «Tu puzzi, e anche il tuo furgone. Sembra una fo-
gna scoperta.» Sbirciò dentro il veicolo. «E solo un ragazzino.» «Ha avuto un attacco di epilessia. Adesso starà bene. Adesso se mi lascia...» La lingua di Barton urtò contro il palato e gli sembrò lo stesso rumore di chi raschia via le scaglie di un pesce. Tirò fuori della tasca tutto il suo contante. «Ehi, amico, quelli sono soldi.» «Sì, senta. Le darò i cinquecento dollari. Copriranno i suoi danni, e che cosa ne direste di lasciarci andare?» «Quel bambino...» «Mio figlio sta bene! Non voglio che la polizia lo spaventi. Adesso dorme, e se nessuno lo disturba dormirà per il resto della notte. Quando si sveglierà non si ricorderà nemmeno quello che è successo.» «Hai cinquecento dollari?» «Vuole contrattare? Eccoli.» Barton contò le banconote. «Tenga.» «Così va molto meglio. Credo che ritornerò in macchina.» Il traffico, le luci, il rumore, tutto si trasformò in un sogno, spaventoso, sinistro, ma un sogno, e nel sogno Barton fu lasciato andare. Si spostò nella parte anteriore del furgone. L'altro guidatore aveva rimesso la chiave e lui la girò. La musica esplose. Lily Pons cantava così forte da sembrare uno spirito annunciante morte. Premette il pulsante e spense il mangiacassette. E all'improvviso ci fu il silenzio interrotto solo dal traffico al di là dei finestrini chiusi. Avviò il motore. Immettendosi tra le auto cantò: «Glory, glory», e si immaginò che un angelo avesse preso lui e il suo amato carico sotto la sua ala dorata. Barton e Billy, finalmente soli. 11 La prima notte all'inferno: sogni di fuoco. Mary sognò di trovarsi a una festa. Non era una festa divertente, e non era un bel sogno. C'era una donna che temeva potesse essere sua madre, anche se sapeva che allora era già morta. Nonostante gli sforzi non riusciva a guardarla in viso. La donna le rivolgeva sempre la schiena. Indossava un vestito di seta verde proprio come quello di sua madre. Era terrorizzante. Nel sogno, Mary era cosciente di due cose: che l'anima di un bambino è delicata come la rugiada, e che le anime possono essere uccise. Poi, sempre nel sogno, si era trovata in un giorno di ottobre grigio come il metallo
vecchio, buono solo da buttare. Era il 12 ottobre dell'87. Quel giorno. Suo padre era morto per un attacco di cuore nel marzo del '76, pochi giorni prima di compiere settantacinque anni. Anche sua madre era arrivata a settantacinque anni, con le guance incavate, la bocca che perdeva saliva e la testa che stava dritta a fatica. Gli occhi sembravano risplendere come pietre. Una volta aveva detto: «Cara, che cosa ti è successo al seno? Sei concava». Mary camminava curva a causa di un incidente di tennis. «Mamma, per favore. Il seno piatto posso sopportarlo. Ma se una donna è addirittura 'concava' è meglio che rinunci.» La mamma l'aveva guardata come per dire: «E allora rinuncia». Invece aveva detto: «Mark sta rinunciando, in un certo modo, vero?» E sì, era vero, l'aveva capito. Conoscevano entrambe un segreto, che qualsiasi vita tutte le vite - devono essere costantemente nutrite da torrenti d'amore. Dipendiamo da questo balsamo come le piante dipendono dalla pioggia. Mille anni prima, suo padre era stato un uomo di molto successo, rivenditore della Chevrolet a Morristown, nel New Jersey. «Il» rivenditore della Chevrolet. Avevano avuto una Chevy marrone rossiccio, una Chevy blu, una Chevy ancora marrone rossiccio. Avevano anche fatto annunci pubblicitari per radio. «Date un colpo di clacson alle Chevy di Morristown.» Quindi, dovunque vedevano un'altra Chevy sulla strada, suonavano doverosamente il clacson. Mary allungava un braccio e suonava il clacson con un pugno. La donna con l'abito verde sussurrò: «È colpa tua, cara. Tua e di quel tuo marito che non vale niente. Niente sistema di allarme. Nemmeno una serratura alla porta! E adesso guarda!» Due uomini alti trasportavano un ragazzino attraverso un bosco fitto e cupo. Uno lo reggeva per le spalle. L'altro procedeva con una buffa andatura tenendo in mano le gambe di Billy come fossero i manici di una carriola. Billy era nudo. Se i suoi rapitori non lo uccidevano e non riusciva a scappare, alla fine si sarebbe arreso e avrebbe cominciato a fare qualcosa della sua nuova vita. I ragazzi erano così, si adattavano, si accontentavano del presente. Se solo gli avesse spiegato meglio i pericoli di un sequestro. Ma come si può fare una cosa simile senza infrangere i sogni dell'infanzia? Anche se fosse accaduto un miracolo e Billy fosse tornato a casa, la sua infanzia sarebbe stata rovinata.
La sua voce le giunse in sogno, chiara e alta: «Mamma, mi fai il bagno, stasera?» Gliel'aveva fatto fino a quando aveva compiuto sette anni. Era come un rito sacro, così divertente, con la musichetta suonata dalle anatre di gomma, quel magnifico ferryboat tedesco pieno di auto, e il piccolo sommozzatore che nuotava davvero. Insieme creavano tempeste nella vasca, il ferryboat si agitava e lei faceva «cra-ack bo-om» per imitare il tuono e dava pugni all'acqua dove cadeva il fulmine. «Mia cara, avresti anche potuto darlo via, quel figliolo. Darlo via!» «Stavamo dormendo! Non sapevamo niente!» Nel sogno i due uomini si fermarono. Sentiva l'odore dei fiori notturni, udiva il frinire delle cicale, vedeva la luna che illuminava una radura. In quella radura rischiarata dalla luce i due uomini parlavano a bassa voce. Billy stava davanti a loro, per terra, legato come un maialino, senza nemmeno più opporre resistenza. Non se ne accorsero. Lei si librò in aria sopra di loro e vide che stavano mangiando delle tavolette di cioccolato. Lo vide con estrema chiarezza. Uno stava mangiando una Hershey alle mandorle, l'altro una Clark. Sentiva distintamente il rumore, lo sgranocchiare, lo schioccare delle labbra e il fruscio degli involucri. Sul viso di Billy vedeva delle lacrime, e lei voleva asciugarle ma non poteva. Sua madre disse: «Non si può mai, cara. Non alla fine». Poi Mary si svegliò del tutto e si mise a sedere. Per molto tempo Sally aveva contemplato la notte. Seduta sul letto, aveva messo i gomiti sul davanzale e appoggiato il viso alle mani. Le sembrò di riudire il fratello che giocava nella sua stanza, e parlava tra sé sotto le coperte. Che cosa stava dicendo? Se ci si avvicinava taceva. Alle undici e mezzo il vento portò il suono delle note della tromba da Fort Stevens, che si trovava nella parte meridionale della città. Nelle sue fantasticherie, attraversò le praterie vaste come oceani, e ancora più a sud le ondulate colline del Kentucky e si sentì trasportata in un cielo pieno di nuvole, oltre le nubi dello spirito americano e del sogno americano, e dei propri sogni, quando un ragazzo l'avrebbe infine notata e lei avrebbe potuto camminare con lui mano nella mano, e lui si sarebbe voltato verso di lei, le avrebbe sollevato il mento con l'indice e il pollice e le avrebbe detto: «Posso baciarti?» e lei avrebbe dischiuso un poco le labbra. Ma il «Silenzio» lo suonavano a mezzanotte, non alle undici e mezzo, e da quella distanza non poteva sentirlo, neanche se il vento avesse soffiato forte.
Un cane o un procione attraversò il cortile sul davanti. Dove sei, Billy, si chiese. Potresti essere morto, fratellino. Potresti conoscere il segreto. Lo conosci? Sei morto? E sei salito a Dio, ti sei trasformato in una stella, o stai semplicemente marcendo in una fogna, dove ti hanno buttato? Cominciò a pensare come un uomo potesse fare tutto ciò a un ragazzo, ma poi non ci riuscì. Mark Neary ascoltava i rumori della notte intorno a lui, lo sferragliare lontano di un treno diretto a ovest, molto in alto un jet pieno di gente che dormiva. Un'auto passò lungo la strada e lui si tese a quel rumore. Ma oltrepassò la casa. Accanto a lui, Mary, sua moglie da sedici anni, sospirava nel letto. Paradossalmente, la grande angoscia che provava aveva intensificato il suo interesse per il mistero familiare del corpo di lei, come se il peso della sua sofferenza lo spingesse a cercare il vecchio rifugio della carne. Come poteva osare... con il suo bambino stuprato, brutalizzato, torturato. Lo sapeva con la certezza naturale di un animo sensibile e attento. In quello stesso istante il bambino intelligente, felice, vivace che era stato portato via dalla sua casa era morto o rovinato per sempre. Billy era uno di quei bambini tanto perfetti che sembrava impossibile che la tragedia li sfiorasse. Era stato tanto imprudente. Non ho fatto niente a proposito di quell'uomo in cortile... che dio mi fulmini! Immaginò mani lubriche armeggiare sulla pelle nuda di suo figlio. Poi separavano le gambe nude di Billy, mentre suo padre stava piangendo per la sofferenza. Infine giunse il vento del sud portando il meraviglioso carico di profumi della prateria, quello degli aster, quello dell'erba, e la mistica fragranza del granturco. Il corpo di suo figlio era disteso, risplendente alla luce della luna. Il corpo di suo figlio giaceva ripiegato su se stesso sotto un albero. Il corpo di suo figlio galleggiava pallido sulle lente acque del fiume Pomander, venendo a galla ogni tanto come un pesce esausto. Il corpo di suo figlio era disteso sotto la carne pulsante di un grande verme umano, i suoi occhi erano serrati e le sue mani erano scarlatte dove erano legate così strette. «Sto pregando, adesso», sussurrò Mark nell'aria profumata. «Che Dio aiuti il mio ragazzo.»
Si girò e, come aveva fatto molte volte prima di quel momento, appoggiò il viso sul cuscino. Poi pianse al vento, alla luce della luna, nella mite notte dello Iowa. Un uccellino cantava, solitario. 12 Non era il solito risveglio: fu improvviso e crudele; era la prima volta che Billy era stato portato alla coscienza dal dolore. Il suo corpo spinse le cinghie, uno spasmo involontario. Poi aprì gli occhi. Anche mentre la lasciava, la sua giovane mente restò attaccata all'oscurità. Per un attimo non fu in nessun luogo, non fu nessuno. Poi sentì il solito ronzio del furgone, il ronzio e le scosse. L'aria era mite e profumava di pino. L'odore penetrò profondamente nell'anima di Billy, portando dolci ricordi. La cucina sembrava d'oro nella luce del pomeriggio, sul bancone c'erano la sua mela e il suo bicchiere di latte, e l'aria odorava di pino perché la mamma aveva appena lavato il pavimento. Quando allungò la mano per prendere la mela l'illusione andò in frantumi. Si rese conto di dove fosse e con chi era e allora si dimenò, scalciando, agitando le braccia, scuotendo la testa, mentre il furgone continuava la sua marcia nella notte. Davanti, una donna cantava, molto forte: Sei la mia luce, la mia sola luce Mi rendi felice quando i cieli sono grigi... La voce aveva tonalità acute e non era ben salda, non del tutto intonata. Quando s'innalzava, Billy saliva con lei sulle montagne. Poi si spezzava e precipitavano entrambi, veleggiando nell'aria nera. Mentre cadevano, Billy cominciò a rendersi conto del dolore che l'aveva svegliato. I ricordi e i sogni scivolarono via e lui fu lasciato con la sola verità: aveva sete, ed era un tormento indicibile. Ogni parte del suo corpo, il ventre, le braccia e le gambe, perfino la pelle, reclamava acqua. Gli sembrava che un dentista gli avesse riempito la bocca di batuffoli di cotone. Il ronzio divenne il mormorio di un ruscello e vide l'acqua gorgogliare sulle pietre, vide le profondità spesse e verdi del fiume Pomander, gustò l'acqua che sgorgava dal rubinetto sotto la quercia nel cortile davanti alla sua casa.
Quell'uomo era stato lì. Da lì lo aveva osservato. E adesso guidava il furgone. Anche se non aveva più la testa seppellita sotto le coperte, Billy non riusciva a vederlo, non più di una fuggevole occhiata, e solo se piegava il collo all'indietro quanto più poteva. Allora lui diventava una massa scura piegata dietro il volante. «Ho sete!» Il canto cessò, ma il ronzio continuò. Essere ignorato fece avvampare le guance di Billy. Voleva in qualche modo arrivare a quell'uomo orrendo e colpirlo fino a fargli scoppiare la testa come un melone. «Ho sete», ripeté. Cercò di sembrare arrabbiato, ma riuscì a stento a sussurrare. La figura continuò a rimanere piegata sul volante e il veicolo ad avanzare ronzando. A Billy si annebbiò la vista. Pianse. In preda all'ansia crescente fissò la notte scura, le cime dei pini che sfrecciavano via, le stelle. Era come se fosse sul fondo di una buca estremamente profonda e potesse a stento vedere il cielo. Le stelle, pensò, in quei giorni le contavamo, sdraiati nel cortile, e parlavamo di tutta la gente che abita in mondi tanto lontani. È così che scapperò, si disse. Farò fondere le cinghie rendendo sempre più caldi i polsi e le caviglie, come faceva quel guru - si rendeva sempre più caldo, così diceva il giornale - poi gli afferrerò la gola. Si concentrò sui polsi, immaginando di renderli caldissimi, immaginando che il cuoio si screpolasse, si indebolisse. Naturalmente non successe niente. Ma la gente non poteva piegare i cucchiai con la mente... o era possibile solo in California? Immaginò che le cinghie diventassero calde e deboli, calde e cedevoli. Si stavano davvero allentando, almeno un poco. Erano sempre più caldi, polsi e caviglie, e poteva sentirlo, il puzzo del cuoio bruciato. Sì, più libero un millimetro alla volta, gradatamente, sempre più libero. Con un debole strappo la caviglia sinistra fu libera. Un istante dopo lo fu il polso destro, e lui stava tirando, armeggiando, lavorando, finché non fu del tutto libero. Il furgone continuava la sua strada, le stelle ancora li seguivano, gli alberi sfrecciavano via. Billy si mise a sedere. Girò la testa e vide, a una cinquantina di centimetri di distanza, quell'essere demoniaco, scuro e curvo, che cantava dal naso. A se stesso Billy disse: «Hai muscoli d'acciaio, sangue come uranio fuso, ossa di ghisa incandescente». Si mosse con la precisione e la silenziosità di un ragno. Mise le mani attorno al collo del suo tormentatore, tenendo-
le a pochissimi centimetri dalla pelle tremolante. Poi lo uccise strangolandolo. Cominciò a succedere qualcosa. Sulle prime Billy lo percepì come un mutamento del ronzio. Poi udì il rumore della ghiaia mentre lasciavano la superstrada. Quando il furgone imboccò una strada sterrata, i pneumatici borbottarono. Quanto più rallentava, tanto più forte batteva il cuore di Billy. Il ragazzo si rese conto di essere ancora legato al lettino, ancora in trappola, ancora inerme. Agitò la testa da una parte all'altra, gemendo per la delusione. Era stato tutto così reale! Il motore si spense e tutto diventò silenzioso. Billy ascoltò, con le gambe e le braccia tese contro le cinghie, il viso rigato di lacrime. Gemette forte, un suono che si tramutò in un singhiozzo. «Su, su», disse una voce bassa. Era un po' rauca e aveva una curiosa cantilena. Se un uomo e una donna avessero parlato all'unisono, quello sarebbe stato il risultato. Billy fu invaso dal panico. Più le cinghie lo tenevano strettamente, più lui si dimenava. «Billy, calmati, figliolo. Nessuno ti farà del male.» La voce salì come per tranquillizzare un cane: «Tutto a posto, Fido, tutto a posto, qui, qui, ragazzo. A cuccia...» «Ti odio! Ti odio!» Sputò, ma non aveva saliva, così tutto quello che venne fuori fu un debole stridio. «Figliolo, ho un grande thermos di acqua minerale Evian. Hai mai bevuto l'Evian? È fresca e limpida, ed è pura come un ruscello di montagna.» Quando l'uomo aprì il thermos, Billy riuscì a sentire l'odore dell'acqua. Non aveva mai notato prima che l'acqua avesse un odore. «Per favore», disse. Sentì il tono di supplica della propria voce e desiderò di poter essere più forte, ma non servì a niente. Non poteva resistere, non poteva scappare. Lui era troppo piccolo e quell'uomo troppo grande, ed era lontano da casa, non sapeva dove si trovava né nient'altro! L'uomo mise una mano dietro la testa di Billy e la sollevò, poi gli sfiorò le labbra con il bordo del thermos. L'acqua bruciava al contatto con la bocca screpolata, ma aveva un sapore tanto buono, così fresca, così sostanziosa, mille volte migliore del sapore che aveva mai avuto. Bevve due grandi sorsi prima che gli fosse tolta. «Adagio, Billy, non vorrai che ti torni su.» Billy ricordò ciò che aveva fatto, aveva sporcato le lenzuola. In quel momento non c'era più niente, era rimasto solo l'odore di pino del detersi-
vo per la cucina. L'uomo l'aveva pulito mentre dormiva. Quella doveva essere la ragione per cui i calzoni del pigiama erano spariti. Rabbrividì. L'acqua ritornò e lui bevve ancora. Quella volta gliene fu concessa di più e gli scese lungo la gola portando con sé ondate di sollievo. Con la testa appoggiata contro la forte mano dell'uomo, bevve a lungo. Mentre beveva guardò il viso dell'uomo. Era pallido e molle, con le guance troppo lisce. Sembrava fatto di mastice, si aveva l'impressione che toccandolo si sarebbe lasciata un'impronta digitale. Lanciava rapide occhiate al finestrino tutte le volte che passava un'auto. Allontanò il thermos. Poi sorrise e tutto cambiò. Gli comparvero delle rughe intorno agli occhi che da cattivi divennero allegri e ridenti. Dischiuse le labbra e Billy poté vedere i denti, lisci e bianchi. Il suo sorriso fu tanto inatteso e tanto vivace che il ragazzo fece una risata. «E così», osservò l'uomo con la sua strana voce, «non siamo tutto cipiglio, vero, Billy?» «Come fa a sapere come mi chiamo?» «So molto, di te.» Allungò una mano, esitò un attimo, poi gli toccò un braccio. Nonostante avesse deciso di odiare quell'uomo e fosse convinto di trovarsi in una situazione di estremo pericolo, Billy si sentì sollevato. Era affamato di informazioni che potessero aiutarlo a orientarsi. «Che ore sono?» «Le undici.» Le undici di sera. Billy ci pensò su. «Devo andare a fare pipì.» «Non a letto, per favore, Billy.» La voce era supplichevole, e Billy ebbe la curiosa impressione che quell'uomo fosse una specie di servo, quasi uno schiavo, o volesse esserlo. Billy si rese conto che poteva fargli fare quello che voleva, come succedeva con lo zio Hank quando lui era piccolo, che lo portava sempre sulla schiena, gli regalava dolci e giocattoli... almeno finché non aveva sposato Kate e aveva avuto Matt. La mamma aveva detto: «A mio fratello piacciono i bambini». Aveva spiegato che certe persone sono capaci di restare bambini anche dopo essere cresciute. Lo zio Hank era fatto così. La mano dell'uomo stava massaggiando l'avambraccio di Billy, e lui cercò di scostarsi. «Non ti farò del male», disse l'uomo. «Devo riattivare la circolazione.» «Ho proprio bisogno, e urgente.» «Ti slegherò. Ma dovrai tenerti sul ciglio della strada. Ci riesci?» «Ci sono delle auto.»
«Ci inoltreremo un po' nel bosco. Siamo in una foresta molto fitta.» Dopo che gli liberò i polsi cominciarono a formicolargli le mani. Lo stesso successe con le caviglie. L'uomo dovette aiutarlo a mettersi a sedere. Si sentiva molto stordito e strano, come se il furgone stesse girando piano su se stesso. L'uomo si accovacciò davanti a lui e gli massaggiò i piedi e le mani, sfregandoli e dando loro dei colpetti. Billy osservò la chierica. Desiderò di avere una rivoltella incorporata negli occhi e di potergli sparare proprio nella chierica, e allora l'uomo sarebbe crollato come un sacco di stracci. Poi lui sarebbe uscito dal camper e sarebbe rimasto sul bordo della strada finché non fosse passata una macchina; avrebbe chiesto di portarlo al telefono più vicino. Ma non aveva rivoltelle, non aveva niente. Pensò di dare un calcio all'uomo, ma non avrebbe ottenuto altro che farlo arrabbiare, e ovviamente sarebbe stato un errore. Quando l'uomo lo guardò, Billy rimase confuso dalla sua espressione, che aveva un'intensità che andava al di là delle sue esperienze. L'uomo si ritrasse e si sedette sulla cuccetta di fronte. Sorrise di nuovo, maliziosamente, e Billy pensò a quando faceva il baby-sitter a Matt e il piccolo aveva fatto qualcosa per cui sapeva che Billy l'avrebbe sgridato. All'improvviso l'uomo allungò un braccio. Billy trasalì, ma le dita dell'uomo gli toccarono una guancia. Erano calde, morbide, grosse, e Billy si rese conto che l'uomo era grasso. «Non sarà brutto», disse l'uomo. «Credimi, Billy. Te lo prometto con tutto il cuore e con tutta l'anima.» «Me la sto facendo sotto.» «Va bene! Subito.» L'uomo aprì lo sportello laterale scorrevole del furgone, che fu invaso dalla fresca aria della notte. Era estremamente freddo e Billy cominciò a tremare. «Non ho i pantaloni.» «Non ne hai bisogno, è buio.» «Non posso andare fuori senza pantaloni. E non ho le scarpe. Non posso camminare nel bosco senza scarpe.» «Non fare il bambino!» In quelle parole c'era una rudezza strana, lamentosa, che fece impaurire Billy ancora di più. «Non ho nessun vestito?» «Certo che ne hai! Adesso muoviti!» Il tono fece scendere Billy in tutta fretta. L'uomo gli prese il polso e senza dire una parola lo trascinò in mezzo agli alberi. Immediatamente il mondo si trasformò. Billy non era stato spesso in boschi tanto fitti. Appar-
tenevano alle favole, i boschi scuri e fitti... Era più buio di quanto Billy avesse ritenuto possibile, tanto buio che non riusciva a vedere niente tranne la piccola torcia dell'uomo, una macchia ondeggiante di giallo che ogni tanto rivelava un tronco enorme. Udì i richiami degli uccelli della foresta, sommessi e timorosi. Un'auto passò loro di fianco. Quando rallentò, l'uomo si irrigidì e strinse più forte il braccio di Billy. «Mi fai male», protestò il ragazzo allontanando la spalla. L'auto proseguì. «Scusa», disse l'uomo. Allentò la stretta. Il terreno era coperto di aghi di pino e anche molto ripido, e tagliava i piedi nudi di Billy. Dopo un altro paio di minuti l'uomo si fermò e disse: «Qui». Billy era concentrato su un'unica idea. Era come un uccello fuori della gabbia in attesa dell'attimo in cui l'attenzione del padrone sarebbe diminuita. «Non riesco a fare niente, se lei resta qui.» «Posso sparire in questo modo.» L'uomo spense la torcia elettrica. L'oscurità era tanto completa che a Billy sembrò quasi di avere una vita per proprio conto. Una sensazione di completa impotenza lo sopraffece. Pensò di avere soffocato il singhiozzo di disperazione che gli era salito in petto, ma la mano dell'uomo gli toccò la spalla. «Va tutto bene, Billy», disse. Poi, come se l'oscurità potesse in qualche modo santificare le sue parole, aggiunse qualcosa di incredibilmente svenevole: «Ti voglio tanto bene, figliolo». Quelle parole incoraggiarono Billy a superare il timore e ad allontanarsi di un paio di passi. L'uomo fece un debole rumore con la gola, mosse i piedi. Billy fece tre passi giganteschi e sfiorò un albero. Il respiro dell'uomo era notevolmente più lontano. Billy girò intorno all'albero. Dietro di lui la torcia si accese, poi si mosse veloce tra gli alti tronchi, mancando per poco la spalla di Billy. «Cristo!» esclamò l'uomo. Billy si allontanò ancora, cercando di ricordare la posizione degli alberi che aveva intravisto alla luce della torcia. C'era un pendio molto ripido e Billy scivolò giù. Con un grido soffocato l'uomo lo seguì. Era pesante e scivolò incespicando per tutto il percorso. Quando fu vicino, Billy udì i lievi rumori che emetteva, come i borbottamenti delle cornacchie quando atterravano nel cortile. Senza pensarci due volte, tendendo le mani davanti a sé, si precipitò giù per il pendio, sbattendo contro gli alberi, girandovi attorno, scendendo sempre più in basso. Dietro di lui l'uomo gridò e lo inseguì muovendosi in fretta. La sua torcia oscillava come un magico occhio giallo. La foresta
parlava un linguaggio sconosciuto e misterioso, mormorando tra sé mentre Billy scendeva a tentoni. Teneva le mani davanti come un cieco, i piedi gli facevano male per le punture degli aghi di pino. Qualcosa svolazzò via con un grido rabbioso. Billy a poco a poco si abituò all'oscurità, riuscì a distinguere i punti in cui il buio era più fitto, le direzioni in cui le ombre si diradavano. Ma la torcia era molto più efficace dell'intuito e degli occhi resi ciechi dalla notte, e l'uomo scendeva molto velocemente. Continuava a borbottare sottovoce, grugnendo furioso. Quei suoni non ricordarono più una cornacchia a Billy, ma piuttosto i rumori spaventosi che faceva la tigre allo zoo di Des Moines, quando c'era andato in gita scolastica: andava su e giù per la gabbia, e i suoi brontolii sembravano dire che voleva proprio lui. Billy doveva procedere a tentoni, con le braccia tese, le mani aperte come per parare un colpo. Scese tra gli alberi che lo sferzavano, ansimando, arrancando, agitandosi. Aveva le braccia cosparse di resina di pino, gli aghi gli pungevano i palmi delle mani e gli si infilavano nei piedi. L'uomo scendeva a precipizio la scarpata, sbattendo anche lui contro gli alberi e ansimando quando i rami gli frustavano il viso. Ben presto Billy non capì più in quale direzione avanzasse, se verso l'alto o verso il basso, se scendesse o si arrampicasse. I polmoni gli dolevano, le narici erano dilatate, la testa gli martellava. Mentre Billy acquistava velocità, i borbottii dell'uomo furono sopraffatti gradatamente da un altro rumore, un mugghiare come di un forte vento. Ma non c'era vento. Billy si avvicinò sempre di più a quel rumore. Non osava voltarsi a guardare. Se la torcia gli era alle spalle preferiva non saperlo. Poi, il cielo fu pieno di stelle. Billy si fermò incredulo. Sopra di lui c'era un cielo ancora più vasto di quello delle notti sulle praterie. Le stelle erano milioni e milioni. Il fragore gli colmò le orecchie, e capì dove si trovava. Rendendosi conto della propria situazione avanzò barcollando, agitando le braccia. Sotto di lui vide, come in un modellino ferroviario, un gruppo di casette con un'unica luce. Quant'erano distanti? Trenta metri? Centocinquanta? Attorno a Billy la terra pietrosa stava prendendo vita, frusciando e sbatacchiando. Gli solleticò i piedi mentre lo trasportava verso il precipizio. A una quindicina di metri alla sua destra un torrente di montagna si trasformava in una cascata. L'acqua scendeva, pallida alla luce delle stelle, nella valle silenziosa. A Billy il rumore del torrente sembrò la tromba che chiama a morte. La suona un arcangelo. Così si dice.
Stava cadendo. Il pendio era troppo ripido e il terreno troppo cedevole per poterlo trattenere. Si spinse contro la scarpata. Gli parve di essere in un ascensore appena partito che accelerasse rapidamente. Tra un istante sarebbe precipitato nel vuoto, cedendo alla musica dell'acqua. Vide un cane che camminava pigramente tra le casette. «Mamma», gridò. Raspò, afferrò il terriccio molle, scoprì di non volere morire, assolutamente. Aveva appena cominciato a vivere! Gettò indietro la testa e urlò, e le stelle tremolarono nelle sue lacrime. Come un gancio di freddo acciaio la mano dell'uomo si serrò intorno al suo braccio. Poi comparve il suo viso, accanto a quello di Billy. «Ti voglio bene», disse con voce abbastanza forte da potersi udire sopra il frastuono della cascata. Quanto odiava sentire quelle parole, Billy! Ma l'uomo era forte e lui si abbandonò contro il braccio e osservò le stelle sparire mentre lo tirava di nuovo nel bosco sovrastante il precipizio. Trascinò Billy su per il pendio senza tanti complimenti. Gli ci volle molto tempo, e un sacco di soste per riposarsi. Ansimava e imprecava a bassa voce, ma non lasciò andare il braccio di Billy neanche per un istante e nemmeno allentò la stretta. Sulle prime Billy si mostrò insolente, pensando che sarebbe scappato di nuovo e avrebbe trovato un minuscolo sentiero che scendeva dal precipizio, dimenticato dai tempi degli indiani e dei montanari. Ma la spalla e il ginocchio gli dolevano nel punto in cui li aveva urtati, i piedi erano escoriati e voleva di nuovo essere al caldo. L'uomo continuava a trascinarlo, e infine la fioca luce sul tetto del camper cominciò a tremolare fra gli alberi. «Hai ancora bisogno?» chiese l'uomo. «Sì», rispose Billy. «Vieni qui.» Lo tirò verso il furgone. «Non intendevo usarle, ma è colpa tua.» Aprì lo sportello anteriore e sollevò il sedile accanto al posto di guida. Sotto c'era una cassetta di attrezzi. Billy trattenne il fiato quando nelle mani dell'uomo vide quello che gli sembrò una piccola rivoltella. Ma non era un'arma, erano un paio di manette in una scatola di cuoio. Erano fatte bene, come quelle dei piedipiatti. Le fissò ai polsi di Billy e le fece scattare finché non furono ben strette. Poi le controllò con la torcia. «Bene», disse, «hai tre minuti. Se fai ancora una cosa del genere scoprirai che sono anche capace di punire.» Billy cercò di camminare, ma riuscì solo a fare pochi passi barcollanti. I piedi gli facevano così male che doveva stare in equilibrio sui lati, a gambe arcuate. Sollevò il davanti del pigiama e pisciò dove si trovava, osservando
il getto di urina fumare nel freddo della montagna. «Dove siamo?» chiese quando ebbe finito. «Sulle montagne della luna, per quanto ti riguarda. Va' su.» L'uomo lo fece sdraiare di nuovo sull'orribile lettino e le cinghie sostituirono le manette. La cuccetta gli era diventata tanto familiare che quasi sentiva di esservi nato. «Sarà stretta», disse l'uomo fissandogli attraverso il torace la più spessa delle cinghie, «e ti farà male. Ma posso fare di peggio. Sicuramente posso fare di peggio.» Strinse la cinghia finché Billy non riuscì a fare che brevi respiri. «Non posso...» Applicò una striscia di largo nastro grigio sulla bocca di Billy. «Non puoi respirare? È perché la cinghia attorno al torace è troppo stretta. Questa è la punizione, e potrebbe andare avanti per un po' di tempo.» Billy si spinse contro la cinghia con tutta la forza che aveva. Non riusciva a respirare, era spaventato a morte! «Ce la farai abbastanza bene, se ti rilassi.» L'uomo gli prese i capelli tra le mani, costrinse Billy a guardarlo. «Ti curerò i piedi. Farò tutto quello che posso per aiutarti. E scoprirai che posso essere molto, molto simpatico. La nostra vita insieme può essere meravigliosa, Billy. Ma voglio che tu capisca una cosa.» Avvicinò ancora il viso e fu una vista orrenda: sudato, graffiato dagli aghi di pino, grasso. Ma gli occhi erano strani. Ci si aspettava occhi meschini, ma quel tizio aveva l'espressione triste di un vecchio cane da caccia trascurato. «Se continuerai a voler scappare, se mi farai passare dei brutti momenti, se mi metterai nei guai, tornerò a Stevensville e sai che cosa farò? Ucciderò i tuoi genitori. Mi hai sentito? Li ucciderò entrambi, in modo lento e crudele. Poi ucciderò tua sorella. E tu starai a guardare. Poi darò fuoco alla tua casa e ti lascerò nudo in un posto sperduto, senza genitori, senza casa, senza sorella. E sarà tutta colpa tua.» Quelle parole furono come pugni sul viso di Billy; lo choc lo rese intontito come avrebbero fatto dei colpi veri. Non aveva mai pensato che la mamma e il papà fossero in pericolo. Doveva essere forte, non doveva piangere! Adesso, come dice quell'uomo, rilassati, si disse. Se fai come vuole, mamma, papà e Sally non saranno uccisi. Quindi fa' come vuole, stupido! Che cosa avrebbe detto a quell'uomo? Doveva dire qualcosa, gli sembrava importantissimo.
L'uomo cominciò a lavorare sui suoi piedi. Li pulì con pinzette e cotone mentre Billy sollevava il capo e guardava oltre il proprio corpo e la figura dell'uomo con la torcia e la cassettina azzurra del pronto soccorso. Sentì odore d'alcol, poi il dolore fu tanto forte che gli fece gettare indietro la testa e gridare sotto il bavaglio. Ben presto il bruciore smise. Sentì che gli fasciava i piedi. Andava molto meglio. Poi ricordò quello che doveva dire. Nonostante la sofferenza, nonostante si sentisse quasi soffocare e fosse imbavagliato, cominciò a cercare di comunicare con l'uomo. Sollevò di nuovo la testa. Emise dei suoni da sotto il bavaglio per richiamare la sua attenzione. Contrasse le labbra, colpì il bavaglio con la lingua, radunò quel po' di saliva che aveva, per parlare. Infine l'uomo lo notò. Si portò vicino a lui e rimosse con precauzione il nastro adesivo. Billy inghiottì, si schiarì la gola e lo guardò negli occhi. L'espressione da cane da caccia era sparita, sostituita da uno sguardo caldo e soddisfatto. «Mia madre...» mormorò Billy. La sua voce era tanto roca che sembrava il brontolio di un animale. Smise di parlare, cercò di nuovo di radunare un po' di saliva. «Mia madre», ripeté con tutta la chiarezza che riuscì a mettere insieme, «mi dà sempre una tazza di cioccolata, quando mi faccio male.» PARTE TERZA Il calice della gentilezza 13 Per tutto il giorno dopo, Mary chiese loro di cercare nuovi indizi. Ma avevano già guardato dappertutto e le prove del rapimento erano chiare. È successo davvero. Un perfetto sconosciuto è venuto qui e se l'è preso, continuava a ripetersi. Il suo seminterrato, le sue scale, la camera da letto, a mano a mano che la polizia ricostruiva penosamente i movimenti dell'intruso, quei luoghi familiari si caricavano di oscurità in pieno giorno. Il secondo giorno sembrò che gli investigatori non finissero mai di frugare tra le sue cose, sollevando le sedie, aspirando, grattando, spargendo polverine per rilevare le impronte. Ma quando infine se ne andarono fu colta dal panico, temendo che avessero rinunciato. Dovette lottare contro l'impulso di rincorrerli. Il terzo giorno il vero nemico si rivelò il tempo. Non rimase altro che il
telefono muto e il ticchettio regolare dell'orologio. Mary si disse che doveva riprendere il tran-tran casalingo. Doveva cominciare a pulire la diffusa sporcizia lasciata dovunque dagli uomini che avevano preso le impronte. Un impulso la spinse a gettarvisi, a mettersi un grembiule pieno di tasche, a riempirle di detersivi e a cominciare a lavorare. Sapeva come annullarsi nelle faccende domestiche. Ma poiché era una fuga dal pensare per Billy, temeva il lavoro tanto quanto lo desiderava. Tutto il lunedì e la maggior parte del martedì molte persone erano andate da loro portando quel genere di vivande che a Mary facevano pensare ai funerali. Quando un amico moriva sua madre portava sempre un pasticcio di carne, pensando, a quanto pareva, che la morte aguzzasse l'appetito, ma distruggesse la capacità di cucinare. Quando era morta sua madre stessa, gli amici avevano portato montagne di pasticci, intere stie di polli arrosto, aiuole di insalata, cibo sufficiente per nutrire i dolenti per due anni. In quel momento, mentre scendeva la sera, Mary arrivò a capire che cosa nascondesse tutta l'attività delle ultime quarantott'ore: l'impotenza più completa. L'ultimo investigatore ad andarsene fu un geometra della polizia che aveva fatto una cartina della proprietà e una serie di disegni dell'interno della casa. Erano state scattate centinaia di foto, e si era usato ogni mezzo per raccogliere non solo impronte digitali, ma anche quelle di guanti e qualsiasi frammento di capello o altri detriti che potessero avere qualche importanza. Toddcaster aveva spiegato che la maggior parte del lavoro non aveva lo scopo di ottenere informazioni per capire dove fosse stato portato Billy, ma piuttosto per trovare prove che incastrassero il sospetto quando infine fosse catturato. «Che cosa faranno per trovarlo?» «Quello che la polizia fa da sempre: seguire gli indizi, indagare a tappeto, cercare di scovare le tracce.» «Il paese è grande», osservò Mark amaramente. Era sommerso dal senso di colpa per non essere stato più energico quando Billy gli aveva detto dell'uomo nel cortile. Mary si preoccupava che quei rimorsi indebolissero la sua grinta. Avevano trovato il punto esatto sotto l'albero dove l'uomo aveva sostato, e anche segni quasi invisibili che indicavano come si fosse disteso lì per qualche tempo. Era stato capace di riposare, forse anche di fare un pisoli-
no, mentre aspettava che la casa si acquietasse. Che razza di mostro poteva ostentare una simile freddezza? La sera prima, sul tardi, Mary si era recata in quel punto e aveva osservato le finestre della casa. L'erba era illuminata da fasci di luce. Aveva visto Mark entrare nella loro camera da letto, la bassa lampadina sul comodino di Sally e la finestra buia di Billy. Aveva visto Mark seduto sul bordo del letto, con la testa fra le mani. Il fatto più terribile era che il loro ragazzino fosse tanto vulnerabile. Era sicuro di sé e smargiasso. Avrebbe fatto finta di essere un duro e quello avrebbe peggiorato la situazione. Suo figlio era uno dei ragazzi più intelligenti, più pieni di inventiva, più allegri che avesse mai conosciuto. Era facile diventargli amico, tutto quello che bisognava fare era sorridere. Aveva un carattere facilmente irritabile, ma anche quando si arrabbiava molto gli occorreva solo un paio di minuti per calmarsi. Comunque aveva i suoi limiti: non poteva immaginare che riuscisse a scappare a un adulto furbo. Si capiva sempre quello che provava Billy. Diceva le bugie con le sopracciglia sollevate e un'espressione di comica innocenza sul viso. Avrebbe anche potuto portare un cartello. Il povero ragazzo non era assolutamente preparato per una cosa del genere. Oh, avrebbe potuto scappare dal suo rapitore, se ne avesse avuta l'occasione, ma non sarebbe andato molto lontano. A un figlio si insegnano le cose essenziali: non andare con gli estranei, impara a memoria il tuo numero di telefono, ma come si poteva insegnargli ad affrontare il genere di assalto che doveva subire in quel momento? Oltre alle informazioni essenziali non conosceva gran che del sesso, quindi con ogni probabilità sarebbe stato disorientato dalle avance di quell'uomo e ne avrebbe provato ripugnanza. Era la parte più odiosa, immaginare che fosse toccato, violentato. Quando si pensava alla brutalità di un uomo che faceva del sesso con un bambino si desiderava semplicemente raggomitolarsi su se stessi e morire. Oltre ad aiutare la polizia e a osservare l'FBI smembrare metodicamente la casa, era stata costretta a fare la parte dell'ospite. Winnie Lacy, la moglie del capo della polizia, June Edwards, la madre del migliore amico di Billy, Dougal Frazer, il vice di Tom Benton, piccolo e disinvolto, che aveva avuto una parte essenziale per fare ottenere a Mark il suo nuovo posto di insegnante, le avevano fatto visita tutti quanti. Il migliore amico di Mark tra i colleghi insegnanti, Jim McLean, si era offerto di dare una mano fino all'i-
nizio del semestre autunnale. Sally, che sia benedetta, aveva fatto del tè ghiacciato e aveva servito il cibo che le avevano portato. Sulle prime gli investigatori erano stati rassicuranti. «La maggior parte di questi casi ha radici locali. La maggior parte di questi tipi è recidiva, e interrogheremo tutti i tipi sospetti di questo Stato. La maggior parte dei casi si risolvono in quarantott'ore.» Ma le quarantott'ore magiche erano trascorse, e c'era stato solo silenzio. Il Centro Nazionale Bambini Scomparsi e Sfruttati aveva indicato ai Neary un gruppo di sostegno. Gli aderenti si incontravano a Des Moines, e quella sera c'era una riunione. Del gruppo facevano parte altre cinque famiglie. Due avevano un figlio scappato da casa, in tre casi era l'altro genitore ad averlo sottratto. Nessuna di loro, ne erano certi, aveva perso un figlio per opera di un estraneo. Comunque, Mark, Mary e Sally salirono in auto e fecero il viaggio di due ore per andare alla riunione, che si teneva nel seminterrato di una chiesa cattolica in una parte di Des Moines che conoscevano poco. A casa avevano lasciato Jim McLean, a guardare la televisione e a spilluzzicare dallo spiegamento di piatti che si trovava ancora sul tavolino. Se Billy telefonava ci sarebbe stato lui. Avrebbe voluto guidare Mary, ma Mark insistette. Lei sapeva il perché: anche suo marito desiderava tanto mantenere il controllo sulle proprie emozioni, nell'incubo in cui si trovavano. Brancolavano entrambi nel buio, precipitando in un pozzo oscuro, e capiva che Mark soffriva forse più di lei. Gli erano venute forti emicranie, cosa per lui completamente nuova. Quella mattina gli aveva massaggiato il collo e le spalle per mezz'ora; aveva preso la dose massima di Advil consentita dal foglietto illustrativo. Lo osservò girare a destra e a sinistra il collo mentre la vecchia auto avanzava sbuffando verso sud. «Posso benissimo guidare io», disse. «Mi rilassa.» Procedettero in silenzio. A ovest il tramonto colorava di rosso il cielo. Ben presto il bordo del disco di fuoco scomparve sotto l'orizzonte, lasciando una striscia luminosa di vivido arancione sotto un cielo che andava dal giallo alle infinite gradazioni del verde. Nel vuoto galleggiava una stella, di una bellezza tale che a Mary fece sentire ancor di più la solitudine e l'incertezza. Entrambi i suoi figli erano astronomi dilettanti. «Che cos'è quella stella?» chiese a Sally. «Venere. Tramonta fra un'ora.» La vedeva anche Billy? Sperava di no. Guardare le stelle gli avrebbe fat-
to ricordare la casa. Era tanto sensibile e così affezionato alla famiglia. L'estate prima era andato in campeggio, ma era ritornato dopo una settimana con il caso più spettacolare di nostalgia che avessero mai visto i capigruppo. A Billy piacevano le avventure, la libertà, era assetato di indipendenza... ma alle sue condizioni. Desiderava così tanto abbracciarlo che pensò di impazzire. Mark accese la radio. Una stazione di Des Moines trasmetteva solo notizie, e ascoltarono quella. Mary si chiuse le orecchie perché tutto era diventato privo di significato. La sua mente attendeva solo due parole: William Neary. Attese per un'ora, ma quelle parole non giunsero. La notizia della scomparsa di Billy era diventata vecchia tanto presto. «Stai ascoltando?» chiese a Mark. «Non veramente. Solo per passare il tempo.» Intervenne Sally. «Vi ricordate quando Billy ha messo i petardi nel tostapane?» Mark rispose: «No, io no». «Ma non ti ricordi che è esploso?» «Mi ricordo di averlo gettato fuori della porta di cucina. Era stato Billy?» Sally rise. Poi cominciò a cantare. Le formiche marciano infila indiana, La più piccola si ferma a prendere il fucile... Mary chiuse gli occhi. Ricordava tutte le vecchie canzoni. La marcia delle formiche, La passeggiata mattutina, L'incantevole Billy. Oh, L'incantevole Billy, come faceva ridere il suo bambino, quando aveva appena cominciato a camminare! Le formiche marciano in fila per due, La più piccola si ferma per andare allo zoo... Tesoro, smettila, disse nel suo intimo. Non posso sopportarlo, proprio non posso! «Tesoro, no!» Mary fu sollevata che Mark avesse fatto quella richiesta. «Ma lo facciamo sempre!»
«Non stasera.» La voce di Mark era rauca per la sofferenza. Era quello a cui piacevano di più le canzoni dei bambini... anche se entrambi i figli, in realtà, erano diventati ormai troppo grandi. Sally scoppiò in lacrime. Mary cercò di toccarla ma lei si ritrasse. Gettò indietro la testa e gemette: «È morto!» Mark accostò. Si girò completamente sul sedile e tese le braccia verso la figlia. Lei si lasciò tirare in avanti, lasciò che la abbracciasse goffamente sopra lo schienale. «No, per noi no. Mai.» Mary si allungò verso di loro, toccò una guancia di Mark con mano nervosa, incerta. Mark emise come un lamento lungo e a bassa voce, poi fece un profondo respiro e continuò. «Non capite, questa è la nostra forza. Crediamo in Billy. È vivo e lo riavremo con noi.» «Papà, si spaventava tanto, qualche volta, di notte. Aveva paura del buio. Aveva tanta immaginazione! Quando non riusciva a dormire giocavamo a Monopoli sul pavimento del corridoio.» Mary sapeva di quelle partite: rimaneva distesa a letto ad ascoltare i figli che parlavano sottovoce e il sordo rumore dei dadi. Ricordava Billy che tentava di convincere con l'inganno la sorella a darsi per vinta. «Ho Parco della Vittoria e Viale dei Giardini. Matematicamente ciò significa che non puoi vincere!» «Ma Billy, carissimo, io ho tutto il resto del tabellone!» C'erano tante cose da ricordare, un'enorme valanga di parole, di odori, di azioni, di avventure, fin dal momento in cui aveva sentito il suo peso nel grembo. «Ti ricordi quando è nato, Mark?» «L'hai passata brutta.» «Pensavo che non sarebbe mai venuto fuori.» «Non sono stata io, quella difficile, mamma?» «È vero. Billy è stato abbastanza svelto.» «Era verde», disse Mark. «Una prugna verde con la testa come una banana.» Sally fece una risatina e Mark la lasciò andare, girandosi a metà verso il volante. Lei allungò una mano e strinse la sua. «Perché era verde?» chiese Sally. «La bilirubina», rispose Mary. «Poi l'avevano messo sotto le luci.» «E l'avevano fatto diventare color pulce. Una testa a banana color pulce. Ho pensato, Cristo, non può essere figlio mio.» «Tuo padre ha detto che dovevo avere degli antenati che venivano da Nettuno. Ma poi è diventato tanto bello.» Ammutolì di colpo dal dolore
della sua nostalgia. Mark rimise in moto l'auto. Mentre procedevano per le strade di Des Moines, Mary osservò l'animazione della sera, le insegne illuminate, la gente che camminava sui marciapiedi. Cominciava a capire che la tragedia rendeva estranei. Dal modo in cui le persone camminavano, tenevano il viso, si fermavano ai semafori o attraversavano, Mary poteva capire chi aveva sofferto e chi no. Poi girarono un angolo e si immisero in una strada vuota, solo fiochi lampioni e qualche macchina parcheggiata. St. Peter era una grande chiesa di pietra, scura e severa, a metà dell'isolato. Sembrava chiusa, persino abbandonata. Solo un cartello scritto a mano infilato su una delle punte della ringhiera di ferro che correva lungo un lato della vecchia costruzione indicava che erano arrivati al posto giusto. GRUPPO DI RICERCA NEL CAFETORIUM, annunciava. Mark parcheggiò l'auto accanto a un parchimetro. «Adesso dobbiamo trovare il cafetorium.» «Che cos'è?» «Una combinazione tra una cafeteria e un auditorium, suppongo.» Mary e Sally seguirono Mark giù per alcuni gradini metallici fino a una porta nera con delle sbarre su uno sporco finestrino di vetro. Era chiusa a chiave e Mary suonò il campanello. L'uscio si aprì subito, riversando fuori un fiotto di luce, una figura scura e una voce sorridente. «Sono Bob Turpin», disse la figura. «Sono il parroco.» «Mark Neary. Questa è mia moglie, Mary.» Mary tese la mano. La stretta di padre Turpin era fredda e ossuta. «Nostra figlia Sally.» Il prete le batté le mani sulle spalle; un gesto apparentemente progettato per sembrare disinvolto. «Una bella signorina. Quanti anni hai?» «Tredici, padre. Mio fratello ne aveva dodici.» «Ne aveva?» «Ne ha.» «Sì, ne ha. Esattamente in questo momento, 'ne ha'.» Guardò tutti in viso. Era tanto magro che Mary si chiese se soffrisse di qualche malattia. «E lo ritroverete.» Li condusse lungo un corridoio fiancheggiato, tra ogni genere di cose, dalle tombe dei suoi predecessori. «I ragazzi lo chiamano il 'criptatorium'. Spettacoli fatti dai geni dell'ottava classe e funerali di sacerdoti che si
svolgono tra i tavoli con scaldavivande incorporato. Eppure siamo stati seppelliti qui da quando i paolisti hanno costruito la chiesa. Sono paolista, tra parentesi, se la Chiesa ha un qualche significato per voi.» «Siamo cattolici», disse Mark. «Di nome.» «'Di nome.' Un'espressione interessante.» Poi si trovarono nel locale con i tavoli con scaldavivande incorporato. Un gruppetto di persone era raccolto in un cerchio di sedie pieghevoli. Tra loro c'era come una tranquilla tensione, una permanente espressione di choc nei loro occhi. Mentre si dirigevano verso di loro, Mary si accorse che stava tremando. Ancora più del momento in cui avevano chiamato la polizia, quel passo sembrava definitivo. Aveva già affrontato il fatto che Billy non c'era più. Tuttavia, quello era diverso. Non avrebbe mai più risalito la strada a piedi, portando la bicicletta rotta. Non sarebbe mai comparso alla porta sotto la protezione di due gentili poliziotti. Mary Neary aveva sempre sperato. In quel momento si rese conto che dare dieci dollari per il Fondo di Soccorso e Obolo di San Pietro del Vescovo era un modo facile di scaricarsi la coscienza, di non partecipare al dolore delle vittime. Guardando l'uomo calvo con gli occhiali storti, una madre troppo vestita e la donna di colore che le dava un sorridente benvenuto, si rese conto che aveva dei pregiudizi contro le disgrazie della vita che fino ad allora erano rimasti a livello inconscio. Aveva considerato le vittime come persone che avevano qualcosa in meno - meno fortunate, meno intelligenti, meno competenti - delle altre. Si sedettero e Mary pensò che adesso toccava a lei. Poi tirarono tutti fuori delle foto. Piccole istantanee, poster piegati con la scritta BAMBINO SCOMPARSO. In silenzio passarono quelle foto ai Neary, come se fosse un rito. «Dov'è la foto del vostro?» chiese una madre. «Ho un'istantanea nel portafoglio», rispose Mark. «Senta», disse l'uomo calvo. «Ecco che cosa dico io: 'Mi chiamo Harry Vreeland. Sono il padre di un bambino scomparso che si chiama Robbie Vreeland. Questa è la sua foto. Avete visto questo bambino?'» Tese il poster di un bambino sorridente, di circa sette anni. «Non solo si devono avere le foto sempre con sé, ma bisogna anche tenerle pronte.» La donna troppo vestita fissò Mary con i suoi occhi neri come il carbone. Fumava, e aveva le dita e i denti pieni di macchie gialle. «Il nostro è scappato.» Alzò le mani in un gesto di difesa. «Lo ammetto, c'erano dei problemi.» Guardò Mary negli occhi. «Ha deciso di fare da solo.» La sua
voce si ruppe. «Ha provato, ma semplicemente era troppo giovane... Questa nazione ha un lato oscuro, non creda che non ce l'abbia. Un lato oscuro che divora i bambini.» Parlò la madre nera. «Mi chiamo Jennine Gordon», disse con voce sommessa, chiara. «Desideriamo tutti raccontare la nostra storia, ma prima vogliamo sentire la vostra.» Mary udì Mark esalare un profondo sospiro. Sembrava sfinito. «Vorremmo prima sentire la storia di qualcun altro», disse Mary. «Abbiamo bisogno di un po' di prospettiva.» Voleva che Jennine l'aiutasse, le sembrava di annegare. «Capisco», disse Jennine. Mary pensò che avrebbe potuto diventare sua amica. Jennine continuò. «Prima di tutto, abbiamo i bambini classificati come fuggiaschi, ma in realtà sono vittime di sequestri. Scappano e vengono rapiti per la strada. O il rapitore è tanto furbo da farla passare per una fuga.» «Il nostro ha cercato di fare così», osservò Sally. Tutti annuirono. «Quello che voglio dire è che il sequestro da parte di uno dei genitori è doloroso quanto quello messo in atto da un estraneo. Forse anche più penoso, perché sai quanto può essere brutto per il tuo bambino.» La sua voce diventò grave e bassa e Mary pensò che sotto doveva esserci un terribile mistero. Ma non poteva dire nemmeno una parola. «La mia Amelia ha quattordici anni. Suo padre è morto nell'ottantasei e io mi sono risposata. Il mio nuovo marito voleva bene a mia figlia.» Fece una pausa, sporse la mascella in avanti. «Oh, quanto le voleva bene! Ero troppo stupida e troppo innamorata per accorgermene!» Scosse la testa, angosciata. Mark con la mano tremante prese quella di Mary, che fu contenta di sentire il suo tocco. La voce di Jennine si fece più debole e acuta. «Lasciai che la adottasse. Il giorno stesso in cui firmai i documenti la mia vita diventò un inferno. Picchiava la mia bambina! Quando gli dicevo di non farlo me le dava di santa ragione. Dopo due mesi la sculacciava tutti i giorni. Camminava tutta piegata. A scuola, quando era ora di tornare a casa, vomitava.» Poi, in un sussurro: «Di notte si chiudeva con lei nel garage». Alzò la voce. «Non ho resistito. Eh no, carino! Ho divorziato da quel bastardo! Mi hanno concesso la custodia, senza nessun diritto di visita da parte sua, e ho visto quell'uomo per l'ultima volta. Poi, un mese dopo, Amelia è sparita. E ho la sensazione... ho la sensazione...»
Padre Turpin disse: «In questo gruppo abbiamo una percentuale di ritrovamenti abbastanza alta. Nei dieci anni dalla fondazione è stato ritrovato circa il trenta per cento dei nostri ragazzi». «Come possono aiutare, quelli della mia età?» chiese Sally. «Parlane con i tuoi amici», rispose un ragazzo poco più vecchio di lei. «Non si sa mai. I ragazzi sentono delle cose, specialmente quando comincia la scuola. Ci potrebbe anche essere qualcuno che sa.» Mark stava guardandosi i piedi. Mary immaginò sabbia in movimento, speranze annegate. Forse stava proiettando sul marito la propria sensazione di impotenza. Mark parlò: «Che cos'è la cosa più importante che possiamo fare?» Rispose Vreeland: «Pubblicità, pura e semplice». «Potete cercarlo», soggiunse la donna troppo vestita. «Le probabilità sono poche, ma la maggior parte di noi lo fa.» Sembrava così penosamente poco! Il gruppo, nel suo cerchio di debole luce, sembrò a Mary simile a un drappello di superstiti in un oceano sempre in movimento. La loro zattera era la speranza, ma il mare non si ferma mai. Padre Turpin fece girare un libretto di foto dell'Alleanza Bambini Scomparsi. Alcuni di loro potevano voler inserire i loro ragazzi in quella pubblicazione, disse. Quando Mary vi diede un'occhiata una frase la fece fermare. Era come sentire il dottor Kingsley dire di sua madre: «Ormai si parla di morire». La frase era: I rapimenti da parte di estranei, come pure quelli da parte di persone che non sono parenti, presentano in proporzione il rischio maggiore di perdere la vita di qualsiasi gruppo di bambini scomparsi. Le si inaridì la bocca, le voci nella stanza si affievolirono. «No!» Mary si stupì di se stessa. Tutti gli occhi si posarono su di lei. Si rese conto di avere parlato ad alta voce. Sorrise, cercò di dissimulare. Nessuno ricambiò il sorriso. Forse i Neary si trovavano nella situazione peggiore. Forse non avevano nessuna probabilità. Forse Billy era già morto di una morte atroce. Quel pensiero le fece male nel più profondo dell'anima. Si tirò indietro un ricciolo fuori posto. «Il nostro ragazzo tornerà a casa.» Jennine Gordon annuì. «Quando penso a quello che sta facendo alla mia bambina mi piacerebbe ficcargli una pallottola tra gli occhi. Che il signore
Gesù mi perdoni! Quando mi sembra di sentire la mia bambina che grida 'mamma' ...oh, mio dio... si ha bisogno di qualcuno che ti sostenga. Ma si è soli. E pensi: sono stata io, sono stata io a sposare quel pazzo!» Il mistero era di nuovo presente tra loro, una forza silenziosa che li teneva legati alle loro sofferenze. A uno a uno Mary incontrò il loro sguardo, e a uno a uno distolsero gli occhi. Sapeva bene il perché. Non riuscivano a sostenere il suo sguardo a causa di ciò che condividevano: non la speranza, ma la tragedia. Quelle persone con il loro fumare nervoso, con le loro mani serrate, con le loro foto ormai a brandelli e le loro testimonianze, quelle persone non erano affatto lì. Quella era l'essenza del mistero che le avvolgeva. Quando rapivano un bambino rapivano anche una parte di ogni genitore. Senza quella parte essenziale non sarebbero mai più stati una persona intera. Non importava la bellezza del giorno, non riuscivano più a vederla, né potevano godere il tocco dell'amore, perché poteva guastare la loro attesa con l'abbandono e la passione di un istante. Non speravano e non ridevano. La notte e l'immaginazione erano le loro maledizioni. Mary capì tutto. «Lo riavremo», disse. Com'era fievole la sua voce, com'era debole! Sentì la mano di Mark introdursi nella sua, e Sally accanto a lei si agitava come le foglie di un pioppo al vento. «Vedrete. Ci riusciremo.» Poco dopo la riunione finì con un concitato scambio di informazioni: come trovare assistenti sociali che si preoccupavano o uno psicologo bravo ma non troppo caro; dove trovare uno di quei dispositivi che individuavano il numero da cui si era chiamati. Su un lato del cafetorium una volontaria della parrocchia, molto vecchia, offriva del caffè, e sul tavolo accanto a lei c'era una scatola di ciambelle, aperta. Quando Padre Turpin ne prese una sorrise. Mark insistette perché Mary prendesse un po' di caffè. «Ne avrai bisogno», disse. «Il viaggio fino a casa è lungo, e la tua forza è necessaria a entrambi. Questa volta guidi tu.» 14 Stavano attraversando il deserto in un pomeriggio limpido e azzurro. Dimostrando una straordinaria resistenza, Barton aveva superato Las Vegas, prima di abbandonare la interstatale per dormire un po'. Si era fermato soltanto per liberarsi della bicicletta. Infine, aveva potuto sdraiarsi nella cuccetta vicina a quella di Billy e
chiudere gli occhi. L'aria era fresca, il fresco del deserto. Stava appena cominciando a spuntar il sole. Mentre la sua luce inondava a poco a poco il furgone, Barton aveva preso una mano di Billy nella sua. Il calore che gli riempiva il cuore lo rassicurò di non aver commesso peccato portando via il ragazzo. «Ogni azione compiuta in nome dell'amore è eroica.» Chi l'aveva detto? Un poeta, pensò Barton, ma ne aveva dimenticato il nome dopo le superiori e il corso di letteratura. Poi aveva dormito. Aveva sognato un ometto che lo inseguiva su una minuscola auto. Quel sogno l'aveva fatto svegliare che il sole era già alto, e l'aveva lasciato con il desiderio di mettersi di nuovo in cammino. Era quasi mezzogiorno, e la prima cosa da fare era trovare un ristorante drive-in e un po' di cibo, di cui sentiva molto bisogno. Peccato che i punti di ristoro di quel tipo non avessero cibo abbastanza buono, specialmente in quella occasione, in cui si imponevano dei festeggiamenti. «La buona vecchia Route 15», canterellò. «Sai che cosa sto vedendo?» Fu lì lì per indicare il Devil's Playground, ma si trattenne. Una volta a casa, a Los Angeles, poteva forse riuscire a fare in modo che Billy non si rendesse conto di dov'era, magari per parecchio tempo. Era sempre la cosa migliore. «Dove siamo?» chiese il bambino con una strana voce di gola che fece drizzare Barton. Non sembrava quella di Billy, assomigliava piuttosto a quella di suo padre sul letto di morte, con i polmoni devastati dal cancro e dall'enfisema. Perché Billy parlava in quel modo? Poi ricordò: l'aveva punito stringendo la cinghia sul torace. Era stato molto tempo prima. Ore e ore, almeno dodici, forse più. Fermò il furgone. Gettando indietro la coperta vide che il ventre del ragazzo era come risucchiato in dentro e il torace piatto. Attorno alla cinghia vi erano strisce di carne bianca come latte, e lividi scarlatti sporgevano dalle fibbie. Aveva della bava intorno alla bocca, come se stesse facendo bolle di sapone. Il suo viso era cinereo. «Oh, figliolo!» Quando Barton toccò la fibbia, Billy scosse la testa da una parte all'altra e gridò. Istintivamente Barton lanciò un'occhiata ai finestrini, ma vide solo una strada vuota in mezzo al deserto. «Bene», disse, e toccò di nuovo le fibbie. Quando Billy ricominciò a scuotere la testa e a tendere le cinghie ai polsi, Barton sentì qualcosa d'altro dentro di sé. Qualcosa che lo fece muovere con lentezza e attenzione. Mise la mano sulla fila di tre fibbie e premette. Billy si agitò. Guardò il corpo nudo del ragazzo e scoprì di non riuscire a smettere di premere le
fibbie. Aveva le gambe molli per il piacere. «Gli voglio bene», disse sottovoce, «è per questo che non riesco a smettere di toccarlo anche se gli fa male.» Billy lo guardò con occhi supplichevoli. «Dovremo continuare così per un po'», Barton si sentì dire. No, era una cosa immorale! Doveva liberare subito il bambino. Ma si sentiva le mani pesanti. Immaginò gli sforzi che aveva fatto per ore e ore per riuscire a respirare. Sforzi orribili. Lui aveva già tentato di soffocare qualcuno, e sapeva quanto fosse orribile. Dopo l'essere bruciati, la morte per soffocamento era quella peggiore. Billy smise di urlare. Smise anche di agitarsi. Sembrò che il suo corpo sprofondasse in se stesso. Emise un suono fioco confuso di protesta. Era come un bimbo piccolo. Quella resa insospettata rovinò il momento. Barton si vide, vide ciò che faceva. Essere disgustoso, sei tu che dovresti soffrire, si disse. Pensa un po', dimenticare per dodici lunghe ore quella che doveva essere una punizione di un quarto d'ora! Brutto porco! Royal il ciccione! Ricordò la colomba che aveva trovato sotto la siepe di caprifoglio, una povera creaturina che si muoveva affannosamente con un'ala rotta. L'aveva presa tra le mani, l'aveva portata in camera sua e le aveva steccato l'ala con il bastoncino di un ghiacciolo e del nastro adesivo. Le aveva dato da mangiare con le proprie mani, l'aveva curata e le aveva scaldato la scatola con una lampada. Alla fine la steccatura aveva funzionato e sua madre gli aveva messo una mano sulla spalla e aveva detto: «Hai delle mani tanto fini, forse diventerai un chirurgo». Era riuscito a guarire una colomba, ma non ad alleviare le sofferenze di un bambino. Trafficò con le fibbie mentre Billy gridava. «La mia colomba è volata via», gridò superando le urla di Billy. «Io l'avevo curata e lei è volata via.» Per sganciare dovette premere le fibbie contro la pelle gonfia. Era gommosa e calda e quando infine sollevò la cinghia Billy cominciò a fare dei profondi respiri e a tossire espellendo grossi grumi di catarro. In fretta gli liberò le caviglie, poi le mani. «Basta», disse. «Basta, Billy.» Il ragazzo si mise a sedere. Barton afferrò il lenzuolo del proprio lettino e cercò di pulirgli il torace. Ma Billy tossì di nuovo, facendo vibrare tutto il camper, ed espulse altro catarro. Poi vomitò della bava, che Barton pulì con il lenzuolo. Attraverso quella disgustosa prova una parte di Barton rimase assolutamente fredda e calma. Gli diceva che in realtà aveva fatto quello che aveva
fatto perché era necessario per spezzare la volontà del ragazzo. Era inutile fingere che Billy gli volesse bene o che lui gli fosse simpatico. Era troppo presto. Doveva fare in modo che Billy smettesse di resistere e accettasse la sua nuova situazione. Per riuscirci aveva bisogno di medicine forti, ma temperate dalla gentilezza, o non avrebbero portato altro che paura. «Il mio petto...» Billy si mise le mani sui lividi. Erano profondi, e la carne dove la cinghia lo aveva tagliato stava diventando viola come quella compressa dalle fibbie. Barton estrasse da sotto il letto la cassetta del pronto soccorso e prese un tubetto di pomata antisettica. «Sdraiati», disse. «Ci penso io.» Billy girò la testa. Barton ricordò la volta in cui Duke aveva intrappolato un micio su un albero. Aveva un musetto pieno di paura ed era così indifeso. Barton si era arrampicato sull'albero mentre Duke mordeva il tronco e guaiva. Aveva preso il gattino, ma poi gli era scivolato e Duke... No. Non gli era scivolato. Aveva tenuto in mano il micio che si agitava, l'aveva tenuto sopra la testa di Duke per farlo arrabbiare di più. Il cane saltava e ringhiava, e il micio aveva soffiato, si era dimenato e gli aveva morso la mano, finché le sue dita non avevano lasciato la stretta... Barton scosse la testa. Quei ricordi arrivavano e lo sopraffacevano, era come ritrovarsi là di nuovo, e invece doveva essere lì, con Billy. E se il ragazzo fosse semplicemente uscito dal furgone? Se si fosse messo a correre come aveva fatto tra le montagne? Oh, quella era stata una cosa terribile! Gli era praticamente scoppiato il cuore, con un esercizio fisico del genere. Quel maledetto ragazzo... ma Barton aveva trasformato quel fatto in un'efficace dimostrazione di potere e di forza. Nella strada di ritorno verso il furgone, Billy si era abbandonato tra le sue braccia, arrendendosi alla superiorità dell'adulto. Aveva letto molto sul lavaggio del cervello. Una delle tecniche impiegate dai cinesi in Corea era permettere ai prigionieri di fuggire solo per riprenderli con una schiacciante esibizione di potere. Mettevano gli uomini in una bara e fingevano di volerli seppellire vivi, dando loro ossigeno appena sufficiente perché non perdessero conoscenza. In quelle bare impazzivano, moribondi senza riuscire a morire. Quando venivano tolti di lì, quei bei giovanotti di Cincinnati e di Bakersfield erano così grati che si accoccolavano come coolie e baciavano gli stivali di sprezzanti adolescenti cinesi. La cosa essenziale era il fattore sorpresa. Barton pensò che probabilmen-
te gli avrebbe fatto comodo, in quel momento. Non poteva dargli quell'immenso senso di sollievo che era l'elemento geniale della tortura della bara. Ma non c'era qualcosa che poteva fare, qualcosa che addolcisse Billy e gli facesse cambiare opinione sul suo rapitore? Sfiorò la guancia del ragazzo con un bacio. I suoi occhi lampeggiarono, e Barton fu deluso vedendo la sua espressione di disgusto. «So che mi odi», disse. «Ma io ti voglio bene. Ti voglio bene più di quanto tu sia mai stato amato prima d'ora.» «Sei uno sporco frocio.» «La parola è 'omosessuale', figliolo. Pensa ai loro sentimenti. Comunque, non sono un omosessuale.» «Ah no?» «Voglio vederti crescere con il meglio del meglio. Sono ricco. Posso darti tutto quello che vuoi. Voglio essere per te un padre più di quanto lo possa essere chiunque altro.» «Mi fa male il petto.» Diede a Billy una dose doppia dell'aspirina per bambini che aveva nella cassetta del pronto soccorso. «Mi fanno male anche i piedi», disse Billy. Tossì, a lungo e forte. «Mi bruciano.» Barton li guardò. «Sembra che vadano meglio di prima», osservò pieno di speranza. «È stata bloccata la circolazione. Probabilmente mi verrà un'infezione.» «Ho usato un sacco di Mycitracin.» «Avevo il pigiama. Dov'è andato a finire?» «Era a pezzi. Per quello che hai fatto.» Billy gli lanciò una lunga occhiata. «Mi piacerebbe mettermi qualcosa.» Barton prese lo zaino che aveva riempito nella camera da letto di Billy. Sembrava un oggetto alieno, bello ed enigmatico. A Barton gli oggetti per ragazzi facevano sempre quell'effetto, come se fossero carichi di una potente magia. Quando aprì la lampo gli indumenti che vi aveva pigiato debordarono. «È la mia roba», disse Billy con voce spezzata. Afferrò gli indumenti, se li tenne contro il viso, li annusò come per impossessarsi di ogni elemento che gli ricordasse la casa. «La mia maglietta di Kafka. Hai preso la mia maglietta di Kafka!» Barton rise, contento che quello che aveva scelto a caso riscuotesse tanto successo.
Billy mise gli indumenti. Aveva gli occhi pieni di angoscia. «Non c'è anche il mio Garfie?» «Il pupazzo?» «Garfield non è solo un pupazzo.» Sollevò una mano e si toccò il torace. «Mi hai fatto davvero male», mormorò. Barton desiderò di avere portato della pomata Benadryl da dargli insieme all'antibiotico, ma non aveva pensato a ferite tanto serie. Gli altri ragazzi li aveva presi molto più vicino a casa, ed era stato molto più facile portarli là. Non aveva pensato al viaggio, almeno non abbastanza. In un certo senso si era immaginato che Billy avrebbe dormito per tutto il tempo. Ma erano partiti domenica notte, ed era già mercoledì. Se avesse drogato il ragazzo con una dose forte tanto da tenerlo inconsciente per tutto quel tempo si sarebbero potute verificare delle lesioni cerebrali, o perfino la morte. Mentre pensava, Barton scelse degli abiti per Billy. Un paio di calzoncini, una maglietta. Niente scarpe, però: era una delle sue regole più furbe. Ai suoi tempi i piedi nudi non erano tanto importanti, ma rallentavano notevolmente i ragazzi moderni. «Andremo in certi negozi favolosi», disse. «Potrai vestire assolutamente all'ultima moda.» «La mia roba me la compera mia madre.» «Ma ti piacciono gli abiti firmati, ti piace avere sempre un bell'aspetto.» Billy scartò la maglietta blu che Barton gli aveva dato. «Voglio mettermi quella di Kafka.» Con una smorfia, sollevò le braccia per infilarsela. «Lascia che ti aiuti.» «Ci riesco da solo!» Poi afferrò le mutandine che aveva in mano Barton e se le tirò sulle gambe lisce. E dopo si infilò i calzoncini. La maglietta era particolare. Se si fosse reso conto di quello che c'era sopra, Barton non l'avrebbe presa. Era grigio chiaro, e sul davanti aveva la fotografia di un giovanotto con gli occhi incavati vestito con quello che sembrava un abito da poco con una cravatta a strisce di un club. Sotto c'era la scritta KAFKA VIVE. Franz Kafka... non era una specie di romanziere dell'orrore? Barton non ne era sicuro. «Dovrò insegnarti un po' di cose a proposito di Kafka», disse bruscamente per nascondere la propria ignoranza. «Ti piacerebbe saperle?» «So tutto, di Kafka.» Barton percepì l'odio nelle parole di Billy. Ma era anche vero che per la prima volta il ragazzo gli rispondeva come si fa a un essere umano. Era un inizio importante: la prima vera conversazione.
«Anch'io, Billy.» «Wir graben den Schacht von Babel.» Barton si rese conto che la frase era in tedesco. Poteva essere uno svantaggio potenzialmente grave, se Billy conosceva una lingua che lui non capiva. Billy stava osservando le sue reazioni. Barton aveva visto il ragazzo per la prima volta mentre faceva dei giochi elettronici in una sala giochi. Non c'era niente che indicasse che fosse particolarmente istruito. Ma in quella parte del Midwest insegnavano tedesco in un sacco di scuole. In effetti la zona era stata colonizzata dai tedeschi. «Significa: 'Stiamo scavando il pozzo di Babele'.» «Interessante. Ho sempre pensato che quei romanzieri dell'orrore...» «Lascia che ti spieghi. Sto cercando di farti capire che non voglio parlare con te. Se vuoi ficcarmelo nel culo sbrigati, e facciamola finita. Ma non cercare di scherzare con la mia mente.» Quelle parole sembrarono una melodia; erano come un dolce canto. La musica della voce di Billy rendeva meno penoso il disprezzo. Barton chinò la testa. «Non ti allontanerai mai da me, Billy.» «Certo che no. Se scappo ucciderai i miei genitori.» Barton rimase stupefatto. «Non ho mai detto una cosa simile!» «Non sai nemmeno quello che dici alle persone.» Barton aveva sognato di minacciare Billy in quel modo. L'aveva preso in considerazione. Non aveva mai avuto la sensazione di aver detto o fatto cose di cui non si ricordava affatto. Certamente no. Barton Royal era un uomo molto speciale con bisogni molto speciali. Ma era del tutto sano di mente. Era il suo punto fermo. Tutto quello che faceva, lo faceva per una ragione perfettamente logica. «Se l'ho detto non parlavo sul serio.» Billy non avrebbe potuto sembrare più sollevato se avesse ricevuto istruzioni da un regista. «Vieni davanti», disse Barton con tono conciliante. Billy strisciò sul sedile di fianco a quello del guidatore e vi si raggomitolò. «Di solito, ti siedi in quel modo?» «No.» «Ho sempre creduto che il carattere e i sentimenti di un gentiluomo si riflettono nel suo atteggiamento.» Billy sollevò la maglietta. Barton sgridò se stesso. Aveva tante cose in mente, era difficile ricordare i particolari di quel che aveva fatto. Comunque c'era un particolare che ricordava. «Una proposta. Mangiamo
qualcosa.» «Non ho molta fame.» «No? Sono due giorni e mezzo che non mangi. Devi essere affamato.» Nel silenzio dell'istante che seguì, Barton udì un lieve rumore. Billy stava stringendo e stendendo il pugno sinistro contro il sedile. Jack aveva tentato di lasciarsi morire di fame, all'inizio. Ma i ragazzini non riescono a fare una cosa simile. «Io mi mangerò un bel cheeseburger», annunciò Barton. «Non è necessario che mangi anche tu.» Billy espresse sbuffando il proprio disprezzo per Barton, che sentì salire in se stesso un'ira che gli fece desiderare di afferrare quelle spalle e scuoterle dannatamente forte! «Via, Billy. Non sarà poi tanto brutto, vivere con me. Diventeremo amici, vedrai.» «Non me la fai.» Barton sentì che diventava rosso in faccia. Strinse forte il volante. Adesso calmati. Non prendertela. Inspirò, espirò. Bastardo! No, non lasciar trapelare un sentimento simile, si disse. Non ha bisogno della tua rabbia, ma del tuo amore. Ha bisogno di comprensione e di sostegno, deciso ma gentile. È solo un ragazzo. Carognetta schifosa! Potresti semplicemente mettergli le mani intorno al collo e stringere! È così che funziona il soffocamento, si stringe finché non salta la trachea. Poi ci si può rilassare e si può stare a guardare. Non succede subito, ma muoiono. Si afferrano la gola, corrono, possono perfino reagire lottando. Ma alla fine diventano tutti neri, mettono fuori la lingua e cominciano a tremare. Perdono il controllo della vescica, crollano e muoiono ai tuoi piedi come topi di fogna! Avrebbe strozzato quel bambino, e l'avrebbe fatto subito! No! Ma stava abbandonando il volante, le braccia stavano trasformandosi in zampe con artigli. Basta, calmati! Carognetta! Afferrò il volante e vi si attaccò con tutta la sua forza. Le dita continuarono a staccarsi, ma reagì, dovette reagire, dovette riprendere il controllo in qualche modo, perché voleva il ragazzo; ci riuscì, poteva ancora fare in modo che la cosa funzionasse, lo sapeva! Far saltare la trachea! Guardarlo soffocare! Canaglia! Sporca canaglietta!
Batté i piedi contro la paratia antincendio, contro il freno, contro l'acceleratore. Sarebbe stata una soddisfazione maledettamente grande rompere l'osso del collo a quel piccolo bastardo! Poi, all'improvviso, il ragazzo, che lo stava osservando con gli occhi sgranati, allungò una mano e cominciò a dargli dei colpetti su una spalla. «Va tutto bene, signore», disse. La sua voce era il più lieve dei sussurri. Barton rimase tanto sorpreso che la sua rabbia lo abbandonò. Si rilassò, respirando forte. «Per favore non farmi arrabbiare in questo modo», disse. «Non lo farò più! Promesso!» Quando Barton lasciò andare il volante, si accorse che la sua mano destra aveva spaccato la plastica. Il pezzo staccato pendeva dal volante, con il rivestimento di vinile accartocciato e piegato. Per un poco procedettero senza parlare. Poi il ragazzo cominciò a cantare: Le formiche marciano in fila indiana, La più piccola si ferma a prendere il fucile, E tutte si abbassano e girano intorno, Fuori della pioggia! Che delizia! Naturalmente la conosceva bene, dato il suo lavoro. Conosceva ogni genere di canzoni per bambini. Billy stava davvero mostrandosi grande, questa volta la cosa avrebbe funzionato! Barton cantò la seconda strofa: Le formiche marciano in fila per due, La più piccola si ferma ad allacciare la scarpa, E tutte si abbassano e girano intorno, Fuori dalla pioggia! Ridendo di gusto, Barton si immise sulla 15. Mentre si guardava intorno per controllare il traffico, vide il viso del bambino che gli aveva dato tanto piacere. Era inondato di lacrime, con gli occhi che sembravano due fessure, il naso che colava, le guance arrossate. Le labbra contratte scoprivano i denti, in una smorfia orribile che riusciva a comunicare in un sol tempo disgusto, rabbia, odio e la più cieca paura. Barton riportò lo sguardo sulla strada. Premette l'acceleratore.
Proseguirono il viaggio. 15 Billy si accasciò sul sedile, con il torace dolorante, i polmoni che sibilavano quando respirava, i piedi che gli facevano ancora male per il tentativo di fuga della notte precedente. Sulla maglietta di Kafka c'era del sangue. Veniva via, lavandolo? La mamma l'avrebbe saputo. Il sole cominciava a tramontare e gli batteva sul viso, facendogli dolere gli occhi quanto il cuore. Poi li spalancò e fissò direttamente il bagliore del sole. Forse se divento cieco, pensò, gli dispiacerà per me. Chiuse bene gli occhi: non voleva diventare cieco, così non sarebbe mai riuscito a ritornare a casa! Guardò il vano portaoggetti, aperto davanti a lui. Era pieno di nastri. Soprattutto opere, che l'uomo suonava continuamente. Vide Madama Butterfly, La Gioconda e L'olandese volante. Decise che l'opera lirica non lo interessava più tanto, anche se la Carmen gli era piaciuta. C'era anche una piccola lampada tascabile, nera, con un lungo graffio color argento. Era la lampada che l'aveva inseguito oscillando nel bosco. Se solo si fosse rotta, se solo non ci fosse stata, o l'avesse lasciata cadere sulla collina. E poi? Billy si immaginò di essere caduto nel cortile della baita sotto il precipizio, l'avrebbero portato dentro e sarebbe morto, poi sarebbe tornato a casa. Vide il corteo funebre, una Cadillac nera con un carro ricoperto di fiori dietro, e il coro di St. Stephen che cantava Mio Dio più vicino a Te. La bara era grigia. Lesse a rovescio il contrassegno sul parabrezza. UTAH. Stavano andando là? Com'era, lo Utah? C'erano già? Contò i pulsanti della radio. Era davvero bella, una Sony. Voleva chiedere se aveva le memorie e se c'era un CD player, poiché aveva anche i comandi per i CD. Sarebbe stato carino, sentire un CD in auto. Rimase a pensare ai suoi dolori e a sentire i morsi della fame. Era tanto affamato che credette di avvertire l'odore di un hamburger. Gli venne in mente il Burger King di Stevensville, e la sua banda. Un mucchio di ragazzi in gamba, anche i rompiballe patentati come Jerry Edwards. Andare al Burger King con i ragazzi, ordinare un Whopper con patatine fritte e una Coca, e dopo mangiare una fetta di torta di ciliegie come dolce, senza genitori in giro. Salire in bici la mattina presto e andare dritto fino al
punto in cui il ponte a traliccio della ferrovia attraversa il fiume, accendere un fuoco e arrostire degli hot-dog, aspettare che arrivasse il treno e schiacciasse le monetine che aveva messo sul binario. E poi stendersi sotto il ponte mentre il treno lo percorreva, con un rumore forte come un tuono che faceva tremare tutto e ti lasciava con la sensazione di essere stato fatto in mille pezzi e rimesso di nuovo insieme. Oppure camminare sul traliccio quando sentivi il primo fischio del treno. Lo faceva quando il treno attraversava il passaggio a livello di Main Street a Stevensville. Lui ci metteva dieci minuti a percorrerlo tutto, e il treno ne impiegava quattordici, se era in perfetto orario. Billy l'aveva fatto parecchie volte, partendo sempre un po' dopo il primo fischio. Gli piaceva l'agitazione allo stomaco quando partiva, le traversine che superava una dopo l'altra, i suoi amici che gli gridavano il tempo, e il fischio del treno. Gli piaceva saltare i binari, vedere le luci del treno in pieno giorno che rilucevano come l'occhio della morte, poi gettarsi giù dal traliccio all'ultimo minuto, cadendo nell'erba soffice che cresceva lì intorno, e stare là disteso a respirare l'odore dell'erba e a guardare i vagoni che passavano, rossi, azzurri e argento, e intravedere un viso pallido a un finestrino. Si guardò le mani che teneva in grembo. Dice che mi vuole bene. Dice che sono bello. Che cosa intende? pensò. Quell'uomo sembrava un incubo notturno diventato reale. Billy si drizzò, cercando di tenere lontano il dolore. La sua unica costrizione, in quel momento, era la cintura di sicurezza tesa attraverso il grembo, con le braccia bloccate al di sotto. Non era un modo molto efficace di tenere qualcuno prigioniero. Se solo avesse avuto trenta secondi e un telefono, sapeva esattamente che cosa avrebbe fatto. Era lo stesso se andavano quasi a cento all'ora, poteva saltare giù. La sua mente registrava tutte le informazioni che poteva trovare. Stiamo andando verso ovest perché il sole mi tramonta proprio sul viso, pensava. Questa è la interstatale 15 perché lo dicono i cartelli, e l'ha detto anche lui. Siamo in un deserto che sembra la superficie di Marte. Abbiamo un contrassegno dello Utah, e questo probabilmente significa che siamo in quello stato o vi siamo diretti. Passando davanti a una stazione di rifornimento vide una fila di telefoni illuminati dall'ultimo sole. Le gomme vibravano. La cassetta continuava a suonare. L'uomo guidava e tirava il pezzo di volante che aveva rotto. Billy
vide che l'indicatore di livello della benzina era vicino allo zero. L'uomo guidava imperterrito facendo rumori con la gola, come se stesse parlando fra sé. Assomigliava a una gigantesca termite regina, liscia, pallida ed enorme. Una volta Billy aveva dissezionato una termite regina, quando faceva Scienze, in quinta. Ne erano uscite le uova, e si era sentito triste anche se l'insetto era davvero nauseante. Sal Geller aveva osservato: «Si potrebbe seccarle e trasformarle in cereali». Billy aveva ribattuto: «Se le mangi così sembreranno riso. Una tazza intera. Bello caldo». La signora Chapman li aveva sentiti e li aveva mandati dal preside perché erano dei ragazzini disgustosi. Pianse in silenzio, dicendosi che era per la termite. Mamma, sta scendendo la sera e so che ti mancherò. Papà, sono qui, sono ancora vivo. Gli volevano tanto bene, dovevano soffrire le pene dell'inferno e non c'era niente che lui potesse fare, tranne che stare lì e venire portato sempre più lontano... L'uomo si mosse leggermente sul sedile. Il furgone cominciò a rallentare. A neanche mezzo chilometro, Billy vide una stazione della Mobil. Cercò di allontanare ogni pensiero. Poi chiuse gli occhi e abbandonò la testa da un lato. Cominciò a respirare ritmicamente, fingendo di essere addormentato. Si fermarono. Sentì un clic e il motore si spense. Un attimo dopo lo sportello dalla parte dell'uomo si aprì e si richiuse. Billy guardò: l'uomo era fuori, vicino al distributore. Era una stazione a self-service. Billy estrasse le mani da sotto la cintura di sicurezza e la sganciò. Ma quando premette il pulsante del finestrino non successe niente. Okay. Allungò una mano, girò la chiave, riprovò. Ancora niente. Poi vide un blocco per bambini. Lo azionò, e il finestrino scese. In un attimo era fuori. Nell'ufficio della stazione di servizio non c'era nessuno. Dal garage accanto udì una macchina sibilare. Stavano ingrassando una Toyota. All'angolo opposto della stazione vide i telefoni. Vi andò di corsa. Non aveva molto tempo, lo sapeva. Forse l'uomo lo aveva già visto. Afferrò la cornetta, premette lo zero. Il telefono squillò una volta, due. «Centralino.» «Mi chiamo William Neary di Stevensville, Iowa. Sono stato rapito da un uomo su un Aerostar bianco. Siamo sulla Route 15, diretti a ovest.» «Qual è il numero di quel telefono, figliolo?» «702-995-0091.» Non poteva rischiare un altro secondo. Riattaccò. Gesù, fa' che la centralinista avverta la mamma e il papà, gridò dentro di sé.
Billy cominciò a correre verso il garage, ma il clic della pompa della benzina che si arrestava lo fermò. Gli erano rimasti solo pochi secondi e il gestore non si vedeva da nessuna parte. Quello che lo salvò fu il fatto che la visuale dell'uomo era impedita dai finestrini affumicati del camper. Ma l'uomo si stava senz'altro avvicinando. Pochi secondi dopo sarebbe arrivato sul davanti del veicolo... Billy fece la strada che gli restava di corsa, restando chinato, e scivolò come un'anguilla dentro il furgone. L'uomo non era a più di un metro e mezzo, e camminava verso la stazione di rifornimento. Billy si lasciò cadere sul sedile, si tirò la cintura di sicurezza sulle mani. Guardando l'uomo che pagava, imprecò contro la sfortuna che aveva avuto con il gestore, che era comparso solo adesso per prendere i soldi dell'uomo. Se avesse avuto soltanto dieci secondi ancora, Billy avrebbe potuto essere libero. Ma che cosa sarebbe successo se il gestore fosse stato stupido come quella gente di Denver, che li avevano lasciati andare nonostante il ragazzo urlasse di essere stato rapito? Quelle teste di legno della Taurus, Billy si augurava che finissero nel più profondo dell'inferno. Come avevano potuto non capire, non preoccuparsi? L'uomo salì sul veicolo. Billy aveva appoggiato di nuovo la testa contro lo schienale e respirava come se fosse addormentato. Stavano accelerando per riprendere la superstrada quando Billy si rese conto di avere commesso un terribile errore. Aveva lasciato il finestrino aperto, e l'uomo l'avrebbe di certo notato. Poi l'aria smise di entrare. L'uomo aveva alzato il finestrino con il suo pulsante. Billy aspettò, ma non vi fu nessuna domanda, solo il silenzio della strada. Quando aprì appena un poco gli occhi vide che l'uomo stava guardandolo. Era sospetto? Conoscenza certa? Oppure, pensò, gli piaceva solo guardare il ragazzino «bel-lis-simo»? Che cosa diavolo significava, essere belli? Significava che esistevano certe persone che volevano distruggerti, ecco che cosa significava. Quando, all'improvviso, l'uomo parlò Billy sobbalzò. «Sai che cosa ti dico? Ecco un enorme, delizioso Roy Rogers! Hamburger, eccoci!» Billy riuscì a stento a non mettersi a ridere per il sollievo. «Scommetto che ti andrebbe, qualcosa da mangiare. Lo so.» Dove aveva preso quella voce? Quelle voci? In una frase sembrava un uomo, in quella successiva una specie di mezzo uomo. Era come se in lui ci fosse un ragazzo che non era cresciuto, e ad ascoltare bene anche una
donna. Ma non era delicato, aveva rotto il volante! Billy guardò la faccia carnosa, gli occhi di chi è stato ferito. L'uomo sorrideva con un sorriso ampio ma duro. Era il genere di sorriso che fa qualcuno che odia i bambini quando deve stare insieme a loro. Quelle mani grasse nascondevano ossa di ferro, e avevano desiderato di afferrarlo alla gola e soffocarlo peggio di quanto avessero fatto le cinghie. Quand'era legato aveva pianto davanti a quell'uomo, gli aveva promesso di non tentare mai più di scappare, ma gli era sembrato che l'uomo non l'avesse neppure ascoltato, aveva continuato a guidare come se fosse parte integrante del furgone. Billy aveva lottato ore e ore per respirare. Aveva dormito e aveva sognato di trovarsi in fondo al mare e di imbattersi, nuotando, in una conchiglia gigantesca che si era chiusa e stava per schiacciargli il torace. Doveva respirare e sapeva che al respiro seguente avrebbe aspirato acqua. Svegliandosi, si era sentito come quella volta che Jerry gli si era seduto sopra troppo a lungo e l'aveva fatto svenire. Ma quello era stato diverso. Jerry gli aveva dato due dollari perché non andasse a raccontarlo a suo padre. Anche se naturalmente più tardi si era ripreso uno dei due dollari, sgraffignandolo. Billy ricordò che l'uomo gli era sembrato un pipistrello quando l'aveva inseguito nel bosco, muovendosi in modo agile e veloce, con il grande corpo che si destreggiava tra gli alberi. Era stato come un balletto, veder correre veloce quell'uomo grande e grosso. «Due cheeseburger completi, due porzioni di patatine fritte, acqua e un frappé al cioccolato, grande.» L'uomo rivolse un viso lucido e sorridente verso Billy. «Così va bene, vero, amico?» «Certo», rispose il ragazzo. Cercò di sembrare un robot. L'uomo arricciò le labbra, poi pose con disinvoltura una mano su una gamba di Billy. Il ragazzo la guardò, vide l'anello della scuola troppo consumato per poterlo leggere, le rughe sulle nocche, il dorso bianco che era quasi, ma non del tutto, come quello di una donna. «Senti, Billy, ce la farai. Sarai molto felice! Dovresti vedere la casa in cui vivrai. Wow! È grande, e ho dei bei mobili. Anche dei pezzi di antiquariato. C'è una bellissima vista, un panorama che si stende a perdita d'occhio. Avrai tutto quello che hai mai desiderato o sognato. Devi riprenderti. La cinghia sul torace era molto stretta, lo ammetto, ma santo cielo, in tutte quelle ore non hai pronunciato neanche una parola di protesta! Povero ragazzo, quanto devi ave-
re sofferto!» La mano diede qualche colpetto alla sua. «Quant'è vero Iddio mi dispiace molto. Se avessi detto una sola parola l'avrei allentata immediatamente. Ma dovevi essere punito, lo capisci di certo anche tu. Sei scappato, e quella è una cosa che non si deve fare. Assolutamente no! Ma per dieci minuti, quindici. Solo che mi sono concentrato sulla guida...» «Te l'ho chiesto, te l'ho chiesto e ho tornato a chiedertelo, e tu non ti sei nemmeno voltato. Poi sei venuto dietro e ti sei messo a dormire.» L'uomo sgranò gli occhi. Poi arrivò il cibo e si mise a trafficare con i sacchetti bianchi del Roy Rogers, il portafoglio e un borsellino per gli spiccioli blu, come quello di una vecchia signora. Davanti a loro, Billy vide una station wagon piena di ragazzi della sua stessa età. Stavano giocando e lui riusciva a sentire in lontananza le loro risate. Si piegò in avanti, contro la cintura di sicurezza, ad ascoltare, a osservare e a desiderare. Era una Buick, un modello recente. I ragazzi indossavano tenute da hockey. Di solito Billy non se la faceva con gli studenti molto impegnati nello sport, ma in quel momento l'interno di quell'auto gli sembrò il paradiso. L'uomo diede un paio di colpetti di clacson. Stava sorridendo e facendo cenni con il capo. «Su», disse, «per favore, fa' il bravo, pigia l'acceleratore, caro.» Batté il piede sinistro sul pavimento del furgone, facendolo tremare tutto. Billy provò con la telepatia. L'aveva fatto con Eric Worden, molto tempo prima. La signora Worden aveva detto che funzionava. Aiutatemi, disse Billy nella sua mente, aiutate il ragazzo qui dietro di voi. La station wagon si portò all'estremità del parcheggio e ritornò sulla interstatale. Dentro, nessuno si voltò. Il furgone la seguì, e stette dietro loro per un breve momento. Billy cercò di dirigere il pensiero nella mente del guidatore. Aiuti il ragazzo nel furgone dietro di lei. Mi aiuti, mi aiuti! Le sue labbra erano serrate in una riga decisa, silenziosa. Mentre l'auto si allontanava per l'ultima volta, Billy vide che aveva una targa dell'Arizona. Quindi forse si trovavano in Arizona. La capitale dell'Arizona è Phoenix, pensò. Era tutto quello che sapeva, di quello Stato. O forse era Tucson. Proseguirono lungo la superstrada con il cibo sul piano d'appoggio davanti a loro. Billy decise di non mangiare. Se la centralinista l'aveva detto alla polizia, ormai avrebbero dovuto arrivare. Ma ogni secondo si allontanavano di più! «Spero che ti piacciano, gli hamburger e i frappé», disse l'uomo. Aveva
le mani strette sul volante, e l'occhio visibile a Billy stava osservandolo. «Sì, certo.» «Mangia. Non aspettare me. Mangerò l'hamburger quando il traffico diminuisce.» L'odore del cibo gli fece venire l'acquolina in bocca. Ma non voleva mangiare. Quell'uomo non avrebbe avuto la soddisfazione di vederlo mangiare del cibo che era stato toccato dalle sue sporche mani. Normalmente la vita di Billy era scandita dai vari pasti. Colazione a casa, pranzo a scuola, merenda il pomeriggio, poi cena, e prima di andare a letto un ultimo bicchiere di latte. Più tanti biscotti e tanti dolci quanti riusciva a farcene stare. Guardò il volante piegato, pòi il viso teso dell'uomo. Ricordò con quanta lentezza aveva tolto la cinghia, quanto aveva esitato con la mano sulla fibbia e il viso rosso. Con un tipo così svitato era meglio fare quello che diceva e aspettare l'occasione migliore. Dopo tutto, più Billy collaborava, più l'uomo si sarebbe rilassato. E poi la polizia stava senz'altro arrivando. Doveva arrivare, l'aveva detto alla centralinista! Nessun hamburger aveva avuto un odore buono come quello. Quel Roy Rogers doveva essere speciale. Riusciva a sentire l'odore di ogni componente, il condimento, i pomodori, la lattuga, la carne. Sembrava una cosa automatica sollevarlo alla bocca e dare un grande morso. «Non tutto in una volta, tesoro. Sei a digiuno da molto, e ti verrebbe su tutto quanto.» Tesoro ? Ma vaffanculo! Masticando Billy guardò sopra il cofano il traffico che veniva in senso opposto. La gente cominciava ad accendere le luci. Il cielo era illuminato di arancione e di verde chiaro, la terra era scura. Davanti a loro vide un camion con una dozzina di targhe, non riusciva nemmeno a riconoscere le sigle di tutti gli Stati. California. North Carolina. Arkansas... Passò una macchina con la targa della California, poi un'altra. «Com'è l'hamburger?» «Okay.» «Bravo ragazzo! Non vedi l'ora di bere il frappé? Ti piace il frappé al cioccolato?» Billy non gliela voleva dare vinta. «Non troppo.» L'uomo giocava con il volante. «Come ti chiami?» chiese Billy. Un sorriso passò sul viso dell'uomo, grande e brutto e triste, per così dire, come quando aveva avuto quello sguardo abbattuto.
«Bene bene bene! Penso che ci stiamo scaldando un poco, finalmente! Sono Barton. E per favore non chiamarmi Bart. Barton.» «Quanti anni hai?» «Trenta.» «Che cosa ti è successo?» «Scusa?» «Sembri più vecchio di mio padre, e lui ne ha più di quaranta.» «Beh, non importa. Mangia.» Cominciò a canticchiare seguendo l'aria operistica che aveva messo nel mangianastri. «Sai», disse l'uomo appoggiandosi allo schienale, «mi ricordo quando avevo la tua età. Sai che cosa facevamo, quando avevo dodici anni?» Billy si chiese come faceva a sapere tante cose. Il suo nome, adesso la sua età. L'aveva studiato, l'aveva osservato, forse per settimane? Quel pensiero gli fece venire la nausea. L'uomo lo stava fissando, uno sguardo che a prima vista sembrava caldo e amichevole. Ma i suoi occhi erano strani. Lo fissarono tanto a lungo che Billy si preoccupò che potessero uscire di strada. Naturalmente sarebbe stata una cosa magnifica, se lui fosse sopravvissuto. Sarebbe arrivata la polizia e sarebbe finito tutto. Forse poteva tentare di afferrare il volante quando l'uomo non guardava, tirarlo e allungare un piede per premere a tavoletta l'acceleratore. «Sai che cosa facevamo?» chiese di nuovo l'uomo. Billy capì che doveva rispondere. «No», disse. Mangiò l'ultimo boccone di hamburger e cominciò a bere il frappé, che era così squisito da fargli provare un fremito di autentico piacere quando ne mandò giù il primo sorso. «Beh, ci divertivamo moltissimo! Nel quartiere abitava una signora molto vecchia. Di solito sedeva accanto alla finestra e ascoltava la radio. Un giorno siamo entrati arrampicandoci quando lei non era nel soggiorno e abbiamo collegato dei fili al microfono. Quando è entrata per ascoltare il notiziario eravamo nascosti lì vicino e abbiamo annunciato la fine del mondo. È stata proprio una trasmissione fantastica! E sai che cosa stava facendo quando siamo andati a vedere che reazione aveva avuto? Era profondamente addormentata.» Ridacchiò. «Che cosa vuol dire, diventare vecchi!» «Non potevate collegare dei fili al microfono, perché le radio normali non ce l'hanno.» «Beh, volevo dire l'altoparlante. È un dettaglio. Conosci qualche storiel-
la divertente?» «In realtà no.» «Non hai mai fatto qualcosa di divertente?» «Penso di no.» «Ma hai riso. Raccontami qualcosa che ti ha fatto ridere.» Il solo pensiero del riso gli fece venire i lacrimoni agli occhi. Riusciva a parlare a fatica. Ma doveva dire qualcosa, non voleva fare arrabbiare ancora Barton. «Non ridiamo, non ne abbiamo il permesso.» «Non ne avete il permesso? E perché?» «Religione.» Pensò rapidamente. «Siamo carismatici. Non ridiamo. Parliamo solo per ispirazione divina.» Vi fu un momento di silenzio. Billy sapeva che era stato preciso, almeno in parte. Aveva sentito i carismatici urlare nel seminterrato di St. Stephen. «Lamma lamma sammi», salmodiavano, o: «Globbalubbibuf!» Costruivano lunghe frasi con quelle parole e gridavano: «Lodiamo il Signore, lodiamoLo!» Era quello, parlare per ispirazione divina. Dopo che le preghiere e le grida cessavano, dicevano tutti: «Amen» e cantavano un inno. I ragazzi che sentivano una cosa simile dovevano portarli via in barella, tanto si scompisciavano dal ridere. Ma i carismatici non ridevano affatto. «Sei molto religioso», osservò Barton. La diffidenza nella sua voce deliziò Billy, e pensò che fosse saggio dilungarsi sull'argomento. «Andiamo a messa e facciamo la comunione tutte le mattine. Mi confesso ogni giovedì. In camera abbiamo tutti delle statue di Gesù e di Maria, e quando non mangio o dormo o faccio i compiti, prego.» «Devi commettere ben pochi peccati, eppure ti confessi tutti i giovedì.» «No, commetto moltissimi peccati. Più rigida è la tua religione, più peccati commetti. Ecco perché, dice mio padre, probabilmente tutte le persone più pie sono all'inferno.» Barton annuì. «Hanno una religione rigorosissima, e quindi commettono molti peccati. È una cosa sensata. Ma non mi hai detto che peccati commetti.» Doveva dire qualche stupidaggine come faceva quella volta o due all'anno in cui andava davvero a confessarsi oppure avrebbe dovuto - avrebbe osato - cambiare linea di condotta? A quell'uomo voleva sembrare duro e pericoloso. Ma qualsiasi cosa avesse detto sarebbe sembrata credibile? Stare vicino a Barton lo faceva sentire impotente. Ma se non provava, se non provava con qualsiasi mezzo, sarebbe stato con Barton per sempre.
«Beh», disse, «non si dovrebbe raccontare.» Lanciò un'occhiata a Barton. Come l'avrebbe presa? «Ma ho ucciso un uomo.» Barton scoppiò a ridere e Billy immediatamente si maledì per essere stato tanto stupido. «Non dovresti ridere», urlò. «L'ho legato a un letto come hai fatto con me e l'ho collegato con un filo elettrico. Poi ho inserito la spina.» «Chi era? Chi hai ucciso, ragazzino?» «Un uomo che ha cercato di baciarmi.» Barton sospirò. Billy, che tra una frase e l'altra aveva continuato a bere il frappé, arrivò al fondo e fece rumore con la cannuccia. «Non è educato!» Lo fece di nuovo, e più a lungo. «Oh, per favore», cantilenò Barton. «Non costringermi a punirti. Lo trovo tanto imbarazzante.» Ma sembrava che invece lo trovasse divertente. Billy smise subito. Mentre scendeva la notte e il deserto si punteggiava delle luci di città lontane, Billy provò una solitudine tanto schiacciante da sembrare quasi soprannaturale. Rimase a osservare l'oscurità che diventava sempre più fitta. 16 Sally era sdraiata, immobile, e fissava il buio. Ascoltò. Il silenzio le disse che nessun altro era sveglio. E allora, che cosa l'aveva svegliata? Udì uno scricchiolio vicino al letto. Girò la testa, ma vide solo l'oscurità più totale. Le sembrava di essere sveglia e di sognare nello stesso tempo. Vi fu un altro scricchiolio, e all'improvviso sentì una mano sulla bocca, una mano scivolosa che sapeva di gomma. Si divincolò respirando forte e cercando di gridare. La gomma del guanto le tirò la pelle. Poi la bocca fu libera e si udì urlare rabbiosamente. Mentre il grido moriva nei propri echi poté sentire il grugnito brutale di lui. L'altro braccio dell'uomo scivolò sotto le coperte, le cercò la vita, cominciò a trascinarla via. «Papà! Papà! Oh, mio dio è tornato, mi rapisce! Papà!» La luce si accese. Il cuore le batteva all'impazzata, il sudore le colava dalle guance, era rattrappita contro la parete dietro il letto. Sua madre e suo
padre erano due fantasmi che oscillavano nella calda luce del lampadario. Suo padre le si precipitò accanto e la raccolse tra le sue braccia che erano calde, forti e reali. Si abbandonò come uno straccio contro il padre, e la sua forza sembrò passare in lei. «Era qui», gemette. «No», disse sua madre. «No, bambina.» Respirò profondamente, il battito del suo cuore diventò più lento e regolare e il vento della notte cominciò ad asciugarle il sudore del quale era inzuppata. Si udì dire gemendo: «Era qui, era qui». Ma era come se stesse parlando un'altra. Poi si sentì ancora come scossa da una parte all'altra, con la testa che dondolava, il lampadario che le oscillava davanti agli occhi. Riprese fiato. C'era la mamma, con il viso bianco, gli occhi gonfi, e il papà, con gli occhiali storti e quell'espressione sofferente che desiderava non vedergli più. «No, bambina», disse lui. «Non c'era nessuno. Stavi sognando.» Sembrava incredibile. «Davvero?» La tenne stretta e lei sentì il suo odore, un odore stantio come quello di un nonno. Ma lo abbracciò, e la mamma le tenne le mani dietro la schiena di lui. «Hai avuto un incubo», disse. «Ho paura, di notte.» «Perché non ce l'hai detto, Sally?» Guardò il padre negli occhi. «Perché non volevo.» Si allontanò. «Voglio del caffè.» «Credo che farebbe bene a tutti», osservò Mark. «Alle quattro del mattino?» chiese Mary. Poi lo ripeté come una dichiarazione: «Alle quattro del mattino». Non sarebbero tornati a dormire, nessuno di loro. Sally si infilò la vestaglia e seguì i genitori dabbasso. Mentre si spostavano nella casa, accese tutte le luci. Walter Toddcaster fu svegliato dallo squillo del telefono. Non ne fu sorpreso, era parte del suo lavoro. Sua moglie non si mosse. «Sì?» «Abbiamo un indizio per il caso del bambino. Ha telefonato.» «Dimmi tutto.» «Una centralinista ha ricevuto la chiamata da un telefono pubblico di una stazione di servizio della Mobil vicino a Estes, nel Nevada. È in un
Aerostar bianco della Ford, e sta viaggiando verso ovest sulla interstatale 15. È tutto.» «Numero di targa? Qualcos'altro?» «In realtà c'è qualcos'altro. La telefonata è stata fatta alle otto e cinquantuno di ieri sera, ora locale. La società dei telefoni ha informato la polizia. Sono arrivati alla cabina alle nove e dodici. Nessuna traccia dell'Aerostar. Ma il gestore ricordava il camper.» «E il conducente?» «Un maschio bianco di quarantacinque o cinquant'anni. Poco meno di uno e ottanta, un po' sovrappeso, con una camicia azzurro chiaro della Izod e un paio di calzoni neri.» «Sono delle buone notizie.» «Non del tutto.» «Perché?» «Il gestore crede anche di aver visto un ragazzo, mi ascolti, che si arrampicava su per il finestrino per entrare nel furgone-camper. Il ragazzo indossava una maglietta bianca con una foto sul davanti e dei calzoncini corti. Pensa che potesse avere una grande macchia rossa sulla maglietta.» «Che cosa mi stai dicendo?» «Ha pensato che fosse sangue.» Toddcaster sospirò, ringraziò l'agente di servizio e riappese il ricevitore. Il problema era diventato personale: doveva stare zitto con la famiglia, o lasciarsi coinvolgere emotivamente? Un uomo deve proteggersi. Se parli, ti fai coinvolgere troppo. Per un poliziotto, di solito il sangue significa morte. Quel particolare rapitore a un certo punto ucciderà il bambino. Sedersi al tavolo di formica rossa della cucina era uno dei riti non scritti della famiglia che avevano sempre dato a Sally un tranquillo piacere, ma adesso erano diventati angosciosi. Papà mise la caffettiera a filtrare, che ben presto cominciò a borbottare, un rumore penosamente allegro. La mamma si sedette con le braccia piegate davanti a sé e la testa appoggiata, come alle elementari durante il momento del pisolino. Sally allungò una mano e le toccò i capelli. Sua madre sollevò la testa tanto repentinamente che il gesto sembrò carico d'ira. «L'hai visto?» «Ma hai detto...» «È stato un incubo, Mary.» «No, Mark. Voglio dire quando ha preso Billy. L'hai visto?»
Sally fu confusa da quella domanda. Non l'aveva visto... oppure sì? «Il sogno, Sally. Forse è un ricordo sepolto.» «No... non credo.» Sua madre cambiò espressione, strinse gli occhi, arricciò le labbra come Sally non aveva mai visto prima. «Se ricordi qualcosa, diccelo!» «No, mamma!» «E io credo di sì!» «Ehi, Mary!» «Non si rende conto di quanto sia grave! È una bambina. Per lei è un gioco.» Smise di parlare di colpo. Sally, senza riuscire a reagire, pensò dolorosamente dentro di sé che la madre fosse arrabbiata con lei perché era quella rimasta. Lentamente, le mani della mamma le toccarono il viso. «Mamma?» «Scusa, tesoro. Ti voglio bene, lo sai. Solo voglio tanto che Billy ritorni!» La caffettiera gorgogliò e la stanza si riempì dell'aroma del caffè appena fatto. Sally capì che nella sua famiglia si stava distruggendo qualcosa, qualcosa di fragile e di necessario. Era una specie di sentimento famigliare, una specie di bugia condivisa, oppure una verità schiacciata dalla selvaggia realtà di un mondo che vede i bambini come oggetti di consumo? Sally disse quello che riuscì a pensare: «Mi dispiace di non essere stata io, mamma. So che lui era l'orgoglio della famiglia». Mary emise un lamento forte, straziante e tese le mani verso la figlia. Si strinsero le mani attraverso la tavola. «Non credo di averlo mai visto né sentito, ma ho tanta paura che ritorni che non riesco quasi a sopportarlo. Non voglio morire come...» «Non è morto! Non è morto!» «Lo so... Scusa, mamma.» Sally osservò la madre prendere la caffettiera e riempire le tazze. Le sue mani, prima serrate e tremanti, diventarono abili ed efficienti nelle faccende domestiche. In sua madre Sally vide qualcosa che non aveva mai notato prima, e capì che era il coraggio di continuare anche quando avrebbe voluto raggomitolarsi in una piccola palla e morire. La voce di Mary risuonò chiara e all'improvviso molto forte. «Non possiamo avere un atteggiamento disfattista, perché questa famiglia è tutto quello che ha. Se non ci muoviamo e facciamo delle indagini per conto nostro e non lo troviamo, il nostro ragazzo è perduto per davvero.» «Mary, la polizia...»
«Che cosa fanno? Sono venuti, mi hanno rovinato la casa con le loro polverine del cavolo e poi sono tornati ai loro maledetti casi, quelli che hanno qualche probabilità di risolvere. Nessuno sta cercando Billy. Setacciare tutti i pederasti noti in città! Questa è la loro idea di lavorare al nostro caso. Billy non è nello Iowa. Probabilmente non è più nello Iowa fin da domenica mattina. Potrebbe essere dovunque! E dobbiamo trovarlo noi. Non lo farà nessun altro. A nessun altro importa un accidente.» Sorbì rumorosamente il caffè bollente. Sally la guardò piena di ammirazione. «Un conto è fare pubblicità, ma come possiamo organizzare un'indagine per nostro conto? Da dove dovremmo cominciare?» «Da qualche parte!» Mentre si vestiva, Toddcaster pensò ai prossimi passi da compiere. Dovevano inoltrare una richiesta di segnalazione incidenti con Aerostar bianchi lungo la interstatale 15. Dovevano seguire tutti gli indizi che potevano mettere insieme. E la famiglia doveva partecipare. Dovevano attaccare il loro poster in tutte le stazioni di sosta e di rifornimento sul percorso verso ovest di quella strada. Era un grosso lavoro, ma non era impossibile. Potevano stabilire il chilometraggio che l'Aerostar compiva con un pieno e concentrare l'affissione nelle zone in cui era più probabile che si fermasse a fare rifornimento. Avrebbe detto loro che Billy era vivo, e loro avrebbero scaricato su di lui tutto il loro carico di emozioni. Avrebbe tralasciato di parlare del sangue. E non avrebbe spiegato perché il ragazzo era risalito sul furgone, anche se lo capiva. Glielo aveva fatto capire proprio il sangue: Billy Neary era stato sottoposto a tortura. I rapitori di bambini spesso torturano le loro vittime per fare loro il lavaggio del cervello, per costringerle all'obbedienza assoluta con le intimidazioni. Lo facevano per paura, per rabbia. Ma soprattutto lo facevano per divertirsi. Forse sarebbe giunto il momento in cui Billy non avrebbe telefonato a casa nemmeno se avesse potuto. Succedeva, l'aveva visto. In quelle relazioni entrava a volte una specie distorta di amore. Qualche volta baciavano la mano che alla fine li avrebbe uccisi. Sally considerò quanti posti lontani e nascosti c'erano al mondo, e quanto piccolo era suo fratello. Cominciò ad avvertire di nuovo quella sorda, ormai familiare sensazione
di impotenza. A parte i nobili sentimenti, erano come le altre famiglie del gruppo di ricerca, con le loro fotografie e le loro strategie da disperati. La mamma era diventata una donna ossessionata da un'unico pensiero. «Lo faremo ritornare. Troveremo un modo.» «Potremmo setacciare il quartiere», azzardò Mark. «Sai che la polizia non ha fatto neanche quello! L'hai notato? Non hanno bussato nemmeno a una porta dei vicini! Se mettiamo la sua foto nelle mani giuste e qualcuno dice: 'Ehi, ho visto questo ragazzo', avranno qualcosa da cui partire. Altrimenti, si tratta solo di aspettare che accada qualcosa.» «Non è del tutto giusto, Mary. Stanno facendo molto più di quello.» «Non voglio essere giusta! Voglio Billy!» Con un'occhiata simile a quella della Medusa infuriata raffigurata nel libro di storia antica di Sally, sua madre si spostò all'indietro e gettò la tazza contro la parete. Il caffè si sparse dappertutto e il quadretto a punto croce che aveva fatto, con la scritta CHE DIO BENEDICA LA MIA CUCINA E TUTTO QUELLO CHE CONTIENE, si staccò e cadde in mille pezzi fra i cocci della tazza. Lo scoppio d'ira fu seguito dal silenzio. Papà sembrava impietrito sulla sedia, Sally troppo stupita per emettere alcun suono. Muovendosi a passettirii, come un coolie, la mamma si affrettò a raccogliere i pezzi. «Che nessuno si muova, o vi andrà del vetro nei piedi!» «E i tuoi, mamma?» chiese Sally. Si chinò ad aiutare. Insieme raccolsero i frammenti più grandi, mentre Mark asciugava il caffè e tirava su quelli più piccoli con dei tovaglioli di carta. Sally guardò suo padre terminare quel lavoro, poi prendere la moglie tra le braccia, proprio nel mezzo della cucina. Sembravano tanto piccoli, e tanto più vecchi di quanto avesse mai notato. Si alzò e si allontanò un poco. Le sarebbe piaciuto che non continuassero a rivelarsi tanto piccoli e impotenti, ma lo erano, bastava guardarli. «Possiamo organizzare un lavoro di gruppo», disse cercando di mettere una nota di fiducia che non sentiva nelle sue parole. Sembrò che i suoi genitori non la udissero nemmeno. Si erano alzati in piedi, e la mamma singhiozzava; papà la teneva stretta in un penoso silenzio. «Possiamo organizzare un lavoro di gruppo», ripeté Sally, un poco più forte. Papà aveva un aspetto così disfatto, stravolto; in quel momento le sembrò un perfetto sconosciuto. Per nascondere l'inquietudine Sally continuò a parlare, in fretta e con voce sottile. «Possiamo farlo. Comperiamo un libro, impariamo a fare gli investigatori. Diventeremo una famiglia di investigatori.»
La mamma batté le palpebre e, all'improvviso, il suo volto si addolcì. Molto spesso Sally e sua madre avevano fatto dei lunghi discorsi. Nei momenti migliori erano come due sorelle. Ma di solito la mamma la tormentava con le sue critiche. «Questo non è uno di quei romanzi polizieschi per giovani adulti.» «Non leggo più quella robaccia, come sai benissimo. Penso solo che potremmo effettivamente riuscire a combinare qualcosa. Davvero.» «Forse io no! Forse è per questo che ho gettato la tazza! Mi sento tanto maledettamente frustrata che potrei strapparmi i capelli!» «Possiamo provare con la tua idea, Mary», disse papà. Sally lo osservò mentre continuava ad accarezzare goffamente la madre. Poi si unirono in un bacio. Di solito si mostravano disinvoltamente affettuosi, ma mai così, di fronte a lei e a Billy. Non sapeva che cosa fare, se abbassare gli occhi o che cos'altro. Era come incantata. Proprio allora sentirono un rumore fuori della finestra aperta della cucina. Tutti guardarono in quella direzione. La luna era tramontata e la finestra era scura. Istintivamente si strinsero insieme. Sally lanciò un'occhiata alla rastrelliera dei coltelli. Bussarono alla porta. Era come se un ramo avesse urtato contro l'intelaiatura. Non aveva affatto la fermezza di una mano umana. Mark si avvicinò alla porta. «Chi è?» Sally fece qualche passo verso i coltelli, e mentre si spostava scoprì una verità a proposito di se stessa. Nessuno dei suoi genitori aveva mai neppure pensato di acquistare un'arma. E perché avrebbero dovuto? Nessuno di loro si sarebbe mai sognato di usarla. Ma lei avrebbe potuto farlo. Poi la porta fu spalancata e sulla soglia apparve il detective Toddcaster, con gli occhi socchiusi per la luce improvvisa. Sally doveva aver trattenuto il fiato, perché lui si voltò verso di lei, con un'espressione piena di scuse. «Ho visto la luce accesa», spiegò. Entrò nella cucina, dominandola con il corpo grande, grosso e goffo, con l'odore del sigaro e con il viso solcato dalle rughe e l'espressione intensa. «Da quanto... è arrivato?» «In questo momento. Passavo in auto. Sono contento di avere visto la luce accesa. Ho delle notizie. Billy è vivo. Ha telefonato al centralino da un telefono pubblico di Estes, in Nevada, alle otto e cinquantuno di ieri sera, ora locale.» Sally si sentì come se il suo corpo fosse pervaso dalla corrente elettrica,
come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo. La mamma emise un grido. Mark si avvicinò all'agente e lo afferrò alle spalle. «Sta bene?» «È vivo.» La mamma tremava, torceva le mani, gemeva. «È vivo, è vivo.» Sally capì che per tutto quel tempo la madre non l'aveva creduto. Dietro le sue parole coraggiose nascondeva una segreta certezza: Billy era morto. E Sally capì anche che l'aveva creduto anche lei. Aveva pensato che suo fratello fosse morto. Ma non era così, si trovava da qualche parte, proprio in quel momento era vivo, respirava, sperava, desiderava tornare a casa. Sally non riuscì a sopportare quel pensiero, le faceva terribilmente male, era come fuoco che infuriasse nei recessi più segreti dell'anima. Fece i due passi che la separavano dalla madre con le braccia tese, cercandola. Si strinsero, e suo padre le abbracciò entrambe. Sally non si rammentò della presenza di Toddcaster finché questi non si schiarì la gola. Stava lì a guardarli stringendo gli occhi, come se i loro corpi emanassero luce. «Abbiamo una descrizione del veicolo su cui si trova e dell'uomo che lo guida.» Sally ascoltò la sua voce roca, spenta. Non aveva mai conosciuto un uomo dall'aspetto tanto rude. «Grazie», disse la mamma. «Eravamo proprio... disperati... Voglio dire, non sappiamo che cosa fare...» «Il Gruppo di ricerca...» «Oh, mio Dio, si trova in cattive acque quanto noi.» «C'era un'atmosfera piuttosto cupa», soggiunse papà. «Adesso avete qualcosa da fare.» «Che cosa?» Toddcaster cambiò espressione. Aveva indurito gli occhi, mostrando una fitta di dolore, o perfino di rabbia? Sally non ne era certa. «Vuole del caffè?» chiese allontanandosi dall'abbraccio della madre. «Se non devo leccarlo dalla parete.» Mary rise. «Una cosa che ho scoperto questa settimana è che ho un brutto carattere. Se Mary Neary gli mette le mani addosso, quel tizio vedrà che cosa può fare una donna arrabbiata a un uomo così malvagio.» Sally gli versò una tazza di caffè. «Allora ce lo dica!» La voce di sua madre imperiosa come faceva sempre quando voleva qualcosa, ma in quel momento aveva anche una nota di terrore, acuta e allarmante. Toddcaster scostò una sedia e vi si lasciò cadere. Con il mento sul petto,
la tazza stretta fra le grandi mani, sembrava che la sua ossatura avesse ceduto. «Dovete setacciare tutta la quindici dal punto dell'avvistamento fino a Los Angeles. Affiggere i vostri poster.» Papà si portò una mano alla guancia, come se la pelle fosse diventata ipersensibile. «Sono migliaia di chilometri!» «Cominciate da Las Vegas e procedete verso ovest.» A Sally non piacque il tono prudente della sua voce. Non erano notizie incredibilmente buone? Aveva tirato fuori un sigaro e lo masticava alternando sorsi di caffè, in quello che a Sally parve un ritmo tranquillizzante. «Lasciate che vi dica qualcosa di questi casi. Sono difficilissimi da risolvere, almeno che non si abbia un colpo di fortuna. Beh, abbiamo senz'altro avuto una specie di colpo di fortuna. Senza dubbio. Ma quell'uomo è molto abile. Vi dirò qualcosa di lui. Un uomo davvero abile. Non che lo sappia, capite. Non sappiamo queste cose. È esperienza. La voce dell'esperienza. Vi sono quattro tipi di persone che rapiscono estranei. Il primo rapisce per ottenere un riscatto. Caso raro. Questo non appartiene a quel tipo, non il figlio di un insegnante. Poi c'è il sequestro politico. Lei è un tipo polemico, Mark, ma, diciamoci la verità, la sua polemica non ha poi un'eco così grande. Poi c'è il rapimento a scopo sessuale. Pedofili. Ma di solito sono delitti commessi d'impulso. Un ragazzo esce per andare all'emporio e non torna più a casa. E di solito si tratta di bambini più giovani di Billy. Quelle sono persone che non sanno affrontare la propria sessualità. Vogliono bambini troppo giovani per capire. Quarto tipo, il rapitore complessato. Forse cerca la sua infanzia perduta. Forse è profondamente arrabbiato, ferito. Un malato di mente. Di certo uno psicopatico. Potrebbe essere un sadico. Qualsiasi dannata cosa. Un tipo solitario, uno scapolo. Per una ragione qualsiasi ha bisogno di un bambino.» «E quindi ne porta via uno.» «Per lui è come realizzare una fantasia. Non si preoccupa di pensare che il rapimento possa essere giusto o sbagliato. Semplicemente agisce. All'improvviso fa una cosa del genere. Gli strizzacervelli parlano di motivazione. Un corno. L'orribile verità a proposito del fatto di essere umani è che non riusciamo a esprimere con le parole le nostre vere motivazioni. Non sappiamo perché la gente fa quello che fa. Non sappiamo nemmeno chi diavolo siamo, nessuno di noi. Siamo solo qui. «Ma ricordate, quell'uomo è uno psicopatico, e questa parola ha un significato molto speciale. Vuole dire che ha delle difficoltà a capire le con-
seguenze delle proprie azioni. Per lui il tempo non ha alcun significato. È tutto presente. Il passato se ne è andato per sempre. Il futuro... chi ci pensa mai?» Era molto duro, ascoltarlo. Quel tizio poteva fare qualsiasi cosa, ecco che cosa stava dicendo in realtà Toddcaster. Qualsiasi cosa! Come trascinato da un'onda implacabile, Toddcaster continuò. «È probabile che quel tizio sia un rapitore complessato. Ci ha pensato. L'ha progettato. Poi ha messo in opera il suo piano. «Vi dico che cosa succederà. Voi andate là con i vostri poster. Mi tenete informato di dove siete e di qualsiasi cosa veniate a conoscenza. Noi chiederemo relazioni di incidenti stradali con un camper Aerostar bianco lungo tutto il loro probabile percorso. Hanno preso una multa, hanno avuto un leggero scontro? Forse saremo fortunati. Ma questo non è un mondo perfetto. I poliziotti non necessariamente fanno rapporto. Diavolo, si starebbe a riempire moduli fino alla morte.» Bevve un lungo sorso di caffè. «È migliore dell'acido caldo che distribuiscono al Donnie Doughnut. Sentite, io andrò a casa a consolare mia moglie per un paio d'ore. All'ultimo rapporto mi aveva dato per morto.» Si alzò dalla sedia con un lungo sospiro. «La forza di gravità non è amica mia», osservò. Sally lo accompagnò alla porta sul retro, lo osservò mentre scendeva il sentiero scomparendo nell'oscurità. Attorno alla fioca luce svolazzavano delle falene e la loro ombra danzava sulla veranda dal pavimento di calcestruzzo. Lontano, verso ovest, vedeva un bagliore, tutto quello che rimaneva della luna tramontata. Ritornò con la mente al suo incubo. In esso aveva visto, per un attimo, un viso pallido come la luna. Probabilmente Billy aveva avuto un incubo simile. Solo che nel suo caso era stato reale. «Fratello», sussurrò. Era una parola alla quale non era abituata. Non l'aveva mai chiamato in quel modo, non l'aveva mai usata molto. Ma in quel momento le sembrava preziosa. Era tutto quello che le era rimasto di lui. Osservò il cielo che si scoloriva. «Fratello?» 17 Barton aveva guidato fino alle quattro del mattino, poi aveva di nuovo dormito nella parte posteriore del veicolo, insieme a Billy. In quel momen-
to era ormai giovedì, ed erano entrambi seduti davanti. Billy aveva la cintura di sicurezza stretta davanti alle mani, ammanettate insieme. Non erano lontani da casa. Billy non aveva trascorso una buona nottata. Barton poteva vedere che stava deperendo. Aveva le guance scavate, i capelli appiccicosi. Sedeva piegato in avanti, silenzioso. In quel momento non era bello. Barton cominciava a pensare che forse non sarebbe riuscito a trattare con quel bambino. Gli altri ragazzi non avevano mai tentato seriamente di fuggire. Era stato possibile domarli, almeno fino a un certo punto. Il motivo principale dipendeva dal fatto che erano tutti bambini molto infelici. La loro ambivalenza a proposito della loro vita famigliare li aveva resi in un certo modo più malleabili, accondiscendenti. La fuga di mezzanotte di Billy attraverso il bosco era stata audace e coraggiosa. Bisognava affrontare i fatti: probabilmente Billy era un errore di tipo nuovo e diverso. Essendo un bambino molto amato e bene accudito era molto più desiderabile. Ma voleva anche dire che collaborava molto meno. Barton capì anche che sarebbe stato meglio rimanere in California. Avrebbe potuto risalire la costa a nord di San Francisco. In quella direzione c'erano moltissime piccole città. Sarebbe stato molto più vicino a casa e avrebbe portato là il suo ragazzo con un logorio fisico e mentale molto minore, per non parlare della riduzione del rischio. Le lunghe ore nel furgone erano quelle che avevano trasformato Billy in quella cosuccia spenta e tetra che gli sedeva accanto. Che peccato, accidenti, pensò. Barton attirò l'attenzione di Billy quando inspirò rumorosamente. Il ragazzo lo osservò stringere il volante così forte da piegarlo. Era davvero singolare che quell'uomo dall'aspetto flaccido fosse così potente. Aveva le tempie coperte di sudore, gli occhi sporgenti. Ovviamente era furioso, ma perché? Erano ore che non scambiavano una parola. A Billy quella situazione non piaceva affatto. Barton sembrava arrabbiato e deluso. Non vado abbastanza bene, pensò Billy, e all'improvviso gli apparve la miracolosa possibilità di poter essere liberato. «Se vuoi lasciarmi andare», disse, «non devi riportarmi a Stevensville. Mi arrangerò.» Lentamente Barton girò la testa fino a guardare Billy, distogliendo lo sguardo dalla strada. «No», rispose. Poi ritornò a dedicare la propria atten-
zione alla superstrada. Nella sua voce c'era una minacciosa dolcezza che Billy non voleva sentire. Ma l'aveva sentita, ed era praticamente certo di averla capita. Barton sussurrava tra sé i propri segreti. Davvero non dovresti pensare alla camera nera. No, non dovresti. Era brutto e soffocante, là dentro. Ai bambini non piaceva. Ricordava certi momenti, là dentro... Quando lui aveva detto: «Non uscire dalla camera nera». E il ragazzo: «E se mi scappa la pipì?» Quello era Timmy, il grande genio. Nella camera nera Barton aveva tutto il tempo che voleva. I suoi ragazzi non ne sarebbero usciti, non c'era nessuna fretta. Bisognava conoscere l'anatomia. Bisognava capire il sistema nervoso. Non c'era modo che potessero scappare, non c'era modo che qualcuno li sentisse. C'era un angolo di paradiso, nella casa di Barton, chiamato «la camera nera». In quel posto, e solo in quel posto, era completamente se stesso. Il traffico si stava intensificando sempre di più quando Barton accostò all'improvviso il furgone al bordo della strada. Il viso, scuro e privo di espressione mentre guidava, fu alterato da un sorriso. «Devi andare dietro. Mi dispiace davvero, ma devi capire.» «Certo!» esclamò Billy ad alta voce. Non contrariarlo, lo ammonì la sua mente. Doveva essere molto, molto prudente. «Mi dispiace, ma stiamo arrivando in una città. Va' sul lettino.» Non quello! «Via, Barton. Non cercherò più di scappare, promesso.» Il sorriso di Barton divenne ancora più largo. «Va' sul lettino.» Il tono di voce basso, spento, fece sembrare il sorriso ancora più strano. «Barton, senti, non credo di poter più sopportare le cinghie. Mi dispiace, Barton, ma per favore, ho le manette, e posso semplicemente stare là seduto...» «Va' su quel lettino, fottuta carognetta!» A Billy non avevano mai urlato in quel modo, e non aveva mai nemmeno sentito gridare così, tranne forse che al cinema. Saltò sopra la cuccetta e stese rigidamente le braccia lungo i fianchi, aspettando le cinghie. Cercò di ricacciare i singhiozzi, ma senza riuscirci, era semplicemente troppo stanco. Mentre Barton lo legava fu travolto da un'ondata di nera disperazione.
Mentre gli fissava le cinghie, Barton cercò di mostrarsi simpatico, persino affabile. Non serviva a niente impaurire quella piccola canaglia. L'avrebbe rinchiuso nella camera nera entro un'ora, poi avrebbe potuto fare uscire tutto quello che aveva dentro. Quello stronzetto ne avrebbe passate delle belle, nella camera nera. Erano le undici. Considerato il traffico, sarebbero stati a casa a mezzogiorno, mezzogiorno e un quarto. Poi doveva passare in negozio. Chissà, forse non aveva più nemmeno un lavoro, avrebbe dovuto tornare dalle Hawaii da una settimana. Più di una settimana. No, Gina sarebbe anche stata furiosa, ma non poteva disfarsi di Zio Strizza. Il Tiny Tales aveva bisogno di lui. Gina Roman, brutta puttana, farai meglio a non licenziarmi. Ho avuto l'influenza! Non è stata colpa mia se è successo a Maui, disse dentro di sé. Avrebbe fatto la pace con lei, da quel giorno in avanti avrebbe fatto uno spettacolo tutte le domeniche. Il mese precedente avevano avuto quaranta bambini la settimana, a cinque dollari l'uno. Così le restavano centocinquanta dollari puliti la settimana, tolti i suoi cinquanta. Lo Zio Strizza avrebbe recitato finché tutti i ragazzi e le ragazze non si fossero messi a ridere e avessero continuato per un pezzo, quegli stronzetti! Il camper continuò lungo la superstrada per venti minuti circa, poi rallentò e Billy capì che stavano imboccando un'uscita. Quella volta non poteva urlare. Non solo era legato, ma aveva la bocca strettamente imbavagliata. Cercò di pregare. Ave Maria, pensò, ventre di Gesù... Era troppo terrorizzato per ricordare le parole. Salivano e scendevano lungo le colline, Billy lo capiva. Su per una lunga collina, curvando da una parte e dell'altra, poi ancora giù e infine uno stretto tornante. Anche se era inutile, Billy si dibatté. Se solo. Se solo ce l'avesse fatta a uscire dal quel furgone, poteva correre abbastanza svelto da superare il grasso Barton. Se solo... La vecchia, familiare Los Angeles: un mare di negozi degli articoli più vari punteggiato da una massa di case ogni tanto. Attraversò Santa Monica, girò a destra all'altezza di Hugo, teatro di molte colazioni a base di omelette, succo di arancia fresco e di quel loro magnifico caffè. Los Angeles, West Hollywood, la zona delle colline. Era la sua città e
l'amava molto. Per puro divertimento girò sulla Fountain in modo da passare davanti al Tiny Tales. Il negozio era aperto, Gina era nella vetrina ad allestire l'esposizione per quella ristampa di Pat the Bully. Quindi il materiale che era stato promesso il mese prima era finalmente arrivato. Stava facendo il lavoro che avrebbe dovuto fare Barton... e che lo facesse. E si stava chiedendo che cosa gli fosse successo. Che se lo chiedesse. Per quello che pagava non si meritava commessi di fiducia. «Ho avuto l'influenza. Mia madre ha avuto l'influenza. Tutto il fottuto mondo ha avuto l'influenza, Gina!» esclamò ad alta voce. La signora Worden diceva che si poteva uscire dal proprio corpo. Forse se ci fosse riuscito avrebbe potuto volare a casa e dire alla mamma e al papà dove si trovava. Ma come si faceva? Lei si sedeva sul pavimento, faceva «Ommmmm» e diceva di essere stata nelle Pleiadi. Qual è il femminile di pirla, si chiese? Se quella centralinista l'avesse detto a qualcuno! Probabilmente aveva pensato che era solo un bambino che faceva un altro scherzo. Erano tutti così stupidi! Non poteva sopportare le cinghie un istante di più. Ogni suo nervo era teso contro di loro, era teso e non poteva smettere di esserlo. Dietro il bavaglio stava gridando. Agitava la testa. Per un attimo fu perduto nel terrore e nella soffocante claustrofobia del lettino che era la sua prigione. Poi successe qualcosa. Non sapeva che cosa fosse, non poteva conoscere la forza delle riserve che abbiano dentro di noi, a cui si può attingere brevemente per grazia o per bisogno. L'anima può fuggire dal corpo, le gambe rinsecchite possono reggerci di nuovo, gli occhi spenti possono ricuperare la vista, i morti possono risorgere in silenzio... ma non spesso, non certo spesso. Quello che Billy pescò nel pozzo dei miracoli fu la chiarezza. Devi affascinarlo, gli disse la sua voce dentro di lui. Conquistarlo. Fare in modo che ti voglia bene. Ma come? Gli adulti erano incredibilmente bravi a capire quando dicevi una bugia. E poi non sapeva recitare. Avrebbe fatto meglio a imparare, pensò. Arrivarono al Sunset Boulevard, passarono davanti al grazioso St. James Club, con le sue magnifiche suite che probabilmente Barton non avrebbe mai potuto permettersi, poi al Mondrian, dove qualche volta cenava quan-
do si sentiva prodigo. Quando voltò in King's Road e cominciò a salire su per le colline di Hollywood fu oppresso da una sensazione di minaccia in agguato, come se tutta la scarpata stesse per franare sul Sunset e seppellirlo. La tranquillità della King Road sostituì il veloce traffico del viale. Doveva fermarsi a noleggiare Cabaret per dopo. Aveva anche bisogno di fare una sosta in un negozio di liquori e comperare una bottiglia di quel Mouton-Cadet dell'84, se ne avevano ancora. Sally Bowles e un buon vino bianco erano un rito, dopo la camera nera. Billy notò che stavano procedendo più lentamente. Non c'era più traffico. Stavamo salendo una collina più ripida e più alta delle altre. Una collina. Los Angeles: non c'era un posto che si chiamava Beverly Hills? Doveva essere a Beverly Hills, in California! «Mio Dio», pregò ad alta voce, «dammi la forza di cui ho bisogno. Per favore, mio Dio.» Ma credeva veramente in Dio? Aveva i suoi dubbi. Ma non in quel momento. In quel momento, decise, vi credeva completamente. Mio Dio, continuò dentro di sé, se ho fatto troppe domande, per favore lascia perdere. Non erano cose molto importanti, sono solo un ragazzo con un sacco di domande. Eppure quella faccenda dei pani e dei pesci... se calcoli le dimensioni della folla e la quantità di cibo che un uomo può mangiare avresti dovuto creare pani e pesci a un ritmo di circa centosessanta al minuto, sia degli uni sia degli altri, e questa è una cosa stupefacente. No, Billy, taci! «Mio Dio, credo in tutti i miracoli! Davvero! Amo Gesù, ed è veramente così! Metterò una Sua statua in camera mia, pregherò tutti i giorni, sarò un chierichetto come lo è stato papà. Oh, mio Dio, salvami!» Era sorprendentemente fresco, per essere un giorno d'estate a Los Angeles, con il sole e poco più di ventun gradi. Era il tipo di clima che aveva attirato in quel posto milioni di persone. Alle quattro lo smog sarebbe stato quasi insopportabile, ma Barton sarebbe stato chiuso in un posto in cui la nebbia non poteva penetrare. Rabbrividì deliziosamente, pensando a quello che avrebbe fatto alle quattro. A quell'ora avrebbero già cominciato da un paio d'ore. Sarebbe stato madido di sudore e forse anche un pelino annoiato. Quella fottuta cosa che gli stava mangiando il cuore si sarebbe alfine acquietata. Billy sarebbe stato quasi irriconoscibile. Quella sera sarebbe stata una sera magnifica. Vino, le stelle e Cabaret.
Sally Bowles, il suo amore. Quando il motore si spense Billy cominciò ad agitarsi con più energia. Vi fu un breve silenzio, poi il sordo rumore di una porta di garage che si chiudeva. Diventò buio. «Siamo a caaasa», cantilenò Barton. «Benvenuto nel mio regno, Billy, ragazzo mio!» Barton aprì lo sportello laterale del furgone. Nonostante tutto Billy aveva voglia di vedere la casa. Le case grandi gli piacevano. Se avesse avuto lui il controllo delle cose, suo padre avrebbe guadagnato più soldi e avrebbero vissuto in una casa enorme con colonne. Invece della vecchia station wagon avrebbero avuto qualcosa di incredibile, come forse una Bentley Turbo rosso vivo, da zero a cento in sei secondi e mezzo, velocità massima duecentocinquanta, la berlina di serie più veloce del mondo. «Porto dentro la nostra roba», disse Barton, «e sono subito da te.» Quando l'odore di quello strano garage gli giunse alle narici, i febbrili pensieri di Billy si acquietarono. Si sentì triste. Inaspettatamente ricordò il modo in cui aveva lasciato cadere la sua bici sopra quella di Sally, l'ultima volta che era tornato a casa. L'ultima volta! «Okay, ragazzo mio, è arrivato il grande momento.» Barton salì sul camper e lo slegò. Immediatamente Billy si strappò il bavaglio. Barton piegò la testa, sorrise. «Ti ho forse detto di farlo?» Billy cominciò subito a mettere in pratica il suo piano e a mostrarsi gentile. «Scusa, Barton.» Barton si lisciò i capelli. «Nessun problema. Vieni, diamo un'occhiata in giro.» Nel garage c'era un'altra auto, ma non era una Mercedes. Billy vide una vecchia Celica marrone con il finestrino di destra riparato con del nastro. Entrarono in una cucina piccola e sporca. Puzzava. Barton stava fischiettando. «Ecco dove preparo pasti degni di un re!» Ridacchiò. Non era una casa grande. Barton aveva mentito, era povero. L'unica cosa nuova era il furgone. Barton si rese conto di aver lasciato un grande disordine. Dopo aver sistemato Timmy, moriva dalla voglia di andarsene. Voleva un altro ragazzo tanto intensamente da non riuscire quasi a sopportarlo! Quel posto non aveva proprio un buon odore. Timmy gli aveva preso più
tempo ed energie di quanto desiderasse ammettere. Erano stati insieme due mesi. Jack era durato anche più a lungo, quasi sei. Billy sarebbe stato un record in senso opposto. Era davvero un peccato prendere un ragazzo nuovo e sistemarlo subito. Ma, santo dio, la camera nera era davvero elettrizzante. Barton si dava da fare, tutto contento. Ma continuava a guardare Billy, e i suoi occhi dicevano che era completamente e assolutamente pazzo. Ma naturale che era pazzo, pensate a quello che aveva fatto e a dove viveva! Probabilmente non si rendeva neanche conto che quella casa era un cesso, pensò il ragazzo. La cucina metteva in un piccolo soggiorno-camera da pranzo. Barton non l'aveva ingannato solo riguardo a una cosa. Il panorama era piuttosto bello. Si trovavano alla sommità di un alto canyon. Sotto di loro si estendeva un lungo burrone pieno di sterpaglia e di tubature di fogna scoperti. Billy intravide una strada e al di là l'ampia distesa di Los Angeles. «Sai dove ti trovi?» Billy non pensava di doverlo ammettere, ma era tanto evidente che la vista era quella di Los Angeles. «Non... non ne sono sicuro.» «Lo sai maledettamente bene, vero?» Billy annuì. «Certo che lo sai. Adesso dovrai svestirti.» A Billy quello non piaceva affatto. Perché lo voleva nudo, se non per fare qualcosa di brutto? «Non posso aspettare fino all'ora di andare a letto?» Barton fece una risata profonda. Quando anche Billy cominciò a ridere, Barton gli afferrò la maglietta e quasi lo sollevò dal pavimento. «È meglio che impari subito a obbedirmi, Billy. Qui non diamo una seconda possibilità!» Billy fece come gli era stato detto, fino a rimanere in mutande. «Così va bene», disse Barton. Billy restò in piedi ad aspettare, infelice e pieno di paura. Aveva ancora una pelle liscia e burrosa, e il torace stava guarendo con una velocità sorprendente. Beh, non importava, la camera nera stava aspettando. Avrebbe legato saldamente Billy e poi gli avrebbe detto che cosa gli avrebbe fatto. Quella parte era incredibile. Timmy non ci aveva creduto. Anche nella
camera nera non ci credeva. Poi Barton aveva cominciato, e finalmente ci aveva creduto. Billy ci avrebbe creduto subito. La mamma gli diceva, mentre erano a cena: «Dopo cena ti punirò, Barton». Doveva mangiare fino all'ultimo boccone, ridere se qualcuno raccontava una barzelletta e rispondere quando gli parlavano, poi la mamma l'avrebbe condotto per mano in soggiorno e suo padre non avrebbe nemmeno alzato gli occhi dal giornale mentre lei lo faceva, anche quando sembrava che non finisse mai. Poi giocavano a carte, e doveva giocare anche lui, sebbene fosse un tormento stare seduto. Li portava nella camera nera dopo che aveva detto loro tutto quanto. Billy ci avrebbe creduto e sarebbe stato rigido come se fosse fatto di legno, con la pelle fredda e asciutta, e sarebbe stato in silenzio o si sarebbe lamentato. «Sai, Barton», disse Billy con voce tremante, «credo di essere davvero contento di essere qui.» Barton non se l'era aspettato. Era ovvio che Billy lo odiava. Quel ragazzo era un fallimento. «A casa me la passavo male», continuò Billy. «Mio padre mi picchiava. Tu non lo farai, vero, Barton?» Era vero? La mente di Billy era in fermento. Aveva un brutto presentimento sulla piega che stava prendendo la situazione. C'era qualcosa che Barton si stava preparando a fare e non doveva. «Tuo padre ti picchiava?» «Sì, con una vera frusta.» Barton sbuffò con evidente incredulità. «No, la teneva su un ripiano dell'armadio. Mi picchiava se facevo tardi. E mia mamma beveva e, Barton, sono proprio contento di stare qui.» Barton incrociò le braccia. «Non è vero.» «Ho molta nostalgia di casa, lo ammetto, ma so che tu hai bisogno di un bambino e che sarai più carino con me.» Barton si avvicinò alla grande finestra panoramica. Dire cose simili faceva star male Billy dentro, ma probabilmente era la sua unica possibilità. Se non tradiva la mamma e il papà non li avrebbe mai più rivisti. «Li odio», gridò. La sua voce sembrò piatta e insincera. Barton scosse la
testa, senza parlare. Billy cercò di introdurre un po' di sentimento nelle sue parole. «Li odio!» Barton si diresse verso una libreria inserita nella parete accanto al divano. Aprì uno sportello e prese una corda lunga e spessa. «Vieni qui, Billy.» 18 Padre Turpin era seduto nel soggiorno dei Neary. Mark gli aveva dato del caffè e lo stava osservando mentre si affaccendava con la tazza, lo zucchero e il latte. Non aspettava la sua visita. Dopo che Toddcaster se ne era andato, erano tornati tutti a letto. Nonostante tutto, Mary e Sally erano riuscite ad addormentarsi; Mark non era stato tanto fortunato. Il fatto di avere un prete in casa riportava abitudini infantili di eccessiva cortesia. «Sì, padre, no, padre...» Mark lanciò un'occhiata alla valigetta nera del prete, poi spostò lo sguardo sul suo viso. Padre Turpin sedeva sul bordo della sedia, con il piattino nella sinistra, e con la destra portava la tazza alla bocca. I suoi occhi, quando ricambiò lo sguardo di Mark, sembravano cordiali, circondati com'erano di rughe che potevano anche essere dovute al riso. Ma quando sorrise, vedendo che Mark lo guardava, comparve qualcosa di malefico. Mark fu colpito dal loro aspetto rapace, e da quanto quell'espressione dovesse danneggiare il suo lavoro. «Speravo che Mary e Sally potessero raggiungerci.» «Vado a svegliarle...» «No, no.» Si piegò in avanti. «Il detective Toddcaster mi ha telefonato.» Si interruppe, come se la sua affermazione rivestisse grande importanza. Assunse un'espressione furba. «Partirà per la caccia.» «Oggi pomeriggio vado a Las Vegas in aereo. Attaccherò i poster in direzione ovest, fino a Los Angeles.» Il prete depose la tazza. Qualsiasi traccia di giovialità era scomparsa dal suo viso. «Sono venuto a dirle che abbiamo un po' di denaro per le persone con gravi problemi. Il Gruppo le offre un assegno di cinquecento dollari.» Mark fissò stupito l'assegno che l'altro gli porgeva. «Il nostro gruppo di ricerca è con voi, e anch'io lo sono. Il Signore è con voi... almeno di nome.» «Padre...» «Bob, mi chiami Bob.» Si schiarì la gola, diede l'assegno a Mark e aprì
la valigetta. «Si renderà certo conto di sapere molto poco su come condurre un'indagine, e di quanto sia importante il far da sé.» «Non c'è nessun altro!» «Non è del tutto vero. La polizia fa moltissimo, ma lei, Mary e Sally siete la possibilità più grande che abbia Billy di tornare a casa.» Si guardò intorno. «Non potrete certo permettervi un detective privato.» «Sono un insegnante delle superiori.» «Beh, a Des Moines c'è un uomo, un certo Richard Jones. È un investigatore, ed è anche bravo.» «Non posso assolutamente permettermi una cosa del genere, nonostante questo assegno. Il volo è alle due e mezzo, sono sfinito e devo fare ancora un sacco di cose, prima di partire.» Turpin alzò le mani come per difendersi. «Il signor Jones lo fa gratis. Non una vera indagine, badi. Ma dei consigli. Ne ha bisogno, specialmente ora, prima di mettersi in cammino.» All'improvviso nelle mani di Mark c'era un altro filo da seguire. «Quando posso vederlo?» «Sarà meglio muoversi il più presto possibile, se deve prendere un aereo alle due e mezzo.» Dalla valigetta estrasse un grosso volume verde. «Può prenderlo in prestito.» Mark prese in mano il libro e lesse il titolo: TECNICHE DI INDAGINE. «È un testo fondamentale di metodologie poliziesche. I capitoli sulle persone scomparse le saranno molto utili. Lo può usare per accertarsi che la polizia faccia tutto quello che può e che lei imposti le sue ricerche in modo intelligente.» Nella mente di Mark ritornò all'improvviso l'immagine della tetra chiesa di padre Turpin, simile a una caverna. Come ci si sentiva, una settimana dopo l'altra, a celebrare la messa per venti o trenta persone in una navata che poteva ospitarne quattrocento? Quella era la verità di quell'uomo, e in lui non c'era la minima traccia di disperazione. Niente affatto. «Devo fare i bagagli. Mi conceda dieci minuti.» «Non sono io ad avere fretta, Mark.» Mark salì di sopra e buttò qualche indumento in una vecchia Samsonite che gli serviva per andare ai congressi degli insegnanti. Sopra vi mise una scatola con cinquecento poster nuovi di zecca del loro bambino scomparso. Svegliò Mary e gli disse che andava con Turpin. «È qui?» «Ha portato questo.» Le diede l'assegno.
Senza una parola di più, lei si alzò e scese dabbasso. «Ne abbiamo tanto bisogno, Bob. Abbiamo solo circa duemila dollari.» Agli angoli degli occhi le stavano spuntando dei lacrimoni. Turpin le accarezzò la testa: un gesto goffo. Nei suoi occhi c'era una specie di disperazione. Sally scese dopo la madre, anche lei con una vestaglia sopra la camicia da notte. Rimasero nella veranda davanti mentre Mark e il prete se ne andavano. Sally fece un piccolo gesto di saluto. «Telefonerò stasera», assicurò Mark. L'auto di Turpin era vecchia, una enorme Chrysler della metà degli anni Settanta. «Divido questo carro armato con il convento del Sacro Cuore», spiegò mentre metteva in moto. «Cinque suore attempate che a quanto pare non hanno niente da fare se non pulire questo dannato affare con un piumino.» «Sembra appena uscita dalla catena di montaggio.» «È imbarazzante ammetterlo, ma praticamente ci vivo. Le ruote sono le ruote.» «È gentile da parte loro.» «Sono il loro confessore.» «Di vecchie suore?» «La sorprenderebbe. Sono più di quarant'anni che confesso, e quelle sorelle sono in pratica le uniche che riescono ancora a sorprendermi.» Appena imboccarono la superstrada, Mark cominciò a farsi delle domande. Era stato portato in quella direzione, Billy? Aveva visto quei cartelli, quel panorama vasto e piatto, aveva annusato quell'aria mentre si trovava nelle mani del suo rapitore? Mark chiuse gli occhi. Cercò di sgombrare la mente, ma il lavorio interno non cessava. Era stato legato, imbavagliato? Era stato disteso in quell'Aerostar, o era semplicemente rimasto seduto, troppo impaurito per muoversi? I pensieri di Mark lasciarono il regno delle parole, e lui cominciò a vedere il figlio, un'ombra chiara in uno sfondo scuro. Quando l'ombra Billy esclamò «Papà!» Mark si svegliò. Erano a metà strada; era trascorsa una stupefacente mezz'ora. «Vuole ascoltare un po' di musica?» chiese padre Turpin. «Sì.» Mark cominciò a cercare tra le cassette. «Temo che siano piuttosto sdolcinate. Sono un tipo sentimentale.» «Come mai?» «Sono un irlandese del Queens. E ho le stimmate dell'ubriacone per provarlo. Come pure i nastri dei Clancy Brothers.»
Mark lasciò perdere le cassette. «Vuole parlare?» «Di che cosa?» «Di quello per cui si è lamentato tanto mentre dormiva.» «Di Billy.» Turpin imboccò uno svincolo e si addentrò nel centro della città, fermandosi infine davanti a un piccolo edificio di uffici. Mark seguì il sacerdote in un atrio di granito rosa. Era tutto molto moderno e freddo. Avrebbe dovuto esserci un ascensore con lo sportello a soffietto di ottone e un manovratore anziano con il nome PETE ricamato sul taschino della logora uniforme. L'ufficio di Richard Jones era a pianterreno. Padre Turpin bussò con le nocche solo una volta prima che la porta si aprisse. Ne uscì una ventata di aria fredda. Jones era alto e tarchiato, con un'espressione di stupore sul viso. A Mark bastarono pochi secondi per capire che era permanente. Sorrise a padre Turpin e lanciò una lunga occhiata a Mark. «Mi dispiace per il suo ragazzo, Mark. Posso chiamarla Mark?» «Sì, certo.» «Penso che abbia già ricevuto un sacco di consigli.» Si addentrò nel suo lindo ufficio e indicò una poltrona. «Si accomodi. So che ha un problema di tempo, quindi mi limiterò a un'ora.» Jones si lasciò cadere dietro la scrivania. «Ha parlato con Toddcaster, con il Gruppo di ricerca. E adesso con me. Sta cercando tutto il possibile sui bambini spariti partendo dai sotterranei. Poi passerà alle fondamenta. Io potrò fare per lei delle cose che non può fare da solo. Prima di tutto sono un investigatore con regolare licenza, il che significa che posso scoprire alcune cose esercitando la mia professione. Mi dia un numero di targa e posso rintracciarla. Mi dia un nome e posso darle un indirizzo, forse... naturalmente se conosce qual è lo Stato giusto. «Adesso parliamo di cose serie. Lei è vittima di un delitto piuttosto raro e terribile. Rapimento da parte di un estraneo. Suo figlio manca da meno di una settimana, eppure avete già un indizio importante. È una notizia molto buona. Ma potrebbe non portare a niente. La maggior parte degli indizi non conducono a niente. Il rapimento da parte di un estraneo è un caso molto difficile da risolvere. Spesso si conclude con la morte, se ne renda conto.» Strinse forte le labbra. «Sia estremamente prudente, nel seguire
quell'indizio. Sarò franco. Vi sono degli adepti di culti satanici che rubano bambini per scopi terribili. Perché? Perché sono eccentrici. Satana non esaudisce le preghiere. Sotto questo aspetto è cattivo quanto Dio. Esistono anche delle organizzazioni criminali che avviano i bambini alla prostituzione o li utilizzano per del materiale pornografico. Suo figlio potrebbe anche essere venduto a un pedofilo. Sa che cos'è?» «Sì, certo.» «Ognuno ha la sua teoria preferita. Toddcaster le ha parlato del rapitore complessato?» «Sì.» «È la teoria in cui crede di più. Quella, più il fatto che non si possono comprendere le motivazioni. Forse è così, anche se il sesso, il denaro e la paura sono tutte motivazioni perfettamente comprensibili, non è vero? Toddcaster pensa che siano troppo complesse per poterle comprendere. Io non sono d'accordo. Le persone sono motivate dalle emozioni grezze: avidità, rabbia, paura. Perfino dall'amore, qualche volta.» Fece un sorrisetto mesto. «Le consiglio, signore, di non fissarsi su nessuna teoria. Tenga la mente aperta a ogni possibilità. Toddcaster può avere ragione. Ma può anche avere torto, se lo ricordi. E un'altra cosa: la polizia ha un raggio d'azione limitato. Si muovono solo localmente, nei limiti di uno Stato. Il suo potere diminuisce quanto più ci si allontana dallo Iowa. Lei deve pensare su scala nazionale, perfino internazionale, se vi sono degli indizi in quella direzione.» «Parto oggi pomeriggio.» «Deve accertarsi di stare 'dietro' al suo uomo. Non deve vedere i poster affissi davanti a lui. Potrebbe essere la condanna a morte di suo figlio. Capito?» «Sì.» «Si assicuri che la polizia faccia la sua parte. Ma sarà lei che deve svolgere il lavoro. Lei che trova gli indizi. Lei che li porta ai piedipiatti. Lei che si accerta che svolgano bene il loro lavoro perché lei è sopra di loro. Si tratta del suo ragazzo, Mark.» «Per l'amor di dio, lo so!» Nell'istante stesso in cui udì la rabbia nella sua voce Mark rimpianse il tono con cui aveva parlato. Ma Jones sembrò non accorgersene. Mark lanciò un'occhiata a padre Turpin, seduto in silenzio, con le dita allacciate. Jones gli fornì ancora una marea di consigli, tanto che Mark si ritrovò a scribacchiare degli appunti su un notes giallo. Come interpretare gli indizi,
come generare, seguire e diffondere le tracce, dove collocare i poster, quali fondazioni potevano aiutare a passare parola, quali si davano realmente da fare e quali erano solo una perdita di tempo. Dopo un'ora, con una puntualità quasi al secondo, il colloquio ebbe termine. Jones si piegò sulla scrivania. «È un brutto lavoro, fare indagini per casi come questi. Ho solo un consiglio: non rinunci a sperare, e se le succede chiami Turpin.» Jones e Turpin si scambiarono un'occhiata in silenzio. Mark pensò che dovevano averne passate molte, insieme. Lungo la strada per l'aeroporto Mark Neary chiuse gli occhi. Padre Turpin vide il notes giallo stretto nella mano dell'uomo. «Signore», pregò Bob Turpin a bassa voce, «per favore restituiscigli il suo bambino. Se non vuoi farlo per lui fallo per me, Signore. Se ho ancora qualche influsso su di te, naturalmente, considerati i miei banchi vuoti.» PARTE QUARTA Lei, nell'oscurità 19 AVEVANO parlato per quello che gli erano sembrate cinquanta ore, e la corda era ancora appoggiata sul tavolino. Billy stava trattando per evitare di essere legato. Osservava la luce pomeridiana che giocava attraverso i grossi trefoli attorcigliati della corda. Poi Barton riprese: «Sarò un buon padre!» Perché doveva continuare a ripeterlo, come se non ci credesse? si chiese Billy. Lui voleva che fosse un buon padre, era tutto quello che aveva in quel momento. «Magnifico», esclamò Billy per la centesima volta. «Ti mostrerò la città. Los Angeles è incredibile! Sai quanto c'è da una estremità all'altra? Quasi centosessanta chilometri.» «Accipicchia!» «Ti diventerò simpatico, ne sono sicuro!» Si mosse con entusiasmo nella poltrona. Billy fece uno sforzo tremendo. Per pura forza di volontà fece comparire un sorriso sul volto. «Sei più in gamba di mio padre.» «Sono tuo padre!» Perché sorrideva in quel modo, quando parlava? Non era un buon sorriso. Billy non riusciva a farne meno, pensava ancora che lo avrebbe am-
mazzato. Ma continuava comunque, cercando coraggiosamente di comunicargli qualcosa di simile all'entusiasmo. «Voglio dire... sai. Di Mark.» Era terribile, quando doveva tradire i genitori. Suo padre capiva sempre quello che pensava. E se le sue parole avessero ferito i sentimenti di suo padre? Non sarebbe mai arrivato? Infine Barton si alzò in piedi. Si dava da fare a riordinare, chiacchierando tra sé. Billy ascoltò. Sentiva il freddo morso delle manette attorno ai polsi. Riuscì a infilarsi di nuovo i calzoncini. Quando Barton se ne accorse, in silenzio aprì le manette in modo che potesse finire di vestirsi. Poi le richiuse e tornò alle sue pulizie. Mentre Barton parlava, Billy continuò a fissare la corda. «Credo di essere stato troppo buono... oh, guarda questa maglietta, è tutta... che schifo. Sono sempre stato molto obbediente. Mia madre soleva impartirmi delle punizioni corporali. Non troppo forti. Ma non è giusto, in realtà. Voglio dire, perché lo fanno? Le punizioni mi mettono in imbarazzo. Avviliscono entrambi. Cioè, santo dio, non si rendono conto che le punizioni semplicemente fanno nascere dei nuovi punitori? E tanto evidente, se la gente si fermasse a pensare. Ma non pensa. I miei genitori erano gentili.» Raccolse un mucchio di giornali, che Billy pensò fossero stati usati come carta igienica perché puzzavano. «Oh, accidenti, forse hai sete! Hai sete?» «A una Coca non direi di no.» «Ma preferisci la Dr Pepper. Ho guardato nel tuo frigo! Certo! Volevo sapere le cose che preferisci! Ho visto la spremuta nello scomparto della frutta e verdura. Ti piacciono le spremute?» Quel tipo notava cose simili. «Va bene.» «Sto scherzando. Lo so che non le puoi soffrire. Tutti i ragazzi non le possono soffrire. A casa mia dovevo pulire il piatto o non potevo alzarmi da tavola. I miei erano molto affettuosi. So anche che ti piacciono i Butterfinger. Vedi, mi ricordo queste cose.» Si avvicinò a Billy. «Guarda che pelle liscia hai, figliolo. Posso chiamarti figliolo?» «Certo.» «Devi essere irlandese almeno per metà.» «È così. E mia madre è scozzese.» «I celti! Il popolo più bello della terra. Certe carnagioni, come la tua. Ma scommetto che non ti senti liscio e bianco, vero? Ti senti come un ragazzo. Forte.»
«In un certo senso.» «In un certo senso! Dalla bocca di un bambino! Mi piace la tua padronanza della lingua.» Cominciò a tirarlo su per le spalle, sperando di farlo alzare. Il ragazzo si spinse ancora più giù contro il divano. «Su, figliolo.» Barton cominciò a fare dei piccoli passi all'indietro, tirando su Billy. Lui era diffidente, voleva rimanere dov'era. «Hai una camera da letto, sai. È carina, vieni a vedere!» Si alzò lentamente. Barton afferrò la catenella tra le manette e lo tirò attraverso il soggiorno fino a una porta verde chiaro appena socchiusa. A Billy non piaceva quella porta, non piaceva l'oscurità della stanza al di là. Si avvicinarono sempre di più. Passando davanti alla cucina Billy udì dell'acqua sgocciolare e sentì l'odore dì grasso rancido. Vide pile di piatti sul bancone, perfino sul pavimento. Nell'acquaio c'era un paio di quelle che sembravano molle da caminetto infilate in un recipiente pieno d'acqua. L'acqua era grigia e in essa galleggiavano dei frammenti scuri. «Vado a prenderti della Dr Pepper e a comperare qualcosa per la cena, poi torno.» «Intanto che sei via pulirò la cucina», azzardò Billy. I riccioli di Barton si agitarono mentre lui scuoteva la testa con la veemenza di un bambino di un anno ed esclamava: «No!» Poi aprì la porta con un calcio e spinse dentro Billy. Il ragazzo si girò di scatto, cercando di mettere un piede contro lo stipite, ma quasi nello stesso istante la porta fu sbattuta con violenza. «Non è una prigione, figliolo! Giuro che è soltanto la tua camera da letto.» La serratura scattò e Billy si fece quasi prendere dal panico; voleva precipitarsi contro quella porta, prenderla a calci, sfondarla! Ma doveva continuare a stare al gioco. Se non faceva così, Barton si sarebbe arrabbiato e l'avrebbe legato con quella corda. Poi avrebbe... «È una camera tanto carina, guarda le pareti.» La carta da parati aveva dei grossi aeroplanini, come in una stanza per bambini. «Sì», ammise Billy, costringendosi a usare un tono allegro. Gli aeroplanini avevano dei visi sorridenti. La carta era ingiallita e qua e là mostrava degli strappi. «È davvero carina, Barton.» «Non è forte?» «Sul serio.» La porta scricchiolò, Billy udì un respiro. Barton doveva esservici ap-
poggiato. «Sul serio sul serio?» «È carina!» Billy guardò il materasso sul pavimento, le brutte sbarre nere alla finestra, la porta con la testa delle viti che spuntava dal catenaccio dall'altro lato. «Mi piacerà moltissimo!» «Oh, sono tanto contento! Se ti piace... è molto importante per me. Figliolo.» «Sì.» Si sentì un altro scricchiolio, poi il rumore di passi che si allontanavano. Tirando nervosamente le manette, Billy si accostò alla finestra. Dietro le sbarre c'era una veneziana chiusa. Anche infilando le dita fra le fitte sbarre riusciva appena a toccarla. Non poteva certo sollevarla. Gli formicolava la pelle, aveva una sensazione di appiccicaticcio. Poi notò che c'era un'altra porta, questa con un pomolo. Vi corse davanti e vide che si apriva. Era un piccolo armadio-cabina. C'era un'asta a cui erano appese alcune grucce. Su una di queste c'era il sacchetto di plastica di una lavanderia, su un altro un giubbotto bianco, circa della taglia di Billy. Muovendo insieme le mani ammanettate riuscì a tirarlo giù e lo esaminò. In una tasca c'era un pacchetto di sigarette schiacciato, che evidentemente era rimasto lì parecchie volte quando l'indumento era stato lavato. L'altra tasca era vuota. Sul colletto era cucita un'etichetta con un nome: TIMOTHY WEATHERS. Billy si accasciò sul pavimento, con il giubbotto tra le mani. Riusciva appena a respirare, quello che aveva visto gli aveva procurato un colpo tremendo. William Neary non era il primo: Barton aveva già commesso in precedenza una cosa simile. E dov'era Timothy Weathers, in quel momento? Billy rimase in ascolto, come se in qualche modo potesse riuscire a ritrovare il rumore della presenza di un altro ragazzo nel silenzio della casa. Udì qualcosa, una specie di ronzio lontano che andava e veniva. Era una vespa, o un tubo nella parete? Gli occorse un attimo per rendersi conto che era una voce. Timothy Weathers era ancora lì, dopo tutto? Lasciando cadere il giubbotto sul pavimento, rimase in ascolto. Quando uscì dall'armadio-cabina non sentì più niente. Ma se si inoltrava dentro l'armadio diventava più forte. Premette un orecchio contro le assi di legno che costituivano la parete di fondo. Non era un altro ragazzo, era Barton. Stava parlando in tono lamentoso,
supplichevole. «Mi dispiace, Gina, lo giuro, è stata solo la malattia più tremenda che abbia mai avuto. Credo che sia stato l'aereo.» Vi fu un momento di silenzio. Billy si rese conto che Barton stava parlando al telefono. Poi riprese. Quella volta la voce era sull'orlo della disperazione. «Non dirlo nemmeno! Non dire una cosa simile! No. Su, Gina, sai che a loro piace Zio Strizza. È una grande attrazione, non puoi negarlo. Senti, so che puoi fare a meno di me, ma che cosa devo fare, devo pure sbarcare il lunario! Per favore, Gina, ti supplico, se hai un altro commesso va bene, lasciami solo fare Zio Strizza. È tutto quello di cui ho bisogno! Va bene, senti, lo farò per metà soldi! Sì, metà! Solo non licenziarmi, Gina, ti supplico!» Vi fu un lungo silenzio, punteggiato da scoppi di sciocchezze caramellose da parte di Barton. Stava davvero esagerando. Evidentemente aveva abbandonato il lavoro per andare a prendere Billy. Non aveva pensato alle conseguenze e adesso stava supplicando che gli ridessero il posto. Billy si abbandonò alla speranza che Timothy Weathers fosse riuscito a scappare. Forse proprio in quel momento stava conducendo la polizia in quel posto. No, se fosse stato vero sarebbe già arrivata. La voce piagnucolosa ricominciò a parlare. «Oh, grazie, Gina, grazie a te e a Dio! Arrivo subito. Un quarto d'ora! Oh, grazie, tesoro! Grazie dal profondo del cuore.» Il ricevitore fu deposto e la voce di Barton gli giunse molto più forte. «Fottuta stronza merdosa dalla faccia di culo!» Quando smise di parlare, Billy riusciva ancora a sentire il suo respiro, lunghi ansiti furiosi. Si scostò dalla parete. Il modo in cui quell'uomo urlava gli penetrava fino al midollo tutte le volte. Per paura che Barton entrasse all'improvviso e lo trovasse mentre ascoltava uscì dall'armadio-cabina e chiuse la porta. Billy poté seguire i movimenti di Barton dallo scricchiolio delle suole sul pavimento. Uscì dalla sua stanza, percorse il corridoio, si fermò davanti alla porta. Quando sentì il clic della serratura, Billy fece una smorfia. Ma la porta non si aprì. Doveva aver solo provato la chiusura mentre vi passava davanti. Poi udì il distinto rumore della porta del garage che si apriva. I tentativi di avviare un motore. Gli ci volle molto tempo per mettere in moto. Doveva essere la Celica. Billy ritornò alla finestra. Spinse le dita tra le sbarre, ma senza riuscire
ad arrivare alla veneziana. Aveva bisogno di qualcosa, per esempio una gruccia appendiabiti. Un attimo dopo si precipitava nell'armadio-cabina e usciva con una gruccia tra le mani. Riuscì a scostare le stecche solo di una fessura, ma fu abbastanza per vedere la Celica di Barton scomparire giù per la ripida strada. Quando sparì, la casa fu invasa dal silenzio. Per la prima volta da quando gli era successa quella cosa tremenda si sentì più sicuro. Gli vennero le lacrime agli occhi. Poi fu travolto da ondate di puro e semplice sollievo. Si accasciò e urlò forte. Billy era giovane e pieno di vitalità. Voleva vivere! La verità che non era riuscito a esprimere fino a quel momento venne fuori con forza: «Oggi pomeriggio ho lottato per la vita». Non sapeva come comportarsi! I ragazzi non dovrebbero essere costretti a fare cose simili, pensò. Saltò in piedi, sollevò di nuovo la veneziana e sbirciò ansiosamente attraverso la fessura. Il cielo era di un azzurro risplendente, la luce forte e bianca. Ma lì attorno c'era un intero quartiere! Delle case significavano della gente, e forse qualcuno l'avrebbe udito, forse finalmente sarebbe arrivato qualcuno! «Ehi! Ehi! Ehi! Ehi!» gridò. Il quartiere era tranquillo e completamente silenzioso. Da quella posizione riusciva a vedere altre due case, una delle quali molto moderna, l'altra più vecchia e più bassa, come quella in cui si trovava. Entrambe avevano alberi fioriti nel cortile. Nel vialetto di accesso di quella moderna c'era una Mercedes blu. Mentre guardava, un gatto scese lungo la strada, annusando delle cose che trovava nel canale di scolo. Sugli alberi si muovevano le foglie, ma non sentiva il suono del vento. Picchiò l'estremità della gruccia contro lo spesso vetro. Ma in quel modo non si faceva certo molto rumore. Cominciò a sentire un groppo alla gola per quella libertà che sembra essere una cosa scontata, e che, proprio quando si perde, si dimostra essenziale come l'aria. Per un attimo si sentì tranquillo, poi, all'improvviso, volle tentare di aprire la porta. Le diede un calcio, un altro. Poi smise, e la saggiò con maggiore prudenza. Era di acciaio. «Sporco bastardo!» Vi si gettò contro, calciando e gridando fino a diventare rauco. Infine si lasciò cadere sul materasso, che puzzava debolmente di urina e dell'odore piacevole e sgradevole insieme di lenzuola sporche, quell'odore che Jerry aveva addosso qualche volta
quando sua madre scioperava e si rifiutava di entrare in camera sua fino a quando, come diceva, non l'avesse «scrostata». Jerry! Non aveva pensato a Jerry da quando era successa la disgrazia. Desiderò con tutta la sua forza che fosse lì in quel momento. Riusciva a vederlo, riusciva a sentirlo imprecare contro lo Space Harrier. «Merda, mi ha mangiato tutto un quadrante, merda!» «Non è colpa del gioco, Jerry. Il tuo problema è che sei una schiappa bella e buona.» Si vuole bene alle persone in un sacco di modi diversi. Non si possono abbracciare amici come Jerry, e allora si sta sempre a litigare. Più si discute, più intimi si diventa. «Sono davvero in un guaio tremendo, amico.» La propria voce gli ricordò il modo in cui parlava suo padre. Stava crescendo; assomigliava molto a papà. All'improvviso, qualcosa che aveva nascosto anche a se stesso venne alla luce. Provò una rabbia tremenda, tanto forte da farlo vomitare, e gridò perché sentisse tutto il mondo, e anche le sbarre: «Papà, perché non mi trovi! Papà, dove sei?» Nonostante il suo desiderio di non dormire mai quando Barton poteva apparire furtivamente, il silenzio e la penombra della stanza cominciarono a fare il loro effetto. Per la prima volta dall'apparizione di Barton era solo, e il suo corpo affondò spontaneamente nella morbidezza del materasso. «Papà», ripeté, ma questa volta la sua voce fu velata e incerta. Di colpo si addormentava, e di colpo si risvegliava. Non aveva orologio, non poteva capire se avesse dormito per un secondo o per un'ora. Se si sforzava riusciva a sentire l'acqua che gocciolava nel secchio in cui stavano a bagno le molle. A che cosa erano servite, per il barbecue o per qualcosa d'altro? Chi cucinava con degli affari come quelli? Da sotto la porta dell'armadio-cabina usciva una luce azzurra e minacciosa. Non era normale. Sembrava quasi una cosa viva, come se lo splendore stesso fosse pieno di emozioni. Si riversò nella camera da letto. Billy stette a guardare, stupito. Era come se la luna intera fosse entrata nell'armadio-cabina. Una voce cantava: Dove sei stato, Billy, ragazzo mio, Billy, Dove sei stato, incantevole Billy... La canzone che la mamma cantava quand'era bambino! Era così bello
sentirla, ma faceva così male! Poi nella stanza comparve un ragazzo, tutto rivestito di luce. Aveva il giubbotto bianco di Timothy Weathers appoggiato sulle spalle. Aveva i capelli biondi come la luce che lo circondava. Billy si accorse di avere una paura mortale di quel ragazzo e dei suoi occhi azzurri. Si sedette sul letto, ammutolito per l'orrore, mentre il viso del ragazzo si contraeva in una smorfia. Sono sveglio, ma sto ancora sognando, pensò. Stava gridando, adesso, il ragazzo, gridando come se stesse soffrendo terribilmente. Era una cosa tremenda vederlo, ma ancora più tremendo udirlo. Quel ragazzo soffriva, soffriva orribilmente! Billy cercò di parlare, ma tutto quello che riuscì a emettere fu un lieve sussurro. Il ragazzo cominciò a contorcersi nella luce e il suo viso si disciolse, anche gli occhi si squagliarono e gli colarono lungo le guance. Stava dissolvendosi nella luce, stava morendo in modo orribile e Billy non poteva nemmeno urlare insieme a lui. Poi la porta dell'armadio-cabina si spalancò. La luce usciva dal pavimento. Era aperto come una botola. L'altro ragazzo si girò, ancora urlante, e vi cadde dentro. Billy si svegliò davvero. Fissò il soffitto, senza sapere dove si trovasse e che cosa fosse successo. Ma quando cercò di grattarsi il naso le manette gli fecero ricordare tutto. Balzò in piedi e corse nell'armadio-cabina. Era disperato; il suo sogno era sbagliato, non c'era nessuna botola. Ritornò alla finestra. Le ombre nella strada erano diventate lunghe, il gatto e la Mercedes erano spariti. Ma là fuori c'era una persona. Un ragazzo! Portava la bicicletta a mano, in salita, stava avanzando verso di lui! Il ragazzo aveva capelli neri e diritti. La bici era blu, e nuova. Quando arrivò in cima alla collina non era a più di quindici metri di distanza. Billy gridò con tutto il fiato che aveva. Non riuscì ad articolare alcuna parola. Il suo urlo era troppo forte, troppo acuta, era il suono vivo del suo dolore. Del tutto ignaro, il ragazzo girò la bici e mentre Billy batteva ripetutamente contro il vetro della finestra - facendo solo un lievissimo rumore - vi salì e scomparve giù per la collina. Se ne andò, libero, ignaro. Il vetro non solo era spesso, aveva anche delle gocce di condensa all'interno, il che significava che era doppio. Billy gettò in terra la gruccia con estremo disappunto. Là fuori c'era tutto un quartiere, con ragazzi, gatti, bi-
ciclette e risate, sere passate nei giardini sul retro delle case, e lui era lì in quella prigione puzzolente a fingere, pena la morte, di voler bene a un verme d'uomo più di quanto ne volesse ai suoi adorati genitori. Voleva rimpicciolirsi in se stesso per sempre, girarsi e rigirarsi fino a diventare un minuscolo grumo nero di carne senza cervello o ricordi o nemmeno occhi. Corse alla porta. Era tanto agitato che sudava in tutto il corpo. Sembrava che la minuscola stanza diventasse ogni istante più piccola. Le pareti, il soffitto, si stavano curvando verso di lui; tutta l'aria era risucchiata via. Non poteva respirare, non poteva muoversi, stava per morire schiacciato. Qualcuno su un altro pianeta stava urlando. Era strano, un suono così acuto. I bambini piccoli gridano, non urlano. Ma se un bambino piccolo urlasse, sarebbe un suono simile a quello, Solo quando ascoltò davvero quelle strane urla si rese conto di essere lui. Le pareti non si stavano chiudendo, il soffitto era ancora al suo posto. E nel soggiorno c'era qualcuno che cantava: Sei la mia luce, la mia sola luce, mi fai felice quando il cielo è grigio. Era una voce femminile! Billy si precipitò contro la porta. Vi premette contro l'orecchio con forza, ascoltò con tutta la concentrazione che riuscì a mettere insieme. Non saprai mai, tesoro, quanto ti amo. Ti prego, non portarmi via la mia luce. Chi cantava smise, si schiarì la gola. Era una donna in carne e ossa, non lo stereo. Gina, forse era Gina! Oh, mio dio, per favore, per favore, per favore... pregò dentro di sé. Ascoltò, appeso a quell'unico filo di speranza, mentre la donna si muoveva per la stanza. Poi la serratura scattò, il pomolo della porta brillò mentre lo giravano. La porta si aprì. Comparve una sagoma, avvolta in un alone di luce, sullo sfondo del sole
morente. Billy si allontanò, senza fiato, senza riuscire a parlare, così contento, così contento... «E-h-i», esclamò Barton. Si tolse dall'alone di luce. «C'era parecchio chiasso, qua dentro. E pensavo di piacerti.» Gli stavano venendo le lacrime agli occhi. «Davvero.» Incrociò le braccia. Billy guardò alle sue spalle, ma non c'era nessun altro. La voce femminile doveva essere stata semplicemente il frutto della sua immaginazione. Barton rimase in piedi con la testa chinata, apparentemente sopraffatto dalle sue emozioni. Lentamente sollevò le mani, si coprì il volto. Il lamento che emise spezzava il cuore. Quindi Barton voleva affetto. Era assolutamente disgustoso. Ma era anche triste, perché era così brutto e così meschino che nessuno avrebbe mai potuto volergli bene, nemmeno per un istante. Billy tese verso di lui le mani strette dalle manette che emisero un rumore metallico. 20 Doveva usare un bel ferro incandescente, su quelle manine graziose, su quelle dita piegate pronte ad afferrare! Poi Billy avanzò fino a trovarsi nella luce e Barton ammutolì per lo stupore. Al tramonto, la luce attraversava tutto il soggiorno ed entrava in quella camera da letto. Quando Billy avanzò nella luce, la sua bellezza divenne tale che Barton fu immediatamente invaso da un'ondata di rimorso per la sua ira. Billy aveva il viso più delicato, più bello che avesse mai visto. La luce cancellava il suo sfinimento. Ma aveva gridato, là dentro. Come Timmy, come Jack aveva cercato di farsi sentire dal ragazzino degli Holcombe. Gli aveva fatto male, con gli altri, ma con Billy, Barton si sentì tradito fino al midollo. Era come se l'avesse tradito la parte migliore della propria anima. Aveva mandato Jack dall'altra parte della stanza con uno schiaffo, e a Timmy aveva dedicato cure del tutto speciali, davvero! La luce del sole faceva assumere alla pelle di Billy una tonalità delicatamente rosata, gli faceva risplendere i capelli come se fossero di metallo prezioso, brillava nei suoi occhi come la luce del paradiso. «Billy», disse con voce rotta, «per favore, desidero tanto che funzioni.»
Abbassò gli occhi, incapace di sopportare lo sguardo del ragazzo. In quel viso c'erano furberia, menzogna, paura, e tutte le cose oscure che formavano un ragazzo. Ma c'era anche qualcosa che non aveva mai visto prima. Gli mise soggezione. «Adesso non ti arrabbiare, Barton, va bene?» Che dio l'aiuti, pensò. Però la rabbia continuava a scorrergli nel sangue, facendolo fremere. I riti che ne sarebbero seguiti avevano una enorme carica sessuale. A prescindere dalla sua bellezza, Billy poteva diventarne vittima. La camera nera... Non pensarci nemmeno! Ma voleva pensarci. Anche se Billy era tanto bello e incuteva tanta soggezione, voleva portarcelo. Farlo in mille pezzi! Oh, sì. La gente non si rendeva conto di quello che diceva in realtà quando parlavano della «pornografia del male». Le stesse persone che ne parlavano con il massimo disgusto presenziavano allegramente a un'impiccagione. Quel particolare piacere faceva parte dell'essere umano. I pochi che non godevano delle reali sofferenze dei condannati erano segretamente sollevati dalla morte. Continuare a vivere oltre la morte di qualcun altro era gustare l'arrogante piacere dell'immortalità. Era in momenti simili che la morte e il sesso si congiungevano. All'epoca dei nazisti le puttane battevano gli espressi Berlino-Varsavia. Mentre i treni passavano davanti ai crematori fumanti di Auschwitz ognuna di loro scopava con un cliente. Allo stesso modo, i ragazzi mostravano le loro natiche dipinte alla folla che usciva dal Colosseo, a Roma. Barton aveva camminato lungo quegli archi, immaginando le stizzose grida dei ragazzi, i distinti grugniti dei loro clienti, il fruscio delle toghe che puzzavano di seme e di argilla, il tintinnio delle monete in piccole mani. Quei giorni, quand'era andato in Italia... era il '72. Era tanto giovane, allora, così timoroso. Aveva vagato per le stradine secondarie di Roma, ascoltando le voci, bramando di unirsi al mondo dei bassifondi romani. Ma si era trattenuto: troppo forte era il desiderio di ritrovarsi nel tempo antico, quando Roma era la città più splendida e brutale. Vagabondare nel Foro Traiano in una mattina affollata, udire i muggiti selvaggi delle folle che si dirigevano al Circo Massimo o al Colosseo, sentire l'odore dei cibi sapori-
tamente conditi che si cuocevano sulle bancarelle, baciare pelle romana e sentire la brutale passione dell'amore romano... aveva vagato davanti ai bar, ai ristoranti, ai fruttivendoli in preda a un desiderio angoscioso. In quel periodo aveva sempre finito con il trovare una donna. Gli piacevano i pesanti odori dei loro corpi: di rifiuti, sudore, pelle non lavata. Era delizioso baciare una bocca grigia come la cenere, essere risucchiato dalla sua passione, mentre all'interno si tremava di piacevole disgusto. Billy era in piedi, con il volto leggermente imbronciato. Aveva abbassato le mani ammanettate, poiché lui non le aveva prese. Barton non poteva credere che un essere umano potesse essere così straordinario, così squisito. Non gli era possibile resistere a quel magnifico ragazzo. Era stato tentato... era troppo orribile da immaginare. «Billy!» Si gettò verso il ragazzo, lo sollevò tra le braccia, all'improvviso, inevitabilmente, lo coprì di baci. Non doveva, non era giusto, ma non riuscì a evitarlo. «Oh», esclamò Billy, ritraendosi dall'abbraccio. Solo un «Oh», una leggera sorpresa, niente più. In quel corpo divino Barton pensò di scoprire un rilassamento che suggeriva accettazione, perfino, come osava sperare, godimento. C'era stato quel primo attimo di resistenza sorpresa, ma in quel momento stava lasciandosi andare all'abbraccio. Forse a Billy piaceva essere abbracciato. Barton gli fu addosso minaccioso, un'ombra nera, enorme, uscita dal soggiorno inondato di sole. Lo afferrò, lo toccò. Poi lo baciò, e quando le sue labbra gli toccarono la guancia, Billy le sentì come un terribile fuoco bagnato. Ci siamo, pensò, e provò un improvviso impeto di rabbia contro il padre. Perché non mi hai trovato, papà! Tra sé Barton si disse di andarci piano, di stare attento. Non gli piaceva il subbuglio che provava, non era morale, non era sano, soprattutto non era normale. Lui era normale! Santo cielo, la solitudine era un'emozione normale. Aveva perduto la sua infanzia... Che cosa aveva scritto sul suo diario quando aveva nove anni? La mia odiata genitrice mi ha mandato di sopra... il mio odiato genitore decide stasera se devo andare in collegio... Come morire? Come si fa a morire? aveva pensato allora. E poi il luccichio dei fucili incrociati sulle mostrine dei colletti, la puzza di Brasso e la sua orribile uniforme, i pantaloni di tela olona bianchi e la giacca azzurro cielo, e dover pettinare la cima dell'elmetto proprio in quel modo...
Oh, stava abbracciando il caro piccolo Billy e lui non resisteva, nossignore, si stava abbandonando contro il suo nuovo papà. Dicono che i bambini siano condannati a ripetere gli sbagli dei genitori... e fino a un certo punto era vero. Per quanto riguardava Barton Royal, tuttavia, gli sbagli erano finiti. In quel momento stesso! «Non ti metterò mai le mani addosso, Billy.» Lo allontanò un poco, tenendolo per le spalle, e il tintinnio della catenella tra le manette risuonò forte come un vetro che andasse in mille pezzi. «Sai, ho pensato a una cosa. Mi chiedo se ti piacerebbe chiamarti Billy Royal? William Royal.» Sollevò la testa, ammiccò. «Non credi che sia magnifico?» Billy si era costretto a rilassarsi in quell'abbraccio di ferro, a sentire il rumore sordo del cuore e il tremito delle mani che gli accarezzavano la schiena. La sua unica preoccupazione era evitare che Barton si infuriasse per il suo tentativo di attirare l'attenzione. Aveva pensato che Barton fosse ancora via. Quell'uomo era per abitudine estremamente silenzioso. Sopra la spalla di Barton vide la spessa corda sul tavolino. La luce del pomeriggio la circondava di un'aureola inquietante. Era come un serpente addormentato... o forse non era addormentato. La mente di Barton era un susseguirsi di progetti. «Senti, dobbiamo sistemare la tua roba. Non l'abbiamo ancora fatto. Poi il tuo papà ti preparerà una magnifica cena. La cuocerò io stesso. Mi sono fermato all'emporio e ho preso alcune cose molto buone. Molto buone. Oh!» Si allontanò, andò in fretta in cucina, aprì e chiuse il frigorifero e ritornò con un grande Butterfinger. «Si da il caso che questo sia un dolce extra, e gratis», disse. «È per questo che è tanto grande.» Lo tese. Sarebbe piaciuto, a Billy? L'avrebbe preso? Era un po' come ammaestrare un animale. Oh, che assurdità, un pensiero simile! Quel ragazzo era un angelo. Billy tese le mani. Barton fu sorpreso sentendo il proprio cuore battere tanto forte. Sembrava qualcosa di decisamente meccanico. Quando gli venne in mente che gli uomini della sua età potevano avere davvero attacchi di cuore si sentì preda di un subbuglio di pensieri e di sensazioni diverse. Non aveva mai desiderato morire, tranne qualche volta in cui di notte, quando non riusciva a dormire e si rendeva conto che i suoi bisogni erano malsani e orrendi e così particolari che probabilmente per loro non ci sarebbe mai stata una cura.
Billy teneva il dolce con entrambe le mani. «Vuoi che lo mangi?» «Se voglio... oh, per favore! Non voglio. Quello che voglio è che ti piaccia mangiarlo. Va bene?» Il ragazzo cercò di strappare l'involucro. «Non riesco...» Il dolce era troppo grande, le mani troppo vicine. Non avrebbe potuto scartare il dolce senza romperlo a metà. Le manette erano certo un disastro, dal punto di vista estetico. Si intromettevano perfino nei momenti più teneri, ed era una brutta intromissione. Avrebbe tentato di fuggire? Barton ci pensò, ma solo per un istante: non voleva scoprirlo. Non importa quanto sia docile, non si doveva essere tentati di fare uscire dalla gabbia un uccello a cui non sono state tagliate le ali. Los Angeles era piena di pappagalli e parrocchetti che la gente aveva ritenuto addomesticati. «Ecco, lo scarto io.» Prese il grosso dolce e strappò via un po' di carta. Quando glielo rimise in mano, Billy gli diede un grande morso. Mentre mangiava sorrise a Barton. «Posso?» chiese lui. Billy gli passò il dolce e lui ne mangiò un pezzetto, non molto! Notò che nel punto in cui Billy aveva affondato i denti la superficie della cioccolata era lucida di saliva. Prendere in bocca quella parte fu come comunicarsi con Gesù Cristo in persona. Lo fece con venerazione. Fece attenzione a mordere solo con i denti; pensava che Billy si sarebbe offeso se sentiva sul dolce un po' della sua saliva. Il sapore di un Butterfinger, e anche il suo profumo, gli ricordarono così tanto la casa che Billy desiderò più di ogni altra cosa farsi piccolo piccolo e scomparire. Due estati prima, al campeggio, aveva sentito la nostalgia di casa, ma a confronto di ciò che provava in quel momento non era stata niente. Quella era stata una sensazione piena, dolce, resa quasi bella dal tramonto e dal canto dei ragazzi. «Sì, signore, quella è la mia ragazza. No, signore, non volevo dire forse.» E: «Caro vecchio Swanee...» del signor Lockyear, che era tanto divertente da farli quasi morire dal ridere. Il sole tramontava dall'altra parte del Lago Williams e il fuoco del campeggio brillava nell'oscurità recente... avevano cotto dei marshmallow e avevano bevuto succo di insetti che era poi solo Kool-Aid alla ciliegia, e la mamma, il papà e Sally erano dei lontani fantasmi nella sua mente. Nel semplice e familiare sapore del dolce, gustò quello della propria ca-
sa. Voleva che la mamma dicesse: «Non posso soffrire quelle merendine», che Sally si lamentasse perché oltre a mangiare il proprio aveva mangiato anche il suo, quando, poi, il ladro era sempre papà. L'ultima volta che aveva mangiato un Butterfinger era stata la sera in cui era venuto Barton. Aveva lavorato alla canzone dell'uccellino. Billy masticò con grande determinazione. Doveva inghiottirlo e tenerlo dentro. Su, ragazzo, si disse, fagli un grande sorriso! A Billy piaceva, se lo stava gustando proprio volentieri! Barton era un eccellente giudice di caratteri, tutte le mammine lo dicevano dopo uno spettacolo di Zio Strizza. Quel ragazzino stava per essere conquistato, ne era sicuro. Per essere sedotto. Sì, e non era una cosa meravigliosa? A Barton piaceva la pelle morbida, la sognava, ma non avrebbe mai... oh, assolutamente no! No. Chi aveva affermato che nella mente non può esistere crimine? «Ciò che resta dentro è santificato dal silenzio che lo contiene.» Walter Pater? No, troppo moderno per essere suo. Forse R. D. Laing. Sospettava che moltissimi padri, vedendo la risplendente bellezza dei loro figli e degli amici dei loro figli desiderassero ardentemente fare quello che aveva descritto Platone nel suo Convivio. Ma non lo facevano. Ai tempi di Platone un uomo che si accompagnasse con un ragazzo rischiava solo lo sdegno del padre. E con buone ragioni: era un'azione brutta, vile, era assolutamente sbagliata. Perché il povero ragazzo, se ne avesse provato piacere, per tutto il resto della vita non sarebbe mai stato sicuro della propria sessualità. Sarebbe stato maledetto da desideri che non poteva accettare. Il sesso non avrebbe mai preso la direzione giusta. Barton lo sapeva anche troppo bene. È una grande ombra nera e si muove in fretta: è papà! Il suo abbraccio era tanto morbido, tanto insistente... e il suo tocco, il suo tocco... Non è mai successo! Mai! Mai! Era solo leggermente preoccupato di questo, tutto lì. Suo padre era un brav'uomo, così gentile che era la mamma a doverlo punire. «Ceneremo presto?» Barton era lontano mille miglia. «Che cosa?» «Se è così non voglio finire il dolce.» «Ah, sì! I dolci prima di cena sono assolutamente proibiti. Mi ricordo che Timmy...»
«Timmy?» La domanda aveva un suono secco, tagliente. Per un inquietante attimo Barton pensò che Billy potesse sapere qualcosa di Timmy. Ma no, era solo naturale sospetto. Era stato sospettoso anche lui, da bambino. La mamma aveva sempre fatto delle osservazioni al riguardo. «È mio nipote. Quando sta da me aspetta che la cena sia sul fuoco, poi viene in cucina e passa in rassegna il contenuto delle pentole e dei tegami. Se quello che sto preparando non gli piace, va in camera sua e si rimpinza di Kisses della Hershey. Devo praticamente rintracciarlo a fiuto, se voglio liberarmene. Una volta ne ha nascosti persino nel lampadario.» «Sta da te?» «Di tanto in tanto.» «Quanti anni ha?» «Circa la tua età.» Billy continuò a farlo parlare, in parte perché non poteva soffrire l'idea di altri abbracci. Ma c'era anche un'altra ragione. Barton aveva parlato di disfare i bagagli, e lui non voleva affrontare tutti quei ricordi di casa. Non poteva permettere a Barton di vedere quello che in realtà gli passava per la mente. Deliberatamente cancellò dalla mente il pensiero dei bagagli da disfare, concentrandosi su Timothy Weathers. Poteva imparare qualcosa. Osservò Barton per scoprire qualche indizio. Se riusciva a sapere qual era stato il destino di Timmy Weathers probabilmente avrebbe saputo anche che cosa lo aspettava. Col cavolo che Timmy era il nipote di Barton! Quell'uomo era un bugiardo così tremendo, era davvero straordinario. Ma si riusciva a capirlo, per così dire. Ricordò il viso di Timmy Weathers nel sogno. Non era vero che ignorava quello che aveva fatto a Timmy. Lo sapeva perfettamente. Barton doveva davvero organizzarsi. I ragazzi avevano bisogno che i loro padri fossero affidabili, in modo che crescessero fiduciosi e seguissero il loro buon esempio quando diventavano adulti. Doveva andare a prendere le cose di Billy, che erano ancora nell'Aerostar. Non voleva che il ragazzo vedesse di nuovo l'interno del veicolo, ma non voleva nemmeno lasciarlo solo in casa. E neppure chiudere a chiave Billy in camera sua per i tre minuti che gli sarebbero occorsi. Una cosa si-
mile avrebbe implicato una completa mancanza di fiducia. Naturalmente, questa mancanza esisteva effettivamente, ma Barton sperava che fosse solo momentanea. La volontà di fuggire poteva essere infranta. Barton poteva mettere in pratica tutti quei progetti di bella vita che aveva concepito inizialmente. Avrebbe fatto conoscere a Billy tutte le cose migliori, gli avrebbe insegnato letteratura e avrebbe favorito il suo nascente interesse per la buona musica e per le arti. Avrebbe fatto fiorire quella intelligente creatura come mai era successo prima d'allora. E intanto Billy avrebbe gradatamente perso ogni interesse per la fuga. Alla fine sarebbe arrivato ad apprezzare il suo nuovo padre. «Sarò amato», pensò Barton. Che strana idea. Risolse il problema come meglio poté. «Vieni, Billy, dobbiamo andare a prendere la tua roba.» Andarono insieme nel garage. Come si aspettava, quando vide il furgone Billy diventò silenzioso. Barton lo lasciò sulla soglia del garage, accanto alla Celica. Attraversò il pavimento di calcestruzzo, pieno di crepe e di macchie d'olio, e aprì lo sportello laterale. Puzzava di corpi, di escrementi e di paura. Avrebbe dovuto lavarlo presto, cosa scomoda perché poteva farlo solo fuori, nel vialetto d'accesso. Considerava pericoloso fare vedere l'Aerostar troppo presto dopo un colpo. Barton sapeva tutto sui rapporti che vengono fatti dopo un incidente, e lungo il percorso ce ne erano stati uno, forse due. Il primo era stata la faccenda del contrassegno mancante. Poi c'era stato l'incontro di Denver. Quello avrebbe facilmente potuto portare a un rapporto alla polizia, anche se in ritardo. Santo cielo, le urla di Billy avrebbero tenuto sveglio qualsiasi essere umano per notti e notti. Una volta tornate sobrie, quelle persone avrebbero benissimo potuto andare alla polizia. In entrambi i casi, c'erano poche probabilità che una descrizione dell'Aerostar fosse finita negli archivi della polizia, ma non si era mai troppo prudenti. Raccolse il mucchio di indumenti che erano usciti dallo zaino e lo rimise dentro. «Adesso sistemeremo il tuo armadio e il tuo cassettone. Così si potrà proprio dire che hai traslocato.» Billy lo accompagnò come un robot, con i movimenti rigidi e controllati. Non disse una parola. In qualche modo Billy doveva continuare ad andare avanti. Solo vedere
di sfuggita Barton mentre rimetteva i suoi indumenti nello zaino era stato duro. Adesso avrebbe dovuto passarli in rassegna. Papà! Uscirono dal tetro garage a attraversarono la casetta grigia fino alla lugubre camera di Billy. Non si rendeva conto, Barton, di quanto fosse incredibilmente squallido e deprimente quel posto? Forse credeva davvero che fosse una bella casa. Poteva davvero essere così, era tanto suonato. Billy gli rimase al fianco mentre lui lasciava cadere lo zaino sul materasso. Nella stanza c'era un cassettone di legno di pino, che era vuoto, Billy lo sapeva già, oltre all'armadio-cabina con il giubbotto di Timmy. Barton aprì lo sportello dell'armadio. Se anche vide il giubbotto di Timmy sul pavimento, non mostrò nessun interesse. Passarono in rassegna gli indumenti di Billy. «Oh, che carina», osservò Barton mentre estraeva una maglietta da hockey, rossa con le maniche bianche. «Credo che dopotutto ti piaccia essere alla moda.» In viaggio, Barton aveva affermato proprio il contrario. Aveva detto di voler comperare a Billy un guardaroba completamente nuovo. Ma naturalmente era troppo povero. Quindi i suoi abiti erano diventati «alla moda». Barton aveva preso due pullover, tre magliette e l'unica camicia che Billy possedeva. Poi c'erano calzoncini corti e jeans. Anche i calzoncini che indossava e la maglietta di Kafka, ormai sporca. Non c'erano scarpe, e Billy decise che l'aveva fatto apposta. Se avesse cercato di scappare, Barton voleva che fosse il più lento possibile. Fu sorpreso di constatare che aveva provato più forte la nostalgia di casa pensando ai propri indumenti che prendendoli in mano. Li mise a posto, poi si sedette sul materasso. «Preparo la cena», disse Barton. «Sarà proprio buona, penso!» Uscì dalla stanza, chiudendo a chiave la serratura. Billy vide subito che il giubbotto di Timmy era sparito. Una cosa molto strana, dato che le mani di Barton erano vuote, quando se n'era andato. Barton iniziò a preparare un grande pasto. La mamma gli aveva lasciato prendere alcuni pezzi di porcellana Blue Towers e con essi apparecchiò la tavola. Tutti i piatti che gli erano stati dati erano sbeccati, ma un ragazzino non l'avrebbe notato. Quando terminò l'operazione la tavola gli sembrò magnifica: i piatti eleganti, i due bicchieri da vino con il gambo alto, disposti su un bel pezzo di
tela che in realtà era un lenzuolo, ma lo si capiva a stento. Barton tirò fuori il cibo e cominciò a cucinare. Aveva un po' bleffato con Billy, ma probabilmente il ragazzo aveva troppa fame per accorgersene. Tutto poteva essere cotto con il forno a microonde, anche la torta di ciliegie. «Fischia mentre lavori», canterellò. Non conosceva le altre parole, semplicemente continuò a ripetere quella frase, ancora e ancora, in un bisbiglio rapido come i suoi movimenti. «Fischia mentre lavori! Fischia mentre lavori!» La cena stava riuscendo proprio bene. Billy stava esaminando l'armadio-cabina. Doveva pur esserci una spiegazione per la sparizione del giubbotto. Il soffitto era intatto, normalissimo. E poi, Barton non era abbastanza alto per arrivare fin lassù, anche se ci fosse stata una botola che portava in un granaio. Rivolse la propria attenzione al pavimento. I passaggi segreti gli erano sempre piaciuti molto. C'era stato un periodo in cui avrebbe voluto diventare un progettista professionale di passaggi segreti. DOTT. WILLIAM NEARY, PROGETTAZIONE E COSTRUZIONE DI PASSAGGI SEGRETI. Nonostante i suoi magnifici progetti, niente aveva mai potuto indurre papà a realizzare le sue idee nelle case in cui avevano vissuto. «Non ho affatto bisogno di un dispositivo che trasformi il box della doccia in un ascensore.» Quelle erano state le sue ultime parole a proposito del progetto più recente. L'ultima parte del pavimento era inclinata e aveva una striscia di legno nel mezzo, per metterci le scarpe. La striscia serviva a non far scivolare i tacchi. La loro casa del New Jersey aveva una cosa del genere nella camera da letto matrimoniale. Una volta Billy aveva legato un filo a tutte le scarpe della mamma e del papà, l'aveva fatto passare attraverso un forellino nel solaio e, tramite un altro foro, nella propria camera da letto. E una sera, quando i suoi genitori stavano tranquillamente leggendo a letto, aveva tirato il filo e tutte le loro scarpe erano schizzate fuori dell'armadio all'improvviso. Papà aveva formulato delle teorie su quello che aveva chiamato un «microterremoto». Qualche tempo dopo aveva sentito suo padre dire a una festa: «Una notte tutte le nostre scarpe sono balzate fuori dell'armadio». Nel silenzio che a-
veva seguito quell'osservazione, aveva riso nervosamente. «È stato un microterremoto», aveva soggiunto debolmente. Non aveva mai più riparlato della faccenda. Billy batté dei colpi sul pavimento. Vuoto. Spinse in vari punti, cercando di scoprire se cedeva. Poi notò che la linea tra l'asse che teneva ferme le scarpe e quella su cui poggiava era leggermente irregolare. Gli venne un'idea. Certo, quando spinse, l'asse si sollevò facilmente. Ma non trovò un ripostiglio con dentro un giubbotto. Era qualcosa di buio e profondo. Dall'apertura giungeva un puzzo rancido, di grasso. Sbirciò in quella che poteva essere oscurità infinita. È l'inferno, pensò tra sé. 21 Anche al tramonto, all'ovest, il sole picchiava forte. Guidando, Mark l'aveva in pieno viso; era un sole violento come non l'aveva mai conosciuto dalle sue parti. Seguiva le tracce del figlio lungo l'interstatale 15 nella piccola Plymouth che aveva noleggiato a venticinque dollari al giorno, dopo essere sceso all'aeroporto McCarran di Las Vegas. Il suo aereo era atterrato alle sette, con due ore di ritardo. Erano già le otto e un quarto. Stava cercando di arrivare a Estes, da dove Billy aveva telefonato, quasi alle nove di sera. Voleva trovarsi lì alla stessa ora in cui c'era stato suo figlio, camminare, pensare e respirare nello stesso posto. Soprattutto, voleva fare domande alla stessa ora. Senza dubbio non era una tecnica da investigatore professionista, ma gli sembrava sensata. Sapeva di stare inseguendo un'ombra. Billy se n'era già andato, l'ora del giorno non aveva più nessuna importanza. Quando la strada giunse alla sommità di una delle colline che stava attraversando, nello specchio retrovisore vide un mare di luci dietro di lui, che ben presto fu inghiottito dal buio del cielo verso oriente. Era Las Vegas. La situazione di Billy era così tragica che gli sembrava difficile credere che le luci non si fossero oscurate e le risate attenuate. Un bambino stava per essere torturato e ucciso, ma solo una persona ne seguiva le tracce. La strada proseguiva all'infinito, e lui pensò quanto fossero esigue le sue risorse. Aveva il denaro contato. Il volo fino a Las Vegas gli era costato la fantastica somma di quattrocentoottantatré dollari. Se n'era andata la mag-
gior parte dell'assegno del Gruppo di ricerca. Non si poteva andare molto lontano, con duemila dollari. E c'era gente che ne spendeva centinaia di migliaia per le sue ricerche, offriva ricompense di sei cifre, impegnava anni, creava fondazioni, ingaggiava pubblicisti. La Xerox Express di Stevensville aveva tirato i loro cinquecento poster facendogli pagare il solo costo della carta. In viaggio avrebbe mangiato un pasto al giorno e avrebbe dormito nell'auto. Il suo stipendio attuale era di ventiduemila dollari l'anno, e nel bilancio non c'era posto per un lungo permesso. Se non trovava presto Billy avrebbe dovuto sopportare il dolore di trovarsi di fronte a classi piene di ragazzi che lo conoscevano, a parlare della Battaglia di Chickamauga e dello scandalo del Teapot Dome. Difficilmente riusciva a pensare a qualcosa di più straziante. Guidò verso la sua meta spinto dall'unica risorsa che gli restava: amava il figlio con la passione di chi non ha niente da perdere. Quell'uomo pallido e magro, dallo sguardo fisso, non si sarebbe fermato. Continuando a guidare con la camicia e i suoi pantaloni trasandati, con il piccolo schermo di plastica che proteggeva il taschino dalle penne, esaminò attentamente i dati e le possibilità che aveva. Billy era vivo. Poche ore prima si era trovato proprio lì, a guardare quello stesso tramonto a quella stessa ora. Sull'aeroplano, Mark aveva ascoltato il ronzio dei motori, aveva bevuto il caffè che gli avevano dato, aveva mangiato grissini e formaggio mentre leggeva Tecniche di indagine. Si sentiva in sintonia con i metodi suggeriti dal libro. I delitti e le storie erano straordinariamente simili, e così erano anche le tecniche di ricerca. Si doveva essere implacabili e logici. Sia gli avvenimenti storici sia i delitti erano in genere brutali e stupidi, ed entrambi erano mascherati da coperture facili da individuare. All'improvviso si rese conto che stava attraversando una cittadina. Contro l'orizzonte color arancio si ergeva un serbatoio nero per l'acqua, un McDonald's inondava la superstrada di una luce stranamente chiara. A fianco della strada c'erano un paio di stazioni di rifornimento e un grande posto di ristoro per veicoli commerciali, con il parcheggio pieno di camion con rimorchio. Prese nota di tutti quei posti per affiggervi i poster l'indomani. Una volta arrivato a Estes sarebbe dovuto andare subito all'ufficio dello sceriffo, ma a causa dell'ora aveva modificato i suoi progetti e così si di-
resse verso la stazione della Mobil. Il sole era tramontato e la superstrada era diventata un nastro nero che spariva in un orizzonte color porpora. Che Dio aiuti mio figlio. Era ancora a una quindicina di chilometri quando vide la prima debole indicazione della stazione di servizio. Circa in quel punto il rapitore doveva aver lanciato un'occhiata al livello della benzina e aver visto che era quasi a zero. Mentre si avvicinava, la familiare insegna della Mobil divenne più chiara. La stazione formava una larga chiazza di luce nella vasta oscurità del deserto. Quando Mark si fermò, alle pompe c'erano due auto, una Pontiac e una BMW piuttosto vecchiotta con il tettuccio abbassato. Da un lato della stazione c'era una Plymouth Duster marrone, probabilmente il mezzo di trasporto del gestore. Mark vide che era in piedi accanto alla cassa, e stava ricevendo dei soldi da un cliente. Indossava una tuta. Aveva un viso lungo e solenne, e portava un paio di occhiali dalla montatura in alluminio. Era vecchio. Appena più in là c'era una fila di telefoni. Erano un po' discosti e fiocamente illuminati. Con attenzione esagerata Mark fermò l'auto accanto alla Duster. Il gestore sarebbe stato disponibile? Freddo? Come avrebbe fatto a spiegarsi? Che cosa avrebbe detto? Scese e si avviò verso la stazione. C'era un cliente, e Mark era troppo educato per interrompere. Passò quei minuti a esaminare i telefoni. Uno dopo l'altro lesse i numeri sopra i dischi combinatori. Era il terzo dalla fine. Aveva tenuto in mano proprio quel ricevitore, aveva premuto quello zero, aveva parlato in quel microfono. Anche Mark prese in mano la cornetta. Se la portò all'orecchio, ascoltò il segnale di libero. L'apparecchio era coperto da un leggero velo di polvere di grafite in cui si potevano scorgere parecchie impronte digitali. Mark avrebbe voluto mettersi a piangere; la polizia stava ancora lavorando al caso. Fino a quel momento non si era reso conto che recarsi in quel luogo sarebbe stato penoso come visitare una tomba. Riusciva a sentire l'odore e il sapore del figlio, a sentire la sua voce, quasi lo vedeva lì in piedi. Guardò in basso e con grande sgomento vide nella polvere la chiara impronta di un piede nudo. Billy era stato portato via di casa senza scarpe. Mark si chinò. Erano abbastanza piccole per essere le impronte di un ragazzo. Forse stava guardando un segnale lasciato da suo figlio. Si chiese se la polizia avesse notato quelle impronte. Poi pensò: e allora? Sapevano già
che Billy aveva chiamato da quel telefono. Le impronte erano un indizio commovente, niente di più. «Penso che lei sia il padre.» La voce fece trasalire Mark. Sollevò lo sguardo sul viso del gestore e si alzò in piedi. «Sì. Non voglio disturbarla mentre lavora...» «Su, andiamo. Venga alla stazione, le racconterò tutto quello che posso.» Camminando accanto a quell'uomo, Mark provò una sensazione rassicurante. «E lei, ha dei figli?» «Quattro figli e otto nipoti.» «Accidenti.» L'uomo fece una risatina. Entrarono nella stazione. «Per la maggior parte del tempo sto qui seduto a dare il resto. Parlare un po' è una buona cosa, soprattutto se può far bene a qualcuno.» «Prima di tutto lasci che attacchi uno di questi poster.» «Ci penso io, me ne dia tre. Naturalmente non so qual è la politica della società. La sa solo il proprietario, e viene qui solo il martedì. Ma non credo che li toglierà.» Sentendosi enormemente rassicurato, Mark ritornò in auto e prese tre poster. «Me li dia», disse l'uomo. «Ehm, la stessa foto che ha lo sceriffo. L'ho solo intravisto, ma era proprio il suo ragazzo. William Neary. Si chiama William anche lei?» «No, mi scusi, avrei dovuto presentarmi. Mi chiamo Mark Neary.» Il gestore, sulla cui tuta era scritto GEORGE, aprì la malconcia scrivania d'acciaio che sosteneva il registratore di cassa e ne estrasse una grande penna con la punta di feltro. «Credo che questa sia una buona idea, Mark», osservò. Sul poster scrisse: VISTO IN QUESTA STAZIONE MENTRE SALIVA SU UN AEROSTAR DELLA FORD ALLE 20.40 DEL 17 AGOSTO 1989. Sottolineò parecchie volte le prime quattro parole. Poi guardò Mark. «Sono George Yost.» Prese il poster e lo fissò sul vetro con del nastro adesivo. «Vorrà sentire tutta la storia, penso.» «Se può, mi piacerebbe di certo.» «Ho già detto tutto allo sceriffo e alla polizia dello Stato.» «Eppure...» «Non deve dare spiegazioni.» Appoggiò una mano callosa sulla spalla di Mark. L'unica cosa che lui riuscì a fare fu di abbassare gli occhi. I sui sentimenti erano in subbuglio. Il fatto che quell'uomo fosse gentile sembrava
la maggiore benedizione del mondo. «Stavo lubrificando un'auto arrivata quel pomeriggio. Lubrificazione, cambio dell'olio e controllo dei freni.» Fece una pausa, prese una tazza da caffè con la scritta MAXIMUM LEADER e fece un gesto. «No, grazie.» «Lo so, è dannoso allo stomaco. Beh, è il veleno che ho scelto da quando ho smesso di fumare.» Riempì la tazza da una caffettiera posata su un fornellino automatico vicino al bordo della scrivania. «Risalii dal pozzo di lubrificazione e c'era quell'Aerostar bianco. Un buon affare, quel tipo faceva il pieno. Sta dalla parte più lontana e non riesco a vederlo. Diavolo, al furgone do solo un'occhiata. Perché mai guardarlo bene? La polizia di Stato ha portato qui un Aerostar, ha preso delle misure, ha calcolato che quell'uomo non dev'essere più alto di uno e settantacinque. Si sono basati sul fatto che non riuscivo a vedergli la testa oltre il tetto del furgone.» Batté le palpebre, a quanto pareva stupito da quella deduzione. «Poi, all'improvviso, noto il ragazzo. Sta risalendo sul veicolo venendo dai telefoni. Si fa notare, prima di tutto perché è piegato e corre come se fosse spaventato a morte. Secondo, riesco a vedere il davanti della maglietta e mi sembra che sia coperto di sangue.» A quelle parole il mondo indietreggiò fino a diventare un punto luminoso alla fine di una lunga galleria. Per mascherare lo choc Mark allungò una mano verso il caffè. Le mani gli tremavano tanto che dovette concentrarsi su ogni singolo gesto: prendere una tazza, prendere la caffettiera, versare il liquido. «L'ha detto alla polizia?» George annuì. Doveva avere capito che Mark lo sentiva per la prima volta, perché abbassò molto la voce. «Quando i piedipiatti mi hanno detto che lei stava arrivando mi son chiesto come poteva sentirsi. Vorrei solo poterle dire qualcosa di più, riguardo a suo figlio.» Mark bevve il caffè bollente e se ne versò dell'altro. Il suo primo impulso fu quello di saltare in auto e ricominciare l'inseguimento. In un momento di follia contemplò anche l'idea di raggiungere l'Aerostar. «Ho notato anche un'altra cosa. Quando stavano uscendo ho visto che avevano una targa dell'Utah. Di solito non faccio mai attenzione alle targhe, ma con quel ragazzo che correva in quel modo e il sangue... capisce. Ma non mi chieda dei numeri, mi ricordo solo un tre.» Fece un lungo respiro ed espirò lentamente. «Ho cercato di ricordare altri particolari. C'è solo una cosa che mi chiedo. Perché Billy non è entrato qui? Perché non è venuto da me? L'avrei aiutato.»
Mark aveva sentito di bambini conquistati dai loro rapitori o costretti all'obbedienza con il terrore. Ma se fosse stato così, ovviamente non avrebbe telefonato. «Sospetto che il rapitore fosse armato. Se il mio ragazzo fosse venuto da lei in cerca di aiuto, avrebbe rischiato di farla uccidere. Conoscendo Billy, so che non avrebbe corso un rischio simile con la vita di un'altra persona.» «Un ragazzino che la pensa in questo modo?» «Ammetto che potrei attribuirgli delle intuizioni eccessive. Si vuol sempre credere che il proprio ragazzo se la sappia cavare. Ma Billy è molto intelligente.» «Mio figlio più giovane è a Stanford. Borsa di studio completa. Il primo Yost che sia mai andato all'università da molto tempo. C'era andato il mio bisnonno, così dicono.» «Stanford è una buona università.» «Vuole laurearsi in legge. È un buon modo per fare quattrini, di questi tempi. Gli avvocati... Quando si vede una Mercedes o una Jaguar o una grande Lincoln... è probabile che sia la macchina di un avvocato. E se c'è l'autista se ne può essere certi.» «Ha visto l'uomo che ha rapito Billy?» «Intravisto. Ma per un po' di tempo, comunque. Lo riconoscerei dal profilo. Aveva un viso liscio, come smussato. La polizia farà un identikit sabato mattina. Mi porteranno a Las Vegas, per quello. Faranno mettere insieme un profilo da un esperto basandosi sulla mia descrizione, poi useranno un computer per trasformarlo in un'immagine frontale. Una cosa fantastica.» Mark voleva chiedere se quell'uomo gli era sembrato crudele o pazzo, ma non sapeva come formulare la domanda. «Sembrava...» «Normale. Capelli ricci, scuri.» «Come me?» «No. Proprio ricci. Aveva il naso rincagnato, e ricordo che la pelle sembrava davvero liscia. Sembrava anche un po' malaticcio. Naturalmente la gente assomiglia tutta a Dracula, con questi riflettori al sodio che mettono qui.» Mark temette di arrivare infine alla verità. Era così che sembrava... un vampiro? Un mostro? Era il tipo d'uomo che può non solo ferire ma anche uccidere? Per favore, me lo dica. Mi dica perché il mio ragazzo era coperto di sangue! «Era solo un tizio in macchina. Come dico, non l'avrei notato se non fos-
se stato per il sangue sul petto del suo ragazzino.» Walter Toddcaster non aspettava nessuna telefonata. Non lo faceva mai. Quando arrivò, stava leggendo un rapporto su un giovane che quasi certamente spacciava droga dietro lo Studer Theatre. Erano quasi pronti a incastrarlo e a mandarlo in un riformatorio per un paio d'anni. Sollevò la cornetta al secondo squillo. «Sì?» «Detective Toddcaster?» Una voce maschile, giovane, con il caratteristico tono pastorizzato che faceva riconoscere subito un agente. «Sono l'agente Torrence della polizia di Stato. Telefono con riferimento alla sua domanda di incidenti relativi a un Aerostar bianco.» «Sì?» «Lunedì scorso, alle undici e un quarto, ne abbiamo fermato uno sull'intentatale 80, fuori di Neola. Non esibiva il contrassegno di rinnovo e il conducente è stato invitato a mettersi in regola. Il numero era Utah IC32A. Era immatricolata a nome di un residente dell'Utah chiamato Barton Samuel Royal. La città di immatricolazione era Salt Lake City. Abbiamo un indirizzo.» «Cristo.» «Il problema è che è solo un recapito postale. Il conducente aveva una patente della California, che però non è stata annotata nei registri.» «Sono informazioni preziose, agente Torrence.» «Sissignore.» Quando Torrence riattaccò, Walter rimase immobile per qualche momento. Neola era a circa sessantacinque chilometri da Council Bluffs. Lunedì mattina il rapitore di Billy avrebbe potuto essere già così lontano. Forse era proprio un'identificazione buona. Andò nella sala di lettura e tirò fuori un malconcio atlante stradale della Rand McNally. Dopo aver preso delle misure con un righello si rese conto che effettivamente la posizione era coerente, per quanto riguardava i tempi, con l'avvistamento successivo nel Nevada. Walt sollevò la cornetta e chiamò la motorizzazione della California. Volevano la richiesta su carta intestata, ma avrebbero risposto immediatamente se gliela inviava a mezzo fax. Mezz'ora dopo stava leggendo i dati relativi a Barton Royal. Aveva un indirizzo a Sacramento. C'era solo un problema. Secondo la relazione, Royal era morto il 12 ottobre dell'85. Quella carogna era riuscito a tirarsi fuori dagli archivi.
Ci sono dei momenti in cui un uomo desidera uccidere. Walter Toddcaster ne attraversò uno. Estes è una località profondamente rurale: decisamente l'influenza di Las Vegas non si estendeva tanto lontano, a ovest. Mark aveva percorso una settantina di chilometri e si era ritrovato in un posto del tutto diverso. Nel momento in cui aveva lasciato l'interstatale era entrato nel passato dell'America, in un mondo di furgoncini polverosi e di vecchi negozi di alimentari. L'ufficio dello sceriffo era in mattoni marrone. Un edificio sulla strada principale, più nuovo della maggior parte degli altri. UFFICIO DELLO SCERIFFO DELLA CONTEA DI AMON. SOTTOSTAZIONE DI ESTES, annunciava l'insegna. Mark entrò. Sapeva chi doveva incontrare: il vicesceriffo Richards. E l'unica persona presente era proprio lui, un giovane di non più di venticinque anni. Mentre Mark entrava, si alzò dalla sedia. «Sono Mark Neary. Sono appena stato alla stazione della Mobil.» «George è un brav'uomo. Fa il pieno alle auto di questa città da quando riesco a ricordare. Non so perché lo faccia. È proprietario di tre stazioni di servizio. Potrebbe andare in giro in Cadillac, credo.» «Ha detto che era solo il gestore.» «Tipico di George. Le ha detto quello che voleva sapere?» «No, non mi ha detto dove si trova il mio ragazzo.» Ma aveva preso tre poster, ricordò Mark. E in quel momento ne capì la ragione: possedeva tre stazioni. «Quella è la domanda da un milione di dollari. Abbiamo l'idea che quel tizio stesse andando in California. Non è esattamente una deduzione. La 15 è la strada per Los Angeles. Abbiamo inoltrato richieste a tutte le stazioni di rifornimento da qui al confine, e abbiamo chiesto alla polizia di Stato della California di fare lo stesso. Ma sono un'infinità. Comunque lo faranno. Prenderanno con loro la foto di suo figlio.» Stavano dandosi da fare, e sodo. Il guaio erano quelle dannate statistiche. I ragazzi non riescono a cavarsela, nella situazione in cui si trovava Billy. Barton Royal. A Toddcaster sarebbe piaciuto che gli dicesse qualcosa. Guardò la foto della patente, distorta com'era dal fax. Era lo stesso uomo che guidava l'Aerostar? Avrebbe potuto scoprirlo. Avrebbe chiesto alla California di mandarne
una stampa migliore in Nevada, dove avevano quel testimone. Quel tizio doveva fare un identikit sabato mattina, quindi doveva aver dato una bella occhiata a quell'uomo. Poi fece un'altra telefonata, alla squadra investigativa della polizia del Nevada. Mentre parlava con il sottotenente Davis, inviò per fax il rapporto della California. Avrebbero chiamato entrambi Sacramento per ottenere una foto più nitida. Toddcaster sapeva esattamente che cosa avrebbe fatto con la sua: l'avrebbe mostrata agli amici di Billy, poi sarebbe andato in tutti i posti in cui il ragazzo era stato il sabato. Se quel viso era di Barton Royal, e Barton Royal era l'uomo che aveva quella patente, avrebbero avuto una risposta positiva da qualcuno. Pensava che il piccolo Jerry Edwards l'avrebbe identificato. Era molto probabile che l'uomo che aveva giocato con Billy fosse Royal. Morto il 12 ottobre 1985. C'era la possibilità di convincere lo Stato che eri morto, se sapevi quello che stavi facendo. Ci pensò sopra. Dovevi smettere di usare il tuo nome. Eppure Royal aveva mostrato quella patente. Quindi si era fatto passare per morto e adesso aveva un'altra identità. Doveva essersi spaventato a morte, quando era stato fermato dalla polizia dello Iowa. Quindi aveva usato la patente a nome di Royal, sapendo che avrebbe portato a un vicolo cieco. Quell'uomo era furbo. Per molti aspetti, quello peggiorava la situazione. I pazzi, quanto più sono furbi, tanto più sono pericolosi. Parola di Toddcaster. Alle undici di sera il telefono di Mark squillò, svegliandolo da un sonno pesante, dovuto allo sfinimento. Era Toddcaster. «Come ha fatto a trovarmi?» «Sono un detective. Senta, potremmo avere individuato il rapitore. Potrebbe chiamarsi Barton Royal, con una patente della California, che guida un Aerostar con targa dello Utah, che abbiamo pure identificato. Ci sono alcuni dettagli da chiarire. Ma abbiamo una foto. Voglio che lei la veda.» «Devo tornare indietro?» «No, ne ha una copia anche la polizia statale del Nevada. La faremo vedere a tutti i ragazzi che sono stati con Billy quel giorno. La mostreremo nel centro commerciale e al Burger King, e vedremo se possiamo avere successo.»
«E Mary?» «Non gliel'ho ancora detto. Lo tenevo in serbo perché lo facesse lei.» Per risparmiare soldi, Mark e Mary avevano deciso di limitare le comunicazioni tranne che in casi di emergenza. Rispose al primo squillo, con voce tesa. Quando Mark le diede le notizie pianse in silenzio. «Vorrei che ci potessimo abbracciare.» «Anch'io, tesoro.» «Io spero, Mark. È un errore? Ho tanta paura di sì.» Come poteva rispondere? Non c'era nessuna ragione per ricordarle le statistiche. «Non è mai un errore, sperare», rispose. Sembrò debole. Desiderava ardentemente dirle del sangue, ma si costrinse a tacere. Un attimo dopo si salutarono. Era di nuovo solo. Aveva un disperato bisogno di dormire, ma non poteva aspettare l'indomani per vedere la foto. Sarebbe andato subito a Las Vegas. E se avesse davvero visto quell'uomo, e la sua identificazione fosse stata essenziale? Mark ritornò in auto e partì. Avrebbe visto le luci che risplendevano, la città dove tutti si abbandonavano al piacere delle macchinette elettroniche. Ma non lui. Non quell'uomo sfinito nell'auto grigia, che cercava la sede della polizia statale. Gli avevano detto che sarebbe stato facile trovarla: era l'unico edificio senza insegne al neon. 22 Dato che la situazione stava diventando più tranquilla, Billy avrebbe voluto appallottolarsi e sparire. Barton si muoveva in cucina per preparare la cena e Billy, in piedi sulla soglia, lo osservava. Attraversò veloce il piccolo spazio e gli diede una bacio sulla testa. «Che ne diresti di dare una mano, figliolo? Sarà divertente per entrambi, dopotutto.» Billy fece quello che gli fu detto. A casa gli piaceva, aiutare. Aveva imparato a cuocere le bistecche come suo padre, e lui era un esperto. Le uniche cose che gli ripugnavano a casa erano i resti di cibo masticato ai bordi del piatto e gli acquai pieni di acqua sporca. Sebbene fosse leggermente più pulita di prima, tutta la cucina lo disgustava. Almeno il grande recipiente con le molle e i pezzetti di roba che galleggiava era sparito, e i piatti sporchi erano stati messi nella lavastoviglie. «Ti meraviglierai di quello che riesco a fare con lo spezzatino di pollo»,
annunciò Barton estraendo una scatola dal sacchetto della spesa. «Cose incredibili, ragazzo mio.» Billy sperava ancora, per quanto sconsolatamente, che la polizia arrivasse, dopo la sua chiamata alla centralinista. Era stata una cosa difficile, spaventosa. Ma era abbastanza sicuro che non si sarebbe fatto vedere nessuno. Maledizione! Perché nessuno voleva aiutarlo, a ogni modo? I poliziotti erano scemi come quelle persone nell'auto, quando avevano avuto quello scontro. A nessuno importava niente. Disse a Dio che sarebbe andato lietamente all'inferno, pur di non rimanere in quel posto. «Quello che devi fare, carissimo, è prendere questo coltello così e... vedi?» Con un coltello da burro staccò uno dei pezzi di pollo dalla massa congelata. Goffamente, Billy prese il coltello con le mani ammanettate. «Se non fossi un simile artista della fuga non ci sarebbe bisogno di usarle.» Barton parlò con la stessa cantilena allegra e di riprovazione al tempo stesso che usava il suo insegnante di matematica quando la classe era troppo rumorosa. «Scusa.» Mentre era impegnato a separare i pezzi di pollo con il coltello senza taglio, decise che l'unica speranza rimastagli era di telefonare in qualche modo a casa. Poche le probabilità di entrare da solo nella camera da letto di Barton. Questi gli scompigliò i capelli. «Bravissimo», disse prendendo il mucchio di pezzi di pollo. In quel momento era tranquillo, lì insieme a lui, ma il modo in cui aveva sorriso quando aveva tenuto in mano quella corda? A Barton piacevano anche le brutte cose. Come il giubbotto era sparito dal pavimento della cabina, la corda era scomparsa dal tavolino. Ma esistevano entrambi, e Billy sapeva esattamente dov'erano: sotto la casa, nell'oscurità che aveva intravisto quando, nell'armadio, aveva aperto la botola. «Sarà una delizia! Sappilo, Billy, ragazzo mio, quando il tuo papà entra in cucina accadono cose meravigliose!» Chi è quel pazzo che fa una cosa simile con lo spezzatino di pollo congelato? Bastava scaldarlo con il forno a microonde, era scritto sulla scatola. Barton lo mise in un antiquato frullatore con del sedano a pezzetti, una scatola di funghi e una di cipolline. Poi lo accese, per amalgamare il tutto. Gli ingredienti saltavano e borbottavano. Ben presto tutto si ridusse a una
specie di pappetta grigioverde. Che cosa credeva di fare? Barton aprì il frullatore e assaggiò quella incredibile schifezza con un cucchiaio di legno. «Mmm!» «Ha davvero un buon profumino, Barton.» «Vuoi assaggiare?» Billy sollevò le labbra, mostrando i denti. Sembrava un sorriso? Sperava di sì. Cercò di sembrare molto contento: «Preferisco aspettare quando è cotto. Voglio avere una sorpresa!» Barton gli spinse il cucchiaio contro il viso. A Billy occorse una disciplina ferrea per toccare quella roba con le labbra. In realtà non era poi così tremenda. Era un po' insipida. Ma certamente aveva l'aspetto del vomito. «Buono», mormorò. Osservò la schiena di Barton mentre versava il pastone in una casseruola piena di olio d'oliva caldo, facendo un sacco di fumo. Quando il fumo gli avvolse il viso, Barton ridacchiò. Billy pensò che avrebbe fatto meglio a ridere anche lui. Ma la sua risatina riuscì acuta e sgradevole, e Barton si girò a metà con una domanda sul volto. Vedendo il sorriso del ragazzo si rilassò e continuò a cucinare. Billy aveva ancora il coltello in mano. Avrebbe voluto conficcarlo nella schiena di Barton, se non fosse stato da burro. Sarebbe solo riuscito a fare infuriare di nuovo Barton. Anche se non faceva freddo cominciò a tremare. L'aria che gli toccava la pelle aveva un sentore di morte, lo stesso di Barton. Spostandosi qua e là tra il fumo puzzolente della cucina economica, Barton beveva del vino da un enorme bicchiere. Quando gli baciò di nuovo la fronte Billy respirò il suo fiato, che era così pesante da superare perfino l'odore del cibo che si cuoceva. In tutta la vita non aveva mai sentito un odore simile. Avrebbe potuto essere l'esalazione di una tomba. Billy dovette trattenere il fiato per vincere la nausea. La mamma diceva sempre che i denti cariati rendono cattivo l'alito. Ma Barton puzzava come se avesse bevuto dell'acetone per togliere lo smalto dalle unghie. «Sai adoperare la grattugia?» «Certo.» «A casa aiutavi sul serio, vero?» Billy vide un'occasione per compiacerlo. «Ma ci sono, Barton.» Il sorriso di Barton fu così largo da risultare patetico. «Sì», confermò. «Sì, davvero.» Gli tese alcune carote. «Puoi grattugiare queste, per favore, figliolo?»
«Certo.» Avrebbe dovuto aggiungere «papà», ma era troppo, non ci riuscì. Insalata di carote. Sally diceva sempre che i chicchi di uva passa che c'erano dentro sembravano scarafaggi. Con quell'uomo probabilmente lo sarebbero stati davvero. Mentre grattugiava, Billy si chiese come poteva scoprire altre cose su Barton. Se riusciva a telefonare a casa, doveva essere in grado di dire dove si trovava. Non conosceva nemmeno l'indirizzo, tranne il fatto che era a Beverly Hills. E nemmeno di questo era sicuro. Ma era il solo «Hills» che conoscesse a Los Angeles. Non sapeva come fare domande alla gente, in special modo a chi non voleva rispondere. Presumibilmente si faceva come i piedipiatti alla televisione, o come la Gestapo, con una forte luce sul viso. «Qual è il film che preferisci, Barton?» Immediatamente l'uomo si fece immobile. «Cabaret», rispose con voce sospettosa. «Non l'ho visto. Dove hai frequentato l'università?» «Ero uno spirito troppo libero, per quello, temo. Ho passato un anno in Europa. Ho vissuto soprattutto a Roma. Roma mi piace.» «A Roma c'è il Vaticano.» «Abitavo in una piccola pensione dietro il Pantheon. Ci entravo sempre, solo per camminare su quelle pietre, annusare quell'aria, godere di quella magnificenza.» «Conosco il nome di tutti i dodici Cesari. Papà e mamma hanno il Satyricon.» «Mio Dio, mi è piaciuto, il Satyricon!» «In quale traduzione l'hai letto?» «È un film, figliolo. Fantastico!» «Così da Roma sei venuto a Beverly Hills?» «A Hollywood Hills, prego.» Accidenti, era magnifico! Davvero magnifico! Che tecnica eccezionale! Sembrava proprio una cosa da spie, e c'era arrivato da solo. «E adesso mio caro, mangiamo!» Billy cercò di far finta di avere lo stomaco rivestito di ferro. Non funzionò molto bene. Se vomitava, Barton sarebbe diventato furioso. Ma la nausea era aumentata. Sudava per lo sforzo di trattenersi. «Sembri preoccupato. Sei uno schizzinoso? Io avrei voluto esserlo, ma a casa Royal non era assolutamente permesso. Se non mangiavi quello che
c'era nel piatto potevi anche morire di fame! No, stavo scherzando. Se questa roba non ti va vado a prenderti una pizza. C'è una buona pizzeria giù lungo il Sunset, molto carina. Ti piace la pizza?» Quindi erano vicini a una strada che si chiamava Sunset. Annotato. «Posso mangiarlo.» Avere a che fare con Barton era come camminare sul ghiaccio di primavera. Se mantenevi l'equilibrio, bene. Ma se cadevi il ghiaccio si spezzava e tutto finiva. «'Posso mangiarlo.' Questo è quello che chiamo entusiasmo! Che cosa c'è, puzzo di sudore? Quando mi avvicino continui a tirarti indietro. Te ne rendi conto?» Fece un sospiro seccato. «Voglio che ci piacciamo a vicenda. E credo che ci riusciremo. Sì, con il tempo. Adesso siediti e mangiamo. Si chiama pollo in casseruola, è uno dei piatti preferiti dei Royal.» La pastella fritta sembrava una crosta di scabbia gigante e aveva l'odore di una cicca di sigaro. L'insalata di carote era di sole carote e maionese. Barton aveva del tutto dimenticato i chicchi d'uva passa, e la maionese era acida. Da bere c'era qualcosa che si chiamava Valpolicella, un vino in una bottiglia con un cesto intorno. Billy non aveva mai bevuto vino e non desiderava particolarmente cominciare in quel momento. Ma il suo bicchiere, come quello di Barton, era enorme. Dove aveva scovato quelle vasche da bagno, in un negozio di attrezzature per pagliacci? Profondamente infelice, Billy guardò Barton tagliare una fetta della scabbia di pollo e farla scivolare sul suo piatto. Fu seguita da un mucchietto di insalata di carote servito con un cucchiaio dosatore da gelato. Poi arrivò il vino, che si riversò nel bicchiere con rivoltanti gorgoglii. Il pasto continuò. Barton esclamava «Oh» e «Ah» a ogni boccone, chiudendo gli occhi per concentrarsi sull'incredibile squisitezza dei sapori. Billy scoprì che la pastella, una volta in bocca, diventava una poltiglia. Lo metteva sulla lingua, più indietro che poteva, e inghiottiva a fatica ogni boccone. L'unico modo di nasconderne il gusto era con il vino, che aveva il sapore della trementina. Billy decise che avrebbe preferito leccare il pavimento delle latrine al campeggio, piuttosto che mangiare quella roba. Il pensiero di leccare il pavimento di una latrina non aiutò a far diminuire la nausea. Non era bravo come Joey Mox, che riusciva a vomitare con lancio a distanza su semplice richiesta, ma era capace di farsi venire il vomito, se voleva. Solo che non voleva! Doveva smetterla. Niente latrine. Invece pensò a un bel panino al prosciutto con lattuga fresca, maionese e senape, che gli piaceva moltissimo. Ci avrebbe bevuto insieme una Dr
Pepper e poi si sarebbe completamente intontito a guardare Duck Tales alla televisione. Papà e mamma non gli permettevano di vedere tutti i programmi. Loro guardavano Masterpiece Theatre, che era bello per quei pochi momenti in cui non era irrimediabilmente noioso. Qualche volta lui e Sally sgattaiolavano dabbasso, in piena notte, a guardare i film dell'orrore di Dario Argento in Chiller Theatre. Quelli e Fu Manchu. A Sally piacevano molto, i vecchi film di Fu Manchu. Billy preferiva la versione di Peter Sellers, in cui l'agente inglese, dottor Neyland Smith, spingeva sempre un tosaerba. Si mise quasi a piangere al pensiero che Peter Sellers fosse morto. Ma non poteva, non con Barton tanto felice. Immaginò di avere una sbarra di ferro attraverso tutto il corpo, e che questa fosse collegata al punto più forte del mondo. Si soffiò il naso nel tovagliolo per nascondere le lacrime. «Propongo un brindisi!» Barton si alzò. Era nel momento della sua massima gloria, con il viso arrossato, scintillante di sudore. Il sorriso gli andava da un orecchio all'altro, così fisso da sembrare dipinto. Guardò Billy con occhi pieni di desiderio. «Al giovanotto più bello che abbia mai avuto l'onore di conoscere. Alla tua salute, Billy!» Tese il bicchiere. Al ragazzo sembrò che il bicchiere pesasse cinque chili. Con precauzione, in modo che le mani ammanettate non ne versassero neppure una goccia, lo sollevò dal piano del tavolo. Barton toccò i bicchieri. Billy rimase immobile. 23 Walter Toddcaster e Mary erano seduti in cucina. «Questo tipo è un grosso problema, Mary. Sappiamo come si chiama, sappiamo che cosa guida, sappiamo persino che il suo veicolo è immatricolato nello Utah e lui ha una patente della California. Ma non possiamo trovarlo, anche se abbiamo forti sospetti che sia a Los Angeles, proprio per la strada che ha preso.» Walter faceva sempre sospirare quello che aveva da dire. Mary non lo sopportava, ma sapeva che non poteva fare altro che aspettare e sperare che venisse presto al punto. «Per quanto riguarda la California, quella carogna è morto. Ciò significa che vive pubblicamente sotto un altro nome. Quando è in pericolo tira fuo-
ri il suo vero documento di identificazione, che rimanda a un deceduto. È una trovata maledettamente furba.» Distrattamente, lei continuava ad attorcigliare un Kleenex che aveva in mano, finché non lo ridusse a piccoli pezzi. Voleva urlare, gettare oggetti per terra, picchiare. Ma era diventata più saggia, nel modo di esprimere la propria rabbia. «L'ha detto a Mark?» Era dura, che lui fosse fuori a darsi da fare mentre lei era rimasta lì, inattiva. Le notti erano lunghe, i giorni erano lunghi, e lei e Sally si davano sui nervi reciprocamente. La povera ragazza aveva paura che capitasse anche a lei, e in uno strano modo si vergognava di non essere stata rapita al posto di Billy. «Questo mi fa passare alle buone notizie. E sono buone davvero.» «Perché non me le ha dette subito!» «Ma io...» «No, scusi. Mi perdoni. Ho i nervi a fior di pelle.» Estrasse un pezzo di carta dalla borsa portadocumenti. «Questo è l'uomo che ha rapito Billy.» Mary prese in mano la fotografia. Davanti a lei c'era un uomo grasso e tozzo, con gli occhi distanti l'uno dall'altro e le labbra spesse e sensuali. Il naso era largo, le sopracciglia poco marcate e curvate in modo tale che gli occhi sembravano ricambiare lo sguardo con stupefacente innocenza. Non aveva l'espressione di un adulto. Barton Royal sembrava un ragazzino triste a cui fossero venute delle rughe. «L'identikit fatto dal testimone del Nevada si adatta moltissimo a questa foto. E anche quello dell'agente della polizia stradale che l'ha fermato fuori da Neola.» «Ma ecco la cosa più interessante.» Fece scivolare un foglio di acetato sopra la foto e all'improvviso sul volto di Barton Royal apparve un paio di occhiali scuri. «Jerry Edwards dice che questo è sicuramente il tizio che ha giocato con Billy.» «Questo vuole dire... che Billy conosceva...» «Era solo un tizio nella sala giochi. Billy non ha dato nessun segno di conoscerlo.» «Ma hanno giocato... perché?» «Quel tizio ha chiesto a Billy di fare una partita.» Lei guardò la foto, cercando di immaginare suo figlio con quell'uomo. Lo pensò mentre inseguiva furtivamente Billy, mentre attraversava quelle stesse stanze, quella notte, mentre stava nel soggiorno. Quell'uomo, con le
sue labbra sensuali e i suoi grandi occhi da bambino, era stato lì. Aveva portato Billy fuori di casa tra le sue braccia. «Barton Royal, età quarantaquattro anni.» «Possiamo avere questa foto?» Walter gliel'allungò. «È sua. La useremo anche noi. L'FBI ha messo Royal nel suo elenco dei ricercati, e questo cambia tutto. Adesso che hanno un nome, un'identità, le cose si faranno molto più difficili per il nostro uomo. Questo poster sarà affisso su tutti i tabelloni dei ricercati in ogni angolo degli Stati Uniti. Metteremo anche la foto di Billy.» Il suo cuore fu invaso dalla speranza, seguita subito da una grande impazienza. Era diventata così fragile, emotivamente, che qualsiasi notizia, buona o cattiva che fosse, la faceva piangere. Cercando di riprendere il controllo, si guardò in grembo, si lisciò il vestito. Desiderava mostrare solo la parte esterna di sé, quella parte calma ed efficiente che le piaceva e in cui aveva fiducia. La Mary Neary che aveva scoperto nel suo intimo, troppo instabile ed emotiva, non era affidabile. «Che cosa posso fare? È veramente brutto, stare qui senza fare niente, Walter.» «Credo che potrebbe fare un altro tentativo con i media. Se abbiamo un po' di fortuna prenderemo quell'uomo. Non ci si può nascondere per sempre dietro un documento di identità falso. Da qualche parte ha lasciato una traccia. La troveremo. Sarebbe molto utile se potesse fare un'altra apparizione in televisione.» Era una di quelle decisioni che la svegliavano completamente nel cuore della notte. «E se Barton Royal vede la sua faccia in televisione?» Walter sollevò le sopracciglia. «Può far del male a Billy...» «La pubblicità...» «Se si rende conto di avere dei problemi... non vedo come Billy possa sopravvivere a una cosa simile!» Toddcaster non rispose. «Non ha una risposta.» «No. Ovviamente è una possibilità.» «Comunque, anche se volessimo fare pubblicità... In una città grande come Los Angeles non arriveremmo alla televisione. Non ci darebbero neanche dieci secondi. Arriveremo a Des Moines. Ma non servirà a niente. La gente ti porta quei maledetti piatti pronti e poi toglie la sintonizzazione. Non gliene importa niente, Walter.»
«A noi sì.» «Alla polizia importa solo da un punto di vista professionale.» «Voglio risolvere il caso. Ma voglio anche aiutare quel ragazzino, Mary, e lei lo sa! Vi sono dei poliziotti che si stanno facendo in quattro, per questo caso. Mi creda!» Era vero che alla gente importava. Jim McLean era stato un angelo. Tutto il consiglio di direzione della scuola aveva dato una mano, il capo della polizia, gli insegnanti, i ragazzi, i genitori, i vicini. Sapeva che doveva solo fare un paio di telefonate e il nuovo poster con la faccia di Barton Royal sarebbe stato esposto nelle vetrine dei negozi da lì a Des Moines prima di domani a mezzogiorno. «L'istinto mi dice di dargli la caccia. Siamo al verde, ma potrei arrivare a Los Angeles con la carta di credito.» «È un impulso seguito da un sacco di genitori. Potrebbe anche avere fortuna.» Di nuovo sentì l'impeto selvaggio della speranza, poi la familiare sensazione di impotenza, di sconfitta, che seguiva. Scosse la testa, cercando letteralmente di scrollarsi di dosso le catene che la legavano alla sua sofferenza. «Il fatto è che se non lo trovano mi sentirò così per il resto della vita.» Lui tese un braccio verso di lei con quel gesto familiare che non veniva mai completato. Ma quella volta fu diverso, perché lei gli prese la mano. «Fa sempre questo gesto. Tende una mano verso di me, poi si ferma.» La guardò gravemente. Se nella sua espressione ci fosse stato un significato sessuale lei si sarebbe ritratta. Goffamente, perché stava seduta appoggiata contro lo schienale della sedia, si chinò verso di lui. Si alzarono compiti, come se le avesse chiesto di ballare. Poi lui l'abbracciò. Sotto il vestito Walter Toddcaster era solido e rigido. Non era grasso, ma forte. Sentì la rivoltella infilata nella fondina. Odorava di sigari e di Paco Rabanne. Era tanto stanca, tanto spaventata. Non era una persona che si lasciava andare nell'intimità, se non con Mark. Ma lui era molto lontano e Walter possedeva la burbera dolcezza di un padre. Si piegò in avanti e gli appoggiò una guancia sulla spalla. Lui restò immobile. Poi cominciò ad accarezzarle i capelli con gesti rapidi e nervosi. Rimasero in silenzio. È come in tempo di guerra, pensò Mary, quando la gente smette di credere al proprio futuro. «Va tutto bene», disse Walter. «Andrà tutto bene.»
Lei sollevò la testa. Era sconvolgente rendersi conto quanto poco le ci sarebbe voluto per finire a letto con quell'uomo. Nei sedici anni del suo matrimonio non aveva toccato nessuno, eccetto Mark. Sottili incrinature come quelle erano più distruttive dei molti e non documentati effetti collaterali della violenza. Si allontanò da lui. «Mary», disse lui con voce bassa e roca. Conosceva bene quel tono: era la voce del desiderio. «Walt... mi dispiace.» Lui annuì, come per dire che capiva. Abbassò la testa, strinse le labbra e un'espressione distaccata sostituì la dolcezza che gli aveva riempito gli occhi. Lei vide la verità della sua vita: un matrimonio sterile e vecchio, da lungo tempo consumato, due persone come fantasmi l'una nella vita dell'altra. Le vittime erano la famiglia di Walt, i bambini rapiti i suoi figli. Quando soffriva per loro soffriva in realtà anche per se stesso e quando cercava di salvarli era in realtà l'anima di Walter Toddcaster che cercava di salvare. «Vado a Des Moines a prendere qualcuno dei poster ufficiali», annunciò. «Saranno pronti a mezzogiorno, e li porto subito qui. Cominceremo a darli alle scuole, all'YMCA, a posti del genere.» «Io telefonerò al comitato per i poster di padre Turpin e a Jim McLean. Cominceremo a distribuirli appena ce li porta.» All'improvviso e senza aggiungere una parola l'uomo uscì di casa. La porta di cucina sbatté alle sue spalle. Mary sobbalzò. Non era stato il rumore a farla trasalire. Non poteva sopportare di restare sola. Era come se fosse legata alla sedia, alla cucina e al suo silenzio. Quella mattina aveva seguito una scia di cattivo odore sino al contenitore dei biscotti. Era pieno di Oreos ammuffiti. Pulirlo le aveva fatto ricordare il vecchio rito del lavaggio del corpo. Ho un sacco di cose da fare, si disse. Prima di tutto avrebbe avvisato Jim McLean, poi avrebbe telefonato a Sally, le avrebbe detto di tornare: era a casa della sua amica Donna. Cominciava a trascorrere l'intera giornata in quella casa scura, con l'aria condizionata, le tende color porpora e il televisore con lo schermo gigante. Distese sul divano color crema degli Antonio, Sally e Donna guardavano telenovele e telefilm. Mangiavano Twinkies e bevevano Coca, e qualche volta, aveva detto Donna, Sally si metteva a piangere. Da quando Mark era partito, Sally era diventata silenziosa. Il suo sogno che la famiglia si trasformasse in una squadra di investigatori era stata la
speranza che l'aveva sostenuta. Ma le squadre costano denaro. La soluzione di Sally era stata anestetizzarsi la mente. A Mary non piaceva affatto, ma non poteva certo biasimare la figlia. Di nuovo considerò l'idea di seguire Mark, e al diavolo i soldi. Oltre a quel po' di contanti che avevano ancora, era rimasto loro un po' di credito sulla MasterCard. Forse altri mille dollari. Non voleva pensarci. Temeva di dover partire e di non poterselo permettere. Che cosa avrebbe fatto, in quel caso? Avrebbe chiesto l'elemosina? Certo che l'avrebbe fatto. Avrebbe telefonato a padre Turpin, gli avrebbe chiesto altri soldi. Avrebbe chiesto un prestito a qualcuna delle famiglie più ricche, come gli Edwards. Chiamò Jim, che voleva vedere subito la foto. Poteva farla pubblicare sul giornale locale, forse anche sul Register di Des Moines. Poi telefonò a Sally. Tutte le volte che la figlia si allontanava, Mary diventava inquieta. Il telefono squillò una volta, poi un'altra. Al terzo squillo le sudavano le mani. Al quarto le si strinse la gola. Quando risposero chiuse gli occhi e tirò un sospiro. «Sono Mary.» «Un istante.» Sally venne all'apparecchio. «Sai che sono quasi le undici? Perché non vieni a casa?» «Scusa, mamma.» «Sally, abbiamo avuto un colpo di fortuna. Sappiamo che faccia ha Barton Royal.» «Lo prenderemo?» «Sally...» Dovette interrompersi. Fu colta da una crisi di pianto. Da quando Mark era partito le crisi arrivavano in quel modo, bruscamente e senza preavviso. «Mamma?» Riuscì a mormorare con voce rauca: «Vieni a casa». Quando restava sola aveva preso l'abitudine di andare in camera di Billy. Quella stessa sera, qualche ora prima, aveva abbracciato il suo cuscino, aveva respirato l'odore delle sue lenzuola, che si stava affievolendo. Aveva pianto finché la gola non aveva cominciato a chiudersi e aveva avuto paura di soffocare. Aveva udito dei mormorii nel corridoio, dei passi smorzati. Per un po' di tempo aveva avuto paura di uscire dalla stanza. La notte prima Billy l'aveva chiamata. Aveva sentito la sua voce tanto chiaramente che si era svegliata. Anche allora era andata nella sua camera. La notte l'aveva fatta sembrare un luogo in un certo senso pericoloso, co-
me se vi fosse stata in attesa l'ombra di Barton Royal. Fuori, sul filo, un uccellino cantava. Si era appoggiata sul davanzale della finestra della camera di Billy e l'aveva ascoltato per un pezzo. In quel momento prese in mano la foto di Barton Royal. «Barton», disse. Ripeté più volte il nome per udirne il suono. «Barton Barton Barton.» Se avesse potuto, avrebbe preso quell'uomo. Se lo prendeva l'avrebbe ammazzato. Aveva creduto che i crimini fossero una malattia psicosociale, il male un concetto medievale inventato per impaurire i servi della gleba e costringerli all'obbedienza. Ma la vita si stava dimostrando più misteriosa, imprevedibile e oscura delle sue convinzioni. Il male aveva certamente calpestato i pavimenti della sua casa. E Barton Royal era anche un uomo malato, molto malato. «Ti ucciderò, Barton Royal», disse fissando la foto. Poi rise. Per Mary Neary quel genere di risata, così tetro, così amaro, era una cosa completamente nuova. Sapeva poco del dolore, tranne che aveva sempre un'origine concreta: la perdita di qualcuno. Come se ne dipendesse della vita corse nella stanza del figlio. Una volta giuntavi non fece altro che rimanere sulla soglia, immobile come una falena a riposo. Come poteva farle tanto male? Non conosceva nessun'altra cosa che facesse soffrire altrettanto. Alla finestra dove la sera prima aveva ascoltato quell'uccellino cominciava ad apparire la luce della luna. Doveva essere quello che Billy cercava con tutte le sue forze di imitare. Pensa un po', voler parlare con un uccellino! Riusciva quasi a sentire la sua voce che cantava nel vento, a vederlo in lontananza. Dove suo figlio si trovava adesso era buio, ma lei sapeva che stava ballando. «Billy», disse, e quel nome le sfiorò le labbra come un balsamo. Una voce emise un grido lungo e profondo, e poi scese il silenzio. Quel suono avrebbe potuto spezzarle il cuore, sembrava quello di un bambino in pericolo. Ma, invece, lo sapeva, era solo un bambino ai primi passi che inseguiva le lucciole, un bambino rimasto alzato troppo a lungo! Da qualche parte Billy stava ballando. Si immaginò una sala da ballo piena di uomini dipinti in compagnia dei ragazzini loro prigionieri. Poi arrivò l'uccellino, e si mise a cantare mentre la luna sorgeva. Come fosse ipnotizzata, fu attirata ancora dalla sua voce. Era solo una cosuccia su un filo, ma il suo canto era così libero, così incosciente. In esso c'era parte di Billy. Ma c'era qualcosa di più profondo della libertà, dell'impetuosità. Lo sen-
tiva. Sì. Poi quella sensazione era sparita di nuovo. Era così misteriosa, come se il suo stesso dolore si fosse segretamente impossessato del cuore dell'uccellino. Oppure no, non era dolore. Nella canzone dell'uccellino percepì qualcosa di più primordiale: incastonato come in un suono d'ambra c'era il primo urlo selvaggio della bestia feroce. Era a quel suono che ballava il fantasma di suo figlio. 24 Sulle prime Billy non capì quello che stava succedendo a Barton. Si era alzato da tavola ed era andato in soggiorno, portando con sé il bicchiere e la bottiglia di vino. «Che musica ti piace?» chiese. «La mia collezione è eclettica.» Aveva una voce acuta e strana. Metteva sempre più paura, quel posto. Non perché Barton si stesse arrabbiando di nuovo. Al contrario, era troppo amichevole. Per una volta non sembrava che fosse sempre sul punto di infuriarsi. Billy lo osservò mentre frugava in un mucchio di vecchi dischi. «Penso che ti piaccia il rock.» «Certo.» «Io lo disprezzo. È spregevole. Che cos'altro?» Billy sapeva che un buon modo per riuscire simpatico alle persone era lasciare che facessero a modo loro. «Mi piacciono tutti i generi. Decidi tu.» «Ho la colonna sonora di Cabaret. Ho la divina Kiri che canta le Canzoni dell'Alvernia. Ho la colonna sonora del Detective cantante. L'hai visto alla televisione?» Se lo ricordava, uno special della televisione di Stato su uno scrittore la cui pelle si squamava tutta, abbastanza carino. «I miei non ce la lasciano guardare molto.» «Beh, la colonna sonora è meravigliosa.» Finì il vino e mise su un disco. Billy fu affascinato dall'antico apparecchio ad alta fedeltà. Sembrava come quelli che si vedevano nei vecchi film in bianco e nero, enorme e di legno, con un marchio della RCA in mezzo all'altoparlante. Ne aveva solo uno, molto grande, quindi non era nemmeno uno stereo. Barton doveva essere peggio che povero, doveva essere sul punto di diventare uno straccione. Il disco iniziò a girare e da un mare di fruscii si levarono le stridule note di un motivo di tanti anni prima, quel genere popolare in voga quando ballare significava abbracciarsi e scivolare sul pavimento.
Si udirono le parole della canzone: Ferisci sempre chi ami. Barton lo invitò: «Non fare il timido, vieni qui con me». Si versò dell'altro vino. Mentre Billy gli si avvicinava sputò fuori una parola: «Balla!» Billy non aveva idea di che cosa dovesse fare. Non aveva quasi mai ballato in vita sua. Sapeva che nei balli di quei tempi c'erano dei passi speciali, ma com'erano? Rimase immobile. Barton incrociò le braccia e gli lanciò un'occhiata. «Non sai ballare?» «Non so come fare.» «Fox-trot, rumba, swing, jitterbug. Ti dicono qualcosa, queste parole?» Billy scosse la testa. Ferisci sempre chi ami, gorgheggiò il cantante, chi non dovresti affatto ferire... «Bene», fece Barton. Billy vide apparire qualcosa nella sua mano, poi all'improvviso si trovò libero dalle manette. Velocemente com'era apparsa, la chiave ritornò nella sua tasca. Cogli sempre la rosa più dolce, e schiacciala finché i petali cadono... «Ti insegnerò», disse Barton, ma non allegramente. Conteneva una minaccia, beffarda e dura. Attirò a sé Billy con forza. «Prima di tutto ti insegnerò il fox-trot, è il più facile.» Stare vicino a Barton faceva venire davvero la pelle d'oca. «Vieni e saltella mentre vai, sulla punta dei piedi, leggera come sai. La conosci?» «No.» Barton cinse con il braccio la vita di Billy. «Adesso metti la mano destra sulla mia spalla. No, non afferrarla, non stai annegando. Leggera, delicata. Ecco. Meglio, a ogni modo. È Milton, tra parentesi. Hai letto Milton, vero?» Billy stava cercando di non piangere, ma era difficile. Era una cosa odiosa, quella che Barton stava facendogli fare. Tuttavia, rimase in piedi con la mano appoggiata alla spalla di Barton. Se si metteva a piangere poteva finire tutto. Non poteva lasciare che Barton si accorgesse di quanto si sentiva male. «Milton... sicuro che l'hai letto. Sei così dannatamente colto!» Di nuovo quel tono, come nel camper. Niente più amicizia. Barton stava diventando come quando aveva rotto il volante. Solo che in quel momento Billy stava appoggiato contro la sua camicia e il disco girava e Barton aveva bevuto. Fece volteggiare Billy per aria, accentuando la stretta alla vita. Billy
chiuse gli occhi e si lasciò andare. «Se ti ho spezzato il cuore ieri sera», cantò Barton, «è perché ti amo sopra ogni cosa...» Cantava con voce sottile. Sembrava un ragazzo più giovane di Billy, o una donna. Billy finse di trovarsi nella sua stanza. Era notte, il vento dell'estate gonfiava le tende di fronte al letto e lui guardava la luna. Volteggiarono per la stanza, e vide roteare porte e finestre, e un mare di luci al di là della porta sul retro. La canzone finì, ma Barton rallentò solamente. Si appoggiava pesantemente sulle spalle di Billy, gravandogli sopra così tanto che gli sembrò di essere sul punto di crollare. «Adesso uniamo le sinistre, intrecciamo le dita, sì, così. È così che si fa quando si balla sul serio.» Tiro avanti molto bene senza di te, attaccò la nuova canzone. Barton continuava a scivolare e a muoversi di fianco. Certo, tranne quando cade leggera la pioggia... Barton si era piegato in avanti e aveva seppellito il viso tra i capelli di Billy. Poi il ragazzo lo udì piangere e all'improvviso non riuscì più a trattenersi e si mise a piangere anche lui. ...ma non dovrei mai pensare alla primavera, perché di certo mi si spezzerebbe il cuore. Per le lacrime, Barton perdette gradatamente il ritmo del ballo. Billy sopportava meglio che poteva il peso dell'uomo che gli gravava addosso. Si agitavano soltanto, ignorando la musica. Mi preoccupo quando arriva l'uomo del ghiaccio... mi preoccupo se le cascate del Niagara... «Sono furioso per le tue piccole bugie...» cantò Barton all'unisono con il disco, la voce ridotta a un sussurro piagnucoloso. La sua mano in quella di Billy era fredda come il ghiaccio e completamente bagnata. L'altra mano era come un artiglio attorno alla sua vita, con ogni dito premuto con forza contro la pelle. Continuarono a volteggiare, ballando lentamente, con Barton che faceva dei passi che accennavano un rettangolo e Billy che lo seguiva incespicando con i piedi nudi e rovinati, cercando di non trovarsi sul percorso delle scarpe dell'uomo. Barton gli baciava i capelli. La sensazione delle labbra che gli solleticavano il cuoio capelluto era quasi insopportabile. Poi sentì qualcos'altro, qualcosa di umido che premeva. Quando si rese conto che era la lingua di Barton involontariamente gridò e si ritrasse. Barton spalancò le braccia, come se il corpo di Billy fosse diventato im-
provvisamente orribile da abbracciare. «'Quindi non chiedere mai per chi suona la campana; essa suona anche per te', Billy! L'autore, presto!» «Hemingway!» «E pensavo che tu fossi tanto dannatamente colto! L'autore è John Donne. Hemingway ha usato la frase come titolo.» Si buttò sul divano, allargando le braccia e appoggiandole sullo schienale. Poi diede qualche colpetto al posto accanto a sé. «Vieni qui.» Mise un braccio sulle spalle di Billy e si massaggiò distrattamente il torace. «Hai mai pensato alla morte?» La sua voce aveva un tono molto gentile. «No. Beh, quasi mai.» «'Mai, mai, mai, pronunciare la grande, grande "M". Beh, quasi mai'. È in HMS Pinafore. Conosci Gilbert e Sullivan?» «Non ne sono certo.» «Beh, non importa. Fammi vedere il palmo della mano.» Billy tese la mano piatta e diritta come avrebbe potuto fare un soldato. «No, via, rilassati. In questo modo non posso vedere le linee.» Prese la mano di Billy. Ho dimenticato che sentivi quello che avrei dovuto sentire io, cantava il disco, naturalmente l'ho dimenticato... Barton percorse la linea della mano di Billy con un grosso dito. «Una volta sono stato ragazzo anch'io. Mi chiamavano 'Royal il ciccione'. Non l'ho mai detto ad anima viva. Oh, guarda, questa è la linea della vita. Conosci la chiromanzia?» «No. Non ci credo.» «Okay, okay, facciamo a modo mio. Okay? La linea della vita è questa. La vedi?» Billy si guardò il palmo. «Tirerò avanti benissimo senza di te», cantò Barton insieme al disco. Billy desiderava essere a casa, anima e corpo. Poteva sentire l'odore della colazione sul fuoco, poteva vedere la luce del mattino che filtrava dalla porta della sua camera, poteva udire Sally che cantava mentre faceva la doccia. «Mio caro bambino, hai la linea della vita mooolto corta!» Barton bevve un altro lungo sorso di vino, riempì il bicchiere con quello che rimaneva della seconda bottiglia. «Beh, i buoni muoiono giovani, credo.» Sollevò le sopracciglia. «Lascia che ti faccia una domanda. Sei mai stato frustato?» «Non lo so.»
Barton ridacchiò. «Mi hai mentito. Tuo padre non ha mai frustato nessuno. Lascia che te lo dica, il primo paio di colpi credi che riuscirai a sopportarli. Sei il tipo forte, che tace. Poi il terzo, forse il quarto, emetti un suono, non ne puoi fare a meno. Ma allora senti tanto male che pensi che non possa essere peggio.» Fece una pausa. Mentre parlava si mangiava le parole, sembrava quasi che soffocasse. «Hai mai desiderato uccidere qualcuno?» «No.» «Sei un bugiardo! Vorresti uccidere me!» «No, Barton! Mi piaci! Davvero!» «Questo non è un gioco, stupido. È tutto vero. Capito?» Billy era troppo spaventato per parlare. Barton gli rovesciò la mano. «Vedo delle vene.» Seguì il tracciato dell'ombra azzurrina sul dorso della mano di Billy. «Ti sei mai chiesto come siamo dentro, per esempio dentro la mano?» Billy annuì. «Sì, me lo sono chiesto.» Una volta aveva passato un brutto guaio per avere trafficato con una rana viva. «Il ventre è protetto prima da uno strato di pelle, poi dal grasso, quindi ci sono dei muscoli che assomigliano alla carne di manzo essiccata al sole, ma rosa chiaro. Sotto ci sono i visceri, che sono duri e filamentosi quando si strappano via. Poi ci sono gli organi. Ti sei mai chiesto che cosa si prova a guardare dentro un corpo vivo? Che cosa si sente a toccare un cuore mentre batte ancora?» «No, mai.» «Ma a scuola studi Scienze naturali, vero?» «Abbiamo dissezionato dei gamberetti», rispose Billy con aria infelice. «Dei gamberetti, davvero! Quelli si dissezionano a tavola. Il bello di Los Angeles è che praticamente è sempre primavera. Quindi puoi sempre fare un barbecue. Ma la legge è severa. Niente inquinamento! L'aria qui è terribile. Hai mai fatto una grigliata di gamberetti?» «Sì. Mio padre fa i gamberetti Wilder. Gli piace cuocere alla griglia.» «Oh, i gamberetti Wilder. È un piatto molto raffinato. La salsa è verde, mi ricordo.» «Sì.» «Ti piace, se tengo la tua mano?» «Non me ne importa.» Rise in silenzio, gettando indietro la testa. «Te ne importa, invece.» Poi si portò alla bocca la mano aperta di Billy e la leccò con la sua grossa lingua. «E così ti piace?»
Billy cominciò a tremare di nuovo. Il cuore gli batteva tanto forte che non riusciva quasi a udire. «Non me ne importa», balbettò ancora una volta. Barton si fermò. «Ti faccio schifo, vero?» «Non è vero, Barton. Sul serio, va tutto bene.» «No, non va bene.» Attirò Billy più vicino. «Metti la testa sulla mia spalla. Così.» Era come faceva la mamma, specialmente quando era molto triste. Le piaceva appoggiare la testa sulla spalla di papà. Barton stava diventando sempre più teso, inquieto. I suoi muscoli erano come induriti e un profondo tremito, che diventava più forte di momento in momento, lo scuoteva. «Dobbiamo morire tutti», disse. «'Dopo la prima morte non ce n'è un'altra.' Lo conosci, questo verso?» «No.» «'Rifiuto di piangere la morte per fuoco di un bambino a Londra.' Conosci Dylan Thomas?» «'Mai, finché l'umanità farà sì che uccelli, animali e fiori...' Conosco questo.» «Beh, conosci un po' Dylan Thomas. La morte di un bambino per fuoco... è un pensiero terribilmente triste. Quando la morte è rapida è meglio. Ma di solito è una faccenda lenta. Il corpo resiste. Ogni cosa viva vuole continuare a vivere. Nella nostra società abbiamo un'idea molto morbosa della morte. Uno scrittore che si chiama Henry James l'ha chiamata 'la cosa raffinata'. Credo che sia un'espressione molto bella: 'La cosa raffinata'.» Billy desiderava che Barton smettesse di parlare della morte, ma lui continuò. La sua voce si fece calda, come se ricordasse cose di tempi passati da un pezzo. «Credo che la morte peggiore sia quando si dice in dettaglio a uno come lo si ucciderà, e poi tutto viene eseguito davvero.» Stirò le gambe, si agitò sul divano, sospirò. «Quella è la peggiore, davvero. Non ce n'è una più brutta.» Billy era distrutto. Ormai sapeva che non c'era speranza e che non ce n'era mai stata. Era lì per uno scopo, e uno scopo ben preciso: essere ucciso. Gli sembrò che gli scoppiasse il petto e un grande gemito di dolore gli salì fino alla gola e vi rimase bloccato. «Andrò da Gesù», sussurrò. Era così strano, così misterioso! In quel momento Barton sembrava una vera forza della natura. «Su,
piangi, mio caro. È meglio fare un bel pianto quando si capisce per la prima volta. Poi ci si rassegna e diventa come un progetto che facciamo insieme.» Billy lo guardò inorridito e stupito. Aveva sentito giusto? Gli occhi di Barton scintillavano. Bevve un lungo sorso direttamente dalla bottiglia. Il bicchiere era sul pavimento. «Barton, per favore lascia che diventi tuo figlio.» «Era un gioco, Billy. Il gioco è finito.» «Sono un bravo ragazzo, papà!» «No, quel gioco è finito», continuò la sua voce. «Ci sono nuove regole.» In quel momento sembrava più serio. «Credo che devi prenderla con filosofia. Succederà, Billy. Non volevo. Quando ti ho portato volevo che diventassi un vero figlio, per me. Pensavo che avrebbe funzionato.» «È ancora possibile, Barton, davvero. Davvero!» «Ma non sei altro che un fottuto piccolo attore!» «Non è vero. Non è vero!» «Un attore e un bugiardo!» Billy balzò in piedi e corse direttamente verso la grande porta a vetri che dava sul cortile posteriore. Al di là c'era il canyon, e oltre il canyon, Los Angeles. Se fosse riuscito a scendere giù dalla collina sarebbe stato al sicuro, sarebbe stato libero! Spalancò la porta. Barton, per il troppo vino, non fu abbastanza rapido per fermare il bambino disperato, che si era messo a correre. Ma non si sforzò neanche di farlo. Se Billy avesse visto il lieve sorriso che aveva sul volto non avrebbe corso tanto velocemente, o non sarebbe stato così pieno di speranza. Ma tutto quello che sapeva era che era libero. Libero! Poteva usare le mani, e aveva le luci della città per guidarlo. Alla fine del cortile urtò contro una siepe, ma era bassa e lo fermò solo per un attimo. Scavalcò facilmente alcuni tronchi secchi e saltò nel terreno più incolto al di là. I piedi gli facevano ancora male, ed erano troppo sensibili per permettergli di correre davvero forte sui mucchi di sassi che formavano il fondo del canyon. «Gesù, aiutami», sussurrò. «Gesù, aiutami», una ansimante litania. Continuò a correre, emettendo piccole grida di dolore a causa dei sassi aguzzi. Dopo quello che gli sembrò un lungo tempo, si fermò e si voltò. Poteva vedere l'interno della casa. Il soggiorno era vuoto, ma nessuna torcia elettrica ballonzolava al suo inseguimento.
Sassi o no volò giù per il canyon. Il terreno si fece più ripido. Scese verso le luci. Udiva già delle auto, il grande sussurro della città. Un elicottero ronzava nel cielo notturno. Correndo, Billy faceva dei segnali: non si sa mai, avrebbe potuto vederlo. Poi, all'improvviso, il terreno si fece piatto e liscio. Lo toccò con la mano: era caldo e duro. Una strada, era arrivato a una strada! «Grazie, Gesù!» esclamò. «Grazie, Gesù!» Si mise a trotterellare, scendendo con facilità la collina. Poi davanti a sé vide i fari di un'auto. Brillavano nell'oscurità, si attenuavano, risplendevano di nuovo, più forte, mentre il veicolo faceva una curva e poi un'altra. Era finita. Aveva vinto, era salvo. Gli vennero le lacrime agli occhi. Mentre l'auto compiva l'ultima curva le ricacciò indietro. Per essere sicuro che si fermasse, si mise in mezzo alla strada e agitò entrambe le braccia. L'auto si fermò, i fari lo abbagliarono. «Sono stato rapito e sono scappato», disse. Parlò ad alta voce, tra respiri ansimanti. «Per favore mi porti alla stazione di polizia più vicina.» Mentre si avvicinava alla portiera dall'altro lato del guidatore il cuore quasi smise di battere: era una Celica marrone. Ma il conducente era una donna, era tutto a posto! Salì in auto. «È stata una bravata pericolosa», disse lei. «Ho dovuto fermarla, un uomo mi ha rapito e mi ha portato a casa sua...» «Un uomo?» Sembrava così allegra, perché sembrava così allegra? Mise in moto la macchina. «Mi porti alla polizia», disse. «Oh, è a più di quindici chilometri. Perché non vieni a casa mia? Chiameremo la polizia da lì.» Mentre l'auto si avviava cominciò a rendersi conto di essere finalmente libero. Voleva dire che avrebbe continuato a vivere, che avrebbe rivisto la mamma e il papà! Si congratulò con se stesso, gemendo per la gioia e per il sollievo. Continuarono a procedere per la strada piena di curve. «Dove vive?» chiese. «Non molto lontano.» Era una donna grossa, dall'aspetto squallido, con una folta capigliatura bionda. Aveva un vestito largo e le mani grassocce. Billy sentì che il fiato le puzzava di liquore. Continuarono ad andare avanti, una strada dietro l'altra. Pensò che a-
vrebbe fatto meglio a guardare il loro nome. «Ci vuole ancora molto?» «Sta' zitto e lasciami guidare!» «Va bene, scusi.» Si trovavano sulla Mount Crest, poi venne la Ridgeway. Poi voltarono altre due volte, su e giù per ripide colline, poi girarono un angolo su cui si trovavano delle case su palafitte. Una di loro aveva un numero, il 314. Dove sono? si chiese. Quella donna ubriaca gli stava facendo fare un percorso che lo stordiva e lo confondeva completamente. I pneumatici stridevano, gli ingranaggi emettevano atroci rumori metallici mentre la donna scalava le marce o innestava quelle più alte. All'improvviso, l'auto si immise bruscamente in un vialetto di accesso, tanto velocemente che le ruote dovevano essersi sollevate dal selciato. Si fermarono stridendo in un garage. «Siamo a ca-a-sa» urlò la donna. Premette un pulsante su un telecomando fissato sull'aletta parasole e la porta del garage scese con grande rumore, lasciandoli nell'oscurità più completa. Per un istante l'unico rumore fu il respiro furioso della donna. Poi lo sportello dalla sua parte si aprì e una fioca luce inondò l'auto. Accanto ad essa era parcheggiato l'Aerostar di Barton. Vedendolo, Billy non poté impedirsi di gridare. La donna gettò indietro la testa e fece una risata acuta, lacerante. «Vieni», disse, «penso che tu ti sia proprio meritato una seria punizione, carognetta schifosa!» PARTE QUINTA Il Dio dannato 25 Era la sensazione più deliziosa, più speciale, come impossessarsi dell'anima della propria madre e farle compiere azioni malvagie. «Bene», disse, ed era la voce di lei, oh, era proprio la sua! E come si era mosso in fretta, il ragazzino. Guardagli gli occhi, grandi come piatti, guarda il suo viso pallido nella luce cruda del garage. «Barton è ta-anto simpatico, vero, ragazzo mio? Beh, io non sono simpatica! Fila in quella casa immediatamente !» E lui corse via. «Barton, Barton», gridò. Non aveva capito, davvero non aveva capito! Questa era bella. Prima non era mai successo. Gli altri avevano visto subito che sotto gli strati di trucco c'era un uomo, ma quel bambino era molto più innocente. Probabilmente Billy non aveva mai nemme-
no pensato alla possibilità di un travestimento. Barton entrò in casa a grandi passi, percorse lo stretto corridoio fino alla stanza degli ospiti e si fermò sulla soglia incrociando le braccia. «Stasera Barton non ti risponderà, ragazzo mio. Anche lui è punito per averti lasciato scappare di nuovo. Che idea!» «Chi... chi...» «Io sono la Morte.» Quando vide il terrore più assoluto su quel viso non riuscì a trattenersi un istante di più. Sbatté la porta e si abbandonò a un'allegria silenziosa, mista a sofferenza. Poi ripercorse il corridoio e andò in camera sua. Scostò la stuoia e aprì la botola. Aveva avuto solo il tempo di mettersi la parrucca, il vestito e un chilo di cipria. Per un'occasione simile voleva truccarsi perfettamente, usando tutta la magnifica serie di giocattoli che possedeva: i vasetti di fondotinta, le ciprie e i fard, gli ombretti con i loro stupendi nomi, Aziza, Revlon, Charles of the Ritz. Adorava quest'ultimo, il rumore secco che faceva, simile a quello dei tacchi a spillo su un gradino di marmo. Il Ritz, Ritz, RITZ! Si mise subito al tavolino da trucco e accese le lampade. Le luci impietose rivelarono il viso nello specchio per quello che era veramente. Era ubriaco, sì, ma dietro il trucco affrettato riusciva ancora a vedere l'uomo scimmiesco che vi stava sotto. Versò un poco d'acqua dalla brocca e si pulì il viso. Poi si coprì la barba con il Nair e si mise al lavoro per sistemare la parrucca. Per prima cosa se la tolse e si unse i capelli con dell'olio in modo da poterla calzare perfettamente e si applicò della soluzione di gomma arabica sulla fronte, sulle basette e sulla nuca. Poi si mise con cura la parrucca. Dopo che ebbe tirato giù qualche ricciolo di qua e di là sembrò perfetta, impossibile da distinguere se non da molto vicino. Doveva esserlo, l'aveva rubata da una boutique esclusiva del Rodeo Drive. In realtà, tutta la sua bella collezione era stata rubata dalle migliori boutique o dalla ricca raccolta della cara Gina. Era arrivato il momento di togliere la crema depilatrice, cosa che fece con un rasoio senza lama. Il suo viso era diventato morbido e liscio come le mani. Barton non era un travestito, voleva soltanto mascherarsi. Non aveva niente contro i gay, ma lui era completamente eterosessuale. Non si sarebbe mai permesso di diventare uno di quei libertini vili e disgustosi che toccavano i ragazzi... Gli uomini così bisognava ammazzarli. Devi capire, soleva dire a se stesso, che quello che compi è un rituale
magico. Per esempio, il vestito era un travestimento destinato a evocare una parte dell'inconscio, ben nascosta dentro di sé, come in realtà in tutti gli uomini è nascosta la madre onnipotente dell'infanzia. La differenza fra lui e le persone normali era che lui voleva esprimere l'inconscio, mentre loro non lo facevano. Loro avevano paura di farlo, lui no. Quando l'aveva visto nel suo abito rituale, più d'uno degli altri ragazzi era scoppiato a ridere. Ma solo all'inizio. Poi aveva urlato. Barton continuò a sistemarsi il viso, applicando il fondotinta, poi la cipria, il fard, terminando con il ritocco attorno alle labbra e agli occhi. Si diede un bel rossetto Summer Rose con rapidi movimenti, poi applicò l'ombretto Mistic Sea, di un bel turchese metallico. L'effetto era semplicemente magico. Era sempre conquistato, da lei. Se solo avesse potuto baciarla, cadere ai suoi piedi, darsi completamente a lei! Una bionda con labbra vivaci e occhi misteriosi, imbronciati, lo guardava dallo specchio. Ma l'ombretto aveva fatto affiorare il dolore, in quegli occhi. L'espressione triste era la sua caratteristica meno fortunata. La corresse un poco. Doveva modificare la riga di mascara, sollevare leggermente le ciglia: con un po' di magia, anche la tristezza poteva essere sexy. Barton pensò che per tutto quel tempo Billy era rimasto ad aspettare e a preoccuparsi. E ne aveva ragione! Stava per avere proprio quello che si meritava, e per bene. Il divertimento era finito, il gioco pure. Era cominciata la parte seria. Osservare quella maledetta canaglia fingere in quel modo aveva fatto infuriare Barton. Pensava davvero che la sua pessima recitazione l'avesse convinto? Avevano cercato di scappare giù per il canyon anche prima. Bastava andare in auto fin dove si immetteva nella Monarch e aspettare. I muri erano troppo alti perché potessero scalarli, quindi non era proprio possibile lasciarseli scappare. Era successo così spesso con gli altri ragazzi che ormai Barton non vedeva l'ora che tentassero quella fuga. Era divertente. Da quel momento in avanti il caro piccolo Billy sarebbe scattato al minimo schioccare delle dita. Avrebbe adorato il suolo su cui camminava Barton; avrebbe imparato che era un privilegio obbedire alla lettera a un essere umano che incuteva davvero soggezione. Scese nella camera nera e scelse la cinghia di cuoio. Spense la luce, chiuse la botola e la coprì con la stuoia. Adesso doveva fermarsi un momento per prepararsi. Erano necessarie una grandissima concentrazione e
una perfetta recitazione. Doveva entrare in lei, sentirla, essere lei in tutta la sua magnifica femminilità e severità. E lei era così severa. Una volta che aveva deciso, non c'era assolutamente niente che potesse fermarla. Potevi supplicarla - e loro lo avevano fatto, lo sapeva Iddio - ma era lo stesso. Potevi anche mentire, se osavi. Niente la fermava. Sollevò la cinghia con la destra, reggendone l'altro capo con la sinistra. Percorse il corridoio, assicurandosi che i suoi piedi facessero scricchiolare le assi in modo che Billy sentisse. Si fermò un momento davanti alla porta per aumentare l'angoscia e la paura nel ragazzo. I singhiozzi che si udirono nella stanza erano una musica profonda, che lo eccitava meravigliosamente. Tutto il suo corpo cominciò a fremere, e più Billy singhiozzava più la sensazione diventava stupenda. Quando infine si sentì pronto a rendere ancora più intenso il suo godimento, girò la chiave e spalancò la porta. Mentre lui entrava nella stanza, Billy trattenne il fiato. Fissò la cinghia e aprì la bocca. Poi, senza dubbio immaginando il dolore che gli avrebbe provocato, lanciò un urlo. «Te ne darò dieci», annunciò Barton con la sua voce migliore. «Dieci cosa, signora?» Lui batté la cinghia sulla mano e annuì. «Per favore», supplicò Billy, «Non credo di poterlo sopportare, signora. Non mi hanno mai fatto una cosa simile, prima.» «In questo momento la maggior parte non riesce a parlare. Sei un ragazzo proprio coraggioso. Per il tuo coraggio ne aggiungerò tre.» Billy corse verso l'armadio-cabina. Che cosa stava facendo, stava cercando di nascondersi? Barton afferrò la manetta che pendeva ancora dal polso del bambino e lo trascinò di nuovo al centro della stanza. «Sarà una cosa lenta, temo. Tredici colpi con quest'affare ti puniranno severamente.» Spinse Billy sul letto, a faccia in giù. «Calati i pantaloni.» Quando lui esitò, Barton li abbassò rudemente fino alle ginocchia. Billy si mise le mani sulla testa. Aveva il viso sepolto nelle lenzuola. Si afferrò i capelli e li strinse forte. Barton non aveva mai visto una cosa simile: sembrava che il ragazzo stesse strappandoseli. Royal il ciccione batté di nuovo la cinghia sul palmo. Billy scalciò un po'. «Per favore, signora», disse, «volevo solo guardare le stelle.» La risposta di Barton fu il primo colpo. Fu forte e ben distribuito su entrambe le natiche. Si udì un solo, forte, schiocco.
Billy sobbalzò. Emise un suono di sorpresa. Senza dubbio gli aveva fatto più male di quanto avesse creduto possibile. Il secondo colpo fu piazzato esattamente sopra la striscia rossa lasciata dal primo. Fu così forte che la cinghia sibilò prima di abbattersi su di lui, e nel momento del contatto fece un rumore come di uno schizzo. Immediatamente la pelle diventò bianca e si raggrinzì. Poi cominciò a diventare rossa. Billy gridò. Se fossero stati nella camera nera Barton avrebbe potuto fare proprio un bel lavoro. Grazie alla finestra insonorizzata poteva lasciarlo gridare anche lassù, ma doveva stare attento. Il terzo colpo sarebbe stato piazzato sotto il primo, che aveva lasciato una striscia gonfia e rosso fuoco proprio a metà delle natiche. Barton sollevò il braccio fino a sentire la cinghia che gli sfiorava la schiena e una marea di rabbia lo invase, diretta contro quel bambino ostinato e arrogante. Il colpo arrivò a segno con il rumore di uno sparo. Billy gettò indietro la testa. Pronunciò delle parole confuse, come «Gesù» o «Scusi» o qualcosa del genere. Non era possibile capirle bene, e tutto sommato a Barton non importava. Le cose erano sempre state così. Non voleva un figlio da amare, voleva quel genere di piacere. La gente non lo capiva. Non capiva che si potesse arrivare al di là del bene e del male, in regioni in cui la sofferenza e il piacere erano la stessa cosa. «Billy?» «Sissignora!» «Che cosa senti?» Non vi fu risposta. «Adesso ascoltami, aspetto che i lividi saltino fuori per bene. Poi ti darò i dieci colpi e ti farò impazzire dal dolore. Sei mai impazzito per il dolore?» Billy emise un suono acuto, una specie di doloroso lamento. Un istante dopo i lividi avevano assunto il colore appropriato. Barton diede una serie di colpi rapidi e cattivi nel centro delle natiche. A ogni colpo Billy gridò sempre più forte. Poi cominciò a contorcersi, girandosi da un lato all'altro, usando le mani per ripararsi dai colpi. I suoi tentativi di calmare Barton con l'obbedienza erano stati infranti. Stava per diventare un animaletto gemente, urlante. Allora Barton fu invaso dalla furia, gli sembrò di avere del fuoco al po-
sto della testa. Colpì ritmicamente, su e giù, su e giù, finché non cominciarono a sprizzare gocce di sangue e brandelli di pelle, che formarono una specie di velo attorno alla carne che si sollevava. Infine, Billy perse ogni controllo. Inarcò la schiena, strinse gli occhi, le sue urla diventarono più forti. Se fossero stati nella camera nera Barton avrebbe potuto lasciarsi andare del tutto, sarebbe stato trasportato in paradiso dalle sofferenze che stava infliggendo. Vi fu un ultimo impeto di rabbia e un ultimo, brutale colpo di cinghia, e tutto finì. Era come se si fosse appena svegliato dall'ipnosi. Il fuoco nella sua mente sparì, la straordinaria calma che aveva preceduto quell'esplosione di rabbia si tramutò in dispiacere e disgusto. Che cosa stava facendo, in quell'abito ridicolo, a picchiare quel povero bambino? Mio dio, guardalo, guarda che cosa è successo a Billy! Gettando lontano la cinghia come se fosse incrostata di lordura, si voltò e si precipitò fuori della stanza. Chiuse la porta. Forse avrebbe dovuto ammanettare quella povera creatura e chiudere a chiave la porta, ma a che cosa sarebbe servito? Barton sapeva per esperienza che Billy non sarebbe stato in grado di muoversi, quando avrebbe ripreso conoscenza. A un certo punto della notte il bambino si sarebbe risvegliato, pieno di dolori, e avrebbe pianto fino ad addormentarsi. Domani mattina sarebbe stato un ragazzo tranquillo e obbediente, che camminava con le gambe rigide. Nei suoi occhi ci sarebbe stato qualcosa del ratto. Entrando in camera da letto Barton intravide la propria immagine riflessa nello specchio intero appeso all'anta dell'armadio. Subito distolse gli occhi, ma ormai era troppo tardi. Sapeva che cosa sarebbe successo quando lo faceva, eppure lo faceva sempre. «No», disse, cercando di costringersi a non guardare un'altra volta. Ma guardò, non riusciva a evitarlo. Vide un uomo grasso, di mezza età, con il viso pesantemente truccato. Aveva le ascelle fradicie di sudore, i tacchi a spillo che ondeggiavano assurdamente. Quando entrò in bagno stava singhiozzando. Quello specchio era anche peggio, la luce fluorescente lo faceva assomigliare a un demone divoratore di cadaveri. Le labbra grosse, gli occhi che brillavano, un pazzo. Era incredibilmente, totalmente suonato. Anche peggio, era del tutto uno psicopatico. Aveva appena storpiato un altro essere umano e quasi certamente avreb-
be finito per dargli una morte orribile. Non riesci a fermarti, non riesci a controllare te stesso! Le giustificazioni che si dava erano menzogne. Niente poteva spiegare il suo comportamento, neanche la sua dura infanzia. Faceva ciò che faceva perché ne ricavava piacere. Questo ti rende un uomo perverso. Perverso, era un uomo perverso! Era un porco brutto, malvagio e perverso! Un grosso scarafaggio strisciò lentamente fuori dell'abito e gli salì sul viso. Sentì il prurito delle sue zampette, il debole, frenetico graffiare sugli strati di trucco. Quando si colpì il volto con le mani il trucco si staccò come argilla bagnata. Se lo pulì via, emettendo dei versi di gola, contorcendosi tutto per il disgusto che provava verso se stesso. Sotto la sua mano non c'era nessun scarafaggio. Si stracciò di dosso l'abito e rimase nudo, una massa sudata che puzzava delle sue orrende fatiche. Cadde in ginocchio, si accovacciò, spinse i pugni nelle orbite finché non vide lampi rossi e gialli. Aprì la bocca, fu scosso da conati di vomito, sentì qualcosa di orrendo e nero che era dentro di lui strisciare fuori. Un serpente strisciava sul pavimento, liscio e umido come fosse stato attorcigliato nelle sue viscere. Si buttò per terra gemendo, e mentre la pena più nera lo invadeva desiderò con tutto il cuore di essere libero. Billy era un punto luminoso in mezzo a un'oscurità infinita. Era stato ucciso, pensò, frustato a morte. «Mamma», disse. Mamma? Era tutto così immobile, così silenzioso. La flagellazione era un ricordo scarlatto. «Non voglio essere morto!» Quando si mosse, provò una sofferenza così atroce che fu colto dal panico. Le sue grida si fecero fievoli, simili a una debole brezza. Non aveva mai provato un tale dolore fisico, ma nondimeno riuscì a calmarsi. Il lampadario era ancora acceso e illuminava la stanza di una luce gialla e violenta. Billy era disteso su un punto bagnato del letto. Lentamente si spostò di fianco. Con dita tremanti si tastò le natiche. La pelle era piena di grumi e coperta di qualcosa di appiccicaticcio. Quando si guardò la mano vide che era sangue. Il suono dei suoi stessi lamenti lo fece sentire così triste che si costrinse a smettere. Nessuno poteva essere stato tanto cattivo da meritarsi quello
che gli avevano appena fatto. Non era possibile essere tanto cattivi. Billy era un bravo ragazzo, con il naturale desiderio di trovare i lati positivi nei suoi simili. La sua innocenza, che fino a quel momento l'aveva tanto svantaggiato, gli venne in soccorso impedendogli di capire quanto fosse disperata la sua situazione. Sotto le sue sofferenze scorreva una linfa fresca, la linfa della vita. Scaturiva in lui dal profondo del suo animo, nonostante le sue condizioni, e non si sarebbe inaridita. Quella grande forza, che non si era manifestata con tale vigore negli altri bambini che Barton aveva rapito, permise a Billy di continuare la sua lotta. Anche se gli faceva un male terribile, si alzò faticosamente in piedi. «Mamma», sussurrò Billy. Desiderava così intensamente che fosse lì da non sentire più il male! «Oh, mammina!» Stava regredendo nel tempo, ritornando ai giorni in cui la mamma lo teneva in braccio. «Prendimi in braccio, mammina, desso io stanco.» Quando si muoveva era sopraffatto dal dolore. «Me spiace, me spiace...» Non sei un bambino piccolo, ce la puoi fare, devi provare a uscirne, gli ricordò una parte del suo io. Era tanto difficile, era stato frustato in modo così orribile. Le gambe gli sembravano di legno, era quasi impossibile muoverle. Quando lo fece, il dolore gli attraversò tutta la spina dorsale, facendogli agitare le braccia e digrignare i denti. Come in qualsiasi altro bambino normale, la gratitudine di Billy si sarebbe riversata anche sulla mano che l'aveva ferito se avesse capito che dipendeva da lei per sopravvivere. Avrebbe accettato l'aiuto anche dalla donna bionda. Se fosse stata gentile con lui, le sarebbe stato grato. È questa la ragione per cui i bambini rimangono attaccati così tenacemente anche a genitori brutali. Occorrono ripetute percosse, lunghi periodi di sevizie, ingiustizie premeditate e continue, per infrangere la speranza. Per quanto l'aggressione di Barton fosse stata spaventosa, Billy era sopravvissuto come un piccolo carbone ardente fra la cenere; stava ancora lottando e non avrebbe cessato di farlo. Il bambino maltrattato non smette di sperare finché non si sia affievolito l'ultimo raggio di vita. Quindi attraversò barcollando la stanza, sollevò il braccio fino al pomello della porta e cercò di aprirla. Ogni movimento gli procurava grandi sofferenze; le natiche sono collegate a tanti altri muscoli importanti. Camminare, restare fermo, sollevare il braccio, stringere le dita sul pomello d'argento... tutto questo gli procurò dolore. A bassa voce stava recitando una nuova litania. Niente più «Gesù», niente più «Dio». Era sceso più in basso di quelle parole, che arrivano ad
avere un significato nel vocabolario di un bambino solo all'età di quattro o cinque anni. «Mamma», diceva a ogni passo. «Mamma», mentre avanzava a fatica. Non esultò a ritrovarsi nel corridoio, non pensò a dove andare o a che cosa doveva fare. Semplicemente continuò a far scivolare un piede davanti all'altro, e in quel modo arrivò nella camera di Barton. Non vi era mai stato prima, ma non notò il bel letto a baldacchino, le graziose lenzuola di seta, le tende di pizzo o il profumo nell'aria. Vide Barton, un mucchio scuro sul pavimento del bagno. Ma per quanto lo riguardava quello non era Barton. I capelli biondi gli dicevano che si trattava della donna che l'aveva frustato. La esaminò preoccupato. Poi vide che stava dormendo, con il vestito sopra di lei come una coperta. Ritornò a quello che doveva fare. Era andato lì per chiamare la mamma. Quando ti fanno del male e nessuno ti aiuta, era quello che facevi, chiamavi la mamma. Si guardò intorno. Su una piccola scrivania decorata c'era un telefono. «Mamma», disse. Vi mise sopra la mano, sollevò il ricevitore, udì il segnale di libero. Sapeva di trovarsi in estremo pericolo, ma non gli importava di essere sorpreso o no. Cominciò a comporre il numero di casa. 26 Quando lo squillo del telefono la svegliò, la stavano frustando selvaggiamente sulla schiena. Per un istante le sofferenze dovute alla frusta si mescolarono con il rumore del telefono. Mary riprese coscienza nel sangue e nella rabbia, agitando scompostamente le braccia alla ricerca del ricevitore, cercando di ritrovare la lucidità. Fa' in modo di non sembrare piena di sonno, sta' calma, potrebbe essere la fine, si disse. «Mam-ma.» Un bambino si era svegliato presto e stava giocando con il telefono. «Metti giù il ricevitore, tesoro, non dovresti chiamare la gente a quest'ora.» «Mam-ma!» Per un attimo non riuscì a pensare, non poté nemmeno ricordare come si faceva a parlare. Inghiottì freneticamente, sforzandosi di rispondere. «Billy!» «Mammina.» L'impulso di abbracciarlo le fece quasi scagliare lontano il ricevitore.
Ma lo tenne bene attaccato all'orecchio. Bene, adesso calmati, ricorda le istruzioni, raccogli tutte le informazioni possibili, si disse. Si permise soltanto di inspirare profondamente. Con calma, distintamente, chiese: «Dove sei, Billy?» «Hollywood Hills.» Quando la sua voce tacque il silenzio del telefono fu terribile. «In che strada?» «Vicino alla Ridgeway...» «Non sai come si chiama?» «No. I vicini hanno una Mercedes blu. Barton ha un Aerostar.» «Sappiamo che ha un Aerostar. Sappiamo che si chiama Barton Royal. Qualcos'altro?» «Ha una Celica marrone. L'Aerostar l'ha nascosta.» «Com'è la casa?» «Il garage sul davanti... una strada senza uscita...» Suo figlio abbassò la voce fino a un sussurro, poi lo sentì piangere come non aveva mai sentito in vita sua. Le bruciò nel più intimo del suo essere, come se le avessero conficcato dentro un coltello. Digrignò i denti. «Qualcos'altro.» Fece in modo di sembrare del tutto calma. «È l'ultima casa. In cima alla collina...» «C'è un numero, sulla casa?» «Mam-ma, mi ha frustato, forte forte...» Si morse le nocche. La pelle scricchiolò sotto i denti, sentì il sapore del sangue. Il dolore sembrava appartenere a una vita remota, falsa. Pensa, donna! «È lì vicino, lui?» «Nel bagno...» Mio Dio, sembra un bambino che ha appena imparato a camminare! Sta regredendo, è ferito, lo torturano a morte, oh, dio del cielo aiutami, non sono forte... gridò dentro di sé. «Riattacca.» «Mamma, aspetta!» «Di' ciao.» «Ciao, mamma.» Il silenzio sulla linea continuò. Era impietrito, non riusciva a deporre la cornetta! «Ciao. Adesso riattacca.» Cominciò a piangere, un rumore come quello di una lieve pioggia. Allontanò di scatto la testa da quella pietosa voce di bimbo che sembra-
va un gemito di agonia. Il suo bambino bello e intelligente - tutta quella fatica e quell'amore! - lo stavano rovinando! Stava soffrendo, oh, tremendamente, sì, non c'erano dubbi, era terribile, terribile... In quel momento in lei si aprì come una porta e Mary entrò in quella parte di se stessa che era forte come una roccia. Lì diventava fredda ed efficiente. Quando parlò di nuovo la sua voce irradiava sicurezza e fiducia. «Adesso metti giù la cornetta e allontanati dal telefono. Non cercare di chiamare di nuovo la mamma. La polizia arriverà il più presto possibile.» «Mammina...» Di nuovo fremette. Un grosso singhiozzo le salì alla gola. Gettò indietro la testa, risucchiò l'aria con la bocca aperta, parlò di nuovo: «Adesso devi riattaccare, tesoro». Ma lui non lo fece. Non riusciva a interrompere quel collegamento con lei. Tanto potente era il desiderio della donna di trasmettergli la propria forza, di riempirlo con la propria salute e il proprio coraggio, addirittura con il proprio sangue, che letteralmente si mise sull'attenti accanto al letto. «Metti giù quel ricevitore», ordinò. «Voglio sentire il segnale di libero in questo stesso momento!» «Mamma aiuto mamma aiuto.» «Riattacca immediatamente.» «Mam-ma. Billy ha bisogno...» «Lo so, tesoro, lo so. Ma devi riattaccare. Subito. Fallo, Billy!» Le rispose il silenzio. Aveva stretto a pugno la mano libera e se l'era accostata al petto. Tremava tanto forte che riusciva a stento a vedere. «Questo è un ordine, giovanotto! Obbedisci immediatamente!» Click. Poi infine il segnale di libero. Cadde in ginocchio, con la cornetta stretta contro il petto. Oh, fa' che non sia stato visto. Mio Dio, per favore. Ad alta voce sussurrò, nella stanza vuota: «Ti voglio bene, tesoro. La mamma ti vuole tanto bene». Con attenzione esagerata rimise il ricevitore sulla forcella e fissò l'apparecchio come se contenesse uno spirito vivo. Poi le accadde qualcosa che andava al di là delle lacrime. Quando pensò a lui che da qualche parte soffriva tanto - mio dio, una cosa malvagia l'aveva ridotto a una gelatina balbettante, l'aveva torturato - la sua mente fu invasa da immagini una più orribile dell'altra. Si abbandonò sul pavimento, si girò da una parte e dall'altra. Si portò le mani ai capelli. Non riuscì a impedirselo, cercò ripetutamente di strapparseli. Il suo corpo bruciava per la sofferenza nella voce del figlio e in quel momento com-
prese il significato più profondo, più vero della maternità, che ha a che fare con lo spirito stesso diventato sangue e ossa. L'aveva portato in seno e aveva tenuto fra le braccia il suo corpo nudo, lui era fatto di lei, era il proprio essere trasformato. Con le mani affondate nei capelli, con il corpo che sembrava emanare fiamme, sentì sul proprio corpo i lividi del figlio, la frusta spietata che incideva carni che non erano mai state colpite, mandando in frantumi non solo il corpo del ragazzo, ma anche la luce della sua giovane anima innocente. «Mamma!» Sally era entrata nella stanza. Indossava il pigiama estivo, con i calzoncini corti. Aveva l'espressione sconvolta. Mary si rese conto che la poverina doveva credere che lei stesse morendo. Si alzò in piedi, si riprese. «Ho ricevuto una telefonata da Billy, abbiamo del lavoro da fare.» «Mamma, che cos'hai!» «Sono stravolta, ma non importa.» «Stai sanguinando, mamma, hai tutto il viso insanguinato!» Mary ritirò le mani dai capelli scarmigliati. Aveva il cuoio capelluto delicato, e tutta la fronte era coperta di sangue. Corse in bagno. Si era letteralmente strappata i capelli dalle radici. Sally aprì il rubinetto, inumidì una pezza di spugna e cominciò a pulire il viso della madre. «Mamma, come...» «Oh, Sally, aveva una voce terribile.» Sentirsi pronunciare quelle parole la fece gelare nell'intimo. Ricominciò a tremare. «Ha detto dov'è?» Si precipitò fuori del bagno, afferrò il ricevitore e compose il numero di casa di Toddcaster. «Walter, ha telefonato...» Lui mormorò: «Vengo», e interruppe bruscamente la comunicazione. Mary tolse dal registratore il prezioso nastro e ne mise uno nuovo. Cinque minuti dopo, il campanello della casa e il telefono squillarono contemporaneamente. Al telefono era l'FBI di Des Moines. Walter li aveva già avvisati. «Ha detto di trovarsi a Hollywood Hills, alla fine di una strada senza uscita che si chiama Ridgeway, ma non è quella. Sono sulla sommità di una collina. L'uomo ha una Celica marrone. I vicini hanno una Mercedes blu.» Walter la raggiunse e un istante dopo stavano riascoltando il nastro in modo che lui e l'agente dell'FBI potessero sentirlo entrambi. Sally teneva
la madre fra le braccia, e le puliva il viso con una pezza bagnata. Walter fermò il nastro. «Sta avendo una tremenda reazione da stress», osservò sfiorandole il viso insanguinato. «Lo chiamano sudare sangue, tesoro.» Andò in corridoio, facendo un cenno a Sally perché lo seguisse. Ma Walter Toddcaster non era un uomo che potesse bisbigliare con facilità. «Ci è arrivata vicino», disse a bassa voce. «Cominciano con lo strapparsi i capelli, poi perdono il controllo.» La risposta di Sally fu un sussurro inarticolato. «Dobbiamo aiutarla a tirare avanti, perché questa faccenda avrà un epilogo molto veloce.» «Un epilogo?» «Vuol dire che troveremo tuo fratello molto presto.» Walter ritornò da Mary e la fissò negli occhi. «Mi ha sentito, vero? Deve prendere del Valium o qualcosa del genere. Non può sopportare uno stress simile. Non ci riesce nessuno.» «Col cavolo che non ci riesco, Walter Toddcaster. Non voglio assolutamente ottenebrarmi il cervello con delle pillole in un momento come questo.» «Ehi, stavo solo cercando di rendermi utile. Si è comportata veramente bene, in quella telefonata. Molto, molto bene.» Sally corse al telefono. Il primo impulso di Mary fu di impedirglielo nel caso in cui arrivasse un'altra chiamata. «Che ore sono nel Nevada?» chiese Sally. Mary si rese conto che stava telefonando a suo marito. Oh, Mark, ti ho dimenticato, ho chiamato prima Walter! «Papà, sono io. Ha telefonato. Sappiamo approssimativamente dov'è.» Mary le strappò il ricevitore. «Gli ho parlato, Mark. Gli ho parlato!» «Dov'è?» «Hollywood Hills.» «Ha dato un indirizzo?» Gli disse quello che sapevano. «Andrò a Los Angeles il più presto possibile. Quando arriverò chiamerò la polizia.» «L'ha già fatto l'FBI. Forse nel tempo che ci metti ad arrivare l'avranno già trovato.» «Forse. Senti, ti amo e mi muovo subito.» Mary mise giù il ricevitore. Sally lo afferrò di nuovo. Un istante dopo
stava parlando con la American Airlines e ordinava un biglietto per entrambe. Toddcaster stava sulla soglia del soggiorno. Sembrava che la sua presenza lì fosse divenuta meno indispensabile. «Walter?» «Il caso non è più in mano mia. È passato all'FBI e alla polizia di Los Angeles. Tutto quello che possiamo fare da qui è offrire il nostro sostegno nel caso in cui sia necessario.» «Io parto.» «Certo. Ma stia attenta, Mary. In casi simili ci sono delle cose che non si devono fare, e cose essenziali. Non cercate di trovarlo per conto vostro. Quando arriverete a Los Angeles andate subito alla polizia. Hanno una squadra per le persone scomparse. Sapranno già chi siete, staranno lavorando al caso. Non andate a Hollywood da soli.» Sally depose la cornetta. «Se riusciamo a prendere il volo delle sette e mezzo per Albuquerque saremo a Los Angeles alle nove e mezzo, ora locale.» Mentre Mary tirava fuori degli indumenti dal cassettone, Walter Toddcaster divenne una figura di secondo piano. Non lo vide nemmeno lasciare la stanza. Quando si allacciò il reggiseno, lui era già un ricordo. In dieci minuti Mary si vestì e preparò una borsa da viaggio ficcandovi dentro alcune cose. Mentre si affrettavano verso l'auto, Sally stava ancora levandosi i bigodini, che gettò tra l'erba bagnata di rugiada. Toddcaster le osservò dalla veranda. «Starò io al telefono», disse. Mary lo intravide una volta, un'ombra sulla veranda. Udì la sua voce, forte e chiara, che interruppe il silenzio del mattino. «Sia prudente a guidare.» Mary lo udì appena. Un istante dopo procedeva sulla Lincoln a centodieci all'ora. Aveva esattamente trentacinque minuti per arrivare all'aeroporto. Anche con lo scarso traffico del mattino, per quel percorso ne erano necessari quaranta. «Mamma, faresti meglio a lasciare che guidi io.» «Non hai mai guidato una macchina in vita tua.» «Mamma, prendo l'auto di notte quando tu e papà dormite. L'ho fatto da quando sono stata abbastanza alta.» «Sally, stai scherzando!» «Guido bene, mamma. E se non rallenti beccheremo una multa e perderemo l'aereo!»
«Con te al volante sarebbe anche peggio, non hai la patente, hai solo tredici anni.» «Faccio un sacco di cose di cui tu non sai niente.» Mary rallentò quel poco che si sentì di fare. Non dovevano assolutamente perdere quell'aereo. Il suo ragazzo aveva un disperato bisogno della mamma. Se lo trovavano, doveva esserci anche lei. Probabilmente era la cosa più importante che avrebbe mai fatto in tutta la vita. Fino a quando non arrivarono all'interstatale seguì il consiglio di Sally e rispettò il limite di velocità. Poi spinse al massimo. Non c'era altra possibilità. A centoquaranta la vecchia auto si mise a vibrare, poi, quando passò a centosessanta, sembrò trovare nuova lena. A quasi centottanta sembrò che stesse galleggiando. Il motore faceva il rumore di una mandria di bestiame. Erano ancora a una cinquantina di chilometri da Des Moines quando una barra di luce cominciò a lampeggiare dietro di loro. «Cazzo», esclamò Mary provocando uno sguardo stupito da parte della figlia. Accostò. L'auto bianca e nera le si fermò accanto. Uno dei due poliziotti sul sedile anteriore si sporse. «Lei è Mary Neary?» «Sì.» «Siamo qui per scortarla.» Arrivarono con tre minuti di anticipo. Fu solo quando si trovarono nella tranquillità ovattata del volo che la sua mente si aprì alla sofferenza e alle emozioni che aveva tenuto dentro di sé. Lui stava soffrendo molto, era troppo ingenuo, indifeso, in balia di un uomo disperato! Se era ritornato come un bambino piccolo doveva essere allo stremo delle forze. Quando quell'uomo gli avrebbe chiesto: «Billy, hai fatto una telefonata?» probabilmente avrebbe risposto di sì. Se lo ricordò quando aveva appena imparato a camminare, già sicuro e tanto assurdamente serio che Mark l'aveva soprannominato «il giudice». Santo dio, era regredito! Mary sentì le dita calde e leggere della figlia esercitare una pressione sulle sue. Dalla scomparsa di Billy dentro di lei non era rimasto molto spazio per Sally, e le dispiacque. Ma la situazione di Billy era così terribile e la sua sofferenza tanto grande che semplicemente non riusciva ad attribuire ai bisogni della figlia l'importanza che, lo sapeva, meritavano. Era distrutta dalla tensione di quella tragedia. Se avesse perso Billy, che cosa le sarebbe rimasto per la figlia? O, peggio ancora, se fosse ritornato
distrutto, bisognoso di anni di terapia, che cosa sarebbe successo? «Mamma?» Si voltò, spaventata dalla voce di Sally. «La hostess chiede se vuoi la colazione.» Con grande sorpresa di Mary, la hostess era accanto a loro con il suo carrello. «Una Coca», disse automaticamente. «No, mamma, abbiamo bisogno di mangiare qualcosa.» «Ci sono delle omelette al formaggio», disse la hostess. Mary mangiò l'omelette e bevve del caffè, e guardò dall'oblò mentre il mondo che le era familiare scompariva lentamente. Aveva una domanda, e la fece al cielo, ormai avvolta dall'oscurità sotto di loro: avrebbero davvero riavuto Billy, o era ormai troppo tardi? 27 Quando Barton riprese i sensi era ancora steso sul pavimento del bagno. Aveva la bocca piena del sapore acido del vino della sera prima, ed era sul punto di vomitare. Sentiva la lingua spessa, e aveva molta sete. La pelle gli sembrava tesa e raggrinzita, il viso secco come il deserto per il trucco incrostato che si stava sfaldando. Il vestito bianco, tutto sporco, lo copriva come un lenzuolo. Quando lo gettò da parte sentì il proprio puzzo. Appena si mise a sedere, la testa cominciò a martellargli tanto forte che credette di svenire per il dolore. Il sangue gli ronzava nelle tempie e delle onde scure gli annebbiavano la vista. La stanza oscillava come una barchetta in balia di un mare molto grosso. La sera prima aveva bevuto fino a perdere il senno. Era la prima volta da secoli, che gli succedeva. Era domenica. Mio dio, doveva fare uno spettacolo, anzi due. Che tremendo modo di cominciare il primo giorno in cui riprendeva il lavoro. Maledetto quel Billy, pensò. Gli volevi bene, ma sapevi perfettamente che stava fingendo. Il problema era che faceva un male d'inferno. Volevi fare in modo che ti volesse bene anche lui, e quando continuava a fingere volevi fargli del male. Poi distruggevi tutto, ma ti faceva sentire così bene! Era tanto grande il sollievo quando tutto era finito e si sedeva sul divano a guardare Cabaret e a sorseggiare un vino davvero favoloso. Dopo, per un paio d'ore si sentiva proprio bene. Era come se non fosse mai successo, non potesse succedere mai. Aveva fatto tutto quello che do-
veva in modo così completo che l'idea di ricominciare un'altra volta sembrava proprio assurda. Si alzò appoggiandosi al bordo del lavandino e bevve tre bicchieri d'acqua. Prese una manciata di Advil. I resti del trucco, la parrucca che pendeva dai pochi punti in cui la gomma aveva tenuto, il vestito... quella vista fece sì che si ritraesse dallo specchio. Ma perché? Perché continuava a provare questi sentimenti verso se stesso? Era un travestimento, ecco tutto. Si costrinse a lanciare un'altra occhiata allo specchio. Un viso interessante. La gente pensava che avesse un aspetto triste; si sentiva perfettamente in forma e all'improvviso qualcuno chiedeva: «Sta bene?» «Sì, grazie.» Oppure: «No, non sto bene», rispondeva. Non serviva pregare, non serviva leggere libri sulle anomalie psichiche. Peggio ancora, era più intelligente di qualsiasi strizzacervelli che avesse mai conosciuto. Come risultato non capiva perché fosse così, non riusciva a scoprirlo e non poteva fermarsi. L'unico modo che aveva trovato di considerare la cosa era accettare di essere un uomo del tutto insolito. Cercò di fare un lieve sorriso. Ma guardati, si disse. Drizzò la testa, si girò da una parte e si guardò di profilo, a tre quarti. In quel modo non sembrava triste, ma matto. No, un essere spregevole. Un po' strano e un po' matto, ma soprattutto un essere spregevole. Un mostro meschino. Corrugò le sopracciglia. «Ma va' a farti fottere», disse ad alta voce. Nessuno mi vuole bene. Nessuno me ne vorrà mai, solo io me ne voglio. Essere amato, che cosa meravigliosa, anche se era un luogo comune! Sono terribile. Si allontanò dallo specchio. Avvolgendosi un asciugamano ai fianchi andò nella sua camera da letto e scostò la stuoia che nascondeva la botola che immetteva nella cantina. Buttò giù la parrucca e il vestito. Poi accese il piccolo televisore che era nella sua stanza, ma era domenica e non trasmettevano Good Morning America. Solo qualche banalissimo cartone animato con delle tartarughe. La televisione americana considera i bambini americani dei deficienti. Ecco perché ammannisce loro spazzatura. Con un verso sprezzante premette il tasto. L'apparecchio si spense, lasciando una stellina bianca in mezzo allo schermo nero. Sarebbe stato bello se il suo mal di testa fosse diminuito. Forse un'altra
manciata di Advil gli avrebbe fatto bene. Ma non era pericoloso prenderne troppo? Non ti ammazzava il fegato o qualcosa del genere? Non voleva prendere la codeina, gli faceva sempre venire la nausea. Mentre faceva scorrere l'acqua della doccia gli ritornò in mente un sogno. Sulle prime rimase vago, ma poi si fece sempre più preciso perché era qualcosa che si riferiva a Billy. Che cosa aveva visto, di Billy, sullo sfondo del paesaggio che aveva sognato? Nuvole di vapore si levarono, mentre l'acqua tamburellava contro le pareti di stagno del box. Quando Barton vi entrò tutto il suo corpo provò una sensazione di piacevole benessere. La sua pelle assorbì il vapore, il trucco fu lavato via dal suo volto; i peccati della notte sparirono per sempre nello scarico. Inspirò fino in fondo il vapore che lo circondava, poi lo espirò lentamente mentre la vita e le sensazioni si riversavano di nuovo dentro di lui. «Mam-ma», aveva detto Billy nel sogno. Era stato emozionante vederlo, alto e imponente. Barton rabbrividì e scosse la testa scostandosi dal getto di vapore. Immaginare Billy che lo sovrastava lo fece sentire estremamente a disagio. Mam-ma? Billy aprì gli occhi. Era sdraiato sul pavimento della sua camera: il letto puzzava troppo di pipì per poterci stare. Anche così, nel sonno, si era tirato addosso parte del lenzuolo sporco. Lo scostò e si sollevò in piedi. Il sedere gli faceva un male terribile; si muoveva a stento. Quella donna l'aveva davvero picchiato forte. L'aveva vista sul pavimento della camera di Barton, quando aveva telefonato alla mamma. Aveva telefonato alla mamma! Il ricordo della sua voce gli fece spalancare gli occhi. Poi fu invaso da una tristezza così profonda che non riuscì più a stare seduto e cadde su un fianco. Sollevò le ginocchia fino al mento e desiderò di avere il suo Garfie, ma non lo vide da nessuna parte, e quindi si mise il pollice in bocca e chiuse gli occhi. Rimase così, a sognare la mamma. Le aveva proprio parlato, sì che l'aveva fatto! Era così silenzioso, quel posto. La mamma aveva detto che la polizia sarebbe arrivata. «Polizia», sussurrò sempre con il dito in bocca. «Polizia, vieni!» Sembrò che il silenzio gli si stringesse addosso ancora di più. Non gli
piaceva, quel genere di tranquillità. Molto piano, cantò per scacciarla. Le formiche marciano in fila per sei, Quella piccola si ferma per raccogliere dei legnetti, e tutte si abbassano e girano intorno, fuori dalla pioggia! Il fatto di essere stato percosso in quel modo gli faceva dolere le natiche e il torace. L'unica cosa che non gli faceva male erano i piedi, che erano quasi guariti. E anche il torace, tranne che per quell'unica, lunga cicatrice che sapeva di non dover grattare. Dopo le frustate aveva dovuto tirarsi su i calzoncini, perché era vestito. Muovendosi con precauzione esagerata, che sarebbe stata più appropriata in un uomo di ottant'anni, si stese. Poi, lentamente, appoggiandosi al bordo del letto, si mise in piedi. «Polizia», disse. «L'ha detto la mamma. La mamma me l'ha detto.» Cominciò il viaggio verso la porta della sua camera. «Polizia. Polizia.» Barton finì di fare la doccia e si asciugò con un telo grande e ruvido. Mentre si radeva continuò ad ascoltare la parola «mam-ma» che gli risuonava nella mente. Era strano che fosse associata all'immagine di Billy come eroe, piuttosto che come bambino inerme. Era impossibile cancellare l'immagine di Billy che lo guardava dall'alto in basso, con la testa sullo sfondo del debole bagliore del cielo notturno. Oh, Billy, ti voglio bene, proprio tanto. E tu sei pericoloso per me, proprio tanto. Quando Billy udì il fruscio degli abiti nel corridoio si scostò dalla porta. Stava per posare la mano sulla maniglia. Si mosse in fretta verso il bagno, cercando di sfuggire alla donna. La porta si spalancò e sulla soglia comparve Barton. Indossava una camicia bianca con una larga cravatta verde, su cui erano scritte, in giallo, le parole ZIO STRIZZA. «Buon giorno, Billy, ragazzo mio.» «Buongiorno.» «Vieni qui.» Billy gli lanciò un'occhiata diffidente. Ma sembrava contento, e quello era rassicurante.
«Su, vieni.» Billy si avvicinò lentamente. Barton lo abbracciò. «Umf! Hai bisogno di fare il bagno, giovanotto.» «Ho bagnato il letto dopo che lei mi ha frustato.» «Sembra che qui ci viva un animale!» Incrociò le braccia. «Quale 'lei'? Di che cosa stai parlando?» «La signora. Dopo che sono scappato mi è corsa dietro e mi ha preso. Mi ha riportato indietro e mi ha frustato.» «È stata solo una piccola sculacciata, un modo per farti capire che eri stato cattivo.» Billy lasciò cadere la testa e rimase in silenzio. «Adesso fa' la doccia. Ti voglio pulito prima di andare a lavorare. Devo essere in libreria alle dieci, e sono già quasi le nove.» Billy si toccò le natiche con precauzione. «Ti fa ancora male, eh? Beh, sopravviverai.» Poi fece quel suo terrificante sorriso e Billy si diresse verso la porta del bagno camminando all'indietro. Barton gli passò davanti e tolse le lenzuola dal letto. «Quando uscirai dal bagno ci saranno delle lenzuola pulite. Dovrai fare il letto in modo perfetto. Se 'lei' si accorge che non è fatto bene è capace di darti un'altra strigliata come quella di ieri.» Uscì dalla stanza tenendo le lenzuola sporche con il braccio teso. Quelle lenzuola erano proprio sporche. Erano là almeno da quando c'era Timmy. Per un istante si aprì uno spiraglio in una porta dentro di lui, e scorse qualcosa di così bizzarro e oscuro che per poco lo confuse. Beh, di certo non era reale. Signore, che mente malata! C'era stato Timmy e c'era stato Jack, fine della storia. Infilò le lenzuola nella lavatrice e vi aggiunse una grande quantità di candeggina e di detersivo. Con una rabbiosa torsione del polso avviò la macchina e ritornò immediatamente nella stanza di Billy. La doccia era in funzione. Quando Barton entrò nel bagno e tirò la tenda, Billy si girò dall'altra parte. Barton spalancò gli occhi: il ragazzo non scherzava, a proposito delle frustate. Aveva le natiche profondamente escoriate, con tagli aperti e lunghi lividi sollevati. Barton li fissò stupito. Non si ricordava di avergli dato una simile tortura. Pochi colpi dati bene non potevano provocare tanti danni. Doveva essere quella sua pelle delicata, pensò. Pelli simili mostravano il più picco-
lo segno. Allungò una mano e toccò le contusioni. Billy si ritrasse di scatto. Tutta la riserva di tenerezza di Barton affiorò in superficie. Il ragazzo stava soffrendo davvero. Ma quando Billy si scostò, gridando, dal suo tocco, fu attraversato da un brivido delizioso. No! Non voglio una cosa simile! Oh, sì che la vuoi. Billy stava ritraendosi come una creatura selvatica all'estremità di una gabbia, e questo era semplicemente orribile. Gli sembrò che il suo cuore si chiudesse su se stesso. «Fa male», disse Billy a bassa voce. «Assurdo! Si vede appena.» «Davvero?» «Il dolore è tutto nella tua testa.» Aiutò il ragazzo a uscire dalla doccia. «Billy», disse. «Sì.» «Tendi le mani.» «Per favore, no. Non cercherò di scappare.» «Dovrei ammanettarti dietro la schiena, ma starò via tutto il giorno e non voglio che tu ti faccia di nuovo la pipì addosso.» Dopo la sua prima punizione Timmy aveva preparato la colazione e aveva servito Barton come un maggiordomo. Si era comportato benissimo proprio sino alla fine. Era stato sempre educatissimo. Non doveva pensare alla camera nera! L'errore era portarli laggiù. La camera nera era soltanto una fantasia. La maggior parte delle persone, anche di quelle che avevano avuto dei genitori schifosi, non era come Barton. La maggior parte era a posto. E allora perché lui no? Perché lui doveva essere in preda di quelle passioni trascinanti, incontrollabili? Qual era la risposta? Faceva parte del mondo segreto di tutti i giorni, dove non c'era posto per lui. Tutto quello che poteva fare era allungare una mano e portar via un ragazzo. Ma era segreto solo per lui, ecco perché era così triste. Tutti gli altri ci vivevano, quelle canaglie schifose! Barton gli stava sopra, palpeggiandolo, borbottando tra sé. Odorava di dopobarba, e che cosa significava quel nome sulla sua cravatta? Billy si morse le labbra per impedirsi di urlare quando Barton gli toccò il sedere. «Chi è Zio Strizza?» chiese ansimando Billy, cercando di nascondere a Barton che continuava a ritrarsi.
«Ha a che fare con il mio lavoro.» La doccia aveva reso più facili i movimenti, ma sentiva ancora molto male. «Chi è?» «Zio Strizza è un personaggio che interpreto nella libreria dove lavoro.» «No, voglio dire la signora.» «Imparerai qualcos'altro su di lei più tardi.» Per un attimo uscì dalla camera da letto. Billy lo seguì con gli occhi, il cuore inondato di stupore e di speranza. Aveva lasciato la porta spalancata! Billy riusciva a vedere la cucina, perfino il groviglio di arbusti al di là della porta. Poteva fare una corsa... No, non l'avrebbe fatta. Aveva troppo male. Barton ritornò portando delle lenzuola pulite, chiuse la porta e la bloccò. Con un'occhiata all'orologio si sedette ai piedi del letto. Sul viso aveva un sorrisetto incantatore. Accavallò le gambe. «Quante volte hai cercato di fuggire, Billy?» Billy non si era asciugato molto bene e aveva freddo. Aveva i capelli bagnati e prima di rispondere soffiò via un po' d'acqua dal naso. «Tre volte.» «E ogni volta non ci sei riuscito. Che cosa ti dice questo?» Billy pensò alla telefonata che aveva fatto alla mamma. «Non l'ho fatto!» «Non hai fatto che cosa?» Girò la testa da una parete all'altra nella frenetica ricerca di una risposta. Non doveva parlare della telefonata, assolutamente! «Non sono scappato.» Di certo Barton poteva vedere quanta paura avesse. «E non lo farai mai. Sono molto più forte e più furbo di te, Billy.» Lo guardò negli occhi. «Naturalmente sai che ho avuto degli altri ragazzi che hanno vissuto qui.» Billy annuì. «Me lo sono immaginato.» «E adesso dove credi che siano?» La polizia doveva fare in fretta! «Non sai rispondere?» Billy scosse la testa. Quando Barton sorrise di nuovo, Billy si colpì il viso con le mani, e le manette tintinnarono. Il bambino era allo stremo, non c'era altro modo di dire. Barton diede un
colpetto accanto a sé. «Vieni qui, siediti, parliamo.» «Non voglio!» «Non ho molto tempo, devo andare a lavorare!» Tirò il ragazzo accanto a sé e gli mise un braccio sulle spalle. Non riuscì a evitare di esercitare una certa pressione, e sentì il bambino cercava di divincolarsi. Ricordò quanto aveva gridato, come fosse stato sopraffatto da ondate di dolore selvaggio, quanto poco avessero contato le sue proteste. «Ti voglio bene», aveva detto, ripetendolo finché tutto quello che era riuscito a fare era stato gridarlo. Dopo che tutto era finito, avrebbe voluto ringraziarla. Portò alle labbra le mani ammanettate di Billy e le baciò. Il ragazzo gli lanciò un'occhiata, con gli occhi diffidenti e calcolatori. Barton poteva leggere il suo pensiero. Se mi bacia mi vuole bene. Povera creaturina. Sperava di nuovo. Barton era gentile. Quando Billy l'aveva guardato aveva visto sul suo volto un bel sorriso. Non osò alzare lo sguardo di nuovo, non voleva che Barton si arrabbiasse con lui. Se lo guardavi negli occhi, diventava sempre furibondo. «Billy, quando tornerò a casa, questa sera, finirò il mio lavoro con te.» Poteva essere vero? Poteva... «Potrò andare a casa?» «Nella tua lunga dimora. Sai qual è?» «La mia casa non è lunga. È normale. L'hai vista.» «La lunga dimora è una frase della Bibbia. È nell'Ecclesiaste. Sai qualche citazione dalla Bibbia?» «Non molte.» «'Quando si avrà paura delle alture e si avranno degli spaventi per la via, fiorirà il mandorlo, la cavalletta diventerà pesante, e il desiderio verrà meno, perché l'uomo deve andare nella sua lunga dimora e già sono per la strada le piangenti.' Conosci questa?» «No.» Il cuore di Billy fu invaso dalla più gelida delle paure. «Che cos'è la lunga dimora, figliolo? Riesci a capirlo?» Billy aveva la bocca secca. Mentre guardava la porta, la finestra sbarrata, e poi di nuovo la porta, sembrava una fragile sentinella. Barton gli tolse il braccio dalle spalle e glielo mise attorno alla vita. Billy non riuscì a evitarlo, era tanto spaventato e tanto solo: si appoggiò alla spalla dell'adulto. «'Prima che si rompa il cordone d'argento, e faccia le grinze la benda d'oro, e si spezzi sulla fonte la brocca, e la carrucola cada in frantumi den-
tro la cisterna, torni la polvere alla sua terra da cui ebbe origine, e lo spirito torni a Dio che l'aveva dato.'» Billy aveva udito a stento le parole cantilenate. «Sai che cosa significa?» Calde lacrime sgorgarono dagli occhi del ragazzo. Barton gli accarezzò la testa. «Ti voglio bene dal profondo dell'anima», disse. La sua voce era roca per l'emozione. Per qualche istante restarono entrambi in silenzio. «Hai fatto una telefonata, ieri sera?» «No!» «Tu, carognetta, l'hai fatta, invece, cazzo!» «No, non è vero!» «Mam-ma! Ti ricordi? Quando ti ho sentito pronunciare quella parola?» «M-mai. Mai!» Barton lo afferrò per le spalle, lo girò e lo guardò con occhi truci. «Sei un fottuto bugiardo!» Billy non riuscì a trovare delle parole per rispondere a quella voce furiosa e ruggente. Scosse la testa più forte che poté. «Sì. In qualche modo sei uscito di qui e hai telefonato! Confessa!» Billy cominciò a piangere. Non poteva fare nient'altro, in quel momento. Barton lo afferrò, se lo tirò vicino. «Oh, per favore perdonami. Perdona il povero Barton! Ho tanta paura!» «Non è niente», disse Billy in modo goffo e incerto. «Okay, Barton, okay.» Barton sospirò. «La casa è piena di specchi», sussurrò. «Beh, devo andare al lavoro.» Di nuovo abbracciò Billy, baciandolo a lungo su una guancia. «Le parlerò. Le farò passare le pene dell'inferno, per averti frustato tanto forte.» Nell'attimo stesso in cui la serratura scattò, Billy cominciò a respirare con difficoltà. Cercò di fare un lungo respiro, ma gli sembrò che non servisse a niente. Fu colto dal panico e cominciò a percorrere la stanza a grandi passi, senza riuscire a fermarsi. Mentre camminava emetteva dei suoni. «Ah... ah... ah...» muovendosi come quella grande scimmia che tenevano in una gabbia isolata allo zoo di Des Moines, che scendeva per una parete fino all'angolo, si girava, scendeva per la parete vicina: anche lui seguiva la parete fino alla porta, vi sbatteva contro la mano, poi passava davanti al bagno e ritornava indietro. Rifece quel giro più e più volte. Non mi fermerò mai più, pensò.
Barton si appoggiò contro la porta e rimase in ascolto. Si allontanò dall'uscio, facendo uno sforzo cosciente per rilassarsi. Fa' un respiro profondo, espira lentamente. Lascia cadere le spalle. Fa' in modo che la tensione scivoli giù e cada sul pavimento. Il bambino non era uscito. «Mam-ma» era stato un sogno. Nella camera nera tutti gli squilibri venivano corretti. Ma aveva qualcosa di urgente che l'aspettava: la vita reale, una mattina di sole, del lavoro da fare! Andò in bagno e prese la scatola del trucco. Per qualche ora sarebbe stato Zio Strizza. Oh, ogni tanto avrebbe potuto sgattaiolare via per controllare Billy, ma essenzialmente sarebbe stato calato nella parte per tutto il giorno. Più tardi avrebbe comperato il vino e noleggiato Cabaret. La separazione era un dolore così dolce. 28 Inaspettatamente lo vide. Sulle prime non ne fu certa: non sapeva se si sarebbe trovato all'aeroporto quando atterravano. Aveva un aspetto così vecchio, così sciupato ed esausto che faceva fatica a credere che fosse Mark. Aveva i capelli scarmigliati, sembrava che fossero diventati grigi dalla sera alla mattina. Camminava con la rigidità di un vecchio. Non riusciva a immaginarselo mentre faceva jogging accanto a lei lungo la Lincoln Avenue o si arrampicava sul tetto con un mucchio di assicelle sulla schiena. Sollevò la testa e drizzò le spalle. «Mark», gridò. Incrociarono lo sguardo. «Oh, Mark!» Poi si abbracciarono. Che sollievo! Allungò il braccio destro e strinse anche Sally nell'abbraccio. «Come hai fatto a trovarci, papà?» «Toddcaster mi ha detto che volo avevate preso. Anch'io sono arrivato solo un'ora fa.» «Mark, dove andiamo? Che cosa facciamo?» «La polizia... è una cosa immensa, qui, tesoro. Non ne hai idea. Hanno una squadra speciale che si occupa solo di ostaggi.» «Ma non è un ostaggio.» «L'impiegano per liberare chiunque sia trattenuto illegalmente. Credo che daranno l'assalto alla casa, quando la troveranno.»
Tra sé pensò che Billy sarebbe stato ucciso. Ad alta voce chiese: «Mark, quanto ci sono vicini?» «Non ho parlato con loro personalmente. Me l'ha detto Toddcaster. Finché non trovano la casa, la faccenda è in mano della sezione persone scomparse. Poi se ne occuperà la squadra ostaggi. L'FBI agisce come consulente, ma parteciperà all'arresto.» E Billy? Se Royal vedeva arrivare la polizia l'avrebbe ucciso. O se agivano maldestramente e lui capiva che lo stavano cercando, sarebbe fuggito portandolo con sé. Se fosse successa una cosa simile, il suo istinto le diceva che non avrebbero mai più rivisto loro figlio, né morto né vivo. Non diede voce a quelle paure finché non furono nell'auto noleggiata. «Siamo al Crown Motel sull'Hollywood Boulevard», le informò Mark. «Sono settantacinque dollari al giorno e non è lontano da Hollywood Hills. E soprattutto accettano la MasterCard.» Anche mentre trasmetteva semplici informazioni la sua voce aveva un tono da oltretomba. Lui pure temeva che Billy sarebbe stato perduto dagli sforzi delle persone che cercavano di salvarlo. Stavano procedendo su una strada lunghissima, con bassi edifici da entrambi i lati. Il cielo era bianco e ogni cosa era illuminata dal primo sole. L'aria odorava leggermente di gas di scarico e di fiori. Sally si era impadronita della cartina e stava facendo con entusiasmo il navigatore. «La polizia sa dove staremo?» chiese Mary. «L'ho detto a Toddcaster. Ma lui mi ha consigliato di presentarci lo stesso. Mi sa che quello che dovremmo fare, secondo loro, sia semplicemente aspettare. Ci porteranno Billy dopo che l'avranno trovato.» «Voglio esserci anch'io.» «Sarà pericoloso...» «Soprattutto per mio figlio!» «Nostro figlio.» «È quasi peggio quando sei vicino.» Dal sedile posteriore Sally tese una mano e accarezzò la guancia di Mary. Lei premette forte la mano della figlia. «Sei il massimo, dolcezza.» Avanzarono per quello che sembrò un tempo lunghissimo. Piccoli centri commerciali passavano uno dopo l'altro in una sfilata interminabile, incredibilmente monotona. Quanti negozi di video, lavanderie, pasticcerie, empori di generi vari potevano esserci? Mark doveva pensare la stessa cosa, perché infine chiese a Sally: «Devo
girare, tra poco?» «La Cienega finisce a Santa Monica. Svoltiamo là e risaliamo l'Hollywood Boulevard. In realtà è la via più breve con poche deviazioni.» «Sono tanti chilometri.» «Mi sento come se non avessi più autocontrollo», osservò Mary. «Sull'aereo ho quasi perso la testa.» «Il mio volo è durato solo un'ora. Così, quando stavo per impazzire mi sono ritrovato ad aspettarvi all'aeroporto. Uno non vuole restare escluso dalle notizie.» Il traffico si intensificò, e alla fine dovettero procedere a singhiozzo. Mary continuava a immaginarsi una certa casa circondata dalla polizia in giubbotti antiproiettile, con il suo ragazzino dentro insieme a Barton Royal. «Qui, c'è una stazione che trasmette sole notizie?» chiese infine. «Probabilmente ce ne saranno due o tre, in un posto così grande.» Accese la radio e girò la manopola finché non udì un annunciatore. Ma stava parlando della Lucia di Lammermoor. «Quella è FM, mamma. Prova con AM.» Trovò l'interruttore e passò alla banda AM. All'improvviso sentì ancora parlare. «Se degli alligatori crescono davvero nelle nostre fogne...» Girò di nuovo la manopola, costringendosi a controllare il panico che stava di nuovo impadronendosi di lei. «Vaffanculo», gridò all'improvviso Mark premendo il clacson. «In questa città la gente guida come degli zombie!» «Vuoi che ti dia il cambio?» «Mary...» «Ne sarei lieta.» «Al volante sei una frana. Finiremo sul marciapiedi.» «Andando all'aeroporto ha avuto la scorta della polizia», disse Sally. «È stata incredibile. Siamo andati a centosettantacinque!» Uscì dal traffico e cedette il volante a Mary. «Prima di tutto, Sally, indicami un percorso fuori delle strade principali.» «Questa cartina non è proprio perfetta. Ci sono molte più strade di quante ne siano segnate.» «Dai, Sally!» gridò Mary. «Quando puoi, gira a destra. Poi volta a sinistra, quando arrivi a Crescent Heights.» Arrivarono presto a Crescent Heights, dove il traffico era meno intenso.
Di tanto in tanto Mary riusciva ad aprirsi un varco con quella piccola macchina. Per brevi periodi arrivò a ottanta, sfiorò i cento. L'auto era lenta, con lo sterzo duro, rumorosa. Prese nota di non comperarne mai una così, qualunque marca fosse. Finalmente arrivarono in Hollywood Boulevard e ben presto si diressero verso est. Mary si rendeva conto solo vagamente che stavano oltrepassando posti famosi nella storia della cultura popolare americana. «Come è stato chiamato, questo posto: 'Un mucchio di baracche alla fine dell'arcobaleno'?» «Sembra davvero che sia così.» «Credo che sia proprio una citazione. L'ha detto Raymond Chandler o John Ford o qualcun altro. 'Hollywood è un mucchio di baracche alla fine dell'arcobaleno.'» «Invece è bella», osservò Sally. «È chiaro che hai subito un deciso crollo del gusto estetico», ribatté Mark. «Papà, è bella perché c'è Billy.» Alla loro sinistra si innalzavano le Hollywood Hills. A Mary sembrarono scure anche alla luce del sole. Era un posto brutto, ostile. Mentre aspettavano a un semaforo, una famiglia di sei persone, tutte con identiche camicie hawaiane, attraversò la strada. I bambini avevano tutti un anatroccolo. Mary appoggiò la testa al volante. Probabilmente Billy si trovava a soli dieci minuti proprio da quel punto. Sally agitò la cartina. Mark la avvisò: «È diventato verde!» Mary fu sorpresa nel sentire quel tono così duro. Era la creatura più mite del mondo. Si rese conto che la rabbia che era in loro stava venendo alla superficie. Sally parlò con un tremito di rabbia nella voce. «Se prendessi quell'uomo lo pugnalerei al cuore.» «Io lo farei morire lentamente», fece Mary con evidente piacere. «Il Crown Motel!» «Bel lavoro, ragazze!» Scesero dall'auto ed entrarono nell'atrio del motel, rivestito di triste linoleum e di formica. Ma intorno alla grande finestra panoramica c'erano vasi pieni di fiori. «Avete prenotato?» chiese la donna dietro al banco. «Neary. Siamo in tre.» «Avete la duecentosette, dietro l'angolo, potete parcheggiare proprio davanti alla porta.»
Pochi minuti dopo erano sistemati in una stanza con un tappeto verde dall'aria ruvida e che puzzava di fumo di sigaretta stantio. Mark gettò la sacca da viaggio sul letto e si diresse subito al telefono. Mary gli girava intorno; Sally cercò di mettere in funzione il vecchio condizionatore d'aria della Chrysler che sporgeva dalla parete opposta a quella dove si trovava il cassettone. «Sono Mark Neary. Vorrei parlare con il sottotenente Jameson.» Silenzio. «Robert F. Jameson.» Altro silenzio. «Parlo con la Sezione Persone Scomparse? Si tratta di mio figlio, William Neary. Abbiamo ricevuto una telefonata da lui. È stato rapito e ha detto a sua madre che si trova in una casa di Hollywood Hills. Siamo appena arrivati. Dallo Iowa.» Altro silenzio ancora. Mark si fece rosso. «Senta, se ne stanno occupando l'FBI, la polizia dello Iowa. quella di Stevensville, mezza dozzina di gruppi di ricerca di bambini scomparsi! Non c'è nessun bisogno che venga a darvi un descrizione! Il sottotenente Jameson sa già tutto! Non sto gridando!» Mark strinse forte il ricevitore. «Dovete sapere tutto! Avreste già dovuto lavorarci da ore! E l'FBI, che cosa fa? A Des Moines si è dato molto da fare, mi creda.» Silenzio, durante il quale Mark scosse furiosamente la testa. «Non sono maleducato», ribatté. Poi guardò stupito il ricevitore. «Quel figlio di puttana ha riattaccato!» Mark sbatté la cornetta contro il comodino. «Non rompere quel telefono!» urlò Mary, afferrando l'apparecchio. «Non posso crederci! 'Il sottotenente Jameson è fuori per un caso.' Non puoi credere che fottuto, formale, arrogante e presuntuoso fosse quello con cui ho parlato... Gesù Cristo!» «Prova con l'FBI, Mark.» «Non ho nessun nome.» «Allora Toddcaster. Chiamerò Toddcaster.» Guardò l'orologio. A Des Moines erano le tre. Sarebbe stato in ufficio. Sollevò il ricevitore al secondo squillo. «Toddcaster.» «Salve, sono io.» «Salve, io. Ha un nome?» «Mary. Mary Neary.» «Oh, Cristo! Mi scusi. L'avete già trovato?» «Siamo qui in un motel.» «Giusto. Il Crown Motel in Hollywood Boulevard.» «Mio marito ha chiamato la polizia di Los Angeles, si sono comportati come se non sapessero niente. Non ci hanno affatto aiutato.» «Bene, ho capito. Farò un paio di telefonate.»
«E ci richiamerà?» «Mi dia dieci minuti.» Riattaccò e si gettò sul letto scricchiolante. «Ci richiamerà», annunciò. Sally stava guardando la CNN alla televisione. Mary provò ad accendere la radio, ma non funzionava. «Naturalmente», mormorò. Mark si stese accanto a lei. «La CNN non trasmetterà niente», disse alla figlia. «Non siamo nessuno, per quanto li riguarda. Non arrivi al notiziario nazionale a meno che tu non sia Donald Trump e a tuo figlio non sia uscito sangue dal naso nel cortile della scuola. Siamo solo comune spazzatura, che soffre le pene dell'inferno. Non siamo interessanti. Oh, Cristo!» La frustrazione nella sua voce sottolineò la loro impotenza. «A ogni modo non posso soffrire la pubblicità», osservò Mary. «L'unica persona che vedrà il nostro bambino è quella che l'ha preso. Ci scommetto che quelle persone frequentano i luoghi dove vengono affissi i poster.» «Mi sento così maledettamente inutile. È questo che non posso soffrire. Voglio dire, probabilmente è solo a tre chilometri da qui!» «Forse potremmo trovarlo da soli», suggerì Sally. C'erano molte cose che un bambino non poteva capire, neanche una ragazzina intelligente di tredici anni. «Potremmo attaccare dei poster», propose Mark. «Ne ho duecento, nella valigetta.» «Penso che sia pericoloso.» Lui saltò giù dal letto. «Beh, se non posso fare altro che stare qui ad aspettare diventerò completamente matto, mia cara Mary!» Lei allungò le braccia verso il marito, poi esitò. «Forse nell'atrio vendono uno stradario», disse Sally. «Se qui si fermano dei rappresentanti ci scommetto che ce l'hanno.» «Bene, va' a vedere se lo trovi. Tua madre e io aspetteremo che quel vecchio ciccione di Des Moines si decida a richiamarci.» «Non è grasso, è corpulento.» «Stai parlando di sinonimi.» «Ritengo 'corpulento' leggermente più dignitoso. Comunque, gli dobbiamo molto.» «E anche a Turpin, a Richard Jones, che tra parentesi è un tipo molto simpatico, e al Gruppo di ricerca. Grazie, grazie, grazie a tutti! Dove diavolo è mio figlio?» Sally si precipitò fuori della stanza. «Mark, voglio che moderi il tono! Non le fa bene, vederti così.»
«Bambina, anche tu non sei esattamente rose e fiori. Dovresti guardarti allo specchio. Hai il viso che sembra una pubblicità della pelle avvizzita.» «Per poco non mi sono strappata i capelli, quando Billy ha telefonato.» Mark le si avvicinò e la strinse tra le braccia. «Cara, cara, scusa. La mia povera bambina.» Quando le accarezzò la tempia dolente lei chiuse gli occhi. Dopo un attimo si scostò, scuotendo la testa e ridendo amaramente. «Era la carogna più insensibile e prepotente che abbia mai incontrato. E dire che ho a che fare con i comitati scolastici, santo cielo!» Il telefono squillò. «Walter!» Mary afferrò il ricevitore. «Per farla breve, il sottotenente Jameson dirige tutta la baracca. Penso che non lo troverete mai in ufficio. Hanno una squadra di agenti che lavora al caso di Billy. Stanno dandosi molto da fare. Il problema che hanno è che se non sono sicuri di avere individuato la casa giusta non possono ottenere un mandato per entrare. A quanto pare i giudici californiani non sono tanto facili da trattare.» Si era aspettata che mezzo dipartimento di polizia stesse setacciando Hollywood Hills, cercando suo figlio in ogni granaio e in ogni cantina. Ma Walter stava parlando di mandati di perquisizione, di giudici, di cose che conducevano tutte a un unico fatto: Billy non lo trovavano. «Di che cosa hanno bisogno? Che cosa li farebbe muovere?» «Hanno tutte le loro auto in zona, che cercano di individuare l'Aerostar...» «Ma l'ha nascosto! L'ha detto Billy! Non capiscono?» «Ehi, mi lasci finire. O la Celica marrone. Se vedono un uomo che corrisponde alla descrizione di Barton guidare uno dei due veicoli lo seguono fino a casa e poi vanno dal giudice.» «Ma perché hanno trattato Mark in quel modo? È stato incredibilmente crudele, fare finta di non saperne niente.» «Conoscono il vostro indirizzo. Ma sono diffidenti. Non vi vogliono fra i piedi quando entreranno in azione.» «Ma gli vogliamo bene, è nostro figlio!» «Gli uomini come Barton sono estremamente pericolosi, Mary. La polizia di Los Angeles lo sa bene quanto noi, e probabilmente meglio. Se si rende conto che i poliziotti gli sono addosso, Barton Royal ucciderà Billy. Vogliono rendersi le cose più facili possibile, e una delle loro priorità deve essere non lasciare che dei genitori ansiosi si mettano in mezzo.» Quando Mary lo ringraziò la sua voce era poco più di un sussurro. Mark
batté il pugno contro la porta del bagno. «Non ci vogliono intorno nel caso in cui Billy rimanga ucciso perché hanno paura di essere accusati di condotta inadeguata e di finire in tribunale.» Sally ricomparve con qualcosa chiamato The Thomas Guide. «La guida stradale completa», annunciò. «C'è proprio tutto!» Mary lo prese in mano. Non era una cartina, ma un grosso volume. Lo sfogliò. «Dov'è Hollywood Hills, bambina?» Mark lo aveva afferrato. «Quadri trentatré e trentaquattro. Potrebbe esserci anche nel ventitré e nel ventiquattro.» «Ridgeway», annunciò Mark. «Eccola qui.» Guardarono tutti. «È una zona piccola», osservò Mark. «Riusciremmo a battere tutte le strade senza uscita che partono dalla Ridgeway in un'ora.» «Ha detto vicino alla Ridgeway, mamma, non una traversa della Ridgeway.» «Ma dalla casa riesce a vedere Los Angeles, quindi guarda a sud. Quello dovrebbe restringere il campo.» «No, mamma. Di notte questo posto dev'essere un mare di luci. In realtà quello ci dice solo che la casa si trova in alto. Ma qui tutte le case sono in alto!» «Quindi la zona che dobbiamo perlustrare è grande!» Mark si ributtò sul letto. «No», rispose Sally. «'Vicino alla Ridgeway.' Se siamo fortunati questo dovrebbe bastare.» Tre minuti dopo erano in auto. Mary guidava e Sally faceva il navigatore. «Tienti sulla Hollywood. Quando incrocia Laurel Canyon si trasforma in un altro genere di strada.» Era proprio così. Mary con aveva mai visto niente di simile a quell'irregolare labirinto di stradine, con ogni incrocio nascosto dietro un'altra curva. E alla macchina le colline non piacevano molto. «King's Road», annunciò Sally. «Va' piano, la Ridgeway è la prossima a destra.» «Questa è la Queen's Road.» «Gira lo stesso a destra.» Mary vide il cartello. Ridgeway. Probabilmente Billy si trovava a un chilometro o due da quel punto esatto. Voltò nella strada quasi su due ruo-
te, ingranò violentemente la prima e accelerò al massimo per scalare la ripida collina. «La prossima è a fondo cieco», disse Sally. La sua voce era tesa. Era tanto concentrata sulla cartina che praticamente non guardava mai fuori. «Volta a destra», disse in fretta. «Riesco a percepire la sua presenza», disse Mary. «Ecco», fece Mark, «quella è una casa che corrisponde.» Mary era tanto stordita che quando il pendio si fece ancora più ripido non scalò la marcia e fece spegnere il motore. L'auto proseguì per un poco alimentata dallo starter finché Mary non mise in folle, ma ormai il motore si era ingolfato e dovettero aspettare. La casa era proprio dove doveva essere, alla fine della strada. Da un lato c'era il garage, poi un muro sotto quella che probabilmente era la finestra del bagno. Quindi la porta d'ingresso e vicino una finestra più grande con la tapparella completamente abbassata. Oltre c'era un'ala che doveva contenere la camera da letto. Per di più c'era una piccola auto marrone parcheggiata davanti. «È una Celica?» chiese Mary. «Di certo è una Toyota», rispose Mark. «È una Mazda sei-due-sei, papà.» Mary guardò la casa, immaginando il figlio dietro le finestre. «E lì», disse. Si costrinse a rimanere calma, a riflettere. Di nuovo provò a mettere in moto. Quella volta l'auto partì. Arrivò fino alla casa. Mark la guardò. Lei ricambiò lo sguardo. Sally fece la domanda che era rimasta inespressa. «Che cosa facciamo?» «Ovviamente dobbiamo entrare.» «Sapevo che saremmo finiti in una situazione simile.» Il tono di Mark esprimeva molto eloquentemente la sua incertezza. Mary la ignorò, con voce irata. «Ovviamente non ci conosce. Inventeremo un pretesto.» «Non è affatto ovvio, mamma. Era in casa. Per quello che ne sappiamo, ci ha guardato ben bene tutti e tre.» «Allora facciamo irruzione», propose Mark. Mary obiettò. «Se ci sente o ci vede, Billy è morto. Forse siamo morti tutti.» «Sentite, voi due. Credo che dovrebbe essere semplicissimo. In quella casa ci vado io. Dico che mi si è rotta la bici e che ho bisogno di telefona-
re. Quindi entro.» Era una ragazza molto coraggiosa, ma quella era un'idea orribile. «Non ci porterà a niente, tranne che avrà entrambi i nostri figli.» «So badare a me stessa, mamma!» «Gli agenti di polizia addestrati entrano in case come quella con i giubbotti antiproiettile.» «Ma là dentro c'è Billy, lo sappiamo tutti!» «Se decidessimo in questo senso, ed è soltanto un'ipotesi, tesoro, dovresti solo cercare degli indizi. Vedere se in quella casa c'è qualcosa che sembra sospetto, trovare un oggetto che appartiene a Billy, individuare la sua voce...» «Mark, non deve entrare in quella casa! Assolutamente no!» «E se lo vedo?» «Lo ignori.» «No, quello lo so. Voglio dire, e le sue reazioni?» «Sì, questo è un problema.» «Ma papà, è in quella casa, lo so!» «Ci vado io», annunciò Mary. Scese dall'auto e si avviò lungo il vialetto. Avrebbe detto che avevano un guasto e che doveva telefonare. Considerata la carretta che avevano, si trattava di una cosa assolutamente credibile. Il sole del mattino picchiava. In alto, il cielo era diventato di un azzurro intenso. La bellezza del giorno era dolorosa da vedere. Quando suonò il campanello, Mary era quasi in trance per la paura. Immediatamente un cagnolino si mise ad abbaiare, un rumore roco come quello di un seghetto elettrico che taglia un blocco di parmigiano. La porta si aprì un poco. Una donna molto anziana comparve sulla soglia, con il viso dolce e pieno di rughe. «In che cosa posso esserle utile?» «Io... noi... la macchina...» «Sì?» «Abbiamo avuto un guasto. Ho bisogno di chiamare un garage.» La donna la fissò con occhi di un verde sbiadito. Mary cercò di sorridere. Rendendosi conto che stava torcendo le mani se le portò ai fianchi, poi per nascondere il brusco gesto finse di lisciarsi la gonna. «Posso farla telefonare», disse la donna aprendo di più la porta. «Nessun problema.» Mary entrò nell'ingresso. L'interno della casa era scuro, e lei capì subito che si erano sbagliati. C'era un soggiorno, ma dava su un canyon cespu-
glioso e su altre case sulla collina dall'altra parte. E Billy non avrebbe dimenticato di parlare del ridicolo pechinese che le si avvicinò annusando e scodinzolando con tutto il corpo. «È in cucina, mia cara», disse la donna sorridendo. «Stavo facendo un dolce per mia figlia.» «Ha un profumino magnifico», disse Mary, ma le si spezzò la voce e non riuscì più a dire una parola. Corse fuori della cucina e ritornò in macchina, lasciando la donna perplessa sulla soglia. «È la casa sbagliata.» «Come lo sai?» «È la casa sbagliata, Mark! Andiamocene.» Mise in moto. Dalla porta la donna commentò: «Si è aggiustata da sola». Sorridendo, ritornò al suo forno. La macchina si allontanò lungo la strada assolata. 29 Barton irruppe nel Tiny Tales e abbracciò Gina. «Oh, bambina, bambina, mi dispiace tanto, accidenti!» «Richie, piantala.» Era in piedi vicino alla cassa con quel suo vestito a quadretti blu e bianchi che non era assolutamente adatto alla sua età. Anzi, diceva chiaramente che la sua gioventù era passata da un pezzo. I capelli scuri erano pettinati a crocchia attorno al viso abilmente truccato. «Hai un aspetto meraviglioso, Gina, mia cara, assolutamente meraviglioso!» «Richie, dove sei stato?» «Te l'ho detto, mi sono ammalato a Maui. È stata una cosa terribile. Sai quel kahuna, lo stregone che dovevo incontrare?» «Mi ha chiamato. Non ti sei fatto vedere. Non gli hai nemmeno telefonato.» «Sono stato per tutto il tempo nella camera del motel, avvolto nelle coperte. Non potevo assolutamente muovermi, non potevo neppure pensare. Non sono mai stato tanto male in vita mia!» Gina incrociò le braccia. «Continui sempre a sparire, Richie. In giugno ti ho detto...» «C'è stato un decesso in famiglia, non puoi dare la colpa a me, per quello!» Fece un broncio studiato.
Sulle labbra di Gina passò un lievissimo sorriso, e Barton capì che l'avrebbe avuta vinta ancora una volta. «Bene, Richie, ritorni sempre con qualche debole scusa. Per una settimana non sono nemmeno riuscita a mettermi in comunicazione con la tua segreteria telefonica, ed è saltato fuori che stavi mettendo tua madre in una casa di riposo ad Anaheim. E quella tua stanza a Los Feliz... mio dio, tutte le volte che sparisci penso che tu sia stato vittima di un'aggressione mortale.» Barton assunse l'espressione più triste, più sciocca, più avvilita che riuscì a mettere insieme. «Quella stanza è tutto ciò che posso permettermi.» Sbatté le palpebre. «Questa è una città molto cara, e Richie non è un uomo facoltoso, nonostante il suo nome.» Faceva la sua imitazione di Stan Laurel quando aveva dei guai con Ollio. Ci volle un intero minuto, ma il tremolio delle labbra si trasformò in un vero sorriso. «Ho delle notizie piuttosto buone.» Lui batté le mani e fece un saltello. «Potresti guadagnare abbastanza soldi per trasferirti a West Hollywood, perché oggi abbiamo centocinquantatré prenotazioni!» Era davvero una buona notizia. Centocinquantatré bambini a cinque dollari l'uno erano dei bei soldi, non c'era dubbio. «Zio Strizza sta diventando un successo, Richie caro.» Il tono di Gina gli disse che il momento delle scuse era finito. Barton poteva smettere di recitare. «Certo che lo è.» «Stephanie Strauss porta il suo ragazzino, e ciò significa che la seguiranno altre mamme a tempo pieno di Hollywood.» «È fantastico.» «C'è la ciliegina sulla torta. Lo Style di Los Angeles sta facendo un articolo sul negozio, e tu sei il soggetto in primo piano.» Sentì che il sangue gli defluiva lentamente dal viso. Aveva desiderato che Zio Strizza fosse un successo, ma non aveva previsto una cosa del genere. Lo Style di solito pubblicava un sacco di grandi foto su carta patinata. Ma non c'erano problemi. Sarebbe stato truccato da Zio Strizza. Poi pensò che il cronista avrebbe certamente controllato i suoi precedenti. Lo Style pubblicava degli articoli che potevano distruggere un uomo. Avrebbero apprezzato molto che lo showman preferito dai bambini di Hollywood era un uomo misterioso che viveva sotto falso nome. «Richie Williams» era una costruzione molto fragile. I documenti di identità non avrebbero retto molto a un'indagine fatta da un professionista.
Era poco più di un numero dell'assistenza sociale e di un paio di schifose carte di credito. Barton si avviò nel magazzino sul retro per truccarsi. «Che ne dici del negozio?» gli gridò dietro Gina. «Non credi che sia grazioso?» Dappertutto c'erano dei libri esposti che andavano dai deliziosi racconti di Bill Peet per i più piccini a quelli di Judy Blume e John Bellairs per i più grandicelli. C'erano dei tavoli coperti di volumi, interi scaffali di libri, spazi di lettura sui più svariati argomenti: l'angolo dei dinosauri, quello dei pompieri, quello della «casa dolce casa», e quello di Zio Strizza, tutti con allegre decorazioni in tema. «Davvero magnifico, Gina. Proprio davvero!» Il magazzino era buio e nascosto dietro una porta contornata da scaffali. A Barton piaceva di più con le luci spente. Nello stesso istante in cui sentì l'auto di Barton mettersi in moto, Billy sollevò un angolo della veneziana. Osservò la Celica fare marcia indietro nel vialetto di accesso, immettersi nella strada e andarsene. Guardò fuori a lungo. Non successe gran che, ma non riusciva a smettere; era ipnotizzato dal proprio ardente desiderio. Stava anche aspettando qualcuno. La mamma aveva detto che sarebbero venuti. L'aveva proprio detto. La Mercedes blu era parcheggiata nel suo vialetto. Nelle altre case nessuno arrivò o partì. La strada rimase vuota. «Mamma», disse ad alta voce. Il suono della propria rabbia gli portò un po' di forza. «Dove sono?» gridò. «Mamma, l'hai detto! Dove sono?» Quella donna! pensò poi. E se quella donna stava ascoltando? Mi sentirà gridare e verrà qui con la frusta! No. Se l'avesse sentito sarebbe venuta immediatamente. In quel momento le starebbe già prendendo. Eppure si avvicinò furtivamente alla porta e rimase ad ascoltare. Non udì nessun rumore, tranne lo sgocciolio in cucina. Quello gli fece ricordare che aveva fame. Barton era stato meschino a non dargli niente per colazione. Forse non avrebbe mangiato per tutto il giorno. O mai più... forse non avrebbe mangiato mai più! Doveva uscire di lì e non poteva! Oh, un momento. Certo che poteva! Corse verso l'armadio-cabina. Ma gli faceva ancora male, a muoversi, e rallentò. Mise la mano sul pomolo di
vetro, lo girò lentamente e aprì la porta. Entrò, si chinò a fatica e aprì l'entrata nascosta che portava in cantina. Là dentro l'oscurità era assoluta. «C'è qualcuno, qua dentro, che abbia almeno sudici anni!» Gridarono all'unisono: «NO!» «Che cosa, nessuno ha sudici anni?» Guardò le madri con finto orrore sul volto. «Perché mi avete portato tutti questi smancerosi pocci pucci piccinini?» Hanno pagato cinque dollari, per questo, pensò, e rise tra sé. «Non hanno nemmeno sudici anni!» ripeté. «Io ho sudici anni», annunciò una ragazzina. «Oh-oh», gracchiò Barton prendendola in braccio. «Come ti chiami, signorina sudicenne?» «Sukie.» «Sukie La Bella», mormorò fra sé. I suoi riccioletti biondi andavano su e giù. Era molto, molto seria. «Sai che cosa facciamo alle ragazze cattive, vero, Sukie?» Lei si agitò, ridacchiò e fissò la Scatola della Strizza, che era il nocciolo dello spettacolo. Nessuno sapeva che cosa c'era dentro. Era un numero comico di suspense. I bambini adorano la suspense. Sukie sarebbe stata la prima a venire messa dentro la scatola? Barton guardò in giro per la sala. «Faremo una votazione! Sukie ha davvero sudici anni? Chi dice NO-O-O?» I ragazzi urlarono, si eccitarono, quelli che erano stati sul palcoscenico prima di lei gridarono deliziati. «Sukie, sai che cosa vuole dire?» chiese Barton. In quel momento era molto serio. Sukie continuava a ridacchiare e non riusciva a parlare. Barton la portò accanto alla grande scatola rivestita di carta rossa. Adesso Sukie rideva, ma Barton sapeva essere prudente. I piccoli erano molto sensibili. Barton premette il pulsante giallo dall'aspetto minaccioso sulla Scatola della Strizza. Si udì un foltissimo ruggito e tutti i ragazzi gridarono. «Vuoi entrarci, signorina 'sudicenne' Sukie?» «Sì!» gridarono tutti i ragazzi. Sukie scosse la testa con molta, molta forza. Barton si guardò intorno confuso. «Ma Sukie dice di NO-O-O!» Le sussurrò: «Non ti ci metterò». «Lo so, Zio Strizza», disse la bimba, e lo baciò.
Il suo bacio era umido, e la sua pelle aveva un gradevole profumo di latte. Billy sbirciò nel buco buio che odorava di muffa. Fin dove arrivava? Se faceva un salto poteva cadere per sempre. O poteva cadere per tre metri e non riuscire più a risalire. Era tormentato da un'incertezza che lo faceva soffrire. Aveva telefonato alla mamma ore e ore prima. E nessuno era venuto a prenderlo! Nessuno! Ma non era vero, alla mamma importava di lui! Era stato così anche quando si era arrabbiata perché non voleva smettere di parlarle. Forse se riusciva a entrare in cantina, sarebbe potuto uscire da un'altra porta e allora avrebbe potuto chiamare la mamma e parlarle finché voleva. Avrebbero anche potuto rintracciare da dove chiamava, come facevano nei film alla televisione. Si sedette sul bordo, con le gambe penzoloni nell'oscurità. Non poteva soffrire il buio. «Adesso vediamo, forse se metto io la mano nella Scatola della Strizza...» Premette il bottone e provocò un altro forte ruggito. I ragazzi ammutolirono. Per quanto alcuni di loro l'avessero già visto parecchie volte, il dubbio li catturava sempre. «Oh-oh», esclamò Barton come reazione al ruggito. Ritirò la mano quasi fosse spaventato. «Sukie», chiese in tono lamentoso, «non vorresti mettere nella Scatola della Strizza almeno il mignolino?» Premette di nuovo il pulsante. «Perché la Scatola della Strizza ruggisce soltanto quando premi il pulsante?» gridò una voce tra la folla. Molto intelligente. «Chi-i-i è stato?» gridò Barton. Vide un magnifico ragazzino con un timido sorriso sul volto. «Sei stato tu, vero?» Pochi anni ancora e quel ragazzo avrebbe fatto arrestare il cuore, tanto grande sarebbe stata la sua bellezza. «Sì!» Era uno dei più grandi, aveva forse sei o sette anni. «Come ti chiami?» «Christopher!» Barton disse a Sukie: «Vuoi andare a prendere Christopher e portarlo qui? Credo che abbiamo bisogno di un po' di aiuuuto!» Il ragazzo esclamò: «Oh-oh». «Sapete», disse Barton alla folla mentre Sukie con grande sussiego scendeva a prendere Christopher, «qualche volta un ragazzo della taglia di
Christopher esce dalla Scatola della Strizza in un pezzo solo! Ma è un pezzo molto, molto, mooolto piccolo!» Mentre parlava fingeva di prendere delle misure con le mani, avvicinandole sempre più finché tutte le dieci dita non furono ammassate insieme e lui stava sbirciando una minuscola briciola tra di loro. Si sentirono delle urla e delle risate. Era sorprendente quanto divertimento potevano trarre da una semplice scatola di cartone e da un po' di suspense. Era un bel gruppo di bambini. Sukie e Christopher arrivarono tenendosi per mano e lo guardarono raggianti. Già che c'era, pensò che poteva anche informarsi sul cognome di Christopher. Billy prese una botta molto forte cadendo e si ritrovò su un ruvido pavimento di calcestruzzo. Il dolore lo fece gridare e rotolarsi, aumentando ancora di più la sua sofferenza. Gli ci volle molto tempo, ma infine riuscì a riprendersi. Si alzò sotto la fioca luce che veniva dall'alto, cercando di vedere il resto del locale in cui si trovava. La prima cosa che notò fu il giubbotto di Timothy, a poche decine di centimetri di distanza. Come aveva pensato, Barton l'aveva gettato per toglierlo dalla vista. Billy lo raccolse. «Mi chiedo se eri come me», disse ad alta voce. «Timothy Weathers.» Se lo strinse contro il petto. «Sei morto.» Il silenzio era totale. «Timothy Weathers, dimmi che cosa si prova a essere morto.» «Ora, visto che Sukie non vuole mettere la mano nella Scatola della Strizza, e neanche Christopher vuole mettere la sua, qualcuno deve pur farlo!» Spinse il pulsante con il gomito. Quella volta il ruggito fu un po' stonato. Prima dello spettacolo del pomeriggio avrebbe dovuto cambiare le batterie del registratore a cassetta. In passato Gina l'aveva biasimato per la scarsa qualità delle sue attrezzature di scena, e non gli era importato. Ma, mio dio, quel gruppo si stava eccitando davvero. Quei bambini facevano troppo chiasso, accidenti! «Adesso canterò una canzone, e se dico giuste tutte le parole dovrete mettere tutti la mano nella Scatola della Strizza. Ma se sbaglio anche solo una parola gliela metterò io! D'accordo?» Gridarono di sì. «Canto una canzone da sei pence, razzi pieni di torta...» Il pubblico mugghiò. Lui continuò ostinatamente, superando gli urli. «Ventiquattro
merli, cotti al forno in una sola torta!» Sorrise e aggiunse: «L'ho detta bene, quindi andiamo... mettete le mani in quella scatola!» La risposta fu un allegro pandemonio. Il soffitto era solido. Non c'erano scale né finestre. Quello di fuggire mentre Barton era fuori era solo un sogno. Mentre si muoveva a tentoni desiderò di avere una torcia elettrica o una scatola di fiammiferi. Non gli ci volle molto per capire perché la cantina fosse tanto buia: gran parte di essa si trovava dietro un muro di scorie di calcestruzzo. L'unica uscita era una stretta porta d'acciaio a metà di quella parete. Billy vi si avvicinò. Quando la colpì rimbombò; era il tipo di porta che si poteva trovare nelle prigioni. Vi accostò l'orecchio. Sulle prime non udì niente, poi non ne fu tanto sicuro. Lentamente, con precauzione, si ritrasse. Poi... alle sue spalle! Si girò di scatto. Ma non c'era niente, solo l'oscurità e un fioco raggio di luce che proveniva dall'armadio. Restò immobile, con la paura di tornare indietro, con la paura di andare avanti. Cominciò a pregare, ma si arrestò. Pregare non l'aveva aiutato prima, perché avrebbe dovuto aiutarlo adesso? Probabilmente Dio non lo sentiva nemmeno. Forse non c'era nessun Dio. Probabilmente c'era solo il diavolo. Aveva commesso un grosso errore, doveva assolutamente uscire di lì! Corse vicino al raggio di luce, cercò di saltare. Non servì a niente. Era troppo in basso. L'unica altra uscita era la porta d'acciaio. Cominciò a piangere. Era quasi fatta, c'era solo da mangiare qualcosa e chiacchierare con i genitori. Uno spettacolo magnifico, e tutti avevano pagato i due dollari per i palloncini di Zio Strizza che alla fine si erano riversati fuori della scatola. «C'è uno Strizza, là dentro?» Il minuscolo viso di Chris Mohler si era sollevato verso di lui. «No.» «E allora perché si chiama Scatola della Strizza?» «Perché fa venire la strizza ai ragazzi come te!» Mentre parlava abbassò un braccio e gli fece il solletico.
I bambini gli si affollarono intorno. Non poté evitare di essere allietato dalla loro gioia, e per un attimo fu come se nella porta blindata che gli sigillava il cuore si fosse aperta una fessura. «È un pezzo che lavora con i bambini, signor Williams?» La voce era acuta e stridente. Apparteneva a una giovane donna che sembrava fatta di spago. Aveva gli occhi vicini, i capelli in uno stato pietoso. Che cosa le era successo? In testa aveva della lana d'acciaio arrugginita, o era il risultato di una permanente fatta in casa riuscita particolarmente disgraziata? «Lei dev'essere dello Style di Los Angeles», gridò Barton sopra il chiasso. «Avremo finito tra dieci minuti, parleremo allora.» Continuò a fare dei grandi sorrisi, per paura che capisse che aveva una fifa tremenda. «Non c'è nessun mostro», si disse Billy, «non come quelli di cui hai paura.» Ma che cos'era quella specie di respiro dietro la porta? Quello l'aveva sentito, c'era davvero. Non poteva uscire di lì, e ora si trovava in una situazione ancora peggiore di prima! Non aveva scelta: tremando come il ragazzino terrorizzato che era, ritornò lentamente verso la porta. Mise la mano sul pomolo. Poi pensò: «La donna. Forse è lì che si nasconde durante il giorno». Quel pensiero gli fece ritrarre la mano come se la porta fosse incandescente. Aveva incise nella mente con il fuoco alcune immagini della donna: i suoi capelli biondi, il suo vestito largo, le sue labbra grasse e umide. Ricordava la sua voce, acuta, nasale e piena di rabbia. Soprattutto ricordava la grande cinghia nera. Quello che gli aveva fatto era rimasto indelebilmente impresso nel profondo del suo cuore. Ricordando, si piegò come per scansare i colpi. Trattenne il fiato finché i polmoni non furono quasi sul punto di scoppiare. Ma non c'era un altro modo per uscire. O apriva quella porta o aspettava lì finché Barton non fosse tornato a casa. Rimase immobile, con i pugni stretti, la testa abbassata, una creaturina in un luogo immerso nell'oscurità. Gina era evidentemente al settimo cielo, ma Barton trovava orribile la cronista. Mentre lui mangiava qualcosa il fotografo della rivista gli aveva scattato delle istantanee da vicino, e ogni volta che il flash lampeggiava Barton sobbalzava.
«Possiamo fare una foto senza costume?» Sta' attento. «Oh, credo proprio di no. Preferisco essere solo Zio Strizza.» «Allora mi può dare qualche notizia della sua formazione? Sembra che abbia un rapporto molto buono con i bambini. Da dove viene?» «Da una vita famigliare felice. I miei genitori erano quaccheri, e siamo cresciuti in modo tranquillo e molto dolce.» «Una specie di Friendly Persuasion moderno?» «Beh, non proprio. Ma era una famiglia affettuosa. Purtroppo la mia mamma e il mio papà sono morti.» «Ha dei figli?» Rispose educatamente di no, fingendo di esserne dispiaciuto. Mentre parlava il viso di Billy uscì dall'oscurità. La domanda successiva si riferiva alle sue esperienze precedenti. «No, nessuna esperienza precedente con i bambini. Naturalmente sono stato uno di loro, una volta, ah, ah, ah. Solo un attore disoccupato a cui piacciono i bambini.» Le domande continuarono a susseguirsi. Rispose finché non cominciò a diventare rauco. Mentre parlavano continuò a sorridere, facendo cenni di saluto ai clienti che se ne stavano andando. «Solo un altro paio di domande. Non ha mai detto esattamente da dove viene, signor Williams.» Sorridendo, riportò l'attenzione sul suo inquisitore, quella stupida fottuta strega! Billy cercò con la frenesia di un cucciolo terrorizzato una via di uscita che non fosse quella porta. Più volte cercò di fare un salto e di afferrarsi al bordo dell'apertura da cui era sceso. Ogni salto gli provocava grandi sofferenze, ma un angolo continuava a sfiorare la punta delle sue dita. Era ostacolato non solo dal dolore, ma anche dalle manette. Torcendosi e tirando cercò di liberarsene. La sua mente formulava delle scuse. Barton sono caduto; Barton la botola era aperta; Barton è stato un incidente; Barton per favore non farmi niente; Barton non dirlo a lei! Infine dovette smettere. Non aveva più forze e le natiche gli facevano semplicemente troppo male. Di nuovo si avvicinò alla porta d'acciaio. «Mio Dio, se ci sei davvero ri-
cordati che sono nato, che sono vivo, che sono quaggiù...» pregò. Le lacrime lo accecavano. Quando cercò di asciugarle il sudore salato gli punse gli occhi. Strinse i denti tanto forte che la mascella scricchiolò, ma mise entrambe le mani sul pomolo. Quella volta lo girò. La porta si spostò facilmente dallo stipite rivelando uno spesso rivestimento. Billy ebbe l'impressione che fosse estremamente pesante, come quella di una cassaforte, piuttosto che di una cantina. Dentro era buio come in una notte senza stelle. Che cos'era quel posto, e che cos'era quel terribile odore? Barton aveva bisogno di un po' di tempo per fare una scappata a casa. Il suo piccolo artista della fuga era imprevedibile e andava tenuto sotto controllo. Timmy era rozzo, ma almeno si poteva essere sicuri che fosse lì quando ritornavi. Rozzo e piuttosto stupido - grezzo, per essere franchi eppure il cuore sente la mancanza di ciò che è familiare. Doveva iniziare il prossimo spettacolo fra meno di un'ora. Accidenti alla cronista, accidenti a tutti! «Vogliamo tanto bene a Zio Strizza!» E via con le effusioni. «Richie, guarda qui!» Gina aprì il registratore di cassa. Stava parlando piano perché il negozio era ancora pieno di gente. Barton vi lanciò un'occhiata ed esclamò: «Magnifico!» Poi disse: «Senti, devo fare un salto a casa». Aveva affittato davvero quel buco a Los Feliz, ma non ci andava mai. Il fatto era che nessuno doveva sapere dove abitava veramente. La vita segreta di solito faceva parte del divertimento, ma qualche volta poteva diventare noiosa. «Non puoi, adesso, farai tardi per il prossimo spettacolo!» «No...» Gina sollevò l'orologio. Barton restò sbalordito. Era rimasto bloccato dalla cronista più a lungo di quanto si fosse reso conto, e l'enorme orologio giocattolo che faceva parte del suo travestimento da Zio Strizza non era per niente esatto. «Gina, devo assolutamente farlo!» «Non puoi!» «Gina, credo di aver lasciato acceso il forno!» «I forni possono stare accesi tutto il giorno, altrimenti come si farebbe a cuocere un tacchino, Richie, mio caro? Tu rimani qui. Non riesco a immaginare che cosa potrei fare con una folla di bambini in età prescolare che
aspetta te. Farebbero a pezzi il locale!» Lui le lanciò un'occhiataccia. Lei la ricambiò. La fioca luce che proveniva dalla botola arrivava a stento fino a lì. Billy si rannicchiò, aspettandosi che lei balzasse fuori dalle tenebre da un momento all'altro. Ma non sentiva più nessun respiro. Forse era solo lui, a respirare. Doveva essere così, perché lì non c'era nessuno. Ma c'era qualcosa sul pavimento, qualcosa di chiaro e luminoso che non si muoveva. Si mise a quattro zampe e cominciò a strisciare verso l'oggetto. Sembrava pieno di pieghe come della stoffa, ma anche concreto e pesante. Sembrava quasi solido. Finalmente arrivò a toccarlo. Allungò le braccia, lo palpò con dita veloci. Si accorse che era filamentoso. Lo raccolse, lo tastò. Erano capelli. Lo toccò con maggiore attenzione, All'interno c'era una rete rigida, che aveva l'odore della colla. Dei capelli che si incollano... sono una parrucca, come quella rossa che Sally si era messa per la festa di Halloween, quando si era travestita da punk. La parrucca gli fece ribrezzo e la lasciò cadere nel buio. Ma c'era dell'altra roba bianca. Guardò l'ammasso chiaro. Era un lenzuolo? Nell'istante stesso in cui toccò il tessuto capì che era il vestito di seta bianca della donna. Guardò in alto. Sopra quella parte della cantina doveva esserci la camera da letto di Barton. Quindi quel vestito e quella parrucca... pensò alle sue mani grassocce, alla sua corporatura massiccia infilata nel leggero vestito, ai suoi occhi di ghiaccio. «Oh, no», sussurrò. «Per favore no.» Era orribile, essere intrappolato in quel modo. Odiava quella gente, ma non c'era modo di sottrarsi; semplicemente non poteva andarsene. Quando sarebbe tornato a casa avrebbe portato quel ragazzo direttamente giù e l'avrebbe legato al tavolo. Poi poteva chiudere la porta e dimenticarsene. Più nessuna preoccupazione. «Oh, è la tua bambolina che vuoi darmi?» «Vuole che Millie entri nella Scatola della Strizza», spiegò la madre, tutta risatine e occhi luccicanti. «Oh, povera Millie, ha tanta paura!» «È solo una bambola, è fatta di plastica. Mio fratello le ha morso un pie-
de e a lei non è importato niente.» Pensò di ritirarsi dietro il banco, ma lì c'era un ragazzino che cercava di arrivare all'esposizione di lecca-lecca, intenzionalmente tentatrice, che aveva preparato Gina. «Mi costano ventotto centesimi l'uno, tesoro, e guarda le etichette.» Si poteva avere cocco, vaniglia, chinotto, coca, per un dollaro e cinquanta l'uno. «Ne voglio uno», annunciò il bambino. «Dobbiamo andare», rispose la madre prendendolo in braccio. «Zio Strizza, dammene uno.» Col cavolo. Gina gli avrebbe trattenuto il dollaro e mezzo dalla sua parte. «La tua mammina dice che è ora di andare.» Sorridi, sorridi, sorridi, si disse, mentre immaginava Billy che scavava ai bordi della finestra, rompeva la serratura, tirava via la griglia che copriva il foro di aerazione nel soffitto del bagno. Fatemi uscire di qui, accidenti! Un altro ragazzo: «Voglio un autografo!» Bene, certamente. «Voglio darti un bacio, zio Strizza!» Sulla guancia piena di cerone? «Ma ho bisogno di un lecca-lecca, zio Strizza!» «La tua mammina ha detto di no!» Perché non lo porti via, brutta puttana. Sorridi, sorridi, sorridi. «Ma non voglio mangiarlo, voglio solo tenerlo in mano!» Il bambino fa una smorfia, fa un profondo respiro, e poi urla come se lo torturassero con una pinza incandescente. Finalmente la madre se ne va, con la sua creatura urlante in braccio. Ma altri bambini gli si affollano intorno. E ritorna la cronista, rimane ai bordi della folla, sperando di fargli un'ultima domanda. Li odiava tutti, in generale e uno per uno. Erano i suoi secondini, quei porci malvagi e puzzolenti. Ma sorrise, un sorriso che andava da un orecchio all'altro, batté le mani e fece una risata acuta e penetrante per attirare l'attenzione. «Ciao», gridò. «Ciao a tutti!» Gli rispose un coro di vocine: «Ciao, Zio Strizza!» Finalmente cominciarono ad andarsene davvero. La cronista rimase ancora vicino alla folla che stava scemando, ma l'avrebbe congedata affermando di avere la laringite.
Poteva scappare. Ma un altro visino fu accostato a lui. «Oh-h-h, che ragazzo grande! Deve avere almeno vindici anni!» Sorridi, sorridi, sorridi. Un altro paio di bambini dietro di lui, un altro paio di minuti. Poi se ne sarebbe andato a tutti i costi. Se avesse fatto tardi per l'ultimo spettacolo, pazienza. Faresti meglio a stare molto attento, Billy, brutta carognetta! Se là dentro c'era la luce l'unico modo in cui Billy poteva scoprirlo era tastare le pareti. Percorse il muro di blocchi di calcestruzzo con le mani ammanettate, inoltrandosi un passo dopo l'altro nel locale. La soglia della porta era diventata una sagoma grigia nell'oscurità. Le mani di Billy sfiorarono qualcosa che oscillò avanti e indietro facendo un suono stridente contro la parete. Lo toccò di nuovo, con cautela, e incontrò un manico. Continuò a tastare con le dita e presto arrivò al metallo. Sì, e un tipo di lama dentata molto particolare. Si rese conto che era una sega. A qualche dente aderiva qualcosa di duro e secco. Ne appallottolò un frammento tra le dita, ma non riuscì a capire che cosa fosse. Era un laboratorio? Un locale simile doveva di certo essere illuminato. Lungo la parete trovò altri attrezzi: qualcosa con una punta metallica e un lungo cordone che pensò potesse essere un antiquato saldatore a stagno. Sentì anche qualcosa che riconobbe perché le aveva viste nel piano di sopra: le molle che erano state a bagno nell'acquaio di cucina. Erano lisce e pulite. Poi trovò un oggetto che non riuscì subito a identificare al tatto. Toccò il manico, lo seguì fino a un intrico di strisce di cuoio. Qualcosa gli punse l'indice sinistro e lui ritrasse di colpo la mano. Si succhiò il dito, e sentì il sapore salato del suo sangue. Tornò a toccare quel punto, con la maggiore delicatezza possibile. Sentì un piccolo oggetto metallico legato all'estremità della correggia. Aveva una forma quasi familiare. Era un gancio ricurvo con un dente alla fine. Tutte le corregge finivano con un amo da pesca. Quando si rese conto che era una frusta fece un salto indietro e sbatté contro un mobile che dominava il centro del locale. Gli girò intorno, tastandolo freneticamente. Era un letto di legno... no, troppo alto. Era un tavolo. Nell'attimo stesso in cui sentì le cinghie, capì qual era lo scopo della stanza.
Nonostante tutti i suoi problemi, Los Angeles era una bella città. Soprattutto quando risplendeva di notte come un mare di stelle, o com'era in quel momento, baciata dal vento del Pacifico, inghirlandata di fiori, con le colline che risplendevano e l'acqua che scorreva dai canali di scolo lungo la Ridgeway... Nonostante tutti i suoi problemi, Los Angeles godeva di un rapporto speciale con il paradiso. Mentre la Celica arrancava su per la collina, Barton osservò la tranquilla vita del quartiere. Là un giardiniere messicano curava amorevolmente un graticcio di rose rampicanti, lì una vecchia signora portava a passeggio il suo stupido cagnolino. Il grande cappello floscio e il trucco antiquato dicevano che aveva lavorato a Hollywood. Forse era uno dei membri fondatori del sindacato delle comparse. Quella mattina aveva trionfato... o piuttosto aveva trionfato lo Zio Strizza. Era stato un bello spettacolo, e il pomeriggio sarebbe stato anche meglio. Stava ottenendo un po' di celebrità, anche grazie a quell'articolo sullo Style. Non sarebbero stati troppo duri con lui, e si sentiva fiducioso che la cronista non avrebbe controllato a fondo i precedenti di Richie Williams. Perché prendersi il disturbo? Per quanto riguardava Gina e tutti gli altri, era solo un altro attore disoccupato. Aveva una tessera del sindacato delle comparse. Fece l'ultima svolta, premette l'acceleratore e cominciò a salire l'ultima collina. Mentre stava chino sul tavolo, tastando le cinghie, comprendendo esattamente a che cosa serviva, Billy sentì qualcosa sfiorargli la sommità della testa. Si spostò di lato, poi si avvicinò di nuovo. Afferrò il bordo di un lampadario, sentì la lampadina. Poi trovò l'interruttore. Un istante dopo il locale fu inondato da un bagliore bianco che gli fece socchiudere gli occhi. Ecco la sega, ecco il saldatore con la punta nera, bruciata, le molle lisce e pulite, la frusta. Sul tavolo c'era un grande coltello con alcuni asciugamani di carta macchiati di marrone che coprivano in parte la lama. Poi Billy vide che su un lato della stanza si apriva un altro locale, più piccolo. Davanti alla porta c'era una tenda fatta di palline, e dietro, in un mucchio, almeno una dozzina di sacchi per l'immondizia, chiusi da nastro adesivo. Luccicavano nella cruda luce, e quando vi si avvicinò sentì che mandavano un odore orribile, come quello che aveva sentito quella volta che a-
veva trovato un topo morto sotto il forno. La stanza era più profonda di quanto avesse creduto, e piena di sacchi. Ce n'erano più di una dozzina. Ne toccò uno, e si accorse che erano molto più robusti dei sacchi per l'immondizia. Cercò di lacerare la plastica, ma era troppo resistente per rompersi. Billy prese il coltello e tagliò il sacco più vicino. Ma non si aspettava che ne uscisse un odore così forte, così rivoltante. Billy non aveva mai sentito qualcosa che puzzasse tanto decisamente di morto. Non era solo un odore, era in realtà un gas, denso e umido, che gli si riversò profondamente nelle narici. Dal buco cadde fuori un pugno del colore delle noci. Dentro il sacco Billy vide l'ombra cava di un viso. In quel momento si riversò su di lui un raggio di luce, ancora più forte del lampadario che oscillava. Billy alzò gli occhi terrorizzato e in preda a un timore reverenziale. Per un attimo pensò che potesse essere la luce di Dio. Barton disse: «Sei già quaggiù. Bene!» Fece la scala dalla sua camera da letto con sorprendente velocità, e gli apparve come un angelo che scende da un mondo pieno di luce. 30 Qualche volta Mark Neary pensava che per tutta la sua vita di adulto aveva osservato le cose morire. In quel momento si trovava già da tempo nell'era che nella sua giovinezza aveva chiamato futuro. Ma proprio quando le sue speranze di un rinnovamento sociale erano andate diminuendo, aveva assistito a uno sbocciare splendido e segreto. La crescita dei suoi figli. Prima della loro nascita non aveva avuto la più pallida idea dell'importanza e della grandezza dell'animo umano. Né sapeva niente di quell'amore disarmato che non può negare niente e non può finire mai. Quel genere di amore durava per sempre, e così i legami che ne derivavano. Quindi, anche se perduto, il figlio continuava a vivere nel cuore dei genitori, fermato per sempre nel pieno rigoglio della vita. Il quartiere che perlustravano era soffocato da arbusti secchi ed estremamente infiammabili e stipato da case dall'aspetto poco solido. Era del tutto assurdo che quel luogo sorgesse nel punto più instabile, dal punto di vista geologico, di tutta l'America settentrionale. Riusciva a immaginare i
pali che si spezzavano di colpo, le grandi case che precipitavano rotolando giù per i burroni e per i canyon, le fiamme che divoravano ogni cosa. Eppure i bambini giocavano, auto costose passavano silenziosamente, e i visi dietro i parabrezza erano privi di espressione. Continuò a guidare seguendo le indicazioni che la figlia gli dava con la sua fresca voce. Mary era nel sedile posteriore, con gli occhi chiusi, esausta per la fatica e la tensione. «Volta a sinistra e sali su per la collina.» «Attenta, Mary. Tra poco arriviamo a un'altra possibile casa.» La casa era esasperatamente simile a molte delle altre che avevano visto. La porta del garage vuoto dava sulla strada, c'era un tratto di prato secco. Mary trattenne il fiato. «Che cosa c'è?» «Una Mercedes blu.» Era sul vialetto di accesso di una casa moderna, a molti piani, alla loro sinistra. Per un istante Mark osservò il bagliore caldo che emanava dalla sua carrozzeria. Poi posò lo sguardo sulla casa molto più piccola alla fine della strada. Tutte le finestre sul davanti erano chiuse da veneziane. La porta del garage non aveva nessuna finestrella. «Vado a vedere più da vicino», annunciò Mark. «Sta' attento, tesoro.» Senza quasi curarsi delle sue parole scese dall'auto. Esaminando la scena fu quasi sicuro che Billy non fosse lì. La strada vuota, la casa silenziosa... nell'aria c'era un sentore di putrefazione, come se quel posto fosse un cimitero. Mark salì in fretta in cima alla collina, sostando un istante davanti al vialetto di accesso. Prese a destra, dirigendosi verso l'angolo del garage, che era delimitato da un magnifico oleandro pieno di fiori rosa così profumati da essere stranamente minacciosi. Anche rendendosi conto che era da sciocchi, Mark continuò, mosso da un impulso che, lo sapeva, non poteva nemmeno pensare di controllare. Girò in fretta attorno all'albero e si trovò in un posto del tutto diverso. L'oleandro nascondeva un intrico di arbusti, rampicanti e rosai pieni di spine. Mark continuò ad avanzare nel sole abbagliante. Sentì l'odore di qualcosa di morto. Trovò due finestre, entrambe con i vetri accuratamente verniciati, all'interno, con pittura nera. Mark le esaminò minuziosamente. Più che l'ubica-
zione della casa o perfino la presenza della Mercedes blu, furono quelle finestre a sollevare i suoi sospetti. Chi avrebbe fatto una cosa simile a meno che non avesse qualche cosa da nascondere? Passò le dita lungo i bordi di uno dei telai. Era di alluminio e abbastanza debole, ma non poteva rischiare di fare rumore rompendolo. Mark si trovava a circa sei metri dal muro posteriore del garage. Al di là del bordo del muro riusciva a vedere un sentiero lastricato da pietre che certamente conduceva alla porta sul retro. In lontananza udì un cane che abbaiava furiosamente e si ritrasse per un momento. Ma il cane era molto lontano e i suoi latrati diminuivano di intensità a ogni folata d'aria. Mark cominciò a muoversi lungo il muro. L'ombra divenne più fitta per la presenza di un albero soffocato dai rampicanti. Da quella parte, dietro le foglie, giungevano della musica e dei lievi sciacquii. Un vicino stava godendosi una tranquilla nuotata. Tra le foglie secche che ricoprivano il terreno beccuzzavano degli uccellini. Dai segni di una potatura lontana nel tempo capì che i brutti cespugli attorno a lui erano stati una volta una verde siepe fronteggiata da una striscia di rose e ombreggiata da quelli che erano i resti contorti di un albero di jacaranda. Arrivò alla fine del muro del garage. Davanti c'era un quarto di acro di prato maltenuto che precipitava in un profondo canyon. La vista era magnifica, una pianura immensa avvolta nella foschia. Trovò difficile capire che uno spettacolo così grandioso potesse essere il risultato dell'attività dell'uomo. Produceva anche un suono, un mormorio continuo che sembrava fondersi con il silenzio, intensificando la sensazione di vulnerabilità che stava provando. Era disarmato, e sapeva che senza un'arma le sue probabilità di avere la meglio su qualcuno non erano affatto buone. Come poteva riuscire, debole e non allenato com'era, a prevalere sulle risorse di un rapitore? In lontananza udì il ronzio di un elicottero. Il rumore si intensificava, si indeboliva, poi all'improvviso divenne molto più forte. L'apparecchio rombò proprio sopra la sua testa, compiendo un cerchio. Mentre roteava vide l'uniforme della polizia del pilota, fu abbagliato dal riflesso dei suoi occhiali da aviatore. Poi l'elicottero si allontanò, scomparendo nella foschia. Mark si stupì e si adirò per quell'inutile e pericolosa esibizione di una presenza ufficiale. Aveva l'idea che non sapessero che la casa era quella, e
che cercassero a caso. Ma che cosa avrebbe pensato Barton Royal se avesse visto un elicottero della polizia sessanta metri sopra la sua testa? Avrebbe supposto di essere stato scoperto, e le conseguenze le avrebbe sopportate Billy. La scomparsa dell'elicottero gli fece sentire ancora più forte il proprio isolamento e l'incompetenza delle autorità. Quella telefonata crudele e arrogante... non l'avrebbe mai dimenticata. Doveva arrivare dal suo ragazzo prima che la polizia combinasse qualche pasticcio. Esitante come un gattino nervoso si sporse dal muro che lo nascondeva. Quello che vide fu una porta con la zanzariera dall'intelaiatura di legno, che immetteva in una piccola cucina. La sensazione che si trattasse di una casa vuota e abbandonata rimase, ed era tanto allettante che decise di uscire allo scoperto. Poi ebbe l'idea che forse l'uomo avesse percepito i guai in arrivo e se ne fosse andato portando con sé Billy... o lasciandoselo alle spalle. All'improvviso Mark ricordò il figlio con chiarezza perfetta e stupefacente. Vide il suo largo, luminoso sorriso, il naso arrotondato, lo sguardo puro e orgoglioso dei suoi occhi. Nel ricordo del suo ragazzo Mark vide l'uomo che stava affiorando, e ciò gli procurò una forte fitta di dolore. Rimase in piedi, in piena vista della porta, agitato e immobile, con i pugni serrati per la sofferenza che gli aveva provocato la visione del figlio. Udì un suono molto debole, che sulle prime gli sembrò quello di una tubazione difettosa. Mark era confuso e non ne capì chiaramente il significato; poche persone hanno sentito il lamento caratteristico dell'angoscia più disperata. Cessò, poi ricominciò. Lui rimase ad ascoltare. Ancora una volta si arrischiò a inoltrarsi di più nel cortile posteriore. Riuscì a capire che il rumore non proveniva dall'interno della casa. Il suo sguardo andò alle fondazioni. La stretta finestrella di una cantina era stata bloccata con mattoni e malta grezza. Udì ancora il rumore, tanto debole da poter essere il vento, tanto acuto che sembrò penetrargli proprio nel centro della testa. Ma le emozioni che celava - ferocia, dolore, disperazione - erano inconfondibili. Non era un tubo staccato, non era un motore sotto sforzo. Era un suono umano. Proveniva dalla cantina con la finestra bloccata. Billy arretrò ancora, in mezzo ai sacchi pieni di altri ragazzi. Se fosse stato più grande e più rapido a comprendere le possibilità di difendersi che
offriva il locale avrebbe preso il coltello. Quell'idea non gli passò nemmeno per la testa. Quando Barton cercò di afferrarlo, gridò. Gli occhi dell'uomo erano ridotti a due fessure, i denti scoperti come quelli del ragazzo morto che aveva visto. Per un istante le mani di Barton gli strinsero una caviglia. Gridando ogni imprecazione del suo limitato vocabolario, Billy si liberò con uno strattone e buttò giù un altro sacco. Di nuovo Barton fu sul punto di prenderlo e lui si trovò contro la parete di fondo. Poi Barton parlò con una voce bassa che sembrava un ringhio. «Non... farme... li... toccare!» Billy abbassò le mani, spingendo i pesanti sacchi. Alcuni erano fradici e facevano una specie di sciacquio, ma altri erano secchi e risuonavano come fossero pieni di legna. Erano così tanti! Barton saltellava di qua e di là all'entrata del piccolo locale, cercando di arrivare a Billy senza toccare i sacchi. Billy si seppellì fra i resti dei suoi predecessori. Quando Barton si rese conto che non poteva afferrare Billy senza tirare i sacchi fuori dalla cantina cominciò a urlare sul serio, andando avanti e indietro a grandi passi sul pavimento dell'altro locale. «Non sono stato io», gridò. «Mamma, non sono stato io!» Batté la fronte contro il muro. «Si è trattato solo di quei due! Oh, sì, è stata una disgrazia!» Poi cominciò a piangere, incurvando la schiena, scuotendo la testa così forte da fare tremare anche le spalle e le braccia, quasi ci fosse un enorme cane invisibile che volesse strappargli via la vita sbattendolo di qua e di là. Il rumore che faceva era così tremendo che anche Billy urlò. Poi Barton tacque. Un istante dopo cominciò a colpire qualcosa, sempre più forte, con il rumore dei colpi che aumentava insieme alla sua furia. Mentre continuava a vibrare colpi gridava, e le sue urla erano così alte da far tremare i denti a Billy. Nella sua mente ci sono io, è me che sta picchiando! Rendendosi conto di questo, anche Billy gridò, e le loro voci si fusero come quelle di due cantanti impegnati in un duetto d'amore. Colpiscilo ancora! Colpiscilo ancora! Adopera la frusta con gli uncini, adopera quella!
Aveva commesso due piccoli errori, ecco tutto. Solo Jack e Timmy. Ma questo era un errore fottutamente grande! Da dove diavolo venivano tutti quei sacchi? Accipicchia, che magnifico giovanotto! Dobbiamo avere almeno, lasciami indovinare, quarantordici anni! Ti strizzerò forte forte! E perché no? Quella era la sua stanza, il suo posto perfetto, lì poteva fare tutto quello che voleva. Vediamo, finché ce l'ho a pancia in giù... Sollevò la frusta. Il ragazzo sul tavolo lo guardò con occhi cattivi che mandavano lampi. Certo, aveva capito subito lo sporco segreto di quel bambino: in agguato dentro di lui c'era un male antico. Abbassò la frusta a uncini con tutta la forza che aveva, con i muscoli della schiena che si contraevano, le braccia che si muovevano come pistoni, e quel mostriciattolo puzzolente che gridava, e gli stava uscendo tutto, tutto il fuoco nero dentro di lui, e infine era libero! Tranne il fatto che il tavolo era vuoto. Certo che lo era: per prendere Billy doveva toccarli! Avrebbe dovuto tirare via i sacchi e sentirli, e rendersi conto che erano ossa e liquido nero e polvere umida lasciata dalla calce. Non sono stato io, è impossibile! «Billy, per amor del cielo, esci di lì. Esci di lì e io... io... Billy, oh, ricorda che cos'ho! Sì! Vado a prendere uno di quei Butterfinger giganti, se vieni fuori!» Si precipitò su per la scala, diretto in cucina. Li aveva messi nel frigorifero. Ormai Mark era scomparso dalla vista di Mary da più di sette minuti. Era rimasta a osservare il punto in cui era sparito. Perché mai aveva girato l'angolo del garage? Che sciocco era stato! «Dove diavolo è?» mormorò. «Faremmo meglio ad andarlo a cercare, mamma.» Era stato il suo primo impulso, ma ne vedeva i rischi. Se era stato preso in ostaggio anche lui potevano finire tutti nelle mani di Barton Royal. O forse Mark era già morto. Riusciva a immaginare il suo povero marito che si faceva ammazzare. Dal cruscotto proveniva incessante il ticchettio dell'orologio. Perché a-
veva accettato di attendere lì, a ogni modo? Era lei quella più piena di risorse, tra i due; sarebbe stato meglio che fosse scesa lei. «Ascolta!» Mary non sentiva niente. «Che cosa?» Era arrivato un altro elicottero, nero e molto più silenzioso. Volava alto, poi si fermò sopra la casa. Il rumore delle pale si ridusse a niente. «L'hanno capito!» esclamò Sally. «La polizia l'ha capito!» Gemette: «Oh, papà, torna qui!» «Vado a cercarlo.» «Mamma, sta' attenta!» «Sì, tesoro. Ma se non torno indietro fra cinque minuti scendi dall'auto e va' dai vicini. Di' tutto, di' loro che è un'emergenza e che chiamino la polizia.» «Billy è là, mamma.» «Oh, sì, è là.» Billy sentì i passi affrettati di Barton sulla scaletta, poi il forte tonfo della botola. Prima la sua mente avrebbe subito valutato le possibilità che aveva di fuggire, ma adesso aveva deciso che gli piaceva, là in fondo. L'oscurità era bella, e preferiva essere insieme agli altri. Era da un pezzo che non stava con altri ragazzi. E poi quelli erano speciali: erano suoi fratelli. Se voleva, poteva sentirli mentre gli parlavano, ma quello che avevano da dire non era molto interessante. «Alzati, Billy, corri, prendi il coltello, spegni la luce, rompi la lampadina.» Ma non poteva fare cose simili. Se le avesse fatte sarebbe stato cattivo e avrebbe beccato altre frustate. Invece si rannicchiò ancora più in fondo fra i sacchi e chiuse gli occhi. Era lì che doveva stare. Era la sua nuova stanza. Vi sarebbe rimasto per sempre. Ci sarebbe stato solo un momento difficile, poi avrebbe potuto tornare indietro e stare nel proprio sacco come i suoi fratelli. Voleva tanto bene, ai suoi fratelli. «Ehi, Timmy, crescerai e diventerai vecchio?» Non credo che potrò fare una cosa simile, Billy. «Hai un giubbotto proprio da boss, Timmy.» Smise di parlare ai suoi fratelli e cercò di nuovo di pregare. «Caro Gesù, manda l'arcangelo Gabriele con la sua spada di fuoco. Ho bisogno di quello, come minimo. Forse anche l'arcangelo Michele con la sua spada di fuoco. D'accordo?»
Aspettò, ma non si fecero vedere. Beh, avrebbe provato con la Beata Vergine. «Ave Maria, piena di grazia...» No, nessuna adolescente in camicia da notte azzurra avrebbe potuto occuparsi di una cosa simile. «Vieni fuori, tesoro, ho un Butterfinger enorme, bello e freddo, assolutamente squisito!» «Ehi, ragazzi, a quanto pare è finito l'intervallo.» Come un amante con il corpo della sua innamorata, fece scorrere le mani sulle rotondità e sulle pieghe del sacco più vicino. «Ci vediamo dopo.» Barton non riusciva a immaginare come fosse potuto succedere. Ricordava vagamente un ragazzo di nome Danny, ma era stato - oh, mio dio tanti anni prima. Quell'orrore spaventoso era assolutamente impossibile! No, non poteva essere responsabile di tutta quella montagna di sacchi! Là sotto non scendeva nessun altro, solo lui e i suoi ragazzi. Poi, dall'oscurità della plastica nera emerse un viso, un essere sinistro che lo fissava con odio. «Chi sei?» chiese Barton. Quell'inaspettata presenza lo confuse del tutto. «Sono io!» Il ragazzo strisciò fuori. Rotolò sul pavimento. «Ciao, Barton.» Tremando, Barton gli tese il dolce, in un gesto quasi sacrificale. Dal bambino si riversava una luce, come se il sole fosse penetrato in lui. La mano che prese il Butterfinger era più fredda del dolce gelato. Con grande solennità il ragazzo scartò il dolce. Non strappò solo un pezzo di carta, ma tirò fuori tutto il dolce e buttò per terra l'involucro. Barton lo raccolse e se lo mise in tasca. «Mi piacciono così freddi, papà, perché si può mangiare prima il rivestimento di cioccolato», disse Billy. «Ti piace mangiare il cioccolato prima del resto?» Barton non riusciva a parlare. Quella voce gli riempiva il cuore come se in esso fosse entrato tutto l'amore possibile. Si dondolò all'indietro sui tacchi. Dagli occhi di Billy si riversava una luce soprannaturale. «È questo, il tuo hobby?» chiese. Si guardò intorno per la stanza, con le sopracciglia aggrottate. «E questo, vero?» Diede un piccolo morso alla barra di dolce, staccando un grosso pezzo di cioccolato e mostrando la parte interna marrone. «Bisogna stare attenti, a fare così, perché se si stacca tutto il cioccolato l'interno non è più tanto buono.» Diede un morso alla parte interna del dolce. «Quindi il tuo hobby è questo? Ammazzare i ragazzi?»
Barton rimase in silenzio. Le parole non erano un'arma mortale. «In quanti siamo, qua dentro?» chiese Billy. Masticò il dolce accigliandosi. «Abbastanza da formare un club piuttosto grande, scommetto. A scuola ci sono dei club, ma io non ne faccio parte. Penso che la ragione sia la mia ossessione con Kafka. Devi avere qualcosa che ti renda speciale.» Sul volto gli apparve un sorriso, che scomparve immediatamente. Barton si mosse verso Billy con la precisione di un ballerino. Lo guidavano mani gentili, invisibili. Sentì come una presenza che si avvicinava a lui e lo circondava, ed ebbe la sensazione che fosse qualcuno che conosceva da sempre e che aveva sempre dimenticato. Sì, gli prese la mano e la guidò verso il braccio del ragazzo, poi vi strinse attorno le dita. Billy gettò indietro la testa ed emise il grido di dolore più acuto che Barton avesse mai udito. Magnifico. Mark l'aveva visto, aveva visto Barton Royal! Era entrato in fretta in cucina come un granchio preistorico, aveva aperto il frigorifero, aveva preso qualcosa e poi sbattuto lo sportello. Adesso lui aveva una prova, era un testimone e avrebbe potuto giurare che Barton Royal abitava proprio in quella casa. Non avrebbe più bevuto nessuna delle sciocchezze dei piedipiatti, il suo ragazzo era lì! Sta' attento, per l'amor del cielo! Se ti sente, se fai anche un minimo rumore, Billy è morto. Si ritirò nella penombra accanto al garage. La cosa più prudente da fare, ovviamente, era andare a chiamare la polizia. Ma, mentre tornava sui suoi passi udì un nuovo suono, così spaventoso, che anche i suoi sensi intorpiditi gli dissero che era un urlo di disperazione, di chi è ormai vicino alla fine. E inoltre riconobbe la voce: era Billy. Uscì dal suo nascondiglio e si accostò alla porta. Dall'interno sentì provenire un odore di rancido e di cibo stantio. Non era una casa pulita. In realtà, aveva un aspetto orribile. Provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Il grido si ripeté, così debole eppure così terribile. Lo sgomento, gli fece desiderare di tapparsi le orecchie, di fuggire via. Ma lo spinse anche a estrarre di tasca le chiavi e praticare uno strappo nella zanzariera. Ficcò dentro una mano e cercò un catenaccio, ma trovò solo un'altra serratura. La porta si chiudeva a chiave da entrambi i lati. Ma che stupido,
pensò. Strappò semplicemente tutta la zanzariera ed entrò. Di certo Barton Royal non si aspettava guai. O forse sì? E se ci fossero stati dei rilevatori di movimento? Poi l'urlo si ripeté ancora, un po' più forte, adesso che si trovava all'interno della casa. Si portò le mani alle orecchie, era tremendo sentirlo! Billy, oh mio Dio aiuta il mio ragazzo, Dio aiutalo! Dov'era? Le grida erano così deboli, soffocate. Poi ricordò la finestra chiusa dai mattoni. Naturalmente erano in cantina. Senza curarsi del pericolo, Mark si addentrò nella casa. «Zitto!» Billy sapeva che doveva tacere, ma era proprio molto difficile, perché aveva visto le cinghie. Se non le avesse viste sarebbe stato più facile, ma tutte le volte che le vedeva le urla uscivano da sole. «Scusa, papà!» «Sali lassù, figliolo, andiamo!» «Papà, per piacere...» «Avanti!» Cercò di salire sul tavolo, ma il suo corpo non voleva. Doveva andare dai suoi fratelli, lo sapeva, e il solo modo di farlo era salire su quel tavolo. Il guaio era che le braccia e le gambe non gli obbedivano. Rimase fermo in piedi. Quindi il papà dovette prenderlo e sollevarlo sul tavolo. Ecco, era molto meglio. Tutto quello che doveva fare era sdraiarsi. Al resto avrebbe pensato papà. Ma quando papà si piegò su di lui per afferrare la fibbia della cinghia che gli avrebbe stretto il torace, Billy si accorse con meraviglia che lo stava colpendo come fosse un serpente. La carne sotto il mento di Barton si tagliò e lui arretrò gridando. Sgorgò il sangue. «Credo di essere stato io», disse Billy. Ora papà aveva in mano un coltello enorme, e la lama era grigio chiaro. Mark aveva sentito il grido. Sì che l'aveva sentito! Non era stato Billy, era stato un adulto, e stava soffrendo. Il rumore era proprio sotto i suoi piedi! Sul pavimento della camera da letto non c'era altro che una stuoia. Mark la spostò e vide la botola, con l'anello in una rientranza del pavimento. La aprì.
Billy era proprio lì, disteso su un tavolo sotto una fioca lampadina. Accanto al tavolo c'era l'uomo simile a un granchio. Aveva in mano un machete. Barton alzò lo sguardo, socchiudendo gli occhi per la luce diventata improvvisamente più forte. «Billy!» Il ragazzo fece un minuscolo, remoto sorriso, e alzò la testa quasi in un gesto di scusa. Barton Royal sollevò la lama. Mark non sapeva che cosa fare, in nome di Dio. Immaginare la voce del suo vero papà confortò Billy, anche se si trattava soltanto di un sogno. Poi, all'improvviso, un uomo saltò giù dalla luce. Era sudato e sembrava un pazzo. Aveva dei capelli castani tutti scarmigliati e degli occhiali storti. Era forse Gesù? Di certo non mandavano Gesù per tutti i bambini che morivano, si disse, quindi doveva essere un angelo. Forse Dio aveva inviato davvero un angelo! Sarebbe stato proprio carino! Papà - no, Barton - emise uno strano suono, come se volesse fingere di essere un leone o qualcosa di simile. Roteò contro l'uomo il coltello, che sibilò sinistramente. Era accaduto l'impossibile. E così all'improvviso, così inaspettatamente. Era il padre! Semplicemente fantastico! In qualche modo aveva seguito le loro tracce, doveva aver mosso mari e monti, doveva essere più furbo di quanto non sembrasse. Mio dio, quel ragazzo era stato un errore così grande. No, era tutto a posto, non era affatto la fine. Doveva solo far fuori quel tizio e andarsene di lì, poi sarebbe stato al sicuro. Aveva pianificato perfettamente la via della fuga in caso di assoluta emergenza. Due ore dopo poteva trovarsi a Tijuana, e poi andare a Bogotà e ritornare nella foresta tropicale a nascondersi fino a giorni migliori. Di nuovo Barton roteò il machete. L'uomo gridò e fece un ridicolo salto per scansarsi, urtando la parete alle sue spalle. Bill rimase steso sul tavolo come una bambola a grandezza naturale. «Perché?» chiese l'uomo. Aveva il viso contratto, gli occhi fuori delle orbite. «Perché?» «È stato Billy! Ha voluto venire con me... ed è stato il primo! Non gli ho
fatto del male. Ho desiderato un figlio per tutta la vita. L'ho trattato bene! C'è stato solo il suo Billy!» Non riusciva a fissare quegli occhi pieni d'angoscia e girò la testa. «Sei un pazzo, schifoso bastardo!» Anche se urlava, nella voce di papà si sentivano le lacrime. A Billy non piaceva. Papà si trovava in un grosso guaio! Si udì un sibilo spaventoso e un colpo secco, e papà cadde per terra. Poi Barton gli fu sopra, ringhiando, e all'improvviso si sentì un terribile tonfo e suo padre si trasformò in qualcosa che assomigliava a un mucchio di stracci. «Papà!» Non vi fu nessuna risposta. Era stato bravo, ma il papà di Billy non valeva niente. Adesso doveva finire il bambino e andarsene. Ma tutto quel posto era pieno di cadaveri! Era stato qualcun altro. Scelse l'arma. Sarebbe stata una cosa semplice, liscia, veloce... il coltello da macellaio. Mentre lo sollevava si rese conto che in cantina, dietro la porta d'acciaio, c'era qualcosa che si muoveva. Oh, mio Dio, si stava aprendo! Un'ombra enorme, mascherata, torreggiò nella stanza. Un'altra saltò giù dalla scala. I loro occhi di plastica mandavano bagliori, le loro rivoltelle sembravano blu scuro, alla luce. «Fermo! Polizia!» Poi la lama dentro il cuore. PARTE SESTA La banda dei fratelli 31 Mark Neary fa un respiro, ma non va, ne fa un altro, non va ancora bene, si sente frastornato, gli fa male la testa, è proprio nei pasticci, lo sa. Devo respirare... chiamare mia moglie... riprendere fiato... chiamare mia moglie... devo riprendere fiato! «Due cc, lì dentro, okay, c'è del tessuto esposto, dottore. La ferita san-
guina.» Sono disteso e Billy ha bisogno di me, mi gira la testa. Un'emicrania? Dall'altra parte della camera di Barton c'erano degli uomini. Erano armati, e stavano in piedi contro la parete più lontana. Bloccavano la porta. Il suo cuore svolazzava come se fosse fatto di carta. Anche quando era tranquillo non smetteva. Lui era la pace, era la colomba. Sono la colomba bianca, la colomba che stende le ali sulla cattedrale di merda sacra. «Ho troppi dannati tubi sulla faccia, accidenti!» Poi scorse del movimento, qualcuno che passava attraverso la fila degli uomini in uniforme. Una donna, che veniva verso di lui muovendosi come un grande e prudente bastone da passeggio. La mamma era così grigia, così magra! La mascella le tremava. «Sono contenta che ti abbiano preso.» Tu e anch'io! Sollevò il braccio, il palmo della mano teso. Lui girò la testa. «Quattordici, Barton, santo cielo, quattordici innocenti!» «Non lo picchi, signora!» I poliziotti si fecero avanti. «Si calmi, signora.» «Quattordici!» Nella sua testa esplosero le stelle. Il viso gli bruciava. I tubi andarono fuori posto e si mossero come serpenti attorno al volto. Scusa, mamma! «Tenetele le braccia, presto!» La trascinarono dalla parte opposta della stanza. Il mio cuore sta bruciando. Brucia! «Il caso è stato risolto grazie a un'operazione a largo raggio della polizia, coordinata dall'FBI. Un corpo speciale addestrato a risolvere situazioni d'emergenza ha preso d'assalto la casa dopo che il padre del ragazzo vi era entrato senza autorizzazione.» «Mamma, hanno riempito la vasca da bagno di sangue, non fare gli spruzzi, non fare bum bum! Mamma, non voglio nessuna tempesta, è sangue! Apri lo scarico, mi arriverà fin sopra la testa! Mamma, non fare bum! Mamma, non metterci dentro il mio ferry-boat! Mamma adesso devo mori-
re, l'ha detto Barton!» I tuoi fratelli ti aiuteranno. «In conseguenza degli avvenimenti già riferiti tutti e tre sono in gravi condizioni al Cedars-Sinai Medical Center. Nonostante si sia pugnalato al cuore, i medici stanno cercando di salvare Royal Barton in modo che possa essere processato.» Una donna piange. Il suo nome è Mary Neary. È seduta su una sedia di plastica in una sala d'aspetto con un pavimento di linoleum grigio e pareti verde chiaro. Sul soffitto vi sono i segni prodotti da un'infiltrazione prodottasi molto tempo prima. Si schiarisce la gola, beve un sorso d'acqua da un bicchiere di plastica che tiene tra le mani. Sua figlia, Sally, è impegnata in un gioco con le parole con il dottor Richard Klass, psichiatra infantile dell'ospedale. La faccenda era che in realtà il suo cuore non batteva. Aveva un gran peso sul petto. Se faceva tanto di sollevare la testa perdeva i sensi. Tese una mano, ma la mamma non la prese. «Mi ricordo, mamma», disse. «Abbiamo passato dei bei momenti, insieme, ai vecchi tempi, vero?» «Figliolo, perché l'hai fatto? Perché?» Osservò una mosca che volava intorno al lampadario. «Mamma, avresti dovuto vedere uno degli spettacoli in cui facevo Zio Strizza.» Come se le fosse venuto improvvisamente freddo, lei si strinse le braccia attorno al corpo. Poi lo lasciò solo un'altra volta. «Quando respiro faccio dei gorgoglii, dottore.» Il cardiologo sorrise e annuì. Aveva trentasei anni e cinque figli, era di Calcutta. Non credeva che il paziente sarebbe sopravvissuto. Con la stampa preferiva mostrarsi prudente, ma era del tutto pessimista. «Oh, hai aperto lo scarico, andrò giù. Per favore, mamma, prendimi, prendi Billy, devo uscire di qui, mamma, devo andare giù! Sto scivolando, ho la testa dentro, mamma, devo andare giù, ho dentro tutto il corpo, il sangue mi sta prendendo, mamma, sono nello scarico, vado giù. Mamma, il diavolo prenderà Billy! Ha gli artigli, sono lunghi, mi sono addosso!» Siamo i tuoi fratelli. Siamo qui.
«Signor Neary?» «Sì?» «Sente questo?» «Un ago nel piede!» «E questo?» «Fa' solletico.» «Molto bene. Adesso rilassi il collo, prego. Bene. Sente male?» «Cristo!» Sembra che il sistema nervoso del paziente non abbia subito nessun danno permanente, ma la ferita guarisce molto lentamente. «Oh, mio Dio, perché è così? Sembra di plastica, dottore! Non riesco ad arrivare a lui, mi fissa soltanto! Billy! Billy! Ti ricordi la tua ninna-nanna? 'Billy, Billy, ragazzo mio, dove stai andando, incantevole Billy.' Dio del cielo, aiuta il mio povero bambino!» Barton scrutò nell'oscurità che aveva circondato il suo letto. Era la stanza che era diventata buia, o era lui a non vedere? Un ragazzo uscì dall'ombra. Era un ragazzo che conosceva bene e sembrava arrabbiato. Barton sapeva esattamente perché si trovava lì. «Non mi prenderai mai, mai!» Negli occhi del ragazzo si muovevano delle cose. Che strano. Barton cercò di sollevarsi, di capire che cosa fossero. Dei vermi! Quel ragazzo si chiamava Danny. Aveva delle braccia molto lunghe che si aprirono a ricevere Barton. No! Il ragazzo lo abbracciò. Oh, ed era quasi come affetto! Perché l'hai fatto? Solo la verità, per favore. «Era divertente!» Bambino impalato. Danny si ritrasse e sollevò le mani e Barton diventò pesante, troppo pesante! Il suo cuore cominciò a battere affannosamente. Stava succedendo qualcosa alla forza di gravità. «Referto medico di William Neary, dodici anni e nove mesi, traumatizzato. Sono evidenti le caratteristiche condizioni di tono dette 'flessibilità plasmabile'. Il paziente risponde agli stimoli e mantiene le posizioni che gli
si fanno assumere. Presenta anche mutismo, stupore, apparente assenza di volontà. Tuttavia, non credo che il bambino sia catatonico. Ritengo che si tratti di una reazione allo stress tanto acuta da simulare una psicosi irreversibile. La prognosi resta a ogni modo riservata.» «Devo uscire di qui mamma è buio, il grande uomo ragno mi ha abbracciato, me la sono fatta addosso, andrò giù per lo scarico Mamma!» Per la prima volta vede i suoi fratelli. Non c'è nessun segno di riconoscimento. Ti aiuteremo. «Lo aiuti! Deve aiutarlo! Capisco che sta soffrendo tremendamente, lo si vede dagli occhi, dottor Klass, per favore!» Il dottore ha la sensazione che dovrebbe abbracciare la madre del paziente per prendere su di sé un po' della sua angoscia. Quando Barton si svegliò di nuovo, nella stanza c'erano altri ragazzi. Si avvicinavano sempre di più, con i capelli che strisciavano dietro di loro, le unghie che grattavano il linoleum, i visi puri come la più pura delle luci. «Mamma!» È andata a casa. «È andata a casa?» «Quando potrò vedere Billy?» «Tra un paio di giorni, tesoro.» «Cristo, Mary, sto bene. Mi hanno fatto camminare su e giù per il reparto, mi hai visto!» «Tra pochi giorni!» «Mary, che cosa c'è?» «Mark, per favore...» «Non è morto! Non osare dirmi che è morto!» «Sally, reggimi la testa per un momento, sono sveglia da...» «Venti ore, mamma. Possiamo tornare al motel, se hai bisogno di un po' di sonno.» «Ma lo aiuta! Finché lo abbraccio, sembra che stia meglio. Fammi fare un pisolino di trenta secondi, fammi solo chiudere gli occhi...» Come un relitto vacillante affonda sul divano.
«Dottore, è svenuta.» «Tua madre è sfinita. Credo che dovremmo semplicemente lasciarla dormire qui.» Dall'armadio del reparto prendono un lenzuolo grigio e glielo avvolgono attorno. La vita della sala d'aspetto continua, la gente arriva, si siede e va via, e si salvano e si perdono delle vite, la tragedia colpisce, ma c'è anche la gioia. Mary dorme per un giorno intero. «Signore, che cosa sta facendo qui, con un'asta per fleboclisi?» «In che stanza si trova William Neary?» «Non può venire in pediatria, lei è un ricoverato!» «Sono suo padre!» «Reparto psichiatrico, stanza due-uno-zero-due.» Mark procede in fretta, trascinandosi dietro l'asta della fleboclisi; la sua mente ripete: psichiatrico, psichiatrico, psichiatrico... mentre avanza lungo il corridoio. Il pavimento incerato è traditore, camminare troppo in fretta lo stordisce. Quarantotto punti, dice dentro di sé. C'è da meravigliarsi che la testa non mi si sia spaccata in due. Quando diavolo finisce questo corridoio, Cristo. È così piccolo! Oh, guarda, com'è diventato piccolo! È tanto tranquillo! «Billy?» Perché non reagisce, ha gli occhi sgranati. «Billy!» Che cosa c'è che non va? Il ragno spalanca la bocca e quell'uomo ne esce con indosso la tunica di Gesù e in mano ha un attaccapanni a stelo. È buffo. Ma dove hai preso quegli occhiali, papà? Mark Neary non riesce a sopportare la vista del suo bambino distrutto. Sente un forte dolore al cuore e all'improvviso è molto molto stanco. Come una foglia scivola sul pavimento, notando appena i tubi della flebo che gli si staccano dal braccio. La luce si affievolisce. D'un tratto ci sono delle infermiere attorno a lui. Poi vede i lampadari del soffitto fuggire via sulla sua testa. Passeranno due giorni prima che possa di nuovo scendere dal letto. Barton voleva sentire una sinfonia di Mozart. Voleva mangiare un'arancia rossa.
Danny aveva un camion verde, con le luci che si accendevano davvero. Quando andava con zio Barton portava sempre con sé il suo camion. Ci hai stesi sul tavolo! Non è vero! Le nostre urla ti hanno fatto sudare per il piacere. Ogni azione della vita è incisa per sempre nella carne dell'anima. Mary è accasciata accanto al letto di Billy, con la testa fra le mani. Lo ha cullato, gli ha parlato, ha cantato mille canzoni, ha riversato l'anima nel suo sguardo vuoto, e adesso è sfinita. Sally accarezza la testa del fratello. Con voce roca canta: Dove sei stato, Billy, ragazzo mio, dove sei stato, incantevole Billy? Le è chiaro che la mamma non può andare avanti così. Le è anche chiaro che deve farlo. «Su, mamma, cantiamo insieme.» A fatica Mary si unisce alla figlia, alzando appena la voce, ponendo una mano sul petto del figlio. Dove sei stato, Billy, ragazzo mio... Si fa burla di loro, con la sua apatia. «Oh, a che cosa serve», geme Mary, «tanto non sente!» «Mamma, dobbiamo farlo! Dobbiamo provare! Su!» Ricominciano. Dove sei stato, incantevole Billy? Sono stato a trovare mia moglie... Mamma, su... È giovane e non può lasciare sua madre! «Oh, mamma, guarda!» Un barlume di espressione gli appare sul volto. Billy le guarda con gli occhi stupiti di un neonato. «Su, mamma! Ci sta guardando, ci vede!» Adesso Mary canta con rinnovato vigore. «Dove sei stato, Billy, ragazzo mio...» «Ehi, ti vedo sì, ti vedo, fratellino caro, ti vedo!» Lo chiamano, una cantilena: «Billy, Billy, Billy, Billy».
Sally soffoca, si schiarisce la gola, si interrompe. «Ho bisogno di una Coca, sto morendo di sete. Ne vuoi una anche tu, mamma?» Preme il pulsante per chiamare l'infermiera. Mary ricorda che quand'era piccolo aveva dei capelli molto soffici, una nuvola bionda sulla cima della testa. «Vvv...» «Mamma, mamma, ascolta!» «Mmm! Uhh!» La sua voce, le labbra si muovono appena, ma è la sua voce! «Billy! Billy! Billy!» «Mmmm! Vvv...» Mary non riusciva a capire, voleva capire. Piegandosi su di lui, preme il volto contro il suo visino stretto e acerbo. «Che cosa, Billy, la mamma è qui, la mamma ti sente!» «Voglio... una... Dr Pepper!» Barton tirò fuori dalla scatola blu l'aeroplano nuovo. Oh, era così bello! Attacca le ali! Attacca le ali! Aggancia le eliche al nastro di gomma! Monta la coda! «No, Barton, oh, no!» «Oh, Barton, fa male!» Istruzione numero quindici: l'elica a vento gira a centosessanta per ottenere la massima potenza di volo. Salì di corsa l'alta collina. A ovest si erano addensate delle nuvole, a est splendeva il sole. Il vento passò attraverso di lui, era tanto puro e lui si sentiva tanto bene! «È caldo, Barton, è tanto caldo!» «Dottore», disse Barton con cautela, «fa male.» «Sì», rispose il dottore sorridendo, «farà male, per un po'.» «Voglio un Whopper con un sacchetto grande di patatine fritte, un frappé di cioccolata e una fetta di torta di ciliegie come dessert.» «Gli piacciono ancora le stesse schifezze.» «Ma noi gli porteremo proprio quello che gli piace, giusto, Billy?» «Giusto, mamma.» Mentre aspettava che tornassero, lesse ai fratelli. Lesse Il mondo perduto, che parlava del ritrovamento della terra abitata dai dinosauri e dei tamburi della giungla che suonavano l'avvertimento. «Vi uccideremo, se po-
tremo; vi uccideremo, se potremo.» Disse ai fratelli: «Se solo per un istante potessimo tornare al giurassico e vedere un vero Tyrannosaurus rex!» Poi si chiese se i dinosauri andavano a benzina. Forse tornare al giurassico non era proprio un'idea brillante. Vedere il sacchetto del Burger King ricordò a Billy la sua casa, e per la prima volta pensò a Jerry e ad Amanda e a tutti i ragazzi e a com'era bello stare insieme a non far niente, cercando di avere la meglio uno sull'altro. Si ricordò anche del fatto che era completamente al verde. Poiché ovviamente non avrebbe vinto il premio dell'American Legion per un racconto, forse sarebbe dovuto diventare un borsaiolo. Poi gli aprirono i sacchetti e diede un morso al panino e sembrò di essere a casa, e all'improvviso fu molto contento. Dopo che ebbe finito, Sally estrasse una piccola scatola bianca. «Prova a fare una cosa simile sulla piastra di un motel!» «Il dolce al cioccolato!» Incrociò le braccia. «Mangiane un po'. Su, ti sfido.» Il vento portava sempre più in alto il suo aereo. In principio ne fu contento, ma quando diventò un minuscolo puntino nero cominciò a preoccuparsi, poi si arrabbiò. «Torna indietro», gridò. «Torna indietro!» Appartengono al vento, non possono tornare indietro. Saltò, agitò le braccia. Udì la voce delle donne che essi non avrebbero mai amato, il lamento dei loro figli non nati. La testa gli cadde da un lato. La luce di altri fuochi gli invase gli occhi. Si sentiva così terribilmente pesante! Il cielo si aprì come la buccia di un frutto marcio, e le legioni furiose vennero verso di lui. 32 Mamma e papà andarono nella camera di Billy con il dottor Klass. Billy li vide che passavano attraverso i suoi fratelli come se non ci fossero. Non gli piaceva, quando ignoravano i suoi fratelli. Non poteva sopportare quando gli dicevano che non esistevano. Come osavano, quei bugiardi! Ma aveva fatto una concessione. Non parlava più ai fratelli quando c'erano degli adulti. Solo lui e Sally potevano parlare con loro. Dato che erano suoi fratelli, lo erano anche di Sally. Erano fratelli di tutti i ragazzi.
Suo padre aveva ancora un aspetto molto strano, con le enormi bende e l'unico occhio libero reso gigantesco dalla grossa lente che avevano dovuto mettere nei suoi occhiali. Barton gli aveva fatto un buco in testa. Billy desiderava vedere il buco, ma non osava chiederlo. In quel momento suo papà aveva un aspetto spaventato. Guardò verso la mamma. Anche lei sembrava spaventata. Il dottor Klass lo prese per mano. Andava bene, ma quando lo toccavano gli venivano ancora i brividi. Quando l'infermiera gli faceva il bagno, doveva chiudere gli occhi e cantare molto forte. «Billy, vogliamo che tu sappia che Barton Royal è morto ieri sera, poco dopo mezzanotte.» Andava bene. No, non andava bene. Scoppiò a piangere, proprio non riuscì a evitarlo. Papà girò il suo buffo occhio verso la mamma. Lei passò davanti al dottor Klass e abbracciò Billy. La mamma aveva un odore tanto buono, a Billy piaceva tanto. «È una buona cosa», osservò il dottor Klass. «In questo modo si scarica un po'.» «Ho perso il funerale!» Mentre la mamma lo abbracciava, allontanò il viso in modo da non toccare la sua pelle. Le voleva tanto bene, ma aveva la pelle come quella di una salamandra. «Il funerale è alle due e mezzo», disse il dottor Klass. «Ma abbiamo delle cose più importanti da fare, che andare a uno squallido funerale. Oggi tu e io dobbiamo scrivere un'altra opera su Barton.» «Devo andare al funerale!» «No, Billy.» «Sì, mamma! Devo andarci!» Parlò suo padre, a bassa voce. «Billy, sei all'ospedale. Non stai ancora bene. Hai delle fasciature su tutto il didietro e...» I suoi fratelli stavano urlando a più non posso. Doveva andare! «Posso andarci con le fasciature. Non volete che guarisca?» Quelle parole li fecero tacere tutti, come aveva pensato. Sally, seduta accanto alla finestra a fare un puzzle, gli fece l'occhiolino. Lei sola sapeva la ragione per cui doveva andare al funerale. «Faremo il funerale per conto nostro, Billy», suggerì il dottor Klass. Era simpatico, ma da un momento all'altro poteva diventare eccentrico senza preavviso. Quello era uno di quei momenti.
Billy sapeva come chiudergli la bocca. «Che bello, potrei fare io la lapide, e potremmo usare una bara vera», disse, come se fosse entusiasta dell'idea. «So che negli ospedali ci sono delle bare, per quando la gente muore.» «Ah...» Guardò la mamma e il papà. «Devo andarci. È importantissimo.» Suo padre chinò la testa, poi si piegò sul letto con lui e con la mamma. Si strinsero le mani. «Io farò il navigatore», annunciò Sally. Per arrivare ad Anaheim c'era molta strada da fare, e dovettero mettersi in viaggio immediatamente. La mamma guidava, papà era seduto accanto a lei, Billy era sdraiato, con la testa in grembo a Sally. Anche se diceva che stava cercando pidocchi, pellicine e forfora, lui sapeva che gli stava solo accarezzando la testa. Prima di allora Billy non era mai stato in un cimitero. Quando arrivarono, cronisti di ogni tipo si affollarono rumorosamente intorno a loro, urlando delle domande. Da quando si era visto in televisione con addosso solo le mutande, a Billy quegli stupidi non piacevano per niente. Non era un gran bel cimitero, decise. Le pietre tombali erano piccole, per la maggior parte. Qualcuno aveva lasciato qua e là dei fiori appassiti dentro delle bottiglie. Quando tirava vento la sabbia batteva sulle lapidi come pioggia secca. La tomba di Barton era il solo punto del cimitero in cui ci fosse movimento. C'erano tre sedie pieghevoli, un paio di uomini in maglietta bianca, che avevano in mano un badile, un altro uomo in un consunto abito nero. C'era anche una donna, come aveva sperato Billy. I suoi fratelli si erano preoccupati che non venisse. Poteva sentire il loro sollievo. La donna era seduta su una delle sedie pieghevoli, completamente immobile, con le sopracciglia aggrottate nel sole impietoso. Mentre Billy e la sua famiglia si avvicinavano li fissò per tutto il tempo. Quando arrivarono, però, si stava guardando i piedi. «Faccia una cosa veloce, per favore, reverendo», disse. La sua voce assomigliava così tanto a quella di Barton che a Billy venne voglia di vomitare. L'uomo aprì un'edizione non rilegata della Bibbia e cominciò a leggere con voce nervosa: «Quando tremeranno i custodi della casa e i gagliardi vacilleranno...» «Due versetti dopo», disse bruscamente la donna. «Dove ho segnato.» Il reverendo si schiarì la gola. «E si avrà paura delle alture, e si avranno
degli spaventi per la via, fiorirà il mandorlo...» Billy udì i fratelli ripetere nell'aria: La cavalletta diventerà pesante e il desiderio verrà meno... Unì la sua voce viva alle loro, morte, ripetendo: «Perché l'uomo deve andare nella sua lunga dimora...» che era tutto ciò che ricordava. La madre di Barton strinse le mani una all'altra e lo guardò. Aveva un aspetto triste, ma anche spaventato. Papà alzò la testa. Billy vide l'espressione di orgoglio che gli era apparsa sul viso, e ne fu contento. «Prima che si rompa il cordone d'argento», dissero insieme i suoi genitori, «e si spezzi sulla fonte la brocca...» Si interruppero, resi silenziosi dalla forza delle stesse profonde sensazioni che aveva costretto Billy a portarli in quel luogo. La madre di Barton parlò a voce molto bassa. «Torni la polvere... la polvere...» La sua calma fu spezzata dal dolore più disperato. Si coprì il viso e fu scossa da un violento tremito. La bara fu calata da una macchina con un rumore stridente, quasi un urlo. Billy la osservò scendere nella fossa scura, e con essa la sua vita con Barton e l'oscura vita di prima. Era andato lì per cercarvi una fine. Odio Barton? chiese al suo cuore, e udì un silenzio che gli fece distogliere gli occhi dalla tomba. La madre di Barton si era ripresa abbastanza da riuscire a gettare una zolla di terra nella fossa. Billy la sentì cadere sulla bara. Era giunto il momento di compiere la sua missione. I suoi fratelli gli si radunarono intorno. Erano eccitati. Li aveva portati a una grande avventura. Si frugò in tasca e tirò fuori i quattordici cartoncini colorati. Su ognuno aveva scritto un nome. A uno a uno li gettò nella tomba. Sally, che lo aveva aiutato a prepararli, pronunciò i nomi insieme a lui. «Chuck.» «Danny.» «Jack.» «Timmy.» «Andy.» Papà aggiunse la sua voce. «Ezra.» Lo fece anche la mamma. Le loro voci erano più incerte, perché solo lui e Sally sapevano i nomi a memoria. «Liam.» «Bambino sconosciuto numero uno.»
«Bambino sconosciuto numero due.» Il sacerdote sudato e i due operai unirono la loro voce. «Bambino sconosciuto numero tre.» «Bambino sconosciuto numero quattro.» «Bambino sconosciuto numero cinque.» Cominciò anche la signora Royal. «No», la fermò Billy. «Lei no.» Lei annuì con il capo. Sussurrò: «No». «Bambino sconosciuto numero sei.» «Bambino sconosciuto numero sette.» Billy si interruppe. Guardò la madre di Barton. Aveva in mano l'ultimo cartoncino, e glielo diede. Quando la donna lo vide, ansimò come se fosse stata pugnalata. «Lo legga forte», le disse. Lei scosse la testa. Aveva chiuso gli occhi strettamente. «Lo legga», disse uno degli operai. Lei balbettò qualcosa. Poi si schiarì la voce. «Billy.» «Bene.» Billy fece un cenno verso la tomba. «Voglio tenerlo», disse lei con voce tremante. «Lo butti dentro!» Billy lo osservò scendere svolazzando, girando in tondo, finché non urtò il fianco della bara e scomparve nel buio. Da un albero si levò in volo un corvo, passò gracchiando sopra le loro teste e si innalzò verso il cielo sulle ali nere. Billy sollevò gli occhi dalla bara grigia e a buon mercato che era nella fossa e guardò quella creatura dalla voce roca, che volava nel cielo. «Sono pronto per andare», disse ai genitori. Suo padre lo prese per mano. Nella dura freddezza delle sue dita Billy vide il futuro, vide lui e Sally che crescevano, la mamma e il papà che diventavano vecchi e morivano. Quel pensiero non lo sconvolse. Al contrario, lo riempì di una gioia che sembrava più profonda della sua stessa anima, come se fosse entrata in lui, non solo attraverso la mano tremante del padre, ma attraverso il mondo intero. Quando salirono tutti in macchina, per la prima volta dopo il suo martirio Billy fu affascinato dai particolari che vedeva. Notò il modo in cui funzionava la radio e il fatto che non avesse il mangiacassette. Notò che c'era un tasto per la climatizzazione e un altro per la velocità di crociera. Notò il buco in cui avrebbe dovuto esserci l'accendisigari e si chiese che cosa sa-
rebbe successo se vi avesse infilato un dito. Mentre si allontanavano dal marciapiede, Billy guardò indietro. La signora Royal era rimasta accanto alla tomba. Li osservava partire, in piedi, con il corpo magro come un chiodo. Alzò una mano, esitante, come per fare un cenno di saluto. Ma invece le sue dita toccarono una guancia, tremarono contro la pelle vuota. Billy chiuse gli occhi, ascoltando il dolce, familiare fruscio dei pneumatici sull'asfalto. Quando si immisero sulla superstrada, il sole batteva forte. Le ombre stavano scomparendo. Sally cominciò a cantare: Le formiche marciano in fila per due, La più piccola si ferma per andare allo zoo... «Non sono le parole giuste.» «Dille tu, Billy.» «No.» «Sì!» «Assolutamente no, uh-uh.» «Beh, se no, lo faccio io!» Allora, Billy cantò: «La più piccola si ferma per fare la cacca». «Billy Neary, questa è grossa!» Era cominciato il viaggio di ritorno. FINE